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1 I nuovi regimi contabili e fiscali: la scelta più conveniente per imprese, professionisti ed enti no profit A cura del Centro Studi CGN: Dott. Roberto Bianchi

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I nuovi regimi contabili e fiscali: la scelta più

conveniente per imprese, professionisti ed

enti no profit

A cura del Centro Studi CGN: Dott. Roberto Bianchi

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La contabilità semplificata per cassa alla luce dei chiarimenti

ministeriali e l’opzione del regime ordinario

La circolare n. 11/E/2017 dell’Agenzia delle Entrate ha analizzato gli adempimenti contabili delle

imprese minori, in contabilità semplificata, che a partire dal 1° gennaio 2017 rientrano

naturalmente nel nuovo regime di cassa. Tali imprese possono, alternativamente, istituire il registro

degli incassi e dei pagamenti, utilizzare i registri IVA anche ai fini delle imposte sul reddito, oppure

optare di non annotare sui registri IVA gli incassi e i pagamenti, operando così la presunzione

assoluta secondo cui il ricavo si intende incassato e il costo pagato alla data di registrazione del

documento contabile ai fini IVA.

La legge di Bilancio 2017 ha introdotto il nuovo regime di cassa per i soggetti che adottano il

regime della contabilità semplificata, “imprese minori” ai sensi dell’art. 18 DPR 600/73, e

precisamente:

- imprese individuali;

- società di persone;

- enti non commerciali che, oltre all’attività istituzionale principale, esercitano un’attività

commerciale non prevalente;

- trust, se esercitano un’attività commerciale non prevalente.

Sono esclusi da tale normativa i professionisti che sono già naturalmente assoggettati al regime di

cassa.

Con la circolare n. 11/E del 2017, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che le caratteristiche

soggettive di coloro che possono avvalersi della contabilità semplificata, non sono state modificate

dall’intervento normativo e pertanto, continuano a rientrare naturalmente nel regime di contabilità

semplificata le società di persone e le imprese individuali che, nell’anno solare precedente hanno

conseguito ricavi inferiori a:

- 400.000 euro nel caso di imprese aventi per oggetto la prestazione di servizi;

- 700.000 euro nel caso di imprese aventi per oggetto attività diverse da quelle di prestazione

di servizi.

Dall’anno successivo a quello di maturazione dei suddetti requisiti, i soggetti interessati

sono esonerati dalla tenuta delle seguenti scritture contabili:

- libro giornale e libro degli inventari;

- scritture ausiliarie nelle quali devono essere registrati gli elementi patrimoniali e reddituali,

raggruppati in categorie omogenee, in modo da consentire di desumerne chiaramente e

distintamente i componenti positivi e negativi che concorrono alla determinazione del

reddito;

- scritture ausiliarie di magazzino.

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L’obbligo di tenuta delle scritture contabili rilevanti ai fini fiscali rimane, in particolare i registri IVA e

il registro dei beni ammortizzabili, con tutte le opportune integrazioni utili alla determinazione

anche dell’imponibile ai fini delle imposte sui redditi.

Con la nuova normativa, le imprese minori possono alternativamente:

- istituire il registro degli incassi e dei pagamenti;

- utilizzare i registri IVA anche ai fini delle imposte sul reddito, annotando separatamente le

operazioni non soggette a registrazione ai fini IVA ed effettuando, nel contempo, le

annotazioni necessarie a dare rilevanza ai mancati incassi e pagamenti nell’anno di

registrazione del documento contabile ai fini IVA;

- utilizzare i registri IVA anche ai fini delle imposte sul reddito, esprimendo una

specifica opzione che consente loro di non annotare su tali registri gli incassi e i pagamenti.

In tal caso opera una presunzione assoluta, secondo cui il ricavo si intende incassato e il

costo pagato alla data di registrazione del documento contabile ai fini IVA.

Registro incassi e pagamenti

La normativa relativa alle scritture contabili è stata modificata per adattarla al nuovo regime di

cassa. In particolare le scritture devono indicare nel modo più dettagliato le annotazioni e le

integrazioni da effettuare nei registri esistenti al fine dell’esatta individuazione dell’incasso dei

ricavi e del pagamento dei costi.

Possono essere istituiti appositi registri in cui, i soggetti in contabilità semplificata, devono

annotare cronologicamente:

1) i ricavi percepiti indicando, per ciascun incasso:

- il relativo importo;

- le generalità, l’indirizzo e il comune di residenza anagrafica del soggetto che effettua il

pagamento;

- gli estremi della fattura o altro documento emesso.

La circolare n. 11/E del 2017 chiarisce che, per quanto riguarda le generalità del soggetto che

effettua il pagamento, può essere indicato solo il codice fiscale del cliente, mentre quando non è

obbligatoria ai fini IVA l’emissione della fattura, basta annotare il documento contabile che certifica

l’operazione effettuata (ad esempio, anche il documento che comprovi l’effettuazione della

prestazione per le operazioni non considerate ai fini IVA cessioni di beni ovvero prestazioni di

servizi).

2) le spese sostenute nell’esercizio indicando, con riferimento alla data di pagamento, per

ciascuna spesa:

- il relativo importo;

- le generalità, l’indirizzo e il comune di residenza anagrafica del soggetto che effettua il

pagamento;

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- gli estremi della fattura o altro documento ricevuto.

I costi devono essere annotati cronologicamente quando effettivamente sostenuti nell’esercizio e,

per ciascuna spesa, devono essere fornite, come per i ricavi, le seguenti indicazioni:

- le generalità, l’indirizzo e il comune di residenza del soggetto che riceve il pagamento

(anche in tal caso, l’obbligo si ritiene assolto con l’indicazione del codice fiscale del

soggetto che riceve il pagamento);

- gli estremi della fattura o di altro documento ricevuto, che comprovi l’avvenuto pagamento

quando non è obbligatoria ai fini IVA l’emissione della fattura.

Registri IVA integrati

Le operazioni rilevanti ai fini IVA devono essere annotate nei registri di riferimento nel rispetto della

disciplina di settore (art. 23 e seguenti, D.P.R. n. 633/1972) e precisamente:

- le fatture di vendita devono essere annotate entro 15 giorni dalla loro emissione;

- le fatture di acquisto devono essere annotate anteriormente alla liquidazione periodica,

ovvero alla dichiarazione annuale, nella quale è esercitato il diritto alla detrazione della

relativa imposta;

- i corrispettivi con riferimento al giorno in cui le operazioni sono effettuate, entro il giorno non

festivo successivo.

Ai fini delle imposte sul reddito, l’obbligo di annotazione è previsto:

a) entro 60 giorni, per i componenti positivi e negativi di reddito, costituiti dalle operazioni non

considerate ai fini IVA cessioni di beni ovvero prestazioni di servizi, nonché dalle operazioni

che non concorrono a formare la base imponibile ai fini di detta imposta;

b) entro il termine della presentazione della dichiarazione dei redditi per le operazioni diverse

dalle precedenti, rilevanti ai fini della determinazione del reddito, compreso il valore delle

rimanenze.

Nella circolare n. 11/E del 2017, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che la registrazione di una

fattura di acquisto, seppur propedeutica ai fini IVA all’esercizio del diritto alla detrazione

dell’imposta, dovrà essere comunque eseguita entro 60 giorni dal suo pagamento, al fine di poter

dare rilevanza alla spesa nel corretto periodo di imputazione.

La mancata registrazione della fattura di acquisto entro detto termine:

- non pregiudica comunque l’esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA che può essere

esercitato, al più tardi con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in

cui il diritto è sorto;

- non determina l’indeducibilità del costo, laddove la registrazione sia, in ogni caso, eseguita

nell’esercizio in corso.

