I Gladiatori
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Transcript of I Gladiatori
Konstantin Nossov
L’ordine del Tempio era un’organizzazione religioso-militare istituita per proteggere pellegrini e coloni in Terra Santa. I Templari si consideravano guerrieri di Dio che combattevano nel nome di Dio e si crearono una reputazione temibile tra i vicini musulmani. Questo libro tratta degli uomini che entrarono a far parte dell’ordine e dei motivi per cui lo fecero, in particolare coloro che combatterono in Terra Santa. Sulla base di fonti
contemporanee, il libro presenta un attento studio della vita quotidiana dei guerrieri: dal cerimoniale di ammissione all’ordine al loro addestramento, alla loro organizzazio-ne sul campo e al modo in cui combattevano.
GLADIATORISangue e spettacolo nella Roma antica
Kostantin Nossov
L
GLADIATORI
GLADIATORI
BIBLIOTECA DI ARTE MILITAREI GUERRIERI1
Konstantin Nossov
GLADIATORISangue e spettacolo nella Roma antica
11
Un affresco
rappresentante
due gladiatori bustuarii,
dagli scavi di Paestum,
in Campania.
Metà del secolo IV a.C.
(Museo Archeologico
Nazionale, Paestum)
2 L’errore si basa sulle attribuzioni errate di Tertullianus (De Spectaculis5.6) e Athenaeus (4.53) le cui parole furono giudicateveritiere senza verifiche da molti allievi.
Capitolo 1
GLI SPETTACOLI NELL’ANTICA ROMA I giochi gladiatori
I giochi gladiatori, come molte altre tradizioni romane, sono stati a lungoconsiderati di derivazione etrusca2. Eppure fra gli oggetti etruschi restituitici
dagli scavi, nemmeno uno testimonia l’abitudine degli Etruschi di organizzare
giochi di questo genere. Le pitture murali nelle tombe dei nobili etruschi
rappresentano attività sportive, per esempio corse di carri o gare d’atletica, ma
non incontri di scherma. Nella Tomba degli Auguri di Tarquinia c’è un famoso
disegno in cui un uomo incappucciato, armato di bastone, si difende da un
cane aizzato contro di lui da un altro uomo, il cui volto è coperto da una
maschera: poiché si tratta di un animale che attacca un uomo, e non di uno
scontro armato fra due uomini, non si può parlare di giochi gladiatori.
La recente scoperta di alcuni affreschi in Campania, nell’Italia meridionale, ha
rivoluzionato le convinzioni riguardanti le origini della gladiatura. Questi
affreschi, risalenti al 370-340 a.C. e numerosi soprattutto nella zona di Paestum,
a Sud-Est di Napoli, rappresentano varie scene di spettacoli funerari, fra cui
corse di carri e incontri di pugilato, ma ciò che più ci interessa sono le immagini
di duello fra due uomini armati di lance, scudo ed elmo. A volte alle spalle dei
combattenti ci sono delle guardie, e ciò rivela che i due uomini non si battevano
liberamente, ma erano costretti a farlo.
In altre scene, hanno ferite sanguinanti ed in uno degli affreschi pare addirittura
che uno dei due personaggi sia ucciso3. C’è un parallelo evidente con i munera
romani. Purtroppo, però, non sappiamo chi fossero gli sfidanti: prigionieri di
guerra? criminali? uomini addestrati alla lotta o scelti a caso?
Altre e convincenti prove dell’origine campana della gladiatura ci vengono
da Livio. Nel 308 a.C., durante la Seconda Guerra Sannitica (327-304 a.C.), i
Romani riportarono una vittoria decisiva sui Sanniti. Catturarono un ricco
bottino d’armi con cui decorarono il Foro, “mentre i Campani, per odio e
spregio nei confronti dei Sanniti, costrinsero i gladiatori che si esibivano durante
i loro banchetti ad indossare quelle armi e li chiamavano Sanniti”4.
Sembrerebbe così che in Campania la lotta fra gladiatori fosse già diffusa
nel 308 a.C., ma anche altri elementi fanno pensare a quest’origine campana,
per esempio il fatto che i primi anfiteatri in pietra furono edificati in Campania,
12
Capitolo 1
Ancora un affresco
dagli scavi di Paestum,
in Campania.
Metà del secolo IV a.C.
(Museo Archeologico
Nazionale, Paestum).
3 Junkelmann,Das Spiel mit demTod, p.33
4 Livy...
e nella stessa terra sorsero le più famose scuole di scherma. I Romani, che
avevano stretti rapporti con Capua (al centro della Campania), non potevano
non sapere dell’esistenza dei gladiatori, anche se è plausibile che abbiano
appreso l’arte della gladiatura dagli Etruschi che l’avrebbero a loro volta
imparata dai Campani5.
Il primo riferimento a dei giochi gladiatori a Roma risale al 264 a.C. quando
i due figli di D. Giunio Bruto Pera chiamarono tre coppie di gladiatori ad esibirsi
durante i giochi funebri in onore del padre6. La tradizione di versare del sangue
umano sulla tomba di un famigliare defunto era antica, e diffusa presso la
maggioranza delle culture mediterranee che credevano che il sangue
riconciliasse il morto con i vivi. Già prima del 264 a.C. Roma aveva celebrato
sacrifici umani, ma questa fu la prima occasione in cui dei gladiatori si batterono
durante un funerale. In precedenza, per placare il morto con del sangue umano,
i Romani avevano sacrificato i prigionieri di guerra o qualche schiavo
malcapitato. Nel 264 a.C. decisero per la prima volta di aggiungere alla
cerimonia un elemento di intrattenimento: il combattimento dei gladiatori7. La
seconda menzione di gare di scherma risale al 216 a.C., quando tre figli di
Marco Emilio Lepido organizzarono i funerali del padre e per onorarlo con
delle gare portarono nel Foro ben 22 coppie di gladiatori (8). Che fra queste due
date a Roma si siano svolti altri scontri fra gladiatori non è dimostrato, ma è assai
plausibile che ce ne siano stati, almeno durante i giochi funebri in onore dei
cittadini più importanti.
