i Confinati in Irpinia Durante Il Fascismo- Ventura S

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I confinati in Irpinia durante il fascismo

Stefano Ventura

I contributi storiografici che hanno analizzato l’istituto del confino di polizia e dell’internamento

civile durante il Ventennio sono numerosi; si va da contributi di carattere biografico,in cui si

analizzano le vicende di personaggi di spicco dell’antifascismo (politici, letterati, artisti)1 a saggi

che concentrano l’attenzione sui luoghi destinati ad ospitare i confinati (Lipari, Ponza, Ventotene

etc..)2. Esistono, tuttavia, altri studi più attento alle dinamiche territoriali che assunse il confino in

ambiti regionali o provinciali (Calabria, Basilicata, Puglia)3.

Questo saggio si inserisce in questo terzo filone, volendo offrire una panoramica sulle

caratteristiche, le peculiarità e gli effetti che il confino di polizia e l’internamento ebbero sulla

provincia di Avellino durante il Ventennio, negli anni della Seconda Guerra Mondiale e della

Liberazione dal nazifascismo. Senza nessuna pretesa di fornire un quadro esauriente sul tema, si

intende qui fornire un primo contributoutile ad affiancare la provincia di Avellino alle altre aree

geografiche che sono state già oggetto di indagine sugli stessi temi.

Il confino, introdotto dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del novembre 1926,

subentrava al domicilio coatto, misura introdotta nel 1863 contro il brigantaggio e usata in seguito

come strumento di controllo sociale4. Il domicilio coatto fu usato in maniera ampia da Crispi come

metodo di repressione politica e rimane in uso fino al 1900, alla caduta del governo Pelloux. In

particolare, nel 1894 le leggi “antianarchiche” e la repressione del movimento dei Fasci Siciliani

allargano a dismisura il numero di domiciliati5. Con i governi di Giolitti questa forma di istituto

1 Moltissimi esponenti politici dell’antifascismo subirono l’assegnazione al confino: Gramsci, Pertini Amendola, Bordiga, Lussu, Rosselli, Nitti, Rossi, Spinelli, Parri, per citarne alcuni. Tra i letterati e gli uomini di cultura, i confinati più celebri furono Cesare Pavese, Carlo Levi, Leone Ginzburg, Manlio Rossi Doria (ma anche in questo caso l’elenco è tutt’altro che esaustivo). 2 S. Corvisieri, La villeggiatura di Mussolini. Il confino da Bocchino a Berlusconi, Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2004; J. Busoni¸ F. Mazzonis, Confinati politici a Lipari nei documenti inediti del presidente generale della CRI, Trimestre, n. 3-4, 1976 e n. 1-2, 1997, A.Jacometti, Ventotene, Ed. Marsilio, Padova 1974; Luca di Vito, Michele Gialdroni, Lipari 1929. Fuga dal confino, Laterza, 2009; A. Coletti, l governo di Ventotene, Milano, La Pietra, 1978. 3 K. Massara, (a cura di) Il popolo al confino. La persecuzione fascista in Puglia, voll. 2, Roma, Mcba - Ucba, 1991; R. Spadafora, Il popolo al confino. La persecuzione fascista in Campania, 2 Vol., Edizioni Napoli, Athena, 1989; Ilario Principe - Salvatore Carbone, Il popolo al confino. La persecuzione fascista in Calabria, Cosenza, Lerici, 1977; Donatella Carbone, Il Popolo al Confino. La Persecuzione fascista in Basilicata, Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Roma,1994; Regione di confino. La Calabria” (1927-1943), a cura di F. Cordova e Pantaleone Sergi, Bulzoni editore, Roma, 2005. 4 Paola Carucci, Confino, Soggiorno obbligato e internamento: sviluppo della normativa, in I campi di concentramento in Italia. Dall’internamento alla deportazione (1940-1945), a cura di Costantino di Sante, Franco Angeli, Milano, 2001, pag. 18. 5 G. Porta, Il confino, in M. Isnenghi, I luoghi della memoria. Strutture ed eventi dell’Italia unita, Laterza, Roma- Bari, 1997.

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penale non viene più usata, fino alla prima guerra mondiale, quando fu reintrodotta per i cittadini

delle nazioni nemiche.

Durante il regime, il confino di polizia era ordinato da commissioni provinciali composte dal

prefetto, dal procuratore del re, dal comandante dell’arma dei carabinieri e da un ufficiale superiore

della Milizia Volontaria per la Sicurezza; nel 1942 fu incluso anche il segretario del Partito

nazionale fascista6. L’invio al confino restava comunque un atto preventivo demandato alla

discrezionalità degli organi di polizia che trasformano il proprio ruolo da “organo meramente

sussidiario a organo autonomo di sovranità”7. L’assegnazione al confino poteva durare al massimo

5 anni ma poteva essere rinnovata8.

Furono i diversi attentati compiuti ai danni del duce tra il novembre 1925 (per opera di Zaniboni) e

il novembre 1926 a permettere al Consiglio dei Ministri, sulla spinta dell’emotività di varare alcuni

provvedimenti restrittivi tra i quali lo scioglimento dei partiti e delle associazioni, pene severe per

l’espatrio clandestino e il confino di polizia per quanti potessero essere sospettati di essere

pericolosi per l’ordinamento dello stato9.

In realtà, la rapidità con la quale furono predisposte le prime assegnazioni fa presupporre che queste

misure, indirizzate a colpire coloro i quali avevano svolto o “manifestato il proposito di voler

svolgere attività sovversiva per gli ordinamenti” dello stato, fossero state preparate già nei mesi

precedenti10.

Nel novembre 1926 i primi 68 confinati vennero inviati nelle isole siciliane (Favignana,

Lampedusa, Pantelleria e Ustica); a fine anno i confinati erano 900 e tra il 1926 e il 1943 coloro i

quali furono assegnati al confino per motivi politici furono tra i 14 mila11 e i 17 mila.12

6 P. Carucci, Confino, soggiorno obbligato e internamento, cit., pag. 19. 7 Questo è ciò che scrisse Giovanni Conso, direttore della Divisione Polizia del ministero dell’interno, a Bocchini, capo della polizia, citato in Leonardo Musci, Il confino di polizia. L’apparato statale di fronte al dissenso politico e sociale, in Adriano Dal Pont - Simonetta Carolini, L’Italia al confino, 1926-1943, vol. 1 pagg. LVIII-LIX. 8 Adriano Dal Pont, I lager di Mussolini. L’altra faccia del confino di polizia nei documenti della polizia fascista, La Pietra, Milano, 1975, pag. 39. 9 Ferdinando Cordova, Confino e confinati politici durante il fascismo, in “Regione di confino. La Calabria” (1927-1943), a cura di F. Cordova e Pantaleone Sergi, Bulzoni editore, Roma, 2005, pag. 13-14. 10 A. Dal Pont, I lager di Mussolini, cit., pag. 41. 11 F. Cordova, Confino e confinati politici durante il fascismo, cit., pag. 19. In altri saggi sul confino di polizia viene riportata la cifra di 15.440 assegnazioni al confino, ma tenendo conto che le stesse persone, qualora non si fossero “ravvedute” potevano essere riassegnate al confino, le persone confinate si aggirano complessivamente attorno alle 13mila unità, (Paola Carucci, Dal domicilio coatto al soggiorno obbligato: confino e internamento nel sistema di prevenzione e repressione fascista e nel dopoguerra, in Regione di confino: la Calabria, cit., pp. 33- 102). 12 Mimmo Franzinelli, Confino, voce del Dizionario del Fascismo, a cura di Sergio Luzzatto e Victoria De Grazia, Einaudi, Torino, 2005, pp. 346. Alessandra Gissi, nel suo saggio dal titolo Un percorso a ritroso: donne al confino politico 1926-1943 (Italia Contemporanea, 2002, fascicolo 226), a pagina 32, riporta il numero di 12.330 confinati e 16.876 fascicoli personali, seguendo un criterio che esclude i condannati per truffa, traffico di valuta estera, funzionari di enti pubblici e del partito fascista, bancarottieri, sospetti, spie ecc. La sua osservazione si basa sui documenti depositati presso l’archivio centrale dello stato (il fondo preso in esame è: Ministero Interno, Direzione Generale P.S., Divisione Affari Generali e riservati, Fondo confino comune e Fondo Confino politico).