Relativamente invece alle altre operazioni:

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- i componenti positivi o negativi che concorrono alla determinazione del reddito di impresa

secondo il principio di cassa, ma non sono considerate né cessioni di beni, né prestazioni

di servizi ai fini IVA, devono essere registrate entro 60 giorni dal momento in cui si

considera rilevante l’operazione, ossia dalla data dell’avvenuto incasso o pagamento;

- i componenti positivi e negativi che non concorrono alla determinazione del reddito

secondo il criterio di cassa, come per esempio gli ammortamenti o le spese per il personale

dipendente, devono essere annotati nei registri IVA entro il termine di presentazione della

dichiarazione dei redditi.

Al fine di raccordare i criteri di registrazione delle operazioni soggette ad IVA con le regole di

determinazione del reddito per cassa, la nuova disciplina prevede la possibilità che nel registro IVA

siano annotati cronologicamente anche gli incassi e i pagamenti o, in alternativa, al termine di

ciascun periodo d’imposta, la possibilità di annotare l’importo complessivo dei mancati incassi o

pagamenti, con l’indicazione delle fatture cui le operazioni si riferiscono. In tale caso, l’annotazione

delle fatture ai fini IVA nel corso del periodo d’imposta rileva anche ai fini dell’incasso o del

pagamento, con l’effetto che, entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi,

occorre poi riportare l’importo complessivo di quanto non incassato o pagato, indicando i

documenti cui si riferiscono detti mancati incassi e pagamenti.

Successivamente, e precisamente nel periodo d’imposta in cui avviene l’effettivo incasso o

pagamento, occorrerà annotare separatamente, nel termine dei sessanta giorni dall’evento, i ricavi

percepiti e i costi sostenuti, indicando gli estremi dei documenti di riferimento.

Vendite per corrispettivi

Per quanti non sono tenuti all’emissione della fattura, se non a richiesta del cliente, la registrazione

dei corrispettivi deve essere eseguita:

- singolarmente con riferimento al giorno in cui le operazioni sono state effettuate, entro il

giorno non festivo successivo, oppure

- cumulativamente con riferimento alle operazioni effettuate in ciascun mese solare, entro il

giorno 15 del mese successivo.

Tali soggetti sono oggettivamente impediti ad utilizzare i registri degli incassi e dei pagamenti in

particolare per l’impossibilità ad adempiere all’obbligo di indicare gli estremi del cliente (o il codice

fiscale) che sono per lo più sconosciute al cedente. Il regime di cassa potrà dunque essere

correttamente applicato sostituendo i registri degli incassi e dei pagamenti con i registri IVA,

rilevando separate annotazioni delle operazioni non soggette ad IVA, in cui sia indicato l’importo

complessivo dei mancati incassi o pagamenti nonché i documenti contabili cui gli stessi si

riferiscono.

Per esigenze di controllo, nel registro dei corrispettivi devono essere indicate le generalità e gli

importi dei soggetti debitori ai quali si riferiscono i mancati pagamenti. Gli importi devono essere

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poi annotati entro 60 giorni dalla data dell’effettivo incasso, indicando le generalità del soggetto

che ha effettuato il pagamento.

Rimanenze

La circolare n. 11/E del 2017 dell’Agenzia delle Entrate ha chiarito altresì la gestione delle

rimanenze di magazzino nel nuovo principio di cassa per le imprese in contabilità semplificata cd.

minori. Nel dettare le regole per il primo periodo di imposta di applicazione, il nuovo regime

prevede che le rimanenze finali, che hanno concorso a formare il reddito dell’esercizio precedente

secondo il principio della competenza, siano portate interamente in deduzione del reddito del primo

periodo di applicazione del regime di cassa. Inoltre, il documento chiarisce il concetto di rimanenze

finali e la modalità di determinazione del reddito imponibile.

In base alla legge di Bilancio per il 2017, a partire dall’esercizio finanziario in corso al 1° gennaio

2017, i contribuenti in contabilità semplificata vengano tassati secondo il criterio di cassa

sostituendo così il criterio di competenza.

Il principio basilare del principio di cassa è quello di tener conto del momento dell’incasso o del

pagamento per la formazione del reddito imponibile. Anche le merci quindi, secondo il criterio di

cassa, costituiscono un costo nel momento in cui sono acquistate senza tener conto del loro

effettivo utilizzo.

Di conseguenza, le nuove norme non computano più le esistenze e le rimanenze di magazzino

nella determinazione del reddito imponibile.

A chiarire la gestione delle rimanenze, è intervenuta l’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 11/E

del 13 aprile 2017, ricordando che nel dettare le regole per il primo periodo di imposta di

applicazione, il nuovo regime delle imprese minori prevede che le rimanenze finali, che hanno

concorso a formare il reddito dell’esercizio precedente secondo il principio della competenza, siano

portate interamente in deduzione del reddito del primo periodo di applicazione del regime di cassa.

E tale principio trova una conferma nel determinarne l’applicazione, oltre che in sede di prima

applicazione, anche nel caso di passaggio dal regime di contabilità ordinaria a quella semplificata.

Tenendo conto della formulazione letterale della norma, che fa riferimento genericamente alle

“rimanenze finali”, l’Agenzia delle Entrate chiarisce che in esse vi rientrano:

- le rimanenze di merci e di lavori in corso su ordinazione di durata infrannuale (art.

92 TUIR);

- le rimanenze di lavori in corso su ordinazione di durata ultrannuale (art. 93 TUIR);

- le rimanenze dei titoli (art. 94 TUIR).

Determinazione del reddito imponibile

Per il primo anno di applicazione (2017) il reddito imponibile per le imprese minori sarà

determinato dalla differenza tra ricavi e costi includendo altresì:

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1) in aumento:

- i ricavi, derivanti dal valore normale dei beni destinati al consumo personale o familiare

dell'imprenditore;

- i proventi immobiliari;

- le plusvalenze;

- le sopravvenienze attive.

2) in diminuzione:

- minusvalenze;

- sopravvenienze passive;

- ammortamenti;

- accantonamenti;

- le esistenze iniziali di merci.

Nel 2017, primo anno di applicazione del principio di cassa, tra i costi saranno presenti non solo gli

acquisti delle merci, ma anche le esistenze iniziali.

Negli anni successivi, la determinazione del reddito imponibile non terrà più conto delle esistenze

iniziali né delle rimanenze finali.

Dal regime di contabilità semplificata al regime di contabilità ordinaria

Nella circolare è prevista una deroga alle ordinarie regole di competenza previste dal TUIR.

In particolare, nel caso di passaggio dal nuovo regime di contabilità semplificata al regime di

contabilità ordinaria, è previsto che:

- se le rimanenze di merci sono state imputate a costo (perché è avvenuto il pagamento delle

stesse), esse non assumeranno rilevanza come esistenze iniziali al momento della

fuoriuscita dal regime semplificato;

- se, invece, le rimanenze di merci non sono state imputate a costo (perché, al 31 dicembre,

non è ancora avvenuto il pagamento delle stesse) esse rileveranno come esistenze iniziali

e saranno soggette alle ordinarie regole di competenza previste dal TUIR.

Naturalmente, per tenere sotto controllo tale situazione, l’Agenzia ritiene necessario redigere

un prospetto iniziale delle attività e passività esistenti alla data del 1° gennaio dell’anno in cui si

applica il regime di contabilità ordinaria, non soggetto a obblighi di vidimazione e bollatura.