Sappiamo che anche i Cartaginesi organizzavano gare di scherma. All’inizio
della Seconda Guerra Punica (218-202 a.C.) Annibale, desideroso di sollevare
il morale dei suoi uomini, costrinse i prigionieri catturati sulle montagne a
combattere utilizzando le armi dei Galli. Poiché il vincitore veniva liberato e
riceveva armi e un cavallo, tutti i prigionieri bramavano tentare la fortuna:
Quando cominciarono a combattere lo spirito era tale, non solo fra
coloro che avevano accettato di battersi, ma anche fra il pubblico,
che la sorte di quelli che morivano coraggiosamente era lodata non
meno di quella dei vincitori. Quando i suoi uomini furono rafforzati
dall’aver visto varie coppie di sfidanti, Annibale li licenziò9.
13
Gli spettacoli dell’antica Roma
Scipione, generale e politico romano, nel 206 a.C. organizzò dei
combattimenti un po’ diversi quando, a Nuova Cartagine in Spagna volle
commemorare il padre e lo zio:
In quest’occasione i gladiatori non erano presi dalla classe a cui
attingono di solito gli addestratori – schiavi e altri che vendono il
proprio sangue – ma erano tutti volontari, pronti a battersi
gratuitamente. Alcuni erano stati mandati dal proprio capo a dare
prova del coraggio connaturato nella loro razza, altri dichiaravano di
voler combattere per onorare il loro generale, altri ancora erano mossi
dallo spirito competitivo e dal desiderio di misurarsi in un corpo a
corpo. Molti avevano delle liti in sospeso, e colsero l’occasione per
risolverle a colpi di spada, pur accettando la condizione che lo
sconfitto sarebbe stato alla mercé del vincitore10.
Scesero in campo persino due cugini, Corbis e Orsua, per decidere con le
armi chi avrebbe governato sulla città di Ibes.
È evidente, dunque, che nel 206 a.C. la gladiatura era già diffusa, e non
coinvolgeva solo schiavi ma anche uomini liberi. Con il tempo, il numero di
sfidanti impiegati nei giochi aumentò: nel 183 a.C., ai giochi funebri in onore
di Publio Licinio parteciparono ben 60 coppie di gladiatori11, e nel 174 a.C. Tito
Flaminio mise in campo 74 gladiatori per il funerale del padre12. In quest’ultima
occasione, i giochi funebri furono accompagnati da recite e banchetti (nonché
distribuzione gratuita di carne), e si protrassero per quattro giorni di cui tre
riservati ai combattimenti fra gladiatori.
I giochi pubblici (ludi) venivano organizzati da funzionari dello stato e
comprendevano rappresentazioni sceniche e corse con i carri, ma in origine
non prevedevano scontri di scherma. Come abbiamo visto, i gladiatori
comparivano soprattutto nei giochi funebri celebrati in onore di Romani
importanti. Il nobile romano, addirittura, lasciava precise istruzioni su come
desiderava che si svolgessero i suoi funerali, e il suo testamento aveva il valore
di legge per gli eredi che godevano dell’opportunità per dare dimostrazione
della ricchezza e del potere dell’intera famiglia. È da qui che deriva il termine
14
Capitolo 1
munus per indicare i giochi gladiatori, significando la parola latina munus
“impegno” o “dono”. I gladiatori che si battevano per commemorare un defunto
erano chiamati bustuarii, dal latino bustum, crematoio. Non combattevano
davanti alla tomba, ma durante i giochi funebri che si celebravano il nono
giorno dopo le esequie, quando terminava il periodo ufficiale del lutto13.
Poteva capitare, a volte, che il defunto lasciasse disposizioni testamentarie
stravaganti, mettendo in imbarazzo gli eredi. In un caso, un eminente cittadino
romano esigeva che al suo funerale dovessero lottare delle splendide fanciulle,
mentre un altro nobile chiedeva che combattessero i giovanetti con cui aveva
avuto una relazione omosessuale. In quest’ultimo caso, tuttavia, fu il pubblico
ad opporsi, indignato, alla volontà del morto 14.
Durante il II secolo avanti Cristo i giochi gladiatori si diffusero in tutta la
penisola. Da rito religioso divennero gradualmente strumento di influenza
politica sulla popolazione. A volte il defunto doveva aspettare parecchio tempo
per l’attuazione del suo testamento, perché gli eredi, strategicamente, cercavano
di far coincidere il munus con le prime elezioni. Fu così che Giulio Cesare,
puntando alla carica di edile, organizzò dei giochi gladiatori in onore del padre
quando questi era morto ormai da ben vent’anni 15. Lo stato romano si fece
organizzatore di giochi gladiatori per la prima volta nel 44 a.C., alla morte di
Cesare, e non nel 105 a.C. come si è creduto in passato 16 (il 105 a.C. è l’anno in
cui per la prima volta si presero gli istruttori di scherma delle scuole gladiatorie
per addestrare i legionari). Durante l’Impero, infine, i munera persero
gradualmente il loro carattere religioso.
Anche altri popoli celebravano occasionali combattimenti gladiatori in
concomitanza con le cerimonie funebri, probabilmente mutuando l’uso romano.
