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1 I BALLETTI E LE AVANGUARDIE Titti Di Stefano Nell’evoluzione teatrale del XX secolo si ravvisa una costante ricerca di nuovi modelli e- spressivi, che procede in sintonia con i mutamenti dell’arte e con i rapporti tra artista e so- cietà. Questo rinnovamento ha origine dal simbolismo e si intensifica con la portata rivolu- zionaria delle avanguardie storiche. Si recupera il concetto di “opera d’arte totale” (Ge- samtkunstwerk); l’espressione è stata coniata attorno al 1849 da Richard Wagner, ma l’origine dell’opera d’arte totale si colloca in realtà in epoche antiche e primordiali, in un passato dove non esistevano arti individualizzate). La suddivisione delle arti è fondamen- talmente un’esigenza accademica, perché le arti di fatto si sono sempre connesse e co m- pletate tra loro. Wagner influisce sullo sviluppo del clima simbolista con l'idea che il teatro debba utilizzare criteri analogici per evocare significati simbolici e spirituali. Per parlare del periodo a cavallo tra il XIX e XX secolo si tende a ricorrere a due espressioni entrambe francesi :“fin de siècle” e "belle époque". La fine del XIX secolo è percepita come il crollo di una civiltà e allo stesso tempo come l’inizio di una nuova epoca : la Belle Époque (periodo compreso tra l’ultimo decennio dell’Ottocento e lo scoppio della Prima guerra mondiale). Nel 1900 Parigi celebra il nuovo secolo con un’imponente "Exposition Universelle". La Francia conferma la sua vocazione di laboratorio ideale per i nuovi ritrovati della tecnologia e per tutte le espressioni dell'in- gegno umano. Dieci anni dopo l'inaugurazione della Torre Eiffel, per la nuova esposizione si realizzano opere che trasformano l'assetto urbano: le stazioni ferroviarie Gare de Lyon e Gare d'Orsay (oggi sede del Museo d'Orsay), i due padiglioni espositivi Grand Palais e Petit Palais e la nuova metropolitana, che taglia la città da est ad ovest. Nei primi decenni del XX secolo Parigi è senz’altro la capitale dell’occidente; è una città a utenticamente liberale, con una tradizionale indipendenza intellettuale e diventa il centro delle avanguardie artistiche. Lo storicismo, che ha caratterizzato il XIX secolo, è visto come un tentativo della borghesia di assicurarsi una cultura che non ha e gli artisti lo contestano con atteggiamenti che scandalizzano il moralismo borghese. Si supera il criterio di valore gerarchico tra "arti maggiori" e “arti minori” e privando di significato la divisione qualitativa tra arte e non-arte si mettono in discussione sia il concetto d'arte che il ruolo dell'artista nella società. Si at- tua l’istanza del modernismo della contaminazione dei generi creativi. Le avanguardie ri- sultano spesso fortemente legate alla scienza, alla tecnologia e alle ideologie politiche, le- game che si riversa nella creazione dei loro nuovi linguaggi provocando un forte contrasto con la tradizione e la cultura ufficiale. Abbandonata la rappresentazione naturalistica, il cui linguaggio si basa fondamentalmente sulle regole della visione umana, l’artista è costretto ad inventarne altri la cui lettura diventa spesso difficile e solo con un approccio qualificato è possibile comprendere il significato dell'opera d'arte. A Parigi, prima e dopo la guerra, la danza occupa un ruolo che non aveva dai tempi di Lui- gi XIV (1643- 1715). Nell’ottocento, con il romanticismo e l’invenzione delle scarpe da pun-

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I BALLETTI E LE AVANGUARDIE Titti Di Stefano Nell’evoluzione teatrale del XX secolo si ravvisa una costante ricerca di nuovi modelli e-spressivi, che procede in sintonia con i mutamenti dell’arte e con i rapporti tra artista e so-cietà. Questo rinnovamento ha origine dal simbolismo e si intensifica con la portata rivolu-zionaria delle avanguardie storiche. Si recupera il concetto di “opera d’arte totale” (Ge-samtkunstwerk); l’espressione è stata coniata attorno al 1849 da Richard Wagner, ma l’origine dell’opera d’arte totale si colloca in realtà in epoche antiche e primordiali, in un passato dove non esistevano arti individualizzate). La suddivisione delle arti è fondamen-talmente un’esigenza accademica, perché le arti di fatto si sono sempre connesse e com-pletate tra loro. Wagner influisce sullo sviluppo del clima simbolista con l'idea che il teatro debba utilizzare criteri analogici per evocare significati simbolici e spirituali. Per parlare del periodo a cavallo tra il XIX e XX secolo si tende a ricorrere a due espressioni entrambe francesi :“fin de siècle” e "belle époque". La fine del XIX secolo è percepita come il crollo di una civiltà e allo stesso tempo come l’inizio di una nuova epoca: la Belle Époque (periodo compreso tra l’ultimo decennio dell’Ottocento e lo scoppio della Prima guerra mondiale). Nel 1900 Parigi celebra il nuovo secolo con un’imponente "Exposition Universelle". La Francia conferma la sua vocazione di laboratorio ideale per i nuovi ritrovati della tecnologia e per tutte le espressioni dell'in-gegno umano. Dieci anni dopo l'inaugurazione della Torre Eiffel, per la nuova esposizione si realizzano opere che trasformano l'assetto urbano: le stazioni ferroviarie Gare de Lyon e Gare d'Orsay (oggi sede del Museo d'Orsay), i due padiglioni espositivi Grand Palais e Petit Palais e la nuova metropolitana, che taglia la città da est ad ovest. Nei primi decenni del XX secolo Parigi è senz’altro la capitale dell’occidente; è una città autenticamente liberale, con una tradizionale indipendenza intellettuale e diventa il centro delle avanguardie artistiche. Lo storicismo, che ha caratterizzato il XIX secolo, è visto come un tentativo della borghesia di assicurarsi una cultura che non ha e gli artisti lo contestano con atteggiamenti che scandalizzano il moralismo borghese. Si supera il criterio di valore gerarchico tra "arti maggiori" e “arti minori” e privando di significato la divisione qualitativa tra arte e non-arte si mettono in discussione sia il concetto d'arte che il ruolo dell'artista nella società. Si at-tua l’istanza del modernismo della contaminazione dei generi creativi. Le avanguardie ri-sultano spesso fortemente legate alla scienza, alla tecnologia e alle ideologie politiche, le-game che si riversa nella creazione dei loro nuovi linguaggi provocando un forte contrasto con la tradizione e la cultura ufficiale. Abbandonata la rappresentazione naturalistica, il cui linguaggio si basa fondamentalmente sulle regole della visione umana, l’artista è costretto ad inventarne altri la cui lettura diventa spesso difficile e solo con un approccio qualificato è possibile comprendere il significato dell'opera d'arte. A Parigi, prima e dopo la guerra, la danza occupa un ruolo che non aveva dai tempi di Lui-gi XIV (1643- 1715). Nell’ottocento, con il romanticismo e l’invenzione delle scarpe da pun-