Con riferimento alla valorizzazione del magazzino, sarà necessario evidenziare il probabile

disallineamento tra il valore delle esistenze iniziali, determinato in base al costo medio risultante

dalle fatture di acquisto registrate ai fini dell'imposta sul valore aggiunto (a norma dell’art. 6, D.P.R.

n. 689/1974) e il costo fiscalmente riconosciuto delle stesse.

Per il calcolo del costo medio delle esistenze iniziali, è necessario far riferimento a tutti gli acquisti

dell’ultimo anno (di categoria omogenea) e non solo a quelli relativi ai beni non pagati.

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Infine, una volta individuato il costo medio, per il calcolo del valore fiscalmente riconosciuto delle

rimanenze sarà necessario far riferimento alle merci in magazzino per le quali non è avvenuto il

pagamento.

Inventario

É bene ricordare che nonostante le rimanenze non rilevino più ai fini della determinazione del

reddito imponibile, il contribuente dovrà continuare ad ottemperare all’obbligo di redazione

dell’inventario di magazzino.

Non è stato infatti abolito il comma 1 dell’art. 9, D.L. n. 69/1989 che stabilisce che “i soggetti che,

ai fini della determinazione del reddito di impresa, sono ammessi al regime di contabilità

semplificata e che non hanno optato per il regime ordinario devono annotare [E] b) entro il termine

stabilito per la presentazione della dichiarazione, le annotazioni rilevanti ai fini della

determinazione del reddito nonché il valore delle rimanenze, indicando distintamente per queste

ultime le quantità e i valori per singole categorie di beni, in giacenza alla fine dell'esercizio, [E] con

l'indicazione dei criteri seguiti per la valutazione; la distinta indicazione delle quantità e dei valori,

nonché dei criteri di valutazione, può essere effettuata, entro il medesimo termine, in apposito

prospetto di dettaglio”.

Tale inventario nel regime di cassa non ha comunque rilevanza ai fini della determinazione

dell’imponibile fiscale.

Criticità

Nel primo anno di applicazione del regime di cassa, la mancata rilevazione delle rimanenze

potrebbe determinare per le imprese minori che hanno aderito al nuovo regime, la chiusura

dell’esercizio in perdita soprattutto per quelle imprese che hanno rimanenze di magazzino

consistenti.

A differenza di quanto previsto per le perdite d’impresa in contabilità ordinaria, per le quali è

possibile il riporto in avanti nei cinque periodi d’imposta successivi, le perdite maturate in regime di

contabilità semplificata sono utilizzabili solo in diminuzione di altri redditi conseguiti nello stesso

periodo d’imposta, di conseguenza la perdita è persa.

L’Agenzia delle Entrate è intervenuta a chiarire come risolvere il problema per:

- le società c.d. di comodo;

- le società non operative;

- le società in perdita sistematica.

Ha stabilito che non rileva il componente negativo derivante dalla deduzione integrale nel primo

periodo di applicazione del regime di cassa delle rimanenze finali che hanno concorso a formare il

reddito dell’esercizio precedente secondo il principio della competenza ai fini dell’applicazione

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della disciplina. E questo risulta conforme a quanto stabilito dalle disposizioni di cui all'art. 30,

legge 724/1994 (società non operative) sia dall'art. 2, commi 36-deciese 36-duodecies, D.L. n.

138/2011 (società in perdita), e precisamente che il reddito minimo deve essere decrementato di

un importo pari alle rimanenze finali che hanno concorso a formare il reddito dell'esercizio

precedente secondo il principio della competenza temporale.

Ai fini di tali discipline, il reddito minimo dovrà essere decrementato di un importo pari al valore

delle rimanenze finali che hanno concorso a formare il reddito dell’esercizio precedente secondo il

principio della competenza dedotto integralmente nel primo periodo di applicazione del regime di

cassa.

Società in perdita sistematica

Ai meri fini dell’individuazione dei presupposti della disciplina sulle società in perdita sistematica, la

circolare ha chiarito che se il primo periodo d’imposta di applicazione del regime di cassa,

costituisce uno di quelli compresi nel c.d. periodo di osservazione, il relativo risultato fiscale deve

essere considerato senza tener conto del componente negativo derivante dalla deduzione

integrale del valore delle rimanenze finali del periodo precedente.

Quindi, nel caso in cui le dichiarazioni dei detti cinque periodi d'imposta rilevassero una perdita, il

reddito minimo, determinato ai sensi del comma 3, dell'art. 30, legge n. 724/1994, deve essere

ridotto del valore integrale delle rimanenze del periodo precedente, il quale ha concorso alla

determinazione del reddito determinato in via analitica nel medesimo periodo d'imposta.

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La flat tax al 24% - I.R.I.

La legge di stabilità 2017 all’articolo 1 comma 547, della L. 232/2016 ha introdotto all’articolo 55-

bis del Tuir, la nuova imposta sul reddito delle imprese (I.R.I.). L’imposta risulta perseguire almeno

un paio di finalità:

- l’uniformazione della tassazione del reddito d’impresa, sotto il profilo dell’entità dell’imposta,

a prescindere dalla forma giuridica adottata per l’esercizio dell’impresa stessa, sia essa

collettiva che individuale;

- l’incentivazione della capitalizzazione delle imprese, provvedendo a tassare il reddito non

distribuito/prelevato con un’aliquota proporzionale generalmente inferiore all’aliquota

marginale massima dell’imposta personale dell’imprenditore o dei soci.

La nuova IRI, infatti, applicabile con aliquota secca del 24 per cento dal 1° gennaio 2017,

interessa le imprese individuali e le società di persone in contabilità ordinaria - ma solo le

società in nome collettivo e in accomandita semplice - oltre alle società a ristretta base

proprietaria. L’applicazione dell’IRI non è automatica: per poter fruire della nuova imposta,

occorre esercitare un’apposita opzione in sede di dichiarazione dei redditi. L’opzione ha

durata di cinque periodi di imposta ed è rinnovabile.

Dal 1° gennaio 2017, le imprese individuali e le società di persone in contabilità ordinaria possono

scegliere pertanto una nuova modalità di tassazione sul reddito d’impresa. L’IRI permette di

applicare l’aliquota “secca” del 24% su tale reddito, anziché le consuete aliquote progressive

IRPEF.

L’imposta però, non si applica su tutto il reddito d’impresa: infatti, sconta l’aliquota del 24% solo la

parte degli utili trattenuti presso l’impresa e non distribuiti o prelevati dall’imprenditore o dai soci.

Pare utile rammentare che una riforma della tassazione del reddito d’impresa era già prevista dalla

legge delega di riforma fiscale (art. 11, comma 1, lettera a, legge n. 23/2014).

Tale norma delegava il Governo ad emanare norme volte all’assimilazione al regime IRES

dell’imposizione sui redditi d’impresa, compresi quelli prodotti in forma associata, dai soggetti

passivi IRPEF, assoggettandoli a un’imposta sul reddito imprenditoriale (IRI) con un’aliquota

proporzionale allineata all’IRES. Le somme prelevate dall’imprenditore e dai soci avrebbero

concorso alla formazione del reddito complessivo ai fini IRPEF dell’imprenditore e dei soci e

sarebbero state deducibili dalla predetta imposta sul reddito imprenditoriale.

Però, il termine per l’esercizio della delega è scaduto il 27 giugno 2015 senza che tali previsioni

siano state attuate.

Nella legge di Bilancio 2017 quindi, si è introdotto il nuovo regime ma con alcuni limiti, anche

soggettivi, e con applicazione non automatica ma su opzione.

