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I 30 ANNI DELLA COOPERATIVA SOCIALE

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I 30 ANNIDELLA COOPERATIVA SOCIALE

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2 I 30 anni della Cooperativa sociale «Il Rastrello»

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IL RASTRELLO

Trent’anni di storia raccontata dai protagonisti attraverso la voce della Cooperativa

Testi e interviste

di Stefania Mazzucchelli

Ames 2017

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4 I 30 anni della Cooperativa sociale «Il Rastrello»

Trent’anni di storia raccontata dai protagonisti attraverso la voce della Cooperativa

Testi e interviste a cura di Stefania Mazzucchelli

Coordinamento editoriale di Sebastiano Tringali

Grafica di Alessandro Donelli

Ringraziamenti

Fabio Andreani, Mauro Bafico, Luca Baghino, Mario Baroni, Angelo Bodra, Marina Bordonaro, Giacinto Botto, Orazio Brignola, Mario Calbi, Salvatore Carotenuto, Antonello Carrubba, Giorgio Chiaranz, Domenico Chionetti, Giuseppe Costa, Maria Grazia Daniele, Enrico Destefani, Pjeter Elezi, Elisabetta Favetta, Maurizio Gay, Monica Gatti, Cinzia Golisano, Carlo Lepri, Valentina Mainero, Francesca Marini, Giovanni Miceli, Lorenzo Monteverde, Enrico Montobbio, Massimo Morroni, Emiliano Musso, Monica Orlando, Milly Palomba, Pama Austin Frank, Osvaldo Panin, Irene Parmentola, Roberto Perugi, Roberto Piras, Ennio Repetto, Valerio Risso, Sergio Rossetti, Auglys Ruslanas, Josè Alejandro Socla Ambrosio, Eliana Tortorici, Agata Trovato, Mario Tullo, Claudio Venga, Stefano Vigilante, Renato Vitale, Antonella Vitelli, Francesca Zerega, Filippo Zorzi.

@2017 Ames

AMES, associazione senza alcuna finalità lucrativa aderente a Legacoop Liguria. Ha lo scopo di promuovere, valorizzare e divulgare la storia e la cultura del movimento cooperativo, i valori e i principi mutualistici e solidaristici tra i soci e la generalità dei cittadini.

Genova via Brigata Liguria 105 R 16121

+ 39 10 57211225 | [email protected] | www.legaliguria.coop/ames

IL RASTRELLO

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Manutenzione Biosfera - Costa Edutainment SpA

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INDICE

Presentazionedi Gianluigi Granero 11

Prefazione 13di Sandro Frega

Premessa della Curatrice 15

Il RastrelloTrent’anni di storia raccontata dai protagonisti attraverso la voce della Cooperativa

Parte prima (dal 1985 al 1988) - Perché sono nata 19 Parte seconda (dal 1989 al 1998) - La Ripartenza 35

Parte terza (dal 1999 ad oggi) - Cresco e vado veloce 55 Vista da vicino 85 Mario Baroni 86 Giacinto Botto 87 Mario Calbi 88 Domenico Chionetti 89 Giuseppe Costa 90 Maria Grazia Daniele 91 Carlo Lepri 92 Francesca Marini 93 Giovanni Miceli 94 Enrico Montobbio 95 Sergio Rossetti 96 Mario Tullo 98 Filippo Zorzi 99 Il Rastrello in pillole 101 Certificazioni e attestazioni 106

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Il racconto dei trent’anni della cooperativa il Rastrello evoca emozioni, passioni e riflessioni.

Leggendo le pagine che seguono toccherete con mano la realizzazione di un sogno. Un sogno di una minoranza che ha sfidato la cultura dominante, ha sperimentato, ha progettato e reso possibili soluzioni lavorative per persone in difficoltà costruendo una via nuova ed una vera opportunità d’integrazione. Un sogno che ha cambiato in meglio la vita di molti e ha distribuito vantaggi economici e sociali alla comunità. Un sogno di cui andare orgogliosi.

La creazione di questo grande valore è stata possibile grazie all’impegno dei singoli e delle istituzioni, in un processo creativo e partecipato di co-progettazione che oggi non sarebbe più realizzabile. Il prevalere della concorrenza, assurta a valore assoluto su tutti i parametri di valutazione e il rompersi del rapporto di fiducia tra i cittadini e le istituzioni, che ha reso necessario affidare a procedure ridondanti la doverosa garanzia di trasparenza ed equità nell’affidamento dei servizi, ci ha privato di una leva utile nella costruzione di fondamentali processi d’innovazione e coesione sociale. Quello dell’affidamento dei servizi è un tema complesso perché riguarda la loro qualità, quella del lavoro e dei processi coesivi che producono, i profili di legalità (troppo spesso sono messi in discussione), ma anche il valore sociale che parrebbe essere divenuto irrilevante come testimonia l’impegno decrescente per l’inserimento lavorativo delle fasce deboli.

È necessario riaprire un cantiere che consenta di costruire risposte ai sempre più diversificati bisogni sociali senza sacrificare la creatività e l’innovazione alla necessaria trasparenza e senza considerare l’elemento economico di breve periodo l’unico

valore cui sacrificare qualità, effetti duraturi ed obiettivi più vasti.

È importante tornare a dare valore all’innovazione sociale, ai processi in cui al centro ci siano le persone ed alla capacità del sistema pubblico di dialogare con trasparenza e creatività con i soggetti imprenditoriali ed associativi.

Si è rotto un legame che indebolisce il sistema Paese nel suo complesso. Per questo, essendo noi uno dei pochi soggetti a partecipazione democratica e quindi dotati di forza coesiva, cresce la nostra responsabilità.

La cooperazione ligure ci sta provando con la costruzione del brand di qualità cooperativo e lo sforzo di farne riconoscere il merito all’interno del rating di legalità e quindi nelle procedure di gara.

Rendere misurabile e verificabile il valore sociale non è semplice, ma possibile.

Questo è ciò che stiamo facendo perché una storia meravigliosa ed unica, una best practice presa a modello a livello europeo, com’è stata la cooperazione sociale d’inserimento lavorativo, di cui Il Rastrello è splendido esempio, possa continuare a crescere ed a produrre valore sociale.

Per fare questo dobbiamo sperimentare soluzioni nuove per inverare con le nostre azioni la quotidiana utopia di una società più giusta ed inclusiva.

Questo ha fatto e continua a fare Il Rastrello. Grazie ragazzi, continuate a sognare!

Gianluigi Granero

Presidente Legacoop Liguria

PRESENTAZIONE

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PREFAZIONE

Cooperative di integrazione lavorativa o di solidarietà sociale, si discuteva di questo 30 anni fa. Noi di Legacoop (eravamo ancora Lega delle Cooperative) convinti che il fine fosse innanzitutto il lavoro, e i colleghi di Confcooperative / Federsolidarietà che puntavano di più appunto sull’aspetto solidaristico (abbiamo capito dopo che questo era un falso problema), la Legge 381 era di là da venire.

Il Rastrello c’era già, ed era già la sintesi di impresa e solidarietà, di lavoro e inserimento di fasce deboli.

Era la fase pioneristica in cui nessuno di noi poteva immaginare che stavano costruendo una grande esperienza di imprenditorialità sociale, copiata in mezza Europa. Ricordo la passione sociale che ci animava, la consapevolezza che si poteva andare oltre l’assistenza e rendere le fasce più deboli protagoniste della loro quotidianità, con il lavoro appunto.

Il Rastrello incarnava tutto questo: un bel mix di competenze sull’inserimento lavorativo, servizi pubblici, volontari, associazioni di familiari, tanti inserimenti lavorativi! All’inizio forse una compagine troppo sbilanciata sugli esterni, ma che è stata determinante per far decollare un progetto, dargli gambe e risorse (poche, ma importanti)!

Da lì la cooperativa è cresciuta diventando una delle cooperative più importanti, anche per dimensioni, del panorama ligure, passando attraverso un rapporto con altre cooperative sociali (quelle oggi di tipo A), affrontando la rivoluzione della Legge 381, cambiando pelle lentamente e consapevolmente, diventando protagonista nelle reti che faticosamente negli anni abbiamo costruito (Consorzio Progetto Liguria e Lavoro prima, OMNIA dopo) arrivando a raggiungere le dimensioni e il posizionamento attuale.

Una sfida vinta, ma non una sfida finita.

Trenta anni sono tanti per un’impresa. I dati ci raccontano di una vita alquanto breve delle imprese: in media più del 60% delle imprese entranti escono dal mercato entro 5 anni, e più dell’80% entro 10. Secondo uno studio condotto in Giappone e in Europa prima della crisi (quindi il dato è certamente peggiorato), la vita media di un’azienda è pari a 12,5 anni. La longevità è un bene raro (per fortuna meno nelle imprese cooperative). È una risorsa e un valore concreto per l’impresa cooperativa e per la società in cui l’impresa opera.

Ma la sfida appunto non è finita, per certi aspetti ricomincia.

Si apre la terza fase. La crisi ci consegna un paese disorientato, con tantissimi poveri, che si divide, che spinge le persone verso l’individualismo; le politiche di welfare si contraggono sempre di più, la cultura dell’inserimento lavorativo è in caduta libera. Abbiamo insomma davanti una nuova sfida che è culturale e sociale oltre che economica; questa sfida il Rastrello la sta raccogliendo, cercando di rinforzarsi patrimonialmente e imprenditorialmente, insomma di nuovo cambiando pelle consapevolmente, ma con la barra dritta sulla mission originaria e senza mai perdere di vista che la vera forza sono i soci!

Grazie per quanto avete fatto per la cooperazione sociale e quanto ancora farete.

Alessandro Frega

Vicepresidente Legacoop Liguria

Responsabile cooperative sociali

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PREMESSA DELLA CURATRICE

Pensavo di ascoltare parole e incontrare persone, invece ho ascoltato storie di vita e incontrato emozioni.

Ho messo poi insieme questi racconti, ho rimescolato con cura e attenzione e, con una soluzione quasi spontanea, ne è scaturita la storia della cooperativa. Una storia che mi ha fatto far pace con una cultura che ha pervaso la mia infanzia, in cui i miei coetanei diversi venivano esclusi dalla società, reclusi dalla famiglia. Si accoglievano in casa come gli altri, ma in segreto, molti non avrebbero capito.

Questo mi causava una sorta di apnea.

Dopo questi incontri ho tirato un sospiro di sollievo, ma la vera boccata di ossigeno è stato il constatare che tutto ciò è avvenuto grazie alla realtà cooperativa.

La cooperativa è una società aperta, ne ho la conferma.

Stefania Mazzucchelli

Settembre 2017

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Ingegneria naturalistica - Comune di Cogoleto - GE

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dal 1985 al 1988

PARTE PRIMA

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Nascita SETTORE VERDE - 1986

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Nascere non si può circoscrivere al tempo breve in cui si vede la luce, ma è necessario ricomprendere le ragioni, le emozioni e le azioni che precedono questo momento e le sensazioni, le esperienze e le realizzazioni che seguono.

Infatti se vi dicessi «sono nata a Genova il 14 giugno del 1985» non vi consentirebbe di conoscere e capire molto di me, anzi direi ben poco.

Conoscere e capire. Due azioni difficili e fondamentali che caratterizzano l’esperienza dell’essere umano dopo il momento della nascita. Fondamentali perché consentono di crescere, difficili perché devi mettere in gioco tutti gli strumenti che la natura ti ha dato. Se poi la natura non te li ha dati tutti o qualcuno o qualcosa te li hanno tolti, allora la tua storia cambia.

Io sono nata proprio per dimostrare che chi ha una storia diversa da quella comune non vada messo da parte come un libro di cui non si comprende il linguaggio con cui è scritto, ma semplicemente debba essere letto e interpretato in modo diverso.

La maggior parte di noi ha imparato a leggere a scuola, o vi ha consolidato una capacità già acquisita in famiglia: si diviene più bravi e capaci solo se si leggono libri differenti, scritti con linguaggi differenti, ma è compito della scuola inserire nella propria biblioteca una ricca varietà di testi che, solo se letti con l’aiuto di chi già comprende il loro linguaggio, possono essere apprezzati, condivisi e fonte di arricchimento per chi legge.

Io sono nata in seguito ad una rivoluzione culturale che è iniziata proprio dalla scuola, come luogo e contesto sociale nel quale sono progressivamente cambiate la qualità, ma soprattutto le prospettive di vita di chi veniva

definito handicappato sino a farlo divenire diversamente abile.

Tra gli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, l’assistenza agli emarginati, ai deboli, agli anziani, agli handicappati psichici, sensoriali e ai bambini senza famiglia veniva risolta attraverso le istituzioni totali come manicomi, cronicari, collegi che nella nostra città vedevano grandi strutture come il brefotrofio dell’IPPAI (Istituto provinciale protezione assistenza infanzia), i due manicomi di Quarto e Cogoleto, l’istituto per ciechi «David Chiossone». Istituti eredi della secolare e generosa tradizione di beneficienza genovese e che costituivano l’unica risposta agli assisiti, la più emarginante che ci potesse essere.

Il clima culturale e politico dell’epoca non favoriva ancora approcci diversi da quelli tradizionali, ancora sostanzialmente ispirati dalle logiche di sorveglianza e punizione. Era stato costruito per loro un mondo a parte, che doveva gestirsi con proprie regole senza disturbare quello principale, che nella sua maggioranza ignorava le condizioni in cui erano costrette a vivere le persone appartenenti a queste categorie più deboli. Una separazione accentuata da una coltre di silenzio, che solo più tardi sarà infranta dai primi reportage fotografici, che spareranno in prima pagina gli orrori della segregazione.

Ma qualcosa stava cambiando. Dalla società civile iniziavano a prendere vita associazioni che si proponevano di offrire un’alternativa a questi contesti emarginanti. A Genova avevano mosso i primi passi (rivelandosi già fondamentali in questo processo di trasformazione) l’AIAS (Associazione Italiana Assistenza agli Spastici) e l’ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie Fanciulli Subnormali). Quest’ultima in particolare giocava

PERCHÉ SONO NATA

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un ruolo fondamentale non solo per la realtà locale, divenendo un modello a livello nazionale in quanto la prima ad avere promosso l’inserimento scolastico e le attività sportive sotto l’illuminata direzione di Giovanni Miceli, ma soprattutto, nel nostro piccolo, una delle promotrici della mia nascita.

A metà degli anni settanta la battaglia culturale, politica e sociale, sull’onda lunga dei movimenti degli studenti e degli operai esplosi pochi anni prima, aveva fatto apparire inaccettabile l’esclusione sociale rappresentata dalle istituzioni totali. Si stava sviluppando quindi una diversa sensibilità, in grado di trasformare realtà accettate come inevitabili in problemi affrontabili, alimentando il desiderio di capire, ascoltare voci a cui in passato non si era dato retta e poi provando a risolvere, inventare soluzioni.

Una nuova generazione si affacciava allo studio, stimolata dalla possibile ricaduta sociale del proprio percorso formativo, investendo sul proprio futuro in una prospettiva lavorativa e esistenziale allo stesso tempo.

