I cristiani e le nuove SPECIALE sfide della politica DOCUMENTI · sa, di slancio verso il futuro....

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CRISTIANO SOCIALI NEWS - QUINDICINALE DEL MOVIMENTO DEI CRISTIANO-SOCIALI - Poste italiane spa - spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv. L. 27/02/2004 n° 46) art.1, DCB - Roma “La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250”. I cristiani e le nuove sfide della politica DEMOCRAZIA, GIUSTIZIA, BENE COMUNE 1. UN FORTE DISAGIO Questo non è tempo di falsa coscienza. La situazione è troppo difficile, troppo delicata. Non possiamo passare sotto silenzio il vissuto fortemente problematico di gran parte di noi. Dobbiamo guardare in faccia la realtà, ri- flettere insieme, se vogliamo uscire da una sindrome di depressione e di impotenza. Se vogliamo fare la nostra parte per superare una situazione molto critica. Ancora l’anno scorso, qui ad Assisi, ci siamo incontrati (segue a pag. 2) 1. GUARDARE IN FACCIA LA REALTÀ 6° CONVEGNO NAZIONALE DI STUDI DEI CRISTIANO SOCIALI La relazione introduttiva di MIMMO LUCÀ ASSISI 26-27-28 settembre 2008 per un’Italia solidale SPECIALE DOCUMENTI 2008 Anno XII - Numero 10 - 2 2008 Anno XII - Numero 10 - 2

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I cristiani e le nuovesfide della politica

DEMOCRAZIA, GIUSTIZIA,BENE COMUNE

1. UN FORTE DISAGIO

Questo non è tempo di falsa coscienza. La situazione ètroppo difficile, troppo delicata. Non possiamo passaresotto silenzio il vissuto fortemente problematico di granparte di noi. Dobbiamo guardare in faccia la realtà, ri-flettere insieme, se vogliamo uscire da una sindrome didepressione e di impotenza. Se vogliamo fare la nostraparte per superare una situazione molto critica. Ancora l’anno scorso, qui ad Assisi, ci siamo incontrati

(segue a pag. 2)

1.GUARDARE IN FACCIA LA REALTÀ

6° CONVEGNONAZIONALE DI STUDI

DEI CRISTIANO SOCIALI

La relazione introduttiva

di MIMMO LUCÀ

ASSISI26-27-28 settembre 2008

per un’Italia solidale

SPECIALEDOCUMENTI

2008Anno XII - Numero 10 - € 2

2008 Anno XII - Numero 10 - € 2

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nel segno di una speranza seriamente fonda-ta: il soggetto unitario dei riformisti italiani sta-va finalmente nascendo. Ci stavamo prepa-rando al grande evento delle primarie cheavrebbero indicato il leader del Partito De-mocratico, Walter Veltroni. Con una parteci-pazione straordinaria e con il contributo dimolti cristiano sociali. Quella speranza, oggi, è molto appannata.Nel sentire degli italiani, prima che nel nostro.La crisi traumatica dell’Unione, la caduta delgoverno, la fine anticipata della legislatura,la sconfitta elettorale… La destra ha vinto. IlPd non riesce ancora ad uscire dalle sue dif-ficoltà; a mettere in campo un’opposizioneadeguata, un convincente cammino di ripre-sa, di slancio verso il futuro. L’Italia conosce una vera emergenza, ma lapolitica, tutta la politica, non riesce ad espri-mere un’adeguata capacità di risposta. C’èsolo il decisionismo spettacolare, il mostrar dimuscoli pensato per far colpo sugli elettori diquesta destra. Una destra che in realtà è trale cause principali di questa emergenza. Ma il forte disagio di oggi non viene solo dal-la nostra sconfitta e dall’arroganza della de-stra. Viene anche dal ritardo con il quale il Pdsta reagendo. Viene dalla crescente consape-volezza che questo partito non è quello cheavevamo immaginato e per il quale abbiamocosì tanto lavorato. Ci incontriamo, però, perché vogliamo uscireda questo disorientamento. Perché vogliamolasciarci alle spalle la depressione. Perché pen-siamo, ancora e sempre, che politica è “sor-tirne insieme”. E questo vuol dire, anzitutto,confrontarsi, discutere, riflettere… E vuol direcoltivare almeno tra noi quel senso di frater-

nità e di amicizia che è l’humus profondo diogni “noi” politico. Perché il nostro disagio nasce forse anche daquesto. Dal fatto che nel “partito nuovo” è diffi-cile, oggi, trovare sedi ed occasioni per incon-trarsi, discutere, partecipare, decidere insieme.

2. DENTRO UNA TENDENZAAL “REGRESSO CIVILE”

L’Italia sta vivendo una stagione davvero dif-ficile. Su tutti i versanti: economico, sociale,civile… Una crescente ingiustizia indebolisceuna coesione sociale già molto problematica.La crisi economica legata al crollo della fi-nanza speculativa negli Stati Uniti fa sentirele sue conseguenze. E sulla nostra vita quoti-diana pesa la speculazione sui prezzi dellabenzina, del pane, di altri generi essenziali. La società italiana sta diventando sempre piùfrantumata e segmentata; sempre più ingiu-sta. Altro che “società aperta”. In questa situazione per molti versi dramma-tica, chi governa non cerca di ridurre la fram-mentazione e di orientarla verso una nuovaconvivenza civile: asseconda, al contrario, lapaura e il rifiuto della diversità. E lo fa a finidi consenso e di potere. Assistiamo ad una vera trasmutazione del Pre-sidente del Consiglio: nella differenza tra ilBerlusconi del discorso di insediamento e ilBerlusconi che di lì a qualche settimana hamostrato il suo volto di sempre, c’è qualcosache ci fa pensare al Dr. Jekyll e a Mr. Hyde. Ilriconoscimento dell’opposizione, l’offerta didialogo sulla politica estera e sulle grandi ri-forme, ha lasciato il posto al disconoscimen-to e agli insulti.

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Prima il Lodo Alfano, la solita priorità dataagli interessi personali con l’alibi della “per-secuzione giudiziaria”. Poi un continuo deci-dere per decreti, con il voto di fiducia e fuorida ogni confronto politico. In appena 4 mesi di legislatura, sono state ap-provate 18 nuove leggi: 12 decreti, 5 disegnidi legge governativi e in un solo caso l’inizia-tiva è stata parlamentare.E sulla prossima Finanziaria il Governo ha giàdeciso di mettere la fiducia.Il Parlamento viene espropriato delle sue prero-gative. L’opposizione vede venir meno il luogonel quale può esercitare il suo ruolo di control-lo, di proposta e di pressione. Ruolo indispen-sabile ad ogni dinamica politica democratica. È una tendenza grave. Tanto più se si pensaalle grandi scelte di politica economica ne-cessarie a contrastare la grave emergenza fi-nanziaria. Una emergenza che colpisce tuttol’Occidente, ma che in Italia sta producendocontraccolpi più seri. Fino a spingere la no-stra economia verso il passaggio dalla sta-gnazione alla recessione. Ebbene, di fronte a questa emergenza, che fail governo della destra? Interventi di politicaeconomica e finanziaria rivolti più a fare im-magine e ad esercitare scambio politico congli elettori di riferimento che a fronteggiare se-riamente la crisi. Abolizione dell’Ici, cancel-lazione della tracciabilità per i redditi delle li-bere professioni, tagli indiscriminati sulla scuo-la e sui servizi sociali, “tolleranza zero” sullasicurezza con pubbliche dimostrazioni mu-scolari (l’esercito in piazza, il censimento pre-testuoso dei Rom nella logica del capro espia-torio, le norme sugli immigrati, su cui giusta-mente si sono concentrate le critiche di tradi-mento dei diritti umani da parte del Vaticano). Per non parlare delle riforme. Il federalismofiscale si deve fare sotto il continuo ricatto del-la Lega. E per individuare margini di conver-genza ci si deve affidare più ai contatti infor-mali che ad una trasparente dialettica tra mag-gioranza e opposizione. Il governo cambiaidea ogni giorno e, intanto, produce danni ir-reparabili agli enti locali, al reddito delle fa-miglie, al benessere delle comunità.Difficile pensare ad un avvio peggiore sul fe-deralismo. Non ci sono le cifre, non è chiarochi ci perde e chi ci guadagna, si prevedonotasse aggiuntive sul testo ufficiale, negate poinegli interventi informali.

