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203 La quercia caduta Dov’era l’ombra, or sé la quercia spande morta, né più coi turbini tenzona. La gente dice: Or vedo: era pur grande! Pendono qua e là dalla corona i nidietti della primavera. Dice la gente: Or vedo: era pur buona! Ognuno loda, ognuno taglia. A Sera Ognuno col suo grave fascio va. Nell’aria, un pianto... d’una capinera che cerca il nido che non troverà. (Giovanni Pascoli) I grandi alberi, veri patriarchi della natura, richiamano sem- pre più l’attenzione e impongono attente riflessioni in ordine all’opportunità o alla necessità di prevedere per essi specifiche misure volte alla tutela o a favorire la loro conser- vazione nel tempo. Alfonso Alessandrini, nel suo libro “Gli alberi monumentali d’Italia” afferma che “la dimensione dei grandi alberi ci sovrasta e incombe con l’autorità dei secoli e dei millenni sul nostro quo- tidiano (…). Sono alberi carismatici, portano i nomi di santi o di eroi, sono cattedrali vive, architravi del bosco, puntelli del fir- mamento. Hanno un valore estetico, storico, religioso e culturale, ma anche genetico. Sono alberi con un’anima e hanno avuto cer- tamente un angelo custode molto zelante se si sono salvati”. Gli alberi, soprattutto quelli di grandi dimensioni, hanno esercitato sin dai tempi antichi un fascino particolare sul- l’uomo, il quale ha sovente attribuito loro significati storici, culturali, religiosi, paesaggistici, estetici o semplicemente affettivi ed emozionali, identificandoli spesso con l’essenza stessa della vita. Se i grandi alberi secolari potessero parlare, racconterebbero la storia di un territorio, di una comunità, e proprio la loro età e “monumentalità” ne fa dei veri e propri monumenti storici e artistici da tutelare come patrimonio regionale o nazionale o meglio dell’umanità alla pari di un reperto archeologico o di un monumento nazionale. “Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce t’in- segneranno le cose che nessun maestro ti dirà”. Con queste parole, all’inizio del XII secolo, Bernardo da Chiaravalle con- sigliava di guardare alla natura per trovare una risposta al mistero della vita. Parole valide da sempre, perché dai tempi più remoti e presso tutte le culture il destino dell’umanità fu strettamente interrelato alla presenza della vegetazione 1 . Fin dalla loro comparsa gli alberi hanno costituito un aspet- to fondamentale dell’ecosistema: per il ciclo dell’acqua e della vita, per l’equilibrio del clima e per la sopravvivenza delle specie animali. Ma all’umanità, oltre alla possibilità del- l’evoluzione materiale, era offerto ben di più. Ci fu un’epoca remota nella quale i boschi, riconosciuti come manifestazio- ne immediata del divino, furono al centro della vita spiri- tuale delle comunità e conseguentemente dell’organizzazio- ne religiosa. Tanto che dallo sciamanesimo eurasiatico a quello dell’America del nord la natura nutrice, simbolo materno di fecondità e di trascendenza, venne adorata come una dea vivente. L’albero, sua espressione, si trasformò così in un potente simbolo del sacro 2 . Hermann Hesse soleva ripetere che “gli alberi sono santuari. Chi sa parlare con loro, chi sa ascoltarli, conosce la verità”. Presso ogni cultura, tradizioni mitiche e di folklore venera- rono questi altari del cielo e della terra, carichi di valenze simboliche. A solo titolo di esempio si possono ricordare le seguenti raffigurazioni: - l’albero come immagine dell’energia del cosmo in movi- mento, in quanto simbolo di rigenerazione allusa dalla ciclicità del seme; - l’albero come microcosmo e sintesi dell’armonia degli elementi - l’aria, che filtra attraverso la chioma, il fuoco, energia radiante raccolta dalle foglie, l’acqua, assorbita dalle radici affondate in terra; - l’albero come centro ideale del mondo o albero cosmico, asse di collegamento tra i regni sotterraneo, di superficie e del cielo, uniti tra di loro attraverso il tronco dall’appara- to radicale alle fronde, ponte di passaggio dal fisico allo spirituale, e in questo senso metafora dell’uomo, a sua volta mediatore tra i mondi. I GRANDI ALBERI, TRA SIMBOLOGIA E MITO di Moris Lorenzi 1 Tratto da: Elisabetta Landi. L’albero in Emilia Romagna tra simbolo e arte. Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna. 2 Ibidem. Foto a lato: un faggio del Menna, località Cascinetto.