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Con lo scoppio del secondo conflitto mondiale al confino di polizia si aggiunse l’internamento.

L’internamento, secondo il diritto internazionale, era una misura restrittiva della libertà personale

che, in caso di conflitto, gli Stati hanno il potere di prendere nei confronti di certe categorie di

stranieri o di propri cittadini, allontanandoli dalle zone di guerra e relegandoli in località

militarmente non importanti, ove esercitare agevolmente la vigilanza13. La convenzione di Ginevra

del 1929 contemplava la possibilità di istituire, in caso di guerra, campi di prigionia e di lavoro.

A partire dal 1940 l’internamento fu adottato per i civili nemici presenti in Italia e anche per altri

individui ritenuti pericolosi, sospetti o indesiderabili durante la guerra14. La misura

dell’internamento venne estesa anche agli “ebrei stranieri” (maggio 1940) e molti campi

d’internamento furono costruiti nelle nazioni nemiche occupate, in particolare in Jugoslavia, dove il

numero dei civili internati raggiunse le 100.000 unità. L’internamento civile fascista invece poteva

essere “libero” (obbligo di residenza in particolari località, in genere posti disagiati nelle zone

interne della penisola.)15 o “nei campi”, cioè strutture appositamente costruite allo scopo di ospitare

gli internati. Inizialmente, nel 1936, una circolare del ministero della Guerra prevedeva che in tutta

Italia ne fossero costruiti tre, in cui ospitare 1000-1500 internati ciascuna, e che i campi fossero

preferibilmente collocati nelle province di Perugia, Ascoli Piceno. L’Aquila, Avellino, Macerata16.

Le prefetture, allora, adottarono degli appositi registri in cui erano contenuti i nomi degli individui

da internare, suddivisi in cinque categorie: pericolosissimi, pericolosi perché capaci di turbare le

cerimonie; pericolosi in caso di turbamento dell’ordine pubblico; squilibrati mentali; pericolosi per

delitti comuni17. Presso l’Archivio Centrale di Stato sono conservati circa 20 mila fascicoli di

internati, di cui 8.418 di pericolosi italiani e circa 12 mila riguardanti stranieri e italiani internati per

spionaggio.18

La provincia di Avellino nel Ventennio e nella Seconda Guerra Mondiale

Dopo il primo conflitto mondiale, la situazione economica e sociale, particolarmente critica sul

piano nazionale, assumeva nelle province meridionali caratteri ancora più gravi.

La provincia di Avellino veniva descritta da uno degli ufficiali più in vista tra i reduci della prima

guerra mondiale una tra le province meridionali “dimenticatissime”, con “poche comunicazioni,

13 P. Carucci, Confino, cit., pag. 20. 14 Carlo S. Capogreco, Internamento, voce in “Dizionario del fascismo”, cit., pag. 674. 15 C. S. Capogreco, I campi del duce. L’Internamento civile nell’Italia fascista (1940-1943), Einaudi, Torino, 2004 e 2006, pag. 42. 16 C.S. Capogreco, ivi, pag. 57. 17 C.S. Capogreco, Internamento, cit., pag. 675. 18 C.S. Capogreco, ivi, pag. 676.

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poche scuole, molta malaria, nessun lavoro di risanamento, nessuna industria”19. Nel 1923 una

delegazione di deputati fascisti e rappresentanti istituzionali irpini avanzava un’esplicita richiesta a

Mussolini per porre rimedio al ritardo strutturale dell’Irpinia, ottenendo in udienza dal duce ampie

rassicurazioni20. In realtà, durante il primo decennio di governo, il regime non riservò particolari

attenzioni alla provincia di Avellino, mentre si ebbe una drastica riduzione delle preture e dei

tribunali collocati sul territorio provinciale. Con la crisi del 1929 si ebbero ancora maggiori

ripercussioni sull’andamento dell’economica agricola, con una sovrapproduzione dei prodotti

agricoli e il conseguente ribasso dei prezzi, mentre una delle poche attività industriali, il settore

conciario di Solofra, subì un ulteriore declino, che era già iniziato nel dopoguerra e che portò a

licenziamenti e al ridimensionamento delle attività.

Facevano registrare un trend positivo, invece, i settori della tabacchicoltura in Valle Caudina,

l’industria boschiva dei Monti Picentini (nei comuni di Montella e Bagnoli Irpino) e l’edilizia,

sviluppo dovuto agli interventi di ricostruzione in seguito al terremoto del 23 luglio 1930 e grazie ai

lavori di costruzione della stazione ferroviaria di Avellino21. Gli altri settori degni di nota erano

quello estrattivo, legato alle miniere di zolfo di Altavilla e Tufo, e il settore vitivinicolo.

La popolazione attiva, negli anni ‘30, si attestava secondo l’inchiesta INEA attorno al 44,2%, dato

che non rispecchiava realmente il numero dei lavoratori, soprattutto in agricoltura; quest’ultimo

settore occupava circa i ¾ dei lavoratori (dato al di sopra della media meridionale che era del 59%),

mentre solo 1/8 erano gli impiegati dell’industria22.

La superficie coltivabile era frantumata fino all’eccesso e il contadino era contemporaneamente

piccolo proprietario, di solito dei terreni più difficili da coltivare, fittavolo della grande e media

proprietà, compartecipante di terre altrui, oppure partecipa allo sfruttamento della proprietà

pubblica (il demanio, il bosco e l’incolto produttivo)23. Il fatto che la produzione fosse rivolta in

maniera dominante all’autoconsumo costituirà poi, con l’aggravarsi della crisi indotta dalla guerra,

uno degli elementi di ricompattamento delle classi più povere: “quando la quota destinata al

consumo sarà sottratta o minacciata dalle requisizioni forzose, quando i manufatti industriali di

prima necessità (tessuti, calzature) avranno costi proibitivi, l’equilibrio politico e sociale salterà del

19 Cosimo Caruso, La guerra italiana 1915-1918. Discorso del colonello Cosimo Caruso in risposta ad una deliberazione del Consiglio Comunale di Altavilla Irpina. 27 aprile 1919, Torino, 1919, p. 12, citato in Francesco Barra, Strutture produttive e lotta politica in Irpinia tra fascismo, guerra e liberazione (1922-1944), in L’Irpinia nella seconda guerra mondiale. Dalla crisi del regime fascista alla liberazione, Studi Meridionali, n. 10 - 2004, Edizioni del Centro Dorso, Avellino. 20 F. Barra, Strutture produttive e lotta politica, cit., pag. 12-14. 21 F. Barra, Strutture produttive e lotta politica, cit., pag. 18-19. 22 A. Cogliano, La transizione dal fascismo alla costituente in Irpinia , Quaderni Irpini, anno 1 numero 1, marzo 1988, Gesualdo (AV), Edizioni Circolo Arci Incontro pag. 20. 23 A. Cogliano, La transizione dal fascismo alla costituente in Irpinia, cit. pag. 25.

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tutto e il consenso politico al regime fascista verrà meno ed esploderanno tensioni tanto effimere

quanto incontrollabili”24.

Dal punto di vista politico, già nelle elezioni del 1924, precedute da un generale clima di

intimidazione, le forze del “listone fascista” ottennero una schiacciante vittoria, raggiungendo il

79% dei consensi su base provinciale, il risultato maggiore tra i capoluoghi campani. L’unica forza

che riuscì ad opporsi furono le liste dell’Orologio, di ispirazione liberale e con a capo Alfonso

Rubilli, e quelle di ispirazione demosociale guidate da Amatucci; nella città capoluogo, la lista di

Rubilli riuscì persino a sopravanzare la lista fascista25.