Si parla di allargamento delle autonomie subase locale per la scuola e per la sanità, masi producono tagli che incidono profondamentesulla qualità concreta di questi servizi sul ter-ritorio. Con una mano si toglie e con l’altra sifinge di dare. Si dice una cosa e la si negaqualche ora dopo. E poi la legge elettorale per le europee. Si con-feziona unilateralmente una proposta che adot-ta liste bloccate e sbarramento al 5 per cen-to: si vuole una esasperata semplificazionedella rappresentanza; e si nega agli elettorila libertà di scegliere il candidato da votare.Di nuovo, saranno le nomenclature dei parti-ti a scegliere chi sarà eletto. Il disegno è chia-ro: adottare per la composizione delle as-semblee elettive a tutti i livelli una medesimalogica plebiscitaria. Tu non partecipi. Tu espri-mi consenso su scelte compiute dall’alto. Ha ragione il settimanale Famiglia Cristia-na che con grande coraggio, nell’editorialedi questa settimana, denuncia quella che de-finisce la “porcata numero due, ovvero unacopia delle disposizioni più antidemocrati-che della legge con cui abbiamo votato al-le politiche”. È un insulto alla intelligenzadegli elettori - continua il settimanale - trat-tati da sudditi, chiamati a ratificare le scel-te del principe”.Che bravo questo Berlusconi! Per giustificareil suo voltafaccia, arriva ad insultare l’oppo-sizione e il suo leader e li presenta come in-degni di un qualsiasi dialogo. Solo l’argine posto dalla sobria fermezza delPresidente Napolitano sembra temperare losprezzo delle regole e delle istituzioni demo-cratiche di questa destra. Ascolta e dialoga,il Presidente della Repubblica, ma svolge il suoruolo di garanzia ponendo paletti precisi: di-ce che la Costituzione non si tocca; fa cono-scere il suo disappunto quando il ministro del-la difesa e il sindaco della capitale rasentanol’apologia del fascismo. Hanno preteso, entrambi, di mettere sullo stes-so piano chi ha dato la sua vita per liberarcidal male dell’assolutismo fascista e chi invecelo ha fatto per difendere il regime. Alemannoè giunto fino a voler distinguere tra un fasci-smo buono ed uno cattivo. Non è una retorica dell’antifascismo che spin-ge anche noi a dire una parola chiara sul pun-to. Il giudizio storico di condanna sul fascismoe su tutti i totalitarismi è un valore fondante

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della Repubblica. Ed è anche la verifica di ogniautentico approdo democratico. Il nostro Presidente, infine - ancora lui - ha lan-ciato un serio grido d’allarme di fronte all’e-vidente e persino drammatico deterioramen-to del clima sociale: siamo al rischio di un “re-gresso civile”. E ancora in questi giorni il car-dinal Bagnasco gli fa eco parlando del rischiodi una “regressione culturale”. Sono parole pesanti quelle di Napolitano. Esono credibili, proprio perché vengono da unmaestro rigoroso e coerente della democraziae della politica; uno che non ha mai ceduto aforzature e ideologismi. Il Presidente ci dice chenon stiamo vivendo solo una grave congiuntu-ra economica. Ci dice che la società italianaassorbe ed esprime elementi crescenti di inci-viltà. Di fuoriuscita da ciò che nel senso co-mune dei democratici e nella nostra Carta co-stituzionale viene considerato “civile”. Resta un dato di fatto. Con il suo spericolatoattivismo, questa destra rischia di esercitareun dominio quasi incontrastato. Le conse-guenze sono ogni giorno più evidenti. Anzi-ché risanare le serie ferite della coesione so-ciale si causano nuove disuguaglianze e siesasperano quelle esistenti.Quanti annunci e quante promesse prima del-le elezioni! La riduzione delle tasse, le politi-che per la famiglia, lo stop all’immigrazioneclandestina, la soluzione rapida e sicura peril rilancio di Alitalia… Dopo le elezioni, invece, si affaccia una dop-pia verità: le tasse non diminuiscono fino al2013, sulla famiglia non c’è più neppure il Mi-nistero, gli sbarchi di clandestini raddoppia-no rispetto all’anno precedente, la cordata diColaninno per Alitalia si costituisce con la con-dizione di caricare tutti i debiti della vecchiasocietà sulle spalle degli italiani.Un Libro Verde sul Welfare, presentato dalMinistro Sacconi, annuncia ipotesi grandio-se di cambiamento e di innovazione. Fa pro-pri concetti importanti del nostro patrimonioculturale come “sussidiarietà”, “vita buona”,“centralità della persona”, “famiglia”. Pec-cato che non vi sia un solo accenno al pro-blema delle risorse.Gli stanziamenti, in realtà, vengono ridotti. Losi direbbe piuttosto un libro “al verde”, moltoprobabilmente destinato a restare “in bianco”come quello del suo illustre predecessore Ro-berto Maroni.

Non basta, dunque, annunciare le cose da fa-re. Bisogna farle effettivamente e farle bene.Ho un cruccio nell’avanzare questa critica. An-che la nostra esperienza di Governo ha evi-denziato un analogo limite di coerenza e diefficacia. Anche noi abbiamo presentato pro-grammi impegnativi e buone intenzioni: sullemisure per le famiglie (ricordo l’importanteConferenza di Firenze); sul raddoppio dellarete degli asili nido; sul contrasto della pover-tà con il Reddito Minimo di Inserimento; sullanon autosufficienza. Poi ci siamo persi nellalogica dei due tempi. Abbiamo privilegiato ilrisanamento finanziario, imposto dai vincolieuropei e gestito in modo inflessibile dal Mi-nistro dell’Economia. Ed eccoci qua a raccontare una storia pur-troppo già conosciuta. Il sociale è tra le primevittime. E con esso le famiglie numerose, i gio-vani con lavori precari, le persone non auto-sufficienti, i poveri e gli indigenti, le donne chelavorano e che non ce la fanno a conciliarematernità e lavoro. Sta capitando di nuovo.Sull’altare dell’Ici si sono sacrificati i fondi perle politiche sociali. E si è scaricato sulle regionie sugli enti locali il maggior peso dei tagli al-la spesa pubblica, costringendoli a compri-mere ancora i servizi socio-sanitari. L’impoverimento di vasti strati popolari è sot-to i nostri occhi. Colpite, ancora una volta,sono le fasce sociali più deboli. Ma anche ilpotere d’acquisto delle famiglie popolari e deiceti medi subisce un forte ridimensionamen-to. Molti sono spinti nell’insicurezza e nellapovertà. La sofferenza sociale si fa ogni giorno più este-sa e più acuta, coinvolge i singoli ma soprat-tutto la famiglia, di cui si riduce sensibilmen-te la capacità di garantire benessere e co-esione sociale. Si moltiplicano forme di mise-ria, di marginalità, di solitudine. Cresce il nu-mero dei diseredati che una politica della si-curezza ridotta a repressione-spettacolo so-spinge in vere forme di esclusione e di occul-tamento sociale. E poi ecco, a sorpresa, le misure sulla scuola.Qui, i problemi non sono il grembiulino o lamaggiore severità sul voto in condotta. Il se-gnale più eloquente è il ritorno al maestro uni-co nella scuola elementare. È un provvedimento strutturale, capace di in-cidere in modo bruciante nel corpo della scuo-la. Ed è una mossa inaspettata, spiazzante e

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perciò più grave nei suoi esiti e nelle sue con-seguenze. Una misura inserita di nascosto eall’ultimo momento su un decreto legge: unostile democratico che si commenta da sé. Co-sì si è eluso il dibattito parlamentare e si è evi-tato un qualsivoglia confronto con la scuolareale e con chi la rappresenta: gli insegnanti,i genitori, gli studenti.Assistiamo a timide ed improbabili giustifica-zioni pedagogiche del tipo: tutti noi abbiamoavuto una sola maestra. Si tenta di coprire conuna foglia di fico la vera ragione del provve-dimento: il risparmio economico, una opera-zione contabile. Si tagliano 90.000 insegnanti,si ridimensiona il tempo pieno, si mette in dis-cussione l’insegnante di sostegno.La riforma di un settore decisivo per il Paeseche maschera una manovra finanziaria ispi-rata dal Ministro Tremonti. E che colpisce pro-prio quella scuola primaria che sta ai verticidi tutte le classifiche internazionali e che go-de di un larghissimo consenso tra i genitori.La scuola che funziona meglio e che rimaneuno degli argini più efficaci a difesa dei bam-bini, contro l’invadenza della televisione com-merciale e dei suoi programmi spazzatura. Il Paese rischia di perdere l’orientamento, dismarrire ciò che lo tiene insieme.Chiunque può dire qualsiasi cosa, su tutto: dalfascismo all’8 settembre, dai morti di Porta Piaa quelli di Salò. Ciò che importa è l’effetto me-diatico, il rumore che provoca per coprire ognialtra voce e nascondere verità fino a ieri in-confutabili.Ci sono ministri che parlano di tutto, che fan-no proclami improbabili, il più delle volte sen-za alcun seguito reale.

