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Università degli Studi di Bologna Facoltà di Psicologia Indirizzo di Psicologia Generale e Sperimentale I MARCATORI PRAGMATICI NELLA LINGUA ITALIANA DEI SEGNI (LIS) Tesi di Laurea in Psicolinguistica Relatore: Presentata da: Prof. SILVANA CONTENTO CRISTIANA BANDINI Parole Chiave: Linguaggio dei segni - Pragmatica - Sessione Invernale Anno Accademico 1996-97

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Università degli Studi di Bologna

Facoltà di Psicologia

Indirizzo di Psicologia Generale e Sperimentale

I MARCATORI PRAGMATICI NELLALINGUA ITALIANA DEI SEGNI (LIS)

Tesi di Laurea in Psicolinguistica

Relatore: Presentata da:

Prof. SILVANA CONTENTO CRISTIANA BANDINI

Parole Chiave: Linguaggio dei segni - Pragmatica -

Sessione Invernale

Anno Accademico 1996-97

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1

INDICE

Indice 1

PARTE PRIMA 3

I. Introduzione alla lingua dei segni 3

2. Aspetti strutturali 72.1- parametri formazionali 8

2.2- aspetti morfo-sintattici 14

2.3- iconicità\arbitrarietà 18

3. Aspetti evolutivi 21

4. Studi e ricerche, le nuove tecnologie. 25

PARTE SECONDA 29

5. La pragmatica della comunicazione 295.1 Lo spostamento referenziale: l’anafora nelle lingue dei segni 30

5.2 Contenuto e relazione 38

5.2.1 Fare domande nelle lingue dei segni 38

6. Presentazione della Ricerca 436.1. Ipotesi 43

6.2. Metodo 43

6.2.1. Soggetti 44

6.2.2. Materiale 46

6.2.3. Procedura 48

6.2.4. Modalità di osservazione 49

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6.3. Risultati 49

6.3.1. Descrizione dei risultati 49

6.4. Discussione 64

6.4.1. Confronto dell’attività narrativa dei due gruppi di soggetti

64

6.4.2. Associazione luogo-referente 66

6.4.3. Spostamento referenziale 69

6.4.4. Gli effetti dello spostamento referenziale 73

6.4.5. Differenze tra soggetti con media competenza LIS e

soggetti con alta competenza LIS 74

7. Conclusioni 76

Appendice 79

Ringraziamenti 83

Bibliografia 84

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PARTE PRIMA

1. Introduzione alla lingua dei segni

La comunicazione visivo-gestuale usata dalle comunità sorde, si definisce

come una vera e propria lingua, diversa dalla semplice mimica o pantomima:

ha caratteristiche proprie, diverse dalle lingue vocali, ma che la rendono

capace di soddisfare le funzioni specifiche di ogni lingua. La lingua dei segni

è infatti un sistema di regole e simboli che mutano nel tempo e che è

condiviso da un gruppo di persone appartenenti ad una comunità con diversi

scopi: esprimere idee, opinioni, emozioni, monitorare se stessi e gli altri,

esprimere relazioni, interagire, trasmettere cultura, ecc.(Crystal, 1993).

Il mondo degli udenti ha ignorato e sottovalutato questa forma di

comunicazione se non fino a qualche decennio fa, quando Stokoe (Stokoe,

1978) iniziò una analisi sistematica della lingua americana dei segni (ASL).

Fino ad allora pochi erano gli studi che riguardavano la lingua dei segni

anche se in pratica le comunità sorde utilizzavano al loro interno forme di

comunicazione espresse dai segni. Il primo ad interessarsi di questa lingua fu

un abate verso la metà del settecento, che gestiva una scuola per sordi in

Francia. Poi, con il Congresso di Milano del 1880, l’Europa decise di

eliminare l’insegnamento della lingua dei segni perché si credeva potesse

danneggiare ed ostacolare l’apprendimento della lingua vocale da parte dei

sordi. Questa decisione, peraltro rifiutata totalmente dai rappresentanti

americani al congresso, fu applicata a livello formale: questo significa che

nelle scuole, e nei luoghi ufficiali la lingua dei segni era bandita, ma in

pratica, al di fuori di situazioni formali, i sordi continuarono a parlarsi con la

loro lingua madre visivo-gestuale.

Ciò provocò un grave danno per queste lingue: prima di tutto si fermò

completamente l’interesse e l’analisi delle lingue dei segni; in più essendo

questa lingua esclusa dalla scuola, non si poté sviluppare e trasformare

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parallelamente ad altre lingue. ( Caselli, Maragna Pagliari Rampelli &

Volterra, 1994; Corazza, 1993; Radutsky, 1992; Corazza & Volterra, in V.

Volterra, 1987).

Nessuna lingua è fissa e immutabile: col passare del tempo vengono

osservate variazioni anche consistenti all’interno di ogni lingua e questi

cambiamenti riguardano sia il lessico, che la fonologia, oltre che la

morfologia e la sintassi. Tali modificazioni derivano da un uso costante della

lingua e seguono i cambiamenti storico-tecnologici e sociali della comunità in

cui essa è usata. Il sistema linguistico infatti muta e si adatta alle esperienze

della comunità stessa.

Ci sono molti modi per creare nuove parole: attraverso acronimi,

abbreviazioni o generalizzazione di parole già esistenti, composizione di più

parole o morfemi base, o attraverso processi di incrocio. In più, contatti con

altre comunità e altre lingue possono portare a prestiti e scambi tra le diverse

espressioni. (Akmajian Demers, & Harnish, 1986).

Nei secoli le lingue vocali quindi hanno creato nuovi vocaboli adeguati alle

trasformazioni tecnologiche e sociali, hanno inventato parole appropriate per

concetti e idee appartenenti a campi sempre più specialistici e settoriali.

Per le lingue dei segni questo non è stato possibile, o almeno è avvenuto,

ma in modo molto più limitato. Più correttamente, ciò è avvenuto all’interno

del contesto in cui era utilizzata la lingua e quindi in contesti quotidiani

concreti e non formali.

Le lingue segniche sono ricche di vocaboli, ma la maggior parte di questi

sono riconducibili alla quotidianità, al concreto, dato che questo era l’unico

utilizzo concesso. Ciò non significa che con una lingua dei segni non si

possano esprimere concetti astratti o di aree specifiche.

Esiste comunque una reale difficoltà per molte espressioni appartenenti a

linguaggi altamente specializzati (Caselli Maragna, Pagliari Rampelli &

Volterra, 1994 ), che non hanno un corrispettivo segno nelle lingue visivo-

gestuali come emerso a più riprese nel corso dei lavori del convegno di

Bertinoro, 1997, “Tradurre il silenzio”.

Dalla fine degli anni sessanta ad oggi molto è stato l’interesse per le

lingue visivo-gestuali, e molti sono stati gli studi riferiti ad esse. Si è sentita

la necessità di considerare le comunità sorde come gruppi linguistici

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minoritari e, come altre minoranze linguistiche, dovrebbero ricevere più

attenzione e interesse da parte delle strutture sociali e politiche oltre che della

comunità udente in generale. E’ da sottolineare a questo proposito il fatto

che in Italia la lingua italiana dei segni fino ad oggi non era formalmente

ancora riconosciuta come lingua. (Convegno di Bertinoro, 1997). Solo

ultimamente un decreto ministeriale del 23 giugno 1997 ha inserito fra le

lingue didattiche moderne, la lingua dei segni. (Supplemento ordinario alla

Gazzetta Ufficiale, n.175 del 29 luglio 1997).

Inizialmente i ricercatori si focalizzarono sulle somiglianze tra lingue

segniche e lingue vocali, questo perché lo scopo di quegli anni era

riconoscere alla lingua dei segni lo status di lingua al pari delle lingue vocali.

Poi dimostrata questa tesi, gli studi hanno cominciato ad evidenziare le

differenze esistenti tra le lingue segniche e vocali, e tra le stesse lingue dei

segni. (Pizzuto e Corazza, 1997).

Infatti, contrariamente a quello che si può pensare, il linguaggio dei segni non

è universale, anche se vi sono delle somiglianze tra lingue diverse e se la

comprensione fra stranieri non udenti risulta più facile rispetto a quella tra

parlanti lingue verbali. Esistono diverse lingue segniche, (per esempio la

LSF la lingua dei segni francese; l’ASL, la lingua dei segni americana; la LIS,

lingua italiana dei segni, ecc.) oltre che differenze all’interno di una stessa

lingua (forme “dialettali” come nella lingue vocali.), (Caselli, Maragna

Pagliari Rampelli, & Volterra, 1994; Corazza & Volterra, in V. Volterra,

1987).

La lingua più studiata è stata l’ASL ma in questi ultimi anni gli studi di

altre lingue sia europee che orientali si sono moltiplicati, e hanno prodotto

già risultati interessanti oltre che utili sul piano pratico.

Gli studi sulle lingue segniche hanno portato a due assunti fondamentali:

1. la capacità linguistica è biologicamente ancorata nel patrimonio umano

(acustico-vocale o visivo-gestuale).

2. il confronto tra le due modalità (segnica/vocale) può portare a evidenziare

le proprietà indipendenti o dipendenti dalla modalità stessa e quindi a

definire gli universali linguistici.

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E’ evidente infatti che l’esistenza di una forma comunicativa, con molte

caratteristiche fondamentali di una lingua, ma che si esprime attraverso

un’altra modalità, prova che la capacità linguistica di comunicare è insita

nella specie umana qualunque sia la modalità espressiva; inoltre gli studi sulla

lingua segnica possono rivelare quali siano le strutture fondamentali del

linguaggio e soprattutto quelle che sono dipendenti dalla modalità visivo-

gestuale o vocale e quelle invece che risultano indipendenti (Corazza &

Volterra, in V. Volterra, 1987 ).

Comprendere questi processi aiuterà a capire meglio la facoltà di

linguaggio e a confermare o respingere le varie teorie sull’apprendimento e

lo sviluppo della competenza linguistica.

Anche l’indagine sulla struttura cerebrale sottostante l’uso della lingua di

segni e di quella vocale può essere di grande aiuto per capire e spiegare i

complessi rapporti tra sistema nervoso centrale e linguaggio.

Da alcune ricerche infatti sembra che nei soggetti non udenti i compiti di

riconoscimento e comprensione del segnato coinvolgano l’emisfero sinistro

del cervello, allo stesso modo che per gli udenti il riconoscimento e la

comprensione del parlato. Questi risultati mostrano che i sistemi cerebrali

coinvolti nella comprensione delle parole sono gli stessi anche per i segni,

cioè vi è una specializzazione emisferica sinistra per stimoli linguistici, verbali

o gestuali che siano. Anche alcuni dati clinici mostrano come soggetti

segnanti sordi con lesioni all’emisfero sinistro riportino danni di afasia

segnica, mentre i compiti visuo-spaziali non subiscono deficit; se invece

l’emisfero colpito è il destro la situazione si inverte. (Caselli et al. 1994;

Volterra, 1991).

Un recente studio di un caso di lesione emisferica sinistra in un soggetto

sordo segnante, (Corina Poisner, Bellugi, Feinberg, Dowd & O’Grady-

Batch, 1992) ha evidenziato come i sistemi sottostanti l’organizzazione del

linguaggio siano dissociati, separati, dai sistemi di organizzazione dei gesti, e

come l’emisfero sinistro sia specializzato per l’analisi delle informazioni

linguistiche, segniche o orali che siano. Il paziente con lesione emisferica

sinistra non mostrava nessun disturbo nell’articolazione motoria dei gesti e

nella comprensione di compiti pantomimici, ma riportava gravi deficit nella

comprensione e nella produzione dei segni. Questi deficit non dipendevano

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da una complessità maggiore di articolazione per i segni perché i gesti

pantomimici erano di uguale o maggiore complessità, con una sequenzialità e

organizzazione che veniva eseguita senza difficoltà. La differenza tra segni e

gesti risiede nel grado di composizionalità dei segni.

La composizionalità è una caratteristica di tutte le lingue, orali o gestuali,

che permette, attraverso un numero limitato di elementi ricorrenti, di

costruire livelli sempre più gerarchicamente superiori dotati di significato.

Nel caso osservato da Corina e i suoi collaboratori viene dimostrato come

segni linguistici e gesti non linguistici coinvolgano sistemi neuronali specifici

e separabili. Comunque i ricercatori ritengono sia evidente che possa

esistere un livello di convergenza tra i due sistemi, data sia l’alta sincronia tra

gesti e sistema linguistico (nelle lingue parlate) sia l’alta correlazione tra

afasie e disturbi nel movimento (aprassie).

Ricerche più datate sostenevano invece una più attenuata specializzazione

emisferica nei sordi ed altre ancora sostengono una asimmetria cerebrale

opposta nei sordi e negli udenti (Poizner & Battison, 1980).

2. Aspetti strutturali della Lingua Italiana dei Segni (LIS)

Come da un numero ristretto di suoni senza significato (fonemi) si riesce

a formare un vastissimo numero di parole, così da un ristretto numero di

unità minime, chiamati cheremi, si possono formare un alto numero di unità

significative, i segni. (Crystal, 1993).

Dal punto di vista dell’analisi linguistica l’organizzazione sub-lessicale

delle lingue dei segni è simile alla modalità verbale di comunicazione:

possiede infatti un sistema morfologico-sintattico che permette di esprimere

ciò che nelle lingue parlate corrisponde a preposizioni, articoli e ordine della

frase.

Le principali diversità tra la lingua dei segni e la lingua verbale sono la

modalità con cui si esprime, l’ordine nella frase (più flessibile nella lingua dei

segni) e l’elemento temporale: gli elementi che formano un segno infatti non

sono temporalmente lineari ma simultanei o sovrapposti, in quanto possono

utilizzare lo spazio in modo diverso, al contrario delle lingue verbali in cui

invece una parola è composta da una sequenza lineare di elementi.

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Per quanto riguarda lo studio della LIS, le ricerche in questo campo sono

ancora poche anche se in continuo aumento: la prima difficoltà che si

aggiunge è la situazione particolare italiana in cui non è possibile parlare

ancora di una lingua italiana unica dei segni che riunifichi tutte le diverse

variazioni regionali, di città o comunità distinte (Caselli Maragna, Pagliari

Rampelli & Volterra, 1994; Corazza & Volterra, in V. Volterra, 1987).

In ciascun paese accanto alla lingua dei segni esistono altri sistemi che si

situano a metà tra la lingua parlata e quella segnata:

• la lettura labiale: usata per la comunicazione tra sordi e udenti, ma in parte

anche tra sordi per disambiguare certe situazioni;

• la dattilologia: cioè segni manuali che corrispondono alle lettere;

• la lingua segnata: che usa a livello di vocabolario i segni della LIS ma a

livello grammaticale e sintattico segue la lingua parlata.

Si può costruire una linea immaginaria in cui ad una estremità è posta la

lingua italiana parlata (LI), poi in un continuum le altre forme di

comunicazione, la dattilologia (DT), l’italiano segnato (IS) e alla estremità

opposta la lingua italiana dei segni (LIS)

LI--------------------------DT-------------------------IS---------------------LIS

(Adattamento da V. Volterra, 1981)

2.1 Parametri formazionali

Seguendo l’impostazione di Stokoe (Stokoe, 1960) l’analisi di differenti

lingue dei segni ha portato all’individuazione di caratteri ricorrenti in esse. Si

sono così evidenziati quattro parametri formazionali con cui si possono

definire e distinguere i segni e che per la maggior parte degli studiosi

costituiscono la base composizionale delle lingue segniche:

1. il luogo (lo spazio in cui si esegue il segno)

2. la configurazione (la forma che prendono le mani)

3. il movimento (il movimento che eseguono le mani)

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4. l’orientamento del palmo della mano (la posizione del palmo della mano,

parametro aggiunto successivamente all’analisi originaria di Stokoe).

Nel caso in cui due segni si diversificano per uno solo di questi parametri, si

parla di coppia minima.

Nella LIS si sono individuati 15 luoghi, 26 configurazioni, 6 orientamenti,

e 32 movimenti, (Caselli, Maragna, Pagliari Rampelli & Volterra, 1994)

Il luogo in cui vengono eseguiti i segni è definito come spazio segnico:

questo spazio si estende dall’estremità del capo alla vita e da una spalla

all’altra.(tab.1) Nello spazio si possono usare una o due mani e si può avere

contatto tra le mani e parti del corpo. Lo spazio segnico si può suddividere in

parti più ristrette che caratterizzano i vari segni:

1. spazio neutro (di fronte al corpo del segnante);

2. faccia (su tutto il viso sono rari, ma esistono alcuni segni che ne occupano

una parte);

3. parte superiore (area vasta suddivisibile in zone più specifiche come

tempia, fronte, lato del capo o sopra al capo);

4. occhio (e area adiacente);

5. naso (soprattutto per i segni a una mano);

6. guancia (spesso a una mano con contatto);

7. orecchio (e area circostante)

8. bocca (labbra e area adiacente spesso a una mano);

9. mento (e sottomento);

10. collo;

11. spalla e tronco superiore (area diversa dal petto che risulta in posizione

inferiore, le spalle corrispondono alla linea del tempo: il passato viene

segnato dietro le spalle il futuro davanti);

12. petto;

13. tronco inferiore e anca (i segni eseguiti in questa area sono numerosi,

mentre al di sotto dell’anca non esistono segni, se si escludono quelli per

indicare le gambe o altre parti del corpo inferiori);

14. braccio inferiore e superiore (dalla spalla al polso, di solito ad una mano)

15. polso (generalmente c’è contatto con l’altra mano. La posizione del polso

è sempre prona quindi non c’è un ulteriore distinzione come esiste invece

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in ASL o BSL. (Caselli, Maragna, Pagliari Rampelli & Volterra, 1994;

Crystal, 1993; Verdirosi, in V. Volterra, 1987).

