I Cordai Anno 8 Numero 9

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mensile per S. Cristoforo a cura del G.A.P.A. Centro di aggregazione popolare Direttore Responsabile: Riccardo Orioles Anno Ottavo n• nove Ottobre 2013 A che serve vivere se non c’è il coraggio di lottare Giuseppe Fava Catania bella, bellissima... 3 Ex cinema Midulla, ex... 2 Siamo quello che vediamo 5 La scuola dell’obbligo che non obbliga 4 Giovanni Caruso 353, Lampedusa 13, Scicli 6, Catania Queste cifre accanto a dei luoghi non sono altro che la triste somma degli emigranti uccisi, da ago- sto a ottobre, non solo dal mare ma anche dall'in- capacità della maggioranza degli Italiani di urlare ai vecchi e sempre più vecchi governi che le leggi contro gli emigranti, che siano clandestini o pro- fughi, sono veri e propri delitti contro l'umanità. Delitti sistematici contro le popolazioni Africane che fuggono da miseria, guerre, fame e dittature, e che sognano pace e lavoro in un occi- dente che li respinge, quello stesso occidente che in terra d'Africa ha causato sfruttamento dell'uo- mo contro l'uomo e guerre civili: il tutto per il pro- fitto e il proprio finto benessere. *** Lampedusa: 12 ottobre i parenti dei morti ucci- si all'isola dei conigli, urlano contro le forze del- l'ordine, portano via le bare, le imbarcano per tra- sportarle in Sicilia dove avranno sepoltura. Nessuno ha però avvertito i parenti, per le Istituzioni Italiane non sono altro che numeri, numeri da mettere sulle bare, numeri da declama- re, numeri da contabilizzare. Governo, ipocrita! Vigliacco! Fingi di piangere davanti a quei morti, fingi di indignarti verso l'Europa "unita", vorresti lavarti la coscienza con il lutto nazionale o con i funerali di stato. *** Allora, noi tutti e tutte uniti, dobbiamo urlare che vogliamo che si cancelli il reato di clandesti- nità, la legge Bossi Fini, e che si proclami il Mediterraneo mare senza frontiere. Mentre scrivo, altri sbarchi, altre vittime, altro immenso dolore. Catania, dal Palaspedini fuggono 250 profughi siriani, riescono ad aprire le porte e scavalcare i cancelli, verso la stazione centrale, per cercare libertà e pace. Allora, vi diciamo che se incontrate uno di que- sti uomini o donne avete tutto il diritto di eserci- tare la pratica della disobbedienza civile aiutando- li ad essere liberi, così facendo anche voi sarete liberi! SENZA FRONTIERE

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I Cordai Anno 8 Numero 9

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mensile per S. Cristoforo a cura del G.A.P.A. Centro di aggregazione popolareDirettore Responsabile: Riccardo Orioles Anno Ottavo n• nove Ottobre 2013

A che serve viverese non c’è il coraggiodi lottare

Giuseppe Fava

Catania bella, bellissima... 3Ex cinema Midulla, ex... 2 Siamo quello che vediamo 5La scuola dell’obbligo che non obbliga 4

Giovanni Caruso

353, Lampedusa13, Scicli6, CataniaQueste cifre accanto a dei luoghi non sono altro

che la triste somma degli emigranti uccisi, da ago-sto a ottobre, non solo dal mare ma anche dall'in-capacità della maggioranza degli Italiani di urlareai vecchi e sempre più vecchi governi che le leggicontro gli emigranti, che siano clandestini o pro-fughi, sono veri e propri delitti contro l'umanità.

Delitti sistematici contro le popolazioniAfricane che fuggono da miseria, guerre, fame edittature, e che sognano pace e lavoro in un occi-dente che li respinge, quello stesso occidente che

in terra d'Africa ha causato sfruttamento dell'uo-mo contro l'uomo e guerre civili: il tutto per il pro-fitto e il proprio finto benessere.

***Lampedusa: 12 ottobre i parenti dei morti ucci-

si all'isola dei conigli, urlano contro le forze del-l'ordine, portano via le bare, le imbarcano per tra-sportarle in Sicilia dove avranno sepoltura.

Nessuno ha però avvertito i parenti, per leIstituzioni Italiane non sono altro che numeri,numeri da mettere sulle bare, numeri da declama-re, numeri da contabilizzare.