3. “AUTUNNO DELLA DEMOCRAZIA?”

Dov’è il “bipolarismo mite” che vogliamo co-struire? Quale dialogo costruttivo è possibilecon questa destra? E quale alternativa ha, l’opposizione, per in-cidere e per preparare, su nuove basi, una ri-presa che renda meno improbabile il suo ri-torno al governo? Una società meno coesa e sicura, segnata dauna forte crisi di valori condivisi, attraversatada un flusso ininterrotto di strategie di marke-ting economico, culturale e politico, indotta adelegare la propria sovranità a leaders po-

pulistici, è anche una società in cui diventaproblematica la stessa formazione di una li-bera opinione pubblica. Basta osservare l’in-tero sistema dell’informazione, più impegna-to a segnalare le difficoltà dell’opposizione ea mettere quotidianamente alla berlina i suoiesponenti che a tutelare coraggiosamente ildiritto di critica e di opinione nel Paese. Il co-prifuoco delle idee non è mai un bel segnaleper ciò che viene dopo: una società che rischiadi abbandonare ogni passione per una con-vivenza autenticamente civile. Le difficoltà della politica democratica ap-paiono sempre più evidenti. E la tenuta dellademocrazia ci sembra ogni giorno meno scon-tata. Almeno di quella intesa come metodo ca-pace di tenere insieme il massimo di libertà edi bene comune. Famiglia Cristiana parla di“semi-democrazia”.Veltroni, nel suo bel discorso di Sinalunga,pronunciato a chiusura della scuola naziona-le di formazione, è giunto a parlare di “au-tunno della democrazia”. Non siamo ancora ad un’emergenza demo-cratica: ma certo assistiamo ad uno slittamentoprogressivo verso un’affermazione del popu-lismo mediatico e plebiscitario; verso un au-toritarismo tanto più pericoloso perché puòfregiarsi dell’aggettivo democratico. Di fronte a questi rischi di declino e di re-gressione civile e democratica del paese i de-mocratici non possono non avvertire l’assillodi assumere fino in fondo le proprie respon-

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sabilità. Di compiere ogni sforzo e di cercareogni via perché tutte le energie sane della no-stra società convergano per reagire. Questo assillo, è fin troppo evidente, chiamadirettamente in causa il Partito Democratico,i suoi limiti e le sue potenzialità.

1. MA DOV’È IL PARTITO?

Partiamo da questa nostra esperienza. Siamonel pieno del processo costituente del Pd. Stia-mo costruendo il soggetto nuovo per il qualeda sempre anche noi abbiamo operato. Per la prima volta, però, l’organizzazione diquesta nostra iniziativa di Assisi (ed è la se-sta!) non può essere formalmente “intestata”anche al partito di riferimento dei CristianoSociali. Il nostro movimento infatti - ricono-sciuto prima come soggetto co-promotore epoi come “associazione di tendenza” nei Ds- sembra non essere più considerato un sog-getto significativo del pluralismo interno. Incompenso siamo tornati al tempo delle cor-renti che si sostituiscono al partito. E quandoparlo di correnti mi riferisco a chi sta sia nel-la squadra del Segretario sia a chi sta fuori.Può sembrare piccola cosa, e invece è il se-gno di una situazione più generale. Una si-tuazione che ci inquieta. La casa comune dei riformisti l’abbiamo volu-ta con tutte le nostre forze, pur limitate. Nonl’abbiamo pensata come sommatoria confusadi appartenenze, ma come convergenza del-le diverse tradizioni del riformismo italiano inuna nuova cultura politica, in un progetto ingrado di governare l’Italia nel XXI secolo. E invece vediamo che da questo tentativo nonsta nascendo qualcosa di nuovo. Prevalgonoancora vecchie derive, dispute e controversienon sempre decifrabili, sovrapposizioni tra ca-riche istituzionali e responsabilità di partito. Evediamo dissiparsi lo spirito unitario e l’entu-siasmo che avevano accompagnato l’espe-rienza dell’Ulivo e si erano poi proiettati nel-la costruzione del partito nuovo.

2. QUALE PLURALISMO,QUALE PARTITO

Quale pluralismo per quale partito: questo èil problema. Il riconoscimento della pluralitàè, nel Pd, la condizione necessaria per unanuova sintesi unitaria.

Torno a dire con forza che questo riconosci-mento non deve tradursi nella forma delle vec-chie correnti come “prima casa” rispetto aquella del partito, sempre più considerato co-me una sorta di condominio. È un salto nelpassato che ci farebbe correre gravi rischi. Noi non siamo una corrente, eppure avver-tiamo l’esigenza di una discontinuità utile al-la nuova impresa. Da due anni lavoriamo te-nacemente per dare vita ad una esperienzadiversa e più ampia. Ci tornerò più avanti. Nella realtà del partito, però, vediamo affer-marsi una tendenza: ad una forte concentra-zione di responsabilità sulla leadership na-zionale, corrisponde l’organizzazione per ag-gregazioni fortemente personalizzate. La scon-fitta anziché indurre tutti ad uno scatto di re-sponsabilità e di coesione, sembra aver sca-tenato la rincorsa a rassicurare se stessi e ipropri “seguaci”. È un processo inquietante perché di fatto in-debolisce l’unità e la dimensione associativadel partito, la sua leadership e lo stesso pro-cesso costituente. Non è superfluo ribadire che siamo da sem-pre contrari a questo modello di partito. Perpiù ragioni. In quel modello il leader nazionale, le cor-renti e i loro capi, gli amministratori regio-nali e locali, diventano di fatto la sede deci-siva e quasi esclusiva di mediazione e di ri-cerca di consenso.

2.PD: L’URGENZADI RIPENSARE E RILANCIARE IL PROCESSOCOSTITUENTE

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L’efficacia di questa ricetta, oggi, è messa indubbio nella stessa dimensione locale, dove èstata di fatto sperimentata. Esperienze comequelle di Roma, di Torino, della Sardegna e,per altro verso, la drammatica esperienza na-poletana, lo dicono chiaramente. Il Pd ha bisogno di una leadership forte e col-legiale che sappia suscitare e mobilitare ener-gie, di una struttura di direzione distinta dalruolo proprio del Governo ombra, capace difar vivere il partito, le sue proposte e le suelotte nella società. Ed ha non meno bisognodi un’organizzazione politica degna di que-sto nome. L’associazione politica deve diven-tare una palestra di quella democrazia par-tecipativa che progetta per il paese: dirigen-ti scelti dagli iscritti e non dai notabili; pri-marie per selezionare le candidature; radi-camento popolare. Il Pd sta al radicamentoterritoriale e al partito dei circoli, come Ber-lusconi sta alle sue tv. Mai e poi mai il Cava-liere ci rinuncerebbe. Il Pd non può essere un partito senza popolo.Ha senso se sarà un partito popolare. Se sifonderà su un rapporto diretto e quotidianocon le comunità, i cittadini, gli elettori. Se col-tiverà la capacità di motivarli a partecipare ea votare sulla base di una condivisione di va-lori e di progetto. Per attraversare il pluralismo culturale, la mol-teplicità delle domande, la frammentazione ela disarticolazione della società, un leader, perquanto dotato e carismatico, non basta. Ser-ve un’associazione politica in grado di moti-vare e appassionare una cittadinanza politi-ca attiva e consapevole. Questo - non ci stancheremo di ripeterlo - èanche l’unico vantaggio competitivo che unasinistra riformista può mettere in campo con-tro il populismo plebiscitario. La disputa tra “partito leggero” e “partito pe-sante”, è ormai alle nostre spalle. Parlare og-gi di radicamento e di cittadinanza politicaattiva non è sognare il ritorno al Pci o alla Dc.La società è ricca di presenze plurali e mobi-li, di individualità, associazioni locali, interessimolteplici e frammentati… Quel che serve - se vogliamo uscire dall’im-potenza - è un partito “leggero” perché ca-pace di essere plurale e aperto, e tuttavia “pe-sante” perché costruito su un’associazione dicittadine e di cittadini, su una comunità poli-tica fortemente consapevole e attiva. Iscritti e