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ta, la danza femminile fa passare in secondo piano la figura maschile; le ragazze povere con la sua pratica riescono a procurarsi di che vivere. THÈOPHILE GAUTIER nel 1856 scrive “Le rat” e racconta il clima di degrado fisico e morale a cui sono spesso destinate queste piccole ninfe. Nel 1875 si inaugura il teatro dell’Opera. DEGAS, titolare di un abbonamento annuale che dà possibilità di accesso anche dietro le quinte, viene autorizzato ad assistere alle lezioni e alle prove. Decine di disegni attestano l’accuratezza con cui studia pose, gesti e movimenti da tutte le angolazioni. Con l’osservazione fotografica riesce a studiare e a sorprendere quelle smorfie che fanno emergere la condizione sociale e la fatica. Nel 1881, alla quinta mostra impressionista, presenta la Ballerina di 14 anni, colorata con tonalità naturali, pet-tinata con capelli autentici, vestita con un tutù e con delle vere e proprie scarpette è la te-stimonianza di un iperrealismo e di un verismo spinti fino all'estremo. Esposta in una vetri-na come un esemplare da museo, questa scultura mostra un Degas quasi antropologo o naturalista. I critici non si lasciarono trarre in inganno: l'opera fu violentemente accusata per il modo bestiale in cui veniva presentata la ragazzina, che venne paragonata ad una scimmia o a un azteco e sul cui viso "tutti i vizi imprimevano le loro detestabili promesse, segno di un'indole particolarmente dissoluta". Gautier e Degas, tutto sommato, ci mostra-no ancora la danza come “sacrificio”. Lo straordinario sviluppo della vita in città coinvolge il mondo dello spettacolo, si scoprono e si inventano nuove danze e i luoghi delle esibizioni si moltiplicano, negli anni tra il 1880 e il 1890 s’inaugurano numerosi locali tra cui il MOULIN ROUGE. La ballerina LOÏE FULLER, scritturata dal 1892 alle Folies-Bergère, riscuote un enorme suc-cesso ed è immediatamente ricercata e ritratta dagli artisti dell'epoca, tra i quali Henri de Toulouse-Lautrec, Rodin, Matisse, Severini ed altri (Manet non era l’unico a frequentare le Folies-Bergère!). Loïe Fuller non si definisce danzatrice, poiché non ha studiato danza, ma ritiene fondamentale il movimento del corpo per l'espressione teatrale. Il movimento re-pentino e veloce, oltre che l'arte dell' improvvisazione, sono le sue caratteristiche. Loïe Ful-ler denomina le sue danze Creazione fisica di una presenza obiettiva. Memore delle no-zioni di illuminotecnica ricevute indirettamente dalla frequentazione dei palcoscenici dei più svariati generi teatrali, la Fuller si rende conto che il dinamismo è prodotto non solo dal movimento del corpo, ma dall'abbinamento con luce, colore e suono. Nascono così "A so-lo", coreografie di forte impatto visivo, dove la danzatrice si libera dei costumi classici del balletto a favore di lunghe tuniche e veli in seta colorata, che con due bastoni fa volteggia-re intorno al suo corpo producendo effetti innovativi. Grazie all’azione combinata della lu-ce con il movimento vorticoso dei panneggi, il corpo perde la sua riconoscibilità ed il suo spessore fisico, trasformandosi in una labile ed incandescente immagine che evoca di volta in volta l’immagine di una farfalla, un’orchidea, una fiamma. Con i suoi spettacoli la Fuller crea uno spazio fuori dal reale, proiettato nell’immaginazione e nel sogno. Non stupisce quindi il consenso entusiasta riscosso tra i simbolisti, primo fra tutti Mallarmé che, affasci-nato dalle sue creazioni, supera la sua ostilità nei confronti della danza. E’ lei stessa a crea-re le luci dei suoi spettacoli. Fonti luminose e specchi, disposti in varie zone della scena,

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tra le quinte e sul pavimento, moltiplicano i centri di irradiazione dei raggi di colore che si intersecano e si sovrappongono dinamicamente. Celebre la sua danza serpentina, rappre-sentata da Toulouse Lautrec, Severini, Rodin, Matisse e altri. Loïe Fuller si esibisce anche durante l’"Exposition Universelle" del 1900. Muore di cancro quasi certamente per le forti dosi da radiazioni ionizzanti dovute all'utilizzo dei veli al radium, che rendevano fluore-scenti gli spettacoli parigini. Da questo momento la danza entra a far parte della creazione artistica moderna. Il clima culturale di Parigi nei primi decenni del ’900 è strettamente legato alla cultura rus-sa per la qualità dei suoi artisti soprattutto ballerini, scenografi, coreografi e musicisti. Nel seicento in Russia non ci sono scuole di pittura e scultura né teatri professionali di bal-letto e l’architettura in pietra è quasi inesistente. In un secolo la Russia si dota di tutto ciò. Alcuni nostri artisti vanno ad insegnare pittura prospettica alla Accademia della scienza di San Pietroburgo. Giacomo Quarenghi, attivo come architetto e scenografo per Caterina la Grande, costruisce il teatro dell’Ermitage e Pietro Gonzaga assume nel 1792 l’incarico di scenografo ufficiale dei teatri imperiali. Nel XX secolo si percepisce ancora l’influenza del barocco italiano. Il periodo che va dal 1900 al 1930 rappresenta per gli artisti uno dei più entusiasmanti e in-ventivi. Gli artisti dell'avanguardia russa oppongono all'occidente 'civilizzato, che è stato d'esempio per oltre due secoli la 'Cultura' orientale russa. Esibiscono la storia del popolo con i pro-dotti della tradizione nazionale. Sostengono , che a differenza dei francesi che devono cercare l’arte primitiva in altri continenti, le origini della loro cultura sono orientali e slave. Nel 1906 arriva a Parigi un impresario russo di sicuro talento: SERGEJ DJAGHILEV (1872-1929) DJAGHILEV appartiene alla piccola nobiltà russa; con alcuni amici pittori tra cui ALEXANDER BENOIS e LEON BAKST, fonda la rivista MIR ISKUSSTVA (Il mondo dell’arte), edita tra il 1896 e il 1905. Sulla rivista viene analizzato il tema della Decadenza con le sue due polari-tà, quella della solitudine e quella del desiderio di fuga e di esotico. DJAGHILEV sostiene le idee progressiste dell’arte e si trova in accordo con l’Avanguardia russa entrata in contatto con quella francese. Lavora come assistente del principe Volkonsky, direttore dei Teatri Imperiali di San Pietroburgo, che gli affida l’edizione dell’annuario del 1900, ma viene de-stituito da quest’incarico perché l’opera, bella e originale, viene considerata lussuriosa. Nel 1905 organizza una mostra di opere degli ultimi due secoli dell’arte russa. Nel 1906 la-scia San Pietroburgo e arriva a Parigi (anno della morte e forse della scoperta di Cézanne) dove esporta parte della mostra al Salon d’Automne e nel 1907 , per far conoscere mag-giormente la cultura russa, programma una serie di concerti. Nel 1909 organizza una sorta di festival di balletti russi, che sono accolti dal pubblico parigino con grande entusiasmo: nasce così una delle più sorprendenti imprese culturali del 20 ° secolo. I Balletti Russi rea-lizzano l’ideale inseguito dal movimento simbolista: danza, musica e colori evocano sensa-zioni simultaneamente. In principio l’intento è quello di propagandare l’arte russa serven-dosi di artisti russi, quasi tutti quelli di Mir Iskusstva. Dal 1911 la Compagnia non dipende

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più dai Teatri Imperiali e nascono i BALLETS RUSSES DE DIAGHILEV. Nel 1912 avviene l’incontro con Cocteau (1889-1963 poeta, saggista, drammaturgo, sceneggiatore, disegna-tore, scrittore, librettista, regista) e i Ballets cominciano a perdere parte della connotazio-ne nazionalista per integrarsi con le ricerche delle avanguardie, ma il vero punto di unione tra COCTEAU e DIAGHILEV è la concezione mondana del balletto. Cocteau sostiene che prima del 1912 per gli artisti di Montmartre e Montparnasse dipingere una scenografia era considerato un tradimento, soprattutto se destinata ai Balletti Russi. Ma nel dopoguer-ra, quando la ricerca diventa un lusso, Picasso è il primo a capire che sfruttare la Compa-gnia come via per la notorietà è un’opportunità. Inoltre gli artisti comprendono che il te-atro, principalmente la danza, apre possibilità creative che nessun campo artistico offre, perché nessuno è così polivalente come quello scenico. Molti artisti francesi non possono aderire alle offerte di Djaghilev per veto dei loro mercanti. LE SACRE DU PRINTEMPS La sagra della primavera (titolo originale Le Sacre du printemps) rappresentato per la prima volta a Parigi il 29 maggio 1913 al Théâtre des Champs-Elysées dai Balletti russi di Sergej Djaghilev, su musica di Igor' Stravinsky, con scenografie di Nikolaj Konstantinovič Roerich e coreografia di Vaclav Nijinsky è un balletto diventato icona della cultura europe-a. La traduzione di "sagra" per "sacre" non è fedele all'originale, perché il significato del ter-mine francese è "rituale": una traduzione basata solo sul significato dovrebbe restituire "Il rituale della primavera". Il balletto inscena un rito sacrificale pagano nella Russia antica all'inizio della primavera. Un' adolescente viene scelta per ballare fino alla morte con lo scopo di propiziare la benevolenza degli dei in vista della nuova stagione. Risalendo oltre la civiltà dell'uomo moderno e distruggendo l'ordine delle forme tradizionali, Stravinskij in-tende ricreare un mondo barbarico e primitivo in un clima di rituale pagano, che sfocia in una rissa demoniaca. I continui e imprevedibili spostamenti “tempo-spazio” e i livelli mul-tipli di suono, si possono associare alla sperimentazione cubista. La scenografia del vulcani-co balletto di Stravinsky è affidata a Nikolai Roerich, uno specialista nella rievocazione del paganesimo, che sviluppa il tema del balletto, basato sul primitivismo arcaico-orientale, unendo al repertorio iconografico dell’arte popolare russa elementi della ricerca delle a-vanguardie post-impressioniste (Nabis e Art Nouveau): disegno stilizzato e bidimensionali-tà delle superfici. La storia del rituale della vittima è un’invenzione del pittore e scenografo Roerich, che insieme a Stravinskij per la stesura del libretto ha attinto a un motivo ricorren-te nella letteratura e nell’arte della fine del XIX secolo. La vittima femminile della danza si trova già nel balletto romantico, ad esempio in «Giselle» di Théophile Gautiers del 1841 La prova generale, a cui assistono come sempre numerosi artisti, pittori, musicisti, uomini di lettere e in genere personaggi rappresentativi della cultura, si svolge nella calma e nien-te fa prevedere il clamore della prima. Jaques Rivière, redattore, capo della Nouvelle revue française, entusiasta del balletto, intuisce subito che è destinato a sancire il passaggio di un’epoca.