Di seguito, pertanto, l’approfondimento concernente gli aspetti legati ai soggetti interessati e agli

adempimenti da porre in essere per optare.

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Applicazione dell’IRI: soggetti

L’applicazione della nuova modalità di tassazione, in primo luogo, è riservata alle imprese

individuali e alle società di persone (attenzione, non tutte, ma solo le società in nome collettivo ed

in accomandita semplice) in contabilità ordinaria.

Pertanto, riguardo all’ambito soggettivo ci sono due paletti:

1) la qualifica giuridica: si deve trattare solo di imprenditori persone fisiche o società in nome

collettivo e società in accomandita semplice;

2) la tipologia di regime contabile: i soggetti (imprenditori persone fisiche o società in nome

collettivo e società in accomandita semplice) devono essere in contabilità ordinaria.

A quest’ultimo proposito si ricorda che la contabilità ordinaria è obbligatoria per i soggetti in

questione se superano determinati limiti di ricavi (400.000 euro per le imprese aventi per oggetto

prestazioni di servizi, ovvero 700.000 euro per le imprese aventi per oggetto altre attività).

Tale regime prevede la tenuta dei seguenti libri contabili:

- libro giornale (contiene l’annotazione di tutte le operazioni in ordine cronologico);

- libro inventari (in cui riportare la consistenza dei beni raggruppati in categorie omogenee

per natura e valore);

- registri IVA (composti dal registro delle fatture emesse - o dei corrispettivi - e dal registro

degli acquisti);

- registro dei beni ammortizzabili (che evidenzia i beni a fecondità ripetuta);

- scritture ausiliarie (conti di mastri e scritture di magazzino).

I soggetti interessati, però, non sono solo le imprese individuali e le società di persone menzionate.

Infatti, modificando l’art. 116 TUIR in materia di trasparenza fiscale delle società a ristretta base

proprietaria, è stato eliminato il riferimento alla sola trasparenza fiscale quale regime opzionale per

dette società.

In pratica, viene esteso ad esse il regime fiscale della nuova IRI: si specifica che gli utili di

esercizio e le riserve di utili derivanti dalle partecipazioni nelle società che optano per l’IRI perdono

la natura di redditi di capitale e concorrono invece alla formazione del reddito del percettore quale

reddito d’impresa.

IRI e sua opzione

L’applicazione dell’IRI non è automatica. Per fruirne, i contribuenti con i requisiti di legge devono

esercitare un’apposita opzione, che si concretizza con l’effettivo modo di operare del contribuente,

desumibile dai comportamenti concludenti che presuppongono in modo inequivocabile una

determinata scelta.

In definitiva, non è necessaria alcuna comunicazione preventiva, in quanto l’opzione andrà fatta

nella dichiarazione del prossimo anno.

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L’opzione ha durata pari a cinque periodi di imposta ed è rinnovabile. C’è da chiedersi se sia

possibile applicare l’IRI anche da parte dei contribuenti che, con volume di ricavi inferiori ai limiti

sopra riportati, si trovino in regime ordinario per opzione.

La risposta, forse ovvia, è sì: per memoria, è bene ricordare che i contribuenti al di sotto di tali

soglie (che, quindi, si trovano nel naturale regime di contabilità semplificata) possono effettuare

l’opzione per il regime ordinario.

Tale opzione, basata sul comportamento concludente, va effettuata nella prima dichiarazione

presentata successivamente alla scelta operata.

Tra l’altro, la possibilità per i semplificati, di optare per il regime ordinario, da quest’anno, assume

una duplice valenza: può servire, da un lato, ad evitare di dover applicare le nuove regole di cassa

(scattate anch’esse dal 1° gennaio per i semplificati) e, dall’altro, per fruire del nuovo regime IRI

(adottabile, come si dirà appresso, con ulteriore separazione.

Calcolo della base imponibile IRI

La base imponibile IRI, come previsto dalla nuova norma (art. 55-bis, comma 1 TUIR), viene

calcolata facendo la differenza tra il reddito di impresa e le somme prelevate dall’imprenditore, dai

familiari o dai soci a carico dell’utile dell’esercizio e delle riserve di utili.

Volendo sintetizzare, si dovrà:

1) determinare il reddito d’impresa applicando le consuete regole previste dal TUIR;

2) sottrarre da tale reddito le somme prelevate nei limiti, ovviamente, del plafond IRI.

La gestione del plafond

Per quanto attiene la gestione del plafond si evidenzia il primo problema.

Il plafond cui si fa riferimento è quello previsto dall’art. 55-bis, comma 1, TUIR. Tale norma

stabilisce che “dal reddito d'impresa sono ammesse in deduzione le somme prelevate, a carico

dell'utile di esercizio e delle riserve di utili, nei limiti del reddito del periodo d'imposta e dei periodi

d'imposta precedenti assoggettati a tassazione separata al netto delle perdite residue computabili

in diminuzione dei redditi dei periodi d'imposta successivi, a favore dell'imprenditore, dei

collaboratori familiari o dei soci”.

Il plafond entro cui è possibile dedurre dal reddito di impresa le somme prelevate dai soci a carico

dell’utile e delle riserve di utili, è calcolato al netto delle perdite residue riportabili a nuovo.

A proposito delle perdite, va altresì rammentato che per chi applica l’IRI c’è un’eccezione alle

regole generali di cui all’art. 8, comma 3 TUIR (secondo tale norma, le perdite sono computate in

diminuzione dai relativi redditi conseguiti nei periodi di imposta e per la differenza nei successivi,

ma non oltre il quinto, per l’intero importo che trova capienza in essi). Infatti:

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- le perdite maturate nei periodi d'imposta di applicazione dell’IRI sono computate in

diminuzione del reddito dei periodi d'imposta successivi per l'intero importo che trova

capienza in essi;

- le perdite non ancora utilizzate al momento di fuoriuscita dal regime sono computabili in

diminuzione dai redditi secondo le regole ordinarie (art. 8, comma 3 TUIR), considerando

l'ultimo anno di permanenza nel regime come anno di maturazione delle stesse;

- nel caso di società in nome collettivo e in accomandita semplice, tali perdite sono imputate

a ciascun socio proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili.

Sul plafond di cui si discute, è sorto un dubbio circa la possibilità, o meno, negli esercizi successivi

a quello in cui le perdite sono state utilizzate, di quantificarlo considerando i redditi dichiarati nel

periodo di validità dell’IRI, senza più ridurli delle perdite già compensate.

In merito a questo punto, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il plafond IRI va determinato

computando in aumento i redditi assoggettati a tassazione separata con l’aliquota del 24% (sia nel

periodo di imposta che nel periodo di imposta precedente) e in diminuzione le perdite residue non

ancora utilizzate.

Pertanto, laddove tali perdite siano utilizzate, le stesse non dovranno più essere portate in

diminuzione del plafond IRI.

ESEMPIO

L’esempio, cui fa riferimento la risposta dell’Agenzia delle Entrate, è il seguente:

1) esercizio x

reddito = 1000

prelievi = 700

imponibile = (1.000 - 700) = 300

plafond IRI = 300

2) esercizio x+1

reddito = 100

prelievi = 400

perdita = 300 riportabile a nuovo

plafond IRI = (300 - 300) = 0

3) esercizio x+2

reddito = 500

prelievi = 150

imponibile = (350 - perdite 300) = 50

plafond IRI = [plafond esercizio x (300) + plafond esercizio x+2 (50)] = 350.

