I Castelli parmensi ad ovest del Taro€¦ · “STORIA DI PARMA – PROGETTO SCUOLA” Edizione...
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“STORIA DI PARMA – PROGETTO SCUOLA” Edizione 2012/2013
I CASTELLI PARMENSI AD OVEST DEL TARO
Elaborato della classe 2^C afm I.I.S.S. “Paciolo-D’Annunzio” – Fidenza (Pr)
a.s. 2012-2013
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Indice
1) Introduzione 3
2) Castello di Roccabianca 4
3) Rocca dei Rossi di San Secondo Parmense 6
4) Rocca Meli Lupi di Soragna 8
5) Rocca Sancitale di Fontanellato 10
6) Castello di Castelguelfo 12
7) Rocca di Noceto 14
8) Castello di Bargone 17
9) Castello di Scipione 19
10) Castello di Tabiano 21
11) Castello di Contignaco 23
12) Castello di Pellegrino Parmense 24
13) Castello di Varano de Melegari 27
14) Castello di Golaso 29
15) Castello di Castelcorniglio 30
16) Castello di Bardi 32
17) Castello di Compiano 35
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Introduzione Gli antichi chiamavano “Castrum” un luogo fortificato situato su un’altura, una casa
alta, luogo sede di soldati. “Castrum”, con valore di luogo fortificato, cittadella,
bastione e accampamento è appunto un termine usato dagli autori dell’antichità
romana: Cesare, Cicerone e Livio. Queste costruzioni sono state progettate e
realizzate in modo da adattarle alle diverse circostanze.
Il castello vero e proprio arricchito di cinte murarie di dimensioni a volte
ragguardevoli, svolgeva anche funzioni di rifugio per le genti del territorio in caso di
incursioni, razzie e operazioni belliche vere e proprie. In questo contesto il termine
“castello” non è affatto univoco; ce ne serviamo come comprensivo delle varie
sfumature che assume di volta in volta: luogo fortificato, torre, cittadella, casa forte,
castello con funzione residenziale oltre che militari. Questo ultimo aspetto si fa
sempre più evidente man mano che ci si avvicina all’epoca rinascimentale.
In età alto medievale, invece, le fortificazioni vengono ripristinate o create in
risposta a sollecitazioni concrete.
Non dimentichiamo che dalle valli del parmense passa più di una diramazione della
via Francigena, la quale mette in comunicazione il nord Europa con la costa
tirrenica e permette la discesa verso Roma.
Le notizie sui castelli del parmense sono sparse in raccolte, monografie speciali e
in contributi particolari non sempre di facile consultazione.
A questi castelli sono strettamente connesse le vicende politiche e militari delle
grandi casate come ad esempio i Rossi, i Pallavicino e i Sancitale.
Il territorio parmense, è sempre stato straordinariamente ricco di castelli: basti
pensare che nel tempo si è arrivati a catalogarne ben 217: per questo motivo la
nostra classe ha pensato di concentrarsi esclusivamente nello studio di quelli
presenti ad ovest del fiume Taro in quanto più vicini al territorio in cui viviamo.
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Castello di Roccabianca A 29 km da Parma, situato nella bassa parmense, si trova il castello di
Roccabianca. E’ uno dei tanti castelli di Parma e dintorni, e conoscerne alcune
caratteristiche è molto interessante. Partendo dalla storia, ovvero dalla sua nascita
datata tra il 1450 e il 1465, il castello venne costruito per volere di Pier Maria Rossi,
un condottiero italiano dell’epoca, che fece costruire diverse edificazioni.
Figura 1. Il castello di Roccabianca visto dall’alto.
Il castello di Roccabianca, chiamato Rocca dei Rossi, venne fatto erigere in onore
della sua amante Bianca Pellegrini. La rocca si sviluppa in senso orizzontale e
presenta le tipiche caratteristiche dei castelli di pianura. La struttura è di forma
quadrangolare, anticipata dai resti di una cinta muraria e da un ponte levatoio. Ha
un cortile centrale circondato da torrioni agli angoli di sinistra, in facciata e nel retro.
Presenta inoltre un mastio centrale, costruito su due livelli. Al interno del castello,
nella torre sud-ovest, in una sala definita “la camera picta”, vi è l’affresco che
raffigura le scene della storia di Gualtieri e Griselda, ispirata alla centesima novella
di Decamerone di Boccaccio. Sulle pareti della sala, si susseguono 24 scene, in
verde pallido su sfondo monocromo, ravviato da tocchi di rosso. Essendo
raffigurata su due livelli partendo dal arco sopra la porta, la storia compie un doppio
giro. L’autore del affresco rimane però anonimo. L’interno del castello, una volta
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contenente dipinti e arredi d’epoca, non presenta più l’arredo originale,andato
disperso nel corso del XIX secolo. Continuando a ripercorrere la sua storia, dopo la
scomparsa di Pier Maria Rossi il feudo passò a Giovanfrancesco Pallavicino e nel
1524 ai Rangoni di Modena. Assegnato al Ducato di Maria Luigia, nel 1901 fu
ceduto alla famiglia Facchi di Brescia e da questa al cavalier Mario Scaltriti, che
rimane il suo attuale proprietario. Il castello ha visto, nel corso della sua vita, opere
di ristrutturazione e ampliamento. Alcuni restauri invece, a causa delle pietre
corrose dal fossato che circonda il castello, presente dal 1900, sono tuttora in
corso. Inoltre il sig. Scaltriti utilizza il castello some sede per invecchiamento dei
distillati della famiglia e ne promuove l’apertura al pubblico. Le visite al castello
sono infatti molto frequenti, essendo un luogo storico, che offre la possibilità di
vedere la storia attraverso un edificio e di scoprirne le bellezze culturali. I gestori
del castello organizzano infatti degustazioni di prodotti tipici, quali il culatello e i
liquori. E per i più piccini vi è il “Villaggio delle fiabe“ dove sono ambientate le scene
più amate delle fiabe più famose.
Figura 2. L’ingresso del castello di Roccabianca.
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Rocca dei Rossi di San Secondo Parmense La Rocca dei Rossi è un castello che si trova a San Secondo Parmense nella
provincia di Parma.
Fu costruita da Bertrando Rossi intorno al 1385. Nata come rocca eretta a difesa
dei propri domini, in seguito viene trasformata in palazzo sontuoso dopo importanti
matrimoni stretti con famiglie nobili, quali gli Sforza, i Medici e i Gonzaga.
Tra le cose notevoli all'interno della rocca ci sono il cortile e lo scalone d'onore (di
origini cinquecentesche) e, tra le varie sale, affrescate dai migliori artisti del tempo,
ci sono la Sala dell'Asino d'Oro (risalente circa al 1530) e la Sala delle Gesta
Rossiane.
Nel corso dei secoli l'originaria struttura ha subito numerose menomazioni, tra le
quali (alla fine dell'800) un Oratorio contenente alcune tombe della famiglia Rossi,
un teatro, il loggiato affacciato sul centro del paese, le stanze dei servitori, le
scuderie e le prigioni.