Nel 139 a.C., per esempio, dei gladiatori si batterono durante i funerali di Viriato,
il capo dei Lusitani, popolo celtico che viveva nelle terre che formano l’attuale
Portogallo e che mal sopportava il giogo di Roma 17. I Germani organizzavano
degli scontri armati corpo a corpo, in palese analogia con i giochi gladiatori, per
accattivarsi la benevolenza degli dei: “Un’altra forma di divinazione, per mezzo
della quale indagano l’esito di guerre particolarmente importanti, consiste nel
costringere un prigioniero, catturato in qualche modo dal paese nemico, a
combattere con un loro soldato scelto a caso, dotando ciascuno delle proprie
15
Gli spettacoli dell’antica Roma
armi nazionali. Dall’esito dello scontro
traggono il presagio per capire a chi
arriderà la vittoria in guerra” 18.
Anche il re siriano Antioco IV
Epifane (215-163 a.C.) inscenò dei
giochi gladiatori: era stato a lungo
ostaggio a Roma, e probabilmente
aveva assistito a degli spettacoli di
scherma. Ritornato in Siria, nel 175 a.C.
si impadronì del trono e incominciò ad
organizzare gare fra gladiatori secondo
la tradizione romana, invitando,
inizialmente, gladiatori professionisti
direttamente da Roma. Il pubblico,
non abituato a esibizioni del genere,
sulle prime reagì con orrore, ma
Antioco “offrendo spesso questi
spettacoli, in cui a volte gli sfidanti si
ferivano soltanto, e a volte si battevano
fino alla morte, abituò gli occhi del suo
popolo, al punto che questo imparò a
divertirsi. Fu così che egli stimolò la
passione per le armi fra i giovani
uomini” 19.
Se da un lato i politici intratte-
nevano la popolazione con splendidi
munera contando di assicurarsi il suo
sostegno per le elezioni, la gente li
ripagava d’ugual moneta. All’inizio del
I secolo dopo Cristo, gli abitanti di
Pollentia (Pollenza) in Liguria
impedirono al corteo che
accompagnava i resti di un centurione
di lasciare la piazza principale della
città fino a quando gli eredi non
versarono un ricco importo per i
giochi gladiatori 20. Di lì a poco
arrivarono a Pollentia due coorti per
punire i cittadini, ma l’episodio è
significativo perché dimostra che la
gladiatura era ormai radicata nella
cultura del popolo romano che si
sentiva in diritto di pretendere questo
tipo di giochi.
Nel 73 a.C. avvenne un fatto che
precipitò i Romani nell’orrore. A
Capua, una settantina di gladiatori
guidati dal terribile Spartaco uccisero
le loro guardie e fuggirono dalla
palestra di Lentulo Batiato. Sulle prime
le autorità romane non diedero grande
peso all’episodio, ma ben presto i
gladiatori attirarono molti seguaci fra
gli schiavi, e la banda di migliaia di
uomini che si costituì cominciò a
riportare una vittoria dopo l’altra sui
legionari. I gruppi che si erano staccati
all’esercito di Spartaco, invece, ebbero
meno fortuna e furono rapidamente
sgominati dall’esercito di Roma. Fu
ucciso così Crisso, uno dei comandanti
della truppa di schiavi e compagno
d’armi di Spartaco, proveniente dalla
stessa palestra. Spartaco volle per lui
16
Capitolo 1
un funerale in perfetto stile romano:
nei giochi funebri in onore di Crisso
fece combattere come gladiatori 300
legionari romani che aveva preso
prigionieri. Inizialmente gli schiavi
dell’armata di Spartaco si erano messi
in marcia verso la Gallia, nell’intento
di lasciare l’Italia e ritornare in patria,
ma poi cambiarono direzione e senza
nessun motivo apparente invertirono
la rotta tornando a Sud. La notizia che
l’armata degli schiavi stava puntando
su Roma precipitò i cittadini nel
panico. Spartaco, però, ignorò la Città
Eterna e percorse l’Italia nella sua
lunghezza dalla Gallia Cisalpina a
Nord, al Bruzio a Sud. Appena due
anni dopo, nel 71 a.C., Marco Crasso
alla testa delle sue legioni riportò una
vittoria decisiva nella Terza Guerra
Servile, detta anche “Guerra dei
Gladiatori” 21. Per quanto questa non
sia stata l’unica rivolta di gladiatori
nella storia di Roma, nessun’altra
raggiunse dimensioni simili. I Romani
capirono, finalmente, quanto pote-
vano essere pericolosi gli schiavi
guidati da un drappello di gladiatori.
Il numero di gladiatori mandati a
combattere nell’arena aumentò in
modo impressionante nel I secolo a.C.
Il munus poteva durare parecchi
giorni, o anche mesi, e rendeva
necessarie centinaia o addirittura
migliaia di partecipanti. Nel 65 a.C.
Giulio Cesare mise in campo 320
coppie di sfidanti 22, provenienti
probabilmente da una scuola che lui
stesso possedeva a Capua, e che
addestrava contemporaneamente
cinquemila gladiatori. Egli fu anche il
primo ad organizzare dei giochi
gladiatori in onore della propria figlia
(fino a quel momento i giochi funebri
erano stati celebrati esclusivamente in
onore del padre), ed in quell’oc-
casione, accanto ai gladiatori
professionisti, si batterono fino
all’ultimo sangue Furio Leptino, di una
famiglia pretoria (i pretori erano
magistrati molto importanti a Roma),
e Quinto Calpeno, ex senatore ed
avvocato difensore nel foro 23. Nel 46
a.C., inoltre, Giulio Cesare celebrò il
suo trionfo nella guerra civile con una
rappresentazione scenica in cui si
scontrarono 500 fanti, venti elefanti e
trenta cavalieri. Lo spettacolo si svolse
in un circo, in cui vennero realizzati
due accampamenti, e da cui furono
rimosse le colonne per fare spazio 24.
(Il circo era una struttura pensata
soprattutto per le corse di carri, anche
se non erano escluse gare di altro
17
Gli spettacoli dell’antica Roma
genere. Nel circo, alle due estremità, c’erano due colonne (meta prima e meta
secunda) attorno alle quali dovevano passare i carri.