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Calcolo delle somme deducibili

Un ulteriore aspetto da considerare riguarda le modalità di calcolo dei prelievi dei soci. Infatti la

norma (art. 55-bis, comma 3) stabilisce che “le somme prelevate a carico dell'utile dell'esercizio e

delle riserve di utili, nei limiti del reddito dell'esercizio e dei periodi d'imposta precedenti

assoggettati a tassazione separata e non ancora prelevati, a favore dell'imprenditore, dei

collaboratori familiari o dei soci, costituiscono reddito d'impresa e concorrono integralmente a

formare il reddito complessivo dell'imprenditore, dei collaboratori familiari o dei soci”.

In altre parole, i prelievi dei soci a carico dell’utile e delle riserve di utili sono deducibili nei limiti del

reddito assoggettato a IRI nell’esercizio e in esercizi precedenti.

Secondo i chiarimenti forniti, è corretto quantificare la deduzione, per quanto attiene al reddito

dell’esercizio, sulla base del reddito di impresa al lordo di tali prelievi.

ESEMPIO

A tale proposito, si richiama un esempio citato nella relazione ministeriale alla legge di Bilancio.

In particolare, si fa riferimento alla seguente situazione:

reddito di impresa = 100

prelievi in conto utili = 70

deduzione = 70

In questo caso, il reddito imponibile IRI dell’esercizio sarà 30, e sempre di 30 sarà il plafond di

deducibilità al termine dell’esercizio.

A titolo puramente informativo pare utile, a parere dello scrivente, riportare una massima rispetto a

un eventuale accertamento nei confronti dei soggetti I.R.I. che può essere spunto di riflessione.

La legge di stabilità 2017 ha introdotto la nuova imposta sul reddito delle imprese (I.r.i.),

disciplinata dall’art. 55-bis del Tuir; tale norma non regolamenta le vicende relative

all’accertamento del tributo.

In caso di accertamento di maggiori ricavi o di altri proventi in capo ad una società che provvede

all’opzione per l’I.r.i., si pone dunque, il problema di definire il reddito da attribuire alla società e ai

soci. In tema di società di capitali a ristretta base partecipativa, occorre evidenziare che la

Cassazione ha quasi sempre avvallato, pur non convincendo pienamente, l’ipotesi presuntiva della

totale distribuzione ai soci. Tale orientamento si ritiene generalmente applicabile anche ai soggetti

I.r.i., data la ristretta base partecipativa che spesso li caratterizza. In questo modo, l’accertamento

nei confronti del soggetto I.r.i. non potrà che risultare pari a zero di imposta dato che, per il

meccanismo del tributo, i conseguenti prelievi attribuiti ai soci porteranno ad azzerare il maggiore

reddito imponibile. L’Agenzia dovrà quindi emettere l’accertamento nei confronti dei soci per i

prelievi effettuati. Tuttavia, in presenza di impugnazione da parte di quest’ultimi, non potrà che

trovare applicazione la sospensione del processo in base all’articolo 39 del D. Lgs. 546/1992,

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finché quello nei confronti del soggetto I.r.i. che avrà comunque interesse ad agire, non risulterà

definitivo.

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Regime Forfettario e minimi

Come noto la Legge n. 190/2014 (Finanziaria 2015) ha introdotto nel nostro ordinamento, a

decorrere dal 1 gennaio 2015 un nuovo regime fiscale agevolato denominato Regime

Forfettario destinato alle persone fisiche esercenti attività d’impresa o di lavoro autonomo che

rispettano determinati requisiti.

Con la sua entrata in vigore sono stati abrogati a decorrere dal 2015 tutti i regimi agevolati

precedentemente esistenti:

• il regime delle nuove iniziative produttive (art. 13 della L. 388/2000);

• il regime di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità, detto regime dei

nuovi minimi (art. 27 co. 1 e 2 del D.L. n. 98/2011);

• il regime contabile agevolato per gli “ex minimi” (art. 27 co. 3 del D.L. n. 98/2011).

Per quanto riguarda il regime dei “minimi” (regime di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e

lavoratori in mobilità), l’art 10 comma 12-undecies del D.L.192/2014 (Decreto “Milleproroghe”)

derogando a quanto disposto dall’art. 1 comma 85 della Legge di Stabilità 2015 ha prorogato fino

al 31/12/2015 la possibilità di adottare tale regime agevolato.

Dal 2016 pertanto il nuovo Regime Forfettario è diventato l’unico regime agevolato che può essere

utilizzato sia dai contribuenti che intendono intraprendere una nuova attività, che dai soggetti già in

attività, previa la sussistenza dei requisiti previsti dalla normativa ad eccezione di coloro che fino al

2015 si sono avvalsi del regime dei nuovi minimi i quali possono continuare ad applicarlo in via

transitoria e fino alla scadenza naturale (il completamento del quinquennio e fino al compimento

del trentacinquesimo anno di età), fermo restando la possibilità di scegliere l’applicazione del

nuovo Regime Forfettario, valutandone l’eventuale convenienza.

Proprio in quanto aperto a tutte le persone fisiche esercenti attività d’impresa o di lavoro

autonomo, la norma ha introdotto numerosi requisiti per l’accesso e la permanenza negli esercizi

successivi che vanno verificati nell’anno precedente a quello di adozione del regime

agevolato (quindi per chi intende usufruirne dal 2017 i requisiti vanno verificati sui dati del 2016); in

caso di inizio attività l’accesso al regime va effettuato presumendo il possesso dei requisiti di

legge.

Requisiti soggettivi di accesso al Regime Forfettario

Da un punto di vista soggettivo, il regime in esame è fruibile dalle persone fisiche esercenti

un’attività d’impresa, di arte o professione (incluse le imprese familiari) purché in possesso dei

requisiti stabiliti e che contestualmente, non incorrano in una delle cause di esclusione previste;

mentre le società di persone ed i soggetti equiparati di cui all’art. 5 del Tuir, quali le associazioni

professionali invece, ne sono escluse.

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Requisiti oggettivi di accesso al Regime Forfettario

Da un punto di vista oggettivo invece, l’accesso al nuovo regime agevolato, nonché il

mantenimento dello stesso negli anni successivi, è possibile per i soggetti che

possiedono determinati requisiti. A seguito delle modifiche apportate dalla Legge n. 208/2015 nella

tabella sottostante vengono messi in evidenza i requisiti richiesti per l’accesso al regime:

Requisiti Dettagli

Limite dei ricavi e compensi

Da € 25.000 ad € 50.000 a seconda dell’attività esercitata

Spese per lavoro dipendente e assimilati Non superiori ad € 5.000 lordi

Beni strumentali Costo complessivo non superiore ad € 20.000

Tali requisiti dovranno essere verificati, per coloro che sono già in attività sui dati dell’anno

precedente, per chi intende iniziare una nuova attività, sui dati presunti.

Limite dei ricavi e compensi

Per accedere al regime agevolato i ricavi o compensi percepiti (eventualmente ragguagliati ad

anno) non devono essere superiori ai limiti indicati e sotto riportati, diversi a seconda del codice

ATECO 2007 che contraddistingue l’attività esercitata.

Per effetto della modifica introdotta dalla Legge di Stabilità 2016 sono state incrementate le soglie

dei ricavi e dei compensi che consentono l’accesso al regime, rendendo così il Regime Forfettario

fruibile ad una platea più ampia dei contribuenti. Tali modifiche, che hanno portato ad un aumento

generalizzato di tali soglie di 10.000 euro per tutte le attività, tranne che per le categorie

professionali per le quali l’aumento è stato di 15.000 euro, sono state introdotte anche in risposta

delle molteplici richieste provenienti in particolar modo da alcune categorie economiche (quali ad

esempio i professionisti), particolarmente penalizzate dai requisiti piuttosto stringenti per poter

accedere al nuovo regime fiscale agevolato.