Durante il XVI secolo il Castello di San Secondo, ormai solo dimora residenziale,
viene abbellito con notevole sfarzo. Tutte le Sale del piano nobile vengono fatte
affrescare dai migliori artisti del tempo.
I locali affrescati del piano nobile costituiscono quel che oggi resta della zona
residenziale, un tempo certamente più vasta, e l’ancora imponente e maestosa,
quasi integra, zona di rappresentanza.
Un impianto decorativo unico, un autentico archivio illustrato per narrare le vicende
storico familiari, connesse anche all’insediamento farnesiano:
a. 1525-1535. La committenza più antica, tra la fine degli anni venti e i primi anni
trenta, resta nelle sale dell’Asino d’Oro e dei Cesari, che riflette il periodo della
speranza verso nuovi trionfi, pur consapevoli i Rossi, come Lucio-asino, che ci
sarà molto da soffrire.
b. 1538-1549. Tra la fine degli anni trenta e sino alla morte di Paolo III, l’impianto
fabulistico, didascalizzato da aforismi pertinenti e sagaci, segna il profondo
contrasto di una famiglia, i Rossi, contro chi esprime uno dei massimi poteri
terreni e l’unico potere divino, i Farnese, una lotta improba e senza scampo.
c. 1550-1555. Nei primi anni cinquanta, contemporaneamente alla cosiddetta
“guerra di Parma”, gli ultimi sussulti di Giulio Cesare de’ Rossi, le ultime
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speranze naufragano come quelle di Circe, periscono come quelle di Didone:
non resta che il rimpianto e la rassegnazione, pur con la consapevolezza di
averle tentate tutte.
d. 1556-1563. Logica conseguenza di una sconfitta è una onorevole sottomissione;
per salvare il salvabile, occorre riverire i più potenti, per non incorrere nei loro
strali. Le giuste punizioni degli dei verso chi troppo ha osato, non avendone
avute le forze o la fortuna, sono rappresentate nelle sale di Latona, di Adone,
dei Giganti.
Nella sala delle Gesta, così come in tutte le sale della Rocca di San Secondo, non
servono le parole: basta solo l’ammirazione per chi ha voluto, per tutti coloro che,
purtroppo ancora sconosciuti, hanno realizzato queste opere grandiose.
Al piano nobile oggi alcuni ambienti sono adibiti a servizi vari (mostre e/o
conferenze), mentre a piano terra, di recente, è stata recuperata la zona delle ex
scuderie e cannoniere, ora trasformata in suggestivo percorso archeologico
medievale.
Figura 3. Rocca di San Secondo: veduta aerea.
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Rocca Meli Lupi di Soragna La Rocca fu edificata nel 1385 dai marchesi Bonifacio ed Antonio Lupi che nel 1347
avevano avuto da Carlo IV l'investitura feudale sul territorio.
Inizialmente l'edificio si presentava come una forte rocca munita d’ogni difesa
contro gli attacchi esterni. Col passare del tempo e il consolidarsi delle Signorie, le
lotte si fecero sempre più rare e il castello poté quindi arricchire e ingentilire le sue
strutture così divenne un piacevole e comodo palazzo.
Soprattutto nel Cinquecento la rocca subì dei ritocchi strutturali ma fu solo nel
secolo successivo che divenne una sfarzosa residenza principesca.La Rocca è
sempre rimasta di proprietà della famiglia Meli Lupi.
Figura 4. L’ingresso della Rocca di Soragna.
La storia del casato dei Meli Lupi non può che partire dal più antico tra i signori di
Soragna, il marchese Guido Lupi, che fu podestà di Parma nel 1202, svolgendo
tappa fondamentale nella storia della famiglia fu la trasformazione dei beni di
Soragna in feudo, avvenuta nel 1347 da parte di Carlo quarto di Boemia, con il
riconoscimento dei titoli di Marchese per Ugolotto Lupi e i suoi discendenti.
Dopo lunghe traversie dovute alla contesa sull'eredità del nome e dei beni del
casato, il marchese Giampaolo Meli ottenne, nel 1530, dall'Imperatore Carlo V il
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diritto di aggiungere al proprio cognome quello dell'estinto casato dei Lupi, nonché
il privilegio di porre l’insegna imperiale dell'aquila nello stemma.
I Lupi anticamente, costruirono il castello e numerosi fortilizi sul territorio.
La personalità che conferì maggior lustro e prestigio alla casata dei Meli Lupi è
sicuramente Isabella Pallavicino di Cortemaggiore, moglie di Giampaolo II, dama
conosciuta soprattutto per aver ottenuto dal Duca di Ferrara il permesso di
stampare un'edizione della 'Gerusalemme liberata”, riveduta e corretta dallo stesso
Tasso, ancora vivente, che le dedicò un sonetto tuttora conservato nella biblioteca
del palazzo.
Nel 1709 Giampaolo Maria ottenne, dall'imperatore Giuseppe I, che il marchesato
fosse innalzato a Principato del Sacro Romano Impero con diritto di battere
moneta. Il titolo di Principe da allora viene portato dal primogenito della famiglia.
L'attuale Principe della rocca Meli Lupi è Diofebo. Il principe oltre alla sua attività
nel settore agricolo, prosegue quella tesa ad apportare migliorie nell'attività turistica
nella Rocca stessa, e nel campo musicale. Oggi la rocca appare come una
sfarzosa residenza ricca di opere d'arte e di affreschi di artisti famosi residenza.
Lo Stemma. Il più antico stemma adottato dalla famiglia Meli Lupi di Soragna è “un
lupo rampante d’azzurro in un campo d'oro”. Nel 1530 l'imperatore Carlo V
concesse inoltre di aggiungervi l'aquila nera bicipite sormontata dalla corona
imperiale. Quando poi, nel 1709, la famiglia ottenne il titolo di Principe del Sacro
Romano Impero, allo stemma dei Lupi si affiancò quello dei Meli, costituiti
rispettivamente da un cervo rampante e dalle bande rosso e oro della nobiltà
veneta. Un’ulteriore aggiunta allo stemma fu la corona da Principe, sovrastante un
manto di velluto di porpora.
Figura 5. Lo Stemma della
famiglia Meli Lupi.
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Rocca Sanvitale di Fontanellato La rocca Sanvitale, nota anche come castello di Fontanellato si erge, incantevole,
al centro del borgo, circondata da ampio fossato d’acqua, e racchiude, perla
preziosa, uno dei capolavori del manierismo italiano: la saletta dipinta dal
Parmigianino nel 1524 con il mito di Diana e Atteone.
La storia dell'edificazione della rocca Sanvitale può essere fatta risalire all'anno
1124, quando venne eretta una prima torre di difesa da parte dei Pallavicino.
A tale periodo viene fatta risalire proprio la costruzione del mastio centrale, che
serve anche come porta di ingresso, oggi attraverso un ponte di pietra,
originariamente attraverso un ponte levatoio.
Figura 6. La Rocca di Fontanellato: veduta dall’alto.
Nel 1386 le terre di Fontanellato, con la relativa rocca, vennero cedute ai Sanvitale.
Nel 1404, il feudo venne trasformato in contea: fu in tale periodo che la rocca
divenne una residenza signorile di notevole importanza.