Attivisti del movimento studentesco, membri delle comunità religiose di base e dei consigli di fabbrica, scout, punte avanzate della società civile e della cultura si confrontavano in reti formali e informali con psichiatri, infermieri, fisioterapisti, medici del lavoro e, naturalmente, con i primi assistenti sociali formatisi al CIS, il Centro di iniziative sociali fondato a Genova nel 1969.

L’apertura, l’integrazione dei mondi avviene grazie al lavoro comune e al coinvolgimento delle

famiglie, delle associazioni, degli operatori sociali e quelli sanitari, del mondo del lavoro e sindacale, di quello della scuola, delle forze politiche con i loro amministratori.

Maria Grazia Daniele e Mario Calbi sono gli amministratori che localmente, nel loro ruolo di assessori, la prima in Provincia (Ente che aveva competenza anche sugli ospedali psichiatrici) e il secondo in Comune, svolgevano il compito di capofila per questo grande progetto che vide nascere nel corso del tempo consultori familiari, centri di assistenza domiciliari per anziani e disabili, progetti di rientro in famiglia o di affidamento per i minori, l’inserimento degli handicappati nelle scuole e nei luoghi di lavoro di tutti.

Un progetto fondato su una forte rete di cui gli Enti locali assumevano il coordinamento e la direzione strategica, avvalendosi del confronto costante con la Consulta Comunale e provinciale per i problemi dell’handicap e con tutti i soggetti tecnici e gestionali coinvolti.

Si passava così dal controllo repressivo all’aiuto emancipativo, da un concetto di assistenza, confuso anche nel settore pubblico con la beneficenza o la carità, a un’idea di servizi sociali come pieno riconoscimento dei diritti di tutta la collettività e non solo delle fasce deboli ed emarginate. Ricorda Mario

Calbi, allora assessore ai Servizi sociali in Comune:

«Lo scontro culturale era netto e le scelte che venivano prese potevano essere su di un fronte o su quello opposto. Inizialmente noi non propendevamo per la soluzione cooperativa, ma per l’intervento pubblico attraverso anche il decentramento verso le istituzioni locali e in quel periodo noi eravamo culturalmente egemoni, guardavano a noi per sapere che fare. Abbiamo potuto poi trasferire a livello istituzionale questa esperienza, ho lavorato in grande sinergia con Enrico Montobbio e Maria Grazia Daniele e abbiamo ottenuto grandi risultati che hanno spaventato gli avversari, abbiamo vinto anche sul terreno generale di sviluppo della democrazia e della redistribuzione delle risorse alle fasce sociali più deboli».

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Nel 1975 Montobbio trasferiva alla Provincia la sua esperienza di neuropsichiatra infantile, maturata nelle scuole speciali comunali, su invito proprio di Maria Grazia Daniele che, profondamente toccata dalla scoperta della condizione di vita di reclusi senza colpa dei piccoli ospiti del brefotrofio dell’IPPAI, ha bisogno di specialisti preparati e motivati da questa nuova visione per scardinare non solo quelle sbarre, ma anche quelle della disabilità:

«Un giorno nella primavera del 1978, Montobbio viene nel mio ufficio. Solitamente bussa alla porta e contemporaneamente mette dentro la testa, non ti dà neanche il tempo di dire avanti. La sera prima aveva parlato lungamente con suo fratello Paolo, impegnato come specialista nell’organizzazione del lavoro all’Italsider1. Paolo aveva confermato la convinzione del fratello: in un’azienda c’è sempre un’area di lavoro, un piccolo posto dove il ritardato mentale, colui che comunemente viene definito handicappato psichico, può lavorare. Enrico me ne parla in modo convincente, sa che con me non può usare quei terribili termini tecnici che solitamente adopera quando si trova tra pari, con tecnici come lui. Mi deve spiegare tutto, senza dare nulla per scontato. Io ne resto affascinata, colpita, incredula».

Enrico Montobbio costituiva e formava, con un gruppo di operatori atipici all’interno della allora USL2, il Centro studi per l’inserimento lavorativo degli handicappati, che muoveva i primi passi nel 1977 come iniziativa formativa che successivamente si trasformerà in mediatoria:

«Il Centro Studi formalmente non esisteva, è stata una mia invenzione a seguito della esistenza di un nucleo di persone produttore di iniziative per le quali ho pensato fosse necessaria una forza istituzionale più accentuata rispetto ad essere semplicemente un braccio della USL».

1 La stesura del progetto complessivo di integrazione lavorativa dei disabili si è resa possibile grazie anche al contributo del dott. Ezio Parodi dell’Ufficio Studi dell’Italsider.2 Sino alla riforma del Servizio Sanitario Nazionale del 1992, la competenza sanitaria sul territorio era demandata alle Unità Sanitarie Locali (USL), matrici delle attuali ASL.

Nella necessaria (e non semplice, tutt’altro) opera di mediazione, tra le esigenze delle imprese e la soggettività degli assistiti, le loro competenze, le loro possibilità professionali, Montobbio è affiancato dallo psicologo Carlo Lepri:

«Abbiamo costruito una metodologia inserendoci in spazi di sperimentazione ancora possibili, oggi vince il pensiero economico, allora invece si faceva ciò che era nell’interesse delle persone […]. Le persone disabili erano quelle figure attraverso le quali segnare il cambiamento: gli ultimi diventavano i primi».

Cofondatrice del Centro e braccio destro di Enrico Montobbio al pari di Carlo Lepri, Gabriella

Papone, psicologa, inizia la sua attività di inserimento lavorativo dei disabili nel 1975: la concluderà nel 2009 con qualche rimpianto, dice, ma definisce l’esperienza bella, interessante e ricca. La sua intensa attività la vede anche maturare diverse esperienze politiche e amministrative come consigliere e assessore del Comune di Genova,

presidente e consigliere di amministrazione di varie IPAB genovesi, anche questa svolta con serietà e spirito di servizio. Ultimamente presta la sua attività di socia volontaria presso la cooperativa la Bottega Solidale che tutti voi conoscete, immagino.

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Francesca Marini anch’essa psicologa, stava già seguendo altri progetti in qualche modo simili:

«In quel periodo c’era anche la Scopa Meravigliante che gestiva soltanto persone con problemi psichiatrici; noi invece, grazie al Centro Studi, potevamo occuparci anche di altre fasce deboli, handicap motorio, disagio sociale, insufficienza mentale con un orizzonte di inserimento molto ampio. Il nostro obiettivo non era solo collocare le persone ma soprattutto trovare un contesto lavorativo in cui si potessero integrare e realizzare compatibilmente con le proprie caratteristiche»3.

Giacinto Botto, invece, è un educatore proveniente dall’ANFFAS, dove si era occupato di laboratori protetti, prototipo di formazione da cui gradualmente si passò a nuove metodologie: i percorsi di formazione in situazione si affermarono come esperienze in grado di offrire l’opportunità di sperimentarsi in più contesti produttivi e socializzanti, per consolidare le autonomie e le competenze di base:

«Questo tipo di inserimento presentava maggiori difficoltà di quello tradizionale del singolo inserimento in azienda del disabile che veniva affidato all’azienda stessa e trovava sempre nei colleghi aiuto e attenzione. Con questo progetto la sfida era seguire direttamente e organizzare il lavoro dei ragazzi, far sì che potessero svolgerlo quasi in autonomia magari in un ambiente non protetto».

Tale nucleo originario si strutturò nell’ambito istituzionale della Provincia, per volontà e scelta dell’allora assessore provinciale (poi senatrice) Maria Grazia Daniele, che ritenne prioritario affrontare gli aspetti successivi all’integrazione scolastica, aperta dai primi inserimenti nel 1977.

3 La Scopa Meravigliante, cui saranno affidati i servizi di pulizia e manutenzione della struttura ospedaliera, nasce all’interno dell’Ospedale psichiatrico di Genova Quarto nel 1983, per opera di infermieri, medici e degenti.4 The Genoa Model˗integration of mentally disabled Youths, in Cedefop-European Centre for the Development of Vocational Training, New semi-sheltered forms of employment for disabled persons: An analysis of landmark measures in the Member States of the European Communities, a cura di Erwin Seyfried e Lambert Thibault, April 1989, p. 403 e ss. [traduzione nostra]. Lo studio empirico, di straordinario interesse, è fondato su una dettagliata descrizione e comparazione delle più significative esperienze di reinserimento lavorativo in ambiente protetto di soggetti svantaggiati nei dodici Paesi membri dell’allora Comunità Europea.

Per la disabilità psichica la strada era ancora da segnare: la legge sul collocamento obbligatorio (L. 486/1968) offriva una ridotta tutela solo ai disabili fisici, ed inevitabilmente il processo di integrazione subiva una caduta proprio nel momento dell’uscita dalla scuola. La sua naturale prosecuzione sarebbe stato l’inserimento nel mondo del lavoro ma l’unica possibilità per i ragazzi allora erano i laboratori protetti che, come quelli gestiti dall’ANFFAS, svolgevano molteplici attività che, per la cultura esclusiva dell’epoca, non riuscivano a dare reali sbocchi lavorativi alle persone.

Quello che si stava realizzando era un modello originale di intervento (Genoa System), che troviamo descritto come Genoa Model

4 in un pionieristico studio comparato del Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale (CEDEFOP):

«Le esperienze realizzate a Genova nel contesto dell’inserimento di giovani handicappati mentali costituiscono un nuovo tentativo per colmare la lacuna esistente tra scuola e mondo del lavoro. Si tratta di un progetto integrato di formazione professionale e di impiego in un contesto di forte sviluppo di nuove strutture e di dettagliati concetti didattici. Il progetto di Servizio Addestramento Lavorativo e di Servizio Inserimento Lavorativo Handicappati dell’’USL 12 è stato creato nel 1977. L’obiettivo è l’inserimento completo degli handicappati mentali nella sfera normale dell’impiego. Misure individuali di supporto e stage nelle imprese preparano il passaggio al lavoro, in tutti i settori del sistema produttivo: officine, banche, artigianato e servizi pubblici. Questo modello dispone di una struttura di organizzazione molto elaborata».

Il Centro Studi, infatti, teorizzava e metteva in atto

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un metodo basato sulla mediazione tra le esigenze delle imprese e la valutazione della persona, delle sue caratteristiche e la valorizzazione delle stesse attraverso le borse lavoro: metodo che in un paio di anni ha portato l’inserimento di 50 persone (che saliranno a 800) con disabilità intellettiva nel mondo del lavoro, naturalmente ben diverso dall’attuale.

Per portare a compimento questo processo di innovazione sono occorsi circa 20 anni, ma tale metodo si è diffuso a livello nazionale e internazionale, sorretto dall’iniziativa e dalla dedizione di un gruppo di lavoro di tecnici, amministratori, rappresentanti sindacali e datoriali, dirigenti delle prime cooperative sociali.

Tra la fine dei settanta e la prima metà degli anni ottanta cominciano a nascere anche in Liguria le prime cooperative di solidarietà sociale: sono associazioni di ispirazione laica e cattolica, che iniziano a elaborare progetti sul piano occupazionale, diventando in seguito sempre più numerose e produttive5.

Le iniziative si moltiplicano, sorgono cooperative sociali nel genovesato e nel savonese. Esperienze successive dimostreranno quanto la forma cooperativa, en lontana dal dipendere da sovvenzioni o appalti della pubblica amministrazione, fosse in grado di affermarsi a Genova e in Liguria come fenomeno autonomo,

5 Molte notizie sulle origini della cooperazione sociale e dei servizi di assistenza in Liguria sono in Mario Calbi, Per una storia del Terzo Settore e della cooperazione nei servizi alla persona a Genova e in Liguria (1970-2000), Ames, Genova 2004.

articolato, democratico, imprenditoriale e sostenibile, radicandosi profondamente nel territorio sapendone interpretare di volta in volta i cambiamenti e le esigenze, traducendo in prassi il principio di responsabilità sociale fissato nel 1948 nella Carta Costituzionale.

Io sono una di queste, sono una cooperativa sociale, nasco in questo clima.

Poteva essere un pomeriggio qualsiasi, correva l’anno 1985, durante la solita riunione di coordinamento del Centro Studi presso il SeSI (Servizi Sociali Integrati), la struttura che ospitava bambini abbandonati e che aveva sostituito l’IPPAI, diventando qualcosa di completamente differente. In quella occasione era presente Eugenio Saltarel, funzionario dei Servizi sociali del Comune di Genova che informava i presenti del finanziamento che l’amministrazione comunale aveva deliberato per un progetto di inserimento strutturato destinato a persone disabili: vi erano a disposizione ben tre milioni di lire.

Si iniziò a pensare vorticosamente come utilizzare questi fondi inaspettati e, lentamente, dalla confusione iniziale poco per volta un’idea incominciava a germogliare. Partendo dal presupposto che la disabilità si poteva vincere con attività pratiche che richiedessero una manualità semplice, ripetitiva e facilmente apprendibile, si individuò nel campo dell’agricoltura e della manutenzione del verde la pista da battere più agevolmente.

Sono quattro le menti in cui il germoglio di questa rivoluzionaria idea cominciò prima a crescere e poi a produrre rapidamente buoni frutti. Francesca Marini, ufficialmente coordinatrice del Centro Studi, in realtà una pedagogista con molte idee, alcune pazzerelle; Mauro Ravettino, consigliere dell’ANFFAS, padre di una ragazzina, come si dice adesso, diversamente abile, che riportava tutte le idee o fantasie all’interno di una dimensione di

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Nascita SETTORE VERDE - 1986Nascita SETTORE PULIZIE - 1988, Anffas Genova

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fattibilità e di concretezza, non a caso come uomo di azienda, mi dicono, era sempre in giacca e cravatta; Giacinto Botto, educatore prima dell’ANNFAS e poi del Centro Studi, che aveva lasciato il Piemonte e che alternava le sue passioni, fare attività agricole all’area aperta e accompagnare le persone disabili dal laboratorio protetto al lavoro vero, sul campo.

E naturalmente Domenico Ubaldo Mannoni, direttore del Banco di Napoli, allora presidente dell’AIAS (Associazione Italiana di Assistenza agli Spastici), con una laurea in Medicina presa per poter meglio affrontare i problemi della figlia. Gestiva anche una struttura a Crocefieschi, che si proponeva come punto di riferimento per disabili e emarginati, come un porto e un rifugio dalla solitudine e dalla malattia. Mannoni era fatto così: sempre disponibile a tutto, non diceva mai di no anche di fronte alle esperienze più strane, e per questo, oltre che per la sua esperienza, divenne il presidente del Consiglio di amministrazione che mi diede vita perché con lui si poteva provare, rischiare, fare.

Il loro filo conduttore era nientemeno quello di voler cambiare il mondo, per renderlo più ospitale e condivisibile da tutti, valorizzando come portatrici di possibilità le differenze, che erano anche le loro differenze.