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La quercia cadutaDov’era l’ombra, or sé la quercia spande

morta, né più coi turbini tenzona.La gente dice: Or vedo: era pur grande!

Pendono qua e là dalla coronai nidietti della primavera.

Dice la gente: Or vedo: era pur buona!Ognuno loda, ognuno taglia. A Sera

Ognuno col suo grave fascio va.Nell’aria, un pianto... d’una capinera

che cerca il nido che non troverà.(Giovanni Pascoli)

Igrandi alberi, veri patriarchi della natura, richiamano sem-pre più l’attenzione e impongono attente riflessioni in

ordine all’opportunità o alla necessità di prevedere per essispecifiche misure volte alla tutela o a favorire la loro conser-vazione nel tempo. Alfonso Alessandrini, nel suo libro “Gli alberi monumentalid’Italia” afferma che “la dimensione dei grandi alberi ci sovrastae incombe con l’autorità dei secoli e dei millenni sul nostro quo-tidiano (…). Sono alberi carismatici, portano i nomi di santi odi eroi, sono cattedrali vive, architravi del bosco, puntelli del fir-mamento. Hanno un valore estetico, storico, religioso e culturale,ma anche genetico. Sono alberi con un’anima e hanno avuto cer-tamente un angelo custode molto zelante se si sono salvati”.Gli alberi, soprattutto quelli di grandi dimensioni, hannoesercitato sin dai tempi antichi un fascino particolare sul-l’uomo, il quale ha sovente attribuito loro significati storici,culturali, religiosi, paesaggistici, estetici o semplicementeaffettivi ed emozionali, identificandoli spesso con l’essenzastessa della vita.Se i grandi alberi secolari potessero parlare, racconterebberola storia di un territorio, di una comunità, e proprio la loroetà e “monumentalità” ne fa dei veri e propri monumentistorici e artistici da tutelare come patrimonio regionale onazionale o meglio dell’umanità alla pari di un repertoarcheologico o di un monumento nazionale.

“Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce t’in-segneranno le cose che nessun maestro ti dirà”. Con questeparole, all’inizio del XII secolo, Bernardo da Chiaravalle con-sigliava di guardare alla natura per trovare una risposta almistero della vita. Parole valide da sempre, perché dai tempipiù remoti e presso tutte le culture il destino dell’umanità fustrettamente interrelato alla presenza della vegetazione1.Fin dalla loro comparsa gli alberi hanno costituito un aspet-to fondamentale dell’ecosistema: per il ciclo dell’acqua edella vita, per l’equilibrio del clima e per la sopravvivenzadelle specie animali. Ma all’umanità, oltre alla possibilità del-l’evoluzione materiale, era offerto ben di più. Ci fu un’epocaremota nella quale i boschi, riconosciuti come manifestazio-ne immediata del divino, furono al centro della vita spiri-tuale delle comunità e conseguentemente dell’organizzazio-ne religiosa. Tanto che dallo sciamanesimo eurasiatico aquello dell’America del nord la natura nutrice, simbolomaterno di fecondità e di trascendenza, venne adorata comeuna dea vivente. L’albero, sua espressione, si trasformò cosìin un potente simbolo del sacro2.Hermann Hesse soleva ripetere che “gli alberi sono santuari.Chi sa parlare con loro, chi sa ascoltarli, conosce la verità”.Presso ogni cultura, tradizioni mitiche e di folklore venera-rono questi altari del cielo e della terra, carichi di valenzesimboliche. A solo titolo di esempio si possono ricordare leseguenti raffigurazioni:- l’albero come immagine dell’energia del cosmo in movi-

mento, in quanto simbolo di rigenerazione allusa dallaciclicità del seme;

- l’albero come microcosmo e sintesi dell’armonia degli elementi - l’aria, che filtra attraverso la chioma, il fuoco,energia radiante raccolta dalle foglie, l’acqua, assorbitadalle radici affondate in terra;

- l’albero come centro ideale del mondo o albero cosmico,asse di collegamento tra i regni sotterraneo, di superficie edel cielo, uniti tra di loro attraverso il tronco dall’appara-to radicale alle fronde, ponte di passaggio dal fisico allospirituale, e in questo senso metafora dell’uomo, a suavolta mediatore tra i mondi.