La rocca appartenne alla famiglia Sanvitale fino al 1948, anno in cui Giovanni
Sanvitale la vendette all'amministrazione comunale.
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Dal Medioevo in poi la rocca venne arricchita dai Sanvitale con interventi artistici ed
architettonici. L'edificio presenta una pianta quadrata, con una struttura fortemente
militare, di impianto medioevale, con muri merlati. La struttura a pianta quadrata è
contraddistinta da quattro torri ai vertici, tre circolari ed una quadrata e, come già
detto in precedenza, da un mastio centrale. L'edificio è circondato da un ampio
fossato alimentato da acqua di risorgiva.
Nel piano superiore della rocca, sul lato sud, si trova un giardino pensile, con la
presenza di una pianta secolare di interesse botanico.
La rocca Sanvitale presenta al suo interno diverse opere artistiche e testimonianze
storiche di pregio. L'opera artisticamente più importante da segnalare riguarda la
già segnalata saletta di Diana e Atteone affrescata dal Parmigianino, per il conte
Gian Galeazzo Sanvitale e sua moglie Paola Gonzaga, il quale realizzò un
pergolato pittorico che lascia intravedere il cielo e sotto, in 14 medaglioni, viene
raccontata la storia di Diana e Atteone tratta dalle Metamorfosi di Ovidio.
Nella "sala di Maria Luigia" è presente l'opera di Antonio Canova "La mano con fior
al polso". Nelle altre sale della rocca si possono trovare numerosi oggetti di
artigianato storico, come porcellane e posate, e cimeli della famiglia Sanvitale.
Le stanze, con arredi e decorazioni di vari periodi storici, tra il XVII e il XIX secolo,
sono state destinate a museo. In una delle torri (la torre circolare di sud-est) è
installata una suggestiva curiosità: si tratta di una “camera ottica”, costruita nel XIX
secolo che, attraverso un sistema di specchi e di un prisma, riflette e proietta
l'immagine della piazza antistante su uno schermo.
Figura 7. Notturno.
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Castello di Castelguelfo L’imponente castello di Castelguelfo si erge al margine della Via Emilia, rilevando il
suo carattere di presidio militare all’importante guado del fiume Taro. Grandiosa
sentinella della via Emilia, il castello di Castelguelfo si presenta ancor oggi
decisamente ben conservato, pur custodendo ricordi di un passato burrascoso.
Non si sa quando e per volere di chi fu costruita la rocca; è certo che nel XIII secolo
apparteneva a Obizzo Fieschi che, nel 1224, lasciò il castello al nipote Sinabalbo
che diverrà Papa col nome di Innocenzo IV.
Figura 8. Il castello di Castelguelfo in una foto d’epoca.
Risalgono a quel periodo le numerose opere murarie, aventi lo scopo di rinforzare
la rocca rendendo più difficile possibile ogni attacco nemico. Conteso tra le due
influenti casate dei Da Correggio e dei Rossi, nel 1312 fu occupato da quest’ultima.
Solo due anni dopo, Gilberto Da Correggio lo fece radere al suolo. Le mura,
distrutte ed abbandonate, rimasero in uno stato di grande degrado per più di un
secolo, finché Orlando Pallavicino, conquistato il feudo, fece risorgere la rocca a
nuovo splendore, dandole l’aspetto di un severo castello, modellato secondo le
principali regole dell’architettura militare del tempo.
La lungimiranza di Orlando Pallavicino non bastò, tuttavia, a fermare l’ambizione di
Ottobuono Terzi, valoroso capitano di Gian Galeazzo Visconti e futuro signore di
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Parma, che riuscì a conquistare il castello dopo due giorni di dura lotta, e lo
ribattezzò Castelguelfo (Castrum Guelphum), in segno di scherno verso il partito
avversario. Dopo la morte di Ottobuono Terzi, assassinato dai sicari di Attendolo
Sforza, il castello passò di signoria in signoria finché, nel 1425, tornò ad Orlando
Pallavicino che morì nel 1457 lasciando la rocca al figlio Nicolò.
Nel 1472 passò al Comune di Parma che vi nominò un castellano e, nel 1500,
venne occupato dall’esercito francese di Luigi XII in marcia su Parma. Nel 1557
Castelguelfo appartenne alla famiglia Farnese, alla quale succedettero numerosi
signori che trasformarono il castello da possente complesso difensivo a sfarzosa
abitazione privata.
Il castello di Castelguelfo si presenta ancor oggi decisamente ben conservato, pur
custodendo ricordi di un passato burrascoso. L’aspetto attuale del castello presenta
una caratteristica pianta quattrocentesca quadrata, con torri quadrate e strutture
aggettanti e un cortile interno a loggiati. La parte meridionale è stata soggetta a
rifacimenti nel corso dei secoli. L’aspetto attuale del castello è dovuto all’armatore
genovese Fasce, che nel 1916 vi fece eseguire una serie di lavori.
Quest’oggi il castello appartiene alla famiglia Rovagnati. Purtroppo è un castello
privato difficile da visitare.
Figura 9. Una delle torri.
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Rocca di Noceto Figura 10. La Rocca di Noceto.
L’ impianto originale del Castello, anche noto come “Rocca”, risale al 13° secolo. In
seguito subì numerose distruzioni e venne riedificato prima nel corso del 1300 dai
conti Sanvitale e poi verso la metà del 1400, quando Pier Maria Rossi gli conferì
l’aspetto attuale. Per secoli, i conti Sanvitale, signori di Noceto fino alla
soppressione dei feudi nel 1805, lo adibirono a fulcro amministrativo della
giurisdizione: al proprio interno trovarono sede il tribunale, le carceri, l’abitazione
del podestà ed i reparti della milizia. All’interno un parco, ancora rigoglioso rimanda
ad un antico giardino chiuso di epoca tardo-gotica
Nel 2005, dopo adeguato restauro ed accurato allestimento il maniero è diventato il
“Castello della Musica”, coniugando storia, arte e cultura. Votata alla custodia ed
alla divulgazione dell’arte dei suoni, la Rocca di Noceto diviene appunto “Il
Castello”, luogo deputato quindi a creare occasioni di incontro che possano
incrementare le conoscenze sull’Arte della Musica. Piano Nobile del Castello ha
sede il Museo del Disco “Bruno Slawitz”, una delle principali collezioni pubbliche
italiane di dischi d’epoca , e la mostra permanente di liuteria del maestro Renato
Scrollavezza.
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Notizie certe della presenza di una rocca a Noceto si hanno solo a partire dal 1226,
anno in cui è documentata l'occupazione di un forte da parte dei guelfi parmigiani.
Molte sono infatti le lacune nella storia di questo castello che si diradano solo dal
1345, anno in cui viene attestato come signore Giberto I, appartenente alla nobile
famiglia Sanvitale. Tutta la zona a quel tempo era in balia delle lotte fra casati ed il
castello ne fu sfortunata vittima. Fu infatti raso al suolo dai Visconti e poi altre volte
ancora venne distrutto ciò che si stava tentando di ricostruire.