Governo, ipocrita! Vigliacco! Fingi di piangeredavanti a quei morti, fingi di indignarti versol'Europa "unita", vorresti lavarti la coscienza conil lutto nazionale o con i funerali di stato.

***Allora, noi tutti e tutte uniti, dobbiamo urlare

che vogliamo che si cancelli il reato di clandesti-nità, la legge Bossi Fini, e che si proclami ilMediterraneo mare senza frontiere.

Mentre scrivo, altri sbarchi, altre vittime, altroimmenso dolore.

Catania, dal Palaspedini fuggono 250 profughisiriani, riescono ad aprire le porte e scavalcare icancelli, verso la stazione centrale, per cercarelibertà e pace.

Allora, vi diciamo che se incontrate uno di que-sti uomini o donne avete tutto il diritto di eserci-tare la pratica della disobbedienza civile aiutando-li ad essere liberi, così facendo anche voi sareteliberi!

SENZAFRONTIERE

2 iCordai / Numero Nove

Tanti soldi spesi pernulla!Marcella Giammusso, foto Paolo Parisi

"Comune di Catania - CentroCulturale Ambientale" questa è

la scritta che risalta sulla targa doratafissata al muro accanto ad uno deiquattro ingressi dell'ex cinemaMidulla in via Zuccarelli, una traversadi via Belfiore nel cuore del quartiereSan Cristoforo. L'edificio, adiacentead un mercato al coperto utilizzatosolo in minima parte, si trova su unastrada dove il fetore dei cassonettistracolmi di spazzatura fa da sovrano.

Il centro, ristrutturato circa diecianni fa con fondi Urban, comprendeuna palestra, una sala studio ed unabiblioteca inaugurata nel 2009 ed èstato chiuso definitivamente circa dueanni fa dopo che il comune avevatagliato i finanziamenti per il centro.

Per un certo periodo alcune associa-zioni avevano organizzato corsi dipalestra per donne, mantenendo cosìaperta la struttura alcuni giorni la setti-mana.

Trascorrere due ore settimanali inpalestra, per le signore Mimma,Liliana, Alfia, Mela, Santa, Rosa erauno svago, voleva dire lasciare daparte per un momento i problemi quo-tidiani: il lavoro che manca, i soldi chenon bastano, i figli che non vedonofuturo, le malattie che spesso stravol-gono la nostra esistenza.

Inoltre la biblioteca poteva essere unluogo dove tanti giovani e ragazzi delquartiere avrebbero avuto a loro dispo-sizione libri da consultare o computerdove connettersi e utilizzare per i pro-

pri studi. Perché a San Cristoforo sono molti

i ragazzi che vorrebbero avere gli stes-si diritti degli altri giovani e non pos-sono averli perché la famiglia è pove-ra, perché i genitori non sono in gradodi aiutarli, perché la società li emargi-na.

Ed allora il Centro Midulla potevaessere una grande risorsa per cercaredi risollevare culturalmente il quartie-re.

Poteva essere centro di aggregazio-ne per donne, uomini, giovani edanziani.

Poteva essere un'opportunità per

creare nuovi posti di lavoro. Poteva…Poteva essere un segnale che le isti-

tuzioni ancora esistono. Anche in unquartiere abbandonato come SanCristoforo.

Invece la Direzione delDecentramento ha deciso di chiuderedefinitivamente, così la gente delquartiere non ha più potuto avereaccesso alla biblioteca, alla palestra esale studio, non usufruendo di alcunservizio. Tanti soldi spesi per nulla!

Oggi lo spettacolo che ci si presentain via Zuccarelli è veramente squalli-do. I quattro ingressi dell'edificio sonosprangati con alcune tavole e catenac-

ci, i vetri delle ante sono completa-mente rotti ed uno degli ingressi portaevidenti i segni di un fuoco che è statoappiccato all'edificio.

La palestra è già stata devastata e gliattrezzi sono spariti, mentre la biblio-teca e la sala studi internamente sonoancora in buono stato. Il Comune diCatania è ancora in tempo a riprende-re il centro, a riaprirlo e renderlo frui-bile al quartiere.

Non aspettiamo che il Midullavenga completamente vandalizzato,come piazza Don Puglisi, come labambinopoli di via De Lorenzo, comepiazza Don Bonomo, come...