I GRANDI ALBERI, TRA SIMBOLOGIA E MITOdi Moris Lorenzi

1 Tratto da: Elisabetta Landi. L’albero in Emilia Romagna tra simbolo e arte. Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna.2 Ibidem.

Foto a lato: un faggio del Menna, località Cascinetto.

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L’albero, con il significato di porta iniziatica, luogo dell’in-contro tra le forze del cielo e della terra da dove attingereenergia spirituale, venne utilizzato dalle religioni: l’Alberodella Bodhi, dove il Buddha conseguì l’illuminazione, lascala di Giacobbe e soprattutto la Croce, nel suo valore disimbolo dell’unione tra la terra e il cielo. Ma anche l’albero-altare dei druidi, detti non a caso “uomini quercia”, o l’albe-ro-totem degli indiani nordamericani, luogo magico dicomunicazione con il divino3. Ciò suggerì l’albero, nei mil-lenni, all’umanità. E dalla profondità del suo impatto comeimmagine dell’inconscio, è possibile cogliere l’estrema varie-tà delle tipologie iconografiche ricorrenti, riferite nell’espres-sione artistica alle diverse specie arboree, fin dai tempi piùantichi: - l’albero-asse del Mondo: rappresenta la manifestazione

che tende verso l’alto. Ispirò i costruttori delle piramidi,come gli architetti delle cattedrali, nella ricerca di un “cen-tro” di partenza per orientare l’edificio rispetto al sorgeredel sole4;

- l’albero rovesciato: esprime il cosmo e le origini della crea-zione come manifestazione divina5;

- l’albero della vita, o albero cosmico: è associato al pianodella creazione e all’immagine femminile della divinità,dove l’albero alimenta con i suoi frutti e protegge, offren-do riparo con le fronde;

- l’albero della conoscenza del bene e del male: sorge nelParadiso Terrestre e rappresenta la polarità tra gli opposti,appunto, bene e male, luce e ombra, permettendo cosìall’uomo di confrontare e in questo modo vedere i proprilimiti6;

- l’albero antenato, associato alla nascita e alla genealogia diindividui o di comunità che in esso riconoscono un miti-co antenato;

- l’albero di Jesse, tra i simboli più densi della mistica cri-stiana. Si può considerare come un esempio di alberoantenato con riferimento alla Vergine ed è rappresentatocome un albero che esce dall’ombelico o dalla bocca di unafigura sdraiata, allusiva al progenitore; dai rami affioranole immagini della Vergine e del Cristo, cui si associanoangeli, profeti e altre figure7;

- l’albero nella tradizione ebraica, dove rappresenta la vitaspirituale e trova espressione nell’albero delle Sefiroth, unideogramma che collega tra di loro dieci essenze metafisi-che, le Sefiroth, citate nei testi biblici.