Divenne una sorta di emblema poiché in molti se lo contendevano, e nessuno
doveva averlo. Uno spiraglio di luce arrivò intorno al 1417, quando i Pallavicino si
impossessarono della rocca, ma poco dopo i Rossi la occuparono a loro volta. Da
qui in poi la storia portò una lunga trafila di scontri, delibere e patti violati che
ebbero tregua solo nel 1498, quando Ludovico il Moro rese ufficiale la concessione
della rocca a Giberto III, che non a caso aveva preso in moglie una rampolla dei
Rossi (ottimo esempio di politica matrimoniale). Il povero castello non ebbe però
vita facile, poiché ben presto fu travolto dalla guerra di Parma in cui ebbe
l'importante ruolo di difensore della città sul fronte piacentino. Il feudo rimase
comunque per molto tempo ai Sanvitale e superò anche la fase della “gran
giustizia” con la cessione di Belforte ai Dalla Rosa. Attualmente la rocca è di
proprietà del Comune e quel che ne resta è solo indicativo di ciò che un tempo era
stato. Nel complesso tutto quanto è ora visibile fa riferimento alla fase rossigna, con
lunghi beccatelli e merlatura ghibellina in parte accecata. Il ponte levatoio non è più
visibile ed è stato sostituito con una scalinata.
Il Castello della Musica si presenta come un quadrato imperfetto con quattro
torrioni angolari di forma arrotondata oltre la parte più antica, rilevabile ancora nel
possente mastio. Alla sinistra del nucleo centrale vi è un'altra costruzione che è
suddivisa su tre piani, oltre il seminterrato.
Il piano terra della Rocca è accessibile dal parco, verdeggiante di piante secolari fra
le quali spicca il grande ippocastano che durante la stagione natalizia si accende di
luci colorate. La sala Milli, che prende il nome dall'ex sindaco di Noceto Gian Paolo
Milli, è periodicamente sede di mostre, convegni e matrimoni. Dal parco si accede
anche ai locali dell'ex biblioteca, oggi sala Gildo Mellini, sede dell'Associazione il
Podio, che da dieci anni offre una vasta piattaforma di corsi musicali e
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dell'orchestra “Bambolbì”, il gruppo composto interamente da giovanissimi
musicisti.
Il piano immediatamente superiore - chiamato “mezzanino” - ospita la sede
dell'associazione culturale “I Cantori del Mattino”, che per le prove utilizzano anche
i locali della ex biblioteca. Salendo, mediante le scale o l'ascensore, arriviamo al
cosiddetto “piano nobile” del fortilizio, quello decisamente più rappresentativo.
Qui hanno sede due musei: il Museo della Liuteria ed il Museo del Disco.
Nel Museo della Liuteria è esposta l’importante collezione degli strumenti ad arco
ed a pizzico realizzati dal maestro Renato Scrollavezza, oltre a quelli costruiti dai
membri della Liuteria Parmense. Il pregevole patrimonio discografico derivante dal
lascito di Bruno Slawitz (giornalista sportivo nocetano) e costituito da una raccolta
di dischi a 78 e 33 giri in vinile - a tema prevalentemente concertistico e del
melodramma - è ospitato dal Museo del Disco, che è tornato ad insediarsi nel
Castello, in una veste profondamente rinnovata ed informatizzata. Il Museo è
articolato mediante un percorso composto da varie postazioni informatiche di
ascolto. Proseguendo si arriva alla sala Rossellini, che è stata trasformata in uno
spazio attrezzato per videoconferenze e proiezioni di filmati, fra cui quello che
l’Amministrazione ha realizzato a scopo didattico sulle fasi di lavorazione degli
strumenti ad arco, che contiene anche una trattazione descrittiva del Castello. Da
questo piano mediante una scala interna si sale nei locali del torrione che ospitano
la Scuola Internazionale di Liuteria Renato Scrollavezza, fondata come scuola di
liuteria in Parma in seno al Conservatorio Arrigo Boito nel 1975 ed ora una delle più
importanti realtà di formazione nel campo della liuteria. Particolarmente suggestivo
è il laboratorio della Scuola: situato in cima al torrione, dalle finestre gli allievi
possono godere di una panoramica a 360° del territorio circostante, che nelle
giornate più limpide può arrivare al fiume Taro a Castelguelfo. Tornando all’esterno,
da piazza Garibaldi si può accedere direttamente ai locali consegnati alla Proloco,
che nei giorni delle manifestazioni diventano sede decentrata dell’ufficio del
Turismo, normalmente ospitato nel Municipio. Sempre dalla Piazza si accede alla
sala Furlotti, che prende il nome dal ex Sindaco Pietro Furlotti, diventata ora sede
del corpo bandistico “La Noce”.
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Castello di Bargone Il castello di Bargone è un antica fortificazione eretta intorno all'anno 1000 d.C.,
appartenne ai vescovi di Parma e passò nel secolo XII sotto la Signoria dei
Pallavicino, di parte ghibellina e si inserisce a pieno titolo nell'insieme delle rocche
possedute dal famoso casato per esercitare il proprio potere nei confronti della
popolazione locale.
Figura 12. Il castello di Bargone.
Nel 1374, infatti, durante un sontuoso banchetto al castello, Francesco e Niccolò
Pallavicino tagliarono la testa allo zio Giacomo, pacifico signore di Bargone.
Eliminato lo zio, Francesco Pallavicino, irrispettoso del patto con il cugino Niccolò,
diventò unico padrone del castello. Ma non aveva fatto i conti con lo spirito tradito
dello zio Giacomo. Non a caso una mattina Francesco venne trovato dai servi sul
letto ormai senza vita con tanto di occhi sbarrati. Durante la notte gli era comparso
lo spettro dello zio Giacomo decapitato ed era morto per lo spavento. Ma l'anima
inquieta di Giacomo era sempre all'erta. Pochi anni dopo, infatti, anche Niccolò
Pallavicino e la moglie, che a loro volta si erano impadroniti del castello, vennero
trovati morti con gli occhi sbarrati. E nel 1600 passò ai Farnese. La rocca, le cui
origini si perdono nella notte dei tempi, è situata sulla sommità di un colle e riserva
non poche sorprese. Degni di nota sono la pusterla ai piedi dell'edificio,
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l'elegantissimo portico del cortile interno, il cui colonnato risale alla metà del 500, e
il poderoso mastio che si innesta sul nucleo fortificato.
Nonostante l'immagine rude e severa il castello vanta un aspetto di estrema
leggiadria nell'eclettica decorazione del salone dipinto da Girolamo Magnani, lo
scenografo di Verdi, tra il 1864 e il 1884, raffigurante piccoli cammei con vedute del
castello nelle varie ore del giorno e della notte e quattro paesaggi di grande effetto
a rappresentazione delle quattro stagioni, associando ambienti, personaggi e
animali di vari habitat.
Attualmente di proprietà privata, non è aperto al pubblico. Nei boschi dei dintorni si
ritirò a vita mistica il Beato Orlando, della Famiglia Medici, a cui è dedicata la
chiesetta sottostante ricostruita nel XVIII secolo.