circoli vanno pensati come sensori nella so-cietà e motori di quella vita democratica chefinora è mancata. Guardando alla situazione attuale del partitoe dei suoi gruppi dirigenti, sento di dover avan-zare un’osservazione e una proposta. In una fase costituente così impegnativa e de-licata, è tanto più vero che legittimazione epoteri formali contano se sono riconosciuti nel-la loro sostanza. E a riconoscerli deve esserealmeno una buona maggioranza di coloro chenel corpo associativo che già esiste hanno po-teri reali, organizzativi, di concreto orienta-mento. Poteri di decisione, di influenza, di con-dizionamento. Voglio dire che senza una rinnovata e coraleassunzione di responsabilità da parte dell’in-sieme del gruppo dirigente il processo rischiadi essere vanificato. È necessario trovare alpiù presto - ecco la proposta - una formulache realizzi una tale responsabilizzazione erilanci collegialità e spirito di squadra. Nelle difficoltà, tutte le energie dotate di espe-rienza e di capacità di direzione, debbono la-vorare insieme e nella stessa direzione. C’èbisogno di valorizzare tutti. Ed è urgente evi-tare l’approdo alla riedizione di un partito…spartito in correnti.

3. UN PARTITO RADICATO,PARTECIPATIVO,CAPACE DI ALLEANZE

Se dunque siamo partiti dal nostro disagio,non è per farne una categoria politica o percoltivare la depressione. E neppure perché cer-chiamo capri espiatori e rese dei conti. Il nostro malessere, purtroppo, è il malesseredella maggioranza degli elettori e dei demo-cratici che incontriamo nelle nostre assembleee nei circoli. Infatti non pochi si stanno ri-traendo dall’impresa comune. Serve una svol-ta e serve la capacità di comunicarla alla no-stra base e al Paese. I problemi del Pd sono molteplici ma il ban-dolo della matassa è evidente: costruire anzi-tutto il partito che ancora non c’è; e fare diquesta costruzione il luogo politico di riani-mazione dei democratici. Dobbiamo concentrare tutte le nostre ener-gie su due compiti irrinunciabili: fare unabuona opposizione, sviluppando propostesui principali problemi, e ridare slancio al

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processo costituente. Se dovessimo arrivarealle scadenze elettorali di primavera nellecondizioni attuali, la sconfitta sarebbe dav-vero drammatica. Alle richieste più o meno polemiche di un con-gresso anticipato, è stato risposto con la con-vocazione della Conferenza programmaticaall’inizio del 2009. Noi siamo d’accordo suquesta scelta. Una resa dei conti interna, og-gi, sarebbe autodistruttiva. Importante, però,è la qualità del percorso verso la Conferenza. Abbiamo letto con attenzione ed apprezzato,l’intervento di Veltroni a Sinalunga. Un dis-corso capace di additare efficacemente unorizzonte alto del nostro progetto, di ricari-carci di senso e di passione politica. Vi sonocontenuti tutti i temi chiave per la svolta chenoi chiediamo. E la concezione del partito chelì viene proposta è quella nella quale possia-mo identificarci senza esitazione. È un buonpasso avanti. Nella stessa direzione vanno alcun decisionipratiche: la scelta di aprire le iscrizioni al par-tito; la progettazione della manifestazione del25 ottobre; le mobilitazioni sul carovita, suitemi economico-sociali e della scuola; l’op-posizione chiara e netta sulla legge elettoraleproposta dalla maggioranza per le europee… Abbiamo bisogno che la nostra opposizionesappia davvero parlare al Paese. E non che siriduca ad un confronto tra élites dirigenti cuiiscritti e cittadini assistono come spettatori guar-dando la tv. E serve tornare a pensare, e a pensare insie-me. Cortona e il progetto formativo di cui èparte, è senz’altro una buona cosa. Ma nonc’è solo Cortona. Servono, insieme, più inno-vazione e più condivisione. C’è poi, lo sappiamo, un problema di profiloculturale, progettuale, programmatico. E c’è,acutissimo, il problema delle alleanze.

4. BATTAGLIA PER LE PREFERENZE E RIFORMEISTITUZIONALI

Mi misuro con un esempio pratico. La batta-glia in difesa delle preferenze è per noi rile-vante proprio per contrastare il populismo ple-biscitario. Nel Pdl, alle politiche, la composi-zione della rappresentanza parlamentare l’-ha scelta un leader monocratico. L’assetto istituzionale, del resto, è strettamen-

te connesso all’idea che si ha del partito. L’a-bolizione delle preferenze anche alle europeeè un passaggio del bipolarismo bipartitico vo-luto da Berlusconi. Noi non possiamo farglida sponda in alcun modo. Dietro lo slogan vir-tuoso della semplificazione che deve miglio-rare la produttività della politica, c’è l’obietti-vo di sospingere il sistema verso il presiden-zialismo. Di trasformare le campagne eletto-rali in competizioni tra due leader, comple-tando l’opera di smantellamento della parte-cipazione. La si vuole sostituire con un asset-to oligarchico e verticistico dei partiti, svuo-tando ruolo e potere delle rappresentanze par-lamentari e del Parlamento. Il populismo mediatico, nuova forma dell’au-toritarismo, ha bisogno di questo. Ma il rifor-mismo dei democratici non può seguirlo suquesta strada. Non ha bisogno di falsificarela democrazia. Ha bisogno di inverarla nellenuove condizioni storiche. Presidenzialismo e bipartitismo forzato nonpossono essere approdo di un nuovo partitodemocratico. L’approdo è una rinnovata de-mocrazia parlamentare. Con un Parlamentocomposto da 5-6 forze rappresentative delleculture e degli interessi (meglio se vincolate aregole certe di democrazia interna). Con de-putati e senatori a loro volta titolari di una rap-presentanza territoriale. Il modello tedesco è un riferimento importan-te per il progetto del Pd. Fatti salvi i correttiviper adeguarlo alla realtà italiana e all’attua-le situazione politica. Si dirà: ma nel sistematedesco non ci sono preferenze né alle politi-che, né alle europee. Quel contesto è, però, diverso. Alle politichein Germania ci sono i collegi uninominali. Eci sono, soprattutto, partiti dotati di un fortepeso nella vita istituzionale e disciplinati daprecise regole democratiche. Qui in Italia ad un assetto sgangherato corri-sponde un’alta e crescente delegittimazionedella politica e delle sue istituzioni. Eliminarele preferenze anche alle europee sarebbe lagoccia che fa traboccare il vaso dell’espro-priazione oligarchica. Restituire possibilità di ripresa e di sviluppoalla democrazia vuol dire ripensare e rilan-ciare il ruolo dei partiti nel Parlamento e nelPaese. Nel contraddittorio percorso dell’inter-minabile transizione italiana c’è infatti una co-stante: il progressivo svilimento dei partiti, la

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loro perdita di ruolo, di potere, di vitalità par-tecipativa. Il Pd nasce anche per cambiare questa storia.Noi chiediamo che il timone, ora, venga te-nuto con fermezza nella giusta direzione. È il solo modo, d’altra parte, per affrontare ilnodo decisivo delle alleanze. Se vuole affer-mare la sua vocazione maggioritaria il parti-to, nell’attuale situazione, non può coltivareuna sua “splendida” solitudine. La nostra con-sistenza elettorale è buona. E può ancora cre-scere di qualche punto, se operiamo la svoltadi cui sto parlando. Di qui ad essere maggio-ranza, però, ce ne corre. Lo si vede già dalla composizione attuale del-la opposizione in Parlamento. Non c’è solo ilproblema di un’alleanza con l’Udc. C’è oggi,sempre più evidente, il problema di rinego-ziare un’alleanza con l’Italia dei Valori. Di più. Non riusciremo a fare seriamente l’op-posizione, né a vincere le prossime elezioniprovinciali o regionali se non ponendoci ilproblema del rapporto con le forze finite fuo-ri dal Parlamento, sia a causa della leggeelettorale berlusconiana, sia per gli erroricommessi. È del tutto evidente, dunque, che la battagliasulla legge elettorale per le europee, che bi-sognerà condurre senza alcuna esitazione, èanche il terreno politico che può portare il Pda costruire una convergenza, nel Paese e inParlamento, con l’insieme delle forze di op-posizione: da un lato i centristi, dall’altro so-cialisti e Rifondazione. Non sarà ancora la futura coalizione demo-cratica. Ma quando si sta all’opposizione tro-varsi d’accordo su una comune idea di de-mocrazia non è cosa da poco. Questa batta-glia sarà, dunque, un banco di prova di te-nuta dello stesso Pd.