Queste le tipologie più diffuse. Senza contare l’interpretazio-ne delle diverse specie come espressioni di valori morali vei-colati dall’attribuzione agli dei e spesso integrati successiva-mente dall’etica cristiana: la vite, prima consacrata a Bacco,divenuta simbolo di prosperità spirituale conquistata con ilsangue di Cristo. La palma, collegata alle origini di Roma,trasformata in simbolo del trionfo conseguente al martirio.L’alloro, sacro ad Apollo e perciò attributo dello spirito sola-re, della musica, della poesia e segno di vittoria, in quantoalbero di Giove. Il pioppo, riferito ad Ercole e allo spirito disacrificio. Il pero, albero di Venere e di Giunone, poi ricor-rente nell’iconografia mariana in relazione all’immaginedella Vergine con il Figlio. La quercia, robur come forza per-ché associata ai fulmini di Giove e al dono della veggenza.L’ulivo della pace, fatto germogliare da Minerva al terminedella contesa per il possesso dell’Attica. Il salice, albero diGiunone e delle divinità lunari, ritenuto infecondo e perciòtramandato con valenza negativa di pianta funeraria. Comepure il cipresso, pianta dei cimiteri consacrata ad Ade ma tra-sformata in segno di virtù spirituale dal cristianesimo e inparticolare da Origene, che l’associò alla Vergine per il suoandamento svettante verso il cielo. E ancora, l’albero di aca-cia, pegno di resurrezione, l’acanto, simbolo di trionfo, ilmelograno, pianta della fertilità, il castagno, dono dellaprovvidenza, il noce, albero della profezia, il cedro, espres-sione dell’incorruttibile, il banano, invito a meditare sullafragilità umana e il melo, simbolo della conoscenza suggeri-ta dal pentacolo che risulta dalla sezione trasversale del frut-to. Tanto per citare gli esempi più famosi. Inevitabile, quin-di, un trasferimento nell’immagine dell’albero di queste sim-bologie complesse. Un repertorio spesso problematico per lavarietà delle sue possibili interpretazioni8.Riprendendo alcuni passaggi di Sergio Venturi, autore delvolume “Alberi monumentali dell’Emilia-Romagna” e diAthos Vianelli, autore de “I boschi dell’Emilia-Romagna”, sievidenzia il grande valore simbolico, culturale e sociale deglialberi, che sino dall’età più antica sono stati considerati sim-bolo cosmico e di vita, di rigenerazione e resurrezione, diascensione verso il cielo, mettendo in comunicazione, dal-l’apparato radicale alle fronde, il mondo sotterraneo conquelli della terra e del cielo.L’albero compare frequentemente anche nell’interpretazioneantropomorfica, dove originariamente tronchi o travi sim-boleggiavano le divinità e negli alberi, particolarmente nelle

3 Ibidem.4 È un sempreverde, identificato in Gallia con la quercia, in Germania con il tasso, in Scandinavia col frassino, in Siberia con la betulla, nell’Islam con l’olivo

e in India con il baniani. Nella sua accezione di Albero cosmico si collega alla scala di Giacobbe. E. Landi, cit.5 “L’uomo è un albero rovesciato con le radici che tendono al cielo e i rami verso terra”. Così Platone riassumeva il significato profondo di questo simbolo di

diffusione indoeuropea: dai testi vedici alla cultura greca, ebraica, islamica, fino al folklore finnico e islandese. E. Landi, cit.6 La tradizione lo identifica variamente con il fico o con il melo. E. Landi, cit.7 L’iconografia cistercense, sensibile alla devozione mariana, ne fece largo uso e lo rappresentò nei codici miniati, nell’oreficeria e soprattutto nelle vetrate delle

cattedrali. Gli esempi più famosi si trovano a Chartres e a Saint Denis.8 Ibidem.

Foto a lato: carpino e tiglio nel Parco di Villa Zanchi a Stezzano.

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querce, dimoravano le mitiche Amadriadi, ninfe protettricidella foresta. La mitologia racconta che la dea egizia del sico-moro donò la vita eterna ai morti, Adone nacque dalla mirrae Dafne venne trasformata in lauro, poi sacro allo spasiman-te Apollo, mentre Adone (dio della vegetazione per gli anti-chi Greci) nacque da un tronco di albero di mirra. Il mito di Adone conferma un’antica credenza secondo laquale l’uomo sarebbe derivato da un albero. Del culto deglialberi è pervasa pressoché ogni cultura, frequenti sono i riferimenti biblici e mitologici: l’albero della vita, della conoscenza del bene e del male, l’albero onirico diNabucodonosor rappresentava il potere regio, quello carico dipomi d’oro nel giardino delle Esperidi, l’albero del maggio (edella rivoluzione), quello della cuccagna, e altri ancora.La visione sacrale dell’albero maestoso e del bosco, è untopos ricorrente che è certamente collegato anche alla esi-genza di tutela, garantendo ai boschi una sopravvivenza ecrescita adeguate. I luchi o boschi sacri, il delubro, primitivosantuario spesso rappresentato da un annoso tronco, erano lerappresentazioni tangibili delle divinità e come ebbe a direSeneca, “Se ti si affaccia selva folta di piante annose e d’insoli-ta altezza, che pel denso intreccio dei rami tolga alla luce delcielo di penetrarvi; quel luogo cupo e segreto, e l’ammirazione diquell’ombre protese ti fanno fede dell’esistenza delle divinità”.Entrare in un bosco sacro richiedeva atti propiziatori ed ilsuo sfoltimento o potatura esigeva un atto riparatore che,come ci ricorda Catone, consisteva nel sacrificio espiatorio diun porco e la recita di preghiere alla divinità.Gli alberi custodivano le spoglie degli eroi che in qualchemodo tornavano a vivere nutrendo le folte chiome; Frisso9