Il mio primo nome fu Ü Rastrellu, per meglio rimarcare l’origine genovese: successivamente reso in italiano perché temevano, a ragione, che per alcuni il dialetto fosse poco comprensibile. Naturalmente come tutti i neonati, ho trascorso i primi mesi della mia vita tra pasti e culla, e, come insegnano gli studi più accreditati in materia di psicologia infantile, la percezione delle distanze e la coordinazione motoria si sono sviluppate in me e si consolidate al sesto mese di vita. Quando sono riuscita a capire che mondo fosse e come dovevo e potevo muovermi al suo interno era già

6 I Soci fondatori della cooperativa Ü Rastrellu sono stati: Giacinto Botto, Carla Paini, Santo (Mauro) Ravettino, Domenico Mannoni, Francesca Marini, Luciano Bruzzoni, Mauro Bafico, Antonio Ventura, Giovanni Di Naro, Massimo Carini, Carmine Pronesti, Maria Grazia Daniele. Il Consiglio di Amministrazione è composto invece da: Domenico Mannoni, Carla Paini (vice presidente), Santo Ravettino, Luciano Buzzoni, Mauro Bafico.

il 1986: anno in cui comincio a muovere i primi passi, anno effettivo della mia nascita al di là di una convenzionale data riportata su un documento. La prima sede del consiglio di amministrazione è stata un bar dove si incontravano, un bar come posto neutro non connotato da alcuna appartenenza istituzionale, dove potevano germogliare idee e fantasie in termini di libertà, senza costrizioni6.

L’unica persona dotata di competenze specifiche è Mauro Bafico, agrotecnico, al quale, in sede di colloquio di assunzione, veniva chiesto più volte se fosse ben consapevole di che cosa volesse dire lavorare in una cooperativa: un ambiente dove non si ha un datore di lavoro, ma si è una parte attiva e partecipe di tutte le lavorazioni. Questa prospettiva non lo aveva né intimorito né preoccupato, anzi lo aveva affascinato e stimolato:

«Mi sono reso conto in tutti questi anni che mi sento molto più appagato, soprattutto sotto il profilo sociale, che se avessi declinato la mia professionalità all’interno di una normale impresa. La soddisfazione di vedere, anche a distanza di tempo, i nostri colleghi speciali integrati e realizzati ha un enorme valore aggiunto rispetto a quello economico della retribuzione. Il mio sogno nel cassetto? Acquisire locali di proprietà dove allestire un vivaio e fare attività sul verde, laboratori. Non riesco a trovare un difetto, noi siamo così nel bene e nel male, la nostra flessibilità per alcuni è spiazzante ma è una caratteristica che ci fa apprezzare».

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I miei genitori sono partiti con tanto entusiasmo, buona volontà e pochi mezzi, eseguendo dapprima lavori presso privati, il più importante dei quali è stato il ripristino del giardino di una villa d’epoca di un noto avvocato genovese. Il lavoro si è rivelato molto impegnativo, sia nella fase dello smantellamento dell’esistente che nella fase della ricostruzione: abbiamo provveduto al rifacimento di una zona orto, una zona giardino con vari impianti di irrigazione, ripristinato una vecchia serra, costruito una legnaia.

Uno dei primi progetti di inserimento è stato realizzato con il settore Giardini e Foreste del Comune di Genova, che aveva accettato la proposta di Montobbio di inserire alcune persone disabili per fare gli aiutanti giardinieri. In seguito si è potuto constatare la produttività di tale inserimento soprattutto dal punto di vista della socializzazione. Successivamente hanno vinto gare di appalto presso gli enti petroliferi: la Erg di Garrone affidò lo sfalcio dell’erba nell’area della raffineria e l’Eni lo sfalcio della fascia tagliafuoco esterna all’area Snam. Nello stesso tempo si è curata la pulizia e

la manutenzione del verde dell’ospedale pediatrico «Giannina Gaslini». Sono stati i primi lavori di una entità veramente importante, si è lavorato su aree di grandi dimensioni con le caratteristiche di un verde industriale, estensivo, però il risultato è stato soddisfacente. Non altrettanto è avvenuto per le aree verdi dell’Aeroporto di Genova, ma non ci si è scoraggiati, nella consapevolezza che anche gli errori insegnano a crescere.

Durante i primi anni la situazione è stata veramente difficile: quando si presentavano le squadre sul luogo di lavoro i nostri ragazzi fragili erano visti un po’ come marziani, la cultura dell’integrazione era meno che agli albori. La prima legge sulla disabilità in Italia risale ai primi anni settanta, quando in Turchia esisteva già da una decina di anni. Era generalizzata una reale ignoranza del problema e pochissime erano le risorse messe a bilancio dagli Enti per le fasce deboli, per giunta frastagliate, erogate per lo più a pioggia senza progetti strutturati sulla gestione dei quali, quindi, non esistevano esperienze precedenti. I soci non disponevano di mezzi, neppure quelli per la rimozione dello sfalcio, non avevano il senso della struttura, della organizzazione: solo un grande entusiasmo e buona volontà, allora hanno fatto cose ad oggi impensabili e, per l’epoca, realmente innovative.

Ne è prova il fatto che nel 1989, compaio nel già citato studio della Comunità Europea come una delle sei sole cooperative italiane a portare avanti progetti di supporto all’inserimento lavorativo di soggetti disabili. Un bel risultato per una piccola realtà come la nostra, e per giunta dopo soli tre anni di vita:

«Si tratta di una cooperativa che esegue lavori di giardinaggio. Nel corso della fase iniziale, la cooperativa era costituita da quattro handicappati e da cinque non handicappati. Ora [1989], sette handicappati sono soci della cooperativa, Ü Rastrellu non accoglie che handicappati mentali. In effetti, l’inquadramento lavorativo e la concezione stessa della cooperativa sono orientate interamente a questa categoria di persone […]. Sino ad oggi, la cooperativa non ha mai beneficiato di sovvenzioni

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pubbliche: i costi dei salari e degli strumenti di lavoro sono finanziati dai profitti della cooperativa. I salari dei cinque impiegati permanenti giungono a un totale variabile tra le 600mila e le 700mila lire al mese. Altri due handicappati frequentano attualmente uno stage pratico della durata di un anno. La soddisfazione degli handicappati dipende molto dalla tipologia di lavoro da effettuare che è, in parte, monotona. Tuttavia, la motivazione resta alta: lavoro stabile, accrescimento dell’autonomia personale, status di socio della cooperativa sono considerati come conquiste essenziali»7.

Lo stesso studio dipingeva una situazione tipicamente italiana, in cui non stento a riconoscermi. Mancando procedure omogenee per tutto il territorio nazionale, e moltiplicandosi le competenze degli enti, ogni cooperativa - si rifletteva - doveva cercare di orientarsi nei labirinti degli uffici comunali, regionali e nazionali, per cercare di ottenere i sostegni (finanziari e non) necessari alla prosecuzione o all’ampliamento dei servizi, anche ricorrendo a tutte le relazioni sociali e politiche disponibili. Ma si sottolineava anche in più punti la validità del modello italiano, e in particolare quello genovese, considerato tra i più avanzati a livello europeo grazie alla pluralità dei soggetti coinvolti nel reinserimento e alla natura stessa, inclusiva, delle cooperative sociali.

7 The Ü Rastrellu Co-operative, in Cedefop, New semi-sheltered forms of employment for disabled persons, cit., pp. 407-408 [traduzione nostra]. Le altre realtà citate nel rapporto sono le torinesi Nuova Cooperativa di Collegno e la Futura di Rivoli, la Cooperativa Arcobaleno di Bentivoglio (BO), la Cooperativa Il Posto delle Fragole di Trieste e la fiorentina La Tinaia.

Dopo un primo faticoso periodo guidato da una forte motivazione e molta improvvisazione, vi fu una battuta di arresto: ci si rese conto che mancavano le competenze per costituire una vera e propria impresa. Esistevano buone capacità commerciali, ma scarsa professionalità: i soggetti coinvolti erano in grado di svolgere lavori semplici, manutenzione di facile esecuzione, ma non grandi impianti.

I successi raggiunti sino a questo punto erano molti, e per giunta ottenuti con sforzi incredibili, data la difficilissima situazione occupazionale in cui versava allora Genova. Il processo di deindustrializzazione, avviato ormai da tempo, aveva sostituito un quadro di grandi industrie dotate di una pur relativa stabilità occupazionale, con un tessuto di piccole-medie aziende ad alta intensità di capitale e caratterizzate da un numero limitato di addetti.

Tra gli imprenditori che si sono adoperati in questa direzione conservo un ricordo particolarmente forte di Orazio Brignola, sia per il ruolo avuto, quale vice presidente dell’Associazione Industriali, di facilitatore di relazioni con questo mondo (tanto che oggi è ancora ricordato come l’imprenditore delle

cooperative sociali), sia perché abbiamo svolto per un breve periodo una attività presso il suo colorificio:

«Giovane imprenditore, mi adoperavo per cercare di inserire le persone nelle aziende conosciute, ma fondamentale è stata anche la mia esperienza da capo scout applicata nelle riunioni con i responsabili della cooperativa, attraverso una organizzazione volontaristica in cui era fondamentale lo spirito di servizio».

La sfida consisteva nell’adeguare al tessuto economico esistente le esigenze di stabilità e continuità che costituiscono parte integrante del percorso di inserimento lavorativo dei soggetti disabili. Percorso non semplice, nel quale si metteva in gioco la mia stessa sopravvivenza: i lavori adatti

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per i nostri soggetti più deboli scarseggiavano, e se non ho chiuso i battenti è grazie a quei soci che con la loro attività di volontariato sono stati i miei principali sostenitori, convinti che questo progetto fosse vincente, che le difficoltà fossero contingenti, e con il contributo di tutti, si potessero superare. Forti di questa convinzione erano anche le famiglie e le associazioni come AIAS e ANFFAS, con le quali si lavorava stabilmente, in stretta simbiosi.

Nella stessa situazione si sono trovate le altre cooperative che, come me, orbitavano intorno alla Federazione Regionale Solidarietà e Lavoro, nata per volere di don Piero Tubino, del mondo sindacale rappresentato da Giorgio Pescetto, Giuliano Giuliani, Sergio Schintu, con il contributo di Legacoop attraverso Alessandro Frega, di Confcooperative attraverso Valerio Balzini, di Confindustria con Orazio Brignola. Per le cooperative, sia quelle di solidarietà sociale, prevalentemente di area cattolica, sia quelle integrate o di lavoro sociale, divenne un punto di riferimento fondamentale. Soprattutto perché, per la prima volta, si cercava di valorizzare e mettere in rete esperienze che costituivano ancora un settore di nicchia, con numeri contenuti e un approccio ispirato da una cultura assistenziale ancora generalmente dominante.

La Federazione quindi muoveva i primi passi come gruppo di auto-aiuto tra giovani imprenditori cooperativi con limitate conoscenze sia di cooperazione che di impresa e provenienti da esperienze diverse, che trovavano al loro fianco persone dotate invece di competenze professionali

e della volontà di condividerle: insieme hanno dato la spinta di avvio alle prime cooperative.

La ricerca delle competenze ed esperienze adeguate a sostenermi, intrapresa in particolare da Francesca Marini e Giacinto Botto, affinché le persone che si trovavano a camminare insieme lungo questo difficile percorso non fossero costrette le une a tornare nei propri uffici, le altre nel loro mondo a parte, doveva ora guidarmi dall’infanzia all’adolescenza.

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dal 1989 al 1998

PARTE SECONDA

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Nascita SETTORE AMBIENTE - 1998

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Francesca e Giacinto quindi si impegnano in una attività di ricerca con l’obiettivo di individuare persone che possano risollevare e cambiare le sorti della cooperativa (che sembrano segnate verso un percorso di chiusura) e, una volta certi che questo percorso consenta di portarmi a una crescita, passare loro il testimone rimanendo dietro le quinte a osservare, pronti a intervenire in caso di bisogno.

Alcune figure che possono aiutarmi a ripartire vengono individuate all’interno della cooperativa CSTA che dal 1980 si occupa di trasporto dei disabili svolgendo questo servizio con un approccio rivoluzionario, che consiste non più nel trasporto collettivo attraverso pulmini, ma bensì individuale, personalizzato.

All’interno di essa si rende particolarmente disponibile a darmi una mano un giovane socio, Roberto Perugi, che non solo aveva già alle spalle una buona esperienza, ma che ha sviluppato una particolare sensibilità nei confronti di questo mondo poiché vive in famiglia una situazione di disabilità.

Come socio della CSTA, all’interno di Is.For.Coop, Roberto segue e coordina corsi di pre-orientamento al lavoro rivolti ai ragazzi disabili per far sì che si rendano conto di cosa significhi il lavoro prima che vi vengano inseriti e per abituarli all’ambiente stesso. Aveva svolto attività di accompagnamento e di assistenza presso l’associazione Vidoni (ora Fa.Di.VI, Famiglie Disabili Vidoni), e di coordinamento dei ragazzi durante il periodo estivo. Non aveva una preparazione di tipo manageriale, anzi, una formazione soprattutto sviluppata sul campo, come in allora tutti gli operatori di questo genere, ma con l’aiuto della squadra del Centro Studi e del presidente Mannoni cerca di acquisire le competenze necessarie e si unisce ai lavori già in corso.

Nella cooperativa in cui lavorava si era sviluppata una apertura mentale e strategica rispetto al

mondo della cooperazione di tipo B e quindi all’inserimento lavorativo, inoltre ricorda Renato

Vitale, presidente della CSTA:

«Lavorava bene e con grande interesse verso il settore, tanto che aveva avanzato la richiesta a me ed al Consiglio di Amministrazione di rivestire un incarico di un certo rilievo, voleva agire con una certa autonomia, cosa che non faceva parte della cultura gestionale dell’epoca in quanto il ragionamento era soprattutto incentrato sul lavoro collettivo».

In quel periodo eravamo veramente in pochi: una squadra con tre ragazzi disabili che si occupa delle pulizie dei viali dell’Ospedale pediatrico Gaslini e Caterina Trovato, sorella di Agata di cui vi parlerò più avanti, che svolge le pulizie presso il Comune di Bogliasco. Uno dei soci fondatori, Mauro Bafico, si era preso una pausa di riflessione e stava lavorando in una serra, nonostante questo la nostra sede legale è sempre presso la sua abitazione. Roberto un paio di volte a settimana si reca da lui per ritirare la corrispondenza, Mauro gli chiede come stanno andando le cose: «Si sta presentando l’occasione per acquisire una commessa di lavoro presso un importante ospedale genovese – risponde Roberto – te la senti di rientrare?». La risposta è un sì e così ritorna un elemento molto importante per ridare vita al settore del verde; ricorda Roberto:

«L’obiettivo era quello di verificare se una cooperativa di solidarietà sociale fosse in grado di rispondere a quella domanda che il servizio pubblico non era più in grado di soddisfare, sia per un sempre crescente quantità della domanda, sia per l’emergere di nuove utenze conseguenti al sorgere di nuove problematiche e fragilità: non ci dimentichiamo che alla fine degli anni ottanta stava emergendo pesantemente il problema delle tossicodipendenze».