Giustamente si ritiene che l’Impero coincida con l’età d’oro dei giochi
gladiatori, e massima influenza sulla loro riorganizzazione ebbe l’Imperatore
Augusto (ca. 27 a.C. – 14 d.C.). Egli regolamentò rigorosamente le diverse
tipologie di gladiatori e di armi, introdusse le regole di combattimento e decise
persino di assegnare posti a sedere diversi in funzione della classe sociale degli
spettatori. Augusto fu celebrato in moltissime gare gladiatorie, in venationes ed
in una grandiosa naumachia: “Sorpassa ogni esempio precedente per numero,
varietà e ricchezza di spettacoli pubblici” 25. Lo testimonia Augusto stesso:
Diedi spettacoli gladiatori a nome mio per tre volte, e per cinque
volte li organizzai a nome dei miei figli e dei miei nipoti: vi
combatterono almeno diecimila uomini. Offrii delle gare di atleti
reclutati in tutto il mondo: due volte a nome mio, e per tre volte anche
a nome di mio nipote. Celebrai gare a nome mio per quattro volte, e
ventitré volte a nome di altri magistrati … . Per ventisei volte, a nome
mio o dei miei figli e nipoti, intrattenni il popolo, nel circo, all’aperto
o nell’anfiteatro, con cacce alle belve africane: vi rimasero uccisi circa
3500 animali 26.
In tutto l’imperatore Augusto reclutò diecimila uomini per otto grandi spettacoli
gladiatori, e a ciascun munus parteciparono più di 1000 gladiatori:
rappresentazioni così imponenti erano rare persino a Roma, per non parlare
delle città italiane minori o delle province dove un munus normalmente
impegnava da 20 a 50 coppie di gladiatori, e vedeva in media nell’arena dodici
o tredici coppie di sfidanti al giorno.
Il successore di Augusto, Tiberio (imperatore dal 14 al 37 d.C.) non amava la
scherma e non organizzò molti spettacoli gladiatori 27. Quando lo fece, tuttavia,
i giochi stupirono per la loro grandiosità, e furono invitati nell’arena a
guadagnarsi un premio di 100.000 sesterzi 28 persino i rudiarii, ovvero i gladiatori
già ritiratisi dalle scene. Durante il regno di Caligola (37 - 41 d.C. 29) i giochi
gladiatori si tennero nell’anfi-teatro di Statilio Toro o nei Saepta, i recinti in cui
18
Capitolo 1
18
19
Gli spettacoli dell’antica Roma
il popolo si riuniva a votare, entrambi
a Roma 30. Questo imperatore
sanguinario e crudele tra-sformò i
giochi in veri e propri macelli,
trascinando nell’arena uomini inno-
centi, fossero essi schiavi o senatori. Un
giorno volle che scendesse nell’arena
Esio Proculo, figlio di un centurione di
primo grado, famoso per la sua statura
e la sua bellezza, e lo fece combattere
contro due gladiatori, uno dopo l’altro.
Proculo vinse entrambi gli incontri, ma
per ordine di Caligola fu trascinato
nelle strade di Roma nelle sue vesti
lacere, e poi sgozzato. Lo stesso
imperatore diede molti prigionieri in
pasto alle belve senza preoccuparsi di
conoscere i crimini per cui erano
reclusi, e lo stesso destino toccò ad un
cittadino romano dell’ordine equestre,
mentre un altro infelice, autore di
qualche poesia controversa, fu arso
vivo nell’anfiteatro. Se un nobile osava
criticare i giochi dell’imperatore ri-
schiava di essere condannato ai lavori
forzati nelle miniere o lungo le strade,
o di essere dato in pasto alle belve, o
ancora di essere tagliato a pezzi con
una sega 31.
Seguì Claudio (41-54 d.C.) durante
il cui regno i giochi gladiatori furono
molto frequenti, organizzati con
semplicità in un campo pretorio, o con
grande fasto nei Saepta. A volte
Claudio inscenava gli spettacoli gladia-
tori senza preavviso e li chiamava
sportula intendendo qualcosa come
“antipasto” perché si trat-tava di “un
intrattenimento inatteso e spontaneo”.
Durante le rappresentazioni era sem-
plice ed affabile: “allungava la mano
sinistra e, insieme al pubblico, contava
ad alta voce sulle dita le monete d’oro
che donava ai vincitori. Con tono serio
invitava quindi la compagnia a diver-
tirsi, e con una burla insipida e forzata,
chiamava i gladiatori suoi ‘padroni’” 32.
In qualche occasione, tuttavia, anche
Claudio manifestò come Caligola una
certa propensione sadica. Godeva a tal
punto nel vedere la faccia dei morenti
che soleva chiedere il colpo di grazia
anche per i gladiatori che erano
soltanto caduti, soprattutto se si trattava
di retiarii che combattevano a volto
scoperto. Come Caligola, anche Claudio
mandava uomini a lottare nell’arena per
motivi futili, o anche senza motivo: un
operaio poteva ritrovarsi impegnato in
un combat-timento all’ultimo sangue
solo perché ciò che aveva costruito non
soddisfaceva i requisiti 33.
Per celebrare la sua vittoria sui
Britanni del 44, Claudio rappresentò
nel Campo di Marte (Campus Martius)
“l’assalto ed il saccheggio di una città
e la resa del re di Britannia, presenziando vestito da generale” 34. Sappiamo di
molte altre rappresentazioni sceniche di azioni belliche, per esempio quella
organizzata da Giulio Cesare nel 46 a.C. Nel 7 a.C. nei Saepta si poté assistere
ad una strage paurosa in onore del generale e politico Agrippa, morto cinque
anni prima. Altre battaglie furono rappresentate su scala minore nel 57 da
Nerone (imperatore dal 54 al 58 d.C.) che scelse come sito l’arena di un
anfiteatro, e da Domiziano (imperatore dall’81 al 96) che scelse un circo 35. Dopo
aver conquistato Gerusalemme nel 70, il futuro imperatore Tito (imperatore dal
79 all’81) organizzò, in occasione del genetliaco del fratello, delle gare a squadre
in cui si batterono i prigionieri ebrei 36.