Una lucida fotografia di quello che era stato il ventennio in Irpinia e su quali fossero le

caratteristiche della classe dirigente irpina fu tracciata dal federale Francesco Grossi, giunto in

Irpinia nel 1942: “Ero il 18° federale dell’Irpinia, il primo federale sindacalista dopo una lunga

sequela di nobili, di ufficiali, di professionisti. I miei abbienti predecessori non erano riusciti in

vent’anni a dare al partito una sede decorosa; tutti si erano preoccupati di garantire la tradizione del

potere baronale - clientelare. […] L’Irpinia, provincia assai vasta e caratterizzata da un elevato

numero di comuni, per quanto non fosse politicamente importante, era una realtà emblematica. La

popolazione, in prevalenza montanara, seguiva distrattamente gli avvenimentipolitici ed era

scarsamente mobilitabile, tenacemente legata ad antiche consuetudini clientelari. Qualche nobile, i

proprietari terrieri, i parroci, i burocrati della pubblica amministrazione e i professionisti

costituivano la pubblica opinione locale che proponeva i nominativi di podestà e segretari di

fascio”26.

Nell’immediato dopoguerra il segretario del P.C.I., Bruno Giordano, tracciava questo quadro: “la

provincia, ad eccezione delle piccole oasi costruite dai minatori di Altavilla e di Tufo e dai

pellettieri di Solofra, era priva di industrie e quindi di masse operaie, mentre era molto esteso

l’artigianato, il piccolo proprietario terriero, il fittavolo, il mezzadro, tutti elementi sociali

retrogradi, profondamente individualisti, difficilmente suscettibili di unione e di organizzazione, per

la natura del lavoro dissociato, per i contrastanti interessi che mantenevano incarnato al loro

sentimento egoistico”27.

La povertà di strutture e di risorse economiche era anche, per molti versi, povertà di vita civile,

anche se esisteva, in particolare nel capoluogo, un consistente gruppo di intellettuali e uomini

24 A. Cogliano, La transizione dal fascismo alla costituente in Irpinia, cit. pag. 29 25 F. Barra, Il regime fascista, in Storia illustrata di Avellino e dell’Irpinia, vol. 6: Il Novecento, Sellino e Barra editori, Pratola Serra, pag. 136-138. 26 Francesco Grossi, Battaglie sindacali. Intervista sul fascismo rivoluzione sociale incompiuta, a cura di M. Greco, Roma, 1988, pp. 148-149. 27 Bruno Giordano, Relazione introduttiva alla conferenza d’organizzazione e al I congresso provinciale del P.C.I., settembre 1944, in Archivio Partito Comunista, Istituto Gramsci, Roma, Avellino 1944. Citato anche in Cogliano..p. 167

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interessati alla vita politica; in questo panorama, sopra tutti, spiccava la figura di Guido Dorso, ma

accanto all’illustre meridionalista si possono segnalare altre figure degne di nota, come i giornalisti

Augusto Guerriero e i fratelli Adolfo e Sinibaldo Tino, il chimico Oscar D’Agostino, che collaborò

al gruppo di ricerca di Via Panisperna guidato da Enrico Fermi, il comandante Umberto Nobile, che

sorvolò il Circolo Polare Artico alla guida di un dirigibile semirigido nel 1911.

Se si fa eccezione per Dorso, faceva riferimento a posizioni politiche antifasciste solo un ristretto

gruppo di borghesi, che era solito radunarsi in città nella farmacia del Leone o al Bar Roma,

peraltro individuati dalla polizia politica del regime come “covi di antifascismo” e “cloaca

dell’opposizionepaesana”28.

Anche i dati giudiziari tendono a confermare che la militanza antifascista durante il regime ebbe in

Irpinia forme alquanto blande; si segnala un solo condannato dal Tribunale Speciale (Giuseppe

Gervasio); per il resto le assegnazioni al confino furono, tra il 1928 e il 1942, 33, delle quali 17 per

confinati “apolitici”29.

Secondo Giovanni Acocella, esponente politico socialista nel Secondo Dopoguerra e autore di una

storia politica della provincia di Avellino in età repubblicana, “l’esperienza fascista, piuttosto che

rompere, aveva semplicemente riverniciato quel vecchio rapporto della classe dominante

tradizionale con le istituzioni e con la società. […] con l’abbattimento del fascismo venne meno

l’architrave di questo sistema di potere, ma riemerse la sostanza del vecchio rapporto fiduciario,

personalistico e clientelare”30.

Tra il 25 luglio 1943 e l’agosto 1944, quando gli alleati lasciarono il controllo dell’amministrazione

della provincia di Avellino, la situazione di caos politico e amministrativo vide emergere la figura

di Guido Dorso e di altri militanti del Partito d’Azione. Nel novembre 1943, con un editoriale su

Irpinia libera, dal titolo “Ruit hora”, Dorso lanciava l’appello per la costituzione di “una classe

dirigente nuova del meridione, che si avvalga delle migliori energie, arrivi ad una liberazione del

Sud pacifica e democratica e porti al rinnovamento, senza compromessi, delle istituzioni e dei

partiti, superando l’istituto monarchico”31.

La caduta del fascismo non provocò effetti immediatamente visibili nella provincia di Avellino; si

narra che nei paesi dove erano ospitati i confinati, questi si riversarono in strada lasciandosi andare

ad espressioni di gioia. Ecco cosa accadde ad Andretta: “I confinati – nel paese ve n’erano diversi –

scesero per primi esultanti per le strade e, guidando un gruppo di cittadini, fecero a pezzi i simboli

28 F. Barra, Il regime fascista, cit., pag. 151. 29 F. Barra, Il regime fascista, cit., pag. 151. 30 Giovanni Acocella, Notabili, istituzioni e partiti in Irpinia. Quarant’anni di vita democratica, Alfredo Guida editore, Napoli, 1989, pag. 27. 31 Guido Dorso Ruit hora, Irpinia Libera, novembre 1943, citato in F. Biondi, Il laboratorio politico in Irpinia e nel Mezzogiorno, in Storia illustrata di Avellino e dell’Irpinia, vol. 6, cit., pag. 202.

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del fascismo. Le manifestazioni di giubilo subito si diffusero nella cittadinanza”32. Il resto della

popolazione aspettava con speranza la fine della guerra, speranza che però andò delusa.

La ritirata tedesca non ebbe in Irpinia caratteri di efferata aggressione e rappresaglia sulle

popolazioni locali; sono segnalate alcune uccisioni a Nusco e Montella, furti di bestiame a San

Martino Valle Caudina, l’uccisione di alcuni soldati tedeschi che avevano importunato delle donne

del luogo a Teora, oltre alle logiche distruzioni e interruzioni di ponti e strutture logistiche. Più

disastrosi furono invece i bombardamenti alleati, specie quelli sulla città di Avellino, causarono un

alto numero di morti: nelle giornate del 14, 16, 17, 20 e 21 settembre trovarono la morte circa 1500

persone nel capoluogo33. Per la provincia di Avellino, il termine della fase acuta della guerra si può

fissare al primo ottobre 1943, quando le truppe alleate presero possesso del capoluogo.

Nel ricambio del personale politico, l’AMGOT decide di reintegrare, in sostanza, il personale

moderato e liberale prefascista, anche se si segnala comunque la presenza di amministratori locali

fascisti confermati ai propri posti dagli alleati. Solo in una decina di comuni della provincia il

Comando Alleato accetterà di nominare come commissario prefettizio le persone indicate dal

C.L.N. provinciale.