Oggi l'edifico presenta caratteristiche settecentesche; al suo interno conserva una
statua lignea del Beato Orlando, stucchi e dipinti di opera barocca e un dipinto
cinquecentesco raffigurante la Vergine Maria.
Figura 13. Il castello di Bargone in un quadro di Ettore Ponzi.
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Castello di Scipione Il Castello di Scipione dei Marchesi Pallavicino è uno dei più antichi della regione,
vicino a Salsomaggiore Terme, nel piccolo e suggestivo borgo medioevale
denominato Scipione Castello.
Il Castello di Scipione è stato tra i primi della regione ad essere dichiarato
Monumento Nazionale nel 1922, per la sua valenza storico-artistica e
paesaggistica.
Figura 14. Una suggestiva immagine del castello di Scipione.
Le origini risalgono al 1025, quando il castello venne fondato da Alberto Pallavicino.
Costruito come fortezza militare, il castello rientrava nell’ampio sistema difensivo
approntato dai Pallavicino per la protezione e il controllo del proprio Stato che
abbracciava un vasto territorio compreso tra i Comuni e le Diocesi di Parma,
Cremona e Piacenza, dal Po all’Appennino
Nel 1267 il castello subì diversi attacchi dai piacentini e successivamente, negli
anni 1403 e 1407, dalle famiglie guelfe Rossi, Da Correggio e Terzi. Fu ricostruito e
trasformato nel 1447 dai fratelli Lodovico e Giovanni Pallavicino che lo adeguarono
alle nuove esigenze difensive. Risalgono a quel periodo il nuovo torrione cilindrico
e le mura “a scarpa”e le prigioni rimaste immutate fino ad oggi.
Nel Medioevo il castello ebbe una grande importanza anche per via della sua
posizione strategica a difesa dei numerosi pozzi per l’estrazione del sale e di cui i
Marchesi Pallavicino erano i maggiori produttori e i più potenti arbitri del mercato,
promuovendo lo sviluppo delle fabbriche e scavando nuovi pozzi intorno a
Salsomaggiore.
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Il Castello di Scipione rimase quasi sempre in mano alla famiglia Pallavicino tranne
che per un breve periodo dopo la prima guerra mondiale quando fu donato dalla
Marchesa Clelia Pallavicino all’Opera Nazionale Orfani di Guerra.
Il castello venne utilizzato in vari periodi dal 1940 alla fine della seconda guerra
mondiale come campo di concentramento: in un primo momento vi furono internati
cittadini stranieri nemici e prigionieri politici (in particolare sloveni e dalmati),
arrivando a contenere fino a 170 prigionieri, e dopo l'8 settembre 1943 divenne un
campo di smistamento prima della deportazione definitiva verso lager nazisti in
Germania ed Europa del nord.
Negli anni Settanta il Castello fu acquistato dal diplomatico danese Christian
Frederik per portarlo in dono alla moglie, Marchesa Maria Luisa Pallavicino, e farne
la loro residenza. Il Castello ritornò così al ramo primogenito della sua famiglia
fondatrice che annovera tra i suoi antenati diretti importanti personaggi come
Adalberto, grande condottiero, del quale ne cantano le lodi Ludovico Ariosto
nell’”Orlando Furioso” e Torquato Tasso nella “Gerusalemme Liberata”, Uberto
detto “Il Grande”, Vicario Imperiale della Lombardia e Signore di Milano, e Rolando
detto “Il Magnifico”, uomo del Rinascimento, autore delle “Statuta Pallavicinia”.
Nel corso del 2011 il Castello di Scipione è stato oggetto di importanti lavori di
restauro. I lavori hanno consentito di ampliare il percorso della visita guidata con
l’apertura di nuove sale.
Figura 15. Il castello di Scipione: veduta dall’alto.
21
Castello di Tabiano L'Antico Borgo di Tabiano Castello si colloca al centro del Nord Italia, a mezza via
fra Piacenza e Parma, sulle prime alture che si innalzano dalla pianura Padana, ai
piedi dell'Appennino Tosco Emiliano. Si può ipotizzare che la costruzione del
castello medioevale risalga all'XI secolo, utilizzando come base un antico
insediamento difensivo di origine romana e longobarda.
Figura 16. Il castello di Tabiano.
Il castello di Tabiano appare per la prima volta in documenti storici all’inizio del XII
secolo, nel quadro delle vicende di Oberto, il primo grande personaggio dei
Pallavicino. Nel 1143, Oberto divise tra i figli i suoi grandi possedimenti. Da questa
divisione nacque una sanguinosa contesa tra il figlio e il padre Oberto che
coinvolse i comuni di Parma e Piacenza. Il punto focale della guerra fu appunto il
castello di Tabiano. Dopo la morte di Oberto, nel 1148, il figlio ed i suoi alleati
cinsero ancora d’assedio il castello. Ma i soccorsi non si fecero attendere ed i
Piacentini, per impedire il ricongiungimento con gli assediati, li prevennero
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affrontandoli in campo aperto. Fu una battaglia sanguinosa, ma nonostante la dura
sconfitta, Guglielmo non si diede per vinto; per raggiungere il suo scopo favorì il
riaccendersi delle vecchie contese tra Cremonesi e Milanesi da una parte, fra
parmigiani e reggiani dall’altra parte. Il fratello Delfino, fu costretto a togliere le
guarnigioni dal castello di Tabiano. Purtroppo rimasto solo, Delfino, in un primo
momento resistette all’attacco dei piacentini, ma le difese del castello dovevano
essere di prim’ordine! Ma nell’anno successivo non riuscì a resistere ad un nuovo
attacco. Il castello di Tabiano subì il saccheggio, seguito dall’incendio e dalla quasi
completa distruzione. Dopo lunghe tenebre alla metà del XIV secolo, si aprì
finalmente uno squarcio di luce: con l’arrivo della nuova famiglia, il castello di
Tabiano cominciò ad avere una notevole importanza e consisteva attraverso una
valutazione delle sue terre, dei suoi numerosi vassalli e dei suoi affittuari.
Quest’oggi il castello di Tabiano appartiene alla Famiglia Corazza, che nel 2007 ha
voluto investire per fare di questo luogo abbandonato, una struttura oggi fruibile dai
clienti italiani e stranieri.
Figura 17. La scalinata d’ingresso.
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Castello di Contignaco La storia di Contignaco ha radici note a partire dal periodo medioevale. Le tracce
ancora oggi evidenti sono rappresentate dalla pieve romanica e dal castello.
Il castello di Contignaco fu fatto costruire intorno all’anno 1000 dai Pallavicino per il
controllo delle vie del sale e della relativa produzione nel territorio parmense.
Feudo dunque dei Pallavicino, nel 1316 fu conquistato dalla famiglia degli Aldighieri
di Parma, di parte Guelfa, per potere controllare le saline del territorio: nel 1447 si
sottomisero al Duca Sforza di Milano. Nel XVI secolo passò agli Sforza Pallavicino
ed in seguito fu incamerato dai Duchi Farnese.
L’edificio fu più volte ricostruito. Ha forma di quadrilatero con cortile interno e la
torre, a base quadrata, è collocata a metà del lato minore.
Restaurato di recente, conserva la torre e il mastio con mura massicce.