affigge il vello d’oro offerto a Giove ad un albero nel boscosacro a Marte e Odisseo, ad esempio, edifica la propriastanza nuziale attorno al letto ricavato da un grande ceppod’ulivo.Particolare importanza ebbero le foreste e gli alberi presso iCelti, che occuparono la Pianura Padana dal V secolo a.C.diffondendo una vera e propria cultura del legno che ancorasi avverte nella nostra area regionale, già caratterizzata daampi boschi planiziali di cui rari lembi sono giunti fino ainostri tempi. Non deve sorprendere quindi il fatto che il cri-stianesimo ebbe notevoli difficoltà nel diffondersi, quasi unpalinsesto su una società con un Olimpo vasto e variegatoche privilegiava il culto degli elementi naturali, di cui dovet-te mediare le credenze fortemente radicate, specialmentepresso le classi rurali.I maestosi alberi, spesso situati nei pressi della case podera-li, oppure in posizione prospettica o panoramica ci posso-no far tuttora pensare a quello che, per Plinio “secondo un

rito antico, la gente semplice di campagna consacra ad undio”. Anche in età moderna pertanto l’albero è frequente-mente legato al culto. L’apposizione di una icona sacra, diex voto, significa sacralizzare la pianta e tramandarne l’ar-caica valenza di sacello: della Quercia, dell’Olmo,

9 Frisso, figlio di Atamànte e di Nèfele, per sottrarsi alla persecuzione della matrigna Ino, aiutato dalla madre, che era una dea, fuggì con la sorella Elle daOrcomeno in groppa ad un montone dal Vello d’oro presentatogli da Mercurio e si diresse per le vie dell’aria verso la Colchide. Durante il tragitto, perdet-te la sorella, caduta in mare in quel tratto che poi da lei prese il nome di mare di Elle o Ellesponto e, giunto finalmente nella Colchide, sacrificò a Giove ilfatato montone e ne appese il Vello nel bosco sacro a Marte, affdandone la gelosa custodia a un formidabile drago.

10 Pietro de’Crescenzi, autore nel 1471 del volume Ruralia comoda, il primo trattato di agricoltura stampato.

Foto sopra: percorso del naviglio di Cremona corredato da disegni di alberi che appaiono monumentali. Cabreo del XVII secolo. Biblioteca Civica Angelo Maj.

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dell’Acero sono i titoli di molti santuari mariani essendol’albero il luogo epifanico per eccellenza.L’albero monumentale, che incute, per dimensione e vetustà,rispetto e meraviglia, è anche facile oggetto di leggende o dianeddoti, raramente veritieri, che spesso scaturiscono dalsolo fatto di essere stato, per longevità, muto testimone disecoli di storia: il passaggio o la sosta di un santo, di unregnante, di un personaggio risorgimentale o di un poetasono le casistiche più frequenti. L’arco plurisecolare dell’esistenza di un albero, tanto più lon-gevo dell’uomo, media in termini fisici il rapporto con per-

sone e fatti di rilevanza storica tanto da lasciare un’impalpa-bile traccia degli eventi. La sopravvivenza di un albero e laconseguente monumentalità acquisita deriva da diversi fat-tori, talvolta concomitanti: innanzitutto, nei pressi della casaed attorno alla corte rurale, offre riparo ed ombra oltre adavere uno scopo ornamentale. Serve anche da frangivento el’utilità di queste barriere arboree è ampiamente ricordatanella letteratura agronomica sin dal trattato rinascimentaledi Pietro de’Crescenzi10. Frequente è la sua presenza in parchi e giardini di ville e deli-zie, così come nei luoghi pubblici, sulla piazza o sul sagrato,