LA RIPARTENZA

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Matura quindi la convinzione e la decisione di dover lavorare in modo diverso, puntando sulla formazione: ciò significa far nascere un gruppo dirigente professionalmente preparato e allo stesso tempo inserire fasce deboli adeguatamente formate.

Questo è il momento che amo definire la Ripartenza, il 1989.

Ripartenza nella consapevolezza che non sia sufficiente avere al proprio interno le fasce deboli per acquisire lavoro: la priorità è avere una buona professionalità che consente di ottenere gli spazi per far lavorare questi soggetti.

Ripartenza nella consapevolezza che c’è qualcuno che si siede accanto a te mentre sei stanca e scoraggiata, ti porge una mano, ti aiuta a rialzarti e, una volta in piedi, ti mostra la direzione verso la quale andare poiché lui ha già le idee chiare.

È consapevole che il percorso sarà difficile, ma è altrettanto consapevole che, insieme, sarà più facile superare gli ostacoli che ci troveremo davanti.

Ho afferrato la mano che allora Roberto mi ha porto e l’ho sempre stretta forte, non l’ho mai lasciata, ugualmente lui non ha mai mollato la presa e ha continuato a guidarmi sino all’oggi in cui io sono grande e lui è il nostro Presidente. In tutti questi anni molte sono le persone che si sono unite al percorso, formando così una vera famiglia cooperativa. Ascolterete le loro storie.

Nell’entusiasmo della ripartenza si sviluppano anche progetti su possibili rami di azienda, uno tra questi la produzione di strutture base per corone da morto in paglia che vengono confezionate in un centro ANFFAS e distribuite dai soci: le portano in giro su un vecchio pulmino Fiat 850 che aveva fornito il Comune e, dopo che questo prende fuoco, con l’auto di Roberto.

Ripartiamo poi occupando una vera sede, è piccola anzi direi angusta, condivisa con CSTA sino al 1994: noi al piano di sopra, loro al piano di sotto. Non è esattamente in centro, è in via di Fassolo, un caruggio della zona di Dinegro, ma è una sede a tutti gli effetti e anche questo si rivela una grande spinta che aiuta la ripartenza.

La sfida vera consiste nel mantenere fortemente la doppia mission: da un lato professionalità e capacità organizzativa, sensibilità nel far lavorare persone con handicap e dall’altra l’inserimento lavorativo di persone senza difficoltà specifiche.

Questa sfida è condivisa da altre cooperative e cooperatori che hanno come guida e punto di riferimento la Federazione Regionale Solidarietà e Lavoro nata l’anno prima. Nel 1989 nasce dalla stessa Federazione la cooperativa Solidarietà e Lavoro su un progetto del Comune, mentre la Scopa Meravigliante, come ho detto, già operava dal 1983 sulla base di un progetto legato all’ospedale psichiatrico di Quarto.

All’interno della Federazione sono realtà ormai consolidate e da tempo operanti le cooperative che si occupano di disagio giovanile, in particolare legato al fenomeno delle tossicodipendenze che, comparso e dilagato all’interno delle società occidentali negli anni settanta, in questo decennio rampante ormai al tramonto assume la consistenza di fenomeno di dimensioni e gravità tali da richiedere interventi coordinati su più fronti. Non solo quello legislativo da parte dello Stato ma anche quello delle associazioni (con le Comunità terapeutiche) e quello sanitario, per affrontare ciò che aggravava ulteriormente le conseguenze dell’assunzione di droghe: il contagio da HIV.

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Troviamo quindi cooperative come la Cicala, nata da AFET (Associazione Famiglie per la lotta contro l’Emarginazione giovanile e la solidarietà ai Tossicodipendenti) e soprattutto il Centro di Solidarietà di Genova nato nel 1981 come declinazione cooperativa dell’omonima Associazione fondata da Bianca Costa e da un gruppo di volontari già nel 1973 e diventata, insieme alla sua ispiratrice e fondatrice, un punto di riferimento fondamentale nella realtà genovese al pari della Comunità di San Benedetto al Porto.

A rappresentare il Centro al tavolo della Federazione troviamo Sergio Rossetti che, con una formazione da psicologo, così inizia la sua attività di volontario prima e cooperatore in seguito, esperienze che si riveleranno fondamentali nel ruolo di assessore comunale ai Servizi Sociali e alla Sanità che rivestirà dal 1993 al 2002:

«L’unica tessera che conservo è proprio quella del CEIS: ho vissuto il fenomeno del sorgere della cooperazione sociale in una prima fase che poi ha trovato il suo punto di sintesi nella legge 381. È stato un fenomeno nazionale, ma su questo territorio ha avuto una forza propulsiva straordinaria grazie al connubio tra persone intelligenti provenienti da esperienze diverse confluite nella Federazione. Era anche l’epoca dei grandi talenti: Tea Benedetti, Bianca Costa, Don Gallo, Eddy Forlani che costituisce l’UCIL (Ufficio Coordinamento Inserimenti Lavorativi). Un grande lavoro del volontariato, persone illuminate, diversificate che parlavano lo stesso linguaggio, allora c’era una reale voglia e predisposizione alla partecipazione da parte di tutti i soggetti coinvolti nelle varie questioni».

Anche Genova Insieme vede la luce e aderisce alla Federazione: nasce a seguito del rinnovo delle concessioni legate allo stadio «Luigi Ferraris» e va a sostituire l’Amiu (la società partecipata dal Comune di Genova per i servizi ecologici) nell’attività di pulizia della struttura. È costituita in misura equa dai tifosi di Genoa e Sampdoria; del progetto si occupa il

1 Sono alcuni dei quartieri di edilizia popolare sorti nei primi anni ottanta sulle alture del ponente genovese.

giovane consigliere comunale Mario Tullo:

«Furono fatti inserimenti lavorativi non solo strettamente legati al malessere della curva: io, come è noto, conoscevo bene una delle due curve [quella del Genoa, nda] e sapevo ciò che vi era di negativo, ma anche di fortemente positivo».

Con la Federazione si avviano progetti importanti, alcuni dei quali ancora esistenti, come quello legato ai parchi cittadini che a tutt’oggi gestisce Solidarietà e Lavoro, svolgendo attività di apertura e chiusura cancelli, servizi di vigilanza e sicurezza, di pulizia e piccola manutenzione del verde. E come l’attività, svolta invece da noi, di pulizia scale di quartieri critici come Begato, il CEP, le Lavatrici1.

Agli inizi degli anni 90 si ritrovano all’interno della Federazione quelli che definirei dei Probi Pionieri, tutti più o meno coetanei, tutti capitati un po’ per caso nel mondo della cooperazione che solo poco dopo sarà istituzionalizzata come sociale. Nel dicembre 1991 viene approvata infatti la legge 381, che riconosce le cooperative sociali «che hanno lo scopo di perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini». Tali cooperative, che d’ora in poi si chiameranno di tipo B, sono considerate la vera innovazione della legge: intrecciare l’aspetto pubblico con il privato sociale, con obiettivi efficaci e sostenibili sul piano dell’occupazione di soggetti svantaggiati, si rivela una sfida di non poco conto.

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Nella scalata intrapresa per raggiungere l’ordinamento giuridico ed essere riconosciute dalla legge, le difficoltà incontrate erano molte. La mancanza di riconoscimento giuridico equivaleva di fatto all’assenza di fondi: condizione che non lasciava altra strada se non quella dell’autofinanziamento, con risorse proprie generate dalle attività o con il contributo di donatori che sostenevano i progetti, primi esempi di fundraising.

Non tutte le cooperative però ripartono, anche la CSTA vive un momento di reale difficoltà dal quale poi si riprende. Roberto, dopo aver trascorso un anno a Ü Rastrellu distaccato da CSTA e dopo un periodo di aspettativa, passa in termini definitivi a far parte del mio gruppo di lavoro. Ciò voleva dire mettersi in gioco, rischiare personalmente e rinunciare per un anno a una situazione facile e comoda e ad un minimo di reddito sicuro. Decide di fare l’imprenditore sociale buttandosi in questa avventura con anima e cuore.

Diventa quindi il Direttore che, nel nostro caso e in questo periodo, voleva dire soprattutto dirigerci verso la strada giusta nelle piccole e nelle grandi scelte ma anche svolgere qualsiasi mansione necessaria, anche la più semplice, per mantenere insieme a tutti costante il percorso e certi gli obiettivi.

E proprio grazie a tutto ciò che, benché ancora piccola, in questo periodo cresco ben strutturata e sana.

Angelo Bodra, allora socio operante in Solidarietà e Lavoro e attuale presidente del Consorzio Progetto Liguria Lavoro ha di me un ricordo che mi emoziona:

«In tutto questo panorama il Rastrello è stato uno dei protagonisti perché l’unica cooperativa che lavorasse nel settore del verde, settore storico dell’inserimento lavorativo, ma che in Liguria non aveva mai trovato grandi sbocchi; loro però avevano già in quegli anni un orientamento imprenditoriale verso la specializzazione, la qualificazione delle competenze che era raro trovare altrove. Guardando in prospettiva verso il futuro, secondo me le cooperative devono continuare a perseguire il tema della specializzazione, delle competenze al proprio interno in quanto fondamentali in una logica di mercato e competizione e sono la componente che garantisce la sopravvivenza dell’impresa e la conseguente attività di natura sociale. Fondamentale poi, secondo me, provare ad innovare il modo di essere, aprendosi a tutte le possibili collaborazioni, guardando con occhi nuovi perché i modelli tradizionali stanno un po’ soffrendo e in questo vedo una certa resistenza che deve essere superata basata forse sulla paura, sul chiudersi sul conosciuto».

Si aprono quindi ulteriori prospettive e opportunità di lavoro e l’occasione per un ulteriore momento di crescita. Nel 1992 la legge 381 diviene realmente operativa e, grazie anche alla definizione del quadro giuridico in cui muoversi, la mia attività si apre al settore delle pulizie, civili e industriali. Se ne occupa inizialmente Ennio Repetto che, dopo il volontariato in parrocchia, il servizio civile presso la Caritas e due anni di lavoro presso la CSTA, entra per tre anni a far parte della mia squadra:

«Sfidante la necessità di coinvolgere i colleghi nell’affrontare il lavoro quotidiano che di solito nelle altre aziende viene affrontato da persone normodotate. Entusiasmanti i risultati ottenuti nell’inserimento lavorativo di tante persone, nel rapporto di fiducia e stima con tutti i lavoratori. Un bagaglio di esperienze, sotto tutti i punti di vista della sfera umana, profondo ed indelebile».

Nel corso di quest’anno fa il suo primo ingresso anche Valerio Risso che, fresco di laurea in Giurisprudenza, è alla ricerca del suo primo impiego, ma il periodo non è certo dei migliori,

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anzi. Roberto gli propone di sostituire una persona che seguiva i ragazzi del centro ANFFAS di Mignanego impegnati, presso il colorificio Brignola, a realizzare i cosiddetti decimini, piccoli barattoli di vernice da ritocco.

Valerio accetta anche se si tratta di una realtà che gli è quasi estranea: purtroppo non fa in tempo ad iniziare l’attività che l’alluvione devasta il colorificio

e questo impedisce il proseguimento del progetto. Brignola ci chiede una mano a ripulire la fabbrica per cercare di fare ripartire l’attività, quindi Valerio e alcuni ragazzi dell’ANFFAS si rimboccano le maniche e danno una mano. È stata una bellissima esperienza, anche se organizzativamente sicuramente non semplice, impegnativa per i ragazzi, un po’ preoccupante per le loro famiglie: ma ce l’hanno fatta e possono così proseguire il

lavoro con alcuni ragazzi per circa dieci mesi. Sia io che Roberto pensiamo che questa esperienza non sia stata importante soltanto sotto il profilo valoriale, ma che, attraverso la persona di Orazio Brignola e il suo ruolo in Confindustria, siamo riusciti a infrangere un luogo comune secondo il quale una azienda che impiega al suo interno fasce deboli come una cooperativa sociale, abbia capacità e competenze limitate e per questo degna di attenzione solo per solidarietà e un certo pietismo. Nel corso del tempo siamo riusciti a sdoganare l’assunto che anche una realtà come la nostra può sviluppare capacità organizzativa, competenze e professionalità al pari di una tradizionale impresa di mercato.

Durante i mesi estivi Valerio coordina un gruppo che si occupa dello spazzamento dei viali del Gaslini. Al suo interno il livello di problematicità è molto elevato ma altrettanta la soddisfazione alla conclusione di un lavoro che due persone normalmente abili avrebbero svolto meglio e più rapidamente: tra questi c’è Antonio Ventura, il primo socio appartenente alle fasce deboli che lavora ancora con noi, testimone di come si può diventare una impresa competitiva mantenendo alta l’attenzione verso i colleghi speciali e il valore che portano al nostro interno.

La Federazione Regionale nei confronti delle nascenti cooperative svolge a pieno titolo il proprio ruolo genitoriale di aiuto alla nascita e alla crescita ma anche quello di guida e sostegno nei momenti di difficoltà e crisi. In questa condizione si trova la cooperativa Televita che fornisce un servizio di call center per utenti di dispositivi di telesoccorso, quindi persone in difficoltà (disabili in carrozzina) forniscono un aiuto a persone con altre difficoltà. Questa condizione, tecnicamente diversa sebbene umanamente uguale, crea veri rapporti umani al di là dei momenti di emergenza: i ragazzi chiamano gli anziani anche con il solo obiettivo di tener loro compagnia.

Televita ha proseguito così per un paio di anni, poi è stata assorbita nel Consorzio Agorà a cui passa anche Valerio, che si occupa di gestione del

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Messa in sicurezza - Parchi di Nervi

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personale nel settore della assistenza ad anziani e disabili, un comparto nuovo per il consorzio. Dopo solo un anno di attività, nel 1993, il settore delle pulizie è in piena crescita, tanto che Ennio è alla ricerca di ulteriore personale. Agata Trovato lo viene a sapere tramite la sorella, che già lavora con noi, e non si fa scappare l’occasione: è alla ricerca non solo di una opportunità per il suo primo impiego.

Come è avvenuto in questi trent’anni per molti della famiglia del Rastrello, professionalmente Agata è cresciuta qui: ha iniziato a lavorare sino dai primi giorni con le fasce deboli, verso le quali inizialmente ha trovato non poche difficoltà a relazionarsi, soprattutto capire la loro situazione, ma poi l’esperienza ha colmato questo spazio. Nel 1995 Ennio ci lascia e gradualmente Agata lo sostituisce nella gestione del personale; poi in quella del cliente, dei preventivi e delle gare, assumendo di fatto il ruolo di coordinatrice di un settore che all’epoca impiegava quindici persone (oggi sono sessanta), gestendo clienti come l’Acquario di Genova, l’ANFFAS, il Comune di Albisola.