Al momento il castello è una residenza privata e non è aperto al pubblico.
Figura 18. Il castello di Contignaco.
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Castello di Pellegrino Parmense Il Castello è stato costruito in posizione dominante a difesa del borgo,
presumibilmente nel 981 da Adalberto di Baden, capostipite dei Pallavicino, che
godeva della protezione dell’imperatore Ottone II.
In seguito, fu per lungo tempo oggetto di disputa fra Parma e Piacenza, quindi fra
Guelfi e Ghibellini. Verso il 1200 Guglielmo Pallavicino, signore del Castello,
aggredì il convoglio del Cardinale di Capua che era stato incaricato di riappacificare
Parma Guelfa e Piacenza Ghibellina. Il Cardinale ebbe la pessima idea di passare
per la valle dello Stirone, così fu assalito dalle truppe del Pallavicino che, dopo aver
teso un agguato, depredò il convoglio e utilizzò il ricco bottino per abbellire e
rinnovare il Castello.
Figura 19. Il castello di Pellegrino parmense.
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La Rocca di origine altomedievale domina il paese e per secoli si rilevò
inespugnabile ai numerosi attacchi ai nemici.
Nel 1303, l’intero esercito parmigiano attaccò inutilmente il Castello di Pellegrino
lasciando morti e feriti. Nel 1307, Pellegrino e Bardi si ribellarono ad Alberto Scotti,
signore di Piacenza che immediatamente iniziò una campagna per espugnare il
Castello e domare la ribellione, ne uscì vittorioso contro Bardi, Castell’Arquato e
Borgotaro, ma clamorosamente sconfitto contro il maniero di Pellegrino.
Purtroppo la leggendaria resistenza della Rocca agli assalti ebbe termine nel 1428
quando si vide che anche la rocca di Pellegrino poteva essere espugnata.
Manfredo Pallavicino, signore del Castello, fu accerchiato dalle truppe di Niccolò
Piccinino, capitano di ventura perugino inviato dai Visconti, conosciuto come
abilissimo stratega.
Dopo la conquista, Manfredo venne imprigionato da Piccinino nelle segrete del
Castello e fu obbligato a confessare sotto orribili torture il reato di congiura contro il
Duca e in seguito venne strangolato.
Nel 1438, Niccolò Piccinino divenne conte del feudo di Pellegrino e fece allargare le
mura della Rocca, in modo da comprendere non solo il Castello, ma anche le case
nobiliari e la chiesa adiacente.
La seconda metà del quattrocento fu per Pellegrino un periodo storico
particolarmente significativo. L’abitato era chiamato a quel tempo anche “Mercato”
per i suoi ricchi mercati che non pagavano dazi né a Parma né a Piacenza e per il
ruolo di scambio che allora svolgeva fra la gente delle valli circostanti.
Sempre nello stesso periodo storico San Bernardino da Siena vi fondò un convento
(ora Ostello di San Francesco).
Successivamente, il castello passò agli Sforza e ai Fogliari, quindi ai Meli Lupi di
Soragna.
Nell’800, in seguito alla soppressione dei feudi, il Castello cambiò diversi
proprietari.
Nei primi del Novecento fu di proprietà di Cirillo Pettenati, che ne fece un’ottima
base d’appoggio per prestigiose battute di caccia di nobili parmigiani.
Prima della Seconda Guerra Mondiale, il Castello, che aveva perso tutti i suoi
arredi, fu utilizzato da un falegname e da un fabbro, mentre , durante l’ultima guerra
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i Tedeschi lo usarono come torre d’osservazione e come base d’appoggio per le
truppe.
In seguito, il castello passò in mano all’Ing. Carlo Raggio di Pontenure,
successivamente al Cav. Bottego e poi ai suoi signori Tomelleri di Verona che
intrapresero un accurato e attento restauro.
Con l’ultimo passaggio di proprietà, avvenuto nei primi anni novanta, il castello
imbocca la strada per ritornare agli antichi splendori.
Ad innamorarsene e a renderlo privato è la famiglia dell’imprenditore parmigiano
Camillo Catelli che ha restaurato la torre e la cappella e ha arredato alcune sale del
castello con mobili d’antiquariato.
Figura 20. Vista da un lato del castello.
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Castello di Varano de Melegari Situato a circa 30 km da Parma, all'imbocco della vallata del Ceno, il castello
Pallavicino di Varano de' Melegari costituisce uno degli esempi più avanzati
dell’architettura militare quattrocentesca.
Venne eretto nel 1208 sull’impianto di un preesistente fortilizio dell' XI secolo e su
di un castrum romano; l’assetto attuale prevede la caratteristica pianta quadrata
dall’ampio cortile interno, il camminamento di ronda ed una particolarissima
dislocazione delle quattro torri.
Il castello nella sua forma attuale è il risultato di aggiunte successive effettuate
attorno a quella che ne è la struttura originaria, cioè il mastio o dongione, un
torrione angolare impostato su un’alta base scarpata, situato a nord, con
piombatoie a strapiombo e merlatura ghibellina (oggi non più visibile), che serviva
da difesa laterale alla cinta muraria che racchiude il cortile. Il dongione di Varano in
un primo tempo era collegato al resto della struttura da un ponte levatoio, e
circondato da un fossato naturale ricavato dalle acque del vicino rio Boccolo. Solo
in un secondo momento il mastio è stato assemblato al resto dell’edificio, come è
possibile vedere dal muro del cortile interno. Al piano terra c’era la prigione
comunicante, tramite una scala, con la sala tribunale dove avvenivano i processi e
sentenze. Al secondo piano invece si trovava la camera del castellano e sopra
ancora la stanza dei servi che serviva anche da granaio. L’intera struttura era
collegata al castello attraverso un ponte levatoio che, una volta alzato, lo isolava
completamente. Il mastio era posizionato sullo spigolo nord verso la strada, ed
attualmente costituisce l’ingresso del castello, tramite un piccolo giardino. Il resto
del castello fu costruito nel XV secolo e deve la sua forma attuale ai lavori realizzati
nel ‘400. Nel 1452 Rolando il Magnifico riconquista il feudo e il castello ritorna nelle
mani dei Pallavicino, che gli faranno assumere il suo particolare assetto, che lo
rende un unicum nel suo genere: il castello è dotato di 4 torri non angolari: di cui 3
allineate nella facciata di sud-ovest, che guarda verso il Ceno e lo stretto borgo, e 1
il mastio, nello spigolo del lato nord. Questo castello offre la possibilità di vedere le
ingegnosità dell’uomo in campo militare, soprattutto di difesa. Infatti la presenza di
una torre di troppo sul fronte può essere motivata con l’esigenza di proteggere
l’ingresso, posto proprio nella torre centrale (ma non in facciata bensì su un fianco),
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defilato sul lato sinistro, così da rendere impossibile l’utilizzo di arieti o altre
macchine di sfondamento (soluzione insolita, ma tatticamente efficace).
Attualmente il castello è aperto alle visite guidate con una durata complessiva di
cinquanta minuti. Inoltre offre servizi come visite guidate in lingue straniere e offre
ambienti adatti ai matrimoni, set fotografici o convention. A gestire le attività del
castello è la Cooperativa Diaspro Rosso. Visitare questo castello è un opportunità
da non perdere.