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Dopo la prima si accusa di “Crimine contro la grazia di Nijinsky” e di “ Massacre du prin-temps” Il filosofo Theodor W. Adorno critica fortemente il culto del primitivo, secondo lui il «Sa-cre» del 1913 fa risuonare «la guerra imminente» nel suo «desolato splendore». Il «Sacre» gioca con l’ambivalenza del tempo a cavallo tra il primitivismo e il modernismo, tra l’arcaico e l’avanguardia. Definire il «Sacre» come un’opera d’arte primitiva significa non riconoscere i molti elementi della coreografia legati all’estetica moderna. Sul palco Ni-jinskij lavora con la stessa astrazione geometrica degli schermi compositivi degli avanguar-disti russi. Nijinskij non è solo coreografo, ma anche pittore e scultore, crea una sorta di opera globale attraverso il corpo dei suoi ensemble di danza – un’idea estremamente mo-derna per l’epoca. Le Sacre du Printemps è anche un punto d’approdo del generale interesse per il popolare e l’arcaico. Il richiamo ai riti pagani di una Russia arcaica rimanda alla generale prospettiva dell’arte del primo Novecento, definita con il termine ‘Primitivismo’, che non significa ne-gazione della modernità, ma stimolo alla rifondazione dei linguaggi che nulla ha a che fare con un interesse di tipo folklorico. Primitivo significa per gli artisti dell’epoca trasgressione, libertà e spontaneità primordiale, natura contrapposta alla cultura artificiosa e pesante. Le Sacre du printemps può dunque essere letta come consacrazione del risveglio della forza e dell’energia della Natura, della fertilità, della sensualità, in una convergenza fra sacralità e primitivismo. La scoperta dell’arte negra con la semplificazione dei piani , la modificazione delle propor-zioni e l’uso non naturalistico del colore affascina subito gli artisti, che sentono l’urgenza del superamento degli ideali di bellezza. Sebbene l’interesse sia unanime, la ricerca si di-versifica. Il gruppo dei Fauves sviluppa prevalentemente le possibilità espressive delle poli-cromie, fattore che li accomuna agli Espressionisti Tedeschi. I Cubisti, invece insistono sulla concezione formale in senso plastico. Pablo Picasso con Les Demoiselles d'Avignon del 1907 combina i primitivi, l’esotico e il con-temporaneo e queste tre componenti diventano l’argomento dell’opera. La trasversalità della forma geometrica fa capire che nei primitivi non c’è ingenuità estetica, ma sofisticate soluzioni. La forma elementare permette di essere condivisa tra tutti gli esseri umani. Pi-casso non crea un falso primitivo, ma una complessità moderna che va dal tribale all’avanguardia; il sofisticato diventa naturale o addirittura primitivo. Lo spostamento con-tinuo dei piani riflette le teorie di Einstein sul rapporto spazio/ tempo. La Sagra della Primavera contrassegna la nascita di quella che chiamiamo musica contem-poranea più o meno come Les Demoiselles d'Avignon di Picasso segnano la nascita dell’arte contemporanea, per entrambe si può parlare di una semplificazione essenziale, riducono i termini di un linguaggio complesso e consentono di ripartire su nuove basi. Gli allestimenti scenici dei Balletti russi, durante i venti anni di attività, alternano in modo discontinuo esagerazione e sobrietà.

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In Jeux (1913 m. Debussy, C. Nijinsky, s. Bakst) l’effetto visivo dovuto all’uso moderato del colore e la costante applicazione di colori bianchi e scuri, collega la scenografia sia alla pro-duzione pittorica che al cinema. Il contrasto del bianco e nero, o meglio la mancanza del colore (fatta eccezione per la cravatta rossa del tennista) porta ad una compensazione vi-siva fatta di contrapposizioni formali ( Il modernismo russo è in sintonia con la semplifica-zione tecnologica). I Balletti più sono essenziali, più sono sofisticati, perché lasciano mag-giore spazio alle sperimentazioni. Gli ornamenti lussuosi della scenografia, sempre di Bakst, per La Bella addormentata (1921, m. Tchajkovskij) fanno dubitare che siano state realizzate quando le avanguardie, a parte il Surrealimo, sono già tutte affermate. Si ritorna al canone narrativo vittoriano dei teatri imperiali della fine ‘800 con la celebrazione del pittoresco. Lo sfarzo di fronzoli, fa di-re a Matisse che il decoro è una profusione senza moderazione. Nel 1914 Bakst pubblica un articolo sulla situazione delle arti dello spettacolo intitolato: IL TEATRO CONTEMPORANEO. A TEATRO NON SI VUOLE PIU’ ASCOLTARE, MA SI VUOLE VE-DERE. Bakst sottolinea, che la nuova tendenza, che privilegia l’elemento pittorico, è dovu-ta anche alla pressione del cinema. Egli stesso constata che ciò che resta di un balletto ( costumi, scene, foto) è visivo. Dagli anni della Prima guerra mondiale, scenografie e costumi vengono affidati anche ad artisti che non fanno parte dell’entourage russo come Picasso, Matisse, Braque, Ernst, Mi-rò, Cocteau, Rouault, Balla, Prampolini, Depero, De Chirico. Questa apertura determina il passaggio alle ultime tendenze cubiste e futuriste con conseguente sconvolgimento dei tradizionali fondali e quinte. Larionov e Goncharova, con le loro scenografie cubofuturiste, fanno da ponte agli artisti occidentali. In realtà, a parte Picasso, questi artisti contribuisco-no più con i loro nomi che con vere scenografie e a volte il contributo si limita a qualche di-segno. Nel 1914, allo scoppio della guerra Djaghilev si stabilisce in Svizzera. Nel 1915 Larionov e Goncharova, artisti di rilievo tra le avanguardie russe, lasciano definitivamente la Russia e raggiungono l’impresario a Losanna dove lavorano a diverse scenografie i cui temi sono prevalentemente riti pagani e favole. La Goncharova insiste più sulla scena, Larionov è più interessato agli aspetti coreografici e ai costumi, poiché ritiene fondamentali i movimenti dei ballerini in rapporto alla musica. I costumi, essendo così significativi, devono distaccar-si dai fondali monocromi con un forte rilievo plastico. Larionov è straordinariamente erudi-to, ha una vasta cultura iconografica sulle antiche civiltà, attratto dalle forme di espressivi-tà primitive, dai riti sciamanici e dagli stati di trance, accumula una capacità visionaria atta a fargli percepire l’energia degli oggetti, che rappresenta con una moltitudine di traiettorie appuntite come spade (raggismo). La Goncharova, sollecitata da tutte le tecniche, ha sem-pre considerato la pittura il suo principale impegno a differenza di Larionov che si dedica totalmente al teatro.