EX CINEMA MIDULLA, EX CENTRO CULTURALE, EX...

3iCordai / Numero Nove

..ma solo per ungiorno!Miriana Squillaci, foto Domenico Pisciotta

Appena due settimane fa disfa-cevo la valigia, tiravo fuori i

vestiti e mettevo in ordine i ricordi;seppure con la consapevolezza che,un po' per scelta, un po' spinta dallecircostanze, avrei dovuto riempirlapresto, questa volta più pesanted'esperienza, aspettative e sogni.

Ho vissuto così dei giorni inten-si, “ricaricandomi” di tutto quelloche so già mi mancherà pochi atti-mi dopo essere scesa dall'aereo: lelasagne della mamma, il gelatoartigianale, il sole che ti riscaldaanche l'anima, le chiacchiere infamiglia, le risate con gli amici disempre, la bellezza, ferita, di que-sta città....

Perché Catania è bella, bellissi-ma, ma te ne rendi conto soloquando ne prendi le distanze e nevedi solo la superficie, non vai afondo.....

Come oggi, un sabato pomerig-gio, l'ultimo a Catania prima dellapartenza, quando, dopo un pranzoin compagnia di un'amica spagnolaarrivata in città con il programmaErasmus, ho deciso che forseavevo tutti i requisiti per “vederequesta città” con gli occhi da turi-

sta , piuttosto che da catanese.Confesso di essere stata sorpresa

da tutti i dettagli che non avevomai notato in 20 anni!

La bottega disordinata, ma pre-ziosa perché ormai rara,di un cal-zolaio, il profumo di bucato nelleviuzze che mi portano al centro, levivaci facciate di palazzi dipinticon colori pastello, le mura delCastello Ursino che raccontanomolto di più che la storia di questacittà. L'elefante con la sua solitacornice: un gruppo di anzianisignori che discutono dei rigori, dipolitica, della pensione, una coppiadi turisti che scatta una foto ricor-do, un gruppo di amici in attesa delsolito ritardatario....è incredibilecome intorno a questa statua si riu-niscano generazioni di catanesi estranieri in attesa: che il tempopassi, che la “comitiva” sia al com-pleto, che un'altra meravigliosachiesa barocca li stupisca....

Ma ciò che davvero mi stupisce,più dei milanesi incantati dalla“città vecchia” che ho sempre datoper scontata senza mai riflettere sulsuo grandissimo valore storico, è ilmulticulturalismo di questa cittàche avevo sempre pensato esseretroppo “piatta”: in 2 ore ho sentitoparlare 5 lingue (spagnolo, cinese,rumeno, inglese, tedesco) e un'infi-

CATANIA BELLA, BELLISSIMA...

nità che non riesco neanche a rico-noscere, ho visto coppie multicul-turali e riconosciuto stili cherichiamano modelli di vita total-mente diversi da quello americanoa quello turco.....

Catania bella, bellissima, con gliocchi di un turista, che avràcomunque problemi a visitaremusei e chiese perché l'unica listaaggiornata, compresa di prezzi eorari è presente solo sul sito delComune di Catania o sulla paretedell'assessorato al turismo che siscusa per non poterla fotocopiare “Ma se vuoi posso darti carta epenna e puoi passarti il tempo acopiarla”. Il problema diventaquando Catania la vivi e tutta que-sta bellezza e diversità vienecoperta dall'abbandono dell'ammi-nistrazione comunale che mette 5cassonetti dell'immondizia davantiad una biblioteca o chiude i centri

culturali, dalla strafottenza deicatanesi che per non fare un metroin più, abbandonano 3 sacchi del-l'immondizia angolo di via transi-to, dalle “leggi” mafiose che pre-varicano quelle statali e mostranotutta la loro forza organizzandoconcerti senza autorizzazioni,senza rispetto delle norme di sicu-rezza, creando recinti per cavallidove dovrebbero esserci bambino-poli.