Quando gli scontri coinvolgevano molti lottatori, i gladiatori professionisti si
astenevano, e gli attori erano solitamente criminali condannati a morte (noxii)
o prigionieri. L’esecuzione capitale dei criminali avveniva nell’arena a
mezzogiorno o durante l’interruzione a metà della giornata. Seneca descrive
così uno di questi massacri:
20
Capitolo 1
Mi sono trovato per caso ad assistere ad una rappresentazione a metà
giornata, e mi aspettavo qualcosa di divertente, spiritoso e riposante:
uno spettacolo in cui gli occhi umani, stanchi di vedere sgozzare i
propri simili, possano trovare tregua. Fu decisamente l’opposto. Nei
combattimenti precedenti si era espresso uno spirito sostanzialmente
caritatevole: poi ogni scherzo era finito ed era rimasto l’assassinio
puro. Gli uomini non avevano un’armatura per difendersi. Erano
interamente esposti ai colpi, e nessun fendente mancava il segno.
Molti preferiscono questo tipo di programma alle solite sfide a due o
agli attacchi “su richiesta”. Per forza: non c’è un elmo o uno scudo che
possa respingere le armi. A che serve un’armatura protettiva, a che
giova l’abilità? Servono solo a ritardare la morte. Al mattino lanciano
gli uomini in pasto ai leoni e agli orsi; a mezzogiorno li danno in
pasto al pubblico. Gli spettatori vogliono che l’assassino guardi in
faccia l’uomo che a sua volta lo ucciderà, e riservano sempre il
vincitore per un altro macello. Ogni scontro si conclude con la morte,
data con il fuoco o con la spada. Tutto ciò avviene quando l’arena è
vuota 37.
Nel 69 Vitellio (imperatore da settembre a dicembre del 69) si affrettò a
festeggiare il suo complean-o con “giochi gladiatori in ogni quartiere di Roma,
splendidi come non se ne erano mai visti prima” 38: Roma all’epoca aveva 265
quartieri. Vitellio non volle rinunciare a questo divertimento nemmeno nel cuore
della guerra civile, e si servì delle sue legioni per costruire nuovi anfiteatri in
cui far svolgere i giochi 39.
Nell’80, anche l’imperatore Tito celebrò l’inaugurazione del Colosseo con
festeggiamenti favolosi che durarono per cento giorni, da giugno a settembre,
e compresero munera, venatio e naumachia. Purtroppo non sappiamo molto
dei giochi gladiatori di questa particolare occasione, perché al popolo rimasero
21
Gli spettacoli dell’antica Roma
Gladiatorial combats. In the top relief from left to
right are two equites, a myrmillo−hoplomachus pair
(two umpires can be seen behind them) and a
thraex−myrmillo pair. The bottom relief (from left to
right) shows thraex−myrmillo, myrmillo−thraex,
myrmillo−hoplomachus and thraex−myrmillo pairs.
2nd quarter of the 1st century AD, featured on
Lusius Storax’s tombstone. (Museo Archeologico ‘
La Civitella’, Chieti)
impressi soprattutto gli spettacoli di
venatio e naumachia.
Svetonio racconta che Domiziano
(imperatore dall’81 al 96) “era solito
intrattenere il popolo con spettacoli
straordinari e costosissimi, non solo
nell’anfiteatro, ma anche nel circo” 40.
Svetonio descrive corse di carri,
combattimenti fra gladiatori, lotte di
cani contro belve incatenate, e
naumachia. Domiziano si divertiva ad
assistere alle cacce notturne e agli
scontri dei gladiatori, e nelle
rappresentazioni non mancavano
nemmeno le donne 41. All’epoca erano
popolari anche le lotte fra nani.
Apprendiamo che nel corso dei giochi
dei questori (che erano dei funzionari
pubblici responsabili, fra l’altro, delle
questioni finanziarie) Domiziano
“dava sempre al popolo licenza di
chiedere due coppie di gladiatori della
sua scuola, e questi facevano la loro
comparizione per ultimi, indossando i
colori della corte” 42. Alla fine
Domiziano fu assassinato e per ironia
della sorte fra i congiurati c’erano
anche alcuni gladiatori della sua stessa
scuola 43.
Nel 107 l’Imperatore Traiano (98 –
117) offrì uno straordinario spettacolo
di giochi in occasione della sua
vittoria contro i Daci: voleva
chiaramente sorpassare in grandiosità
Tito, ed i suoi giochi durarono 120
giorni (contro i 100 giorni di Tito),
impegnarono in combattimento
diecimila gladiatori e costarono la vita
a undicimila animali 44. Traiano
organizzò altri tre spettacoli anche nei
cinque anni che seguirono: nel primo
si batterono 350 uomini, nel secondo
“soltanto” 202, mentre nel terzo, che
durò 117 giorni, scesero nell’arena
4.941 coppie di uomini armati 45. Tra il
107 ed il 113 lottarono nell’arena di
Roma quasi 20.500 gladiatori.
Mentre ad Adriano (117-138)
piacevano le gare gladiatorie e le lotte
tra animali selvaggi alla catena 46,
Marco Aurelio (161-180) non le
gradiva. Partecipava a questo tipo di
eventi di malavoglia, tanto che decise
persino di imporre un limite alle
somme spese per i giochi 47. Non solo,
in tempo di guerra impose il servizio
militare anche ai gladiatori,
provocando il malcontento del
popolino 48. Con Marco Aurelio
condivideva l’impero Lucio Vero (161-
169) che, al contrario, adorava
guardare i gladiatori che lottavano,
soprattutto standosene a banchetto 49.
