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D'altra parte, non esiste sicurezza assoluta nemmenoper chi si affida alle armi; anche i professionisti del settoresono vulnerabili. Il peggiore episodio di violenza a Kabuldurante l’ultimo anno è stata l’autobomba che il 29 ago-sto 2004 ha colpito la sede della Dyncorp, uccidendo die-ci persone. Dyncorp è la società statunitense di sicurezza– privata, ma legata a filo doppio al ministero della difesaUsa – che recluta mercenari in tutto il mondo e li impieganei contratti miliardari che ottiene dal Pentagono, tra cuila protezione del presidente afgano Hamid Karzai.

Le ong che lavorano in Afghanistan devono però af-frontare una crisi più complessa, relativa alla loro identitàe alla percezione che l’opinione pubblica ha maturato delloro lavoro. Da una parte, con la crescente militarizzazio-ne degli aiuti la linea di demarcazione tra l’operatoreumanitario (civile e neutrale) e il mi-litare che costruisce una scuola si èfatta sempre più confusa. Poiché imilitari, al di là delle migliori inten-zioni e qualità individuali, sono co-munque il braccio armato della poli-tica estera degli stati nazionali, ilprincipio di neutralità dell’azioneumanitaria ne esce malridotto espesso sono gli operatori umanitaricivili a farne le spese: quasi 50 (il 90%afghani) sono stati uccisi in Afghani-stan negli ultimi due anni e mezzo.

La forbice si allargaD’altra parte, la bandiera ong è inal-berata anche da soggetti che con lasolidarietà hanno poco a che fare.Molte imprese di costruzione o di im-port-export si sono registrate comeong per trarre vantaggio dalle esenzioni fiscali. Ci sono so-cietà di consulenza internazionale che reclutano “esperti”da inserire nell’organico dei ministeri per formare i colle-ghi afgani. Pagati con fondi della cooperazione governati-va bilaterale, questi consulenti guadagnano 1.000-1.500dollari al giorno, non solo per missioni brevi. Un reportagedel settimanale tedesco Der Spiegel (26 marzo 2005) cita ilcaso di un “esperto” della società inglese Crown Agents,che ha presentato un conto di 208mila dollari per 180 gior-ni di lavoro nell’ufficio per il coordinamento degli aiuti.Tutto ciò, in una realtà dove un insegnante statale guada-gna 60 dollari al mese e lo stesso ministro che l’esperto de-ve consigliare porta a casa duemila dollari al mese.

La fetta di aiuti che ritorna nei paesi donatori sotto for-ma di commesse per forniture e stipendi d'oro è un maleantico della cooperazione internazionale, che oggi creascandalo in Afghanistan. La società afgana era tra le piùegualitarie in Asia fino agli anni ’70. Oggi il processo di ri-costruzione di un’economia anemica, “drogata” dai pro-fitti del narcotraffico e degli aiuti, avviene tra contrasti stri-denti, con la forbice ricchissimi-poverssimi che si apresempre più. Stampa e politici si scandalizzano per la flot-ta di costosissimi gipponi bianchi delle agenzie umanita-rie che fanno la spola tra uffici, residenze fortificate e ri-storanti. Ma sembrano non vedere la flotta di gipponi ros-si, neri e blu nei nuovi ricchi afgani.

Alcuni politici, come l’ex ministro della pianificazio-ne, Ramazan Bashar Dost, hanno dato voce al malumore

diffuso verso le ong, sostenendo chei soldi degli aiuti sono per il popolodell’Afghanistan e che il governo de-ve sapere come vengono usati edevitare sprechi. Su questo punto leong più serie sono ovviamente d’ac-cordo. Ma in assenza della capacitàistituzionale di eseguire maggioricontrolli, il ministro si è limitato al-l’invettiva a tinte populiste. Il suosuccessore ha portato avanti fatico-samente per quasi sei mesi la gesta-zione della nuova legge che discipli-na il settore non governativo e nonprofit, con la speranza che una voltaindividuati i profittatori gli altri ven-gano lasciati lavorare in pace, senzacriminalizzazioni collettive.

C'è anche un motivo politico die-tro la polemica contro le ong. Alla

conferenza dei donatori internazionali, a Tokio nel 2004,gli aiuti promessi all’Afghanistan erano stati divisi grossomodo in tre fette: un terzo al governo, un terzo alle Nazio-ni Unite, un terzo alle ong. Ora il governo afgano fa nota-re che è una contraddizione voler rafforzare lo stato, dan-do fondi a coloro che sono non-governativi. Il governochiede più soldi e, non potendo permettersi la battagliapolitica contro l’Onu, ha deciso di allargare la propria fet-ta di budget attaccando le ong. Il bilancio statale è davve-ro magro: circa 680 milioni di dollari per il 2004-05 (l’annosolare del calendario persiano inizia il 21 marzo). Gli sti-pendi dei dipendenti pubblici sono una miseria, corru-zione e inefficienza ne conseguono quasi naturalmente.