Tabella 1. Lista dei 15 luoghi della LIS (Adattato da Caselli et al. 1994)

Le mani possono eseguire, da un punto di vista motorio, moltissime

configurazioni diverse, che però non sono tutte utilizzate in LIS per eseguire

i segni.(tab.) Non tutte le lingue infatti usano le stesse configurazioni, inoltre

anche la frequenza d’uso può variare per una stessa configurazione tra

lingue dei segni diverse. Per esempio la configurazione W (cioè l’indice il

medio e l’anulare estesi) viene utilizzata in molti segni oltre che nella

numerazione nell’ ASL e nel BSL, mentre nella LIS tale configurazione non

viene mai usata in quanto è sostituita dalla configurazione 3 in cui viene

esteso il pollice l’indice e il medio. Le configurazioni vengono chiamate con

lettere dell’alfabeto e numeri, a volte insieme a simboli, che però variano da

una lingua dei segni all’altra. Spesso esistono varianti di configurazioni che

non cambiano il significato di un segno, mentre altre volte la variante è

obbligatoria e quindi ne modifica il significato. Per esempio nella

configurazione della mano chiusa a pugno (B) l’estensione del pollice è

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richiesta in caso di contatto. (Caselli, Maragna, Pagliari Rampelli & Volterra,

1994; Corazza & Volterra, in V. Volterra, 1987).

Tabella 2. Lista delle 26 configurazione LIS.(Adattato da Caselli et. al 1994)

Esistono configurazioni che vengono usate esclusivamente come

classificatori, per es. il pollice e l’indice estesi parallelamente classificano

oggetti a forma di striscia o con poco spessore.

Altre configurazioni sono invece usate esclusivamente per rappresentare

lettere dell’alfabeto. A questo proposito è opportuno segnalare che l’alfabeto

manuale varia da paese a paese, anche se attualmente è stato elaborato anche

un alfabeto internazionale, conosciuto per di più dai giovani segnanti.

(Radutzky, 1987)

L’uso delle lettere dell’alfabeto risulta utile per i nomi propri o difficili o

poco conosciuti, a parte ciò la dattilologia in generale è poco usata in Italia

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dai non-udenti rispetto ad altri paesi. Alternativamente le lettere dell’alfabeto

possono anche avere una funzione di inizializzazione cioè viene segnata la

prima lettera della parola configurata successivamente o simultaneamente.

Per esempio la lettera “C” per “coca cola”, oppure per i giorni della

settimana o luoghi specifici o nomi di persona. (Radutzky, 1987)

Ci sono segni con configurazioni e luoghi molto simili che però si

differenziano per il tipo di movimento.

Il movimento della/e mani è stato suddiviso in 4 categorie di tratti:

1. direzione: cioè dove si spostano le mani ( in avanti, verso l’alto, ecc..);

2. maniera: indica come le mani si muovono, infatti può avvenire un

movimento circolare o arcuato o ellittico in senso orario o antiorario,

ondulatorio ecc.. Se la maniera non è specificata allora è implicito un

movimento in linea retta;

3. contatto: può avvenire contatto col corpo all’inizio, alla fine o durante

l’esecuzione e può essere un contatto singolo o continuo o ripetuto. Il

contatto avviene con tutta la mano o con le sole dita o le punte delle dita;

4. interazione: specifica il rapporto tra le due mani, accostamento divisione,

incrocio, presa o inserimento.

Importante risulta essere la posizione delle mani prima che inizi il

movimento: infatti l’orientamento del palmo e la posizione del polso in

partenza vengono considerati specificatamente, anche se non fanno parte dei

parametri formazionali fondamentali.

Questo parametro minore, è definito come rapporto che le mani hanno con il

corpo e tra loro nello spazio, nella parte iniziale del segno.

Il palmo della mano infatti può avere un orientamento diverso, verso

l’alto o il basso, a destra o sinistra, verso il segnante o in avanti. (Radutzky

& Santarelli, in V. Volterra, 1987; Caselli, Maragna, Pagliari e Volterra,

1994).

Vi sono altri movimenti cruciali che non riguardano le mani, ma il volto, il

collo e le spalle: questi movimenti hanno una grandissima importanza e sono

chiamati movimenti non-manuali. Infatti la postura del corpo, l’espressione,

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il movimento del capo, lo sguardo e le spalle coagiscono alla produzione e

alla comprensione dei segni manuali.

Tali elementi non-manuali sono fondamentali in tutte le lingue studiate,

indispensabili per capire, sia i singoli segni, che le frasi complesse.

Un diverso movimento non manuale può cambiare il significato di un segno o

di una intera proposizione. Espressioni facciali appropriate, sono richieste

nella maggior parte dei segni come parte integrante del significato: per

esempio in tutti i segni che esprimono sentimenti emozioni o che indicano

aggettivi (GRASSO, MAGRO ecc.)1.

Anche il movimento della bocca (componente orale) può accompagnare il

segno per evidenziarne qualche caratteristica, o per disambiguarne il

significato.

Le spalle sono importanti per esprimere alcune caratteristiche di

significato dei segni: per esempio nel segno PICCOLISSIMO, le spalle si

chiudono.

Gli avverbi vengono spesso espressi attraverso questa componente non-

manuale, come nell’espressione “vedere improvvisamente” in cui il viso ha

una espressione sorpresa e il corpo si sposta all’indietro in segno di stupore.

A livello frasale le componenti non manuali giocano un ruolo importante

per esprimere l’intonazione (affermativa o interrogativa) o particolari

congiunzioni proposizionali. Altre modulazioni del verbo sono espresse con

specifici cambiamenti di postura del segnante.

1Notazione usata nella discussione di questa ricerca:

SEGNI: lettere maiuscole rappresentano la glossa italiana per i segni. La

glossa rappresenta il significato della forma citazionale del segno, fuori dal

contesto.

(segni): parole minuscole tra parentesi tonde rappresentano la traduzione

italiana del segno o della frase)

sr [ : segnala l’inizio di uno spostamento referenziale.

]: segnala la fine di uno spostamento referenziale

“ Parole”: parole maiuscole o minuscole tra virgolette indicano parole o frasi

citate.

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Tali elementi sono fondamentali, come vedremo in seguito, per

comunicare racconti o discorsi riportati in cui sono presenti più soggetti. Gli

indici pronominali possono essere espressi dallo spostamento dello sguardo e

della postura o da particolari espressioni facciali. (Franchi, in V. Volterra,

1987; Caselli, Maragna, Pagliari e Volterra, 1994).

Questo argomento sarà approfondito nelle pagine successive.

2.2 Aspetti morfo-sintattici

Esistono specifiche regole morfologiche e sintattiche che distinguono

le lingue dei segni e le caratterizzano come vere e proprie lingue diverse da

altre forme comunicative come pantomima o sistemi gestuali.

Per quanto concerne la morfologia dei nomi e dei verbi occorre osservare

che nella lingua italiana dei segni i sintagmi nominali e i verbi vengono divisi

in varie classi. Queste distinzioni fonologiche si riflettono sul comportamento

morfologico dei segni.

Classificazione e comportamento morfologico dei nomi

I nomi sono suddivisi in due classi: la prima classe comprende quei nomi

che hanno come luogo di articolazione punti diversi del corpo del segnante

(per esempio il segno “donna” o “telefono”), mentre la seconda classe

comprende i nomi che avvengono nello spazio neutro (per esempio “città”).

La formazione del plurale si esprime aggiungendo un segno avverbiale

che significa “tanti/molti” per i nomi che appartengono alla prima classe,

mentre non è possibile fare lo stesso con i nomi della seconda classe.

In quest’ultimo caso infatti viene ripetuto il segno modificando il luogo di

articolazione e in parte anche il movimento (rispetto alla forma citazionale).

(Caselli, Maragna, Pagliari Rampelli & Volterra, 1994; Pizzuto, in V.

Volterra, 1987).

Tipologia e comportamento morfologico dei verbi

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La distinzione in tre classi per i verbi, invece, riguarda sia il luogo di

articolazione diverso sia il movimento che può avvenire tra due punti oppure

in un solo punto di articolazione.

La prima classe comprende i verbi che hanno come luogo di articolazione

i diversi punti del corpo del segnante (per esempio il segno PENSARE).

La seconda classe comprende verbi che hanno come luogo di

articolazione lo spazio neutro e sono caratterizzati da un movimento fra due

punti di articolazione nello spazio segnico. (per esempio il segno

REGALARE)

La terza classe è definita da quei verbi che sono articolati nello spazio

neutro ma il cui movimento è limitato ad un solo punto di articolazione cioè

non hanno una direzionalità.( per esempio il segno ROMPERE).

Queste differenze fonologiche hanno un riflesso sul comportamento dei

verbi in particolare sul modo in cui vengono specificati i loro argomenti.

Con i verbi della prima classe si usa il pronome attraverso l’indicazione

della persona soggetto: per esempio “io mangio” si segna indicando il

segnante e poi il verbo mangiare, quindi IO MANGIARE.

Mentre con i verbi appartenenti alla seconda classe, invece è possibile

tralasciare il pronome personale e la forma citazionale può essere variata con

alterazioni equivalenti alle flessioni o coniugazioni dei verbi nelle lingue

vocali. Per esempio viene modificato il movimento che parte e arriva in

luoghi diversi dalla forma citazionale: nel segno “io ti regalo”, il segno si

muove dal corpo del segnante a quello dell’interlocutore mentre “tu mi

regali” dall’interlocutore al segnante.

Ugualmente flessivi sono i verbi della terza classe in cui la flessione

avviene nel cambiamento di luogo di articolazione e dato che possiedono

solo un luogo di articolazione a differenza della seconda classe, possono

specificare un solo argomento.

I verbi e quindi le azioni hanno anche una caratteristica temporale: il

passato viene espresso da un segno che potrebbe essere tradotto in “fatto”

(MANGIARE FATTO = “mangiato”) che viene prodotto alla fine del

verbo.

Interessante in questo caso è vedere come lo stesso sistema viene utilizzato

anche dalle lingue asiatiche.

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16

Altri segni temporali (avverbi ed espressioni temporali, come “domani”,

“poco fa”, l’altro ieri” ecc.) invece vengono eseguiti in relazione ad una linea

temporale immaginaria che passa attraverso le spalle: segni riferiti al passato

vengono eseguiti muovendo verso la spalla del segnante, quelli riferiti al

futuro si muovono invece dalle spalle in avanti. (Caselli Maragna, Pagliari

Rampelli & Volterra, 1994; Pizzuto, in V. Volterra, 1987)

Le preposizioni

Un altro aspetto morfologico interessante è l’uso delle preposizioni:

esistono in LIS dei segni che in parte corrispondono alle preposizioni “di” e

“con” , ma si distinguono per funzione: il “di” di possesso viene espresso

con il segno corrispondente all’aggettivo possessivo (per esempio nella frase:

“l’auto di mamma” viene eseguito il segno di MAMMA poi AUTO poi

SUA); questo si diversifica dal “di” di materia che non va tradotto

letteralmente nelle traduzioni italiano-LIS (lo stesso vale per il “con” di

compagnia che viene tradotto a differenza del “con” strumentale).

A volte la preposizione viene inglobata nel verbo e non deve essere

specificata separatamente come invece accade in italiano (per esempio il

segno “tagliare con le forbici”), (Caselli, Maragna, Pagliari Rampelli &

Volterra, 1994).

Anche qui si possono notare analogie con altre lingue vocali straniere per

esempio le lingue slave, in cui spesso il significato della proposizione è insito

nei casi grammaticali. La stessa cosa avviene nel latino.

L’ordine frasale

Sul piano sintattico la LIS possiede regole precise in parte analoghe

all’italiano parlato, ma in parte specifiche per la modalità.

Uno degli aspetti sintattici più studiati è l’ordine dei segni nella frase. Lo

studio di questo aspetto può evidenziare l’influenza della modalità usata

(gestuale/vocale) sull’ordine della frase e verificare se tale fattore appartiene

alla categoria degli universali linguistici.

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Laudanna e Volterra (1991) hanno chiesto a un gruppo di udenti e un

gruppo di sordi di descrivere dei disegni: il primo gruppo doveva descrivere

oralmente le vignette, mentre il secondo gruppo doveva mimarle.

Il gruppo di sordi doveva descriverle utilizzando la LIS. Attraverso una

comparazione incrociata si sono cercate risposte sulle possibili influenze

modali e su eventuali analogie tra i diversi tipi di comunicazione.

La lingua dei segni risulta analoga alla lingua parlata per il grado di

sistematicità e regolarità della struttura.

Allo stesso tempo però la produzione pantomimica, anche se manca di

sistematicità rispetto alla LIS, presenta con quest’ultima alcune analogie

interessanti circa l’ordine frasale e ciò indica una influenza notevole della

modalità sulla struttura. L’uso dello spazio in particolare, oltre a elementi

morfologici e semantici, rende flessibile la sequenza canonica Soggetto-

Verbo-Oggetto nella LIS.

Per particolari tipi di frasi (per es. locative e possessive) l’ordine si diversifica

molto dalle lingue parlate e risulta analogo alla pantomima. Ci sono quindi

delle differenze e delle analogie nell’ordine dei segni sia rispetto alla lingua

parlata che alla pantomima.

I risultati comunque confermano precedenti studi, in cui si evidenziava

una influenza notevole della modalità sulla struttura della frase, ma

sottolineano anche come tale influenza non sia distribuita in modo

omogeneo su ogni tipo di struttura.

Le limitazioni imposte da fattori linguistici e modali differiscono a

seconda del tipo di struttura semantica considerata.

Uno studio recente svolto in questa direzione (Bandini & Galassi, 1995)

ha ribadito tali conclusioni anche se con alcune differenze. La ricerca voleva

evidenziare il rapporto tra modalità e ordine frasale; erano stati osservati

soggetti udenti che non conoscevano la lingua dei segni mentre mimavano

frasi ascoltate o fumetti, corrispondenti a tre tipi di proposizioni: reversibili,

irreversibili e locative. Le osservazioni hanno sottolineato come la modalità

avesse una influenza sull’ordine dei segni nella frase.

Nelle frasi locative l’ordine era quasi sistematicamente Oggetto-

Soggetto-Verbo (cioè punto di riferimento, oggetto locato e relazione).

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Per le frasi reversibili si trovarono risultati contrari agli studi precedenti,

infatti gli ordini più frequenti furono Soggetto-Oggetto-Verbo o Oggetto-

Soggetto-Verbo.

In generale comunque i soggetti tendevano a cambiare l’ordine degli

elementi nella frase anche se non in tutte le frasi presentate. Ciò può indicare

una influenza della modalità verbale usata prevalentemente e

quotidianamente dai soggetti udenti ma allo stesso tempo evidenzia che

l’ordine viene fortemente influenzato anche dalla modalità usata (visivo-

gestuale).

Ulteriori studi sono necessari per chiarire meglio questo elemento in

particolare per verificare possibili differenze tra lingue dei segni diverse e

possibili differenze di tipo contestuale che altri studi non hanno permesso.

(Caselli, Maragna, Pagliari Rampelli & Volterra, 1994; Laudanna, in V.

Volterra, 1987; Laudanna & Volterra, 1991)

2.3 Iconicità/Arbitrarietà

La lingua dei segni ha avuto grandi difficoltà ad essere considerata una

“vera” lingua anche per il fatto che la si considerava non arbitraria e iconica.

Se così fosse, ogni persona che non conoscesse per es. la LIS dovrebbe

riuscire a capire senza difficoltà un sordo mentre segna: l’esperienza mostra

che non è così, e che per imparare una lingua dei segni occorrono anni di

studio sistematico e di pratica come per una qualsiasi altra lingua straniera

vocale.

Il problema si presenta complesso in quanto è senza dubbio evidente che

alcuni segni presentano un rapporto di iconicità con il loro referente.

Ci sono tre posizioni principali:

• per alcuni autori l’iconicità è intrinseca nel segno diversamente dalle

lingue parlate (Friedman, in Pizzuto et al 1995);

• per altri invece l’iconicità è solo a livello superficiale e a un livello più

profondo rimane l’arbitrarietà del linguaggio come nelle lingue parlate

(Klima & Bellugi; Padden; Supulla; Corazza, in Pizzuto et al. 1995);

• altri ancora sostengono che sia l’iconicità che l’arbitrarietà

contribuiscono nella lingua dei segni e sono da porre in un continuum

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(Boyes-Braem; Boyes-Braem, Fournier, Rickly, Corazza, Franchi &

Volterra; Corazza & Volterra, in Pizzuto et al. 1995).

Alcune ricerche hanno sottolineato come l’apparente “trasparenza” di

questi segni, sia in realtà poco frequente.