Oggi è la nostra vice presidente:

«Il fatto che una donna rivesta il ruolo di vice presidente verso l’esterno produce ancora un effetto di stupore, mentre all’interno sei vissuta come madre, allo stesso modo il presidente come padre, la cooperativa quindi per me sono i ragazzi: grande la soddisfazione quando riesci ad aiutare la persona ad inserirsi nella società e nel mondo del lavoro, a farlo vivere come persona normale, ad aiutarlo ad affrontare nuovamente la gente. Parimenti grande il dispiacere le rare volte che in questo si fallisce. La cooperativa è la mia famiglia e le fasce deboli sono i miei ragazzi, i sentimenti a volte sono così forti che non riesco a esternare ciò che provo dentro».

Anche Marina Bordonaro è in cerca di lavoro, ha già esperienze nel settore delle pulizie e della ristorazione ma non conosce il mondo delle disabilità se non attraverso amici che lavorano al CEIS, ha ancora un ricordo nitido della sensazione che ha provato i primi giorni: il timore di relazionarsi

con i colleghi disabili, sbagliare e causare loro danni o disagi, non ne conosceva le reazioni. Aveva esplicitamente chiesto che le fosse insegnato, giorno per giorno, come si doveva comportare, perché insieme alla paura di sbagliare sentiva il desiderio di capirli e aiutarli. A tutt’oggi svolge un’attività di coordinamento, è capo settore all’Acquario e vice capo settore in sostituzione di Agata:

«Mi sento bene nella realtà cooperativa, mi piace la parola stessa, la nostra dimensione attuale ci impone spesso un atteggiamento più aziendale, ma il contesto cooperativo penso ci aiuti ancora a mantenere uno spirito di collaborazione e condivisione. Non riesco a non sentirmi coinvolta dalle storie di vita dei ragazzi fragili, io ed altri colleghi prestiamo molta attenzione anche alla loro vita al di fuori del lavoro, alcuni di essi hanno perso i genitori e sono rimasti soli e tra noi si innesca automaticamente una gara di solidarietà, c’è chi si occupa delle pulizie di casa, chi di fargli da mangiare, c’è anche chi ha l’incarico di comprare i calzini».

Il percorso di crescita prosegue costante e i nostri genitori, il team del Centro Studi, ci osservano senza invadenza, con discrezione, ma sono attenti ad intervenire da lontano, se ne rilevano il bisogno. Enrico Montobbio l’anno precedente aveva ritenuto che il neodirettore della cooperativa Roberto Perugi avesse la necessità, nella prospettiva di una crescita della cooperativa che si stava ormai chiaramente configurando, di mettere a sistema ciò che sino a quel momento aveva appreso sul campo soprattutto in materia di gestione delle risorse umane: il direttore frequenta così un corso mirato presso la

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knowledge company RSO S.p.A. dove, non a caso, è docente Paolo Montobbio. Durante quest’anno, invece, parla di noi ad un caro amico, Gino Corte, da poco in pensione dopo una lunga carriera dirigenziale iniziata in Shell, proseguita in IP e conclusasi in Acerbi Fruehauf; gli racconta la nostra storia, i nostri obiettivi ed insieme individuano le nostre necessità ed esigenze. A questo punto Gino decide di mettere a nostra disposizione la sua esperienza e la sua competenza e diventa nostro socio volontario. Si rivela da subito la figura sia dal punto di vista umano che professionale, più vicina a tutti noi: prima ha formato il presidente e poi con lui ha concordato la formazione delle figure più importanti. È stato fondamentale per l’organizzazione e la ottimizzazione dei settori della amministrazione, contabilità, paghe e ha formato e seguito, con grande sensibilità e attenzione verso la loro situazione personale, le ragazze che hanno rivestito questo ruolo. Ci ha seguiti passo passo durante il nostro percorso di crescita, ci ha insegnato una corretta e adeguata gestione delle risorse umane, ci ha insegnato a fare il controllo

di gestione, indicandoci le tecniche e gli strumenti necessari per la pianificazione e controllo che ci potessero guidare per fissare obiettivi e raggiungerli. Era molto gratificato dai buoni risultati che via via emergevano e questa soddisfazione era aumentata dal fatto che noi non perdevamo mai di vista i nostri valori: correttezza e onestà in ogni aspetto del nostro lavoro.

Nel 1994 Roberto rileva come sia ormai forte e non rinviabile l’esigenza di inserire una vera funzione di segreteria, così pensa ad Antonella Vitelli che accompagnava a scuola quando lavorava in CSTA. Antonella viene quindi seguita e inserita con una borsa lavoro attraverso il Centro Studi e qui ha non solo Gino, ma anche Ennio e Roberto stesso come tutors, collabora con Valerio e viene anche distaccata per un periodo di tempo al Call Center del CUP Liguria:

«Se guardo nel passato, vedo una ragazza giovane e inconsapevole di cosa voleva dire lavorare in cooperativa, ho conosciuto persone che non dimenticherò mai per la loro gentilezza e l’aiuto che mi hanno dato nei momenti di difficoltà e soprattutto per la loro amicizia. Il Rastrello è stata la mia seconda famiglia, e come in tutte le famiglie ci si vuole tanto bene e ci si scontra, ma mi manca ancora oggi».

Nel corso di quest’anno il Comune sta valutando se affidare i bagni marini, azienda speciale comunale, a noi cooperative, che nel frattempo eravamo divenute giuridicamente sociali. Per l’occasione si costituisce il Consorzio Progetto Liguria Lavoro, perché questo possibile incarico sembra una sfida troppo grande per una sola cooperativa. Il progetto poi non viene messo in atto dal Comune, ma noi siamo andati avanti ugualmente con il Consorzio, che ha aggregato le altre cooperative sociali perché la vocazione primaria e più forte di questa struttura era proprio quella di riunire tutte le cooperative di tipo B.

Presidente viene nominato Orazio Brignola, Roberto Perugi vice presidente con delega al settore Ambiente e Angelo Bodra direttore. Il Consorzio poi nasce con la adesione alle due centrali

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cooperative e ha la specificità di essere costituito di sole cooperative B, mentre tutte le altre esperienze sul territorio nazionale vedono consorzi di società di tipo A e B, dove le prime prevalevano sulle seconde.

Sarete d’accordo con me quando dico che a questo punto, a sei anni dalla Ripartenza, l’obiettivo di Francesca e Giacinto di traghettarmi dall’infanzia all’adolescenza sia stato pienamente raggiunto.

Ho superato qualche tempesta che mi ha insegnato a navigare, adesso il mare è calmo, il cielo è luminoso e l’obiettivo all’orizzonte è chiaro. Sto seguendo una corrente veloce che il 1° novembre 1995 mi fa approdare insieme a Solidarietà e Lavoro, a bordo della nave ideale del Consorzio, ad uno dei lidi più importanti e prestigiosi della mia città, quello dell’Acquario.

Il risultato di questa lunga navigazione che dura ormai da più di vent’anni è quello che a tutt’oggi vede Solidarietà e Lavoro occuparsi di servizi di accoglienza turistica, mentre noi ci occupiamo delle pulizie e di lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria.

La scelta effettuata dall’allora Costa Aquarium di avvalersi di due cooperative sociali per coprire alcuni servizi all’interno dell’Acquario non è casuale ma corrisponde a una precisa e radicata cultura della famiglia Costa. E che ha trovato in Bianca un forte e determinato capitano, che ha mantenuto il timone sempre verso la medesima rotta: non solo verso l’esterno con la costituzione del CEIS ma naturalmente (e soprattutto) all’interno della famiglia,

2 Sull’azione sociale della famiglia Costa, Cresciamo sorprendendo, da 25 anni, Report integrato 2015, Costa Edutainment, Rimini 2015.

come ci conferma Giuseppe Costa, presidente e amministratore delegato di Costa Edutainment:

«Io sono arrivato nel dicembre 1997 e mi sono occupato di tutta la parte riguardante il personale, quindi ho avuto da subito un rapporto diretto con le cooperative, mentre mio cugino Giovanni Battista è stato uno dei fondatori della cooperativa Solidarietà e Lavoro e quindi seguiva da quel fronte questi progetti».

I Costa nella metà dell’Ottocento nascono come commercianti di olio di oliva nei mercati del nord e sud America con il marchio Dante e all’inizio del Novecento sono già il più importante operatore al mondo nel commercio di questo prezioso prodotto. Negli anni trenta iniziano l’attività armatoriale sino ad arrivare, nel 1986, a fondare la Costa Crociere; nel 1993 nasce la Costa Aquarium che nel 1997, per la volontà di alcuni membri, diviene la Costa Edutainment che attualmente gestisce dodici strutture tra musei, parchi divertimenti, bioparchi e acquari.

Nonostante queste dimensioni, i principi guida che ne orientano l’azione imprenditoriale si declinano in valori tradotti in una grande attenzione alla persona, creando un ambiente di lavoro collaborativo improntato alla sua valorizzazione sino al punto di riconoscerci, all’interno di uno dei contratti di servizio stipulati, una cifra che avremmo dovuto destinare in modo specifico alla formazione. Anche noi crediamo fermamente nella formazione nella convinzione che essa rappresenti un momento fondamentale per la crescita personale e tecnica, per il rafforzamento e la creazione di una più definita identità lavorativa. Naturalmente il concetto si applica anche, e soprattutto, alle fasce deboli nell’ambito del non sempre facile e piano percorso di inserimento lavorativo, dove il rafforzamento dell’identità è elemento centrale di un cammino che accompagna gli individui a risolvere problematiche che spesso li hanno condotti a forme di disagio2.

Questo è anche il periodo in cui si consolida la

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collaborazione con l’UCIL del Comune di Genova, che dal 1992 gestisce programmi di avvio al lavoro di persone ex tossicodipendenti, giovani tra i 16 e 24 anni in situazione di disagio sociale, clienti del Servizio di Salute Mentale, donne italiane e straniere in difficoltà di ingresso nel mercato del lavoro.

Nato all’interno della Direzione Servizi Sociali del Comune di Genova, dall’autunno 1998 l’UCIL è stato inserito nell’Unità Operativa Politiche Attive del Lavoro all’interno della Direzione Territorio, Mobilità e Sviluppo Economico e Ambiente, in quanto riconosciuto come organizzazione al pari di altre nell’Ente Pubblico, e significativamente impegnata nella promozione di iniziative a favore dell’occupazione3. Ha svolto il proprio lavoro in rete con le varie strutture della Asl 3, quali il Dipartimento di Salute Mentale, con il Centro Studi e Dipartimento Cure Primarie, a cui riconosce di aver rappresentato alla fine degli anni 70 un’esperienza metodologica pioneristica, riconosciuta a livello nazionale nel campo dell’inserimento al lavoro dei disabili. Secondo Milly Palomba, responsabile dell’Ufficio:

«L’UCIL si è occupato sin dagli inizi di inserimenti lavorativi e le cooperative sociali sono sempre state un partner forte. Allora seguivamo una vasta tipologia di casi ma soprattutto persone con problemi di salute mentale e tossicodipendenza, attualmente seguiamo anche soggetti con disagio sociale non legati alla salute. Sino a circa una decina di anni fa, cooperative come il Rastrello riuscivano ad inserire con una certa facilità persone altamente problematiche, adesso con l’inserimento delle cooperative nei meccanismi delle gare, quindi nella concorrenzialità, gli standard si sono elevati notevolmente per cui adesso alcune di esse ci fanno richieste di persone con livello di professionalità elevata. Le cooperative di tipo B rimangono un presidio importante nell’inserimento lavorativo, offrono spazi che nel mercato libero sarebbero impensabili e sarebbe importante che per una certa

3 AA.VV., Riabilitazione psicosociale e inserimento lavorativo. Riflessioni sulla applicazione di un metodo: il Programma Bus, Carocci Editore, Roma 2005, pp. 52-65.4 AA.VV., Riabilitazione psicosociale e inserimento lavorativo, cit., p. 13.

fascia di popolazione certe possibilità venissero rafforzate e ampliate. Inoltre questo genere di inserimenti è vantaggioso sotto il profilo della spesa pubblica in quanto se le persone stanno meglio costano meno. Dopo il periodo rivoluzionario sono seguiti anni difficili, di trasformazione e di passaggio, in cui in cui le cooperative hanno provato a diventare in parte aziende conservando la motivazione di base, situazione che ha portato alcune di esse, sia di tipo A che B, ad emergere sul mercato, a fare un buon lavoro mantenendo appunto la motivazione. È necessario continuare ad insistere, non mollare e proporre al pubblico questa presenza sul mercato che si caratterizza rispetto alle altre aziende e questo il Rastrello lo sta facendo».

All’interno dell’UCIL il programma BUS, il cui nome intende suggerire un tragitto a fermate, di cui ciascuno si avvale a seconda del proprio percorso individuale e dei propri obiettivi di arrivo, è un piccolo gioiello all’interno delle Politiche del Lavoro attuate dal Comune di Genova: piccolo ma prezioso e custodito con molta cura, difeso politicamente dai tagli ai fondi disponibili nella consapevolezza dei grandissimi risultati che porta, delle esperienze, delle competenze e dei saperi che racchiude, dei valori che esprime4. Il progetto è nato in via sperimentale proprio nel 1995 con finanziamenti ottenuti tramite la Legge Regionale 21/88 (Riordino e programmazione dei Servizi Sociali della Regione Liguria).

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Così Monica Gatti e Irene Parmentola dell’equipe raccontano la propria esperienza, che naturalmente ci riguarda da vicino:

«Il progetto è più lungo degli altri, dura 24 mesi e la parte più importante è quella della riabilitazione: si inizia da un monte ore minimo per aumentare coerentemente con i risultati raggiunti passo passo. Con il Rastrello in particolare abbiamo una collaborazione molto forte, offrono parecchie occasioni diverse, con grande flessibilità in termini di mansioni e ore di lavoro, per noi ottimali i settori della raccolta differenziata e del verde».

Devo confessare che il 1995 è stato un anno veramente impegnativo, eravamo circa 30 persone ma occupate e motivate in due settori, il verde e le pulizie, che si stavano consolidando e sviluppando e che producevano un fatturato che attualmente corrisponderebbe a circa 730.000 euro, (oggi in questi settori lavorano circa 150 persone) grazie anche al lavoro svolto in rete con le altre cooperative.

È un momento ricco di idee, stimoli, progetti.

E questo è il periodo in cui si stava formando un progetto che ricordo con grande emozione e che purtroppo non ha avuto lo sviluppo e il respiro che meritava. La colonia agricola di Prato Zanino si trovava all’interno dell’area dell’ex Ospedale Psichiatrico di Cogoleto, costituita da spazi verdi e alcune case coloniche, e versava in una gravissima situazione di abbandono. Eravamo davanti a un’occasione unica di recupero e riutilizzo a fini sociali e terapeutici di un’area significativa nel contesto della Riviera ligure, che già da alcuni anni la comunità alloggio Ospitalità dell’Asl 3, il Centro studi, il Comune di Cogoleto tentavano di difendere dall’incuria e dai tentativi di lottizzazione. Nell’estate del 1994 ci siamo uniti anche noi e nel 1995 ne eravamo pienamente coinvolti.