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Nel 1915 Djaghilev scrive a Stravinsky alcune considerazioni sul rapporto danza-musica, af-fermando che la sorgente musicale non deve essere riconoscibile e che l’azione della danza deve essere sostenuta da suoni e non da musica. Influenzato probabilmente dalle teorie di Marinetti propone un incontro a Milano nella casa di questi. Marinetti è sicuro dell’interesse di Djaghilev per le posizioni futuriste nel campo dell’ arte e i futuristi sperano di poter realizzare le loro teorie nel campo della danza nei Ballets Russes. Marinetti spera che dall'incontro tra Russolo e Diaghilev possa nascere la collaborazione per un balletto utilizzando la musica prodotta dagli apparecchi intonarumori. Partecipano alla serata Dja-ghilev, Stravinsky, Massine e tutti i futuristi: Russolo presenta i suoi intonarumori. F.CANGIULLO "Le serate futuriste" (...) Quella sera nel salotto di Marinetti - Casa rossa, Corso Venezia, Milano - vi era adunata di musica futurista, alla quale erano presenti: Luigi Russolo, inventore degli Intonarumori, Balilla Pratella, Igor Stravinsky, venuto appositamente da Lucerna, Prokofiev, Diaghilev, di-rettore di quei balli russi, che divennero poi un'epidemia coreografica, Massine, primo bal-lerino, un eccezionale pianista slavo, il cui nome, costruito più che mai, da consonanti ar-due, non saprei né scrivere né pronunciare; vi erano Boccioni, Carrà, il fratello di Russolo, Ugo Piatti, Visconti di Modrone, Buzzi, la pittrice boema Rongesca Zorkova (anche questo nome non scherza) e, naturalmente, il dinamico padrone di casa e il partenopeo sottoscrit-to (...) Stravinsky voleva avere un'idea esatta di questi nuovi strumenti bizzarri e, possibil-mente, intercalarne due o tre nelle già diaboliche partiture dei suoi balletti, Diaghilev inve-ce voleva presentarli tutti e trenta a Parigi in un clamoroso concerto (...) qui otto o nove In-tonarumori erano allineati simili a mansueti quadrupedi in attesa di un cenno del domato-re, il quale nervoso aspettava il silenzio della conversazione. Questa tacque e fu allora che Russolo girò una manovella magica. Un "crepitatore" crepitò con mille scintille, come focoso torrente. Stravinsky schizzò emet-tendo un sibilo di pazza gioia, scattò dal divano da cui sembrò scattasse una molla. In quel-la un "frusciatore" frusciò come gonne di seta d'inverno, come foglie novelle d'aprile, come mare squarciato d'estate. Il compositore frenetico si avventò sul piano per cercare di trova-re quell'onomatopeico suono prodigioso, ma invano provò tutti i semitoni con le sue dita avide, mentre il ballerino muoveva le gambe del mestiere. Quei signori rimasero incantati e dichiararono i nuovissimi strumenti la più originale sco-perta orchestrale. Diaghilev faceva: "Ah-ah-ah-ah" come una quaglia. Era quella l'espres-sione più alta della sua approvazione. Il ballerino, muovendo le gambe voleva significare che la strana sinfonia era ballabile, massimo elogio musicale, secondo lui. Al che Marinetti, più che Filippo Tommaso era Felice, come Cavallotti, dopo aver battuto l'avversario alla spada: chiamò per tutti tè, paste e liquori. Boccioni diceva sottovoce a Carrà: "Gli ospiti so-no fregati". Dalmazzo, guardando un Budda in maiolica: "Ma sai che non lo credevo". L'uni-co che non si commosse era proprio l'inventore; si maneggiava il pizzetto e obiettava: "Sìii...potrebbero anche andare...ma dovranno essere altro che modificati!".Buzzi stava per dire che gli strumenti andavano benissimo, ma il fratello di Russolo lo avvertì in un orec-chio: "Per carità non lo contraddite".

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Allora il poeta lombardo disse a voce alta "Mi son del suo parer" e Piatti che sapeva la so-nata: "Perbacco bisogna farlida capo!"(. . .) Anni dopo Stravinsky ricordando l’episodio sostiene di aver simulato il proprio entusia-smo. Il Futurismo nasce da una contestazione totale del Simbolismo, ritenuto una fuga dalla sto-ria e dalla realtà industriale, del Verismo e del Naturalismo. Il Simbolismo francese è defini-to da Marinetti “aristocratico”. La ricerca futurista non è dissociabile da quella costruttivi-sta e dadaista. Molti manifesti sono dedicati allo spettacolo teatrale 1911 m. dei drammaturghi 1913 m. del teatro di varietà 1915 m. della scenografia e coreografia futurista 1915 m. della ricostruzione futurista dell’universo 1917 m. della danza futurista Nel manifesto RICOSTRUZIONE FUTURISTA DELL’UNIVERSO proclamano il superamento della pittura nella realizzazione dei complessi plastici non oggettivi con materiali eteroge-nei : celluloide, fil di ferro, carta velina, vetri, cartone, lana, seta…Con questi materiali Balla vuole arrivare ad una espressione dinamica, simultanea e plastica della vibrazione univer-sale. La preoccupazione costante di Balla è catturare energia. Diaghilev è interessato a queste esperienze e riunisce a Roma un gruppo d’artisti esponenti delle avanguardie per rinnovare il balletto. Anche Cangiullo è mobilitato e propone come tema “ll giardino zoologico”. L’idea piace sia a Diaghilev che a Massine; per i costumi Depe-ro sviluppa l’idea fino ad arrivare ai prototipi dei Balletti Plastici, ma Cocteau esprime pare-re negativo. Il 2 dic. 1916 Balla ha l’incarico di creare lo scenario plastico per l’opera di Stravinsky FEU D’ARTIFICE. Balla è il più sconcertante e provocatorio dei futuristi. Nel 1916 comincia a se-guire le sedute spiritiche della società teosofica di Roma e conosce senz’altro le teorie dell’antroposofia di Steiner (Rudolf Steiner fondatore dell'antroposofia, nacque il 27 feb-braio 1861 a Kraljevec, presso la frontiera austro-ungarica) che mette la danza all’inizio dell’universo. FEU D’ARTIFICE 1916/17 Teatro Costanzi di Roma (oggi dell’Opera) Premiere il 12/04/1917 Musica di Stravinskij. Scene di Balla. Regia di Diaghilev. Preventivo di 3.500 lire + 1.500 per lavoro personale. Acquisto bozzetto plastico per 300 li-re (resterà di sua proprietà perché lo ricompra per 500). Solidi geometrici realizzati in legno coperti di satin a colori vivaci, carta colorata e fogli ar-gentati.

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Violetto e bianco a sinistra. Rosso, blu giallo al centro. Verde a destra. Strutture coniche e rettangolari trasparenti, dipinte da rosso vivo e blu e illuminate da die-tro. Suoni e luci in movimento: luci intermittenti a tempo di musica. Lo spettacolo pirotecnico, cinque minuti di fuochi d’artificio, è un "Balletto senza ballerini" essendo la scena costituita da solidi geometrici ricoperti di tela virtualmente danzanti per il gioco di luci ed ombre generato dall'accensione e spegnimento di 49 luci policrome. Balla elimina l’anima: l’étoile. Probabilmente questa scelta più che incomprensibile è sembrata troppo radicale per una compagnia di balletti. Balla progetta e programma un insieme plastico, un paesaggio astratto, con tutti i motivi futuristi, investito dal movimento della luce; la scenografia è pirotecnica quanto la musica, ma in realtà non si può parlare di scenografia perché è lo spettacolo. Margherita Sarfatti: “…..continui giochi di luci e sbattimenti di ombre variate, raggi colorati di riflettori elettrici potentissimi imprimeranno espressione di mutevole dinamica alla statica dell’apparecchio scenico…..” LE CHANT DU ROSSIGNONOL 1914 Il 16 dicembre 1916 Diaghilev commissiona a Depero 35 costumi e vari accessori per lo scenario plastico di Le Chant du Rossignonol, musiche composte da Stravinsky tra il 1909 e il 1914 sul testo di una favola di Andersen ambientata nel fastoso palazzo di un imperatore cinese. Depero sostituisce al fondale e alle quinte un modello che anticipa Appia, Craig e Reinhardt, fondato sulla connessione attore-spazio. Il paesaggio di Depero è una giungla popolata di fiori, sembra quasi di vedere un quadro di Rousseau il doganiere che diventa plastico. Anche questa coreografia si riduce a oggetti e luci . Depero comincia subito a realizzare i costumi indurendo la tela con smalti e tendendo le superfici con fil di ferro ottenendo cilindri, cubi e piramidi che trasformano i movimenti del ballerino in scatti di automi. I costumi, ricchi di parti aggiunte, sembrano quasi pezzi di scenografia e il ballerino, praticamente nascosto nel costume, ha una funzione di forza mo-trice. Massine inizia a provare alcune possibilità coreografiche con i costumi, ma lo spetta-colo non viene realizzato ed oggi si conservano solo i bozzetti dei costumi. Massine nella sua autobiografia riconosce il valore del futurismo italiano. Alla fine tutto si riduce ad una piccola collaborazione durante la stagione romana dei Bal-lets Russes del 1917. Diaghilev non rappresenta le opere nate in collaborazione con i futu-risti fuori dai confini italiani, perché non si pone mai dalla parte dell'avanguardia estrema, perché il futurismo è un'esperienza molto italiana e poco internazionale, perché in quel pe-riodo è molto condizionato dalla volontà di Cocteau. Diaghilev è molto imbarazzato verso i futuristi, ma non vuole contraddire i suoi collabora-tori e alla fine affida lo studio in piccolo, delle maschere e del cavallo di Parade a Depero ed è appunto nel suo studio romano che si reca Picasso.