Figura 20. Il castello di Varano de Melegari.
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Castello di Golaso Il luogo di Golaso era già abitato nel 879 d.c., ma precise notizie architettoniche e
storiche sulla costruzione del castello sono inesistenti. Costruito in diverse riprese,
il castello di Golaso ha perso quel carattere di maniero che aveva in tempi remoti
per assumere quello di una fastosa dimora gentilizia del tardo rinascimento.
Il complesso fortificato copre circa 5000 mq., ed è costituito da una lunga facciata
con tre torri; due solide torrette angolari tonde alla base e poligonali alla sommità,
dove le feritoie sono più ampie rispetto a quelle ricavate nella parte cilindrica, ed
una quadrata che sovrasta il portale d’accesso. Oltre alle già citate tre torri vanno
ricordati i due cortili interni. Il primo cortile, di forma quadrata, è cinto da ovest da
una costruzione che contiene la cappella, e ad est da un altro corpo di fabbrica in
cui si trova il pozzo. Di fronte, sul lato nord, è costruito il massiccio edificio detto il
“Palazzo” attraversato, all’estremità orientale, da un androne che immette nel
secondo cortile. In un disegno ottocentesco, conservato presso la Biblioteca
Palatina di Parma, è ancora ben visibile una delle due torrette quadrate (ormai
completamente crollata), costruite agli angoli della cortina muraria che lo chiude da
tre lati. Per le sue caratteristiche strutturali questa “casa forte” si può porre a metà
strada tra l’opera di difesa e la fattoria. Detto luogo fu proprietà dei Conti Rugarli e
poi della famiglia Corsini attuali proprietari.
Figura 21. Il castello di Golaso.
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Castello di Castelcorniglio (Solignano)
“Corniliolum “è una località già citata in documenti risalenti al 1226 come feudo del
Comune di Parma.
Pochi anni dopo lo si ritrova nell'elenco dei possedimenti di Manfredo Pallavicino e
dal 1430 in quelli di Niccolò Piccinino, ma per secoli le carte tacciono il nome di
questo avamposto fortilizio arroccato in posizione splendida fra Taro, Pessola e
Ceno su un rilievo a 418 metri di altitudine e destinato certamente a sbarrare
l'accesso dei piacentini ai feudi solignanesi.
Di certo appartenne ai Rugarli e, a metà dell'Ottocento, passò a Filippo Zanetti, agli
Zanchi e ai Buratti.
Figura 22. Il castello di Castelcorniglio.
Oggi appare ben restaurato nel suo aspetto cinque-seicentesco, con ampi
interventi ottocenteschi.
Stante la conformazione accidentata e irregolare del terreno, la struttura del
castello si presenta varia e distribuita su più livelli: cortine murarie in sasso di fiume
e arenaria che collegano due torrioni cilindrici con lunghe merlature ghibelline,
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chiudono due cortili, quello settentrionale il quale contiene una torre merlata a
pianta quadrangolare con bifore e, nel piano superiore, feritoie.
Un terzo cortile è coltivato ad orto. Ampi i rifacimenti ottocenteschi: l'ingresso
stesso al castello, sul lato sud, è inserito in un portale del XIX secolo. Le rimanenti
cortine seguono l'andamento dell'altimetria, rendendo l'impatto visivo dell'edificio
variegato e spettacolare, considerevolmente esaltato dalle torri di vedetta, dalle fitte
merlature e dall'uso della pietra naturale. All'interno del cortile settentrionale si trova
un pozzo detto "dai mille tagli" e dappertutto lapidi con iscrizioni scritturali tradotte
in latino incastonate in vari punti delle murature.
All’interno si trova un archivio che custodisce documenti attestanti l’aiuto dato ai
“legittimisti” durante la Rivoluzione Francese, una collezione di soldatini napoleonici
e una ricca biblioteca di famiglia degli Zanetti.
Vicino al castello si trova il lago Cuccarello con un imbarcadero. Il lago era la meta
di gite nei primi anni del ‘900 e fino al 1950 ha svolto la funzione di bacino di
raccolta delle acque per uso irriguo.
Attualmente il castello è di proprietà privata, e ospita un agriturismo. Figura 22. Il castello di Castelcorniglio: veduta laterale.
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Castello di Bardi Il castello di Bardi, detto anche castello dei Landi, è un'imponente fortificazione che
sorge su uno "scoglio" di diaspro rosso nell'omonimo paese in provincia di Parma.
Posto al centro della valle del Ceno, l'edificio sovrasta il punto in cui il torrente
Noveglia confluisce proprio nel Ceno. Anche se oggi la posizione geografica del
paesino sembra defilata e fuori dalle rotte commerciali e turistiche, nel medioevo,
quando differenti erano i percorsi e le necessità di controllo del territorio, si trattava
di un'importante tappa sul percorso della via degli Abati. Inoltre, non lontano
transitavano i pellegrini della via Francigena.
Figura 23. Una suggestiva immagine del castello di Bardi.
Il nome "Bardi" deriva da Longobardi. L'esistenza di un fortilizio risale al regno di
Berengario. Nell'898 l'edificio venne venduto al vescovo di Piacenza Everardo, che
ne fece un sicuro rifugio in caso di aggressione da parte degli Ungari, che in quei
tempi razziavano la pianura Padana.
Fino al XII secolo il castello fu governato da una consorteria di nobili locali,
conosciuti come conti di Bardi finché, nel 1257, fu acquistato, con il vicino castello
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di Compiano, dal ghibellino Umbertino Landi di Piacenza, che ne fece la capitale
dei domini della sua famiglia. Ai piedi delle sue possenti mura si svolsero molte
battaglie contro i guelfi, sconfitti tra l'altro nel 1313. Nel corso del XV secolo i Landi
modificarono la rocca, adeguandola alle nuove esigenze difensive e conferendole
l'aspetto attuale.
Nel 1551 Carlo V d'Asburgo nominò i Landi marchesi e concesse loro il privilegio di
battere moneta. Sul finire del XVI secolo, per volere di Federico Landi il castello
diventò una residenza principesca dotata di pinacoteca, archivio di famiglia,
biblioteca ed esposizione di armi. Nel 1682, con l'estinzione dei Landi, cominciò la
decadenza del castello: il feudo passò ai loro storici rivali, i Farnese, e
successivamente ai Borbone. La struttura, nel corso del XIX secolo, continuò a
decadere e fu adibita a prigione militare, sede della pretura e del comune.
Figura 24. Il castello di Bardi.
Nel 1862 diventa carcere militare, poi nel 1868 viene ceduto all'amministrazione
comunale. Nel Novecento il castello è sede del Municipio e al suo interno, poco
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meno di trent'anni fa, su iniziativa del Centro Studi della Val Ceno, è stato allestito il
museo della Civiltà Valligiana. Visitando la dimora dei signori, si riscopre dunque
anche la vita quotidiana della popolazione che per secoli ha vissuto ai margini del
castello e delle vicende storiche che lo hanno visto protagonista.