1. QUELL’INVOCAZIONEOPPORTUNA

Nelle attuali difficoltà del Pd c’è una respon-sabilità dell’insieme dei gruppi dirigenti. An-che di quelli cattolici. Si fa un gran parlaredella scarsa visibilità e incidenza dei cattoliciin queste prime fasi del processo costituente.Penso, in particolare, agli interventi di Fami-glia Cristiana. La maggioranza degli elettori cattolici, lo sap-piamo, ha preferito il Pdl. Notevolmente am-

pia, però, è la minoranza che ha votato Pd.Lo scarto tra questa ampiezza del voto catto-lico e l’incidenza dei cattolici nel partito esi-ste. A cosa è dovuto? Alla maggiore aggres-sività dei dirigenti laici provenienti dai Ds? Alloro restare ancorati a vecchie dinamiche le-gate all’album di famiglia del vecchio Pci? Oc’è dell’altro? Non c’è forse anche un’indisponibilità dei cat-tolici provenienti dal percorso Dc-Ppi-Mar-gherita a lasciarsi alle spalle atteggiamentinon meno consumati, come quello di dare vi-ta ad appartenenze organizzate in assenzadi una precisa identità culturale? Come spie-gare, altrimenti, la difficoltà delle diverse com-ponenti del cattolicesimo sociale e democrati-co a collaborare tra loro, a non riprodurre levecchie logiche di corrente e a non irrigidirele appartenenze di provenienza? Noi abbiamo bisogno di costruire un partitodove la pluralità possa dare luogo a nuoveconvergenze, ad un incontrarsi e distinguersiproiettato al futuro e fondato su orizzonti pro-grammatici.Nelle variegate forme di aggregazione che sistanno consolidando sono ancora gli antichirichiami a prevalere. Con qualche cooptazio-ne di facciata. Tra la via dell’identità e la viadella contaminazione sembra prevalere, og-gi, una corsa a rassicurare se stessi. E per quanto riguarda i cattolici, il problemache abbiamo, come ci ha ricordato AndreaRiccardi nel seminario di febbraio, non è quel-lo di rilanciare l’attualità di una corrente o diun’identità ma di ritrovare il senso di un lavo-ro orientato davvero al bene comune, di unimpegno che viene da un vissuto politico chesappia farsi interprete della comunità, dei ter-ritori, dell’interesse nazionale. Il bene comu-ne non è l’affermazione di una proposta diparte. È capacità di sintesi.Il Pd nasce con questa missione, con il com-pito di fare sintesi per un nuovo futuro. In questa chiave, i cattolici che hanno parte-cipato e che partecipano alla sua costituzio-ne non hanno il compito di rappresentare qual-cuno o qualcosa, ma di dare un contributo im-portante per trovare le sintesi necessarie al be-ne comune, per costruire una politica nuovacapace di fare sintesi e di decidere, nel defi-nire una politica, un programma, una propo-sta per il Paese che valga per tutto il Pd e nonsolo per una sua parte.

3.I CRISTIANI E LE NUOVE SFIDE DELLAPOLITICA

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Anche per questo, e non per un inchino di ri-to, diciamo che è giunto opportuno il richia-mo di Benedetto XVI. Intervenendo a Caglia-ri, il Papa ha esortato alla evangelizzazionedel «mondo del lavoro, dell’economia, dellapolitica, che necessita di una nuova genera-zione di laici cristiani impegnati, capaci di cer-care con competenza e rigore morale solu-zioni di sviluppo sostenibile». Lo stesso cardinale Bagnasco, intervenendo alMeeting di Cl a Rimini, aveva insistito moltosul fatto che la Chiesa fa la storia, contribui-sce a costruire la polis, e quindi fa anche po-litica. Ma non nel senso dello schierarsi e com-petere tra fazioni e partiti.Dell’esortazione di Cagliari, trovano partico-lare risonanza ai nostri orecchi due sottoli-neature di non scarso rilievo. La prima è chealla politica, i laici cristiani, sono chiamati perevangelizzarla e per cercare soluzioni di svi-luppo sostenibile. Non per marcare un’iden-tità culturale. E neppure per porsi in competi-zione contro altri. Seconda sottolineatura. Ai “laici cristiani im-pegnati” sono chiesti due caratteri essenziali:“competenza e rigore morale”. Sono chiestiper coerenza alla loro fede, prima che per undovere di cittadinanza. Si può avvertire qui, quasi un’eco weberia-na. Competenza e moralità sono le qualitànecessarie all’esercizio di ogni professione.E tanto più lo sono per il politico, chiamatoad una sintesi continua - ci dice Weber - traetica della convinzione, ispirata ai valori neiquali crediamo, ed etica della responsabili-tà, legata invece all’obbligo morale di cerca-re qui ed ora le vie per il massimo bene co-mune possibile. Siate testimoni del Vangelo e cercate soluzio-ni di sviluppo sostenibile. Nella compagnia ditutti gli uomini di buona volontà. Così noi ab-biamo inteso il messaggio del Papa.

2. CATTOLICI DEMOCRATICIALLA PROVA

L’esortazione di Cagliari ci spinge a porci unadomanda di più ampio orizzonte: quale po-sto e quale ruolo è assegnato ai laici cristianinella Chiesa che emerge dal nuovo papato?E lo facciamo anche sulla base di quel che ab-biamo ascoltato, due settimane, fa a Perugianel bel convegno delle Acli.

Giovanni Paolo II è stato il Papa che ha ripresoe spinto in avanti il Concilio e che sentiva ilvalore della democrazia e il dovere della Chie-sa di contribuirvi. Per lui il cattolicesimo erauna forza sociale che doveva innervare l’i-dentità nazionale. Si è sempre mosso, però, tenendo in equili-brio un binomio essenziale: identità e dialo-go. Recuperare l’identità cattolica per dialo-gare con le altre fedi e con l’insieme del mon-do. E non sempre noi l’abbiamo capito e ac-cettato. 1Facendo leva sul proprio straordinario cari-sma, Giovanni Paolo II ha cercato di forgiareil cattolicesimo come movimento mondiale.Movimento orientato non solo all’evangeliz-zazione ma anche a contrastare la globaliz-zazione liberista. Opponendo ad essa la vi-sione di una mondializzazione fondata sul-l’umanesimo cristiano e sulla dottrina socialedella Chiesa.Un grande papato dunque. Oggi però è ine-vitabile chiedersi: nel tempo di eccezione cheviviamo, ha ancora senso parlare della Chie-sa come soggetto nazionale e come movimentomondiale? La realtà cattolica italiana, oggi, è molto va-riegata. Assai più di quanto può sembrare dal-la geografia del voto e dell’impegno nelle di-verse forze politiche. La disseminazione è di-venuta frantumazione. È così anche nel Pd. Edè anche per questo che noi coltiviamo da tem-po una convinzione: è necessario, è urgenteandare oltre i percorsi e le provenienze attualidel cattolicesimo italiano. Vediamo con inquietudine che dentro le at-tuali difficoltà della coesione sociale e dellademocrazia, troppi cattolici sono base di con-senso delle forze che hanno contribuito a ca-valcare, in salsa italiana, la globalizzazioneliberista. Non pensiamo che siano tutti conservatori eliberisti. Pensiamo che qui ci sia anche il frut-to di una rinuncia di parte del laicato cattoli-co impegnato. La rinuncia ad esprimere unadiversa capacità critica di orientamento e diformazione, oltre le appartenenze cui a voltesi resta attaccati, anche quando non ci sonopiù i soggetti che le avevano alimentate. Co-sì grandi storie rischiano di sopravvivere inpiccole derive. Non siamo d’accordo con chi tende a sminuirela storia e il presente del cattolicesimo demo-