Nel 1944 diverse furono le agitazioni di cui si riscontrano tracce negli archivi degli organi di

pubblica sicurezza34; le popolazioni, ridotte alla fame e insofferenti ai soprusi che sovente

regolavano le distribuzioni annonarie, davano l’assalto ai municipi (Calitri, Flumeri, San Martino

Valle Caudina, Sant’’Angelo a Scala, Montefalcione)35; è probabile che questo tipo di agitazioni si

verificarono in diversi paesi irpini, così come era diffusa in tutto il territorio meridionale liberato

dagli alleati. Sia nella nomina dei commissari prefettizi, sia nelle agitazioni e nelle rivendicazioni

popolari si delinea abbastanza chiaramente il ruolo molto importante svolto dai confinati che il 25

luglio 1943 si trovavano ancora nei luoghi di confino.

32 Nicola di Guglielmo, Aspetti della II guerra mondiale in un paese dell’Alta Irpinia, Voce dell’Alta Irpinia, Avellino, n. 9-10, 1984-85, pag. 302. 33 Melania Sammarco, L’Irpinia nel regno del Sud dell’AMGOT, in Cogliano, La transizione dal fascismo alla Costituente, cit., pag. 59; V. Cannaviello, Avellino e l’Irpinia nella tragedia del 1943-44, Tipografia la Pergola, Avellino, 1954 (ristampa, 2001). 34 Cogliano e altri, La transizione del fascismo alla Costituente in Irpinia, cit. pagg. 86 ssg.; L’occupazione delle terre in Alta Irpinia, a cura di Paolo Speranza, centro stampa CGIL, Napoli, 2001. 35 Cogliano e altri, La transizione dal fascismo alla costituente in Irpinia, cit., pag. 87. L’episodio più importante si ebbe a Calitri, dove i rivoltosi uccisero, tra gli altri, il sindaco, il segretario comunale, l’ammassatore. Sono diversi i contributi di studi che hanno da diverse angolazioni analizzato la rivolta di Calitri del 29 settembre 1943; tra questi si ricordano la tesi di laurea di Manuela D’Agostino, La rivolta e il processo di Calitri 1943-1949, relatore prof. Paolo Macry, anno accademico 1997-1997, facoltà di Lettere e Filosofia, Università Federico II di Napoli, M. D’Agostino, Calitri, la rivolta e il processo nelle fonti orali, in L’occupazione delle terre in Alta Irpinia, a cura di Paolo Speranza,cit., Laura della Badia, La rivolta del 29 settembre 1943, in L’occupazione delle terre in Alta Irpinia, cit; A. Cogliano - R. Pignatiello, Lotte municipali e “Repubblica di Battocchio”, a Calitri fra il ’43 e il ’44, in La transizione dal fascismo alla costituente in Irpinia , cit; Manlio Talamo - Clara De Marco, Lotte agrarie nel Mezzogiorno, 1943-44, Mazzotta, 1976, Nunzia Marrone, Il movimento contadino in Campania, in “Campagna e movimento contadino nel Mezzogiorno d’Italia”, De Donato, 1979.

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I confinati in Irpinia

La permanenza sulla scena di chi aveva avuto ruoli organizzativi e di potere sotto il fascismo e

l’influenza dei confinati politici che erano rimasti in Irpinia a disposizione del PCI, soprattutto, ma

anche di altri partiti, per garantirne una migliore organizzazione, furono i due principali elementi

che condizionarono lo scenario politico provinciale dopo la caduta del fascismo.

Nelle parole di Bruno Giordano, segretario reggente del P.C.I. nel periodo che va dal settembre

1943 al primo congresso provinciale del dopoguerra (settembre 1944) si coglie l’importanza dei

confinati e degli internati per la rinascita del partito: “È stato merito dei compagni internati sparsi

un po’ dappertutto per la provincia, quello di aver iniziato e portato a termine con fede e

compostezza il lavoro organizzativo in molti comuni, dove forse non esisteva neppure qualche

nostro elemento isolato. La loro presenza in queste regioni è stata per noi una vera fortuna, perché

senza essi molti comuni, anzi la maggior parte di essi, sarebbero ancora in balìa dei fascisti e delle

vecchie cricche paesane”.36

In maggioranza i confinati furono artigiani, contadini e quadri di partito. Secondo Paolo Speranza,

per quanto riguarda l’interazione tra popolazione locale e confinati, “la popolazione irpina fu

generalmente ospitale e non di rado solidale, nei confronti dei confinati politici. Soprattutto la gente

delle campagne era in prevalenza rassegnata ma diffidente verso il regime di Mussolini e le autorità

locali che lo rappresentavano (appartenenti al ceto dei proprietari edei professionisti) e portata per

tradizione a simpatizzare verso chi riceveva condanne e soprusi da parte di uno Stato che,

borbonico, liberale o fascista che fosse, da sempre si manifestava nei confronti dei lavoratori della

terra e dei piccoli artigiani come un’entità autoritaria ed estranea”37.

Nell’analisi dei rapporti tra i paesi della provincia di Avellino e i confinati e gli internati, spediti dal

regime a scontare periodi di soggiorno obbligato, un posto di assoluta preminenza va riconosciuto

ad Andretta, per la densità degli effetti che la presenza dei confinati ebbe sulla vita politica del

paese e per lo spessore morale e politico di questi stessi confinati, tanto da guadagnarsi l’appellativo

di “università antifascista” nelle parole di Girolamo Li Causi (segretario del P.C.I. in Sicilia dopo la

caduta del regime)38. Ad Andretta “il regime di Mussolini aveva spedito al soggiorno coatto, oltre a

36 Relazione sulla situazione politica e organizzativa del nostro partito nella provincia di Avellino, 4 agosto 1944, Archivio del Partito Comunista, Federazione di Avellino, Istituto Gramsci, Roma, Tratto da Annibale Cogliano, La formazione del PCI, in”La transizione del fascismo alla Costituente in Irpinia” , cit., pag. 177. 37 P. Speranza, I confinati antifascisti in Irpinia. Ricordo di Eusebio Giambone, a cura di Giovanni Marino e Paolo Speranza, Avellino, 2005, anche in Irpinia Illustrata, n. 3-2003 col titolo: “A scuola di democrazia”, pag. 74. 38 P. Speranza, A scuola di democrazia, cit., pag. 74-75. Notizie dettagliate sui confinati e il loro inserimento nei quadri del PCI in Irpinia sono in Cogliano – Iannino - Sammarco e altri, La transizione dal fascismo alla costituente in Irpinia

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Baroncini, Giuseppe Berardi, il giovane Ubaldo Bussa (futuro divo del teatro e della televisione con

il nome d’arte Ubaldo Lay) e Iffrido Scaffidi”39, che guidò la Camera del Lavoro provinciale; si

deve citare anche Peppino Rizzo, che diventerà segretario della Federazione comunista irpina nel

1957.

Tra questi confinati ad Andretta è citato anche uno dei personaggi più di rilievo tra i confinati irpini:

Paolo Baroncini.40 Nato a Voltana (Ravenna) nel 1902, muratore e poi operaio, dapprima iscritto al

Partito Socialista, nel 1921, dopo la scissione di Livorno aderì al P.C.I. e nel 1927 venne inviato a

Mosca per una scuola di formazione politica. Arrestato nel 1931 a Torino fu condannato a 15 anni

di carcere dal Tribunale Speciale; dapprima amnistiato e destinato a vigilanza nel suo paese,

Voltana, nel 1940 fu mandato al confino ad Andretta. Già subito dopo il 25 luglio del ’43 passò

all’azione e insieme ad altri confinati occupò il comune di Andretta, nominando il professor Iffrido

Scaffidi sindaco provvisorio.

Quest’ultimo era originario di Siracusa ma risiedeva a Genova ed era laureato in Chimica; sposato

con una donna russa, ebbero un figlio che nacque proprio durante il loro soggiorno ad Andretta e

che fu chiamato “Silio”, per porre l’accento sulla condizione in cui la famiglia si trovava41. In

seguito Scaffidi fu anche eletto consigliere comunale nel comune di Napoli. Nel 1944 fu Togliatti,

che aveva conosciuto a Mosca Baroncini, ad indicare nel confinato ravennate la persona ideale per

ricostruire le strutture del P.C.I. in provincia di Avellino, anche se Baroncini avrebbe preferito

tornare a Ravenna per supportare i partigiani nella lotta contro i tedeschi. Tuttavia Baroncini

dimostrò di avere a cuore i destini del partito in provincia di Avellino e in particolare la condizione

contadina e i problemi di arretratezza del territorio. Fu nominato, inoltre, ispettore per le federazioni

di Benevento e Campobasso.