Questo progetto ottiene un primo finanziamento grazie alla Legge della Regione Liguria 21/1988 ed un secondo attraverso il progetto CEE Horizon/Auriga

presentato con il supporto dell’istituto di formazione

Is.For.Coop e condotto in collaborazione con gli ospedali di Utrecht, Cardiff e Tenerife.

Due gli obiettivi: il ripristino delle strutture murarie e la pulizia delle zone da coltivare, dell’uliveto e la creazione di un comprensorio terapeutico per il superamento dell’emarginazione dei degenti dell’ex ospedale psichiatrico che si sono appropriati, per la prima volta, di un concreto ruolo lavorativo e integrati con i nostri lavoratori. Quella che sembrava l’utopia di un gruppo di operatori ha cominciato con il diventare un’incredibile realtà, nella consapevolezza che si possa dare contemporaneamente dignità alle persone e al territorio. Sono state liberate le zone da coltivare e la stalla è stata resa agibile, con la comunità montana Argentea sono stati ripristinati alcuni sentieri, si era pensato di organizzare un agriturismo, culture biologiche e percorsi naturalistici, la fattoria con gli animali, la produzione dell’olio.

Non potrebbe essere più vivace ed esemplare il racconto di Emiliano Musso, socio appartenente alle fasce deboli a causa di una invalidità fisica, che, dopo il diploma di perito agrario, lavora per un periodo facendo le letture dei contatori del gas e successivamente aiutando il padre in falegnameria. Rifiutatosi di fare domanda in Comune, come consigliato da molti per avere un lavoro sicuro e stabile, porta il suo curriculum da noi e, dopo non molto tempo, viene assunto:

«Iniziai a lavorare al progetto nel 1998. Non mi dimenticherò mai del mio primo giorno di lavoro, si festeggiava il compleanno di Roberta, 40 anni

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di cui 38 trascorsi tra IPPAI e manicomio: con la prima borsa lavoro si comprò 40 paia di mutande perché voleva le sue, ma il servizio di biancheria era comune e quindi venivano distribuite a caso. Questo fa capire cosa significa avere dei problemi e, a causa di questi, non avere l’opportunità di scegliere qualcosa nella vita. Purtroppo il progetto si interruppe quell’anno stesso essendosi esauriti i finanziamenti. Quello successivo consisteva nella mediazione della cooperativa tra carceri e operai del Comune: io avevo 6 detenuti del carcere di Marassi con i quali effettuavo pulizie di ville, giardini e spazi pubblici. Ricordo che la prima mattina avremmo dovuto riordinare il cortile di una scuola: arriva il pulmino della penitenziaria davanti l’edificio e fa scendere i carcerati, la conseguenza è un fuggi fuggi generale delle madri con i bambini. Il servizio fu interrotto e venne successivamente ripreso con l’accortezza di non far coincidere gli orari di ingresso a scuola e di arrivo del personale. Sicuramente penso di aver contribuito con il mio impegno e con l’obiettivo di creare uno spirito comunitario di lavoro, solidarietà e partecipazione rispetto anche ai valori della cooperativa e al lavoro legato al reinserimento, un valore aggiunto, una cosa diversa rispetto all’essere sotto padrone. Questa esperienza mi ha aiutato molto nel mio lavoro attuale di responsabile del personale di una cooperativa sociale di grandi dimensioni, gli strumenti che ho acquisito mi sono serviti, sebbene le situazioni lavorative seguenti in cui mi sono trovato fossero ben diverse. Soprattutto la parte del reinserimento mi è rimasta nel cuore, come anche la voglia di sperimentarmi in cose nuove, avendo esperienza sia all’attivo che in passivo, mi è servito sulla parte della missione di reinserimento della cooperativa e della collaborazione con servizi.

Il mio essere fascia debole probabilmente in un ambiente diverso mi sarebbe alquanto pesato: il Rastrello per me ha rappresentato un posto dove potevo esprimermi senza temere o comunque non ho mai sentito il peso della mia disabilità. Mi son portato via un modello. Credo che il Rastrello, e lo dico dopo aver visto tante altre cooperative, rappresenti veramente un modello per una serie di equilibri dettati da rapporti interni, da contributi di

persone esterne che hanno fatto per tanti versi il bene della cooperativa».

Il 1996 ci vede ampliare le attività al di fuori della provincia di Genova, estendendosi sia a levante che a ponente. In quel periodo il Comune di Savona aveva deciso di esternalizzare l’intero settore che riguardava la manutenzione delle aree verdi di sua competenza: ci siamo inseriti noi in quanto nel territorio savonese non vi erano cooperative sociali che svolgessero questa attività. A levante, invece, siamo intervenuti in una fase di riordino da parte del settore delle pulizie e della gestione delle aree verdi da parte del Comune di Santa Margherita, assorbendo anche il personale esterno che sino ad allora se ne era occupato. Noi ci occupiamo delle aree verdi e la cooperativa Pulirella delle pulizie. Nell’ambito dei lavori socialmente utili iniziamo la collaborazione con l’Ente Parco di Portofino occupandoci della manutenzione dei sentieri del Parco.

Nello stesso anno avviene un passaggio importante: Domenico Mannoni passa il testimone della Presidenza a Giovanni Miceli, che mantiene comunque il ruolo di direttore dell’ANFFAS. La scelta consente di consolidare ulteriormente i rapporti già forti da tempo con l’Associazione, che saranno determinanti per il nostro sviluppo con l’aprirsi del nuovo millennio, consente inoltre di infondere in lui fiducia nel progetto che mi ha dato vita e rafforzare la sua azione di governo. Con il cambio di presidenza anche il Consiglio di Amministrazione muta in parte la sua composizione

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e comincia anche a cambiare il suo ruolo. I quattro soci volontari del primo periodo rappresentativi delle realtà che ci hanno dato vita – Anffas, Aias, Centro studi e Usl – vengono in parte sostituiti e integrati da altri soci volontari: Usl e Centro studi, avendo esaurito il loro compito vengono sostituiti da CSTA e Is.For.Coop. e vengono affiancati da sette soci lavoratori. Grazie anche alla presenza di queste figure, il Consiglio sviluppa e consolida così il suo ruolo gestionale e operativo verso le prime vere e concrete scelte strategiche.

Come succede ad un adolescente, che improvvisamente, dalla sera alla mattina, scopre che gli abiti non gli vanno più perché rapidamente è cresciuto, nel 1998 ci rendiamo conto che la sede di via di Fassolo ci va ormai stretta, anche se da quattro anni circa occupiamo anche il primo piano dove prima si trovava CSTA. Ci mettiamo quindi alla ricerca di una nuova sede.

Nella non facile ricerca ci è di aiuto nuovamente Orazio Brignola, che in questo periodo riveste la carica di Vice Presidente di Confindustria e consigliere di Sviluppo Italia: insieme a lui individuiamo degli spazi all’interno del BIC di Cornigliano.

Dopo un momento di grande entusiasmo, Roberto si chiede e ci chiede: ma che ci fa una cooperativa sociale all’interno di un Business Innovation Center? Non è che avremo esagerato?

In quel momento, naturalmente, i timori non mancano: l’affitto triplica e sono necessari cospicui investimenti per attrezzare i grandi spazi vuoti a uffici e magazzini. I timori non sorgono più quando, poco tempo dopo, gli stessi spazi diventano piccoli e ci trasferiamo nei locali attigui più grandi, dove ci troviamo adesso e da dove inizia la fase di crescita esplosiva, tipica della piena adolescenza, che ci porterà all’oggi e all’età adulta, in cui siamo ancora alla ricerca di nuovi spazi che possano accogliere le nostre ancora aumentate dimensioni.

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Nascita SETTORE DISINFESTAZIONI - 2008

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dal 1999 ad oggi

PARTE TERZA

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Nascita SETTORE FAUNA URBANA - 2003

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Se guardo alla nostra storia con gli occhi della maturità di adesso e in particolare agli ultimi anni che hanno accompagnato la fine del secondo millennio, cercando di mantenere con grande difficoltà un certo distacco, l’impressione che ne traggo è quella di un gruppo di persone che lavora con l’obiettivo di consolidare i risultati ottenuti e di inserire ancora degli elementi fondamentali. L’intenzione è forse chiudere un’epoca e aprirsi a quella successiva, anch’essi contagiati da quell’atteggiamento ottimistico che in quegli anni aveva permeato un po’ tutto e tutti: il terzo millennio sarebbe stato un periodo migliore per l’umanità.

Sarà stata questa ondata di ottimismo universale, sarà stato l’avere una sede degna del suo nome e della sua funzione, sarà stato il godere finalmente di ampi spazi in cui non solo lavorare, bensì relazionarsi e condividere momenti della propria vita privata, in cui prestare la giusta attenzione e ascolto ai colleghi fragili, ma sta di fatto che tra i due millenni si apre per noi un periodo di grande fermento e la nostra famiglia cresce.

Entusiasmante il ricordo di Antonella Vitelli:

«Fu l’inizio di una crescita veloce ed io insieme ad altri collaboratori fummo lì ad assaporare questa vittoria: un ufficio più grande, nuovi appalti lavorativi e più dipendenti, in ufficio arrivarono due nuove collaboratrici e con il tempo passato insieme si instaurò anche una vera amicizia».

È infatti il 1999 quando ad affiancare Antonella arriva Monica Orlando, studentessa presso la facoltà di Economia e Commercio, si mantiene facendo piccoli lavori, ma è alla ricerca di un impiego più vicino ai suoi studi. Positivo il risultato del colloquio avuto con il Presidente a cui da rigorosamente del lei: il primo di marzo inizia la

sua nuova avventura, non dimenticherà mai quel fatidico giorno, non solo perché è il primo, ma anche perché molti dei colleghi sono in malattia a causa dell’influenza e lei si ritrova a rispondere alle telefonate in una realtà praticamente sconosciuta. Che sia stata una ulteriore prova del destino?

Monica impara presto che esiste una reale e tangibile differenza tra teoria e pratica, tra scranni accademici e lavoro concreto e quotidiano. Gino Corte è stata la figura che le ha consentito di dare applicazione pratica alla sua elevata formazione teorica, insieme pongono le basi per un servizio di contabilità recuperando le memorie di chi sino ad allora se ne era occupato. Dopo una fase in cui ci si è avvalsi di consulenze esterne, con l’ausilio di un programma dedicato ma soprattutto grazie alle competenze di Corte e l’imprescindibile esperienza sul campo, nel 2004 la funzione è stata del tutto internalizzata e ha raggiunto un livello particolarmente evoluto. Il desiderio di Monica ad oggi è quello di rendere più certe e costanti le procedure che sottendono alle varie funzioni per rendere il lavoro più facile e migliorarne i risultati. Sotto il profilo emozionale aggiunge:

«Sono molto legata alla cooperativa, è stata determinante per la mia crescita professionale, ma ciò che mi lega di più ad essa è l’umanità e i valori reali che ho trovato al suo interno e che hanno ampiamente compensato le ambizioni di carriera verso grandi aziende o studi professionali. I rapporti che si sono creati con la base storica della cooperativa vanno ben oltre il rapporto professionale. Siamo veramente una famiglia e, come in ogni famiglia degna di questo nome, sia gli apprezzamenti che le critiche ti aiutano a crescere, allo stesso modo le cene o le partite di calcetto con i colleghi: ci si conosce meglio e si cresce insieme. Non riesco poi a non emozionarmi e a non partecipare quando un collega fragile mi dice che passerà in ufficio a raccontarmi la

CRESCO E VADO VELOCE

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sua storia, un momento critico o uno felice perché ha superato un problema, oppure perché cresce dal punto di vista del lavoro: sono felice proprio perché ha vinto la sua personale lotta con la vita. Ho avuto modo di toccare con mano la concreta applicazione della politica delle pari opportunità quando sono diventata mamma di Sara: una reale conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro. Potrei riassumere il mio percorso con un motto che ho letto recentemente: i migliori maestri sono quelli

che ti indicano la strada, ma che non ti indicano quello

che devi guardare, questo l’atteggiamento che ha avuto Gino Corte nei miei confronti, è stato il mio guru, mi ha guidato sino a che non sono stata in grado di muovermi con le mie gambe ed è successo la prima volta che lo ho contraddetto».

Nel corso degli anni Roberto constata la grande crescita in termini umani e professionali di Monica e ritiene che la sua formazione debba essere ulteriormente rafforzata e resa adeguata alla nostra crescita complessiva. Infatti Monica consegue nel 2007 il master Manager del controllo di gestione

presso la SDA Bocconi: attenzione alla persona valorizzando la sua formazione, questo è uno dei valori che denota il nostro stile.

Il 1999 è anche l’anno in cui si consolida e sviluppa l’attività del nuovo settore della Raccolta Differenziata, oggi settore Ambiente, avviato l’anno precedente attraverso il Consorzio.

Non vi fu alcun dubbio e nessuna incertezza sul fatto di investire energie e risorse. Al Consiglio di

Amministrazione parvero evidenti da subito due elementi che ci indussero a proseguire su questa strada: l’importanza strategica per una crescita aziendale e la coerenza con i nostri valori. Rispetto e tutela dell’ambiente si esprimono al meglio in questo settore ma sono una nota dominante che caratterizza il nostro modo di essere e di lavorare, sino ad arrivare all’ottenimento e al rinnovo della Certificazione Ambientale ISO 14001.

Fabio Andreani inizia in quest’anno nel settore del Verde per passare poi al settore Ambiente di cui è il responsabile. Non arriva qui per caso ma per una precisa scelta, perché ritiene con convinzione che la realtà cooperativa sia la sola coerente con la sua visione della vita:

«Posso definire il mio ingresso in cooperativa come la mia età dell’oro, innanzitutto perché mi è stata data fiducia: poco dopo l’assunzione mi sono state date le chiavi ed entravo e uscivo liberamente, inoltre ho potuto realizzare il forte desiderio di impegnarmi nel sociale. Si lavorava diversamente rispetto ad ora: i tempi erano più rilassati e riuscivi a lavorare meglio sulla persona, avevi meno prospettive di carriera e stipendi molto contenuti. Ho avuto la possibilità di gestire al meglio i miei tempi di vita e di lavoro e per me è stato fondamentale trovandomi ragazzo padre di una bimba piccola. Questo aspetto, insieme ad altri rivolti alla persona in termini generali, come la grande attenzione verso la sicurezza sul luogo di lavoro, ha fatto sì che io respingessi proposte di lavoro economicamente interessanti e attualmente sono molto soddisfatto delle mie scelte del passato. Mi ritengo un vecchio leone che ancora ruggisce sonoramente per ciò in cui crede, sono fermamente convinto che le voci dissenzienti siano di grande utilità e stimolo».

In questo settore nel 1999 era richiesta bassa manualità e professionalità, adesso la gestione è complessa, si devono rispettare standard elevati di qualità e professionalità e non ci sono quasi più bandi riservati alle cooperative sociali.