In uno dei primi studi si chiese a dieci persone udenti di indovinare il

significato di 90 segni: solo 9 furono le risposte corrette, mentre per i restanti

81 segni i soggetti non furono in grado di riconoscerne il significato. (Bellugi

e Klima, in Caselli, Maragna, Pagliari Rampelli & Volterra, 1994)

In un altro studio si è chiesto a soggetti udenti che non conoscevano la

lingua dei segni di indovinare il significato di un segno scegliendolo da una

lista di possibilità. Anche in questo caso le risposte corrette furono solo il

18%,(Bellugi e Klima, in Caselli, Maragna, Pagliari Rampelli & Volterra,

1994)

In una ulteriore ricerca si mostrarono a soggetti udenti sia i segni che le

corrispettive traduzioni, e si chiese loro di dare una spiegazione sulla

relazione tra segno e significato. In questo caso i soggetti hanno fornito

risposte analoghe per più della metà dei segni presentati(Bellugi & Klima, in

Caselli, Maragna, Pagliari Rampelli & Volterra 1994). Gli autori hanno così

chiamato questa caratteristica dei segni (possibilità di poter ricostruire il

rapporto tra segno e significato) con il termine di “translucidità”.

Molto spesso però il segno cambia nel tempo e viene modificato

diventando così più staccato dal riferimento originario (es. il segno CASA in

ASL). Alcuni segni invece sono rimasti legati a referenti che non esistono

più a causa di trasformazioni tecnologiche, storiche e culturali (es.

TELEFONO in ASL).

Esiste quindi un elemento di iconicità che risulta comunque marginale, a

volte non più ricuperabile, per la comprensione dei segni. (Frieshberg;

Klima e Bellugi, in Caselli et al. 1994)

Le metafore visive sottostanti alle configurazione cambiano da comunità

a comunità sottolineando ancora una volta l’aspetto comunque arbitrario

delle lingue dei segni. (es. il segno CARTA). (Caselli, Maragna, Pagliari

Rampelli & Volterra 1994).

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Una recente analisi ha considerato l’aspetto iconico nei termini spazio-

temporali che sembra essere evidente nella LIS (come in tutte le lingue

segniche): lo scopo di questa ricerca è quello di esplorare l’interazione tra

iconicità e simbolismo nel lessico e di capire cosa la lingua dei segni e quella

parlata condividono e/o in cosa invece si diversificano per quel che riguarda

l’iconicità. (Pizzuto, Cameracanna, Corazza & Volterra, 1990)

Senza soffermarci sui dati specifici e sulle analisi dettagliate, la ricerca ha

concluso che le metafore visive sottostanti l’uso di termini spazio-temporali

sono le stesse sia nelle lingue segniche che nelle lingue vocali.

La componente iconica infatti sembra derivare dalla nostra esperienza

percettivo-motoria: anche nelle lingue parlate la linea del tempo sembra

passare per il nostro corpo, e seguire una direzione analoga e quindi un uso

spaziale comparabile a quello usato per le lingue dei segni: il futuro è visto

come spazialmente in avanti, mentre ciò che è passato lo si colloca

direzionalmente dietro a noi.

Non a caso molte forme idiomatiche o metaforiche nelle lingue parlate

utilizzano questo sistema: “guardare indietro nel passato”, “guardare avanti

negli anni a venire” “tutto ciò è ormai dietro alle nostre spalle” ecc.

Allo stesso tempo però è indiscutibile che la manifestazione superficiale

della metafora sia in LIS ben visibile, mentre il suono, apparentemente più

arbitrario del linguaggio parlato, la renda opaca. (Pizzuto, Cameracanna,

Corazza e Volterra, 1995).

Come si spiega in questo contesto la maggior facilità di comprensione tra

non udenti di nazionalità diverse? Molteplici studi hanno evidenziato come

ciascuna lingua dei segni sia costituita da tre nuclei di segni:

• un piccolo nucleo di segni pantomimici comprensibile a tutti (udenti e non

-udenti);

• un secondo nucleo definibile come una forma di pantomima codificata,

spesso comune alle lingue dei segni;

• un terzo nucleo che comprende segni caratteristici e tipici di una lingua

dei segni, chiamati forme lessicali opache.

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Le persone che non conoscono il linguaggio dei segni riusciranno a capire

solo i segni che appartengono al primo nucleo, mentre chi conosce le lingue

dei segni comprenderà anche quelle del secondo.

Il terzo nucleo verrà compreso solo dai soggetti che conoscono quella

particolare lingua dei segni (Boyes-Braem; Corazza e Volterra, in Caselli,

Maragna, Pagliari Rampelli & Volterra, 1994; Volterra, 1991).

3. Aspetti evolutivi

Appare straordinario come i bambini apprendano senza particolari

difficoltà e in modo assolutamente spontaneo la capacità comunicativo-

linguistica senza una evidente intenzione pedagogica da parte dell’adulto.

Il bambino dispone di un contesto interno, cioè di tutta una serie di

predisposizioni innate, che includono capacità cognitive e percettive, oltre

che disposizioni, che lo predispongono da subito all’interazione sociale.

Il neonato infatti ha già delle capacità percettive e discriminative (si pensi alla

preferenza per i volti umani, o alla capacità di discriminare i suoni non

linguistici) oltre a capacità comunicative specifiche (sistemi di segnalazione)

anche se non ancora intenzionali (il pianto e il sorriso per esempio).

Tutto ciò interagisce con il contesto esterno, inteso come ambiente

linguistico e sociale che offre la possibilità di apprendere una lingua e

influenza il modo e il tempo in cui avviene tale apprendimento.

Nel primo anno di vita il bambino non utilizza ancora una forma

linguistica strutturata, comunque la fase pre-linguistica dello sviluppo non è

certamente anche pre-comunicativa. I sistemi pre-verbali del neonato

costituiscono quel patrimonio che permetterà al bambino di affinare le

tecniche e le strategie comunicative e di interazione, che saranno poi una

base necessaria e indispensabile in cui si innesterà il successivo sviluppo

verbale-linguistico.

La competenza comunicativa si sviluppa a partire da una predisposizione

innata del bambino all’interazione con gli altri. L’adulto in tutto ciò occupa

una funzione di “scaffolding” (Di Blasio, 1995) di sostegno che risulta di

fondamentale importanza per ogni fase di sviluppo.

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Inizialmente l’adulto ha il ruolo di fonte di stimolazione e di interprete

dei comportamenti-segnale del bambino: in questa fase egli costruisce la

comunicazione comportandosi come se il bambino avesse intenzionalità. Poi

nelle fasi successive l’adulto costituisce un supporto fondamentale per

affinare sempre più le capacità linguistiche in tutti i suoi aspetti, e per

agevolare il passaggio verso una comunicazione di tipo decontestualizzato.

Ambiente esterno (stimoli linguistici e sociali), e ambiente interno

(capacità cognitive e predisposizioni innate del bambino) interagiscono in

una influenza reciproca e in un rapporto di adattamento circolare continuo.

(Ricci Bitti, Zani, 1983; Di Blasio, 1995).

E’ evidente che in presenza di un deficit percettivo uditivo,

l’apprendimento linguistico vocale non può svilupparsi in modo così

spontaneo e “naturale”: ma ciò non implica che il bambino sordo non sia in

grado di acquisire un linguaggio.

La capacità di apprendere un linguaggio è una facoltà innata che distingue

la specie umana dalle altre specie animali, ma che anche se profondamente

ancorata alla matrice biologica ha bisogno di un ambiente linguistico

adeguato per realizzarsi entro un periodo di età critico. Ciò non implica che

sia legata ad una modalità specifica. Il fatto di non riuscire ad udire suoni,

non impedisce al bambino sordo di poter apprendere una lingua.

Ciò che cambia è la modalità in cui verrà espressa tale lingua che non

utilizzerà il canale uditivo deficitario ma il canale visivo.

Ovviamente occorre un ambiente ricco di stimolazioni adeguate come

avviene nel caso del bambino udente, quindi bambini sordi esposti alla lingua

dei segni fin dalla nascita, apprendono tale lingua come lingua madre in

modo “naturale” e spontaneo come i bambini udenti apprendono la lingua

vocale.

Alcuni studi hanno confrontato lo sviluppo linguistico in bambini sordi e

udenti: si è verificato che gli stadi fondamentali di acquisizione della lingua

dei segni e della lingua vocale sono fondamentalmente gli stessi e vengono

raggiunti alla stessa età (tabella 3).

Esiste poi in tutti i bambini (udenti e non) una equipotenzialità tra

modalità gestuale e vocale nel primo stadio di sviluppo: la successiva

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acquisizione del linguaggio dipende dalla modalità a cui il bambino viene

esposto.

Bambini sordi che nascono da genitori sordi segnanti non avranno

difficoltà ad apprendere la lingua segnata.

Spesso però bambini sordi nascono da genitori udenti non segnanti, e

questo porta ad un impoverimento dell’ambiente a cui è esposto il bambino

che sarà causa in seguito di una difficoltà maggiore di apprendimento

linguistico-cognitivo. L’ambiente in cui vive il bambino sordo in questi casi è

inadeguato e impreparato alle sue capacità .

Ma, nonostante si trovi in un ambiente linguistico impoverito e

inadeguato, il bambino sordo, non esposto alla lingua dei segni, impara

comunque un sistema gestuale spontaneamente. Occorre sottolineare

comunque che i segni utilizzati in questo caso non risultano di uguale

ricchezza, e la capacità combinatoria compare ad una età cronologicamente

più avanzata rispetto ai bambini esposti ad una lingua dei segni.

I bambini udenti, figli di genitori sordi, esposti sia a input vocale che alla

lingua dei segni, acquisiscono entrambe le lingue. Questa situazione di

bilinguismo avviene se si rispettano alcuni principi generali, per esempio la

regola “una persona una lingua” per evitare mescolanze. Occorre anche

operare in modo che l’input linguistico nei due codici sia ben bilanciato e

risulta necessario che al bambino sia data l’opportunità di interagire in

ognuno dei codici con interlocutori diversi e in contesti motivati.

Questo vale per i bambini udenti che acquisiscono due lingue vocali, o

una lingua dei segni e una parlata e presumibilmente anche nei bambini sordi

che acquisiscono due lingue dei segni.

Ma se si considera il bambino sordo che impara sia la lingua parlata che

una lingua dei segni si evidenzia una differenza importante: non si troveranno

mai situazioni di bilinguismo simultaneo. In questi casi i due codici non sono

equivalenti, infatti la lingua dei segni può essere acquisita in modo spontaneo

mentre la lingua parlata viene appresa solo attraverso un lungo e faticoso

processo in quanto il canale tramite il quale si esprime non è integro.

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Tabella 3. Fasi di sviluppo comunicativo-linguistico di un bambino sordo eun bambino udente esposti rispettivamente ad una lingua dei segni e unalingua vocale. (Adattamento di Caselli et al. 1994)

età in mesi bambino udente bambino sordo

NON INTENZIONALE

0 - 3 pianto, suoni fisiologici pianto, suoni fisiologici

3 - 7

suoni più articolati, movimenti,vocalizzazioni e lallazione.

suoni più articolati, movimenti,vocalizzazioni e lallazione.Mancanza di un feed back acustico cheporta ad una differenza di produzionisonore rispetto al bambino udente.

INTENZIONALE

7 - 12prime “parole” (ancora altamente legate alcontesto e quindi non veri e propri simboli masegnali) e primi gesti deittici.

Un solo sistema lessicale, non compaionosovrapposizioni.(Se esiste un gesto per casa,non c’è la parola corrispondente e viceversa.

Due intenzioni principali: denominazione erichiesta.

primi gesti deittici. (ancora altamentelegate al contesto e quindi non veri epropri simboli ma segnali)

Due intenzioni principali:denominazione e richiesta.

12 -18Decontestualizzazione dei segnali usati siavocali che gestuali: i gesti deittici sitrasformano in gesti referenziali o segni, e leespressioni vocali in vere e proprie paroledecontestualizzate.

Combinazione di più simboli:gesto deittico gesto + deitticogesto deittico + parolagesto deittico + segnoparola + segnoparola + parola

Decontestualizzazione dei gesti che dadeittici si trasformano in referenziali osegni veri e propri.

Combinazione di più simboli:gesto deittico + gesto deitticogesto deittico + segnosegno + segno

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In linea teorica si può sostenere quindi che i bambini sordi possano imparare

prima la lingua dei segni in modo naturale e più tardi la lingua parlata e

scritta diventando bilingui.

Anche se è vero che l’acquisizione di una prima lingua (in questo caso dei

segni) è un fattore indispensabile per un corretto sviluppo cognitivo e crea la

base per apprendere una seconda lingua, occorre considerare che

l’apprendimento della lingua parlata avviene attraverso un canale deficitario e

le competenze raggiunte in una lingua non si trasferiscono automaticamente

all’altra.

Rimane quindi aperto il problema di come insegnare in modo efficace la

seconda lingua e come creare condizioni favorevoli per permettere

l’acquisizione della prima lingua. (Caselli, Maragna, Pagliari Rampelli &

Volterra, 1994; Volterra, 1981; Volterra, 1991). Questo ultimo quesito ci

porta a formulare alcune considerazioni per quanto riguarda le implicazioni

didattiche.

4. Studi e ricerche, le nuove tecnologie.

Da molti anni è evidente che gli strumenti delle nuove tecnologie, in

particolare quella informatica, sono risultati di estrema utilità ed importanza

per l’integrazione nella società di portatori di deficit. Un campo

particolarmente proficuo in questo senso è l’utilizzazione del computer per

l’educazione al linguaggio, per bambini sordi.

L’apprendimento della lingua parlata richiede un iter impegnativo e

difficoltoso oltre che lungo per il bambino sordo.

Fino a pochi anni fa si riteneva indispensabile, per poter accedere alla

prima istruzione, una conoscenza della modalità acustico-vocale della lingua,

e questo portava i bambini sordi ad entrare nel processo educativo in modo

parziale e tardivo rispetto agli udenti, creando in questo modo un ulteriore

deficit.

Oggi si ritiene invece che l’acquisizione della lingua parlata sia facilitata

dalla conoscenza di una lingua appresa in modo spontaneo e naturale (la

lingua dei segni) e quindi sia di fondamentale importanza per uno sviluppo

corretto e una integrazione maggiore nella società.

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L’uso di un personal computer facilita nel bambino sordo l’accesso sia ai

contenuti proposti dalla scuola sia parallelamente al faticoso processo di

acquisizione della lingua parlata attraverso l’utilizzazione della modalità

visivo-manuale. Il computer di per sé è per i bambini stimolante e suscita

interesse.

Oltre ai già noti programmi di video scrittura utilizzati per bambini udenti

e sordi, esistono alcuni programmi creati appositamente per il bambino sordo

e le sue specifiche capacità e difficoltà.

Ad esempio il programma chiamato “Speechviewer” permette di

visualizzare in tempo reale le caratteristiche acustiche della voce. Sul video

appare un clown la cui bocca, per esempio, si allarga o si rimpicciolisce a

seconda dell’intensità sonora.

Altri programmi sono basati su risultati di ricerche condotte sulla

competenza linguistica dei bambini e adulti sordi. Si è osservato infatti che

sia i bambini che gli adolescenti, anche se con differenze individuali, hanno

molta difficoltà nell’apprendimento e nell’uso corretto della morfologia libera

come preposizioni, articoli e pronomi. (Caselli, Maragna, Pagliari Rampelli &

Volterra, 1994; D’Amico, 1994)

Queste particelle hanno caratteristiche particolari che ne rendono complicato

l’uso e la comprensione. I morfemi liberi infatti sono spesso privi di

riferimento semantico, la loro funzione varia continuamente e la loro

interpretazione e comprensione richiede capacità di inferenza sul contesto

frasale e familiarità con il loro uso.

Per questo motivo sono stati creati appositi programmi per facilitarne

l’apprendimento e permettere al sordo una acquisizione graduata e

contestuale di questi aspetti morfosintattici dell’italiano. (Caselli, Maragna,

Pagliari Rampelli & Volterra, 1994).

Fra questi programmi si colloca “Gli animali della Savana”, un

programma multimediale in cui, scegliendo tra diverse icone, si possono

osservare fotografie e filmati insieme ad un testo scritto, oppure l’immagine

di una persona sorda che spiega e commenta in lingua dei segni le immagini

o il testo appena visto.

Questa applicazione multimediale, permette un ambiente di apprendimento

volto a migliorare la competenza linguistica e contemporaneamente a

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facilitare l’acquisizione di nuove informazioni. (Caselli, Maragna, Pagliari

Rampelli & Volterra, 1994).

Ci sono poi progetti di reti telematiche, che permettono a bambini sordi

inseriti in diverse scuole di comunicare tra loro attraverso un computer: si

può così facilitare ed incentivare una comunicazione fra pari, in forma

colloquiale e in un contesto reale. In questa ottica esiste per esempio un

dispositivo telefonico, il DTS consistente in una tastiera e un display che

permette di visualizzare immediatamente i messaggi trasmessi.

In questo modo oltre ad avere una più forte motivazione a scrivere e leggere

si mette il bambino o ragazzo sordo in grado di imparare uno stile linguistico

comunicativo di tipo colloquiale e di vita pratica da cui di fatto è spesso

escluso. Un altro esempio di quanto possano essere utili le nuove tecnologie

è l’utilizzo di sottotitoli nei programmi televisivi. (Caselli, Maragna, Pagliari

Rampelli & Volterra, 1994).