Lo stesso si può dire di Elagabalo (218
– 222), passato alla storia per le sue
perversioni: “Spesso, prima di sedersi
22
Capitolo 1
al banchetto assisteva a scontri di
pugilato o tra gladiatori; aveva fatto
sistemare un letto in una delle gallerie
superiori del suo palazzo, e mentre
mangiava costringeva dei criminali ad
esibirsi in scene di caccia alle bestie
feroci” 50. A quanto pare amava
concedersi questo “intrattenimento”
tanto quanto amava abbandonarsi ai
peccati di gola nel suo piccolo
anfiteatro di Castrense, costruito
specificamente per i suoi piaceri (cfr.
Capitolo 5).
Quanto a passione per i giochi
gladiatori, tuttavia, nessun imperatore
fu pari a Commodo (180 – 192).
Qualcuno azzarda anzi l’ipotesi che
fosse egli stesso figlio di un gladiatore,
dal momento che sua madre Faustina
era nota per non essere partico-
larmente fedele al marito Marco
Aurelio, e non nascondeva il suo
debole per la gladiatura 51. Spietato e
sanguinario, Commodo si dilettava
nell’uccidere uomini ed animali.
Sgozzò migliaia di animali con le sue
stesse mani, tanto nell’arena, quanto
in casa sua. Commodo possedeva una
forza straordinaria e si esercitava ad
uccidere gli animali al primo colpo; si
dice anche che sia riuscito a far
crollare un elefante con un solo colpo
di giavellotto.
Commodo conquistò ben 1.100
vittorie battendosi personalmente
nell’arena, e di queste 365 quando il
padre Marco Aurelio ancora viveva, e
735 dopo la sua morte. Si divertiva in
particolare ad uccidere i retiarii
(gladiatori senza scudo, armati di rete,
tridente e daga): si armava da secutor
(l’avversario del retiarius) e per
distinguersi dagli altri si limitava a
gettarsi sulle spalle un drappo color
porpora. Era molto fiero delle sue
prestazioni, e pretendeva che i docu-
menti ufficiali menzionassero la sua
partecipazione. Era felice dell’app-
ellativo di “Capitano dei Secutores” di
cui fu insignito ben 620 volte. Era
orgoglioso, infine, di essere chiamato
con il nome di un gladiatore famoso e
non disdegnava una bevuta insieme ai
lottatori. La sua impudicizia non aveva
limiti: si presentava nei palchi del teatro
o dell’anfiteatro in vesti muliebri ed in
un’occasione scese nell’arena comple-
tamente nudo, con un’arma in mano 52.
Amava talmente la gladiatura che ad
un certo punto pensò persino di
trasferire la sua residenza negli alloggi
della palestra 53. Nonostante il suo
amore per la spada, morì in casa sua e
non nell’arena come si vede nel film
“Gladiator” (2000): fu strangolato dal
gladiatore con cui era solito esercitarsi.
23
Gli spettacoli dell’antica Roma
Come edile (ovvero funzionario
incaricato della cura degli edifici
pubblici, delle feste popolari e
dell’ordine pubblico), Gordiano I
(imperatore nel 238) finanziò dodici
giochi, uno ogni mese dell’anno. In
alcune occasioni fece intervenire 500
coppie di gladiatori, e comunque mai
meno di 150 54. Quando Massimo e
Balbino furono nominati imperatori
nel 238, e prima che l’esercito partisse
in guerra contro Massimino, si tennero
spettacoli gladiatori e rappresentazioni
venatorie davvero straordinari. Nel
narrare la vita di quegli imperatori,
Giulio Capitolino spiega che era antica
usanza organizzare munera e vena-
tiones prima che l’imperatore stesso
partisse. Secondo Giulio, l’abitudine
risaliva all’esigenza di tenere alto il
morale dei Romani che andavano a
combattere, e a prepararli alle im-
magini ed ai suoni della guerra, in
modo che non si spaventassero alla
vista del sangue, delle ferite o dei
nemici armati 55.
Per festeggiare il millenario della
fondazione di Roma, nel 248, Filippo
(244 – 249) inscenò giochi di scherma
con 1000 coppie di gladiatori
provenienti dalle scuole imperiali, e
coinvolse un gran numero di bestie
nelle rappresentazioni di venatio 56.
Uomo dotato di senso dell’umo-rismo,
Gallieno (253 – 268) festeggiò i primi
dieci anni del suo regno con dei
giochi davvero indimenticabili, e con
una processione di 1.200 gladiatori
coperti di splendide vesti d’oro. In
un’occasione Gallieno mandò una
ghirlanda-premio ad un “cacciatore”
che per ben dodici volte aveva man-
cato un toro. Il popolo si stupì che il
premio venisse conferito ad un
24
Capitolo 1
The final stage of a
combat supposedly
between a myrmillo
and a thraex. Relief
from Ephesus, Asia
Minor, 3rd century AD.
(Antikensammlung,
Staatliche Muzeen zu
Berlin,
SK 964. Author’s
collection)
venator così maldestro, ma Gallieno
fece spiegare attraverso un suo uomo:
“È arduo non riuscire a colpire un toro
tante volte!” 57.
Probo (276 – 282) volle celebrare
la sua vittoria sui Germani ed i
Blemmi con giochi che coinvolsero
300 coppie di gladiatori, e lotte fra
belve. Il numero di gladiatori chiamati
a combattere fu relativamente
modesto, ma la parte-cipazione di
prigionieri blemmi, germani, sarmati e
isaurici conferì ai giochi un’aura di
distinzione58.