Baroncini venne quindi confermato nel suo ruolo di segretario provinciale nel congresso provinciale

del 16 e 17 ottobre 1945 e fu anche candidato al secondo posto nella lista del Partito Comunista per

l’Assemblea Costituente, dietro Giorgio Amendola.

Nel settembre del ’46, nel corso della seconda conferenza d’organizzazione del partito in provincia

di Avellino, Baroncini si accomiatava dai compagni irpini per far ritorno a Ravenna; nella mozione,

(1937-1946), Quaderni Irpini, anno 1 numero 1, marzo 1988, Gesualdo (AV), Edizioni Circolo Arci Incontro pag. 173-187. 39 Ivi, pag. 5. 40 Tutte le informazioni su Baroncini contenute in questo capitolo sono tratte da: Fiorenzo Iannino, Baroncini e le radici irpine del PCI, Corriere Quotidiano dell’Irpinia, 15 ottobre 2000, pag. 15; Fiorenzo Iannino, Il ruolo dei confinati: Paolo Baroncini, in L’occupazione delle terre in Alta Irpinia, a cura di P. Speranza, centro stampa CGIL, Napoli, 2001; relazioni e verbali della Federazione di Avellino del PCI, Archivio del Partito Comunista Italiano, Istituto Gramsci, Roma; A. Cogliano, Ruolo del centro nazionale e dei confinati politici nella formazione del P.C.I. irpino e della sua linea politica, in Quaderni Irpini, quadrimestrale di Storia Contemporanea, anno I, marzo 1988 . 41 Nicola Di Guglielmo, Aspetti della seconda guerra mondiale nel comune di Andretta, in “La Voce Altirpina”, n. 10, pp. 291-306 e pp. 331-354.

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votata per acclamazione, i delegati definivano Baroncini “combattente tenace, marxista convinto e

valido difensore della classe operaia”, portandogli “il saluto riconoscente di tutti i compagni

dell’Irpinia e lo assicurano che la sua opera feconda sarà la guida e lo sprone dei comunisti della

Provincia che ricorderanno il suo lavoro e la sua abnegazione, quale esempio per quelli che restano

e per quelli che verranno”.42. Al suo posto fu eletto segretario Orazio Formichelli.

La carriera militante di Baroncini continuò a Ravenna, dove ricoprì l’incarico di segretario della

Camera del Lavoro e di dirigente della federazione provinciale del Partito Comunista; morì il 10

giugno 1987.

Tra le curiosità legate alla figura di Baroncini, va raccontata una vicenda dai contorni alquanto

sfumati ma che ritorna ricorrente in molte vicende biografiche dei confinati: i rapporti tra questi e il

dentista Zlatnar. Dalle memorie di Baroncini43 si viene a sapere che, su pressione dello stesso

Baroncini, Zlatnar, che aveva un suo studio dentistico ad Avellino, dove si erano recati molti dei

confinati della provincia, impiantò un altro studio ad Andretta, nell’appartamento del confinato di

Ravenna. A parte gli incassi necessari al funzionamento del laboratorio, il resto dei ricavi fu messo

a disposizione dei bisogni comuni dei confinati, migliorando le condizioni di indigenza di molti di

loro. C’è da ricordare che molte volte i compensi per i lavori del dentista erano in natura, cioè uova,

farina, polli ecc. I contatti tra Zlatnar e gli altri confinati sono stati riscontrati anche rileggendo le

carte riguardanti altri confinati di Bagnoli Irpino e di Teora; a Bagnoli si segnala un confinato,

“facoltoso uomo d’affari”44, che aveva ottenuto il permesso di recarsi ad Avellino presso il dentista

Zlatnar. Questa è quindi una figura-chiave per la rete antifascista della provincia di Avellino e per la

struttura clandestina del PCI, poiché è ricorrente la specifica richiesta di permessi da parte di

confinati e internati per farsi curare proprio da questo dentista.

Altri confinati che ebbero incarichi politici importanti dopo la guerra furono Umberto Fiore,

Giuseppe La Torre e Angelo Iervolino. Fiore, originario di Messina; confinato a Lacedonia, divenne

sottosegretario al Commercio nel secondo ministero Bonomi e in quegli anni fece parte anche della

direzione centrale del Partito Comunista e nel 1946 venne eletto all’Assemblea Costituente;

Giuseppe La Torre, invece, fu deputato comunista della circoscrizione di Taranto e Angelo

Iervolino diventò sindaco di Mestre.

A Montecalvo era ospitato Antonio Smorto; costui, dopo essere stato internato in un campo in

Francia, a Montecalvo fu protagonista della creazione della sezione locale del P.C.I. e della Camera

42 Dal Verbale della seconda conferenza provinciale di organizzazione, pag. 61-62, in Archivio del Partito Comunista, Federazione Provinciale di Avellino, Istituto Gramsci, Roma. 43 Le memorie citate sono in possesso del prof. Fiorenzo Iannino e da lui stesso citate nel corso di alcune pubblicazioni. 44 Tommaso Aulisa, Bagnoli Irpino mezzo secolo di ricordi. Dalla dittatura alla democrazia, Valsele Tipografica, 1993.

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del Lavoro, oltre a sposare Vincenzina La Vigna45. Dopo il 1945 Smorto lasciò Montecalvo alla

volta di Avellino, dove fu chiamato a far parte della segreteria provinciale del P.C.I. e della

segreteria provinciale della Camera del Lavoro fino al 1949, quando lasciò l’Irpinia. Anche

Vincenzina La Vigna, moglie di Smorto, assunse un ruolo importante al servizio del partito,

riuscendo a organizzare una struttura femminile che a Montecalvo fu molto utile per le attività di

propaganda; inoltre, Vincenzina La Vigna partecipò, intervenendo sul tema del coinvolgimento

delle donne nel partito alla seconda conferenza provinciale d’organizzazione, nel settembre 194646.

Oltre a Smorto, in questo paese soggiornò anche Concetto Lo Presti, che dopo la guerra fu nominato

assessore regionale in Sicilia. Montecalvo era considerata una delle roccaforti “rosse” d’Irpinia, e

qui si affermò la Repubblica nel referendum del 1946 e si instaurò alla guida del comune una

compagine frontista e l’alleanza tra P.C.I. e P.S.I. governò il paese fino al 1962.

A Calabritto era stato assegnato Giordano Dall’Ara, comunista, originario di Cesena; tra i

condannati del Tribunale Speciale Dall’Ara fu uno di quelli che subì la condanna più pesante, ben

47 anni complessivi47. Dopo la fine del fascismo, Dall’Ara ebbe l’incarico, delicato ma

significativo, di guidare la Camera del Lavoro di Salerno dove si occupò di molte attività, tra cui la

formazione dei dirigenti del sindacato e del Partito Comunista, ed ebbe anche alcuni dissidi con la

linea del sindacato. Nel 1949 Dall’Ara lasciò Salerno per fare ritorno a Cesena.

Nei verbali della Federazione Comunista di Avellino48 è possibile rintracciare il nome di Angelo

Guastavigna, di Alessandria, che partecipò attivamente alla ricostituzione del partito in provincia e

che fece da punto di riferimento per il partito a Teora, almeno nei primi mesi dopo la caduta del

regime. Nella seduta della conferenza provinciale del 22 luglio 1944, in particolare, Guastavigna

chiedeva alla segreteriadi inviare in quel paese suoi attivisti per la propaganda. Sempre nelle

relazioni e nei verbali sopraindicati, Teora è segnalata tra i comuni in cui le forze antifasciste erano

riuscite a designare degli amministratori senza aspettare le indicazioni del prefetto e del comando

alleato.