Così se il mio giorno da turistafinisce qua, la rabbia e l'indigna-zione le porterò con me sempre edovunque insieme all'appello chefaccio ai catanesi di ribellarsi, dichiedere la presenza dello Statodove questo è ormai sostituito dalleregole mafiose, di amarla di più erispettarla....perché desidererei unaCatania bella, bellissima anche davivere e non solo da vedere per poifuggire!

cassonetti dei rifiuti piazzati proprio all’ingresso del Centro Culturale Sordi

4 iCordai / Numero Nove

Lo sfacelo dell'istru-zione di base nelping-pong tra igoverni che si sonosucceduti nel corsodegli anni

Ivana Sciacca

Lo chiameremo Samuel ma avreb-be potuto avere qualsiasi altro

nome. Samuel ha 17 anni, ha aspettatoavidamente di compierne 16 perabbandonare finalmente la scuola del-l'obbligo. Al biennio delle superiori siè iscritto ma ha frequentato solo occa-sionalmente senza per questo destarela preoccupazione di nessuno, a partedei suoi genitori.

Saranno migliaia i ragazzini checome lui vivono il compimento dei 16anni un po' come la maggiore età perpoter vivere finalmente in "libertà"sbarazzandosi della scuola, dei libri edegli insegnanti. Una forma di libertàmolto simile a una gabbia, molto simi-le all'anarchia.

Per loro la mattina non suona nessu-na sveglia, impegni non ne hanno, illavoro sembra addirittura un'utopia. Etutto questo nel migliore dei casi, per-ché nel peggiore dei casi il loro tempoè scandito dagli impegni presi con imafiosi del quartiere che, fregandose-ne di tutto, li "assumono" alle lorodipendenze per spacciare, per rubare,per fare qualsiasi cosa illegale. Così:senza scrupoli.

Quelli come Samuel vengono chia-mati NEET (Not in education,employment or training): giovani chenon hanno un'occupazione né preca-ria, né di formazione, né di inclusionesociale. Secondo l'ISTAT nelMezzogiorno la quota di NEET è dop-pia rispetto a quella del centro-nord.

Perché i NEET sono bassamente

scolarizzati quando l'obbligo scolasti-co e formativo arriva, rispettivamente,ai 16 e ai 18 anni? Perché di fatto sipuò non andare a scuola perché mancaun'anagrafe nazionale degli studenti,non si sa nulla di loro. Le Regionidovevano costituire le anagrafi e nonlo hanno mai fatto. Il tasso di abban-dono scolastico è elevatissimo e iNEET sono in crescita.

Ma com'è possibile che l'istituzionescuola abbia dato la possibilità diabbandonare il percorso formativo aquesti ragazzi? Che non solo rimango-no in mezzo a una strada (e non solo insenso metaforico) ma rimangonoaddirittura con un pugno di mosche inmano, senza nessuna competenza,senza nessuna qualifica, senza niente.

Bisogna fare un salto nel tempo percercare di capire, per provare a dare unsenso (ammesso che ce ne sia uno!) aquest'amarezza che ci invade ognivolta che qualche ragazzo crede che,abbandonando la scuola, conquisti lasua libertà.

In Italia l'obbligo formativo è statoistituito nel 2000 con la legge DeMauro- Berlinguer. Questa legge pre-vedeva l'obbligo di frequenza e l'obbli-go di conseguire un titolo di studio.Gli oneri scolastici sarebbero gravatialmeno parzialmente sullo Stato: infat-ti si partiva dal presupposto che l'istru-zione di base fosse un diritto fonda-mentale del cittadino, di qualunquecittadino.

Inoltre si prevedeva l'innalzamentodell'obbligo da 8 a 10 anni attraversoun riordino dei cicli scolastici: siauspicava l'unificazione tra scuola ele-mentare e scuola media accorciando ilpercorso di un anno in modo che negliultimi tre anni di scuola superiore glistudenti avrebbero potuto conseguireuna qualifica.

All'interno di questo quadro c'era un

senso anche per il NOF (NuovoObbligo Formativo), ossia il diritto-dovere di permanere nei vari canalidella formazione-istruzione fino allamaggiore età. E fin qui tutto chiaro.

Poi nel 2003 con la Riforma Morattisi è verificata un'anomalia che lasciavapresagire la catastrofe formativa cheda lì a qualche anno si sarebbe verifi-cata. La "ministra" infatti annullaval'obbligo scolastico mantenendo soloquello formativo: ciò equivaleva a direche dopo le scuole medie se gli stu-denti non si fossero iscritti alle scuolesuperiori o ad un corso di formazione,avrebbero potuto optare per l'appren-distato consistente in forme alternatedi formazione e lavoro.