Nel complesso, tuttavia, nessuno
spettacolo riuscì a superare quelli
offerti da Traiano nel 107. Dopo la sua
morte, la durata delle rappresentazioni
ed il numero dei gladiatori e degli
animali impiegati gradualmente
diminuì. Probabilmente i giochi
organizzati da Commodo furono la
sola eccezione, ma non abbiamo
testimonianze precise, per quanto sia
ben nota la sua passione per la
gladiatura. I giochi gladiatori furono
abbastanza di moda ai tempi di
Gordiano I e di Filippo, ma gli
intrattenimenti offerti da altri
imperatori furono molto più modesti,
vuoi per scarso interesse, vuoi per
mancanza di denaro.
Fino a metà del I secolo avanti
Cristo i gladiatori si battevano per lo
più nel Foro Romano (Forum
Romanum) perché non esistevano
anfiteatri stabili. Gli spettatori
sedevano su tribune di legno costruite
per l’occasione. Gli anfiteatri, come
edifici dedicati allo spettacolo,
realizzati prima in legno e poi in
pietra, fecero la loro comparsa verso
la metà del I secolo avanti Cristo. Nel
I e II secolo dopo Cristo, ne venne
costruito un gran numero.
Durante l’Impero si affermò la
tradizione di organizzare due giochi
gladiatori all’anno, a dicembre, per
segnare la fine dell’anno, e a marzo
per celebrare l’inizio della primavera.
Si inscenavano spettacoli gladiatori,
inoltre, in occasione di un trionfo,
dell’inaugurazione di un edificio
pubblico (per esempio un anfiteatro),
o di altri eventi di interesse per il
popolo. L’usanza di accompagnare
con giochi gladiatori le celebrazioni
funebri, invece, fu abbandonata.
La scomparsa degli scontri fra
gladiatori va collegata all’adozione del
Cristianesimo da parte dei Romani.
Nel 313 l’Editto di Milano riconosceva
la legittimità della fede cristiana, e nel
325 Costantino il Grande – sul trono
25
Gli spettacoli dell’antica Roma
dal 306 a 337, e primo imperatore ad
abbracciare il Cristianesimo –
promosse la nuova religione con la
convocazione del Primo Concilio
Ecumenico di Nicea. In quello stesso
anno, da Beirut, pubblicò un editto con
cui condannava gli “spettacoli cruenti”
e intimava ai tribunali di condannare i
colpevoli ai lavori forzati nelle miniere
e non nell’arena. L’editto, tuttavia, fu
attuato solo nelle provincie orientali,
mentre in Italia fu ignorato dallo stesso
Costantino che autorizzò i sacerdoti
dell’Umbria e dell’Etruria ad organiz-
zare giochi gladiatori. Fu un cattivo
esempio, che indusse altri a mante-
nere viva la tradizione gladiatoria,
sebbene su scala sempre più modesta.
Il Calendario di Filocalo, per esempio,
riporta che nel
solo mese di
dicembre si
tennero 354
gare di
gladiatori,
concentrate in
dieci giornate
(mentre 101
giorni furono riservati agli spettacoli
teatrali e 66 a quelli circensi) 59.
Nel 357 Costantino II (imperatore
dal 337 al 361) proibì ai soldati e agli
ufficiali romani di offrirsi come
volontari per addestrare i gladiatori e
combattere nell’arena. Otto anni più
tardi Valentiniano (imperatore dal 364
al 375) promulgò un secondo editto
con cui vietava ai giudici di
condannare i criminali “all’arena”. Nel
397 l’Imperatore d’Oriente Arcadio
(395 – 408) e quello di Occidente,
Onorio (395 – 423) proibirono ai
senatori di reclutare gladiatori. Nel 399,
infine, Onorio chiuse le ultime scuole
di gladiatura ancora esistenti 60.
Fu un evento drammatico assolu-
tamente imprevisto, tuttavia, a mettere
fine all’era dei giochi gladiatori.
Durante uno spettacolo che si stava
svolgendo il primo gennaio del 404, un
monaco cristiano di nome Telemaco,
proveniente dall’Asia Minore, si lanciò
nell’arena per sepa-rare i contendenti.
Ma il suo nobile tentativo si concluse
tragica-mente: la folla di spettatori,
inferocita, si lanciò contro di lui e lo
fece a pezzi. Il suo martirio, tuttavia,
non fu inutile, visto che l’Imperatore
Onorio decise di mettere defini-
tivamente al bando i giochi gladiatori 61.
26
Capitolo 1
Bestiarii in Commodus’ underground passage of
the Flavian Amphitheatre (Colosseum). The figure
on the left is holding a whip in his right hand and a
piece of cloth (mappa) in the left. On the right, the
figure is teasing an animal using a disc with small
bells. The third bestiarius is making an acrobatic
jump over a beast. (Vladamir Golubev)
27
Gli spettacoli dell’antica Roma
Three fragments of a famous mosaic from Villa
Borghese represent gladiatorial combats (between
retiarii and secutores) and a beast hunt (venatio).
According to the inscriptions
all the duels ended in the death of the loser. Early
4th century AD. (Galleria Borghese, Rome / Alinari
/ The Bridgeman Art Library)
VENATIO – LA CACCIA
I Romani furono sempre entusiasti cacciatori, e molti nobili ed imperatori vi si
dedicarono con passione. Celebri retori e scrittori cantarono le virtù della caccia
per coltivare il coraggio e la forza d’animo, e coloro che potevano permetterselo
comperavano terreni venatori in Gallia e foreste in Italia. Le ville di campagna
dei ricchi romani spesso possedevano un leporarium, ovvero un recinto
contenente animali selvatici dove andare a caccia, sebbene su piccola scala.