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nei pressi delle sedi di riunioni della comunità. Si conosco-no consigli comunali tenuti presso alberi imponenti e fre-quenti erano gli atti rogati sotto le sue fronde nel mestiereitinerante del notaio. Assurge poi frequentemente a segno territoriale, in partico-lare quale punto di confine o termine tra poderi, comunità etalvolta tra stati. Già Varrone11 ricorda l’utilità degli alberi diconfine rendendo questi più sicuri ed evitando spiacevolilitigi: sovente il grande albero, che vediamo isolato supersti-te nel paesaggio di pianura oppure inspiegabilmente scam-pato ai tagli colturali in montagna, null’altro è che un segnodi confine, quindi in comproprietà e pertanto intangibile. Utile caposaldo nell’agrimensura l’albero veniva spesso men-zionato anche nelle rilevazioni di campagna nel tracciare unastrada oppure un canale naviglio o di bonifica. Non ultimo,nella cartografia dell’Istituto Geografico Militare, troviamoalberi isolati e in luoghi emergenti specificamente segnalati

mediante un simbolo mimetico che ne individua la specie.Altra casistica interessante e frequente è la presenza di filarid’alberi che creano dei cannocchiali prospettici fiancheggiantile strade o i campi, lunghi talvolta alcuni chilometri. LorenzoMolossi12 ricorda nell’Ottocento lo stradone, lungo quasi settechilometri che dal castello di Montanaro (S. GiorgioPiacentino) portava alla via Emilia “fiancheggiato da spallieradi carpino, e da alberi vagamente alternati”. Altri filari sonoquelli che adducono a molti cimiteri, nei parchi della rimem-branza oppure piantati, quando ancora c’era questa educativausanza, dai fanciulli in occasione della Festa dell’albero. Altre circostanze che possono portare alla monumentalitàsono l’isolamento dell’albero stesso o la sua scarsa utilitànella carpenteria oppure, ed è il caso dei giganteschi casta-gni, perché fruttiferi e longevi. Tra questi, e per l’ampiacavità interna che caratterizza molti alberi della specie,sono stati ricavati ricoveri per animali da cortile e addirit-

11 Marco TerenzioVarrone (Rieti, 116-27 a.C.), autore di De rustica, opera in 3 libri, di cui il I tratta dell’agricoltura in generale, il II dell’allevamento del bestiamee il III degli animali da villa e da cortile.

12 Lorenzo Molossi, autore del Vocabolario topografico dei Ducati di Parma, Piacenza e Guastalla (1832-1834).

Foto sopra: maschera lignea all'apice delle travature del tetto del Castello visconteo di Brignano. Foto a lato: l'interno del castagno secolare di Cà Benico a Capizzone, accessibile da una una porticina ricavata direttamente nel legno morto del tronco, suggeriscel'idea di una dimora dendritica.