Il tira e molla sull'innalzamento del-l'obbligo scolastico continua tra idiversi ministri dell'Istruzione perdiversi anni: nel 2006 è Fioroni a ripri-stinarlo; nel 2008 con la RiformaGelmini l'obbligo scolastico è sì fino a16 anni ma poteva essere assoltoanche soltanto attraverso l'apprendi-stato (e non consideriamo i tagli verti-ginosi che la stessa "ministra" haattuato alla scuola che così si è ritrova-ta ad essere più impoverita di quantogià non fosse. Giusto perché l'istruzio-ne è un diritto di base!) Ma non finiscequi.

L'apprendistato è diventato anche lostrumento principe della Fornero(Ministro del Lavoro e delle politichesociali dello scorso anno) nella suariforma per l'imposizione della flessi-bilità: un vero e proprio contrattoschiavitù con la quale si è cercato diinserire nel mondo del lavoro un eser-cito di giovani tra i 16 e 29 anni concontratti a termine, sottopagati fino adue volte in meno rispetto alla catego-ria di riferimento.

Samuel forse tutte queste cose nonle sa ma ha deciso che "la scuola non

serve a niente", e come lui chissàquanti altri la pensano così.

A volte ho la tentazione di pensareche abbiano ragione loro visto che,anche con una quantità inimmaginabi-le di titoli di studio, il mondo del lavo-ro resta quello che è: un labirinto insi-dioso che, sotto l'ala della flessibilità edel precariato, ti offre poco o niente eti predispone ad accontentarti, o peg-gio ancora a demoralizzarti.

Ma poi scuoto la testa, mi risveglio:non è possibile che la scuola non servaa niente. Dovrebbe servire non soloper imparare ma soprattutto per cre-scere bene: per formare quelli chesaranno i buoni cittadini di domani.

La scuola dovrebbe "favorire ilpieno sviluppo della persona nellacostruzione del sé, di corrette e signifi-cative relazioni con gli altri e di unapositiva interazione con la realtà natu-rale e sociale": leggo queste parole inuna delle tante leggi che hanno prov-veduto a distruggere il nostro sistemascolastico. Parole splendide che sonorimaste come elementi decorativi solosulla carta, la stessa carta che tutti iministri e tutti i governi hanno usatocome carta igienica.

"Mammoni", "bamboccioni", "fan-nulloni", se non addirittura "schizzino-si". Così alcune tra le più alte carichedello Stato italiano hanno definito igiovani.

Di contro, la parola "giovani" è statala più abusata dai politici, soprattuttodurante le campagne elettorali e, aguardare gli investimenti economicidegli ultimi 20 anni, una parola e unacategoria alla quale sono state datepochissime possibilità.

Perciò non ci resta che ringraziare.Grazie a tutte le istituzioni che conti-nuano a prodigarsi affinché Samuel etutti i cittadini di domani rimanganomediocri e senza speranze.

LA SCUOLA DELL’OBBLIGO CHE NON OBBLIGA

5iCordai / Numero Nove

Fiction e mafiafoto e testo Salvatore David La Mendola

In questo mese girando per Cataniami sono imbattuto più di una volta

nel set di una fiction televisiva, cheproprio nella nostra città faceva leriprese. Non sapendo cosa fosse, hoavuto voglia di informarmi. Si tratta di"Squadra anti-mafia" e ho scopertocon tanta amarezza che come semprela città viene sempre presa in conside-razione, quando c'è da fare soldi e noninformazione vera e propria, per unacosa che faremmo a meno di avere. Sitratta di una delle tante fiction di mafiache da molti anni a questa parte sonocomponente fissa del palinsesto televi-sivo di ogni rete.

La malavita in generale viene porta-

ta sul piccolo schermo, imponendosial vastissimo pubblico nazionale. Ciòpotrebbe essere uno dei migliori stru-menti per diffondere la lotta e la resi-stenza a questo male. Ma, contraria-mente alle nostre aspettative, molti diquesti sceneggiati esaltano gli ideali egli stereotipi della mentalità mafiosa;mettono in evidenza le pratiche e imetodi tipici delle attività criminali

con lo sfondo di luoghi comuni grotte-schi; e la cosa più ambigua avvienequando il personaggio principale, perintenderci quello buono, insomma 'upicciottu/a', passa in secondo pianoperché il boss di turno viene esaltatonelle sue gesta.