Infatti attualmente impieghiamo 20 addetti e sei mezzi tra furgoni, compattatori e costipatori; la

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raccolta di legno, carta, cartone, plastica, metallo e materiali misti avviene non solo presso enti pubblici, scuole, ospedali, carceri, ma anche grandi supermercati. Il lavoro viene svolto anche attraverso turni di notte in zone della città di Genova particolarmente rilevanti dal punto di vista economico, turistico e commerciale (tra queste l’area del centro e l’area Expo), oltre a quelle a maggior densità abitativa, compreso tutto il Ponente cittadino e la Val Polcevera. Nonostante ciò, si riesce ad impiegare un buon numero di persone provenienti dalle fasce protette che non troverebbero diversamente impiego, come Stefano

Vigilante che da noi ha ottenuto la sua prima assunzione vera e propria:

«Sono entrato in cooperativa il 10 settembre 1999. Il mio percorso personale non è stato facile, a scuola ho avuto parecchie difficoltà, ma con l’aiuto della famiglia e degli insegnanti ho imparato ad affrontarle e superarle, avevo bisogno di più tempo degli altri per fare le cose ma pian piano ci sono riuscito. Ho avuto varie esperienze lavorative prima di arrivare qui, alcune si sono rivelate buone altre no, ma poi ce l’ho fatta. La prima persona che ho conosciuto qui è stato Emiliano Musso, figura per me importantissima: ho cominciato con una borsa lavoro nel settore delle pulizie che svolgevo all’Acquario, poi sono passato alla raccolta differenziata dove mi trovo molto bene soprattutto grazie ai colleghi. Io vorrei che ciascuno di noi desse sempre il meglio e rispettasse sempre le regole, questo può consentire alla cooperativa di migliorare sempre».

Stefano è un gran chiacchierone e non perde occasione per condividere, con chiunque si trovi a parlare, il suo benessere sul luogo di lavoro. Ciò avviene non solo perché siamo una cooperativa di tipo B e quindi il nostro impegno è orientato soprattutto verso la promozione del lavoro e di una migliore qualità della vita dei nostri colleghi fragili, ma anche perché questa è la cultura che permea ciascuno di noi. Questo non impedisce, anzi rafforza ulteriormente, lo sviluppo e il mantenimento di un elevato livello di professionalità e di servizio nei confronti di ciascun cliente. Tutto ciò richiede un grande impegno individuale e collettivo ma solo

proseguendo uniti e solidali potremo mantenere alti i valori che ci caratterizzano.

Pjeter Elezi proviene dall’Albania, è in Italia dal 1996, da noi dal 2006 attraverso una domanda presentata all’Ufficio Collocamento per una elevata disabilità a seguito di problema fisico che un intervento ha potuto solo in parte risolvere:

«Il fatto di entrare in una cooperativa mi ha creato in un primo momento timori e molta perplessità perché avevo della cooperazione un ricordo legato al regime dittatoriale comunista albanese dal quale ero fuggito. La prima persona che ho conosciuto è stata Fabio che mi ha accompagnato in un percorso per poter scegliere un tipo di lavoro, nell’ambito del settore dell’Ambiente, che potessi svolgere senza problemi. Ho sempre sentito vicini tutti i miei colleghi, ma devo anche dire che in Italia non sono mai stato trattato come uno straniero, anche la mia famiglia è molto ben integrata. Nonostante ciò, una volta in pensione, vorrei vivere un po’ qui e un po’ nel mio paese e tornarci definitivamente quando sarò molto anziano».

Questo lavoro ha degli aspetti e delle tipologie di intervento di grande difficoltà e complessità: sono quelli che Amiu tende maggiormente ad esternalizzare. E quanto sia difficile lo conferma Osvaldo Panin (con noi dal 2011) proveniente da Genova Insieme con una professionalità ed esperienza di escavatorista interrotta per la crisi congiunturale del settore edile:

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«Mi occupo della raccolta differenziata porta-a-porta, un progetto pilota che è stato avviato recentemente, ciò che mi stimola e motiva di più del mio lavoro è il fatto che sia una realtà dinamica e in crescita. La mattina inizio necessariamente presto magari avviando un nuovo cantiere o verificando lo stato dei mezzi come responsabile della loro gestione e manutenzione. Finisco quando non ci sono imprevisti da risolvere; questo grande impegno è compensato dal fatto che mi sento parte di una famiglia in cui non manca la collaborazione al fine di migliorare il lavoro di ciascuno e di tutti con una grande attenzione verso la sicurezza».

Il servizio porta a porta di cui parla Osvaldo viene svolto in via sperimentale nella zona di Genova Sampierdarena, finalizzato al ritiro della carta presso esercizi commerciali e studi professionali. Naturalmente per svolgere questi ed altri servizi ci siamo dotati di licenze ed autorizzazioni per la raccolta di qualunque altro materiale oltre alla carta, compresi anche i rifiuti classificati come pericolosi. Stare sul mercato è particolarmente impegnativo, difficile confrontarsi con la concorrenza, difficile mantenere il giusto equilibrio tra essere azienda ed essere cooperativa sociale, ci sono momenti cui la seconda essenza ti viene un po’ strappata dalle mani.

Anno 2000: il numero del nuovo anno cambia graficamente, e non solo. Anche i nostri numeri cambiano, quelli delle attività intraprese e dei lavoratori coinvolti e la gestione diventa di conseguenza più complessa.

All’alba del nuovo millennio siamo 71 di cui 32 lavoratori appartenenti alle fasce deboli, il fatturato, in continua e costante crescita, raggiunge una cifra che, espressa nella moneta che entrerà in vigore nel nostro paese due anni dopo, supera abbondantemente il milione di Euro. Questa situazione è molto ben presente a Roberto che, con la solita lungimiranza e al fine di evitare difficoltà e problemi di gestione per l’immediato futuro che ha ben chiaro in mente, individua in Valerio Risso la persona più adatta, quindi gli propone di rientrare ed occuparsi del Personale. Valerio non solo conosce molto bene la nostra realtà dall’interno, ma si è occupato di gestione del personale nel settore della assistenza ad anziani e disabili all’interno di altre realtà cooperative.

Naturalmente il ruolo di Gino Corte è stato determinante anche sulla sua formazione:

«La situazione era molto diversa da come l’avevo lasciata, ma non ancora delle dimensioni attuali: c’erano il settore del verde e delle pulizie e proprio nel verde ho fatto il mio primo corso di formazione, conoscendo quindi gli ambiti di lavoro delle persone che avrei gestito. Con Gino Corte abbiamo condiviso l’assunto che, al crescere delle dimensioni, la cooperativa non poteva più essere gestita come una grande famiglia e quindi abbiamo strutturato il primo organigramma con ruoli, livelli e mansioni. Fondamentali sono state le job description fatte con lui: noi utilizziamo il contratto delle cooperative sociali di tipo A, ma la nostra realtà è diversa e più articolata e quindi necessita di descrizioni più dettagliate. Abbiamo un software dedicato per la gestione del personale (Gecos

®), mirato per le cooperative di tipo B. Io ho due sogni nel cassetto per far crescere la cooperativa e soprattutto per dare un ulteriore contributo alle persone che lavorano al suo interno. Il primo è quello di organizzare attività alternative per chi svolge mansioni fisicamente impegnative e non è più giovanissimo, l’altro invece è organizzare una struttura residenziale per quei ragazzi difficili che, per età o altro, non hanno più il supporto della famiglia o si trovano in temporanea difficoltà. Queste sensibilità sono avvertite dalle persone e molte di esse ci vivono proprio come la

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loro famiglia, anche perché fuori di qui non hanno nessuno se non una struttura temporanea che le accoglie per la notte».

Anche per Valerio, come è avvenuto per Monica, Roberto nel corso del tempo ritiene che la sua formazione debba seguire la nostra crescita come azienda, non solo numerica, ma anche in termini di organizzazione e professionalità. Inizia il suo percorso nel 2008 conseguendo, presso il Centro Studi Lavoro e Previdenza, il Master in Direzione del

personale. Nel 2013 consegue il master in Relazioni

industriali e sindacali, nel 2015 partecipa ad un seminario dedicato al riordino dei contratti di lavoro e a quello organizzato dalla Fondazione Scuola

Nazionale Servizi dedicato alle imprese di servizi e relativo alle nuove normative in materia di lavoro. Non si fa mancare, naturalmente, tutti i seminari organizzati da Legacoop.

Guardando i ragazzi lavorare, noto che ciò che richiede il maggiore impegno, sensibilità e professionalità è la composizione delle squadre, sempre formate da lavoratori ordinari e fasce deboli. Figura importante in questa fase è quella dei coordinatori, che presidiano aree geografiche specifiche nei vari settori e che non solo devono essere dei buoni tecnici, ma devono anche sapersi adeguatamente relazionare con i clienti e con i collaboratori.

Per fare ciò è imprescindibile una formazione continua e costante, formazione come crescita e valorizzazione non solo professionale, ma anche umana. Declinata in questi termini è sempre stata e continua fermamente ad essere un nostro valore fondante. Declinata in numeri la formazione nel biennio 2013/2014 ha visto 403 lavoratori coinvolti per 3369 ore di formazione, nel biennio 2015/2016 i lavoratori sono stati 298 per un totale di 4321 ore.

Nella nostra cultura aziendale, la formazione è uno strumento fondamentale finalizzato alla crescita tecnico professionale della persona e condizione essenziale per il rafforzamento e la creazione di una più definita identità lavorativa. Siamo certi che in questo modo si definisca un percorso in

grado di supportare la persona nella propria elevazione professionale e individuale. Tutto ciò senza distinzioni, naturalmente, anzi, per le fasce

deboli costituisce una delle basi sulle quali fondare un solido percorso di inserimento lavorativo che porti al rafforzamento della propria identità al fine di affrontare e superare le problematiche che hanno condotto al disagio personale.

Naturalmente la formazione si applica anche agli aspetti legati alla sicurezza, un altro dei nostri solidi valori nonché un obiettivo preciso: sicurezza del luogo e delle condizioni di lavoro, l’adeguata verifica delle procedure di lavorazione, delle attrezzature e dei prodotti utilizzati.

Ma non ci fermiamo qui: per noi è importante anche creare le condizioni per favorire e sviluppare le dinamiche relazionali che si vengono a creare di volta in volta tra le persone e per fare ciò utilizziamo tutti gli strumenti più adeguati.

Innanzitutto attraverso un notiziario periodico facciamo sì che tutti i quasi 200 lavoratori che operano sui diversi settori, su aree distinte e spesso geograficamente distanti tra loro sappiano cosa fanno i tutti i loro colleghi, soprattutto quelli con cui si incontrano con meno frequenza. In questo modo siamo certi che possano non solo conoscere tutte le attività svolte dall’azienda ma anche condividere successi e difficoltà.

Importante poi favorire la partecipazione dei soci lavoratori ai momenti istituzionali della vita

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sociale come l’Assemblea al fine di rafforzare il proprio senso di appartenenza alla cooperativa, la consapevolezza del proprio ruolo e l’integrazione con gli altri soci per sentirsi veramente una famiglia speciale, cooperativa.

Non mancano poi i gruppi di incontro finalizzati alla conoscenza di specifiche questioni che non sono solo momenti formativi ma di migliore conoscenza di tutti i colleghi, dei consiglieri di amministrazione, ponendo le basi per instaurare relazioni extra lavorative sempre più ampie.

Ascoltandoli scambiarsi le loro opinioni, magari davanti ad un caffè, noto che sia opinione largamente condivisa il doversi dotare di una organizzazione strutturata più rigidamente, per essere più adeguati rispetto alla nostra dimensione e articolazione attuale e per lavorare meglio, sia come singoli sia come squadra di lavoro, senza naturalmente dimenticare la nostra natura di solidarietà e attenzione verso i più deboli.

A volte, con l’animo un po’ triste, penso che se Gino Corte non ci avesse lasciato prematuramente nel 2010 avremmo già fugato umani dubbi e incertezze relative a queste e altre questioni che quotidianamente ci poniamo. O forse no, chissà.

Nei primi anni del nuovo millennio la crescente complessità della gestione dovuta all’aumento occupazionale, ma anche all’articolarsi e all’ampliarsi delle attività, richiede una consulenza

giuridica che consenta di migliorare l’approccio con i lavoratori, con le strutture operative, con gli strumenti contrattuali che consentono di acquisire nuove competenze, di amministrarle e gestirle. Inizia così, nel 2002, il rapporto con il giuslavorista, l’avvocato Filippo Zorzi.

Contemporaneamente questa nostra crescita veloce richiede un sostegno finanziario da destinare soprattutto agli investimenti in macchinari e attrezzature. Lo troviamo in una banca privata non del territorio, in un mondo in cui la cooperazione è stata sempre vista con dubbi e sospetti, come un serbatoio in cui collocare persone e a cui ogni tanto affidare appalti. Una realtà, quella bancaria, che quando si trovava ad esaminare i bilanci di una cooperativa, non trovando i parametri ultimi di riferimento, richiedeva ai soci più affidabili firme di fideiussione, anche se non si trattava di un comportamento classico da istituzione bancaria.

Non ha invece avuto né dubbi né incertezze nei nostri confronti Mario Baroni di CREDEM, che ha valutato il nostro business plan ritenendo fossimo strutturalmente in grado di restituire il prestito.

Grazie anche a queste risorse e agli investimenti che si rendono possibili in termini di mezzi e attrezzature, riusciamo a inserire nuovo personale nei vari settori ed anche a stabilizzare alcuni rapporti di lavoro. Arrivano non solo nuove competenze, ma anche storie di vita a cui noi prestiamo, come sempre, come è ormai nostra natura, ascolto e attenzione.

Nel 2004 entra a far parte della squadra del settore delle Pulizie Antonello Carrubba. Una storia familiare difficile alle spalle che ha visto lui e suoi fratelli vivere in strutture di accoglienza per l’infanzia abbandonata in Sicilia, dove inizia a lavorare nella ristorazione. Ma quando in questo ambito non vede più prospettive, si trasferisce a Genova:

«Sono stato molto felice quando il mio rapporto di lavoro con la cooperativa si è stabilizzato, la persona alla quale è legato il ricordo del mio primo giorno è Agata, una persona sempre gentile e sorridente che ti sa capire e ti fa anche da mamma. Guardando alla

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mia storia personale non mi stanco di ripetere che questa cooperativa è stata la madre adottiva della mia vita. Sono soddisfatto del mio lavoro, anche se spesso è impegnativo e pesante, mi distrae un po’ la mia passione per il canto. La mia speranza e il mio sogno è che questa cooperativa si sviluppi e cresca ancora di più, che questa mia famiglia si allarghi».

In effetti l’anno successivo la famiglia si amplia ancora e accoglie Eliana Tortorici, attualmente

diretta collaboratrice di Agata Trovato nel settore delle Pulizie.

Insieme a Marina Bordonaro, si occupa dell’organizzazione e gestione dei turni. Da allora ad adesso ha vissuto in prima persona la nostra grande crescita, sia sotto il profilo della dimensione sia sotto quello degli strumenti materiali e formativi che via via sono aumentati.