Le possibilità sono molteplici e in via di sviluppo, non solo per quel che

riguarda l’apprendimento, ma anche per rendere più agevole e socializzata la

vita sociale e quotidiana della comunità minoritaria sorda all’interno di una

comunità udente.

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PARTE SECONDA

5. Studi sulla pragmatica

Recenti studi si sono focalizzati sull’uso dello spostamento referenziale

nelle lingue dei segni.

Nelle lingue parlate lo spostamento referenziale è inteso come quel

fenomeno per cui un indicale cambia il suo referente. L’indicale, o indice, è

quel segno la cui intera funzione consiste nell’indicare qualche cosa. Il primo

a introdurre questo termine fu Peirce, poi sono stati fatti diversi

approfondimenti su tale concetto e dal momento che oggi il termine “indice”

è spesso riferito all’intera categoria dei fattori contestuali (interlocutore,

spazio, tempo, situazione ecc.), “indicale” è generalmente inteso nel senso di

dipendente, per il suo riferimento, da un indice. (Beccaria, 1996).

In termini pragmatici (Green, 1990), gli indicali, o particelle referenziali,

sono definibili come quelle strutture il cui significato (riferimento) deriva dal

contesto linguistico o extra linguistico. Quando il riferimento deriva da un

contesto linguistico, l’indicale si dice “anaforico”, in quanto il suo significato

viene riferito a qualche altra struttura precedentemente apparsa, mentre viene

definito “deittico” l’indicale il cui riferimento si trova in un contesto extra

linguistico, cioè al di fuori della espressione verbale, come per esempio

movimenti del capo, delle mani, situazione, ecc.

Ma, come sostiene Green, non è sufficiente il contesto spazio-temporale,

infatti risultano indispensabili anche una serie di informazioni sulle credenze e

intenzioni di chi sta parlando e di chi deve interpretare ciò che viene detto. I

pronomi personali, come “IO/TU/LUI”, gli avverbi temporali locativi, come

“ORA/QUI/POI” fanno riferimento a referenti che dipendono

funzionalmente dal contesto della loro asserzione. Con ciò si intende dire

che, per esempio, il pronome “IO” generalmente viene inteso come riferito al

soggetto che asserisce l’espressione. Occorre sottolineare però che, in certe

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situazioni linguistiche, il soggetto a cui ci si riferisce può portare a frasi

logicamente assurde come nella asserzione: “IO sono morto” oppure riferirsi

allo stesso soggetto però in tempi diversi: es.: “ IO porto la catena che (IO)

forgiai in vita” (Green, 1990, p. 26) dove il primo io è riferito al soggetto

ora fantasma, mentre il secondo è riferito allo stesso soggetto ma quando era

ancora in vita.

Il pronome di seconda persona, sia singolare che plurale, è simile all’uso

dell’ “IO” , in quanto generalmente si riferisce al/agli individuo/i a cui il

parlante si sta rivolgendo, ma non ci sono indizi né linguistici, né extra

linguistici, che possono definire a chi il parlante ha intenzione di rivolgersi.

Infatti qualsiasi individuo, presente o assente, potrebbe essere il referente.

L’unico modo per poter interpretare correttamente l’espressione in

questi casi non deriva solo dalle coordinate spazio temporali

dell’asserzione, ma anche dalle conoscenze che chi interpreta ha sul parlante

e su quello che il parlante crede.

Tutto ciò sottolinea come, le credenze e le intenzioni di chi sta parlando e

di chi sta fruendo del messaggio, a tutti i livelli, siano di fondamentale

importanza per interpretare adeguatamente il significato di una espressione

(o meglio ciò che il parlante intendeva comunicare).

5.1 Lo spostamento referenziale: l’anafora nelle lingue dei segni

Uno spostamento referenziale, in questo contesto, avviene quando si

vuole esprimere un punto di vista diverso da quello del parlante. Come

accade nel discorso diretto riportato, spesso si usano per esempio pronomi e

avverbi in prima persona anche se, sia chi parla che chi ascolta sa di dover

interpretare quel pronome non riferito all’emittente, ma al soggetto citato

nell’asserzione. Lo stesso accade per altre particelle indicali.

Nelle lingue segnate l’uso dello spostamento referenziale non è limitato al

discorso riportato, ma si usa anche per esprimere idee, sentimenti, stati

d’animo o azioni di un altro soggetto, per indicarne appunto uno

spostamento del punto di vista 2(Emmorey & Reilly, 1995).

2Oltre a queste funzioni, un recente studio sulla LIS ha osservato un altro specifico caso incui viene usato lo spostamento referenziale, chiamato nella ricerca con il termine “body

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Molti sono i termini usati, anche se con sfumature di significato diverse,

per descrivere questo fenomeno, negli studi sulla lingue dei segni: “role

shifting” oppure “body shift” o “referential shift” (Poulin & Miller 1995)

sono espressioni che si trovano in letteratura riferite allo stesso fenomeno.

Qui verrà utilizzato il termine tradotto di referential shift (spostamento

referenziale) perché in accordo con Poulin e Miller (1995) sembra meno

ambiguo e più chiaro per suggerire uno spostamento di referente durante

l’enunciazione di un indicale. Body shift o role shifting tendono a

sottolineare rispettivamente lo spostamento del corpo, non sempre

necessario, o di ruolo, che rimanda al solo aspetto di role-taking, che

limiterebbe la varietà e la complessità del fenomeno. Questi due termini

risultano pertanto incompleti e ambigui.

Poulin & Miller (1995) hanno mostrato questo fenomeno nel linguaggio

dei segni del Quebec (LSQ), utilizzando come riferimento corrispettivo nelle

lingue parlate i termini “THEM” e “THEMSELVES”, che vengono usati a

seconda che si voglia esprimere relativamente un punto di vista esterno (del

parlante) o interno al discorso. Lo stesso vale per il francese “IL” e “CE”.

Per esempio :

“Jean se rendait enfin compte qu’il avait tout essayé et tout raté. C’/IL était

un homme pauvre désormais. Pourquoi avait-il eu tant de malchance?”

L’uso del pronome “IL” implica che Jean è consapevole della sua situazione

e quindi realizza di essere un poveruomo.

Di conseguenza, la frase che inizia con “Pourquoi” viene ad esprimere la

disperazione di Jean. Se invece viene utilizzato il pronome dimostrativo

markers”. Questo fenomeno è caratterizzato da specifiche combinazioni di spostamentocorporeo ed espressione facciale che identificano un referente, introdotto nel discorsoprecedentemente. Esiste in LIS una regola limitativa all’uso dei body markers, infatti essipossono venire utilizzati solo per persone o animali ma non per referenti inanimati. Senzaentrare nei dettagli si è osservato che la loro funzione dipende dal contesto in cui sonoinseriti: se in una frase isolata, servono a specificare il soggetto della proposizione; neicasi in cui sono inseriti in un dicorso costituito da più frasi, sembrano avere un effetto ditopicalizzazione, evidenziando l’argomento principale della enunciazione. La presenza omeno dei body markers ha delle influenze sull’ordine della frase, e sulla morfologia dellacomponente manuale.(dei segni manuali) Questi esempi dimostrano perciò come lo

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“CE”, la frase viene interpretata come un giudizio del parlante sulla

situazione di Jean, quindi la successiva domanda “Pourquoi...” diventa una

domanda retorica che chi racconta pone al ricevente (Poulin & Miller, 1995).

Quando accade uno spostamento referenziale nelle lingue dei segni, il

luogo del referente in terza persona può essere spostato in un luogo di prima.

Tale spostamento nel discorso è indicato da modificazione dell’espressione

facciale e della posizione corporea del segnante.

Come in ASL, anche in LSQ il cambiamento più consistente che segnala

l’arrivo di uno spostamento referenziale è l’interruzione del contatto visivo

con l’interlocutore da parte del segnante, anche se non è sufficiente da solo,

ma deve essere accompagnato da modificazioni della componente non

manuale (espressione facciale e posizione corporea).

Nella narrazione certe frasi possono quindi avere due forme, con o senza

spostamento referenziale. La scelta viene sempre fatta e dipende, come già

evidenziato, dal punto di vista che il segnante vuole esprimere.

Per esempio, la componente non manuale, come una espressione facciale,

se inserita in un discorso senza spostamento referenziale, viene interpretata

come un giudizio, una critica o emozione da parte del segnante rispetto

all’evento raccontato.

Viceversa, se inserita all’interno di uno spostamento referenziale, la

stessa espressione facciale esprime un sentimento interno della persona di cui

si sta parlando nel discorso.

Lillo-Martin ha analizzato il discorso riportato e l’uso dei pronomi, in

relazione con lo spostamento referenziale nell’ ASL e ha trovato forti

similitudini con espressioni particolari usate in specifiche lingue vocali

africane (Lillo-Martin, 1995).

Un altro studio interessante, che indaga il fenomeno dello spostamento

referenziale durante l’uso di pronomi personali e avverbi temporali e locativi,

è stato fatto da Engberg-Pedersen (Engberg-Pedersen, 1995) sulla lingua

danese dei segni (DSL).

spostamento referenziale viene inserito non solo per esprimere un discorso diretto riportatoosservato nelle lingue orali. (Pizzuto, Giuranna e Gambino, 1990).

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Lo studio dimostra come la funzione primaria del pronome di prima persona,

del luogo dell’emittente, e degli elementi espressivi, sia quella di indicare il

segnante come emittente; ma il segnante può spostare tale significato su un

soggetto a cui si riferisce. In tal modo esprime uno specifico punto di vista.

Il fenomeno dello spostamento referenziale viene distinto dall’autore in

tre fenomeni diversi:

• spostamento di referente

• spostamento dell’attribuzione di elementi espressivi

• spostamento di luogo

Seguendo l’analisi fatta dall’autore, sia il primo che il secondo fenomeno

sono conosciuti anche nelle lingue parlate, attraverso l’uso di pronomi e

avverbi, mentre il terzo è stato osservato solo nelle lingue dei segni.

Lo spostamento di referente avviene all’interno del discorso riportato

diretto, in cui si può utilizzare il segno pronome IO intendendolo riferito a

una terza persona citata. Ciò avviene anche nelle lingue parlate, con la

differenza che qui può esistere anche il caso in cui il parlante si riferisce a se

stesso attraverso un pronome di seconda persona ( es.: l’insegnante mi ha

detto “ tu devi venire prima di domani”) cosa che non accade mai in DSL.

La riluttanza ad usare il pronome di non-prima3 persona per riferirsi a se

stessi porta la frase ad avere le caratteristiche del discorso indiretto: il punto

di vista espresso dal pronome è quello del segnante e non della persona

3Il numero dei pronomi di persona nelle lingue dei segni è ancora dibattuto. In questelingue i pronomi di persona vengono espressi indicando con l’indice la persona a cui ci sivuole riferire. Generalmente un indice puntato verso il segnante sta ad indicare il pronome“IO” ma può riferirsi anche ad una persona citata. Cioè indicare il segnante significaindicare il ruolo di mittente della comunicazione. In DSL l’indicazione verso il segnantenon deve necessariamente essere fatta con il dito indice esteso, ma può anche essereespressa con tutta la mano oppure la configurazione della mano può adeguarsi al verboadiacente. Invece quando si vogliono indicare altre persone (pronomi “TU” “VOI” e“EGLI” o “ESSI”) la mano deve sempre avere la configurazione con l’indice esteso.Quindi il segno per la prima persona è definito e con caratteristiche proprie. Al contrarioperò non esiste un segno di seconda persona in quanto indicare il pronome “TU” nondifferisce nel segno dall’indicare il pronome “EGLI”. Cioè la terza e la seconda personanon sono caratterizzati da segni specifici e distinguibili tra loro a parte il loro diversoorientamento. In conclusione secondo l’autore non esiste nella lingua dei segni danese ilpronome di seconda persona, ma solo una distinzione tra pronome di prima persona epronome di non-prima persona. Lo stesso sarebbe stato osservato per l’ASL. (Engberg-Pedersen 1995). Altri autori invece non concordano con questo sistema pronominale(Lillo-Martin & Klima, 1990; Pizzuto, in V.Volterra, 1987; Pizzuto, Giuranna,Gambino,1990).

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citata. Ma altre caratteristiche portano il discorso riportato simile al discorso

diretto: l’uso di espressioni facciali, attribuite alla persona citata e l’uso del

corpo (che si sposta nel luogo associato alla persona citata).

Entrambi questi fenomeni sono usati nel discorso parlato riportato

diretto, anche se il pronome è usato come nelle frasi indirette. Cioè l’uso dei

pronomi come nelle frasi indirette è obbligatorio quando l’enunciato include

come referente il segnante. In alcune lingue parlate si è trovata la stessa

limitazione nell’uso dei pronomi come in DSL (Gregg, 1972). Spesso oltre

che usare pronomi come in frasi indirette si preferisce usare i nomi propri di

persona per riferirsi a se stessi in discorsi citati.

Per quel che riguarda lo spostamento dell’attribuzione degli elementi

espressivi, è stato osservato che nel discorso indiretto generalmente

l’espressione viene attribuita al parlante e non alla persona citata, al

contrario nel discorso diretto riportato l’espressione è riferita come

appartenente alla persona citata. E’ questo il caso in cui l’autore si riferisce

allo spostamento nell’attribuzione di elementi espressivi.

Lo spostamento di attribuzione di elementi espressivi (espressi attraverso

componenti manuali e non) non coincide necessariamente con lo

spostamento referenziale. Il primo può essere usato anche per mostrare un

cambiamento di “parte” mentre si sta raccontando un dialogo tra due

persone: la stessa cosa avviene nelle lingue parlate con l’intonazione della

voce.

Questo fenomeno di spostamento attributivo di elementi espressivi non è

limitato al discorso riportato in DSL. Infatti si possono usare elementi

espressivi per descrivere non ciò che una persona ha detto, ma anche ciò che

pensa, le sue idee o emozioni, azioni e sentimenti che avvengono durante

l’evento citato.

Un altro fenomeno osservato dagli autori, all’interno dello spostamento

referenziale nella lingua danese dei segni, è lo spostamento di luogo.

I luoghi possono essere distinti in deittici e anaforici. Il luogo deittico è

inteso come luogo in cui è situata l’entità a cui il segnante vuole riferirsi,

mentre un luogo anaforico è inteso come spazio segnico associato al

referente (non presente) che si vuole citare. Il segnante, per riferirsi a una

entità, può spostare il suo corpo nel luogo in cui il referente è associato.

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I luoghi usati per una particolare costellazione di referenti sono raffigurati

in un semicerchio di fronte al corpo del segnante. Per esempio il segnante

può usare un luogo a destra per A e uno a sinistra per B. I due luoghi per A e

B sono raffigurati alla periferia del semicerchio, rispettivamente a destra e a

sinistra.

Secondo l’ipotesi di Lillo-Martin & Klima (1990) quando il segnate

vuole citare A muove il proprio corpo leggermente a destra e ruota la propria

testa e/o il proprio corpo così che il semicerchio si muove intorno a lui, che

risulta il perno del semicerchio. (fig. 3)

Figura 3. Teoria del semicerchio (Adattamento da Lillo-Martin & Klima,

1990)

In disaccordo con questi autori Engberg-Pedersen (1995), sostiene un

diverso sistema più utile all’analisi.

Infatti un primo problema, secondo la teoria del semicerchio, è che il

segnante non può avere mai di fronte l’interlocutore originale (citato): il

luogo associato a B dato che le posizioni ruotano, si troverà sempre alla

sinistra del segnante.

Un secondo problema è che in DSL il segnante può muovere il proprio

corpo a destra e ruotare la testa e lo sguardo a sinistra senza differenze sia

che stia citando altri sia che stia citando se stesso. Cioè non ci sono

differenze nell’orientamento dello sguardo se è A che si rivolge a B o se è lo

stesso segnante che si rivolge a B. La direzione dello sguardo e

l’orientamento del corpo indicano solo il luogo originale del ricevente.

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Un sistema più utile, secondo l’autore, è quello di rappresentarsi la

situazione come un “canonical encounter” (faccia a faccia). Il segnante che

vuole riportare un discorso avvenuto fra due persone, per esempio, simula

una situazione faccia a faccia e cambia l’orientamento in modo da avere il

referente originale di fronte e nello stesso tempo comunque comunica con il

referente reale. Così il luogo del referente originale non cambia a seconda

dell’orientamento. In questo modo si può spiegare anche perché il segnante

può cambiare il suo orientamento non solo quando cita altri, ma anche se cita

sé stesso. Allo stesso tempo la direzione dello sguardo non solo indica il

ricevente originario, ma anche la persona citata.

Una diversa ricerca ha analizzato l’uso dello spazio in relazione alla

coesione testuale (Winston, 1995). Viene descritto un particolare strumento

coesivo che l’autrice chiama “spatial mapping” e che sta ad indicare uno

spostamento referenziale. In questo contesto però non serve per segnalare

uno spostamento di punto di vista, ma specificatamente uno spostamento di

entità a cui ci si vuole riferire.

Le rappresentazioni mentali del segnante vengono associate ad un luogo

all’interno dello spazio segnico. Successivamente si potrà fare riferimento a

tale entità senza doverla rinominare ma semplicemente indicando il luogo a

cui era stata associata. Per esempio, nella frase riportata dall’autrice il

segnante sta descrivendo la poesia come suddivisibile in due parti: una dai

contenuti artistici, l’altra dai contenuti scientifici.