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Le proposte coreografiche teorizzate nel Manifesto della Danza non riescono ad essere realizzate per mancanza di ballerini capaci di eseguirle. Giannina Censi resta l’unica balleri-na futurista. Prampolini è il solo futurista che riesce a realizzare alcuni spettacoli a Parigi. Le sue conce-zioni, simili a quelle di Schlemmer, prevedono una completa interrelazione tra scenografia e coreografia: la scenografia deve essere l’equivalente dell’anima dell’attore e quindi deve suscitare emozioni. A Parigi sviluppa l’idea di Spazio scenico polidimensionale PARADE 1917 La prima guerra mondiale è in corso, ma a Parigi continuano a fermentare le ricerche arti-stico-letterarie. Picasso è sì considerato un artista straordinario, padre del cubismo, ma è ancora poco conosciuto. Alla fine del 1915 firma i famosi Arlecchini, nel linguaggio geome-trico e colorato del cubismo sintetico e i ritratti disegnati. La morte improvvisa della sua compagna Eva, la chiamata alle armi di Braque e Apollinaire, lasciano Picasso solo nella ca-pitale francese. Gli resta il giovane e brillante poeta Cocteau, sempre in stretto contatto con il grande animatore impresario della danza Sergej Diaghilev. Quando verso la fine del 1916, l'artista spagnolo decide di buttarsi nell'avventura teatrale di Parade, il cubismo ha ormai espresso quanto doveva. Diaghilev si affida a Cocteau per non perdere il pubblico. Il tema del balletto Parade è pro-posto da Cocteau che ne sceglie anche i realizzatori: Picasso per le scene ed i costumi; Satie per la musica. La coreografia è affidata a Massine, scelto da Diaghilev. Nel gennaio del 1917 Satie scrive a Cocteau di organizzare un incontro con Diaghilev per combinare tutti gli elementi e dare al balletto la forma definitiva. Picasso sconvolge tutti accettando l’invito per incontrare Diaghilev a Roma; la permanenza in Italia dura otto settimane nella primavera del 1917. «Non dimenticherò mai - scrive Coc-teau – lo studio di Roma di Picasso. Una cassetta conteneva il modello di Parade, il suo mobilio, i suoi alberi, la sua baracca...». Picasso si chiude nel suo atelier per lavorare sodo e perfezionare scene e costumi. La sera, al Caffè Greco, incontra i pittori futuristi tra cui Bal-la, Depero, Prampolini, Socrate, e frequenta i loro atelier. Il tema del balletto concepito da Cocteau è molto semplice: su un boulevard parigino, da-vanti a una baracca di ambulanti, un acrobata, un prestidigitatore cinese e una ragazzina americana eseguono dei pezzi dei loro numeri per attrarre il pubblico all’interno. Il sogget-to del circo non è rivoluzionario, sotto diversi aspetti è stato trattato da Daumier, Toulou-se- Lautrec, Rouault, Seurat e dallo stesso Picasso. Cocteau prende ispirazione dal dipinto di Georges Seurat che ha per protagonisti degli ar-tisti da fiera che cercano di invogliare la gente a entrare in un inverosimile teatrino per as-sistere al loro spettacolo. Picasso valuta le difficoltà, ma capisce che è un’opportunità da non perdere. Nel 1916 il trio è al lavoro. Picasso trasforma la concezione fondamentale di Cocteau e lo trasforma in uno spettacolo di vita reale: spirituale, satirico, volgare. La trama del balletto alla fine ri-

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sente degli intrattenimenti popolari del periodo, come il music-hall e i silent- film ameri-cani. Cocteau progetta di far accompagnare le danze oltre che dalla musica da effetti sonori chiassosi e urla. Pensa che impiegando questi “trompe-l’oreille” può evocare l’ambiente dei boulevard allo stesso titolo che le pitture cubiste incorporando oggetti reali evocano la quotidianità. Picasso pensa che questi effetti possano sovrastare il valore teatrale, coreuti-co e propone di eliminarli. Alla fine sono eliminati per problemi tecnici. A Picasso va anche il merito di aver introdotto le figure dei Managers. L’idea è di impiegare tridimensional-mente i suoi grandi lavori pittorici cubisti giustapponendoli ad elementi reali e immaginari. Nel balletto ci sono oltre ai due Manager, al prestigiatore cinese e alla ragazzina america-na, una coppia di acrobati e un buffo cavallo. I costumi, firmati da Picasso, vengono realiz-zati con materiali vari quali latta, stoffa, legno, cartone e per la loro rigidità permettono so-lo un minimo di movimenti. Sono costumi che tengono conto delle proposte che Depero aveva fatto in precedenza per Le Chant du Rossignol. Tutta la scenografia è giocata su un antagonismo di visioni prospettiche. La disinvoltura antimelodrammatica di Parade mette in crisi l’armonia dell’arte totale dei futuristi. «Parade è un giocattolo infrangibile», dirà Jean Cocteau « non rompete Parade per vedere che cosa c'è dentro. Non c'è nulla». Il sipario di Parade Nasce a Roma; al di là delle dimensioni spettacolari (45 chili, alto 10,50 metri, larga 16,40 metri), è soprattutto l'iconografia di questo sipario che lo rende un ele-mento centrale del lavoro di Picasso. Il dipinto raffigura una scena circondata da pesanti drappi rossi che si aprono su una festa di banchetto; sette figure: due clown "Arlecchino", due uomini, uno vestito come un marinaio, l'altro come un picador, due donne e un servo nero guardano una Pegaso che lecca il suo cucciolo e dalla sua groppa una ragazza alata (sale) scende con una scala retta da una scimmia. In fondo si scorge un paesaggio nel quale si intravvedono alcune rovine antiche. Questa immensa tela dipinta con colori a tempera con la collaborazione del pittore italiano Carlo Socrate è un'opera straordinaria, lirica e ma-linconica assieme, di grande intensità emotiva. Il soggetto ricorda i personaggi del circo, simili a quelli che popolavano i quadri rappresentanti i saltimbanchi del Periodo rosa e pre-cubista. Predominano nella composizione il rosso e il verde, colori che certamente Picasso ha visto nelle sue visite agli affreschi di Pompei. Lo stile con cui è eseguito il sipario differisce totalmente da quello che poi guida l'artista nella realizzazione delle torreggianti sculture dei costumi. Il pubblico rimase perplesso di fronte a questo collage informe di linguaggi e tecniche artistiche. Questo dipinto inestima-bile appartiene alla collezione del Centre Pompidou. Il sipario è stato ancora una volta ri-pristinato la scorsa estate. La sua struttura è sensibile alla luce e pigmenti tendono a svani-re. Durante la sua vita Picasso ha rifiutato di far rivivere i colori che gli piacevano dell'affre-sco murale. L’intero balletto dura appena quindici minuti. La prima si svolge nel pomeriggio del 18 Maggio 1917 presso il Theatre du Chatelet a Parigi come parte di un gala di beneficenza in cui "Parade", condivide il palco con altri balletti più tradizionali. Di certo quest'opera manifesto, entrata nella storia dell'avanguardia, sconvolge l'estetica del balletto.