Tra i personaggi politici di altra ispirazione politica è da segnalare Aldo Spallicci; medico

ravennate, mazziniano, partecipò alla prima guerra mondiale dal 1915 al 1918 sul fronte del Carso.

A causa della sua opposizione al fascismo fu minacciato, poi arrestato e costretto a trasferirsi nel

45 Intervista di Angelo Siciliano ad Antonio Smorto, ragazzo di 94 anni, in Corriere, quotidiano dell’Irpinia, 7 settembre 2003. 46 Verbale della seconda conferenza provinciale di organizzazione, pag. 58, in Archivio del Partito Comunista, Federazione Provinciale di Avellino, Istituto Gramsci, Roma. 47 Michele Fumagallo, Giordano Dall’Ara, il sindacalista fuorilinea, in “Metrovie”, n. 35, pag. 8, supplemento del Manifesto, 16 settembre 2005. 48 I verbali e le relazioni citate si trovano in: Federazione di Avellino, Archivio del Partito Comunista Italiano, Istituto Gramsci, Roma.

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1927 a Milano, dove aprì un ambulatorio andando incontro ad enormi difficoltà e mantenendo i

contatti con gli antifascisti romagnoli.

Nel 1941 fu inviato al confino a Mercogliano, dove restò pochi mesi. Dopo essere tornato a Cervia

con la famiglia, nel 1943 fu arrestato e detenuto nel carcere di San Vittore, a Milano, fino alla

caduta del regime. Il 2 giugno 1946 fu eletto deputato alla Costituente per il Partito Repubblicano

nel collegio di Bologna, Ferrara e Ravenna e poi senatore nella I legislatura e nella II legislatura. Fu

nominato da De Gasperi sottosegretario alla Sanità nel 1948 e al turismo nel 195049.

Accanto al “Diario di confino” di Spallicci, troviamo altre testimonianze scritte lasciate dai

confinati; tra queste è da segnalare il (breve) diario di Temistocle Brunetti. Fiorentino, militante

antifascista, fu arrestato nel gennaio 1937 insieme ad altri militanti e condotto dapprima alle isole

Tremiti e poi destinato a San Martino Valle Caudina. Nelle sue poche pagine che narrano di quei

giorni, si fa riferimento allo sbigottimento del podestà del paese, quando se lo vide recapitare in

Comune (era, infatti, il primo confinato destinato lì) e alla curiosità dei paesani, evidentemente non

abituati alla presenza di confinati50.

Altra testimonianza, in forma di diario, è quella di Renato Ogier, confinato a Nusco51.

Nel lavoro di recupero delle biografie e delle vicende di confinati che trascorsero la loro prigionia in

Irpinia, di recente sono stati due i personaggi di cui si è recuperata e onorata la memoria. Uno di

questi è Eusebio Giambone. Nato a Camagna Monferrato nel 1903, diventa tornitore nel Borgo San

Paolo a Torino, entrò in contatto con Gramsci e nel 1921 8 ( a soli 18 anni) contribuì alla nascita del

PCd’I. Nel 1923 fu costretto all’esilio in Francia, a Lione, restando al servizio del P.C.I.52

Arrestato ed espulso dalla Francia nel 1937, fu confinato a Castel Baronia, assieme alla moglie

Luisetta e alla figlia Gisella. Dopo la cattura del duce si era unito alle bande partigiane della sua

zona (nome di battaglia: Franco), ma fu catturato e fucilato dai nazifascisti il 5 aprile 1944. Grazie

alle ricerche di Marino e al ritorno sui luoghi del confino della figlia Gisella, è stato dato alle

stampe un volume nel 200553, il comune di Castel Baronia gli ha intitolato una via e dedicato

un’altra pubblicazione nel 200754. La sua ultima lettera, indirizzata proprio alla figlia Gisella, è

contenuta nelle “Lettere dei condannati a morte della Resistenza”55.

49 Sull’esperienza di Spallicci al confino cfr. Aldo Spallicci, Diario di confino 1941, Edizione del girasole, Ravenna, 1972. Il fascicolo di Aldo Spallicci presso il Casellario Politico Centrale è il numero 063073. 50 Le pagine di diario di Temistocle Brunetti mi sono state messe a disposizione da Paolo Speranza, che ringrazio. 51 Renato Ogier, Racconto di un confinato, a cura Partito comunista italiano sez. Raffaele Della Marca - Nusco, Poligrafica Ruggiero, Avellino, 1989. 52 Cospiratore per la giustizia , articolo di Marco Ferrari, l’Unità, 1 novembre 1995, pag. 12. 53 Giovanni Marino - Paolo Speranza (a cura di), I confinati antifascisti in Irpinia: ricordo di Eusebio Giambone, CGIL FISAC, Avellino, 2005. 54 Castel Baronia - Torino : nel nome di Eusebio Giambone, a cura di Giovanni Marino, Atripalda (AV) : Mephite, 2007. 55 Ecco alcuni passaggi: “Cara Gisella, quando leggerai queste righe il tuo papà non sarà più. oggi sei troppo piccola per

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Degli antifascisti confinati a Calitri abbiamo notizia attraverso delle fonti indirette, e cioè gli

accurati studi che hanno raccontato la rivolta di alcuni cittadini calitrani nei giorni in cui le truppe

alleate si accingevano a liberare l’Irpinia dalle forze d’occupazione tedesca, avvenimento già

menzionato in precedenza. Già tra il 25 luglio e l’8 settembre gli antifascisti calitrani avevano

tentato di organizzarsi con l’aiuto di alcuni antifascisti napoletani, che si trovavano a Calitri da

sfollati56.

I confinati presenti a Calitri in quei giorni colsero l’occasione per tentare di dare una forma

organizzata alla rivolta e ottenere la conduzione amministrativa del comune con l’apporto

determinante delle forze antifasciste. A tale scopo alcuni confinati si recarono a Pescopagano,

presso la base alleata che controllava la zona, per spiegare le proprie intenzioni e ricevere dagli

alleati il benestare. Intanto a Calitri i protagonisti della rivolta si riunivano per un’assemblea

popolare che avrebbe dato vita alla cosiddetta “Repubblica di Batocchio” (dal soprannome di uno

degli animatori, il contadino Salvatore Maffucci). Più in generale i confinati si resero conto della

necessità di creare collegamenti politici con i paesi circostanti, dove erano avvenute sommosse

popolari simili (Andretta e Lacedonia), anche se non avevano avuto i risvolti tragici che si erano

verificati a Calitri. Tra i confinati più volte citati per il loro attivismo nei pochi giorni di vita della

“Repubblica di Battocchio” si ricordano il croato Ante Lucew e il cesenate Walter Zavatti.

Tra iconfinati si annoverano diverse figure che scelsero di educare i cittadini irpini, sia per far

aumentare il livello d’istruzione sia per diffondere meglio il proprio credo politico. Uno di questi fu

Diego Morandi, confinato a Flumeri, di cui si ignora l'occupazione ma si conoscono, anche grazie ai

racconti degli abitanti di Flumeri che lo conobbero, la gentilezza, la bravura nel gioco degli scacchi

e nella dama e l'amore per la cultura, che non disdegnava di trasmettere ai ragazzi più volenterosi,

con cui la sera, nella casa in cui soggiornava, era solito leggere dei passi della Divina Commedia o

dei Promessi Sposi. E' nota anche la motivazione della condanna a 5 anni al confino, e cioè il

giudizio negativo espresso sull'asse Roma Berlino.