Queste due entità vengono associate rispettivamente a sinistra e a destra del

segnante. Successivamente il segnante si riferirà a queste due caratteristiche

utilizzando il solo riferimento spaziale.

Diversi sono i modi per esprimere tale riferimento. L’autrice ne riporta

7:

1. articolare il segno nello spazio associato al referente;

2. spostarsi fisicamente nello spazio specifico e produrre il segno;

3. indicare lo spazio e articolare il segno o nello spazio non marcato o in

quello marcato (associato cioè all’entità precedentemente) o viceversa;

4. dirigere lo sguardo verso lo spazio marcato ruotando nella stessa

direzione anche il torso e/o la testa;

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5. invertire le mani da dominante a non dominante in modo da articolare il

segno con la mano più vicina allo spazio marcato;

6. usare verbi spaziali in cui il movimento si sposta dal soggetto all’oggetto

o viceversa;

7. una combinazione dei precedenti modi.

Quando il segnante vorrà riferirsi all’entità precedentemente nominata,

userà una di queste strategie (o più di una): è chiaro che il ricevente deve

conoscere l’associazione fatta in un discorso precedente per riuscire ad

interpretare il significato dei successivi riferimenti.

Questa dipendenza da un testo precedente crea un legame coesivo tra i

diversi enunciati. E’ importante osservare che le entità non sono solo oggetti

fisici o persone, ma possono essere anche concetti singoli, o interi strutture

concettuali più complesse e lunghe. Ci si può riferire come nel caso riportato

dall’autrice a due concetti come “arte” e “scienza” ma anche a due correnti

di pensiero come “umanesimo” e “romanticismo” spiegate precedentemente

o a due persone diverse, ecc.

Lo sguardo all’interno dello spatial mapping gioca un ruolo importante e

specifico, focalizza infatti l’attenzione dell’audience: se è diretto sulle mani

che segnano, concentra l’attenzione sull’evento segnato come punto

importante del discorso. Se lo sguardo invece è diretto verso i riceventi

segnala la fine del discorso e sposta il focus attentivo dal segno ai commenti

personali del segnante sull’evento precedentemente esposto.

L’uso dello spatial mapping non è obbligatorio, ma è una scelta del

segnante: indica una parte saliente, importante del discorso.

In questo modo possono verificarsi due tipi di coesione: una immediata,

quando il riferimento spaziale viene usato subito dopo aver espresso

l’associazione tra luogo ed entità; oppure una distante, quando viene

espressa l’associazione e viene utilizzato il riferimento spaziale solo

successivamente. Infatti la rappresentazione spaziale può essere sospesa e

reinserita all’interno del discorso, anche dopo aver utilizzato, durante la

sospensione, un altro diverso spatial mapping.

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5.2 Contenuto e relazione

All’interno di questa sintetica panoramica sui maggiori studi riguardanti

lo spostamento referenziale, si possono affiancare altre ricerche che hanno

analizzato un altro aspetto della pragmatica.

In una comunicazione il livello semantico-proposizionale, l’informazione

che si vuole trasmettere, avviene sempre assieme ad un altro tipo di

informazione, che è stata definita anche come “information packaging”

(Engberg-Pedersen 1990): questo livello informativo trasmette contenuti di

tipo contestuale, relazionale, intenzionale: vengono trasmessi il modo, le

intenzioni, le credenze, il background cognitivo, ma anche sociale, del

parlante e dell’ascoltatore. Informazioni che fanno parte di due delle tante

funzioni della comunicazione, quella interpersonale e quella

metacomunicativa. (Ricci Bitti & Zani, 1983).

Vengono delineati quindi due livelli nel linguaggio, uno che passa una

informazione semantica, neutra, e l’altro che lo circonda e ne connota

l’intenzione, il contesto, l’interazione esistente, e senza del quale la

comunicazione sarebbe inefficace.

Oltre ad Austin (1974) e alla sua teoria degli atti linguistici, altri autori si

sono occupati di questo doppio livello nel comunicare: Bateson (1976)

individuava un’azione e una cornice o schema di riferimento, Watzlawick

(Watzlawick, Beavin & Jackson, 1971) usava i termini di report (notizia) e

command (disposizione) , Parisi & Antinucci (1973) sostengono nel modello

semantico-generativo, un livello proposizionale ed uno performativo.

Come si esprime questo livello di relazione nelle lingue dei segni?

5.2.1 Fare domande nelle lingue dei segni.

Questo secondo livello relazionale è prevalentemente espresso (anche se

non unicamente) dalla componente non verbale nelle lingue parlate. Gesti,

intonazione, postura, espressione facciale, ecc. sono il veicolo preferenziale

della informazione pragmatica.

Alcuni studiosi si sono chiesti come vengano espressi tali contenuti, e

attraverso quali strutture, nelle lingue dei segni, che non hanno potuto

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utilizzare il canale uditivo vocale come le lingue parlate. Le ricerche in

questo campo sono ancora agli inizi e non sono numerose, ma i contributi

iniziano a moltiplicarsi in questi ultimi anni.

Sono stati compiuti alcuni studi sulla struttura interrogativa e non

manuale nelle lingue segnate.

In particolare si è cercato di evidenziare quali segni o altre strutture

interagissero con l’interrogazione: nel suo studio, Celo (1994) ha dimostrato

che la LIS possiede aspetti performativi per disambiguare ed interpretare il

contenuto e che esiste una specifica attenzione al contorno non segnico.

L’autore ha distinto le strutture interrogative in domande -chi e domande

si/no. Poi ha utilizzato la distinzione tra perfomativo implicito ed esplicito

(Parisi & Antinucci, 1973) delle lingue parlate, per cui una frase può avere

una intenzione “nascosta” nel tono della voce o nello sguardo (implicita) o

una intenzione evidente data per esempio dall’uso di performativi quali “io ti

chiedo” o “io ti domando” (esplicito).

Utilizzando questo sistema per l’analisi delle registrazioni di colloqui

spontanei di soggetti sordi profondi prelinguistici, l’autore è arrivato ai

seguenti risultati. Le domande -chi esplicite vengono espresse utilizzando

veri e propri segni, diversi a seconda della formula usata (chi, dove, perché).

Anche se le domande -chi dovrebbero essere riconosciute proprio per la

loro caratteristica di avere formule introduttive, ad ogni segno esplicito viene

accostata comunque una componente implicita, specifica non manuale

(espressione facciale) per rafforzare l’intenzione.

Per le domande si/no esiste un segno specifico per il perfomativo esplicito

che però non è molto frequente e non è traducibile in parlato (metasegni). In

alternativa viene usato il segno del punto interrogativo segnato nello spazio

neutro.

Il perfomativo implicito si esprime attraverso la componente non manuale

non associata ai singoli segni e che investe tutta la frase (postura, espressione

facciale). Nello studio non si sono usate frasi in cui le domande avessero una

intenzione retorica o ironica.

Uno studio simile, ma che ha dato risultati diversi, è quello di Vogt-

Svendesen (1990), in cui si è studiato il contatto visivo nelle frasi

interrogative nella lingua dei segni norvegese (NSL).

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In questo caso non si è utilizzata la classica distinzione tra wh- question

(domande -chi) e le yes/no questione (domande si/no). L’autore ha invece

optato per una diversa classificazione che si basa maggiormente sulle

intenzioni. Le frasi interrogative sono state suddivise in:

1. Question : domande usate quando chi parla vuole avere una risposta dal

suo ricevente, le domande comunemente intese;

2. Reported Question: sono le domande riportate mentre si cita un episodio

avvenuto, per cui il parlante non aspetta una risposta, ma riporta

semplicemente una domanda detta in precedenza;

3. Reported Wonderment : sono domande che il mittente non ha realmente

detto, ma solo pensato o domande che, chi racconta un episodio, pensa

che il protagonista si sia posto senza esprimerle esplicitamente;

4. Rethorical Question :domande retoriche.

Poi si sono evidenziate tre funzioni principali del contatto visivo:

• una referenziale, per citare una persona che è stata associata a un

determinato luogo o si trova in quel momento nel luogo “guardato” dal

segnante;

• una funzione regolatrice, dove il guardare l’interlocutore o meno è un

modo per regolare la conversazione e avvertire se si chiude o si continua il

proprio intervento (Turn- taking);

• infine un segnale non verbale di “pensierosità”, quando il segnante non

vuole né citare altre persone né regolare il discorso, ma solo prendere

tempo per ragionare su ciò che vuole esprimere.

Nei risultati riportati il contatto visivo avviene in tutte le Questions, mai

nelle Reported Questions e a volte nei due tipi rimanenti.

Il basso numero di frasi prese in esame non è stato sufficiente per poter

trarre conclusioni precise, comunque lo sguardo viene usato in modo diverso

perché si hanno intenzioni diverse.

Nonostante ciò non è possibile usare il contatto visivo come segno per

distinguere tra loro le frasi interrogative e nemmeno per distinguere le

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interrogative dalle dichiarative dato che viene usato a volte anche in queste

ultime.

Una ulteriore analisi dei movimenti non manuali (per verificare se tali

comportamenti marcano diverse funzioni pragmatiche o se invece marcano

diverse strutture grammaticali), è stata fatto sulla lingua danese dei

segni,(DSL), (Engberg-Pedersen, 1990).

Si sono subito evidenziate differenze individuali sull’uso del

comportamento non manuale, che dipendeva per la maggior parte dal fatto di

avere genitori sordi o udenti. I figli di genitori sordi mostrano un più spiccato

uso di questa componente. I comportamenti non manuali presi in

considerazioni sono tre:

1. alzare le sopracciglia

2. stringere gli occhi

3. abbassare il mento al petto

Questi aspetti sono usati per esprimere le ipotesi del segnante sulle

credenze o conoscenze del ricevente, cioè vengono utilizzate per il passaggio

delle informazioni contestuali o pragmatiche discusse in precedenza.

Sia stringere gli occhi che alzare le sopracciglia sono usati per avvertire il

ricevente della presenza di un argomento centrale e importante nel discorso

del segnante.

Ma stringere gli occhi implica che il segnante ipotizza sia una

conoscenza di tale argomento da parte del ricevente, che una sua possibile

bassa accessibilità di recupero dalla memoria. E’ come se il segnante dicesse

“penso che tu conosca questo item cercalo nella tua memoria perché è

importante, se non lo conosci o non riesci a recuperarlo avvertimi”. Spesso

questo messaggio è accompagnato dal movimento del mento.

Invece quando il segnante alza le sopracciglia non è previsto nessun

problema di accessibilità o non si fa nessuna assunzione sulla reale

conoscenza dell’item da parte del ricevente, ma si sottolinea solo

l’importanza di quel dato.

Se però questo comportamento è accompagnato dallo spostamento del

mento allora significa che sta avvenendo uno spostamento tematico nel

discorso e non più una avvertenza sull’importanza di un item. (tabella 4)

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La scelta dipende dal segnante e dalle sue assunzioni sulla conoscenza

dell’altro.

Questo studio esemplifica come sia importante una analisi funzionale del

discorso, infatti se ci si fermava a una analisi puramente strutturale sarebbe

apparso un uso casuale e senza un ordine preciso del comportamento non

manuale considerato.

Si è comunque evidenziata una differenza con l’ASL per quel che

riguarda il movimento del mento che da studi precedenti viene orientato

verso l’alto e non verso il basso in DSL.

Tabella 4. Segni non manuali pragmatici (Adattamento da Engberg-Pedersen

1990)

non uso del mento uso del mento

stringere gli occhi possibile problema

di accesso;

item importante;

possibile problema

di accesso;

item importante;

alzare le sopracciglia accesso alto o nessuna

assunzione;

item importante;

spostamento di tema nel

discorso;

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6. Presentazione della ricerca

6.1. Ipotesi

Il locutore dispone di dispositivi linguistici (termini anaforici, deittici,

personali spaziali temporali, connettori pragmatici) che “marcano” il

concatenamento degli enunciati per dare coesione al discorso mettendo in

relazione le lingue con il contesto comunicativo. Nelle situazioni di

comunicazione orale l’associazione del sistema verbale con il sistema

gestuale da forma a queste rappresentazioni di significato.

Recenti studi (McNeill-Levy, 1993; Contento-Stame, 1997; Schober,

1993) indicano che il locutore può definire attraverso i gesti lo spazio

dell’enunciazione nel quale si situano gli aspetti evocati fisicamente assenti.

Referenti enunciati, citati o anticipati occupano quindi un posto funzionale in

uno spazio discorsivo composto di elementi linguistici verbali e non verbali.

Poiché nel linguaggio del non udente lo spazio è già uno dei tratti

distintivi attraverso i quali si costituiscono i segni linguistici, supponiamo che

l’attività di coesione discorsiva verrà svolta mediante l’utilizzo di altri segni

linguistici non verbali (cinesici, spaziali, manuali) che considereremo quindi

come marcatori pragmatici.

Lo scopo della ricerca infatti è di evidenziare, se avviene e in che modo, il

fenomeno pragmatico denominato in letteratura “spostamento referenziale”,

in relazione sia all’utilizzo dello spazio e delle espressioni facciali che alla

coesione narrativa, da parte dei segnanti. Si ipotizza che la LIS abbia dei

meccanismi pragmatici di coesione e di spostamento referenziale usati

diversamente a seconda dell’intenzionalità del segnante e della competenza

segnica.

Gli aspetti paralinguistici paralleli non sono lo scopo della ricerca per i

motivi sopra esposti, ma saranno tenuti comunque in considerazione.

6.2. Metodo

Sono stati osservati soggetti sordi mentre raccontavano un evento visto

in un filmato.

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44

L’intero ciclo di osservazioni è stato svolto all’interno della sede dell’Ente

Nazionale Sordomuti di Forlì. Le videoregistrazioni sono avvenute in due

giorni distinti, la prima il 23 novembre 1997, la seconda il 28 novembre

1997, entrambe presso il circolo ricreativo dell’Ente.

6.2.1. Soggetti.

I soggetti che hanno preso parte all’esperimento sono persone sorde

iscritte all’Ente Nazionale Sordomuti della sede di Forlì. I soggetti a cui si è

presentato il filmato sono 8, tutti volontari con un età compresa tra i 20 e 41

anni.

Seguendo la valutazione di due interpreti, tutti i soggetti avevano una

buona comprensione dell’italiano parlato, e una scarsa capacità di produzione

orale. La produzione scritta e la lettura avevano una variazione individuale

elevata

La maggior parte dei soggetti ha una occupazione lavorativa ed ha

raggiunto il diploma di terza media inferiore.

I soggetti sono stati divisi in due gruppi sulla base del giudizio di

competenza discorsiva alta o bassa in LIS, giudizio fornito anche questo dai

due interpreti sopracitati.

Inoltre abbiamo chiesto ai soggetti alcune informazioni relative alla

scuola frequentata (istituto per sordi o scuola per udenti) e alla condizione

dei genitori (udenti o sordi). Per la raccolta di questi dati così come per

l’analisi dei contenuti delle narrazioni ci siamo appoggiati ad un interprete

LIS.

Sono stati eliminati dall’analisi due soggetti in quanto utilizzavano

l’italiano segnato e non la LIS.

Le analisi sono state fatte quindi su 6 soggetti sordi profondi che

utilizzano la Lingua Italiana dei Segni.(tab.5)

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45

Tabella 5. Scheda informativa sui soggetti osservati.

nome età condizione competenza LIS competenza IP scolarità comp. I. scritto comp.lettura

attività

1- Monica 26 diventata sorda a 5anni;genitori sordi;sorda profonda;scuola udenti;

alta comprensione = ottimaproduzione = ottima

3 superiore. ottima ottima operaia

2- Luciano 32 nato sordo;genitori udenti;sordo profondo;istituto per sordi;

bassa comprensione = buonaproduzione = media

3 media inf. media buona agricoltore

3- Sabrina 29 diventata sorda a 3mesi;genitori sordi;sordo profondo;scuola udenti;

bassa comprensione = buonaproduzione = medio-bassa

3 media inf. buona buona bidella

4- Roberta 27 diventata sorda a 1anno;genitori sordi;sordo profondo;scuola udenti;

alta comprensione = buonaproduzione = buona

3 media inf. media buona impiegata

5- Giuseppe 40 nato sordo;genitori udenti;sordo profondo;istituto per sordi;

alta comprensione = buonaproduzione = buona

3 media inf. media buona impiegato

6- Giorgio 41 nato sordo;genitori udenti;sordo profondo;istituto per sordi;

bassa comprensione = buonaproduzione = media

3 media inf. media media impiegato

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46

6.2.2. Materiale

Il materiale usato per la ricerca consiste in una breve sequenza di 5

minuti, estratta dal film “Tempi Moderni” di Ch. Chaplin, del 1936. Questo

filmato è stato scelto perché presentava una storia di senso compiuto, in cui

apparivano più personaggi, le cui azioni, di volta in volta, si intrecciavano

con le azioni del personaggio principale.

La sequenza è muta, con parti sonore (colonna sonora e due brevi

enunciati fuori campo del tutto marginali rispetto ai contenuti delle storie)

che sono state eliminate totalmente per avere un materiale più omogeneo,

non essendo fondamentali per la comprensione della storia.