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Lo scandalo di Parade è amplificato da tutti coloro che partecipano alla realizzazione del balletto. È uno spettacolo con molte innovazioni tanto che tutti vogliono essere considerati i creatori dell'opera e Cocteau, che ha suggerito le idee coreografiche vuole essere consi-derato il coreografo ed entra in conflitto con Diaghilev che gli nega tale ruolo. Apollinaire aveva predetto: «Parade sconvolgerà le idee di non pochi spettatori. Certo, saranno sor-presi, ma assai piacevolmente, e incantati, impareranno a conoscere tutta quella grazia dei movimenti moderni che avevano sospettato». Lo sconcerto degli spettatori fu davvero grande, ma una persona tra il pubblico ne rimase incantata emozionandosi visibilmente, era Marcel Proust.(Assiduo agli spettacoli dei Ballets Russes dopo il 1910, grande ammira-tore di Nijinsky, Stravinsky e Bakst, Proust assiste ad una rappresentazione di Parade e scrive a Cocteau per dirgli dell'ammirazione diretta soprattutto a Picasso e ai suoi perso-naggi: la piccola ragazza acrobata e il cavallo viola la cui struggente poesia gli ha dato la no-stalgia per il mondo del circo, che non ha conosciuto durante la sua infanzia. Proust aveva incontrato Picasso, allora molto popolare, in alcuni circoli mondani, attraverso Cocteau, e ha dato sulla sua pittura dichiarazioni contraddittorie: a volte avrebbe ammesso di non ca-pire, e qualche volta avrebbe preteso di metterlo al di sopra di Carpaccio e di riconoscerne la bellezza assoluta. Comunque due anni più tardi scrive a Cocteau che è stato in qualsiasi punto d'accordo con lui sull'arte moderna, come dimostra il romanzo che sta scrivendo). Il cubismo imposto da Picasso è ancora considerato sovversivo o addirittura "anti-arte e anti-nazionale”, negli insulti viene associato alla Germania, per denigrazione.. Picasso e gli altri sono accusati di concepire tanta leggerezza mentre infuria la violenza della prima guerra mondiale la critica è così forte che anche se artisti come Juan Gris e Guillaume Apollinaire dicono tutto il bene lo spettacolo non è un successo. Una parte del pubblico si scatena. Un uomo esclama: "Se avessi saputo che era così stupido, avrei portato i bambini”. Dopo la fine della 'Grande guerra' diventa di moda assistere alle serate dei Ballets Russes di Diaghi-lev, che ormai non sono più considerati scandalo. Per distaccarsi dalla follia generale Dja-ghilev rivolge la sua attenzione al classicismo, all'ordine, alla musica di Bach e Pergolesi, ad un nuovo barocco, magistralmente illustrato dalla musica di Stravinsky come avviene in Pulcinella. Nel 1920, quando Diaghilev riprende Parade, è applaudita anche da coloro che, tre anni prima, avevano fischiato. PULCINELLA 1919 Per Djaghilev, Picasso realizza anche la scenografia per il balletto “Pulcinella” con coreogra-fie di Massine. Lo scenario è scomposto in rettangoli, triangoli e trapezi con l’uso di toni freddi ad evocare il chiaro di luna sullo sfondo del Vesuvio e il palcoscenico è dipinto di bianco illuminato da riflettori. Lo spazio risente ancora dell’impostazione geometrica del cubismo. Picasso rilegge in stile cubista la tipica piazzetta napoletana, fuori da ogni reali-smo, moltiplicando in una immensa famiglia i pulcinellini. Igor Stravinsky sceglie i temi di Pergolesi e li trasforma con inediti colori strumentali e ritmi dissacranti per cogliere il fero-ce sarcasmo di una Napoli divisa fra sciocchi aristocratici e astuti popolani. L’astuzia, ovve-

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ro l’acutezza diventa fredda spigolosità. La cornice a pois ricorda Severini. Per Stravinsky questo balletto è una delle più belle creazioni di Massine Per Pulcinella D. non transige e pretende fedeltà al costume e la scena deve essere essen-zialmente napoletana. Per eccesso di zelo la scenografia è molto travagliata, Picasso rivede continuamente i bozzetti e gli accostamenti di colori. Nel 1920, anno del passaggio della Russia ai bolscevichi, i Balletti di Diaghilev abbandonano il modernismo e il primitivismo pre-bellico visti come caos, violenza, decadenza e si riconci-liano con le tradizioni culturali francesi, italiane e tedesche. Stravinsky diventa difensore della cultura occidentale e scopre Tchaikovsky e cerca di cancellare gli impulsi primitivi che originarono Le Sacre. Si assiste a un risveglio dell’arte classica. LE TRAIN BLEU 1920 Il 20 giugno 1924 va in scena al Théâtre des Champs-Élysées LE TRAIN BLEU un’operetta danzata di Jean Cocteau con musiche di Darius Milhaud con i costumi di Coco Chanel. Il si-pario è di Picasso: un ingrandimento del dipinto del 1922 di Pablo Picasso intitolato "Deux Femme Courant Sur La Plage" che fu trasportato su un supporto di 10,4 per 11,7 metri. La scenografia della prima esecuzione è di Henri Laurens che ambienta la scena in una spiag-gia dai tratti cubisti; lo sfondo è costituito appunto dall’enorme tela di Picasso. Gli elegan-ti costumi furono invece realizzati dalla giovane Coco Chanel. L’operetta non riscuote suc-cesso perché giudicata troppo triviale, troppo volgare e, nel suo senso deteriore, troppo alla moda. Al di là della fiammata dada (gli artisti Dada non credono che l’arte possa cambiare il mon-do, preferiscono bruciare per ricostruire) il dopoguerra vede l’affermarsi dei Balletti sve-desi. BALLETTI SVEDESI Nel 1920 Diaghilev non è più il solo mecenate di una compagnia di balletti; al Théâtre des Champs-Élysées, che prima del conflitto era stato dei russi, si insedia una compagnia sve-dese: Les Ballets Suédois. La sfida con i Balletti russi si ha soprattutto sul terreno del modernismo. Per il grande pub-blico il paragone tra le due compagnie è a favore dei russi. Le “prime” dei Balletti svedesi sono eventi ultra chic. I russi, finanziariamente, non godono ottima salute, gli svedesi sono ricchissimi. La critica più frequente ai Balletti svedesi è che non sono svedesi e soprattutto non sono balletti. La critica non è contestabile, perché in realtà, nonostante la loro origine culturale contrassegnata dall’arte classica, il folklore e la letteratura i B.S. sono fondamen-talmente internazionali: BÖRLIN i afferma che la danza è di tutti i tempi e di tutti i luoghi. ROLF DE MARÉ , il direttore, è un grande collezionista d’arte dei maestri spagnoli dei sec. XVI e XVII, in particolare di El Greco e dei cubisti francesi: Picasso, Braque e Léger. La ri-

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cerca per la danza parte dalla pittura, più precisamente dalla sua collezione. ROLF DE MA-RE’ afferma: “desideravo trasferire parte della bellezza di queste opere nella danza…il de-siderio di vedere un quadro di El Greco trasformarsi in danza”. I balletti sono una prosecu-zione dei dipinti e perciò non proprio balletti, ma visioni della pittura. Segretario generale è JACQUES HÉBERTOT e JEAN BÖRLIN coreografo e étoile . Artisti presenti nella collezione, come Bonnard e Lèger vengono ingaggiati come scenogra-fi. Picabia dice che RDM ha permesso a una generazione di artisti di lavorare con uno sco-po, ma in completa libertà, senza preoccupazioni di pubblico. La Compagnia si presenta come un’impresa artistica che vuole favorire artisti e musicisti contemporanei. Il 23/12/1920 i BS esordiscono con uno spettacolo cauto, nel senso di si-curo per compiacere la platea. L’ultima rappresentazione è del 4/12/1924 mostra una evo-luzione incredibile. La compagnia consente agli artisti più innovativi la possibilità di speri-mentare una molteplicità dei linguaggi. JEUX 25 0ttobre 1920 La scena che Pierre Bonnard realizza per Jeux è forse una delle più spettacolari fra quelle ordinate da Rolf de Maré, grande estimatore dei post-impressionisti. Con la sorprendente soggettività, la scena annuncia la pittura espressionista astratta del dopo guerra. Con sottigliezza, Bonnard, conosciuto per essere il pittore delle “intimità”, s’attacca al tema – la storia di un flirt – convinto di non dover realizzare che una macchia di colore seducente. In effetti la scena evoca un parco d’estate, presso un campo da tennis, con largo e sporco fogliame mollemente caduto. Più blu che verde, la tonalità generale trasporta lo spettatore in uno spazio di turbamento. E’ in questa luce vaporosa che danzano i ballerini. I loro gesti disegnano degli evanescenti e graziosi arabeschi. No-el Midgennes parla d’una armonia commovente che s’accorda perfettamente con la musica fluida e delicata di Debussy. Ripreso dal pome danzato di Nijinski (1913), Jeux è in realtà un balletto psicologico sul paradosso dei sentimenti umani: Jeux, in modo gra-zioso, rappresenta l’uomo fra due amori, fra due desideri,Borlin realizzò una versione o-riginale, più naturale di quella di Nijinski. Tanto il celebre ballerino russo era stato ango-loso, secco, meccanico e in opposizione alla musica, tanto lo svedese fu agile, ondeg-giante e accurato nel seguire gli intrecci delle linee melodiche e armoniche di Debussy. Contrariamente al russo che terminava il suo poema giocando al fauno che attira due ninfe sull’erba, Borlin sparisce dietro la scena con due giocatrici di tennis. Entrano alla luce, di modo che ci rende conto che i personaggi erano all’ombra. Finisce con una scena vuota per far sentire che l’azione prosegue , ecco la grande arte. SKATING RINK 20 gennaio 1922 E’ con Skating rink che Fernand Leger realizza le sue prime creazioni per la scena. Rolf de Maré colleziona le opere del pittore fin dal 1916 ed ha senza dubbio l’idea di una forma di declinazione scenica presa da un quadro della sua collezione quando domanda all’artista di lavorare per la sua compagnia. In ogni caso, è in questo senso che Leger concepisce la sua scenografia: i costumi geometrici fanno corpo con la decorazione cu-