A Grottaminarda, invece, trovò ospitalità Osvaldo Sanini57; originario di Parma, fin da giovane si

trasferì a Genova per studiare, dove diventò corrispondente del Secolo XIX all’estero. Nel 1940, al

rientro da Parigi, viene arrestato per propaganda antifascista e condotto al confino. A Grottaminarda

Sanini creò una scuola dove insegnava Italiano, Latino e lingue straniere alle persone di umile

comprendere perfettamente queste cose, ma quando sarai più grande sarai orgogliosa di tuo padre e lo amerai molto di più, se lo puoi, perché già so che lo ami molto. Non piangere, cara Gisellina, asciuga i tuoi occhi, tesoro mio, consola la tua mamma da vera donnina che sei. Per me la vita è finita, per te incomincia, la vita vale di essere vissuta quando si ha un ideale, quando si vive onestamente, quando si ha l’ambizione di essere non solo utili a se stessi ma a tutta l’umanità”, dalle Lettere dei condannati a morte della Resistenza Italiana, Einaudi, 1961 p.143. 56 Manuela D’Agostino, Calitri, la rivolta e il processo nelle fonti orali, cit., pag. 118. 57 Il fascicolo personale di Sanini presso il Casellario Politico Centrale è il numero 043896.

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condizione e nel suo soggiorno scrisse alcune raccolte di poesie, di cui una, “Canto dal Confino”,

ritrovata alla sua morte58. Sanini rimase a Grottaminarda sino alla morte, nel 1962, continuando una

azione di propaganda politica ispirata al repubblicanesimo (suo padre era infatti un mazziniano

convinto). Grazie anche alla sua azione, Grottaminarda risultò essere uno dei pochi comuni irpini

dove nel referendum del 1946 la Repubblica ebbe la maggioranza relativa dei consensi.

Recentemente il comune di Grottaminarda, dopo aver intitolato al poeta la biblioteca comunale, ha

posto una targa sulla casa dove il confinato abitò e un gruppo di storici locali gli ha dedicato un

volume59 ed è in preparazione anche un corto-documentario dal titolo “L’internato”.

Anche in altri centri, i confinati presero come missione quella di educare la popolazione analfabeta

o poco istruita. Tra i confinati ospitati a Bagnoli Irpino, Tommaso Aulisa60 ricorda un giornalista

genovese “con la sua immancabile pipa di radica”; insieme al professor Amerigo Firmo, di Milano,

ospitato a Montella, questi due confinati avevano ottenuto il permesso informale per poter tenere

lezioni private di italiano e storia a giovani del posto. Già da questo elemento è possibile intuire il

forte lascito che questi personaggi lasciarono nei paesi; le lezioni private, seppur probabilmente

destinate a ragazzi di famiglie dal tenore di vita medio – alto, erano un efficace strumento per la

trasmissione di idee e valori.

A Bagnoli erano ospitati anche alcuni stranieri; tra questi Aulisa cita “una signorina francese”,

professoressa di letteratura all’Università, che svolgeva anch’essa lezioni private, un “vecchio

inglese con la sua signora” e un “vecchio operaio direttore di un giornale di Zagabria”61, impiegato

come manovale per la costruzione della teleferica del Laceno.

Bagnoli Irpino fu uno dei comuni che sin dagli inizi dell’era repubblicana si contraddistinse per il

predominio elettorale delle forze di sinistra; a riprova di questo si può segnalare che nel referendum

istituzionale del 1946 questo fu uno dei pochi comuni campani in cui la Repubblica ottenne più voti

dell’opzione monarchica (1110 voti contro 671).

In questa tradizione politica, che comunque si arricchiva di altre forze politiche attive nel comune

sin da subito dopo la Liberazione (Democrazia Cristiana, Partito d’Azione e Partito Liberale), si può

immaginare una possibile saldatura ideale avvenuta negli anni del regime e in quelli della guerra

con le idee politiche dei confinati politici e internati che questo comune ospitò.

58 Ivana Tanga, Osvaldo Sanini – poeta, in Vicum, n. 1 Marzo - Giugno 1987. 59 Canti dal confino. Internati politici a Grottaminarda, a cura di E. Abbondandolo, F.A. De Luca, A.M. Indresana, A. Palomba, Delta 3 edizioni, Grottaminarda, 2008. 60 Aulisa fu esponente di spicco della sinistra irpina nel dopoguerra; sindaco di Bagnoli dal 1956, contribuì a fondare il premio cinematografico “Laceno d’Oro”; Scrisse anche due volumi di storia locale: Cinquant’anni fa la guerra in casa nostra. 8 Settembre 1943-8 settembre 1993, Valsele tipografica, Materdomini; Bagnoli Irpino mezzo secolo di ricordi. Dalla dittatura alla democrazia, cit. 61 Tutte le citazioni virgolettate si trovano in “Bagnoli Irpino mezzo secolo di ricordi”, cit., pag. 52.

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Aulisa cita, nei suoi scritti, un episodio del settembre 1943; alcuni paracadutisti americani furono

“lanciati” per errore nei pressi di Bagnoli e alcuni bagnolesi, tra cui Aulisa, notarono tra i boschi i

teli bianchi ancora impigliati negli alberi; cercarono quindi prontamente di recuperare i soldati e,

una volta nascosti e rifocillati, capirono che il loro compito era di raggiungere il monte Terminio

per preservare le fonti da possibili avvelenamenti ad opera dei tedeschi. Un gruppo di cittadini si

mise al loro servizio e tra questi un ruolo attivo ebbe Umberto Borracchini, calzolaio, originario di

Campi Bisenzio. Gli antifascisti bagnolesi si offrirono quindi di accompagnare i soldati in provincia

di Salerno, rischiando anche di incappare nelle truppe tedesche in ritirata, ma l’operazione andò a

buon fine e i bagnolesi furono ricompensati in denaro, generi alimentari e sigarette62. In quel

periodo bagnolese, il confinato citato conobbe anche la sua futura moglie, che al termine del

periodo di confino lo seguì nella cittadina toscana.

Un altro confinato di Teora, Guglielmo Bonzanini, ebbe una vicenda analoga. Arrivato da

Bedizzole (Brescia) l’8 luglio 1939, questo confinato avrebbe dovuto scontare la sua pena fino al 23

dicembre 1943. Il caso volle, però, che a Teora Bonzanini trovasse l’amore e si sposasse con

Colomba Stefanelli e quindi rimase a Teora anche dopo la scadenza della pena. Molti teoresi lo

ricordano come una persona gioviale e socievole63.

I confinati molto spesso cercavamo di continuare ad esercitare il proprio mestiere nelle destinazioni

assegnategli; Ferruccio Corradini, sarto, originario di Venezia, confinato a Flumeri, chiedeva alle

autorità (al podestà e tramite lui al questore) di recarsi a Castel Baronia per prendere le misure per

confezionare degli abiti alle signore Bardaro64. Il questore però gli rispose che non doveva

allontanarsi dall'abitato del comune per nessun motivo, come imponevano gli obblighi del confino.

Tuttavia, Corradini scontò solo 6 mesi di confino rispetto ai 5 anni a cui era stato condannato perché

fu prosciolto nel natale del 1938.

Un altro confinato che cercò di rendersi utile continuando anche in confino a esercitare il proprio

mestiere fu Domenico Mollo, muratore di Cosenza, che fu prosciolto da ogni addebito nel maggio

1940; il Podestà comunque non gli corrispose le spese di viaggio per il ritorno a casa perché “ lo

stesso, all'atto della partenza da Flumeri, era provvisto di un discreto gruzzolo di denaro, frutto di

lavori eseguiti nel Comune”65.

Corrado De Palma, originario di Terlizzi (Bari),era un bracciante e tra i documenti dell’epoca

conservato all’Archivio del Comune di Teora66, si trova la sua richiesta al comune di poter

“svolgere atti lavorativi presso il fondo degli eredi Stefanelli, oppure a potare alberi fruttiferi presso 62 Tommaso Aulisa, Cinquant’anni fa la guerra in casa nostra, cit., pag. 13 e seguenti. 63 Archivio del comune di Teora (d’ora in poi ACT), fondo sfollati, internati e confinati politici 1940-1946. 64 Vittorio Caruso, Antifascisti confinati a Flumeri (1938-1943), in Vicum, settembre dicembre 2001, pag. 14. 65 V. Caruso, Antifascisti confinati a Flumeri, cit., pag. 16. 66 ACT, fondo sfollati, internati e confinati politici 1940-1946.