Nella progettazione della ricerca si era all’inizio immaginato un compito

di narrazione libera. Questa ipotesi è stata scartata cosicché nell’osservazione

si è evitata una eccessiva eterogeneità di avvenimenti raccontati e si avuto la

possibilità per noi osservatori di avere un testo preciso con cui poter

confrontare le esposizioni LIS con il vantaggio di una osservazione più

strutturata.

Il filmato presenta in sequenza le seguenti scene (o eventi):

Inizio sequenza

1. Molte persone camminano verso una fabbrica;

2. Timbrano il cartellino per entrare;

3. Un operaio a torso nudo muove una leva;

4. Il presidente della fabbrica gioca a puzzle;

5. Sembra annoiato, legge il giornale;

6. Entra una segretaria che gli porta un bicchiere d’acqua ed una pillola: lui

beve;

7. Accende un monitor dietro di lui per controllare gli operai che lavorano;

8. Dà un ordine all’operaio a torso nudo attraverso il monitor;

9. Un operaio (il protagonista) stringe dei bulloni, ma fatica a mantenere il

ritmo

10. Litiga con un operaio grosso, collega di lavoro;

11. Un operaio controllore incita il protagonista a mantenere il ritmo;

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47

12. Il protagonista litiga con il controllore poi ricomincia a lavorare;

13. Arriva una mosca che lo infastidisce;

14. Un operaio che passava dietro di lui uccide la mosca sul volto del

protagonista che perde il ritmo di lavoro;

15. Il protagonista rimane incastrato in un bullone;

16. L’operaio grosso lo colpisce con il martello sulla mano per liberarlo;

17. Il protagonista dolorante smette di lavorare, l’uomo grosso fa fermare la

macchina;

18. Arriva il capo controllore per chiedere spiegazioni;

19. Il protagonista racconta quanto avvenuto ed il controllore rimprovera

l’uomo grosso;

20. Il protagonista rimprovera l’uomo grosso che si arrabbia;

21. Mentre la macchina riprende a funzionare si danno qualche calcio a

vicenda;

22. Arriva un operaio a dare il cambio a al protagonista;

23. Il protagonista si allontana dalla catena di montaggio e mostra un tic

legato al lavoro;

24. Timbra il cartellino e va in bagno a fumare una sigaretta;

25. Da un video dietro alle spalle il presidente lo vede e lo rimprovera

duramente rimandandolo a lavorare;

26. Lui timbra il cartellino e torna al posto di lavoro

27. Inizia a limarsi le unghie

28. L’operaio del cambio si arrabbia con il protagonista

29. Il protagonista riprende a lavorare

Fine sequenza.

I contenuti delle storie presentate sono stati analizzati in funzione delle unità

tematiche che costituiscono la trama complessiva del testo. I nuclei tematici

individuati sono i seguenti:

Inizio

I Presentazione: 1. entrata operai

Ambiente: 2. ufficio direzione

II 3. catena di montaggio

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48

III Eventi: 4. scarsa produttività

5. alienazione

6. rapporto tra operai

IV 7. rapporto operai/controllori

8. mosca

V 9. pausa - sigaretta

VI 10. richiamo

11. cambio

VII 12. digressione

13. altro

Fine sequenza.

Sempre sulla base dei contenuti del testo si è proceduto all’individuazione del

come i diversi personaggi degli eventi concatenati apparivano nelle storie.

L’ordine di comparsa dei personaggi è il seguente:

- la massa di operai;

- l’operaio a torso nudo;

- il presidente;

- la segretaria;

- il protagonista;

- un operaio grosso;

- un capo operai;

- una mosca;

- un operaio di passaggio;

- un operaio per il cambio turno.

6.2.3. Procedura

La sequenza è stata montata su una videocassetta. Per esporre tutti i

soggetti alle medesime condizioni di presentazione del compito è stato

chiesto ad un interprete LIS di videoregistrare la consegna. Il filmato

contenuto nella videocassetta era preceduto quindi da una breve sequenza

nella quale l’interprete spiegava il compito.

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49

Alla fine della sequenza stessa l’interprete concludeva la consegna chiedendo

di raccontare quanto si era visto.

6.2.4. Modalità di osservazione

Ogni soggetto è stato videoregistrato da una telecamera frontale. Per

prendere in considerazione la variabile di profondità del segno qualora ci

fossero state ambiguità nella decodifica dei gesti è stata usata una seconda

telecamera che riprendeva il soggetto lateralmente.

Il soggetto era con le spalle rivolte ad uno sfondo bianco in cui venivano

segnate, di volta in volta con delle linee nere, l’altezza delle spalle e della

vita, per avere dei riferimenti spaziali più precisi nella fase di analisi dei

filmati.

Tutte le videoregistrazioni sono poi state trascritte su carta.

Per l’analisi dei contenuti ci si è basati sia sulle trascrizioni delle

narrazioni che sui filmati. Si è proceduto successivamente all’analisi del

rapporto segno/referente.

6.3. Risultati

6.3.1 Descrizione dei risultati

Le videoregistrazioni sono state analizzate nei loro contenuti seguendo due

modalità di analisi:

• osservazione dell’attività segnica in relazione all’attività linguistica e

discorsiva;

• osservazione delle videoregistrazioni importate su Pentium 200 tramite

una scheda Targa 1000 True Vision e trattate tramite i programmi Photo-

Shop e Adobe Premiere che consentono l’analisi delle sequenze fino a 25

fotogrammi al secondo. L’analisi si è svolta presso il Laboratorio del

Dipartimento di Psicologia di Bologna.

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Le traduzioni “segno per segno” dei resoconti analizzati sono le seguenti. E’

stata indicata in corsivo l’attività metacomunicativa dei soggetti.

SOGGETTO 1 (alta competenza) durata: 1 min. e 5 sec.:

IO VEDERE CHAPLIN LAVORARE FABBRICA OPERAIO VELOCE ORARIO ALTRO

COLLEGA LAVORO LAMENTARE ALTRO (CHAPLIN) NON RIUSCIRE CAPO DAI

VELOCE SCUSA PIÙ TARDI TEMPO DOMANDA SCUSA PAUSA BAGNO VELOCE SI

ANDARE VEDERE TIMBRARE FUMARE SIGARETTA DIETRO CAPO TELEVISORE

VEDERE COSA FAI ANDARE LAVORARE SPAVENTO SCAPPARE BUTTA

SIGARETTA TIMBRARE FARE CON CALMA LIMARE UNGHIE ORARIO CALMA

ALTRO OPERAIO CAMBIO MUOVERSI VELOCE ASPETTARE MANICURE FINITO

CHIAMARE IO LAVORARE.

SOGGETTO 2 (bassa competenza), durata: 1 min. e 14 sec.:

UNA FABBRICA LAVORO FABBRICA PAUSA UN UOMO LAVORARE FABBRICA

CATENA MONTAGGIO CAPO GIOCARE SMETTERE LEGGERE GIORNALE

CONTROLLARE INFORMAZIONI PAUSA LAVORO MOSCA LAVORARE INDIETRO

UNO VEDERE CHIAMARE AMMAZZARE IN FACCIA LAVORO MUOVERSI

LAVORARE GRATTARE NON SONO CAPACE PAUSA STANCO BAGNO ACCENDERE

SIGARETTA FUMARE SPAVENTO ANDARE LIMARE UNGHIE BASTA FINITO IO

COMINCIARE LAVORARE BASTA.

SOGGETTO 3 (bassa competenza) durata: 40 sec.:

IO VEDERE VIDEOCASSETTA CHAPLIN VEDERE CHAPLIN CAPO FABBRICA CAPO

FABBRICA MECCANICA TUTTI OPERAI MUOVERSI VELOCE AUMENTARE

VELOCITÀ OPERAI APPROFITTARE VELOCE APPROFITTARE VAGABONDI UN PO’

APPROFITTARE VEDERE TORNARE DOVERE LAVORARE VELOCE BASTA.

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SOGGETTO 4 (alta competenza) durata: 35 sec.:

UOMO CAPO SEDUTO PUZZLE FARE IL SIGNORE INVECE CHAPLIN LAVORARE

SACRIFICIO UOMO PUZZLE SEDUTO TELEVISORE CHAPLIN LAVORARE PAUSA

GIUSTA ANDARE TRANQUILLO FUMARE CAPO COSA FARE COSTRINGERE

LAVORARE CHAPLIN CORRERE LAVORARE PER ME NON GIUSTO DOVERE CAPO

LAVORARE SACRIFICIO UGUALE LUI LAVORO CAPO LAVORARE PER ME FARE IL

SIGNORE GUARDARE TRANQUILLO NON GIUSTO PER ME TUTTI VAGABONDI

PROPRIO AL CONTRARIO GRAZIE FINE

SOGGETTO 5 (alta competenza) durata: 1 min.:

CHAPLIN LÀ (NEL FILM) PAUSA CHAPLIN LÀ LAVORARE FABBRICA ORE ORE

LAVORARE STANCO SFORZATO PAUSA CHIEDERE BAGNO VERAMENTE FUMARE

SI LAVORO AIUTO CAMBIO TIMBRARE COSA C’ENTRA? ANDARE BAGNO

FUMARE LÀ CONTROLLO SCHERMO CONTROLLO COSA FAI LAVORARE LAVARE

MANI FILA SIGARETTA FINITO GIÀ BUTTATA VISTO LO STESSO TORNARE

INDIETRO RITIMBRARE FATTO LAVORARE STANCO RIPOSARE LAVORO CI

PENSA LUI LIMA UNGHIE LAVORO NON ACCORTO LUI ARTICOLATORE

(CHAPLIN) LAVORARE DAI DAI SCAPPA LAVORO IO VA BENE METTERE VIA IN

TASCA LAVORARE PASSANO ORE BASTA.

SOGGETTO 6 (bassa competenza) durata 1 min. e 40 sec.:

PERSONE MOLTE ENTRARE -PENSO LAVORO CAPO TRANQUILLO SEDUTO

ARRIVARE APPOGGIARE CAPO PRENDERE PASTIGLIA BERE TELEVISORE

CONTROLLARE UOMO POSSENTE ARRIVARE SPOSTARE LEVA AVANTI CAPO

TRANQUILLO CONTROLLO VELOCE VELOCE GIRA LEVA VELOCE CHARLOTTE

LAVORARE SCAPPARE LAVORO INVITARE INVITARE PADRONE A

ME+CHIEDERE PIÙ VELOCE PAZIENZA STANCO AVANTI LAVORARE PAUSA

MALE BRACCIA LASCIARE LAVORO BAGNO FUMARE CAPO MUOVITI DAI

SPAVENTO TORNARE LÌ CHAPLIN TIMBRARE LAVORO CAMBIO NO CHAPLIN

LIMARE UNGHIE LAVORARE DAI MUOVITI LIMARE UNGHIE CAMBIO LAVORO

FINE.

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52

Nei grafici che seguono (Grafico 1-6) vengono rappresentati i riferimenti alle

scene del filmato nelle narrazioni dei soggetti.

Grafico 1

SEQUENZA EVENTI NARRATI: SOGG.1 (Alta Competenza)

910

11

2425

2627

2829

6

10

14

18

22

26

30

34

Grafico 2

SEQUENZA EVENTI NARRATI: SOGG.2 (Bassa Competenza)

9

45

7

1314

11

24

2627

29

2

8

14

20

26

32

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53

Grafico 3

SEQUENZA EVENTI NARRATI: SOGG.3 (Bassa Competenza)

98

7

3

21

29

0

4

8

12

16

20

24

28

32

Grafico 4

SEQUENZA EVENTI NARRATI: SOGG.4 (Alta Competenza)

4

9

7

9

2425

26

2

6

10

14

18

22

26

30

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54

Grafico 5

SEQUENZA EVENTI NARRATI: SOGG.5 (Alta Competenza)

9

22

2425

2627

2829

6

10

14

18

22

26

30

34

Grafico 6

SEQUENZA EVENTI NARRATI: SOGG.6 (Bassa Competenza)

1

4

67

3

89

2425

2627

2829

-2

4

10

16

22

28

34

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55

Per quanto riguarda le unità tematiche i sei soggetti hanno focalizzato come

segue i temi più rilevanti delle storie. (tab.6)

Tabella 6. Nuclei tematici riportati dai soggetti.

NUCLEI TEMATICI sogg.

1

sogg.

2

sogg.

3

sogg.

4

sogg.

5

sogg.

6

TOT.

I entrata operai 0

ufficio direzione X X X 3

II catena di montaggio X X X X X 5

III scarsa produttività X X 2

alienazione X X X X 4

IV rapporti tra operai X X 2

rapporto operi/capi X X X 3

V mosca X 1

VI pausa sigaretta X X X X X 5

richiamo X X X X 4

VII cambio X X X 3

digressione X X X X 4

altro* X XX

* Sono stati indicati come “altro” i riferimenti ai temi (es. giustizia,

sfruttamento, ecc.) segnati dai soggetti come commento personale al testo.

L’analisi dei contenuti delle videoregistrazioni ha tenuto conto di altre

due componenti.

Si è cercato prima di tutto di quantificare il numero di unità concettuali

rappresentate da ogni soggetto nel compito narrativo. Per “unità concettuali”

si intende l’espressione di una “idea” il più delle volte coincidente con

l’espressione di una azione, una forma verbale, una opinione riconoscibile

attraverso la produzione di uno o più segni. (tab. 7)

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56

Questo ci ha permesso di individuare per ogni soggetto il numero

complessivo di segni codificati della LIS attraverso i quali sono stati prodotti

i racconti (tab. 8)

Tabella 7. Numero delle unità concettuali rappresentate dai soggetti

Soggetti num. delle unità concettuali riportate

sogg. 1 22

sogg. 2 17

sogg. 3 32

sogg. 4 15

sogg. 5 8

sogg. 6 32

Tabella 8. Numero di segni prodotti dai soggetti

soggetti num. dei segni prodotti

sogg.1 50

sogg.2 44

sogg.3 52

sogg.4 31

sogg.5 19

sogg.6 54

Inoltre abbiamo osservato quante volte veniva segnato un personaggio

(attraverso il segno manuale corrispondente) e quante volte invece veniva

citato attraverso pronomi o spostamenti referenziali, attraverso cioè

marcatori anaforici. Gli spostamenti referenziali possono risultare chiari o

ambigui a seconda che vengano o meno marcati pragmaticamente: si sono

perciò suddivisi i marcatori anaforici in “espliciti” cioè chiari, ed in

“ambigui” cioè non marcati, perciò poco informativi.

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57

Le osservazioni sono state fatte per ogni soggetto dei due gruppi ad alta

e media competenza LIS, per verificare eventuali differenze. (tab.9)

Tabella 9. Referenti e marcatori pragmatici presenti nelle sei narrazioni.

Alta competenza LIS: soggetti num. 1-4-5

soggetto num. referenti segnati marcatori

anaforici espliciti

marcatori

anaforici ambigui

1 6 6 0

4 8 5 0

5 2 9 0

Bassa competenza LIS: soggetti num. 2-3-6

sogg. num. referenti segnati marcatori

anaforici espliciti

marcatori

anaforici ambigui

2 2 4 2

3 6 0 2

6 10 3 3

Nella pagina seguente viene mostrato il riepilogo generale di tutti gli indici

presi in considerazione nelle sei diverse narrazioni dei soggetti. (Tab. 10)

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58

Tabella 10. Riepilogo di tutti gli indici rilevanti nelle narrazioni dei sei soggetti suddivisi per competenza alta (a) e competenzabassa (b).

soggetti tempo scene temi concetti segni persone referentisegnati

anaforeesplicite

anaforeambigue

marcatoritotali

sogg.1(a)

65 sec. 9 7 22 50 10 6 6 0 12

sogg.4(a)

35 7 7 17 44 11 8 5 0 13

sogg.5(a)

60 8 7 32 52 11 2 9 0 11

sogg.2(b)

74 11 6 15 31 5 2 4 2 8

sogg.3(b)

40 6 4 8 19 5 6 0 2 8

sogg.6(b)

100 13 8 32 54 10 10 3 3 16

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59

Abbiamo poi considerato le medie di tutte le variabili in rapporto con i due

gruppi di soggetti ad alta e bassa competenza per verificare se erano presenti

differenze o correlazioni significative. (tab. 11)

Tabella 11 . Media di tutte le variabili nei 6 soggetti suddivisi per alta e bassa

competenza LIS

alta competenza bassa competenza totale

Concetti 23.66 18,33 21

Nuclei tematici 7 6 6.5

Scene 8 10 9

Tempo 53.33 71.73 62.33

Ref. segnati 5.33 6 50,66

Marc. espliciti 6.66 2.33 4.5

Marc. ambigui 0 2.33 1.16

Segni 48.46 34.66 41.66

Persone 10.66 6.66 8.66

Tot. marcatori 12 10.66 11.33

Nel grafico num.7 viene mostrata la rappresentazione grafica delle medie

degli indici considerati.

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60

alta comp.bassa comp.

Grafico 7

Medie di tutte le variabili nei due gruppi di soggetti

-10

0

10

20

30

40

50

60

70

80

concettitemi

scenetempo

ref.segnatianaf.espl.

anaf.ambiguisegni

personemarcatori

Questi dati sono stati utilizzati per rappresentare graficamente le relazioni

tra due o più indici in rapporto ai due gruppi di soggetti ad alta o bassa

competenza LIS, per verificare la presenza di eventuali differenze.