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bista molto colorata che danno l’impressione muoversi grazie al movimento dei danza-tori. Al cuore di questa vasta composizione scenica e pittorica, concepita con uno spirito dirompente e brusco, il personaggio del folle incarnato da Jean Borlin è valorizzato da un costume bianco e nero, morbido e asimmetrico, che gli permette pose alla Charlie Chaplin. Chaplin è in effetti una sorgente più o meno conscia di questo balletto, che ri-corda Charlot pattina del 1916. Come nel film di Chaplin, Skating rink porta alla coreo-grafia moderna una esperienza plastica nuova: movimenti, passi, gesti e attitudini ispira-te dal pattinaggio a rotelle nelle sale di skating. Le idee che sottintendono l’argomento del poeta futurista Ricciotto Canudo, così come la loro traduzione plastica sono mal comprese dalla critica: “una sala di pattinaggio di periferia dove gente ordinaria e volga-re gira come su dei pattini a rotelle; un matelot, un apache, degli operai, delle ragazze, sembrano dimenticare in questo girare monotono e allucinante le pene e le fatiche del lavoro quotidiano; un uomo tutto vestito di nero con delle macchie arancioni cubiste sui suoi vestiti, entra nel cerchio; una donna lo avvicina, incuriosita senza dubbio dalla sua relativa eleganza: lui la prende fra le braccia e danzano ( sempre come se i piedi fossero sui pattini). L’apache tenta di riprendere colei che evidentemente “protegge”. Skating rink è un poema danzato. Il pattinaggio rappresenta qui l’angoscia sessuale che spinge gli esseri gli uni verso gli altri e suscita gli choc, le unione, tutte le armonie e le disarmo-nie dell’amore e delle sue pene. LA CREAZIONE DEL MONDO 25 ottobre 1923 Blaise Cendrars sta per pubblicare una raccolta di testi tradotti da diverse lingue africa-ne, quando Rolf de Maré lo incarica di stendere il libretto d’un “balletto negro” del qua-le Fernand Léger deve disegnare le decorazioni e i costumi e Jean Borlin preparare la co-reografia. Questo balletto viene dopo la visita di Borlin all’atelier di Picasso al suo arrivo a Parigi nel 1919 e al suo solo Sculpture nègre, rappresentato al Theatre des Champs Elysées nel marzo 1920. Una lettera di Leger a Rolf de Maré del 12 settembre 1920 rivela le sue intenzioni ed e-voca la complicità dello scenografo, del pittore e del coreografo: “Desidererei sapere a che punto è Borlin a proposito del Balletto negro. Sapete che pensiamo di farne un’opera importante, estremamente studiata. Dovrà ed essere il solo balletto negro, il solo balletto negro possibile nel mondo ed essere quello che resterà come tipico per il genere. Ciò necessita di numerosi e minuziosi incontri fra Cendrars, Bolrin e me. Il com-positore Darius Milhaud, il solo musicista francese che attualmente può realizzarlo, è fi-nalmente preferito a Erik Satie e compone una partitura molto influenzata dal jazz.“ Per illustrare la storia delle origini dell’umanità concepita da Balise Cendrars, Léger prende a modello le tavole di due pubblicazioni: Negerplastik di Carl Einstein e African Negro Art: its influence on Moder Art di Marius de Zayas.

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Dipinge una scena composta da una tela di fondo evocante il caos originario e da tre di-vinità monumentali fissate al pavimento. I costumi concepiti come sculture, partecipano alla scenografia e danno l’impressione d’un tableu vivant .Nonostante la complessità scenografica, il balletto è quasi ignorato dalla stampa. RELÂCHE e la rivista CINĚSKETCH sono le sole creazioni dei B.S. che si possano qualificare d’avanguardia. Sono due spettacoli fuori dal comune che permettono a BÖRLIN di mostra-re il suo talento di ballerino sperimentale, di attore e di commediante. Come una conse-guenza logica alla sua riflessione sul tableau vivant, all’origine dell’arte cinematografica e dello spettacolo multimediale. RELÂCHE 27 novembre 1924 Francis Picabia, pittore e poeta dada, con umorismo beffante sceglie questo titolo per in-gannare il pubblico THÉÂTRE DES CHAMPS- ELYSÉES : RELÂCHE ( RIPOSO ) Relâche è l’apice della sperimentazione, è l’antiteatralità per eccellenza. In Relâche Börlin crea un’estetica minimalista che mette la danza in uno spazio inscindibile fra visibile e invisibile, tutto in relazione alla corrispondenza delle arti a partire dalla nozio-ne di ritmo. Un’opera insolita ispirata anche al Grande Vetro di Duchamp, immaginato a partire dal 1912 e lasciato incompiuto nel 1923, allorché lo stesso Picabia, suo ammiratore, elabora il balletto che posa sull’idea del paradosso. RELÂCHE oltre alla sua estetica di istantaneità, che cerca di mostrare il potere dei gesti del quotidiano, presenta l’introduzione del cinema in seno ad un balletto. Per le scenografie utilizza solo il bianco e il nero. Il prologo cinematografico è di 90 secondi e si svolge sulla terrazza del Théâtre des Champs-Élysées. Nel prologo Picabia e Satie, muovendosi al rallenty, caricano un cannone che attraversa lo schermo a più riprese per posizionarsi infine davanti al pubblico e sparare una palla in direzione degli spettatori. Lo schermo del cinema lascia il posto ad una sceno-grafia composta da 370 dischi metallici provvisti ciascuno di una lampadina. Questi proiet-tori quando sono accesi incarnano l’energia vitale. Picabia afferma, infatti, sul programma di sala che: " Relâche è la vita come io l’amo; la vita senza domani, la vita d’oggi, tutto per oggi, niente per ieri, niente per domani. I fari delle automobili, i colliers di perle, le forme curve e sottili delle donne, la pubblicità, la musica, l’automobile, qualche uomo in nero, il movimento, il rumore, il gioco, l’acqua trasparente e chiara, il piacere di ridere... È il movimento senza scopo, né avanti né indietro. Né a destra, né a sinistra, Relache non gira, ma non va neppure dritto: Relâche va a zonzo per la strada con una grande esplosione di risa". La potenza dei riflettori è variabile in funzione della

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musica; questo arrangiamento è una provocazione: quando la corrente è al massimo il pubblico è accecato. Léger esulta: “la luce padrona del mondo e della scena”. Per Picabia è “ il moto perpetuo, la vita, l’istante dove cerchiamo tutti di essere felici, è la luce, la ricchezza, il lusso, l’amore lontano dalle convenzioni del pudore; senza morale per gli stupidi, senza ricerca artistica per gli snob: è l’alcool, l’oppio, lo sport, la forza, la salute; è il baccarà o le matematiche. Relâche annuncia l’opera d’arte contemporanea del XX secolo , ibrida, discorsiva ed effi-mera. Sul piano scenografico il primo atto comincia con una successione di assoli caratterizzati da gesti in apparenza senza energia. Una sposa lascia la sua sedia e entra in scena. Ispeziona la platea con lo sguardo, si sbarazza del suo mantello, esegue qualche passo, si siede in una poltrona, accende una sigaretta e ascolta la musica di Satie. Un pompiere di servizio che porta il nastro della legion d’onore entra di corsa percorre la scena, fa i cento passi, accen-de una sigaretta e sfidando i fuochi dei riflettori, si mette a travasare l’acqua da un secchio all’altro (la routine della borghesia che si sciacqua il cervello con le generazioni precedenti e passa i secchi a quelle successive). Quando l’orchestra smette di suonare, la donna si alza e va ad accoglier l’uomo abbigliato in abito da sera che scende da una carrozzella. L’uomo ubbidendo all’attrazione esercitata dalla bellezza della sposa ritrova la forza per muoversi, lascia la carrozzella e va verso lei. (Il tema dell’uomo prigioniero per sua colpa, paralitico per suggestione, che cerca intorno a lui una forza per rompere le sue catene, è ricorrente in Picabia. ) il duo abbozza una successione di passi senza musica, una parodia di seduzio-ne. Otto ballerini in frac con guanti e cappello, nel ruolo di celibi, si susseguono in andate e ritorno sempre più rapide fino a movimenti acrobatici. Il movimento della donna nasce dal desiderio dei ballerini ed evoca una messa a nudo. La sposa cammina sulle schiene curvate a ponte. Finalmente uno di essi la conquista. La sposa ci augura buona notte e sparisce. Il sipario cade e lascia il posto allo schermo del cinema per la proiezione di ENTR’ACTE. RENÉ CLAIR realizza il prologo e l’ intermezzo : ENTR’ACTE. Entr’acte è un cortometraggio di 18 min. la sceneggiatura di Picabia è molto sommaria, solo due pagine. La chiave di Entr’acte è la poesia dadaista e il suo gusto per le metafore. La prima parte è una mesco-lanza di temi ed è dominata dall’avanguardia: un panorama di Parigi, dei fumaioli a forma di colonna, le evoluzioni di una ballerina riprese a rallentatore e filmata in contre - plongée (inquadratura supina, con l’ asse rivolto verso l'alto e perpendicolare al suolo) che scopre il limite delle mutande che porta sotto il tutù, che al rallentatore si espande come un fiore che apre e chiude la sua corolla. Ancora sulla terrazza del Théâtre des Champs-Élysées, Man Ray e Duchamp giocano a scacchi, Picabia e Satie trascinano un cannone e Borlin, ve-stito da cacciatore tirolese, arriva anche lui sul tetto del teatro. Picabia uccide il suo perso-naggio e introduce il funerale. La seconda parte riprende le gag delle comiche, di cui dada ha senz’altro subito il fascino. La cerimonia ha inizio con un ritmo solenne in un Luna Park. Il carro funebre è tirato da un cammello e le corone sono fatte di brioches, poi si scatena l’inseguimento. Clair si serve di tutte le combinazioni possibili, delle immagini mobili, niti-