Alcuni esempi? "Il capo dei capi"(fiction del 2007 che metteva inmostra la storia del pluriomicida TotoRiina), "L'onore e il rispetto" (famigliameridionale al nord che da buonadiventa cattiva per vendetta e diventauna delle più potenti famiglie),"Pupetta" (la storia di una donna plu-riomicida camorrista che viene fattapassare per una femminista rivoluzio-naria del sud), "Palermo / New York1958", "Baciamo le mani", "l'ultimopadrino" e, tra quelli di maggior suc-

cesso in questi anni, "Squadra anti-mafia" che come già detto fa spesso lesue riprese a Catania e provincia. Mala lista sarebbe molto più lunga. Inostri dialetti e le nostre tradizioni e lenostre città vengono usate per far rie-mergere nell'immaginario collettivoitaliano il mafioso con lupara-coppo-la-baffi, che parla come MarlonBrando ne "Il Padrino" di Coppola e

che dice sempre e solo la famigghia.Ecco che per stigmatizzare la piaga delnostro paese, la si fa passare per unafiction.

C'è però da stare attenti nell'usare leparole, specialmente quando le pren-diamo in prestito da altre lingue. Laparola fiction viene dall'inglese e vuoldire letteralmente 'finzione'. Cioèqualcosa di non reale, di fittizio, difalso. Ed è proprio questo il punto!Che fenomeni come cosa nostra,ndrangheta, camorra e compagniabella vengano fatti passare come qual-cosa che non esiste più, come se fos-sero ormai solo un avvenimento del

passato. Questo fenomeno sociale non sem-

bra fermarsi, anche per i numerosiascolti che vengono registrati. Il ruolodella tv è sempre più forte e la suacapacità di indirizzare le nostre scelteè molto potente. Considerando che lamaggior parte delle informazioniapprese da un italiano medio proven-gono dalla televisione, e che gli ascol-ti delle serie televisive in questionesuperano nettamente quelle di un qual-siasi telegiornale, capiamo che lasituazione è pessima. Sappiamo chequando mancano gli strumenti per ungiudizio critico, siamo completamentein balia della prima opinione che ci

viene propinata. Mi sa che però non abbiamo scuse,

quando ci facciamo abbindolare dalbelloccio di turno mentre interpreta ilboss, quando i valori meschini deicosiddetti "uomini d'onore" vengonogiustificati da chi è dietro lo schermo(perché col suo lavoro porta il messag-gio sbagliato) e chi gli sta davanti (per-ché raccoglie quel messaggio e lo fasuo). Un tempo si diceva: "siamo quel-lo che mangiamo". In questo terzomillennio che ci porta verso la dittatu-ra delle immagini, forse sarebbemeglio dire: siamo quello che vedia-mo.

Un tentativo per smentire questecaricature mediatiche è usare la nostraindignazione nei confronti di chi nonha rispetto né di quello che siamo real-mente, né di quello che subiamo con-tinuamente. Oltre il danno la beffa.Non solo dobbiamo sopportare l'ab-bandono a noi stessi contro il fenome-no mafioso, ma dobbiamo anche subi-re la sua messa in scena in modoromantico, un po' folkloristico, quasiun'attrazione.

Contro questa pubblicità regressonei confronti del meridione abbiamoun piccolo strumento tra le nostremani: il telecomando. Allora cambia-mo canale una volta per tutte.

SIAMO QUELLO CHE VEDIAMO

6 iCordai / Numero Nove

Redazione “i Cordai”Direttore Responsabile: Riccardo OriolesReg. Trib. Catania 6/10/2006 nº26Via Cordai 47, [email protected] - www.associazionegapa.orgtel: 348 1223253

Stampato dalla Tipografia Paolo Millauro,Via Montenero 30, CataniaIllustrazione: Ivana SciaccaGrafica: Massimo GuglielminoFoto: Paolo Parisi, Salvatore David LaMendola, Domenico Pisciotta

Hanno collaborato a questo numero:Giovanni Caruso, Toti Domina, MarcellaGiammusso, Paolo Parisi, Miriana Squillaci, IvanaSciacca, Salvatore David LaMendola, ElioCamilleri

Lia la ribelle sopravviveUna sera d'estate a cena in una

casa all'Arenella e da fuori arri-va il fresco del mare e la solita can-zone sparata a tutto volume. Liaspara in faccia al padre la sua canzo-ne di libertà: vuole andare a vivereper i fatti suoi, il padre si alza e le siavvicina e, appena di fronte, le sputain faccia.