(graf. 8-12)

Inizialmente abbiamo considerato la relazione tra le medie di “concetti” e

“temi” (graf.8), poi si è osservata la relazione tra queste due variabili e le

“scene” citate dai soggetti sempre rispetto ai due gruppi ad alta e bassa

competenza. (graf. 9).

Successivamente si è considerata la relazione intercorrente tra le medie del

tempo utilizzato per la narrazione ed il numero dei segni utilizzati sempre in

rapporto ai i due gruppi di soggetti. (graf.10)

Nel grafico num. 11 sono state considerati la presenza di marcatori (espliciti

ambigui, e segnati) in riferimento al numero delle persone citate. Questo

grafico mostra quanto i soggetti ad alta o bassa competenza utilizzino i

marcatori pragmatici e quale rapporto esiste tra questi ultimi e il numero di

personaggi citati nell’intero racconto. (graf. 11)

L’analisi statistica dei dati non ha portato all’individuazione di alcune

differenze significative tra le prestazioni discorsive dei soggetti ad alta e

bassa competenza segnico-linguistica. L’obiettivo del lavoro presentato non

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61

era la validazione statistica dei dati rilevati. I risultati saranno comunque

discussi più avanti.

L’unica correlazione significativa viene mostrata dal grafico num. 12 in cui è

rappresentato il rapporto tra le unità tematiche e le unità concettuali in

relazione all’intero gruppo di soggetti. [R. di Spearman= .893 con p= .016]

(graf. 12)

alta comp.bassa comp.

Grafico 8

Medie delle variabili "concetti" e "temi" nei due gruppi di soggetti

0

5

10

15

20

25

30

concetti temi

alta comp.

bassa comp.

Grafico 9

Medie delle variabili "concetti" , "temi" e "scene" nei due gruppi di soggetti

0

5

10

15

20

25

30

concetti temi scene

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62

alta comp.

bassa comp.

Grafico 10

Medie delle variabili "tempo" e "segni" nei due gruppi di soggetti

30

35

40

45

50

55

60

65

70

75

tempo segni

alta comp.

bassa comp.

Grafico 11

Medie delle variabili "referenti segnati", "anaforici espliciti"

"anaforici ambigui" e "persone" nei due gruppi di soggetti

-2

0

2

4

6

8

10

12

ref.segnati anaf.espliciti anaf.ambigui persone

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Grafico 12

Correlazione fra unità tematiche e unità concettuali per tutti i soggetti

TEMI

CONCETTI

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6.4. Discussione

Analizzando i resoconti abbiamo cercato di dare risposta a quattro

domande:

1. se ci sono differenze sostanziali nella capacità discorsiva dei segnanti in

funzione del grado di competenza segnica;

2. se esistono strutture che indicano l’introduzione di uno spostamento

referenziale durante un discorso, quali sono, quando e come vengono

utilizzate;

3. quali effetti hanno queste strutture sul discorso e sul ricevente;

4. se ci sono differenze nell’uso di queste strutture da parte di soggetti con

alta competenza Lis e soggetti con media competenza LIS.

6.4.1. Confronto dell’attività narrativa dei due gruppi di soggetti

Abbiamo analizzato le differenze tra i due gruppi ad alta e bassa

competenza. Nell’analisi occorre considerare che il soggetto num.6 risulta

avere dei valori che si discostano notevolmente rispetto agli altri soggetti a

bassa competenza LIS. Questo dato è dovuto al fatto che il soggetto ha

utilizzato moltissimi gesti pantomimici insieme ai segni LIS. Abbiamo quindi

incontrato una grande difficoltà a distinguere i segni dai gesti perché l’analisi

da noi compiuta aveva come scopo la comprensione e la capacità discorsiva

globale della narrazione. Il soggetto ha una capacità di comprensione

tematica e discorsiva buona anche se utilizza una grande quantità di gesti

pantomimici, e quindi ha una bassa competenza LIS.

Per quanto riguarda il numero di scene (o eventi) citati, non ci si

aspettava che venissero tutte riportate. Tutti gli episodi marginali infatti non

vengono citati o vengono riportati da un numero minimo di soggetti (per es.

l’evento mosca).

I temi più rilevanti vengono riportati da tutti i segnanti ad alta

competenza, mentre i segnanti a bassa competenza non hanno sempre citato

tutti i nuclei tematici principali.(vedi tab. 6)

Il tempo impiegato per ogni narrazione mette in evidenza come i soggetti ad

alta competenza riescano ad esprimersi in un tempo inferiore rispetto ai

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soggetti a bassa competenza. Anche se non risulta significativa, la relazione

tra il tempo e il numero di segni (tab. 10) si avvicina molto alla significatività

e coincide con le nostre previsioni: infatti i soggetti con una più bassa

competenza LIS necessitavano di un tempo maggiore per esporre un

numero minore di segni, mentre i soggetti con alta competenza riuscivano ad

esprimere un numero di segni alto in un minor tempo espositivo. (graf. 10)

Facendo un confronto con il linguaggio verbale, si può trovare un

corrispettivo nelle ricerche sulla capacità discorsiva. Infatti un soggetto con

una buona “fluency” produce un maggior numero di parole in un tempo

minimo rispetto ad un soggetto con una cattiva “fluency” che esprimerà le

proprie idee utilizzando meno parole e maggior tempo.

Per quanto riguarda i marcatori, è evidente che i soggetti ad alta

competenza segnano un maggior numero di marcatori espliciti, ed in generale

un maggior numero di marcatori rispetto ai soggetti a bassa competenza.

Questi a differenza dell’altro gruppo, segnano anche più marcatori ambigui.

Ciò significa che i soggetti ad alta competenza hanno una capacità di

astrazione linguistica migliore e quindi fanno uso di dispositivi anaforici in

modo più efficace rispetto ai segnanti con bassa capacità LIS. La narrazione

risulta pertanto più fluente, coesa e chiara rispetto ai soggetti con bassa

competenza. Questi ultimi riportano anche un minor numero di persone

rispetto al gruppo con alta competenza. (graf. 11)

Abbiamo poi osservato come durante il discorso i soggetti si riferivano ai

diversi personaggi della storia. Nelle lingue parlate per riferirsi a diversi

soggetti, si usa generalmente il sistema pronominale con tutte le implicazioni

pragmatiche viste precedentemente ma viene utilizzato in alcuni casi anche la

sola intonazione vocale.

Nelle lingue dei segni possono essere usati i segni corrispondenti ai

pronomi, ma come abbiamo osservato anche nei resoconti, spesso viene

introdotto uno spostamento referenziale. Il termine spostamento referenziale

verrà utilizzato seguendo l’impostazione di Engberg-Pedersen (1995) che lo

suddivide in tre diversi fenomeni: lo spostamento di referente pronominale, lo

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spostamento nell’attribuzione delle espressioni facciali e lo spostamento di

luogo.

Nei racconti analizzati si possono osservare principalmente due fenomeni

dello spostamento:

• lo spostamento nell’attribuzione delle espressioni facciali;

• lo spostamento di luogo (in particolare l’uso dell’orientamento dello

sguardo e dei segni).

Lo spostamento referenziale o “tecnica dell’impersonamento”, avviene

quando per raccontare le azioni o i discorsi di un personaggio della storia, il

soggetto non racconta in terza persona, ma “diventa” lui stesso il

personaggio citato, spostando il referente dalla terza alla prima persona. In

questo modo i pronomi, le azioni, i pensieri e le espressioni facciali sono

riferite al personaggio citato e non al segnante, spostando quindi il referente.

In accordo con gli studi su altre lingue dei segni, (Engberg-Pedersen,

1995; Lillo-Martin, 1995; Padden, 1990; Poulin & Miller, 1995) lo

spostamento referenziale viene usato non solo per i discorsi riportati, ma

anche per esprimere pensieri azioni, e sentimenti del personaggio citato.

Il soggetto che vuole citare un personaggio, utilizza lo spazio segnico in

modo organizzato e coerente, associando un luogo preciso (luogo anaforico)

a un referente, e successivamente utilizza il luogo per riferirsi al soggetto

citato senza ripeterne il nome.

6.4.2 Associazione luogo-referente

L’associazione tra un luogo e un referente può avvenire in diversi modi:

• attraverso l’orientamento dello sguardo;

• utilizzando una indicazione manuale;

• attraverso l’orientamento dei segni;

• attraverso segni articolatori.

Un esempio di associazione luogo referente può essere rappresentato dal

racconto del soggetto num. 1, quando all’inizio del resoconto, spiega che un

operaio incita Chaplin a lavorare velocemente. Prima avviene la descrizione

di Chaplin che lavora in una fabbrica, poi il segnante segna la frase:

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Frase 1. OPERAIO sr[SVELTO SVELTO!!]

(un operaio dice a Chaplin di lavorare più veloce)

Segnando questa frase lo sguardo del segnante si rivolge verso destra,

ponendo in questo momento la prima associazione, luogo a destra-Chaplin.

L’unica struttura che ci segnala l’associazione è la direzione dello sguardo

che passa da un orientamento verso l’interlocutore reale (la telecamera) a un

orientamento verso destra.

Procedendo nel discorso, la posizione di Chaplin rimane spostata verso

destra rispetto al segnante e viene utilizzata anche in altre frasi successive. In

altre parole l’associazione una volta fatta viene mantenuta ed utilizzata

durante tutto il tempo successivo, a meno che non intervenga una nuova

associazione che cambia le posizioni nello spazio. Un esempio di narrazione

in cui rimane questa associazione e se ne costruisce un’altra è il seguente:

Frase 2. ALTRO COLLEGA LAVORO sr.[ LAMENTARSI]

(l’altro collega di lavoro si lamenta con Chaplin)

Frase 2.a sr. [NON CE LA FACCIO !] (fig. 1, appendice pg. 79)

(Chaplin risponde che non ce la fa )

Nella frase 2 il soggetto avverte che sta per parlare del collega di lavoro,

infatti la frase è preceduta da una indicazione dell’indice della mano verso

sinistra, e successivamente avviene uno spostamento referenziale,

impersonando l’operaio.

La nuova associazione luogo-operaio è stata introdotta da una

indicazione manuale. Successivamente il segnante rivolge lo sguardo verso

destra, cioè verso il luogo associato precedentemente a Chaplin senza più

ripetere il nome ma solo cambiando orientamento dello sguardo e delle spalle

mentre esegue il segno LAMENTARSI.

Poi il segnante indica con l’indice verso destra, sposta lo sguardo e

leggermente le spalle verso sinistra e segna la frase 2.a: in questo modo

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segnala che ora sta riportando le azioni di Chaplin, utilizzando nuovamente la

posizione a destra per riferirsi a lui senza ulteriori indicazioni.

Guardando verso sinistra il soggetto si è spostato ad impersonare Chaplin

utilizzando l’associazione fatta all’inizio del resoconto destra-Chaplin e la

nuova associazione fatta subito prima sinistra-operaio.

Un esempio invece di come si può associare un luogo ad un referente

attraverso il solo orientamento dei segni è nel racconto del soggetto num. 4.

Questo racconto ha una particolare intenzione che approfondiremo

successivamente, ma mostra chiaramente come un segno potendo utilizzare

lo spazio porta non solo informazioni linguistiche ma anche pragmatiche.

Nella frase 3a:

Frase 3a. CHAPLIN LAVORA PAUSA GIUSTA VA TRANQUILLO

FUMARE

(Chaplin lavora poi chiede una pausa, giusta, e va a fumare tranquillamente)

il segno “andare” è fatto da destra verso sinistra. Questa direzione quindi

indica all’interlocutore che Chaplin verrà associato a sinistra da ora in

avanti. Infatti quando il segnante deve esprimere la frase 3b:

Frase 3.b CAPO sr[ COSA FAI COSTRINGERE LAVORARE]

(il capo dice a Chaplin cosa fai! lo costringe a tornare a lavorare)

il segno di “costringere” viene fatto verso sinistra, cioè verso il luogo

associato prima a Chaplin attraverso la direzione di un segno.

Un modo peculiare delle lingue segniche di posizionare referenti nello

spazio può avvenire attraverso l’uso di articolatori ( Pizzuto, 1997 )

Un unico esempio osservato nelle videoregistrazioni è il racconto del

soggetto num. 5. Nella frase:

Frase 4.a NON ACCORTO LUI ARTICOLATORE (CHAPLIN)

sr[LAVORARE HEI DAI] (fig. 2, appendice pg.79)

( non si era accorto di lui, Chaplin che stava lì vicino, gli dice hei dai! )

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il segnante utilizza un gesto intraducibile in italiano che significa: “ lo metto

in questo spazio” “che è qui” per associare Chaplin a quel luogo specifico e

per poi poter utilizzare l’orientamento corretto nello spostamento

referenziale in modo da far risultare chiaro chi è il referente citato e qual è il

destinatario originale.

Le associazioni luogo-referente possono avvenire insieme

(contemporaneamente) allo spostamento referenziale ( per es. frase num.1 e

num. 2) mentre gli spostamenti referenziali possono avvenire senza un

associazione simultanea o subito precedente, perché se non modificati

rimangono nel tempo, quindi non vengono ripetuti.(es. frase num. 2a. e 3b.)

6.4.3. Spostamento referenziale

Lo spostamento referenziale può essere introdotto da diversi marcatori

pragmatici:

1. la direzione dello sguardo;

2. l’indicazione manuale;

3. orientamento spaziale del segno o delle spalle;

4. l’espressione facciale o l’azione svolta.

Come visto nei precedenti esempi il segnante può orientare lo sguardo e le

spalle verso una determinata direzione per citare un dato referente

precedentemente associato a quel luogo oppure indicare con la mano il luogo

anaforico da citare. (frase n.2, 2.a, 4a.) Queste strategie pragmatiche

possono essere utilizzate da sole o insieme in varie combinazioni.

Oltre alla direzione dello sguardo è importante notare che anche il segno

viene spostato nello spazio e orientato a seconda del referente citato, insieme

spesso all’orientamento delle spalle. Un esempio è la frase num. 6.:

Frase 6. ALTRO OPERAIO CAMBIO sr[MUOVITI VELOCE]

sr[ASPETTA MANICURE FINITO CHIAMA FACCIO IO ] (fig. 3,

appendice pg.80)

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(l’altro operaio del cambio dice a Chaplin di muoversi veloce , e Chaplin dice

aspetta un po’, mentre fa manicure, poi quando finisce lo chiama e dice

vengo io ora.)

Questa frase è introdotta da una nuova posizione spaziale dei soggetti.

Chaplin infatti si è spostato dalla posizione destra ad una posizione sinistra.

Questa nuova organizzazione spaziale è segnalata dalla frase

Frase 6.a. ALTRO OPERAIO CAMBIO

(L’altro operaio del cambio)

seguita da un orientamento dello sguardo e delle spalle verso sinistra. In

questo modo il segnante ci informa che le posizioni sono cambiate: l’operaio

è posto a destra e Chaplin a sinistra. Con quest’ultimo orientamento il

segnante esprime la frase:

Frase 6.b. MUOVITI VELOCE

(muoviti velocemente dammi il cambio)

poi la produzione delle restanti frasi è preceduta da un orientamento dello

sguardo verso l’interlocutore di qualche istante e successivamente le spalle e

lo sguardo si rivolgono a destra mentre il segnante esegue le frasi 6c. e 6d.

nello spazio segnico destro:

Frase 6.c. ASPETTA CALMA LIMARE UNGHIE

(Aspetta ancora, mi limo le unghie )

e successivamente:

Frase 6.d CHIAMARE FACCIO IO

(Hei ora faccio io)

In questo modo il soggetto segnala all’interlocutore che è avvenuto uno

spostamento referenziale nel luogo anaforico associato a Chaplin. Tale

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avvertimento è dato dall’orientamento dello sguardo verso l’interlocutore

prima, e dal posizionamento nello spazio segnico sinistro delle mani nelle

frasi successive.

Ma il marcatore che indica al ricevente che sta per avvenire uno

spostamento referenziale può essere anche una sola espressione facciale. La

frase seguente (soggetto num. 1) era preceduta da un impersonamento nel

capo fabbrica.

Frase 7. SCUSA PIÙ TARDI TEMPO DOMANDO SCUSA PAUSA

BAGNO VELOCE

(più tardi il tempo scorre Chaplin chiede di andare in bagno per una pausa

veloce)

Seguendo i segni senza considerare il marcatore pragmatico dell’espressione

facciale, l’intera frase sarebbe da interpretare come un discorso fatto dal

capo, cioè dall’ultimo personaggio citato. Invece risulta chiaro per

l’interlocutore che si sta parlando di Chaplin, quindi è avvenuto uno

spostamento referenziale.

In questo caso il solo indice che lo segnala è l’espressione facciale, che

cambia da uno sguardo arrabbiato del capo, ad uno più sottomesso di

Chaplin.

Questa espressione però non è molto marcata, quindi si può dedurre che,

se non indicato diversamente, quando il discorso riprende, il soggetto citato è

il personaggio principale e non altri secondari.

Ogni qual volta avviene uno spostamento referenziale, le espressioni

facciali sono sempre interpretate come appartenenti al soggetto citato e non

al segnante. Anche i pronomi utilizzati in prima persona sono spostati in

terza persona. Come nella frase 6d. in cui il segno IO viene inteso riferito a

Chaplin e non al segnante.