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de, sovrapposte, invertite, ritmo normale, rallentato , accelerato: le regole classiche degli inseguimenti comici. Sempre più velocemente il carro sale sulle montagne russe, le colline di Saint-Cloud, le coste di Piccardia e va a finire in aperta campagna. Börlin resuscita sotto forma di mago e vestito come il prestigiatore di Méliès fa scomparire i suoi inseguitori e poi se stesso. La musica di Satie è ironica e ritmata come le immagini. Dopo la proiezione di ENTR’ACTE il secondo atto segue e sviluppa le riflessioni sulle quali-tà potenziali del gesto in movimento. La scena che segue è la più erotica. Evoca l’arrivo dell’orgasmo in una orgia gestuale. Dopo la scena d’amore Relâche finisce. Uno dei celibi riceve dalla sposa una corona di fiori d’arancio. Il sipario cade sull’applauso e appare un ballerino vestito come un piccolo topo. Un’ ultima provocazione. La scenografia, che evoca dei graffiti su una tavola nera rimpiazza una funzione coreografi-ca, è come una insegna pubblicitaria scarabocchiata ritagliata e illuminata da dietro con dei colpi di proiettore alternati che appaiono con la rapidità di un lampo. CINĚSKETCH 31 dicembre 1924 Nella rivista CINĚSKETCH BÖRLIN persegue la sua ricerca performativa. Questa volta nel genere della commedia a fianco di molte comparse. Picabia è lo sceneggiatore e direttore artistico di questo teatro-leggero surrealista misto a canzoni e danza. Renè Clair è incarica-to della messa in scena simultanea. Una illuminazione intermittente e colorata al di sopra di tre pezzi giustapposti. DUCHAMP e BRONIA interpretano Adamo ed Eva nella scena del peccato originale, dal quadro di Cranach. CINĚSKETCH vuole soprattutto prendere in contropiede i film muti - da qui il titolo – che sono per la maggior parte una imitazione del teatro. Intenzioni di PICABIA: Finora il cinema si è ispirato al teatro, io cerco di fare il contrario portando sulla scena il metodo e il ritmo del cinema. Per BÖRLIN si tratta di perseguire la sua ricerca intorno ai tableau vivant a partire dal cinema d’autore. CANUDO attribuisce al-lo svedese ,in forma di elogio, lo stato di artista completo e visionario. Con questo balletto terminano le serate dei Balletti Svedesi a Parigi. Gli spettacoli conti-nuano nei teatri di altre province ancora per un anno e nel 1925 si concludono definitiva-mente.

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BALLET MÉCANIQUE (Francia 1924, bianco e nero/colore, 16m a 18 fps); regia: Fernand Léger, Dudley Murphy; sceneggiatura: Fernand Léger; fotografia: Fernand Léger, Dudley Murphy, Man Ray; musica: Georges Antheil. Il film, composto da una serie di immagini di personaggi, oggetti, luci e ombre è una sorta di balletto senza trama. All'inizio si vede uno Charlot fatto da forme geometriche che si a-nima e annuncia: "Charlot présente le Ballet Mécanique". Il "balletto" è composto dalla stessa inquadratura di oggetti animati e inanimati, che viene ripetuta, ribaltata e montata ritmicamente con altre, creando tante possibili visioni e generando un movimento illusorio di cose in realtà immobili. Il movimento degli oggetti, aiutato dal ritmo continuamente spezzato della musica appositamente composta da George Antheil, crea una sorta di sinfo-nia. Infine, sempre con i pezzi di carta che si muovono torna Charlot e il film termina con la ragazza dell'altalena che annusa un fiore sorridendo. Si ritiene che la versione 'ridotta' de La Roue (La rosa sulla rotaia) di Abel Gance, presen-tata al Salon Annuel de Cinéma nel 1923, sia stata l'ispirazione filmica e plastica di Ballet mécanique. Presso il CASA (Club des Amis du Septième Art) del futurista Ricciotto Ca-nudo, nel 1924 viene presentata la nuova versione di La roue con il titolo di Tableaux modernes de la machine vivant. La riduzione voluta da Canudo è definita da Fernand Lé-ger una "emozione plastica ottenuta attraverso la proiezione simultanea di frammenti di immagine a ritmo accelerato". Un’altra fonte ispiratrice di Ballet mécanique può ricon-dursi all’idea per un libro, che Fernand Léger e Blaise Cendrars hanno nel 1919: La fin du monde filmée par l'Ange Notre Dame. Una sorta di immenso flip-book il cui grande for-mato permetteva ai due autori di sperimentare proporzioni spaziali, metamorfosi di forme astratte e un'innovativa commistione di testi e immagini; i testi sovraimpressi sui ritmi colorati dei disegni di Léger fanno pensare alle didascalie in sovraimpressione che scorrono sui binari in La roue. Cendrars fu l'assistente di Gance per questo film.

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

La danza delle avanguardie: dipinti scene e costumi da Degas a Picasso da Matisse a Keith Haring. Skira 2005 A cura di Gabriella Guzzo-Vaccarino e Elisa Belli Catalogo della mostra allestita presso il Mart di Rovereto tra il 17 dicembre 2005 e il 7 maggio 2006.

Russia 1900 – 1930. L’arte della scena – Electa Mondadori 1990. A cura di Fabio Ciofi Degli Atti e Daniela Ferretti Catalogo della mostra allestita a Ca’ Pesaro Venezia 1990

Sipario / Staged Art - Balla, De Chirico, Savinio, Picasso, Paolini, Cucchi Charta 1997 A cura di Maurizio Fagiolo dell’Arco, Alain Mousseigne; Elena Gigli; Laura Cherubini Catalogo della mostra allestita al Castello di Rivoli Torino

I ballets Russes di Serge Diaghilev

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Dispensa di Storia della danza della LUDT - Libera Università di Danza e Teatro – Mantova (Free Ludt.org Magazine)

Les ballets suèdois. Une compagnie d’avant-garde (1920-1925) Catalogo dell’esposizione Les Ballets Suédois alla Bibliothèque-Musée de l'Opéra - Parigi (giugno-settembre 2014).

Automi,marionette e ballerine nel teatro d’avenaguardia Skira 2000 Catalogo dell’esposizione al MART Trento Dic.2000/Mar.2001

Sono stati consultati:

Antonio Del Guercio - La pittura del Novecento - UTET 1980

Allardyce Nicoll - Lo spazio scenico - Bulzoni Editore 1971

Gino Tani - La danza e il balletto. Compendio storico-estetico - Pratiche Editrice 1995

Il diario di Nijinsky - Adelphi 1979

Martha Graham - Memoria di sangue. Un’autobiografia - Garzanti 1992

Schlemmer, Moholy-Nagy, Molnar - Il teatro del Bauhaus - Einaudi 1975

Barbara Ballardin - Valentine de Saint-Point - Selene Edizioni 2007

Michail Larionov - Une avant-garde expolsive - L’Age d’Homme 1978

Igor Strawinsky – Cronache della mia vita – Minuziano Editore 1947

Robert Delaunay – Scritti sull’arte – Amadeus 1986

Valentine de Saint-Point – Manifesto della donna futurista – Melangolo 2005

Gino Severini – Tempo de “L’ effort moderne”. La vita di un pittore – Nuove edizioni Vallecchi 1968

Georges Sadoul – Storia del cinema mondiale - Feltrinelli 1972

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