Il castello si presenta oggi come un'architettura complessa, che unisce all'impianto
generale quattrocentesco, elementi cinquecenteschi e secenteschi che si
intersecano, denunciando ciascuno la propria epoca.
I beccatelli trilobati quattrocenteschi ad esempio, visibili in più tratti lungo il muro di
cinta, scompaiono dentro i muri costruiti nei secoli successivi, quasi a cancellare le
precedenti strutture.
La parte più antica, la cui collocazione non è in asse rispetto al vicino cortile
d'onore, sembra essere il Mastio. Con la sua funzione di ultimo baluardo contro
possibili attacchi, è datato intorno alla metà del XIII secolo.
Il castello si sviluppa su diversi livelli, definiti principalmente dai due cortili interni: la
'piazza d'arme' e il più alto 'cortile d'onore', che delimita la zona residenziale creata
da Federico II Landi tra fine Cinquecento e inizio Seicento. Ad essi si accede
attraverso una lunga rampa che sale dal nucleo più antico del paese alla cima della
roccia. Un primo rivellino, consente l'accesso a questa rampa di acciottolato,
probabilmente di origine ottocentesca, nata per agevolare la salita delle carrozze, a
fianco della quale corre sulla destra un muro isolato che delimitava la strada
coperta, raffigurata in una incisione del 1604; sulla sinistra, dentro ai bastioni sono
collocati i più antichi cammini di ronda.
La rampa prosegue formando un angolo e quindi una volta a botte, realizzati tra il
XVII e il XVIII secolo; poco oltre si trova una piazzola che domina la valle. Si giunge
infine all'ingresso che dà accesso alla cittadella vera e propria; restaurato a inizio
Settecento, mostra i solchi del vecchio ponte levatoio, sotto al quale è stato trovato
di recente un ingresso più antico. Passando l'ampio androne, nella retrofacciata si
notano alcune finestre in arenaria, del Cinquecento, ora chiuse, facenti parte dei
locali del corpo di guardia.
La rampa sale, compie una svolta ad U, in prossimità della quale vi sono due
ambienti denominati 'la ghiacciaia', costituiti da due cisterne, che in una mappa del
XVII secolo risultavano "da fabricarsi".
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Castello di Compiano Il Castello di Compiano si trova su un colle che domina il Taro ed i collegamenti tra
l"Emilia, la Toscana e la Liguria: risale intorno all'anno Mille.
La roccaforte appartenuta alla signoria dei Landi per quattro secoli, fino al 1682, in
seguito ai duchi Farnese.
Il castello è stato a più riprese ampliato e, come l'attuale ultimo piano merlato,
restaurato.
Figura 25. Il castello di Compiano.
Si presenta come una struttura massiccia la pianta è a pentagono irregolare, chiusa
da tre torri rotonde di costruzione più recente rispetto alla torre quadrata di fattura
più antica.
Il castello fu trasformato in residenza privata dopo l'unità d'Italia dalla Marchesa
Lina Raimondi Gambarotta, che rese erede, alla sua morte, il Comune di
Compiano. Ospita la Collezione "Gambarotta" con oggetti d'arte, arredi e dipinti che
risalgono al seicento-settecento e la singolare mostra permanente "Orizzonti
massonici".
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Il castello nei vari secoli è appartenuto a potenti famiglie nobiliari, è divenuto una
prigione, un collegio femminile fino a sfarzosa residenza in stile dannunziano.
Il castello di Compiano è di certo uno dei più scenografici della provincia, nella
splendida cornice del piccolo borgo dall’incorrotta impronta medievale,
recentemente "incoronato" come uno dei più belli d'Italia.
Sfrutta la sua posizione "strategica", in un punto nevralgico della vallata, che
domina il corso del fiume Taro e vari passi che collegano in breve tempo l'Emilia
con Toscana e Liguria, e che anche per questo è divenuto nella storia una
postazione molto contesa. Presenta una massiccia struttura poligonale, con i
classici beccatelli trilobati in pietra, unici resti dell'antico camminamento a sporto.
Caratteristica importante, inoltre, sono i tre semitorrioni collocati ai lati della
struttura, e non agli angoli.
La storia di questo castello, che sarebbe meglio definibile come una rocca per
l'adattamento della costruzione alla conformazione del territorio, di certo è stata
molto travagliata, e le varie successioni di proprietari, che si sono protratte fino alla
fine del secolo scorso, hanno pesantemente influito sul castello, in particolar modo
al suo interno.
Realizzato presumibilmente dai Malaspina, se ne trova traccia documentata a
partire dalla seconda metà del XI secolo. E’ stato però il dominio della famiglia
Landi, perdurato per ben 425 anni, a lasciare evidentemente le tracce più visibili,
nella storia e nella struttura del castello e di tutto il borgo di Compiano.
Un’importante iscrizione sulla porta che ora conduce alla biblioteca del primo piano
ricorda il matrimonio fra Augusto e Giulia Landi, nel 1550, che segnò l’unione
formale dei due principali rami della famiglia Landi, ovvero i signori di Compiano e
quelli di Bardi, diventando così governatori incontrastati di gran parte della
montagna parmense.
Purtroppo, però, una volta terminata questa sorta di “età dell’oro”, il castello iniziò a
passare di mano in mano in un alternarsi di dominazioni, a cominciare dalla
famiglia Farnese, ai Borbone fino a Maria Luigia d’Austria, che realizzò nel castello
una prigione in cui rinchiuse i ribelli carbonari. E poi ancora, nel 1900, divenne un
collegio femminile per poi tornare, come già detto, ad abitazione privata con la
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Marchesa Lina Raimondi Gambarotta, che nel castello visse fino alla sua morte,
avvenuta nel 1983, lasciando poi in eredità il castello al Comune di Compiano.
I numerosi interventi avvenuti nel corso dei secoli all’interno del castello, hanno
fatto sì che si snaturasse in parte la sua impronta medievale, ma l'hanno colmato di
tracce storiche e beni artistici di grande valore. Di certo la marchesa Gambarotta,
meritevole di aver riportato in vita la struttura da tempo trascurata, è colei che ha
arricchito il maniero non solo come sua residenza, ma più specificatamente come
museo. Donna di grandissima cultura, arredò due piani del castello con
un’atmosfera palesemente dannunziana, che ricorda il famoso Vittoriale. All’interno
del palazzo si trovano svariate sale, dalla ricca biblioteca, alla sala della musica, al
grande salone di rappresentanza, alla piccola cappella in cui la marchesa
Gambarotta è tuttora sepolta.
In una parte rimasta vuota del secondo piano, è stato realizzato qualche anno fa il
museo della Massoneria, il primo e per ora unico in Italia.
Il terzo e ultimo piano del castello, a ridosso degli antichi camminamenti, ospita da
qualche anno una stupenda foresteria ed un grande salone a capriate che funge da
sala convegni e salone da pranzo per matrimoni ed eventi, cosicché Compiano può
ben annoverarsi fra i modelli di gestione dei beni culturali di questo genere, capace
di comprendere sia aspetti storici-culturali, che turistici e di elegante ospitalità.
Figura 26. Il castello di Compiano visto dall’alto.