Oltre all’espressione facciale molte volte i segnanti per segnalare uno

spostamento referenziale, ripetono la sola azione svolta dal soggetto a cui si

devono riferire.

Nei racconti osservati, si può notare come lo spazio non è utilizzato solo

come sistema referenziale, ma anche come strategia di coesione discorsiva.

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Durante la produzione di un discorso, il segnante può posizionare due

concetti, idee o personaggi in due spazi distinti per poi riferirsi a loro e dare

un giudizio personale o un commento soggettivo.

Nel racconto del soggetto num. 4., le impersonificazioni sono poche, e

l’intero discorso risulta schematico e più “distaccato” rispetto agli altri.

Questa particolare impostazione è dovuta al fatto che, diversamente dagli

altri soggetti, le intenzioni del segnante erano quelle di dare un proprio

giudizio a ciò che aveva visto.

Per rendere il discorso chiaro e coeso, il segnante ha posizionato i due

concetti principali, che in questo caso corrispondevano a due personaggi, in

due luoghi distinti e precisi. Il capo viene posizionato a destra, mentre

Chaplin viene posto a sinistra. Questa scelta non è casuale, visto che

precedentemente c’era già stata un associazione luogo-referente nella

descrizione degli avvenimenti.(frase num.3a.)

L’ associazioni luogo-referente viene fatta attraverso l’indicazione

manuale e lo spostamento dei segni nello spazio anaforico corrispondente.

(fig.4 appendice pg.81)

Questo modo di posizionare gli argomenti nello spazio come strategia di

coesione sembra sia valido anche per altre lingue dei segni(Winston, 1995).

Purtroppo non abbiamo potuto osservare l’utilizzo di questi luoghi anche

dopo un intervallo di tempo prolungato, come nello studio di Winston

(1995), dato che il segnante ha eseguito un discorso relativamente breve. Ciò

nonostante si può sostenere che una volta introdotti dei posizionamenti

spaziali, questi vengono mantenuti fino a quando non viene inserita una

nuova organizzazione spaziale o viene modificata quella già esistente.

Le posizioni spaziali vengono comunque utilizzate anche per esprimere

un successivo spostamento referenziale. In una frase successiva il segnante

giudica non corretto che il capo stia seduto a guardare Chaplin lavorare. Il

segno,

Frase 8 GUARDARE TRANQUILLO (fig. 5 appendice pg.81 )

(il capo osserva tranquillamente)

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viene fatto in questo caso orientandolo verso sinistra, rispettando

coerentemente le associazioni fatte nelle frasi precedenti.

6.4.4. Gli effetti dello spostamento referenziale

Come descritto sopra non tutti i soggetti hanno segnato lo spostamento

referenziale. Il soggetto num. 4 per esempio, ha esposto i fatti “dall’esterno”

proprio perché ha introdotto pochissimi spostamenti referenziali. Pare

dunque chiaro che la presenza o l’assenza di questa strategia é una scelta del

segnante che dipende dalle intenzioni comunicative.

Come sostengono Poulin & Miller (1995), se un soggetto ha come

intenzione quella di raccontare il più dettagliatamente possibile i fatti

avvenuti, quindi di esprimere un punto di vista interno al discorso, allora

indicherà lo spostamento referenziale frequentemente. Se l’intenzione è

quella di produrre un’attività metacomunicativa, come una critica personale

e soggettiva, quindi esterna al racconto, lo spostamento referenziale non sarà

quasi mai segnato o almeno lo sarà con una bassa frequenza.

Il punto di vista che si vuole esprimere ha una grande importanza sulla

struttura del racconto. Se è un punto di vista interno, lo spostamento

referenziale sarà spesso presente all’interno del racconto e in base ai diversi

marcatori anaforici il punto di vista si sposterà da un personaggio all’altro.

L’introduzione di uno spostamento referenziale può essere paragonato

alla struttura del discorso diretto riportato nelle lingue parlate: si può

affermare che viene utilizzato come quando gli udenti utilizzano

l’intonazione durante un racconto per segnalare uno spostamento di “parte”

o di “impersonificazione”.

Importante è comunque non dimenticare che lo spostamento referenziale

viene segnato non solo per riportare discorsi di altri, come nelle lingue

parlate, ma anche per riportare pensieri, azioni, emozioni dei soggetti citati.

Al contrario se si vuole sottolineare un punto di vista esterno al racconto,

soggettivo e personale, lo spostamento referenziale non verrà inserito perché

il ricevente deve attribuire ciò che viene enunciato al segnante.

Una caratteristica fondamentale del racconto del soggetto num. 4 è la

direzione dello sguardo, che è sempre orientato verso l’interlocutore, ad

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esclusione di un breve istante durante l’unico spostamento referenziale

inserito nel racconto e durante le associazioni luogo referente. Lo sguardo

verso l’interlocutore dà al racconto una forma indiretta del discorso. Le

particelle indicali segnate vengono interpretate riferendosi al segnante e non

ad altri personaggi, proprio per la mancanza di “impersonamento” data

soprattutto dall’orientamento fisso dello sguardo verso il ricevente.

Il soggetto num. 4 utilizza una strategia chiamata da Winston “spatial

mapping”, come visto in precedenza (fig.4 appendice pg.81 )

In questo modo si rende il racconto maggiormente strutturato, con poche

ripetizioni e con un impiego di tempo inferiore: infatti ripetere un segno

corrispondente ad un soggetto, seguito da un segno corrispondente

all’azione del soggetto, necessita di un maggior tempo rispetto a segnare

direttamente l’azione nel luogo associato a quel referente. Si evita così una

ridondanza di segni senza perderne la ricchezza informativa.

6.4.5. Differenza tra soggetti con media competenza LIS e soggetti con alta

competenza LIS

Dai resoconti videoregistrati si è potuto notare una differenza nel modo

di segnare e di fare uso della LIS per quel che riguarda lo spostamento

referenziale.

Alcuni soggetti infatti utilizzavano un impersonamento che però risultava

non chiaro e confuso all’interlocutore. I referenti erano ambigui e l’uso dello

sguardo oltre che dei segni non erano espliciti e coerenti con le associazioni

spaziali fatte precedentemente cosicché al ricevente risultavano ambigui sia

referenti citati dal segnante che i loro originali interlocutori.

I racconti risultano quindi poco informativi. La storia veniva narrata

evitando le scene che richiedevano un alternanza di personaggi. Infatti come

si può notare dagli eventi riportati dai soggetti, le scene in cui sono presenti

più personaggi (scena del rapporto tra operai, e il richiamo del presidente)

non vengono riportate da tutti, oppure vengono riportate ma risultano

ambigue.

Il racconto del soggetto num. 2, per esempio, mette in evidenza come la

storia venga strutturata in due parti: una che racconta le azioni del capo e

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una che si focalizza su Chaplin. In questo modo non avvengono

sovrapposizioni e non sono necessari molti spostamenti referenziali.

Nel penultimo evento però, sono presenti due personaggi che

interagiscono tra loro. La scena è quella del capo che scopre Chaplin fumare

nel bagno e lo rimprovera incitandolo a ritornare al lavoro. Chaplin

spaventato butta la sigaretta e torna al posto di lavoro. Questa scena è

raccontata dal segnante eliminando il personaggio del capo e segnando solo

le azioni di Chaplin. Forse il soggetto trovando difficoltoso spostarsi dall’uno

all’altro personaggio ha preferito eliminare un personaggio ed impersonare

l’unico rimasto utilizzando comunque l’orientamento dello sguardo e le

espressioni facciali in modo esplicito.

Tutto ciò rende il racconto poco chiaro ad un interlocutore che non

conosca gli eventi accaduti, ma può venire interpretato correttamente

attraverso deduzioni e inferenze corrette da un interlocutore già a

conoscenza del filmato. Non è da escludere che il soggetto abbia semplificato

la storia perché sapeva che l’interlocutore conosceva bene gli avvenimenti.

Un altro esempio di come lo spostamento referenziale sia segnato in base

alla competenza LIS è l’ultimo racconto del soggetto num. 6.

Questo soggetto ha una competenza medio-bassa della lingua dei segni, e il

racconto è molto dettagliato. Il segnante non ha evitato le scene in cui

apparivano più personaggi come il soggetto num. 2 , ma ha introdotto molte

volte degli spostamenti referenziali, che risultano però non marcati e quindi

ambigui.

Un esempio chiaro è la frase num. 7.:

Frase 10. CHAPLIN LIMARE UNGHIE sr [LAVORO DAI MUOVITI ]

(fig. 6, appendice pg. 82)

( Chaplin si lima le unghie, l’operaio che lavora gli dice dai muoviti)

In questa frase il segnante si rivolge verso destra quando impersona Chaplin

che si lima le unghie e guarda l’altro operaio lavorare. Da questa

impostazione spaziale l’operaio viene posto alla destra di Chaplin.

Quindi i segni seguenti che riportano un’ azione dell’operaio verso Chaplin

dovrebbero essere orientati verso sinistra cioè nel luogo associato a Chaplin.

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Invece sia Chaplin sia l’operaio vengono impersonati orientando sempre lo

sguardo e i segni verso destra. In questo modo non vengono rispettate le

associazioni spaziali e lo spostamento referenziale risulta di difficile

comprensione. Solo un ricevente che conosce già la storia può capire

correttamente gli eventi, ma se fosse all’oscuro della trama, avrebbe difficoltà

ad associare i referenti alle azioni compiute.

Una competenza inferiore della LIS porta quindi a introdurre marcatori

anaforici ambigui o ad evitare la strategia dello spostamento referenziale. I

soggetti avevano comunque una media competenza LIS e quindi non tutti i

marcatori anaforici sono stati eseguiti in modo ambiguo o evitati. (tab.9)

Ma un solo impersonamento non marcato per esempio può portare ad una

scorretta comprensione da parte del ricevente.

7. Conclusione

Lo scopo dello studio era quello di verificare se la Lingua Italiana dei

Segni disponesse di meccanismi pragmatici coesivi e di spostamento

referenziale, e se tali meccanismi venissero inseriti diversamente nella

narrazione, in funzione della competenza discorsiva dei soggetti e delle loro

intenzioni.

I risultati della ricerca hanno evidenziato come tali meccanismi pragmatici

siano presenti e abbiano un peso significativo sia in relazione alla competenza

LIS dei soggetti sia in relazione alle diverse intenzioni narrative. Questi

dispositivi pragmatici, vengono espressi attraverso un uso dello spazio che si

diversifica dall’uso spaziale dei segni linguistici verbali. Segni quindi che

vengono interpretati come marcatori pragmatici.

Questa analisi può risultare utile per chiarire quali siano le relazione tra

marcatori pragmatici e capacità di linguaggio nelle lingue dei segni. Risulta

evidente infatti che una buona competenza LIS, quindi una buona capacità

linguistico-discorsiva, porta ad utilizzare più frequentemente e in modo

esplicito i meccanismi pragmatici osservati, mentre una competenza

linguistica meno buona porta ad inserire meno marcatori pragmatici e più

spostamenti referenziali ambigui. In più la conoscenza non sufficientemente

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approfondita della LIS porta i soggetti ad inserire anche gesti pantomimici

nelle loro narrazioni. In questa ottica, occorre sottolineare quanto sia

evidente, nei racconti analizzati, la differenza funzionale tra pantomima e

segni. La LIS utilizza meccanismi precisi di coesione testuale e discorsiva che

vengono espressi attraverso un particolare uso dello spazio. I soggetti con

bassa competenza LIS si esprimono utilizzando una quantità notevole di gesti

pantomimici, ed utilizzano meno, o in modo ambiguo, i diversi meccanismi

pragmatici, con la conseguenza di una narrazione poco chiara, non

informativa per un ricevente che non conoscesse già la storia raccontata.

Ulteriori ricerche potranno approfondire meglio questo argomento.

Infatti il lavoro svolto voleva essere un’ analisi di tipo qualitativo, semi-

sperimentale, per cui il basso numero di soggetti presi in esame non ci

permette di arrivare a risultati statisticamente significativi e generalizzabili.

La mancanza di significatività rilevata dall’interazione tra le variabili nei due

gruppi di soggetti (Alta e Bassa competenza) è probabilmente imputabile alla

presenza nel gruppo di soggetti a Bassa competenza di un soggetto (sogg. 6)

che aggiunge alla Lingua dei segni molti gesti pantomimici, i quali, come

indicato nella discussione, sono difficilmente dissociabili dai segni.

Nuove e ulteriori ricerche potranno approfondire l’analisi in questa

direzione, aumentando e distribuendo meglio il campione ad esempio, per

rendere i risultati più chiari e significativi, mettendo a confronto diversi

gruppi con capacità LIS differenti. Anche un confronto tra segnanti che

hanno una buona produzione dell’ l’italiano parlato potrebbe portare risultati

interessanti sul rapporto spazio e capacità linguistica anaforica in generale.

Questi risultati possono essere letti anche da una prospettiva pratico-

educativa. Infatti risulta importante che l’insegnamento corretto delle lingue

dei segni tenga conto delle strutture e dei meccanismi pragmatici propri della

lingua dei segni. Non è sufficiente infatti avere una buona conoscenza degli

aspetti morfosintattici e lessicali per poter comunicare in modo chiaro ed

efficace. La componente pragmatica come nelle lingue parlate, ha

un’importanza cruciale nelle interazioni, e viene appresa in modo

inconsapevole e spontaneo da un bambino sordo che vive i un ambiente in cui

la LIS è utilizzata in modo costante. Un udente che abbia intenzione di

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apprendere una lingua dei segni, dovrà invece tener conto di questi aspetti

pragmatici e metalinguistici in modo esplicito e intenzionale ed attraverso un

uso costante della lingua, farli divenire spontanei ed impliciti nella propria

competenza linguistico-discorsiva.

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APPENDICE

Figura 1.

ftg. 2 ftg.3 ftg.4 ftg.5 ftg.6

LAMENTARSI ALTRO NON RIUSCIRE

(Il collega si lamentava e Chaplin gli rispondeva che non riusciva più di così)

Figura 2

Fig.2.a.

ftg.0 ftg.1 ftg.2 ftg.3

LUI ALRTICOLATORE LAVORARE

( Non si era accorto di lui -Chaplin- che era qui, in questa posizione )

Fig.2.b.

ftg.7 ftg.8

HEI DAI!!!

(hei dai dammi il cambio che fai?)

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Figura 3

Fig. 3.a.

ftg.0 ftg.2 ftg.4

CAMBIO MUOVITI

(L’operaio del cambio dice a Chaplin di muoversi a dargli il cambio)

Fig.3.b.

ftg.8 ftg. 9 ftg.10

ASPETTA LIMARE UNGHIE

(Aspetta finisco di limarmi le unghie)

Fig.3.c.

ftg.17 ftg.18

CHIAMARE IO

(Chaplin lo chiama e dice: “faccio io”)

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Figura 4

Fig.4.a.

ftg. 21 ftg.22 ftg.23

LUI LAVORARE

( deve lavorare uguale a lui, cioè Chaplin )

Fig.4.b.

ftg.24 ftg.25 ftg.26

CAPO LAVORARE LAVORARE

(Il capo deve lavorare )

Figura 5

ftg. 32 ftg. 33

GUARDARE TRANQUILLO

(Il capo guarda tranquillo Chaplin)

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Figura. 6

Fig.6.a.

ftg. 17 ftg.18 ftg.19 ftg.20 ftg.21

CHAPLIN LIMARE UNGHIE

(Chaplin si limava le unghie mentre guardava lavorare l’operaio del cambio)

Fig.6.b.

ftg.0 ftg.1 ftg.2

LAVORARE DAI MUOVITI

( L’altro operaio del cambio dice a Chaplin di muoversi a dargli il cambio)

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RINGRAZIAMENTI

Vorrei prima di tutto ringraziare le persone iscritte all’Ente Nazionale

Sordomuti di Forlì, per essersi gentilmente prestate per le osservazioni. In

particolare vorrei ringraziare il presidente Nadir Tronchi e Valentina

Baraghini per avermi aiutato nel lavoro di traduzione e per essere stati

sempre disponibili durante l’intero lavoro di videoregistrazione e di analisi.

Un grazie al Prof. Gianni Brighetti per la sua generosa disponibilità ed il suo

costante interessamento al procedere del lavoro.

Un grazie anche a Luca per il prezioso aiuto datomi durante l’uso dei

programmi Photo-Shop e Adobe Première e per il simpatico interessamento

per la ricerca.

Vorrei ringraziare particolarmente Claudio, per avermi aiutato con pazienza

nell’esecuzione di parte dei grafici e delle tabelle oltre che per avermi

sempre sostenuta durante il periodo della ricerca ed aiutata per la scrittura

del lavoro.

Infine un ringraziamento speciale alla Prof.ssa Silvana Contento per avermi

seguito e aiutato costantemente con pazienza durante l’intero periodo di

lavoro.

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CD-Rom Dizionario Mimico Gestuale, Ideazione, progettazione e coordinamento di G. Pignotti, Rinascita informatica Ascoli Piceno

Film

Dove siete io sono qui, regia di L. Cavani, Italia 1993.

Figli di un Dio minore, regia di R. Haines, USA 1986.

Nel paese dei sordi, regia di N. Philibert, Francia 1992.

Tempi Moderni, regia di Ch. Chaplin, USA 1936.