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l’avvocato Ermete Ferrara o dal signor Peppino Restaino”. De Palma, quindi, pur essendo un

confinato politico, cercò di si rendersi utile.

La quotidianità della vita dei confinati, specie in tempi di guerra, vedeva spesso molte difficoltà nel

sostentarsi e nel procurarsi vestiario, generi di conforto e qualsiasi altro tipo dibene materiale. Le

difficoltà erano maggiori anche perché bisognava avanzare sempre richiesta al podestà e al questore

per tutto ciò che esulava dal sussidio giornaliero previsto dalla legge. A Flumeri, ad eccezione di

Bruno Brambilla, di Como, a cui non venne corrisposto l'assegno dovuto ai confinati poveri

“trovandosi egli in condizioni finanziarie tali da potersi mantenere”, gli altri confinati e internati

versavano in condizioni di indigenza; per alcuni (Giovanbattista Migliasso, da Asti) il Podestà

dovette procurare abiti e scarpe usate, per altri la corrispondenza tra Questore e podestà provvedeva

a far giungere i“consueti assegni”. Caruso segnala anche il caso di Elia Mosè Tonietto, che affidava

al cibo e al vino le sue frustrazioni, tanto da venir arrestato per ubriachezza molesta il 6 maggio

194067.

Il confinato politico Angelo Corsi ebbe diversi problemi nel rapportarsi alle autorità per le sue

richieste; appena giunto a Teora scrisse, infatti, al questore di Avellino per richiedere i rimborsi al

viaggio che hanno effettuato da Avellino alla volta di Teora i suoi familiari più stretti (moglie e

figlio) 68. La lettera riporta evidenti errori grammaticali, ma contiene una puntuale recriminatoria dei

diritti relativi ai rimborsi pecuniari (consistenti in 25 lire), come la legge prevedeva per questi casi;

Corsi dichiara chiaramente che, per avere quel rimborso, ha già scritto alla Questura di Siena e al

comune di Poggibonsi e se necessario intende interessare anche il ministero dell’Interno.

Il questore di Avellino, Vignali, risponde in modo molto seccato con una nota al podestà di Teora in

cui dice: “Il soprascritto Angelo Corsi ha fatto pervenire alla R. Questura di Siena un esposto con il

quale, usando una forma alquanto altezzosa, chiede di essere rimborsato delle spese che la moglie

ha sostenuto per il tratto di viaggio da Avellino a Teora e cerca di polemizzare e di fare ricadere la

colpa al Municipio di Poggibonsi e alla R. Questura di Siena. [..] Si prega di richiamare il C. a

tenere un comportamento più corretto e a scrivere, sempre che gli capiterà di scrivere ad autorità

costituite, con la forma dovuta e senza alterigia69.

Il 9 ottobre 1941 Corsi chiese di essere trasferito ad altra località; la richiesta venne però respinta.

Inoltre il 9 gennaio 1942 lo stesso Corsi chiede 35 lire per la risolatura delle scarpe, visto che ne ha

un solo paio ormai consumate e non adatte al rigido inverno. Il questore Vignali respinge anche

questa richiesta. Pare proprio che il soggiorno a Teora del falegname comunista sia stato, quindi,

più travagliato di quello di altri ospiti.

67 V. Caruso, Antifascisti confinati a Flumeri, cit., pag. 15. 68 ACT, fondo sfollati, confinati e internati, cit., lettera del 23/11/1940 di Angelo Corsi alla questura di Avellino. 69 ACT, nota della Questura al podestà di Teora n. 1617/g del 4 dicembre 1940.

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Negli anni in cui la guerra imperversava e faceva sentire i suoi effetti anche nelle zone interne del

Mezzogiorno, l’interazione tra abitanti del luogo, sfollati e confinati si connota di sentimenti di

solidarietà umana e di empatia nella sofferenza. Si può citare, per esempio, un carteggio tra il

commissario prefettizio Pasquale Chirico e lo zio di Giovanni Bacinello, nel febbraio del 1945.

Enrico Poli, zio del confinato, scrive diverse lettere al comune di Teora per conoscere le cause della

morte del suo “povero nipote”: “Ho il dubbio che di morte naturale, cioè di malattia (come Lei mi

scrive) il povero Giovanni non sia morto. La prego, con me, può essere franco e dirmi se altra dura

verità si nasconde che riguardi qualche efferatezza compiuta dai mai tanto maledetti fascisti”.70

Il commissario prefettizio Chirico risponde in modo molto puntuale, riuscendo a coniugare la

formalità del ruolo ad un senso di profonda umanità: “Mi addolora doverle comunicare che il

povero Bacinello decedette il 23 gennaio 1944 a seguito di tifo. A lei e ai familiari sia di conforto

sapere che il caro estinto è stato oggetto delle cure più meticolose da parte di autorità, amicizia e

cittadinanza. Il decorso del male fu seguito da ansie e da trepidazioni da parte di tutti che in

Bacinello vedevano un martire del mai tanto deprecato fascismo, un apostolo assertore di libertà. Le

esequie, vero plebiscito di popolo, riuscirono imponentissime e numerosi i discorsi pronunziati fra i

quali anche io che più degli altri gli ero legato da sana e fraterna amicizia”.71

In un'altra lettera lo stesso Chirico ribadisce: “Il povero Giovanni ebbe a morire effettivamente di

tifo. Curato da tre medici locali e amorevolmente assistito in famiglia privata come persona di casa

che ne ha anticipato ogni spese per medicinali occorsi ed altri generi necessari alla cura. […] Mi

torna doveroso comunicarle che ancora che il povero Giovanni era ben stimato e voluto bene da

autorità e cittadini che in lui riscontravano l’esempio della correttezza e signorilità non disgiunte

dalla nobiltà di cuore, per cui la sua dipartita lasciò un profondo vuoto nel mio piccolo paese,

ospitale e scevro da animosità politiche”72.

In definitiva, la storia dei confinati politici e degli internati e il loro ruolo nella ripresa della vita

democratica, in tutta l’Irpinia e negli altri luoghi di confino, è un capitolo da approfondire

ulteriormente. I frammenti che qui sono stati illustrati riguardano personaggi sicuramente non di

primo piano, alle prese anche con la fame e la malattia a cui devono far fronte lontano da casa,

sperando nella commiserazione e nella pietà degli abitanti di quei posti. In definitiva, anche se “

nessuno di loro è diventato celebre come il Carlo Levi del soggiorno coatto ad Aliano, nella vicina

Lucania, o il Cesare Pavese costretto dal regime mussoliniano aBrancaleone Calabro, eppure gli

antifascisti condannati al confino in provincia di Avellino hanno segnato in maniera fondamentale,

70 Carteggio epistolare tra Pasquale Chirico e Enrico Poli, ACT , fondo sfollati, internati e confinati politici 1940-1946. Lettera del17 febbraio 1945. 71 Carteggio Chirico - Poli, cit., lettera del2 febbraio 1945. 72 Carteggio Chirico - Poli, cit., lettera del1 marzo 1945.

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in senso democratico e progressista, la storia recente dell’Irpinia e delle zone interne del

Mezzogiorno”.73

Elenco dei comuni della provincia di Avellino adibiti a confino o a località d’internamento.

Andretta Mercogliano

Ariano Irpino Mirabella Eclano

Bagnoli Irpino Monteforte

Bisaccia Montefusco

Calabritto Montemiletto

Calitri Quindici

Castelbaronia S. Andrea di Conza

Flumeri Savignano

Forino Solofra

Gesualdo Teora

Greci Zungoli

In corsivo i paesi dove sorsero campi di internamento.

73 P. Speranza, I confinati antifascisti in Irpinia. Ricordo di Eusebio Giambone, cit., pag. 3.