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I DILEMMI DI CHI AIUTATRA VIOLENZA E CORRUZIONE

Il lungo sequestro di un’operatrice umanitariaitaliana a Kabul ha riportato l’attenzione dellastampa nazionale sull’Afghanistan e sulla criti-ca situazione in cui vi lavorano le ong. Quandole condizioni di sicurezza peggiorano, le ongpiù attente al loro mandato etico e di solida-rietà, come Care, per cui lavorava Clementina

Cantoni, e naturalmente come la rete internazionale Ca-ritas, si trovano di fronte a scelte difficili.

Anzitutto, emerge la massima attenzione a garantirel’incolumità di operatori e partner, locali e internazio-nali. Ma anche l’amara consapevolezza che le spese perla sicurezza fanno aumentare i costi amministrativi ol-tre la soglia “etica” definita da ogni organizzazione in-sieme ai propri donatori, a scapito di programmi e per-sone in stato di bisogno. Ormai nessuno si sente al sicu-ro grazie alla qualità del proprio lavoro, alla buona re-putazione e alla protezione indiretta e non armata (manon per questo inefficace) delle comunità locali che be-neficiano dei programmi.

di Mario Ragazzi fotografie Luigi Biondi

DOPOGUERRA TRAVAGLIATOImmagini dalla provincia di Ghor:l’Afghanistan attende una pace reale

Il rapimento Cantoniha evidenziato quanto siaa rischio, in Afghanistan,la missione degli operatoriumanitari. Che non hannosolo problemi di sicurezza.Analisi delle contraddizioni di un dopoguerra instabile

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Con Caritas Italiana a Kabul quattro suore per i bimbi disabili

Dal 2004 Caritas Italiana ha un operatore in Afghanistan. Questa presenza ha resopossibile l’elaborazione di un articolatoprogramma-paese: non più singoli interventiisolati, ma progetti inseriti in un piano di sviluppo integrato. I settori prioritarid’intervento nel paese asiatico sono cinque:sociale (attenzione ai soggetti vulnerabili,come i molti disabili che vivono ai marginidella società, vittime di mine, guerre o malattie genetiche); istruzione (realizzazione di edifici scolastici in regioni remote e alfabetizzazione degli adulti); promozionesocio-economica (sviluppo dell’agricoltura e miglioramento delle vie di comunicazione,per combattere il terribile inverno afgano, chein molte regioni causa carestie e isolamento,mietendo centinaia di vittime); pace,riconciliazione e diritti umani (sostegno a percorsi di formazione e animazione condotti da organizzazioni locali consolidate e affidabili); programmi d’emergenza (per prevenire morti per denutrizione,epidemie e stenti, soprattutto tra i milioni di sfollati ancora costretti a risiedere nei campi profughi in Pakistan).

Il programma paese (durata triennale,budget di quasi 2 milioni di euro, anche se i bisogni sarebbero molti di più…) prevede anche il supporto all’inserimentodi un’associazione fondata in Italia da diversiordini religiosi, maschili e femminili. Essa è presente a Kabul da novembre con quattro suore di diverse congregazioniche, grazie all’aiuto dell’operatore Caritas,hanno cominciato a lavorare sulla valutazionedei bisogni, individuando nei bambini disabili il primo ambito d’intervento. L’associazioneintende stabilirsi in Afghanistan in modopermanente, partendo con la creazione di un centro diurno per i piccoli disabili.

[Danilo Feliciangeli]

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Meriti di un dottore tedescoMolti donatori internazionali sono però riluttanti a stor-nare i fondi dalle ong al governo. Ci sono problemi di ca-pacità professionale e corruzione, oltre alla pressionedelle opinioni pubbliche in Europa e Stati Uniti. Che haeffetti ambivalenti. Quando un governo come quello diBush, impantanato in Iraq, in vista delle elezioni ha bi-sogno di una storia di successo in tempi rapidi almenodall’Afghanistan, allarga la borsa degli aiuti. I progettivengono finanziati generosamente, senza fare troppe

Il piccolo aereo vola sicuro su un panorama moz-zafiato. Pochi minuti dopo il decollo da Kabul,montagne e vallate iniziano a susseguirsi a per-dita d’occhio, in armonica monotonia. È l’impo-nente catena dell’Hindu Kush, che divide l’Af-ghanistan tra nord e sud: paesaggio incredibil-mente bello, sia pure di innegabile durezza.