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cratico autentico. Noi non siamo studiosi ap-passionati alle categorie storiografiche. Fac-ciamo politica. E pensiamo che nel concettopolitico di cattolicesimo democratico ci sianole risorse per lasciarsi alle spalle quella ri-nuncia e quelle derive. Democratici, per noi, sono i cattolici che sen-tono la vocazione ad operare per il bene co-mune e non si limitano ad evocarla, ma la tra-ducono in pratica quotidiana di carità, di so-lidarietà, di giustizia. Democratici, per noi, sono i cattolici che nondimenticano che ogni uomo è un fratello daaccogliere e da riconoscere: a cominciare daipiù poveri, dai più deboli, dai più marginali;quindi dagli stranieri immigrati, dai Rom, daquelli che sono abbandonati. Democratici, per noi, sono i cattolici convintiche alle radici della politica ci sono i valoridell’uguaglianza e della giustizia, che hannoloro fondamento nell’uguale dignità di tutti gliesseri umani, senza distinzione di razza, digenere, di religione, di età, di pensiero, diorientamento sessuale.Democratici, per noi, sono i cattolici che san-no che una buona politica è sempre attentaa rispettare ed incarnare, nei mezzi e nei fi-ni, i valori che vuole realizzare nella socie-tà. Che quindi rifiutano la corruzione, loscambio politico, il carrierismo, le pratichedi esercizio indebito del potere. Ma anchel’incompetenza, la mancanza di passione, lafuga dai propri doveri e dalle proprie re-sponsabilità. Democratici, per noi, sono i cattolici convintiche una politica autenticamente riformista pun-ta sulla dignità del lavoro, la lotta alla pover-tà, la promozione della famiglia. Un riformi-smo che considera istruzione, salute, casa, si-curezza come diritti individuali e beni comu-ni irrinunciabili.Democratici, per noi, sono i cattolici convintiche l’unica politica degna di questo nome èquella che si esercita nella democrazia, cherespingono l’uso politico della religione e san-no che non può esserci vera democrazia sen-za libertà religiosa, laicità orientata al dialo-go, autonomia delle istituzioni. Democratici, per noi, sono i cattolici consa-pevoli che non c’è futuro per la civiltà umanasenza un cambiamento culturale e politico ca-pace di arrestare la distruzione dell’ambien-te e del nostro patrimonio naturale.

Prendiamo a riferimento, qui, Pietro Scoppo-la, figura alta e influente del cattolicesimo ita-liano, ispiratore e fondatore del Partito de-mocratico. Ci ha lasciato giusto un anno fa. Ilsuo lascito è di grande rilievo: un vero giaci-mento che deve essere ancora pienamentecompreso e valorizzato. Abbiamo oggi una chiave importante per com-piere questa rilettura: il suo testamento politico espirituale. So che in molti lo abbiamo già letto emeditato. Di lui, voglio ricordare qui una formuladi sintesi: i cattolici italiani debbono compiere ilpassaggio dalla Democrazia cristiana ad unademocrazia innervata dai cristiani.

3. LA QUESTIONE SENSIBILEDEI VALORI

Torno alla dimensione ecclesiale. Che sensoha l’esortazione forte di Benedetto XVI a Ca-gliari nell’era in cui la Chiesa rivendica e pra-tica un suo ruolo rilevante nello spazio pub-blico? In cui la biopolitica sembra mettere insecondo piano gli altri contenuti della dottri-na sociale? In cui si mette con forza l’accentosui “valori non negoziabili”? I “valori non negoziabili” appartengono, perdefinizione, all’etica della convinzione. Sonola bussola esigente della nostra testimonian-za cristiana anche in politica. La ricerca del

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bene dell’uomo, di tutti gli uomini è però al-meno importante quanto la nostra coerenza. La democrazia politica è il luogo del dialogo,del patto, della sintesi condivisa tra valori eculture. Sta qui l’essenza della nostra respon-sabilità di cittadini laici. Uno scarto tra valori e soluzioni pratiche è ine-vitabile. L’importante è non assumere questoscarto come un dato acquisito. L’importante èoperare - attraverso la testimonianza perso-nale e comunitaria, attraverso il dialogo e laricerca di sintesi più avanzate - per spostarecontinuamente in avanti quello scarto. Ecco perché il laico cristiano impegnato in po-litica non può mai acquietarsi nel pragmati-smo cinico. In quel cinismo che guarda solo acome giocarsi dentro i rapporti di forza, i li-velli di visibilità, le carriere personali. Di queste cose, lo sappiamo anche troppobene, è fatta soprattutto, e non da oggi, lapolitica. Ma a noi cristiani è chiesto di non adagiar-ci dentro questo cinismo. Di testimoniare com-petenza e rigore morale nella ricerca costantedi una buona politica per una vita buona egiusta.

4. SPAZIO PUBBLICOE LAICITÀ DEMOCRATICA

Siamo convinti anche noi, come De Rita, chela stagione del protagonismo pubblico dellaChiesa è destinata a durare. Con essa, dun-que, dovremo convivere. Questa è la nostraChiesa. E qui vogliamo esercitare il nostro ca-

risma di laici cristiani impegnati in politica. Ecco perché avvertiamo la responsabilità didire la nostra su questo tema. E di farlo in unasede come questa che non è ecclesiale ma cul-turale e politica. Diciamo, in prima istanza,che quel protagonismo può aiutare l’impegnoal quale siamo così fortemente richiamati co-me laici cristiani. A condizione, però, che siaunito ad una consapevolezza più avvertita sul-le regole e sulle compatibilità della democra-zia politica. E non in astratto. Ma nella con-creta situazione italiana. Assume qui il suo valore, e va riconsiderato,il tema della laicità. Ne parliamo da tempo econtinuamente. Perché in democrazia non co-nosciamo altro valore ed altro metodo che con-sentano la convergenza di culture diverse, didiverse pretese di verità. La verità di fede della Chiesa e dei cristiani,quando si affaccia nello spazio pubblico perconcorrere al bene comune, deve accettare -come ogni altra - di presentarsi come veritàin dialogo. È vero che nella storia europea e italiana lafede cristiana ha un retaggio antico e costitu-tivo. Ed è bene averlo presente. Oggi, però,la Chiesa può contribuire al bene di tutti sol-tanto se accetta di essere verificata entro le re-gole e le procedure del discorso democratico. Gli integralismi di ogni tipo, religiosi o laici-sti, trasformano un dialogo orientato al benecomune in un conflitto difficile da sanare. Que-sto finisce col paralizzare la democrazia, so-prattutto in un’epoca che dalla politica esigegrandi decisioni riformatrici. E tanto più in unasocietà abitata da più fedi religiose, più etnie,più culture, più differenze e identità parziali, Va fatta, però, una precisazione importante:il principio di laicità, nella democrazia politi-ca, non può essere interpretato esclusivamen-te come garanzia di libertà. Deve essere an-che (ed oggi soprattutto) un principio dialogi-co. Fondato, cioè, sulla disponibilità di tutti adimpegnarsi in un dialogo democratico fina-lizzato a raggiungere i livelli di accordo chesono possibili. È quello che sta positivamente avvenendo,ad esempio, sul tema del testamento biolo-gico, per il quale vi sono ora tutte le condi-zioni per approvare una buona legge, lar-gamente condivisa.Nello spazio pubblico si può stare per farsiascoltare, per fare opinione, senza misurarsifo