Si noti bene poi che si parla di ricavi o compensi, e non di reddito, in quanto come vedremo le

spese sostenute non avranno rilevanza nel nuovo regime.

ESEMPIO

• Un ingegnere (codice attività 71.12.10) che nel corso del 2016 ha incassato compensi per €

31.000 non potrà nel 2017 accedere al regime;

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• un agente di commercio di apparecchi elettrodomestici (codice attività 46.18.22) che nel

corso del 2016 ha conseguito ricavi per € 16.000 potrà accedere nel 2017 al regime (previa

verifica anche degli altri requisiti);

• un imprenditore che gestisce una gelateria (codice attività 56.10.30) che nel 2016 ha

conseguito corrispettivi per € 49.000 potrà accedere nel 2017 al regime (previa verifica

anche degli altri requisiti).

Spese per lavoratori dipendenti e collaboratori

Per accedere al Regime Forfettario non devono esser state sostenute spese superiori ad € 5.000 lordi per:

• lavoro accessorio (art. 70 del D. Lgs n. 276/2003);

• lavoro dipendente, collaboratori di cui all’articolo 50, comma 1, lettere c) e c-bis), del Tuir

(borse di studio o addestramento professionale);

• utili da partecipazione erogati agli associati con apporto di solo lavoro (art. 53, co.2, lettera

c) del Tuir);

• prestazioni di lavoro erogate all’imprenditore e ai suoi familiari (art. 60 del Tuir).

Acquisto di beni strumentali

Il costo complessivo, al lordo degli ammortamenti, dei beni strumentali alla chiusura dell’esercizio

non deve superare € 20.000. Pertanto, per coloro che dovranno accedere al nuovo regime

forfetario dal 2017 si dovrà verificare che “lo stock” di beni strumentali detenuti alla fine

dell’esercizio antecedente a quello di entrata (quindi al 31/12/2016) non sia superiore ad € 20.000;

nel calcolo si dovrà comunque tenere in considerazione che:

• per i beni in leasing rileva il costo sostenuto dal concedente;

• per i beni in locazione, noleggio e comodato rileva il valore normale dei medesimi

determinato ai sensi dell’articolo 9 del Tuir;

• i beni, detenuti in regime di impresa o arte e professione, utilizzati promiscuamente per

l’esercizio dell’impresa, dell’arte o professione e per l’uso personale o familiare del

contribuente, concorrono nella misura del 50%.

Non saranno rilevanti invece nel calcolo:

• beni il cui costo unitario non è superiore ad € 516,46;

• beni immobili comunque acquisiti, utilizzati per l’esercizio dell’impresa, dell’arte o della

professione;

• taluni costi riferibili ad attività immateriali, come quello sostenuto per l’avviamento o altri

elementi immateriali comunque riferibili all’attività, che non si caratterizzano per il loro

concreto utilizzo nell’ambito dell’attività d’impresa o di lavoro autonomo (C.M. n. 6/E/2015).

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Cause d’esclusione dal nuovo Regime Forfettario

Sono previste infine alcune specifiche situazioni al ricorrere delle quali è precluso l’accesso al

Regime Forfettario, ovvero per:

• persone fisiche che si avvalgono di regimi speciali ai fini dell’imposta sul valore aggiunto o

di Regimi Forfettari di determinazione del reddito;

• soggetti non residenti, ad eccezione di quelli che sono residenti in uno degli Stati membri

dell’Unione europea o in uno Stato aderente all’Accordo sullo Spazio economico europeo,

che assicuri un adeguato scambio di informazioni e che producono nel territorio dello Stato

italiano redditi che costituiscono almeno il 75% del reddito complessivamente prodotto;

• soggetti che in via esclusiva o prevalente effettuano cessioni di fabbricati o porzioni di

fabbricato, di terreni edificabili di cui all’articolo 10, co. 1, numero 8), del d.P.R. 633/1972 o

di mezzi di trasporto nuovi di cui all’art. 53, co. 1, del D.L. 331/1993;

• gli esercenti attività d’impresa, arti o professioni che partecipano, contemporaneamente

all’esercizio dell’attività, a società di persone o associazioni di cui all’art. 5 del Tuir ovvero a

società a responsabilità limitata in regime di trasparenza di cui all’articolo 116 del Tuir.

Da mettere in evidenza che queste cause di esclusione vanno verificate nell’anno di applicazione

del regime e non nell’anno precedente, quindi ad esempio: se un soggetto applicava nel corso del

2016 un regime speciale IVA o era socio di una srl trasparente, potrà comunque avvalersi del

nuovo Regime Forfettario dal 2017 se dal 01/01/2017 non applica più il regime speciale IVA o se

ha ceduto entro il 31/12/2016, la partecipazione.

Non possono accedere al Regime Forfettario infine, i soggetti che nell’anno precedente hanno

percepito redditi di lavoro dipendente e redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, di cui

rispettivamente agli articoli 49 e 50 (compreso il reddito da pensione) del Tuir, eccedenti l’importo

di euro 30.000. La verifica di tale soglia è irrilevante se il rapporto di lavoro è cessato. In merito a

tale causa ostativa al regime, introdotta dall’articolo 1 comma 111, L. 208/2015, l’Agenzia delle

Entrate ha chiarito che:

• coloro che intendono applicare il regime agevolato non devono aver percepito nell’anno

precedente un reddito di lavoro dipendente o assimilato superiore a 30.000 euro;

• il limite non opera se il rapporto di lavoro dipendente è cessato nel corso dell’anno

precedente, sempre che nel medesimo anno non sia stato percepito un reddito di pensione

che, “in quanto assimilato al reddito di lavoro dipendente, assume rilievo, anche autonomo,

ai fini del raggiungimento della citata soglia”, o non si sia intrapreso un nuovo rapporto di

lavoro, ancora in essere al 31 dicembre.

Ai fini della non applicabilità della causa di esclusione in commento rilevano solo le cessazioni del

rapporto di lavoro intervenute nell’anno precedente a quello di applicazione del Regime Forfettario,

quindi se il lavoro è cessato nell’anno di applicazione del regime, la condizione va comunque

verificata.

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Novità

Rispetto a quanto previsto per il regime dei minimi, per il regime in esame non costituisce causa

ostativa l’effettuazione di operazioni con l’estero (in particolare, esportazioni ed operazioni

assimilate). I contribuenti forfettari applicano alle importazioni / esportazioni / operazioni ad esse

assimilate le disposizioni contenute nel DPR n. 633/72, salvo l’impossibilità di acquistare beni /

servizi senza applicazione dell’IVA con utilizzo del plafond.

La Legge n. 225/2016, di conversione al D.L. 193/2016, “Decreto collegato alla Finanziaria 2017”

ha introdotto una nuova limitazione per l’applicazione del Regime Forfettario per i contribuenti che

svolgono operazioni con l’estero.

Viene previsto infatti che le cessioni all’esportazione ex artt. 8, 8-bis, 9, 71 e 72, D.P.R. n. 633/72,

sono ammesse nei limiti, anche prevedendo l’esclusione per talune attività, e secondo le modalità

stabilite dal MEF con un Decreto, che dovrà essere emanato entro il 2.3.2017 (90 giorni dalla data

di entrata in vigore della legge di conversione).