Dopo circa un’ora e mezza l’aereo arriva sopra una val-lata più ampia delle altre. Fuori dal finestrino una piccolacittadina, case di fango e paglia che quasi si confondonocon il resto del paesaggio. L’aeroporto è tutto in due picco-li edifici malandati e semiabbandonati. Nei dintorni, car-casse di aerei militari da trasporto, eredità degli oltrevent’anni di guerra che hanno afflitto l’Afghanistan. Siamoa Chagcharan, capoluogo della provincia centro-occiden-tale di Ghor, una delle più povere e isolate del paese.

Il viaggio – insieme a quattro operatori dell’ong france-se Madera, partner di Caritas Italiana nella provincia – ser-ve a visitare i progetti che Caritas finanzia nei distretti diPasaband e Taywara e per valutare la situazione della zona,in vista di eventuali altre iniziative. L’impegno di CaritasItaliana da queste parti è iniziato nel 2002 con la costruzio-ne di due scuole, una per ragazzi e una per ragazze, nel di-stretto di Taywara, e prosegue con la costruzione della se-zione maschile della scuola del distretto di Pasaband, in at-

tesa di poter realizzare anche la sezione femminile. L’istru-zione rappresenta una delle priorità dell’Afghanistan, inparticolare di quest’area; autorità locali e popolazione so-no consci di dover investire tutte le risorse possibili. Ma so-no pochissime le scuole che possono contare su un edifi-cio vero e proprio; nella maggioranza dei casi le classi sonotende in cui vengono stipati gli studenti.

A ciò si aggiunge la mancanza di insegnanti preparati.Molti si improvvisano maestri per far fronte all’impellentebisogno di un salario; alcuni sanno appena leggere e scri-vere, ma è già qualcosa in una provincia in cui il tasso dianalfabetismo raggiunge vette impressionanti (stime par-lano di più del 50% tra gli uomini e quasi del 100% tra ledonne). Puntare sugli edifici può essere il primo passo permigliorare, in futuro, la qualità dell’istruzione, incomin-ciando da corsi per gli insegnanti. La gente ha voglia diun’istruzione appropriata; gruppi di studenti si incontranolungo le strade già dalla mattina presto, disposti ad affron-tare ore di cammino per raggiungere le scuole.

Sette anni di siccitàPrima di partire per Pasaband c’è tempo per un breve giroal bazar, per comprare noci e frutta secca con cui integrarela povera dieta di questi luoghi. La gente è incuriosita, manon ostile: non capita spesso di vedere occidentali aggirar-

domande e controlli. Così si alimenta la corruzione:quella sporca e illegale delle bustarelle afghane, quellagiacca-e-cravata e legalissima dei consulenti da 1.500dollari al giorno.

Caritas Internationalis (e la sua rete) prendono mol-to sul serio questa situazione di crisi, e non solo per leimplicazioni di sicurezza. Fiducia e partecipazione dellapopolazione sono ingredienti fondamentali per la buo-na riuscita dei progetti. D’altra parte, il lavoro di solida-rietà è un generatore di fiducia, che ha importanti con-

seguenze sociali ed economiche. Lo ha dimostrato Mar-tin Wiedonk, un professore tedesco elegante e colto, lu-minare della gastroenterologia in pensione, che in treanni, senza organizzazioni importanti alle spalle, macontando sul duro lavoro proprio e dei collaboratori af-ghani, senza guadagnare un euro, ha creato l’unità di ga-stroscopia dell’ospedale Ali Abad, a Kabul. Dove è mortoin un incidente stradale lo scorso marzo. Niente gipponebianco per lui, andava al lavoro in bicicletta e il traffico loha stritolato. Che riposi in pace.

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Tra i monti e i deserti di Ghorfiorisce la voglia di scuolaUna regione suggestiva.Tra le più povere e isolate dell’Afghanistan.Dalle popolazioni una richiesta prioritaria: qui è sicuro, aiutateci a studiare

di Luigi Biondi

PRIMO,STUDIAREL’istruzioneè una prioritàper le popolazionidi Ghor edell’Afghanistan“profondo”.Ai necessariinterventidi edilizascolastica,devono seguirepresto percorsiper qualificaregli insegnanti