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direttamente nella democrazia politica. Quan-do però questo avviene (come la Chiesa è sem-brata fare negli ultimi anni) è bene che essascelga di proporsi laicamente nel dialogo po-litico. Ed è anche bene che il modo di proporsisia mite e costruttivo, in coerenza con l’humusvaloriale del cristianesimo. E che sia davvero orientato a cercare, pa-zientemente, le vie per il bene comune pos-sibile. Chi invoca il principio di separazione tra Chie-sa e Stato per chiudere entro limiti rigidamentestabiliti il diritto della Chiesa ad esprimersi nel-lo spazio pubblico è rimasto ancorato ad unavisione ideologica e anacronistica. Oltre chefuori dal dettato costituzionale. Viviamo in una fase storica in cui, non già l’Is-lam, ma grandi democrazie occidentali ten-tano di uscire dalle proprie difficoltà ricer-cando i consenso e l’alleanza con le confes-sioni religiose. Chiese e cristiani esercitano unpeso politico crescente e spesso, purtroppo,di segno integralista. Riconosciuta la libertà religiosa e la recipro-ca autonomia tra lo Stato e le diverse orga-nizzazioni religiose, un problema dunque sus-siste. La loro crescente influenza politica va re-golata in base al principio di laicità. Un’at-tenzione non sempre presente negli atei de-voti e nei teocons, che pure si richiamano al-la matrice liberale, che non sanno resistere al-la tentazione dell’uso politico della religione. Alla nostra Chiesa, che in modo così pressanteed autorevole ci invita ad essere protagonistipiù efficaci in politica, torniamo a far presen-te un dato di fatto: ogni volta che si espone di-rettamente come soggetto politico, sia pure perdifendere valori e principi di assoluto rilievo,essa si rende parte in conflitto con altre. E que-sto rischia di sminuire (più che mai nell’attua-le crisi della politica) il senso della propria ve-rità e della propria missione. Né più appro-priata ci appare la strada di farsi lobby dipressione che si mette in gioco come ogni al-tro portatore di interessi. Qui, oltretutto, c’è il fondato rischio di squili-brare il dialogo democratico e quindi di ren-dere più problematico il più ampio accordooggi necessario per uscire dalla crisi. Sonogià troppo i poteri forti che agiscono senzacurarsi di questo equilibrio. La Chiesa italiana non è un partito politico eneppure un’associazione di interessi. È chie-

sa di popolo, soggetto autorevole abitato dauna moltitudine di donne e di uomini che inessa alimentano la propria fede e cercanosenso, comunione, condivisione. Non rap-presentanza di interessi o rappresentanzapolitica. La Chiesa invece, ne siamo convinti, è tenutaad esprimere una sua responsabilità verso ilbene comune e quindi una sua specifica poli-ticità. Ma è bene che ciò avvenga nelle di-mensioni civili dello spazio pubblico. È qui che la Chiesa può comunicare con au-torevolezza le sue proposte di bene; è quiche il Popolo di Dio in cammino nella storiapuò contribuire a ricostruire le risorse sim-boliche, valoriali, di senso oggi necessarie aricostruire un humus etico ed ideale, una “re-ligione civile” che motivi una nuova cittadi-nanza, più attiva e più responsabile verso ilbene comune. Nella democrazia politica - e i pronunciamentidei Pastori e del Papa sono unanimi su que-sto punto - la Chiesa promuove e accompa-gna l’esercizio della responsabilità di cittadi-nanza dei suoi fedeli laici. Siamo pienamen-te d’accordo con Benedetto XVI: serve unanuova generazione di laici impegnati in poli-tica. Laici capaci di evangelizzare la politicaproprio perché capaci di assumersi la re-sponsabilità personale e comunitaria di in-nervare la democrazia in un nuovo orizzon-te di senso.Come si può realizzare, oggi, una tale sta-gione generativa? Non è possibile pensare ditornare ad un laicato politicamente organiz-zato in uno o più partiti di ispirazione cristia-na. Un ruolo politico nazionale dei cattolici,simile a quello della Dc di De Gasperi e di Mo-ro non è più possibile. Il nostro compito, oggi, è tenere viva la spe-ranza di una politica democratica. È contri-buire con tutte le nostre forze ad animarla ea riformarla. È cercare una politica che sa ri-trovare il gusto di pensare e progettare il de-stino della nazione dentro quello dell’Europae del mondo globalizzato. E di farlo attingendoalle fonti della nostra fede e della nostra tra-dizione. Di farlo mettendole in gioco, con co-erenza e passione, in dialogo e in collabora-zione con tutti i democratici. Nascono da questa convinzione, e sono dun-que forti, le ragioni che ci spingono a cerca-re una diversa amicizia e un più stretto colle-

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gamento tra le varie componenti del cattoli-cesimo democratico. Ragioni ecclesiali e ra-gioni politiche.

1. ANCORA IN MARE APERTO

Ci troviamo ancora in mare aperto. Lo sape-vamo che l’impresa non sarebbe stata sem-plice e lineare. Lo sapevamo, mentre spinge-vamo risolutamente perché finalmente si apris-se il cantiere del partito dei democratici rifor-misti. Lo sapevamo quando ci siamo gettati con tut-te le nostre energie nel processo costituenteche stava dando corpo al nuovo soggetto. Elo sappiamo a maggior ragione ora. Dopouna sconfitta politica dalla quale è urgente ri-prendersi concentrando nell’impresa tutte lenostre energie. E tuttavia siamo di nuovo qui, ad Assisi. Sia-mo nel luogo accogliente dove ogni anno sot-toponiamo il nostro quotidiano far politica al-la verifica dei pensieri lunghi, della ricerca cul-turale, del confronto con i nostri interlocutori.Anche con quelli scomodi. Siamo qui, anchequesta volta, non per indulgere al compiaci-mento della critica e del pessimismo. Siamoqui per cercare punti di orientamento e di ri-presa del cammino. Siamo qui per mettere in gioco anzitutto noistessi nella situazione che si è creata. E ab-biamo un punto fermo da cui partire (non-ostante non manchi tra noi qualche dubbio equalche diverso avviso): il documento che ilConsiglio Nazionale del 7 giugno ha appro-vato all’unanimità.

2. RESTIAMOUN’ASSOCIAZIONE DI TENDENZA.PIÙ AUTONOMA

Dobbiamo prendere atto, prima di ogni altracosa, che nel Pd non siamo un’associazionericonosciuta. E non per nostra scelta. Da sempre noi collochiamo la nostra auto-nomia culturale e politica a cerniera tra so-cietà e partito: è stato così prima nei Pro-gressisti e poi nei Ds. Noi abbiamo senso,possiamo dare un contributo - persino un con-tributo più grande di noi - se tenacemente col-tiviamo i collegamenti col retroterra socialedal quale siamo nati.

Se continuamente facciamo la spola tra le duedimensioni di autonomia associativa e di rap-presentanza che sono proprie della nostra mis-sione: il civile e il politico. Autonomie che ta-li debbono restare ma che hanno il dovere dientrare oggi in un diverso tipo di relazione. Su questo versante dei rapporti tra partito eautonomie organizzate del civile si gioca og-gi una partita decisiva. Più decisiva di quan-to già non fosse prima di una sconfitta che hamesso a serio rischio di collasso la costruzio-ne del Pd e la portata della sua innovazionepolitica. E che potrebbe anche consolidareun’egemonia di lunga durata della destra,aprendo così davvero la strada ad un autun-no della democrazia. Resto convinto che la formula dell’associazio-ne di tendenza sperimentata nei Ds (sia purecon le imperfezioni che tutti conosciamo) re-sti la via maestra del rapporto tra partito esoggetti che, come i Cs, coltivano la propriadifferenza per farla interagire con il partito. Nello statuto del Pd si parla molto del rico-noscimento di varie forme di autonomia (fanotizia, ora, il caso delle fondazioni) ma nonsi regola più il rapporto con esperienze co-me la nostra. È appena il caso di precisare che tra asso-ciazione di tendenza e corrente c’è una gran-de differenza. La corrente organizza un plu-ralismo ossificato, non costruito provvisoria-mente come espressione di democrazia in-terna legata ad una candidatura o ad unamozione congressuale. Si costituisce per or-ganizzare in modo persistente la posizionepolitica e le aspettative di affermazione di unaparte del gruppo dirigente. A questo fine, lacorrente segmenta il corpo associativo delpartito. L’associazione di tendenza, invece, non è unsoggetto della contingente dinamica demo-cratica interna al partito e tantomeno una cor-rente: organizza una differenza culturale co-me autonomia politica da far interagire dina-micamente nel partito. È insomma un’espres-sione del suo pluralismo sociale e culturale.Non concorre alla dialettica tra diverse posi-zioni politiche, ma agisce per promuovere ivalori, le proposte, le innovazioni di cui è por-tatrice. Ed anche, quando ci riesce, le perso-ne che questo contributo possono rappresen-tare visibilmente. Noi però, non segmentiamoil corpo associativo. Cerchiamo di far valere

4.NOI, CRISTIANOSOCIALI

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la nostra cultura nella ricerca di quelle nuovesintesi che sono un obiettivo di fondo del Pd. Questa pluralità di forme e di autonomie checonverge nel medesimo campo politico, restaper noi uno dei fulcri della nuova organizza-zione e della nuova dinamica della politica. Noi non ci rassegniamo. E continueremo adagire perché l’attuale orientamento del Pd pos-sa cambiare.