L’attività venatoria era disciplinata da leggi ben dettagliate: i Romani potevano
cacciare solo ad una certa distanza dalla città, potevano colpire qualsiasi animale
esclusi i leoni che erano considerati proprietà dell’imperatore, ed era proibito
cacciare sulla terra coltivata.
28
Capitolo 1
Bestiarii letting beasts
out onto the arena.
The date is thought
to be AD 20–50.
(Museo Archeologico
Nazionale, Napoli)
29
Gli spettacoli dell’antica Roma
La parola latina venatio significa caccia in generale, ma in seguito passò ad
indicare spettacoli che si svolgevano nell’arena o in un circo con la presenza di
animali. Analogamente il termine venator, cacciatore, si riferiva inizialmente al
cacciatore sportivo o professionista, o allo schiavo che curava il leporarium; in
seguito, invece, per venator si intendeva il gladiatore che combatteva contro
le belve nell’arena. Nel nostro testo il significato di venatio e venator sarà
sempre legato alla gladiatura.
Tutti gli spettacoli che si svolgevano nell’arena di un anfiteatro o di un circo con
la partecipazione di animali si chiamavano venatio, e potevano comprendere:
› sfilate di animali esotici
› esibizioni d’abilità degli animali
› lotte fra belve
› battute di caccia
› taurocatàpsie (caccia al toro)
› lotte fra animali e venatores
› impiego di animali feroci per dare la pena di morte ai criminali.
Durante la Repubblica e talvolta anche in epoca successiva, la venatio si
svolgeva nel Circo Massimo. Durante l’Impero fu collegata ai munera, e fu
trasferita negli anfiteatri dove costituiva parte dello spettacolo mattutino.
Occasionalmente poteva essere organizzata in un circo o in uno stadio.
La venatio non era necessaria-mente uno spettacolo cruento. A volte
consisteva in sfilate di animali esotici come giraffe, struzzi ed ippopotami, per
appagare la curiosità degli spettatori. Talvolta le bestie erano addestrate ad
eseguire qualche numero: le scimmie, per esempio, potevano cavalcare cani,
guidare i carri o, addirittura, recitare un piccolo quadro teatrale. I leoni marini
rispondevano se sentivano chiamare il loro nome, abbinato a segnali particolari.
Gli attori più versatili erano gli elefanti, capaci di danzare alla musica di cembali
suonati da altri elefanti, di imitare la lotta dei gladiatori, di sedersi a tavola senza
rovesciarla, di camminare lungo
una fune e persino di scrivere
lettere dell’alfabeto latino e
greco. Si riteneva che gli
elefanti possedessero un
profondo senso di responsabilità per
il loro spettacolo, e si raccontava il
caso di un elefante che, rimproverato
per una prestazione scadente, ne fu
tanto addolorato che trascorse l’intera
notte ad esercitarsi da solo. A volte,
infine, degli animali vestiti con abiti
coloratissimi o ridicoli facevano il giro
dell’arena: per molti aspetti, lo
spettacolo assomigliava a ciò che si fa
oggi al circo 62.
Per la lotta, i Romani preferivano
belve di grandi dimensioni: orsi, tori,
leoni ed altri animali simili. Le
abbinate più comuni erano: leone
contro tigre, toro contro orso, toro
contro elefante, elefante contro
rinoceronte, tigre contro cinghiale etc.
In alcuni mosaici vediamo abbinate
ancora più esotiche: orso e pitone,
leone e coccodrillo, foca ed orso.
Talvolta gli animali avevano paura di
combattere, e quindi venivano
incatenati fra loro per aizzarli l’uno
contro l’altro. Gli elefanti erano spesso
accompagnati da un custode che però
non aveva armi, e non partecipava alla
lotta. Alcuni spettacoli consistevano
banalmente nell’incitare gli animali
allo scontro, tanto più che l’esito di
certi duelli – per esempio fra leone e
cerbiatto - era quasi scontato. Di
quando in quando si impiegavano
nella caccia anche cani, ma il loro
ruolo era per lo più limitato a quello
di aiuto per i venatores.
È opportuno ricordare che la
definizione di venatores si applicava
30
Capitolo 1
Fragment of a famous mosaic from Villa Borghese
showing venatores fighting with a group of leopards,
taken from the early 4th century AD. (Galleria
Borghese, Rome / Alinari /
The Bridgeman Art Library)
A figurine representing a venatio. One of the
venatores has been knocked down, another,
protecting himself with a large shield, is probably
trying to save him. (Musée Archéologique, Sousse.
Author’s collection)
Testo mattoproteggere pellegrini e coloni in Terra Santa. I Templari si consideravano guerrieri di Dio che combattevano nel nome di Dio e si crearono una reputazione temibile tra i vicini musulmani. Questo libro tratta degli uomini che entrarono a far parte dell’ordine e dei motivi per cui lo fecero, in particolare coloro che combatterono in Terra Santa. Sulla base di fonti
contemporanee, il libro presenta un attento studio della vita quotidiana dei guerrieri: dal cerimoniale di ammissione all’ordine al loro addestramento, alla loro organizzazio-ne sul campo e al modo in cui combattevano.
T
Konstantin Nossov
L’ordine del Tempio era un’organizzazione religioso-militare istituita per proteggere pellegrini e coloni in Terra Santa. I Templari si consideravano guerrieri di Dio che combattevano nel nome di Dio e si crearono una reputazione temibile tra i vicini musulmani. Questo libro tratta degli uomini che entrarono a far parte dell’ordine e dei motivi per cui lo fecero, in particolare coloro che combatterono in Terra Santa. Sulla base di fonti
contemporanee, il libro presenta un attento studio della vita quotidiana dei guerrieri: dal cerimoniale di ammissione all’ordine al loro addestramento, alla loro organizzazio-ne sul campo e al modo in cui combattevano.
GLADIATORISangue e spettacolo nella Roma antica
Kostantin Nossov
L
GLADIATORI