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conflitti dimenticati

NUOVE “MAPPE URBANE”,VIOLENZA ALLA PORTA DI CASAdi Paolo Beccegato

ri negativi: le città non sono prontead accogliere centinaia di migliaia dinuovi cittadini; mancano infrastrut-ture, servizi e standard minimi di ac-coglienza. La popolazione urbanatende inoltre a crescere con un ritmoestremamente veloce e difficilmentecontrollabile, rendendo sempre piùcomplessa la gestione delle nuovamappe urbane. Il risultato di tale pro-cesso – incontrollato e incontrollabi-le – consiste in un movimento caoti-co, generatore di esclusione sociale,povertà e violenza. Si alimentano, ne-gli addensamenti urbani, microcon-flitti estremamente cruenti e trascu-rati, che in alcune periferie urbanesegnate da povertà estrema e degra-do sociale causano già oggi più del50% delle morti.

Le sfide per le autorità locali, na-zionali e internazionali sono molte-plici. La pianificazione urbana puòfare molto per cercare di indirizzarele forze generate da questo nuovo

fenomeno, attraverso vari strumenti: uso razionale del-la terra e dell’edilizia, controllo e normalizzazione deglislum, creazione di istituzioni decentrate e di servizi so-ciali, utilizzo razionale delle risorse idriche e di smalti-mento dei rifiuti. Sono solo alcuni esempi, ma la realtàè lontana da queste prospettive. L’obiettivo chiave dellenuove politiche dovrà essere comunque una urban go-vernance, intesa non solo come governo delle città, maanche come l’insieme dei mezzi con i quali individui eistituzioni, pubbliche e private, pianificano e gestisconoi loro “affari comuni”.

Anche da queste politiche dipenderà il destino di tan-ti “piccoli della terra” che si troveranno a nascere o a vive-re in contesti urbani sempre più popolati, ma che non perforza debbono essere sempre più pericolosi e violenti.

Tra i conflitti dimenticati più recenti e inquietanti, vanno annove-rati quelli legati al cambiamento delle società in seguito ad altreguerre o allo spostamento di ampi strati di popolazione su scala

macroregionale. È il caso della violenza che si produce nelle cosiddette“nuove mappe urbane”, cioè nelle arene che sono frutto della configu-razione socio-demografica che assumono le nazioni in generale, e lecittà in particolare, in seguito all’impatto di massicci movimenti di po-polazione. Se il processo che ha avuto inizio con la rivoluzione indu-striale ha portato le città, nel diciottesimo e diciannovesimo secolo,a crescere in maniera esponenziale,dopo la seconda guerra mondiale il fe-nomeno ha assunto dimensioni sem-pre più rilevanti e preoccupanti. LeNazioni Unite stimano oggi che entroi prossimi quattro anni più della metàdella popolazione mondiale vivrà inaree urbane del pianeta (concentratenel 2% circa di territorio abitabile). Al-tri studiosi, sulla base di indicatori sta-tistici che considerano anche le nasci-te non registrate, ritengono che il tettodel 50% sia già stato superato da qual-che mese, e cioè che la popolazioneurbana nel pianeta abbia già superato quella rurale.

Instabilità regionali, guerre e aumento della povertàfungono da acceleratori del processo di inurbamento,spingendo centinaia di migliaia di persone a cercare rifu-gio o prospettive migliori nelle città e ad abbandonarecampagne insicure e improduttive. Sempre secondo alcu-ne agenzie delle Nazioni Unite, entro il 2015 saranno 21 le“megalopoli” con oltre 10 milioni di abitanti: la maggiorparte di queste si troverà nei paesi in via di sviluppo. Nel1975 il 27% della popolazione dei paesi in via di sviluppoviveva in aree urbane, nel 2000 la proporzione era già sali-ta al 40% e la tendenza è in piena crescita.

“Urban governance”L’urbanizzazione selvaggia porta con sé un carico di fatto-

Le città contemporanee,anche nel sud del

mondo, spesso a causa di guerre e disordini, si vanno gonfiando.Le periferie delle

megalopoli si accendonodi microconflitti diffusi,contro i quali servono

politiche incisive

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si nei dintorni. E certo non bastano una shalwar kameez(l’abito tradizionale, larghi pantaloni e una scamiciata chearriva al ginocchio) o la barba lunga per mimetizzarsi.