3. UN LABORATORIO E UNANUOVA RETE DI RELAZIONI

Ancora in mare aperto, dunque. E in una con-dizione nuova, più rischiosa e più difficile. Inviaggio verso nuove sponde, del resto, noi cisiamo da sempre. Fin dall’inizio. Il nostro Er-manno Gorrieri parlava dei Cs come di unponte gettato tra due sponde che la storia ave-va separato ma che dovevano tornare a dia-logare e collaborare. Non si potevano imma-ginare allora, le condizioni e le difficoltà dioggi. E tuttavia quel fossato può ora esserecolmato. E nessuno potrà restare quel che era. Per quanto ci riguarda, siamo già in cammi-no per mutare noi stessi dentro il più vasto can-tiere costituente. Un cantiere che, dopo la du-ra sconfitta dell’Unione, pensiamo molto piùvasto ed inclusivo degli attuali confini del Pd. Siamo più autonomi, oggi. Più responsabili dinoi stessi e del nostro agire. La scelta di cosavogliamo diventare l’abbiamo già fatta: ci stia-mo riorganizzando come laboratorio cultura-

le e politico espresso e sostenuto dalla nostraassociazione e da chiunque altro, singolo oassociato, voglia fare con noi un cammino dilunga lena o soltanto un tratto di strada. Sia-mo più autonomi ma non siamo più soli.Da tempo cerchiamo interlocutori per questanuova avventura, che ha il suo margine di ri-schio ma che è l’unica in grado di permetter-ci di dare un contributo significativo nella nuo-va situazione. Alcuni compagni di camminoci sono già. Si tratta degli amici che hannopromosso insieme a noi il Convegno di Assi-si di quest’anno: delle Associazioni Agire Po-liticamente di Lino Prenna, Giorgio Campani-ni e Raffaele Cananzi e Città dell’Uomo di Gui-do Formigoni e Luciano Caimi. Ci sono gli amici che sono entrati recentementenel nostro Consiglio Nazionale, tra i quali Va-lentino Castellani, Luigina Di Liegro, SergioMarelli, Giannino Piana, Domenico Rosati,Cecilia Brighi, Nicola Cacace, Claudio Stan-zani, Filippo Pizzolato, Massimo Campedelli. Ci sono alcuni parlamentari come Pier PaoloBaretta, Paolo Corsini, Gero Grassi, Beppe Lu-mia, Fabio Porta, Ignazio Marino, LeopoldoDi Girolamo, Franco Ceccuzzi, gli ex Sotto-segretari Cristina De Luca e Serafino Zucchelli.Altri dialogano con noi ma ancora non si de-cidono. Altri ci appaiono più intenti a coltiva-re un proprio orto e quindi poco permeabilialla nostra propo1sta. Da qui, da Assisi, da questo riflettere insie-me sempre importante per orientare le no-stre scelte, io dico che continueremo a cer-care ancora. Proveremo ad insistere nuova-mente con gli amici popolari e con le altreespressioni del cattolicesimo democratico delPd, con le quali confidiamo di riprendere ilcammino avviato con il seminario di febbraio.Lo faremo, però, a partire da un dato di fat-to: il Laboratorio di Italia Solidarietà si starealizzando e sarà in grado di funzionare abreve scadenza. In realtà stiamo ripensando l’insieme della no-stra esperienza come laboratorio culturale, co-me autonomia che vuole contribuire, dentro efuori il Pd, nella società e nella politica, all’e-laborazione di una nuova cultura politica. La nostra autonomia ci consente di intratte-nere relazioni e collaborazioni anche con co-loro che, nel centrosinistra, non si riconosco-no del tutto entro i confini dell’attuale Pd, ecoltivano - oggi in una ricerca sicuramentefo

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Page 16: I cristiani e le nuove SPECIALE sfide della politica DOCUMENTI · sa, di slancio verso il futuro. L’Italia conosce una vera emergenza, ma la politica, tutta la politica, non riesce

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più impegnativa - un’identità più in continui-tà con quella dell’Ulivo e della sua ispirazio-ne originaria. Per il Laboratorio culturale e politico, non im-maginiamo forme organizzative pesanti e co-stose. Forse non sarebbero alla nostra porta-ta. Stiamo organizzando un soggetto nazio-nale come fulcro di una rete di soggetti terri-toriali: il laboratorio consisterà ovunque esi-stono o possono essere create le condizioniper farlo in modo credibile. E alla creazionedi questa rete inviteremo a contribuire tutti co-loro - centri di ricerca, università, associazio-ni, saperi, competenze - che vogliono e sonoin grado di farlo. Sappiamo che altri stanno progettando qual-cosa di analogo. Le Acli, ad esempio, che nelconvegno di Perugia, hanno annunciato la co-stituzione di una fondazione. L’iniziativa sem-bra avere finalità molto simili alle nostre e in-sisterà su un’area ampiamente sovrapposta aquella cui noi ci rivolgiamo. Al Presidente dell’associazione che è da sem-pre la mia casa sociale, ho già avuto mododi dire che è possibile trovare le forme di

una collaborazionefeconda. È possibi-le oggi più di ieri,vista la nostra mag-giore autonomiadal partito e vistoche anche le Aclinon sono indiffe-renti al cantiere diun rinnovato impe-gno politico del lai-cato cattolico. È unaproposta convinta,che mi sento di ri-lanciare da questasede.

Confermo, ad ogni modo, che noi pensiamoad un centro di iniziativa che operi per con-nettere le grandi risorse di cui dispone la va-riegata area del cattolicesimo sociale e poli-tico. Queste risorse non sono oggi adegua-tamente valorizzate ed incisive proprio per-ché separate e disperse. È tempo di invertirela tendenza. Non per mortificare la pluralitàma per renderla più responsabile nei confrontidel bene comune e più in grado di contribui-re a realizzarlo. Dal libro-testamento di Pietro Scoppola, “uncattolico a modo suo”, prendo la citazione diun testo di suo figlio Benedetto che Pietro stes-so definisce un “elogio dell’incoscienza” “nelsignificato positivo e gioioso che emerge datante pagine della Bibbia”: «Quando Dio par-la all’uomo, - scrive Benedetto - quasi sempregli richiede un atteggiamento particolare. Que-sto atteggiamento prevede la fiducia assolu-ta del credente, la capacità di mettersi in gio-co senza calcolare troppo le conseguenze del-le proprie scelte e qualche volta perfino la ri-mozione razionale dell’evidente contenuto disofferenza che traspare dalle scelte stesse». In questa relazione ho esercitato, a lungo, larazionalità di cui sono capace per individua-re, come è giusto, le responsabilità che ci dob-biamo assumere e le opportunità che intrav-vedo per ridare fiato - in una situazione cosìdifficile - a noi stessi e alla nostra speranzapolitica. Lasciatemi ora concludere e rilanciare con que-sto “elogio dell’incoscienza” fiduciosa e gioio-sa. Non so dirvi se Dio ci sta parlando, nonho un tale carisma. So però che anche a noioggi è chiesta quella capacità di metterci ingioco senza calcolare troppo le conseguenze.È del credente fiducioso assumere questo at-teggiamento. È del cristiano. Anche del cri-stiano impegnato in politica.

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