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tura osterie. L’uso conviviale del cavo arboreo è ricordatoanche in età classica: Plinio menziona un platano dellaLicia (Asia minore) nella cui cavità di ben 24 mq trovaro-no posto diciassette commensali ospiti di Licinio Muciano,Console di quella provincia.La tutela degli alberi e dei boschi in genere subì un certodeclino, complice anche la diminuita sacralità, in età medie-vale e con l’allentamento dei controlli sulle foreste regie ecomunitarie, nonché dall’esigenza di guadagnare terreno agri-colo ad una crescente popolazione mediante il dissodamentoe disboscamento che furono particolarmente accelerati negliultimi due secoli. È necessario inoltre ricordare che l’aspettopaesistico ed il regime d’utilizzo dei boschi hanno subito, inmodo accentuato nello scorso mezzo secolo, profonde altera-zioni. Il bosco ad alto fusto, particolarmente il querceto, eratenuto in grande considerazione per la raccolta delle ghiandee per il pascolo brado dei porci; il fogliame serviva da lettieraper il bestiame e le frasche fornivano un’integrazione alimen-tare. I castagneti erano conservati e mantenuti puliti per faci-litare la raccolta dei frutti e quindi il bosco era oggetto di con-tinua manutenzione che ne garantiva la vitalità e le conferivacaratteristiche paesistiche oggi pressoché illeggibili.L’albero monumentale, per usare il termine mediato dall’ar-chitettura, non trovava menzione o considerazione nellenorme e consuetudini d’età medievale. Gli statuti comunalisi preoccupano di salvaguardare i boschi pubblici dal taglioabusivo e dal pascolo dannoso com’è il caso delle capre oquando insiste su un bosco ceduo di recente taglio con evi-dente rischio per i giovani polloni. Alcune disposizioniobbligavano le comunità locali a tenere sgombre le stradedall’eccessiva vegetazione nonché le ripe di canali d’acquepubbliche atti alla navigazione.

Non di rado, in un contesto in cui i boschi erano assai piùestesi che oggi, troviamo anche disposizioni relative al lorotaglio, lungo le maggiori direttrici e per una certa profondi-tà, in quanto costituivano rifugio a briganti e consentivanoagguati a sorpresa. Ma d’altronde anche la legislazione d’etàmoderna non contempla casi particolari, ritenendo il patri-monio forestale, oramai quasi esclusivamente relegato al ter-ritorio montano, una semplice risorsa economica stretta-mente correlata all’attività pascoliva.Già verso la fine del Settecento si poneva maggiore attenzio-ne al problema in quanto l’eccessivo disboscamento facevaintuire pericoli idrogeologici e già decreti e leggi vietavano ildissodamento e il disboscamento dei crinali e dei maggioripendii nei pressi degli abitati.Il vincolo forestale, nel caso del mantenimento di boschiinterposti tra paludi, stagni e centri abitati, aveva anche unaragione d’igiene tendente ad ostacolare i miasmi dannosi.Questa visione di difesa territoriale, anche oggi presentenella legislazione vigente, viene palesata nella prima leggeforestale dell’Italia unitaria emanata nel 1877 ed ancora alcu-ni decenni la separano dalle prime organiche azioni in favo-re del rimboschimento. Occorre attendere quindi le leggi n.1089 e n. 1497 del 1939, relative ai beni storico-artistici edalle bellezze naturali, per avere un primo cenno alla tutela delpatrimonio arboreo sia pur limitatamente ai giardini e par-chi ed agli insiemi, non meglio specificati, delle “bellezzepanoramiche considerate come quadri naturali”. Gli ultimi decenni, contraddistinti dal crescente movimentoecologico, dalle azioni legislative regionali, dalla estensionedella pianificazione urbanistica anche a quegli aspetti terri-toriali ritenuti più negletti quali l’agricoltura e la tutelaambientale, hanno favorito l’affiancamento, alle professiona-lità tradizionalmente preposte alla formazione dei piani, digeologi, agronomi, forestali e botanici. Pertanto il dibattitoculturale, le esperienze di pianificazione, le numerose leggiregionali per la tutela della natura e per la costituzione deiparchi e, non ultimi i Piani Territoriali Paesistici Regionali ei P.T.C.P., hanno riportato all’attenzione la non completaadeguatezza della legislazione in materia di tutela del paesag-gio, sollecitando risposte efficaci che non possono prescin-dere dal coinvolgimento coordinato di tutte le componentisociali e culturali, con particolare riferimento alla fase di rile-vamento conoscitivo, propedeutica ad ogni decisione.

DENDRITI

Con questo termine (dal greco dendron, albero) si indicanogli asceti cristiani che, nell'Oriente bizantino, trascorreva-no parte della loro vita dentro le insenature di grossi alberi.La categoria dei dendriti fu assai più ristretta di quelladegli stiliti (asceti sulle colonne), né mai acquistarono lapopolarità di quelli, pur conducendo un genere di vitaugualmente rigoroso e mortificato; furono pochi e solo notiin qualche regione vicina al luogo del loro ascetismo.

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