Lasciata Chagcharan, occorrono sei ore di auto, su stra-de sterrate e sconnesse, per coprire 150 chilometri. Territo-rio desertico, circondato da splendide montagne tra i duee i tremila metri, avvolto da una costante nube di polvere;di tanto in tanto si presenta un villaggio, un’oasi verde do-ve la vita riesce a strappare terreno al deserto grazie a unasorgente o a un fiumiciattolo. Colpisce lo stile architettoni-co delle abitazioni di fango e paglia, perfettamente inseri-te nell’ambiente: semplici, in molti casi povere, non tra-smettono alcun senso di squallore; piuttosto, un’energicaresistenza alle condizioni ambientali. Si guadano torrentiche attraversano la strada. Buon segno, dopo sette anni disiccità finalmente una stagione di piogge abbondanti. Peruna regione che vive di allevamento eagricoltura, è la sopravvivenza.

A Pasaband l’accoglienza è caloro-sa; buon tè, da bere seduti su comodimaterassi, secondo la tradizione loca-le. Il giorno seguente si distribuisconoi salari ai lavoratori di uno dei progettiper la sicurezza alimentare realizzatida Madera nel distretto di Taywara,che rispondono all’emergenza non at-traverso la distribuzione assistenzialedi cibo o di altri beni, ma promuoven-do attività “di pubblica utilità”, ovveroopportunità di lavoro per persone chevivono in situazione di grave difficoltàeconomica. Gli uomini che vengono ariscuotere la paga hanno lavorato allasistemazione di alcune strade del distretto; si presentano acoppie, un po’ impacciati davanti al contabile che spiega laprocedura. Età molto diverse, ma difficili da definire conesattezza; li accomunano le tracce di una vita dura, im-presse nei visi segnati, negli abiti consunti. Durante la gior-nata passano non meno di 200 persone, nessuno è in gra-do di firmare la ricevuta con il proprio nome. Per tutti l’u-nica soluzione è lasciare l’impronta digitale.

Salute,scenario impressionanteI giorni passano tra incontri con autorità locali, insegnan-ti, direttori delle scuole, studenti. Nelle scuole di Taywarafioccano le richieste dei ragazzi più grandi, mentre le ra-gazze parlano timidamente di quanto sono contente dipoter venire a scuola e del loro desiderio di continuare. La

visita al cantiere della scuola di Pasaband, che Caritas starealizzando anche grazie all’offerta di un parroco italiano,tocca anche i locali dove, in attesa del nuovo edificio, sisvolgono le lezioni della scuola maschile: stanzette buieche non raggiungono i quindici metri quadrati, i negozidella parte vecchia del bazar riciclati allo scopo, dove si se-guono le lezioni seduti per terra, attaccati gli uni agli altri.Per ora nel centro del distretto non c’è una sezione femmi-nile, ma c’è la speranza di poterla aprire in futuro.

Gli incontri, molto cordiali, hanno sempre al centro l’i-struzione, la mancanza di strutture appropriate per svol-gere le lezioni, l’assenza di quaderni, libri, penne: i notevo-li sforzi del governo afgano e di alcune organizzazioni in-ternazionali non riescono a dare risposte definitive. Nonmanca un cenno alla carenza di professori, all’inadegua-tezza di molti di loro, al fatto che insegnanti di altre pro-

vince non vogliono venire a Ghor.Aspettando una nuova generazione didocenti, bisogna puntare su quelli adisposizione, cercando di portarli a unlivello minimo accettabile.

Quando si parla di salute e assi-stenza medica, lo scenario si fa im-pressionante: malaria, tubercolosi,malnutrizione e, nelle zone più remo-te, casi di lebbra. Ma l’aspetto più gra-ve è l’alto tasso di mortalità infantile,di gestanti e partorienti; in questi casila morte arriva senza spiegazione, ma-gari per un’infezione banale non dia-gnosticata (e per la quale comunquemancherebbero le medicine), per unapratica popolare sbagliata o per assen-

za di condizioni igieniche minime. Non esistono strutturemediche adeguate, mancano dottori e farmaci. Poche cli-niche coprono porzioni di territorio vaste, che la gente su-pera a piedi, a dorso di animali, raramente in auto. Per i ca-si più seri gli ospedali attrezzati si trovano a molte ore diviaggio. La campagna di vaccinazione dei bambini stentaa decollare. Dicono che si muore per un nonnulla, per pro-blemi anche banali. Non è difficile crederci.

Il governatore distrettuale di Pasaband chiede di porta-re un messaggio alle organizzazioni che lavorano in altreprovince e non vogliono operare a Ghor, o hanno paura difarlo. «Queste zone sono tranquille e sicure, qui si può la-vorare e la gente ha enorme bisogno di sostegno». Appelloaccorato: l’Afghanistan profondo ha fame di opportunità edi futuro, anche nei suoi angoli più sperduti.

COLORATI E INDIFESIBambine in costumi tradizionali nellaprovincia di Ghor. I minori soffronoanche la precaria situazione sanitaria