Lui è Antonino Pipitone, boss delquartiere con la benedizione di TotòRiina e Bernardo Provenzano e nonintende subire gli insopportabili, per

lui, progetti di autonomia e libertà dasempre manifestati dalla figlia.

Lei, Lia, da ragazza voleva riem-pire di gioia e spensieratezza tutti igiorni, uno dopo l'altro con i suoicompagni di scuola, con lo shoppingin via Roma, con le belle poesie diNeruda nelle giornate al maredell'Arenella.

Se ne andò pure con un suo com-pagno di scuola, fuggendo da casaper nascondersi lontano dal padre;lui la fece cercare e la trovarono inun paesino e la portarono a casa conil marito.

Nel quartiere era quasi un mito e,quando Lia comunicò al padre chese ne voleva andare con un altro fuper lei l'inizio della fine: Verso lafine di settembre del 1983 fu fattaammazzare dal padre mentre si tro-vava in un negozio e l'agguato fumascherato da una finta rapina.

Il padre risultò assolto perché nonci furono testimonianze dirette masolo di seconda mano o, come sidice, "de relato". Né si riusci a fareluce su un finto o forzato suicidio diun cugino di Lia al quale lei confi-dava i suoi segreti e che lui conside-rava come una sorella.

Questa "scheggia" riprende inmodo molto sommario il libro diSalvo Pazzolo dal titolo "Se muoiosopravvivimi” e, come tutte le altre,è stata scritta per saperne un po' dipiù sulle persone di Sicilia nel con-testo mafioso e, soprattutto, per nondimenticare.

SCHEGGE DI STORIA CATANESEa cura di Elio Camilleri

Si dice Gioeni e nonGioieni

Aveva sessant'anni e non stavapoi tanto male. Certamente

mostrava qualche segno di males-sere, qualche reumatismo a causadell'umidità e qualche contusionea causa dei numerosi urti cheaveva dovuto subire.

Non era stato curato adeguata-mente, anzi, diciamo pure, che erastato abbondantemente trascurato,ma i catanesi lo hanno semprevoluto bene e gli passavano soprao sotto sapendo che lui era lì perrendere loro più agevole e veloce(si fa per dire!) il viaggio perandare in centro o per lasciare ilcentro e andare su, verso laMontagna.

Poi venne fuori una legge che,

nella previsione di un terremoto,lo considerava molto pericoloso eallora fu l'inizio della sua fine, l'i-nizio della sua agonia: il pontedoveva essere abbattuto e, al suoposto, doveva essere disegnatauna maestosa rotonda tutta sullostesso livello.

Poi non si capisce come e perchétra i due obelischi e San Paolo èstato costruito un mega pontesvincolo pur sapendo che trattasianche quella di zona sismica …

In ogni caso il ponte da demoli-re alla fine della via Etnea ed esat-tamente nel "tondo" omonimo nonsi chiama "Gioieni" come lo hannoda sempre chiamato i catanesi, maGioeni.

Gioeni è il nome di una "fami-glia discendente dalla dinastiareale d'Angiò, il loro capostipitefu un Enrico o Arrigo d'Angiòconsanguineo del re Carlo Id'Angiò, il quale uccise in batta-glia re Manfredi di Sicilia, ed ebbeda Carlo d'Angiò in moglie lafiglia di Manfredi, Beatrice, con indote le terre siciliane di Fiume diNisi, Calatabiano, Noara e Motta

Camastra. A causa dell'odio cheprovavano le famiglie siciliane pergli Angioini cambiarono il cogno-me in Gioeni, e cambiarono ancheil blasone.

La famiglia si stanziò in Sicilia aseguito dei vespri, godette dinobiltà in Palermo e Catania edebbe la signoria di 16 feudi, 4ducati e 5 principati".

(cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Gioeni)