I contribuenti che si avvalgono del Regime Forfettario oppure del regime dei minimi sono esclusi

dai nuovi obblighi di comunicazione IVA introdotti dal decreto fiscale collegato alla legge di Bilancio

2017 (SPESOMETRO). Lo ha chiarito l’Agenzia delle Entrate rispondendo ad una serie di quesiti

relativi ai nuovi adempimenti.

Per completezza di esposizione si riporta la sotto indicata tabella.

Tabella dei codici ATECO per il Regime Forfettario

Gruppo di settore Cod. Attività ATECO 2007

Valore soglia ricavi/compensi

2016 Coefficiente di redditività

Industrie alimentari e delle bevande (10-11) 45.000 40%

Commercio all’ingrosso e al dettaglio

45 – (da 46.2 a 46.9) – (da 47.1 a 47.7) – 47.9 50.000 40%

Commercio ambulante di prodotti alimentari e bevande 47.81 40.000 40%

Commercio ambulante di altri prodotti 47.82 – 47.89 30.000 54%

Costruzioni e attività immobiliari (41 – 42 – 43) – (68) 25.000 86%

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Intermediari del commercio 46.1 25.000 62%

Attività dei servizi di alloggio e di ristorazione (55 – 56) 50.000 40%

Attività professionali, scientifiche, tecniche, sanitarie, di istruzione, servizi finanziari e assicurativi

(64 – 65 – 66) – (69 – 70 – 71 – 72 – 73 – 74 – 75) – (85) – (86 – 87 – 88) 30.000 78%

Altre attività economiche

(01 – 02 – 03) – (05 – 06 – 07 – 08 – 09) – (12 – 13 – 14 – 15 – 16 – 17 – 18 – 19 – 20 – 21 – 22 – 23 – 24 – 25 – 26 – 27 – 28 – 29 – 30 – 31 – 32 – 33) – (35) – (36 – 37 – 38 -39) – (49 – 50 – 51 – 52 -53) – (58 – 59 – 60 – 61 – 62 – 63) – (77 – 78 – 79 – 80 – 81 – 82) – (84) – (90 – 91 – 92 – 93) – (94 – 95 – 96) – (97 – 98) – (99)

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TERZO SETTORE: la riforma degli enti no profit

La Gazzetta Ufficiale n. 179 del 2 agosto 2017 (Supplemento Ordinario n. 43), ha dato alla luce il

Decreto legislativo 3 luglio 20187, n. 117, recante “Codice del Terzo settore, a norma dell'articolo

1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106”.

In vigore dal 3 agosto 2017 il nuovo Codice, si compone di 104 articoli suddivisi in dodici Titoli ed

ha come finalità il riordino di tutta la normativa riguardante gli enti del Terzo settore, al fine di

sostenere l’autonoma iniziativa dei cittadini che concorrono, anche in forma associata, a

perseguire il bene comune, ad elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione

sociale, favorendo la partecipazione, l’inclusione e il pieno sviluppo della persona e valorizzando il

potenziale di crescita e di occupazione lavorativa, in attuazione dei principi costituzionali.

Vengono anzitutto definiti gli enti del Terzo settore, individuati nelle organizzazioni di volontariato,

associazioni di promozione sociale, enti filantropici, imprese sociali, incluse le cooperative sociali,

reti associative, società di mutuo soccorso, associazioni, riconosciute o non, fondazione ed altri

enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di

finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di

interesse generale in forma volontaria e di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, di

mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi.

Sono altresì puntualmente individuate le attività di interesse generale esercitate dagli enti del

Terzo settore in via esclusiva o principale.

Sono abrogate le leggi n. 266 del 11 agosto 1991 (Legge quadro sul volontariato) e n. 383 del 7

dicembre 2000 (Disciplina delle associazioni di promozione sociale), e abrogati altresì il decreto

del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali 14 settembre 2010, n. 177 recante “Regolamento

concernente i criteri e le modalità per la concessione e l'erogazione dei contributi di cui all'articolo

96 della legge 21 novembre 2000, n. 342 in materia di attività di utilità sociale, in favore di

associazioni di volontariato e organizzazioni non lucrative di utilità sociale” e il decreto del Ministro

del Tesoro 8 ottobre 1997, recante “Modalità per la costituzione dei fondi speciali per il volontariato

presso le regioni” .

Di seguito i soggetti riconosciuti e non come ETS (ENTI TERZO SETTORE)

Soggetti riconosciuti come Enti del Terzo Settore

Sono Enti del Terzo Settore:

- le organizzazioni di volontariato;

- le associazioni di promozione sociale;

- gli enti filantropici;

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- le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di

mutuo soccorso;

- ed ogni altro ente costituito in forma di associazione, riconosciuta o non riconosciuta,

o di fondazione per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche,

solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di

interesse generale, in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro,

beni o servizio di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel

registro unico nazionale del Terzo Settore.

Soggetti non riconosciuti come Enti del Terzo Settore

Non sono Enti del Terzo Settore le amministrazioni pubbliche (articolo 1, comma 2, del

decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165), le formazioni e le associazioni politiche, i

sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, le

associazioni di datori di lavoro, nonché gli enti sottoposti a direzione e coordinamento o

controllati dai suddetti enti.

Disposizioni in materia di imposte sui redditi

Agli Enti del Terzo Settore, diversi dalle imprese sociali, si applicano le norme del titolo II del testo

unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre

1986, n. 917 in quanto compatibili.

Le attività di interesse generale, ivi incluse quelle accreditate o contrattualizzate o convenzionate

con le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo

2001, n. 165 l'Unione europea, amministrazioni pubbliche straniere o altri organismi pubblici di

diritto internazionale, si considerano di natura non commerciale quando sono svolte a titolo gratuito

o dietro versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi, tenuto anche conto degli

apporti economici degli enti di cui sopra e salvo eventuali importi di partecipazione alla spesa

previsti dall'ordinamento.

Si considera non commerciale l'attività svolta dalle associazioni del Terzo Settore nei confronti dei

propri associati, familiari e conviventi degli stessi in conformità alle finalità istituzionali dell'ente.

Non concorrono alla formazione del reddito delle associazioni del Terzo Settore le somme versate

dagli associati a titolo di quote o contributi associativi. Si considerano, tuttavia, attività di natura

commerciale le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nei confronti degli associati,

familiari o conviventi degli stessi verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le

quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno

diritto. Detti corrispettivi concorrono alla formazione del reddito complessivo come componenti del

reddito di impresa o come redditi diversi a seconda che le relative operazioni abbiano carattere di

abitualità o di occasionalità.

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Regime Forfettario degli Enti del Terzo Settore non commerciali

Gli Enti del Terzo Settore non commerciali, possono optare per la determinazione forfettaria del

reddito d'impresa applicando all'ammontare dei ricavi conseguiti nell'esercizio delle attività

generali, quando svolte con modalità commerciali, il coefficiente di redditività nella misura indicata

nelle lettere a) e b) e aggiungendo l'ammontare dei componenti positivi di reddito di cui agli articoli

86, 88, 89 e 90 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con Dpr 22 dicembre 1986, n.

917.

a) Attività di prestazioni di servizi:

1) ricavi fino a 130.000 euro, coefficiente 7 per cento;

2) ricavi da 130.001 euro a 300.000 euro, coefficiente 10 per cento;

3) ricavi oltre 300.000 euro, coefficiente 17 per cento;

b) Altre attività:

1) ricavi fino a 130.000 euro, coefficiente 5 per cento;

2) ricavi da 130.001 euro a 300.000 euro, coefficiente 7 per cento;

3) ricavi oltre 300.000 euro, coefficiente 14 per cento.

Per gli enti che esercitano contemporaneamente prestazioni di servizi ed altre attività, il

coefficiente si determina con riferimento all'ammontare dei ricavi relativi all'attività prevalente. In

mancanza della distinta annotazione dei ricavi si considerano prevalenti le attività di prestazioni di

servizi.

L'opzione viene esercitata nella dichiarazione annuale dei redditi ed ha effetto dall'inizio del

periodo d'imposta nel corso del quale è esercitata fino a quando non è revocata e comunque per

un triennio. La revoca dell'opzione è effettuata nella dichiarazione annuale dei redditi ed ha effetto

dall'inizio del periodo d'imposta nel corso del quale la dichiarazione stessa è presentata.

Gli enti che intraprendono l'esercizio d'impresa commerciale esercitano l'opzione nella

dichiarazione da presentare ai sensi dell'articolo 35 del Dpr 26 ottobre 1972, n. 633 e successive

modificazioni.

I componenti positivi e negativi di reddito riferiti ad anni precedenti a quello da cui ha effetto il

Regime Forfettario, la cui tassazione o deduzione è stata rinviata in conformità alle disposizioni del

testo unico delle imposte sui redditi, approvato con Dpr 22 dicembre 1986, n. 917, che dispongono

o consentono il rinvio, partecipano per le quote residue alla formazione del reddito dell'esercizio

precedente a quello di efficacia del predetto regime.

Le perdite fiscali generatesi nei periodi d'imposta anteriori a quello da cui decorre il Regime

Forfettario possono essere computate in diminuzione del reddito determinato secondo le regole

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ordinarie stabilite dal testo unico delle imposte sui redditi, approvato con Dpr 22 dicembre 1986, n.

917.

Sono esclusi dall'applicazione degli studi di settore (articolo 62-bis del decreto-legge 30 agosto

1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427) e dei parametri

(articolo 3, comma 184, della legge 28 dicembre 1995, n. 549), gli Enti che optano per la

determinazione forfettaria del reddito di impresa, nonché dall’applicazione degli indici sistematici

di affidabilità di cui all'articolo 7-bis del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193 convertito con

modificazioni dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225.

Social Bonus

È istituito il cosiddetto “Social bonus” consistente in un credito d'imposta pari al 65 per cento delle

erogazioni liberali in denaro, effettuate da persone fisiche e del 50 per cento se effettuate da enti o

società in favore degli Enti del Terzo settore, che hanno presentato al Ministero del Lavoro e delle

Politiche Sociali un progetto per sostenere il recupero degli immobili pubblici inutilizzati e dei beni

mobili e immobili confiscati alla criminalità organizzata assegnati ai suddetti Enti del Terzo Settore

e da questi utilizzati esclusivamente per lo svolgimento di attività generali con modalità non

commerciali. Per le suddette erogazioni non si applicano le agevolazioni fiscali previste a titolo di

deduzione o di detrazione di imposta da altre disposizioni di legge.

Il credito d'imposta spettante è riconosciuto alle persone fisiche e agli enti non commerciali nei

limiti del 15 per cento del reddito imponibile ed ai soggetti titolari di reddito d'impresa nei limiti del 5

per mille dei ricavi annui. Esso è ripartito in tre quote annuali di pari importo ed è utilizzabile tramite

compensazione ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241; non rileva ai

fini delle imposte sui redditi e dell'imposta regionale sulle attività produttive.

Al credito d'imposta non si applicano i limiti di cui all'articolo 1, comma 53, della legge 24 dicembre

2007, n. 244, e di cui all'articolo 34 della legge 23 dicembre 2000, n. 388.

I soggetti beneficiari delle erogazioni liberali effettuate per la realizzazione di interventi di

manutenzione, protezione e restauro dei beni stessi, comunicano trimestralmente al Ministero del

Lavoro e delle Politiche Sociali l'ammontare delle erogazioni liberali ricevute nel trimestre di

riferimento; provvedono altresì a dare pubblica comunicazione di tale ammontare, nonché della

destinazione e dell'utilizzo delle erogazioni stesse, tramite il proprio sito web istituzionale,

nell'ambito di una pagina dedicata e facilmente individuabile e in un apposito portale, gestito dal

medesimo Ministero, in cui ai soggetti destinatari delle erogazioni liberali sono associate tutte le

informazioni relative allo stato di conservazione del bene, gli interventi di ristrutturazione o

riqualificazione eventualmente in atto, i fondi pubblici assegnati per l'anno in corso, l'ente

responsabile del bene, nonché le informazioni relative alla fruizione, in via prevalente, per

l'esercizio delle attività prevalente.

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Imposte di bollo, di registro, ipotecarie e catastali e tasse sulle concessioni governative

L’articolo 82, comma 3, del Decreto legislativo 3 luglio 20187, n. 117, stabilisce che agli atti

costitutivi e alle modifiche statutarie, comprese le operazioni di fusione, scissione o trasformazione

poste in essere da Enti del Terzo Settore, comprese le cooperative sociali ed escluse le imprese

sociali costituite in forma di società, le imposte di registro, ipotecaria e catastale si applicano in

misura fissa pari a 200 euro. Le modifiche statutarie sono esenti dall'imposta di registro se hanno

lo scopo di adeguare gli atti a modifiche o integrazioni normative.

Le imposte di registro, ipotecaria e catastale si applicano in misura fissa per gli atti traslativi a titolo

oneroso della proprietà di beni immobili e per gli atti traslativi o costituitivi di diritti reali immobiliari

di godimento a favore di tutti gli Enti del Terzo Settore, comprese le cooperative sociali ed escluse

le imprese sociali costituite in forma di società, incluse le imprese sociali, “a condizione che i beni

siano direttamente utilizzati, entro cinque anni dal trasferimento, in diretta attuazione degli scopi

istituzionali o dell'oggetto sociale e che l'ente renda, contestualmente alla stipula dell'atto, apposita

dichiarazione in tal senso”. In caso di dichiarazione mendace o di mancata effettiva utilizzazione

del bene in diretta attuazione degli scopi istituzionali o dell'oggetto sociale, “è dovuta l'imposta

nella misura ordinaria, nonchè la sanzione amministrativa pari al 30 per cento dell'imposta dovuta

oltre agli interessi di mora decorrenti dalla data in cui l'imposta avrebbe dovuto essere versata”.

Per quanto riguarda l’imposta di bollo, al comma 5, dello stesso articolo 82, si stabilisce che “Gli

atti, i documenti, le istanze, i contratti, nonchè le copie anche se dichiarate conformi, gli estratti, le

certificazioni, le dichiarazioni, le attestazioni e ogni altro documento cartaceo o informatico in

qualunque modo denominato posti in essere o richiesti dagli Enti del Terzo Settore comprese le

cooperative sociali ed escluse le imprese sociali costituite in forma di società sono esenti

dall'imposta di bollo”. Esenzione peraltro già prevista dall’art. 27-bis della Tabella - Allegato B al

D.P.R. n. 642 del 1972, aggiunto dall’art. 178 del D. Lgs. n. 460 del 1997.

Infine per quanto attiene le tasse sulle concessioni governative, al comma 10 dello stesso articolo,

si stabilisce che gli atti e i provvedimenti relativi agli Enti del Terzo Settore comprese le

cooperative sociali ed escluse le imprese sociali costituite in forma di società, sono esenti dalle

tasse sulle concessioni governative di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre

1972, n. 641. Va sottolineato che le disposizioni del presente articolo, come del resto

espressamente stabilito dal comma 1, “si applicano agli enti del Terzo settore comprese le

cooperative sociali ed escluse le imprese sociali costituite in forma di società”.

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