Questo settore costituisce uno dei pilastri della nostra attività, vi lavorano 60 persone che sono in grado di svolgere ogni genere di pulizie nel ramo civile e industriale. La loro flessibilità e la loro capacità organizzativa garantiscono sempre una risposta rapida e adeguata alle varie esigenze del cliente, sia ordinarie che in condizioni di urgenza. I lavoratori dispongono di furgoni per l’organizzazione e gestione delle attività ordinarie e di una piattaforma aerea di nostra proprietà per le pulizie in quota di vaste superfici verticali.

Quando Eliana è arrivata, Valerio Risso le ha descritto la nostra storia e la nostra particolare natura, queste le sue sensazioni:

«Lavoro in particolare alla Città dei Bambini e alla mensa dell’ANFFAS, ma conosco bene anche i cantieri straordinari che sono i più impegnativi ma mi danno le maggiori soddisfazioni: entrare in locali dove sono stati fatti lavori di ristrutturazione ed uscirne lasciandoli in ordine e puliti costituisce per me motivo di notevole appagamento personale e professionale. Altrettanta soddisfazione provo nel lavorare con le fasce deboli: è molto gratificante insegnare loro il lavoro e vederne i risultati e il grande impegno nel voler fare e imparare. La Città dei Bambini è poi un contesto ideale per

fare ciò, poiché è un luogo tranquillo e non presenta particolari difficoltà».

Anche José Alejandro Socla Ambrosio lavora spesso presso la sede dell’ANFFAS, occupandosi delle pulizie dei locali, inizialmente con qualche timore poiché non si era mai trovato in contesti simili. Grazie ai colleghi ha superato ampiamente questa fase e adesso è molto amico dei ragazzi del Centro. È con noi dal 2008 dopo una esperienza in Fincantieri, sempre nel settore delle pulizie:

«Sono originario del Perù, sono qui con la mia famiglia e quindi l’inserimento in questo paese che non conoscevo è stato più facile: sto bene in Italia, ma la mia terra mi manca molto. Quando sono arrivato avevo 23 anni, nel mio paese studiavo, la mia prima esperienza di lavoro l’ho vissuta qui. L’impatto con la nuova realtà è stato morbido, ho iniziato con la pulizia delle scale al Cep: avevo già svolto questa mansione, ma spesso c’è differenza tra ditta e ditta nella organizzazione ed esecuzione dello stesso genere di attività. Sono stato inserito anche all’Acquario, dove il lavoro è suddiviso in percorsi: anche qui ho trovato persone che mi hanno insegnato come svolgerlo al meglio».

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Attività di volontariato - Casa natale del Presidente Pertini, Stella - SV

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Il livello di organizzazione del settore è arrivato ad un livello e ad una articolazione tale che, quando ci occupiamo di strutture complesse, siamo in grado di fornire servizi aggiuntivi e paralleli come la gestione della mensa e della lavanderia. Questo è accaduto con ANFFAS e lo testimoniano le persone con le quali Agata Trovato lavora quotidianamente: Massimo Della Luna, Laura Parodi e Marica Bovone cioè presidente, vice presidente e direttore amministrativo della cooperativa sociale Genova Integrazione ANFFAS:

«Il rapporto con il Rastrello è sempre stato ed è ancora adesso in modo sempre più forte e solido, un rapporto di vera condivisione di valori ed obiettivi. È iniziato con i progetti di inserimento lavorativo e prosegue con l’affidamento dei servizi nelle nostre strutture. Questo è ad oggi è il rapporto prevalente che abbiamo con loro in quanto sia per la difficile congiuntura economica sia per la situazione in termini di età e di aggravamento delle condizioni delle persone che seguiamo, gli inserimenti lavorativi sono molto rari. ANFFAS ad un certo punto della sua storia si è trovata nelle condizioni di esternalizzare la sua area di intervento più delicata ed economicamente più critica, quella dei servizi. La scelta è stata dettata sia dal fatto che per un processo naturale si è trovata con scarsità di personale sia perché ci siamo posti l’obiettivo di migliorare la qualità dei servizi offerti nella convinzione che ciascuno deve svolgere il lavoro per cui è professionalmente preparato. Naturale quindi rivolgersi al Rastrello non solo per la lunga storia comune, ma soprattutto perché i loro operatori sono preparati non solo professionalmente ma

anche umanamente, hanno una sensibilità tale da saper comprendere a fondo e sapersi far accettare dai nostri ragazzi e creare le giuste simbiosi. Non è cosa facile e comune a tutti. Ci siamo quindi seduti a tavolino e organizzato e strutturato i nuovi servizi in un percorso di crescita comune che si evolve di anno in anno. Non avevamo, ad esempio, esperienza nella gestione di strutture residenziali come quella di Coronata, avevamo rapporti con gli strumenti ma non con le persone, abbiamo risolto le criticità in un confronto costruttivo per raggiungere i migliori risultati a costi ottimali. Abbiamo risposte positive ed efficaci anche in situazioni di urgenza e di emergenza come la risistemazione dei locali della sede di via della Libertà dopo l’alluvione. Dobbiamo poi riconoscere che il Rastrello ha fatto un percorso di crescita individuale importante soprattutto in termini di qualità e sicurezza, vediamo grande rispetto delle regole e cura nella qualità dei rapporti, abbiamo la consapevolezza e quindi la tranquillità che tutti gli atti a monte di ciascun rapporto sono stati eseguiti correttamente».

Se voi foste appassionati del mare e vi trovaste, il primo giorno di lavoro, all’Acquario di Genova alle sei del mattino, quindi nel più totale silenzio e quasi al buio davanti alla vasca degli squali, quali sarebbero le vostre sensazioni? Questo è stato l’emozionante e indimenticabile primo giorno di lavoro, nel 2009, di Enrico Destefani, un passato da artigiano e da dipendente nel settore dell’edilizia:

«Prima di arrivare qui non conoscevo direttamente la realtà cooperativa, nella quale poi ho trovato la mia dimensione umana e professionale: per me lavorare in cooperativa vuole dire darsi una mano, il contributo di ciascuno di noi è fondamentale. Trovo molta collaborazione da parte dei colleghi, ogni mia difficoltà o esigenza sul lavoro trova una risposta rapida anche da parte degli altri settori e mi rendo conto che ciò non si incontra facilmente, soprattutto se faccio un confronto con la realtà dalla quale provengo dove, se vuoi andare avanti, devi avere il muso duro. Questo clima di collaborazione poi è percepito anche dal cliente, soprattutto quando ci sono situazioni critiche e di emergenza».

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Il Consorzio Progetto Liguria Lavoro, attraverso il quale si è intanto sviluppato il settore Servizi Ambientali, ha avuto, nei suoi primi anni di vita, una crescita tumultuosa e si è incrementato in termini di fatturato e di cooperative associate. Negli anni successivi è subentrata una fase di assestamento e, complice la difficile congiuntura economica che cominciava a manifestarsi, a quella è seguita una fase di stagnazione. Con un percorso travagliato e sofferto durato diverso tempo, si è deciso, proprio nel 2005, di costituire il Consorzio Omnia che raccoglie al suo interno le cooperative sociali afferenti a Legacoop e quelle che operano nel settore ambientale attraverso una cessione di ramo di azienda effettuato dal Consorzio, costituendo quindi una differenziazione delle attività tra i due raggruppamenti1.

Tutti noi sappiamo sotto quale grande guida sia avvenuto questo. Allora non posso più chiudere gli occhi, stringerli forte e pensare che non sia successo, dimenticare l’enorme dolore provato proprio quando mi gustavo la gioia del trentesimo compleanno. Quando sono nata Danilo Ravera c’era e in questi trent’anni l’ho sempre visto e vissuto come un punto di riferimento pronto a risolvere problemi, trovare soluzioni, dare vita a nuove idee.

Non ero pronta a farne a meno, nessuno di noi lo era e forse non lo è ancora adesso2.

Conosciamo tutti la sua storia sino dagli anni ottanta: prima la costituzione di Co.Ser.Co, poi la creazione dei consorzi della cooperazione sociale di tipo A, il C.Re.S.S., e di tipo B, Omnia appunto, e inoltre il salvataggio, la guida e il grande rilancio di Is.For.Coop.

1 Nel marzo 2017 il Consorzio Omnia ottiene da Amiu l’aggiudicazione del servizio per il ritiro della carta dei bidoncini da 240 a 1000 litri, assumendo anche sedici dipendenti delle aziende Switch e Giglio a seguito delle note vicende giudiziarie.2 Danilo Ravera (1956-2016), prematuramente scomparso in servizio, è stato tra i protagonisti degli albori della cooperazione sociale in Liguria, con la costituzione della Cooperativa Sociale CO.SER.CO, la guida del Consorzio Regionale Servizi Sociali C.Re.S.S, del Consorzio di Cooperative Sociali di Tipo B Omnia, dell’Agenzia di formazione Is.For.Coop. Il 1° luglio 2017, nel primo anniversario della scomparsa, a Danilo è stato intitolato il nuovo Centro Studi del movimento cooperativo ligure.

Se condividi una gioia diviene più grande, se condividi un dolore diviene più lieve, ne sono convinta. Penso che anche questo sia stato lo spirito che ha pervaso la cooperazione ligure nel momento della sua scomparsa. Lo voglio ricordare con alcune delle parole che sono state dette, pensate, sentite e riportate sui social network e che in situazioni come questa ti danno l’illusione di rendere materiali pensieri e sentimenti, di poterli fissare accanto alla persona, nella dimensione non terrena in cui si trova adesso:

«Un uomo di azione più che di pubbliche relazioni, non molto presente nei convegni o nelle occasioni pubbliche, ma operativo nella gestione e nell’organizzazione, sempre in giro per tutta la Liguria. Non c’era distinzione tra la sua vita privata e quella lavorativa, non aveva orari, non faceva ferie ed era sempre a disposizione per farsi carico dei problemi e a dedicare quanto tempo serviva per risolverli. Lo faceva perché ci credeva. Provava una grande soddisfazione nel riuscire a salvare posti di lavoro o a veder realizzato un servizio che potesse aiutare persone fragili. Un uomo che, con coraggio e impegno instancabile, ha lasciato il segno e cambiato,

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in meglio, il corso delle cose per tantissime persone. Un impegno che non è venuto meno sino all’ultimo, quando si preoccupava ancora di tutto e soprattutto delle situazioni di crisi e difficoltà».

La vita deve andare avanti, dicono, ed anche la mia storia. Però è dura.

Sempre nel 2005 sorge forte la necessità di inserire una funzione che ad oggi è un ruolo di grande professionalità, il Responsabile del Sistema di Gestione Integrato, vale a dire la figura che elimina sovrapposizioni, crea sinergie, integra processi e ottimizza tempi e costi. Massimo Morroni proviene dalla cooperazione di tipo A:

«Il mio ruolo è sempre stato staccato dalla produzione, infatti nel tempo mi sono occupato di Qualità ed abbiamo ottenuto la prima certificazione ISO 9001 nel 2009. Tra il 2013 e il 2014, grazie anche al contributo di Giorgio Chiaranz e Stefano Ferretti, abbiamo completato il percorso che ci ha portato ad ottenere la certificazione Ambientale ISO 14001 e quella per la Sicurezza OHSAS 18001. E in questi anni penso che la Cooperativa sia cresciuta molto e che il lavorare bene, per molti sia diventato lavorare bene in sicurezza. Un altro aspetto in cui mi sono occupato negli anni è la formazione degli operatori, collaborando con gli enti di formazione e progettando vari corsi che hanno contribuito a far crescere professionalmente i soci della cooperativa. Certamente ho anche dovuto imparare a lavorare in modo leggermente diverso da come ero abituato, ma penso che il rispetto che c’è al Rastrello per il lavoro, e il valore che si dà a questo termine sia un qualcosa di estremamente positivo. Infatti si coniuga con la parola solidarietà, insita in una cooperativa sociale, senza tanti discorsi e parole, ma basandosi sui fatti».

Se dovessi definire la nostra crescita di questo periodo direi esplosiva, se dovessi utilizzare un’immagine direi fuochi d’artificio: nel 2007 siamo ormai più di cento, numero che aumenterà in modo costante e continuo.

Il settore Ambiente, in fase di ulteriore sviluppo e ampliamento, necessita di una riorganizzazione, quindi Cinzia Golisano viene affiancata a Fabio Andreani:

«Questo settore sentiva l’esigenza di una di una vera e propria organizzazione strutturata, è stato un lavoro molto imponente e importante ma da quel momento si è lavorato meglio e con maggiore tranquillità, sono migliorati i risultati e la soddisfazione del cliente più importante, Amiu, è cresciuta di conseguenza. Successivamente mi sono state assegnate altre funzioni e una sostituzione di maternità. Nonostante il notevole impegno, questo lavoro mi piace tantissimo e lo faccio molto volentieri. Sono arrivata qui al termine di un periodo di cinque anni in cui ho scelto di fare solo la mamma, ho inviato il curriculum attraverso un’agenzia di collocamento e dopo un solo colloquio sono stata subito assunta. Non mi sembrava vero».

L’inizio della nostra collaborazione con l’Ufficio animali del Comune di Genova risale al 2003, ma è in quest’anno che anch’esso è protagonista di una svolta. Grazie a un contratto a progetto tra noi e il Comune, con il contributo dell’Università di Genova, inizia la sua esperienza Giorgio Chiaranz, che qui applica la sua laurea in Scienze naturali con una specializzazione in Gestione della fauna urbana:

«Ho iniziato la mia esperienza presso l’Ufficio Vivibilità del Comune, che aveva necessità di un esperto in questo settore. Sono entrato in

punta di piedi, inizialmente frequentavo poco l’ambiente della cooperativa in quanto distaccato presso quell’ufficio e la vivevo solo attraverso le

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assemblee. Successivamente ho avuto modo di conoscerla più a fondo e mi si è aperto un mondo. Ispirandomi all’esperienza fatta con il servizio militare, immaginavo una struttura simile, molto rigida, molto gerarchizzata. Invece ho trovato un ambiente aperto, collaborativo, con un grande spirito di gruppo dove si ascolta con attenzione anche l’ultimo arrivato all’interno del gruppo: è stata per me una vera rivoluzione culturale. La mia speranza è di continuare a fare il mio lavoro di naturalista perché mi dà la possibilità di crescere professionalmente. Abbiamo collaborazioni con ministeri e università, quindi la possibilità di fare ricerca scientifica sino ad arrivare alla produzione di pubblicazioni. È frequente che altri Comuni liguri ci contattino per pareri o consulenze».

Nonostante l’esperienza e la formazione di Giorgio siano già importanti, partecipa, su indicazione di Roberto e Valerio, nel 2014 e nel 2017 ai corsi di Alta Formazione per il management cooperativo (MIC) promossi da Legacoop e organizzati da Quadir con la collaborazione di Is.for.Coop. Liguria.

Il settore Fauna urbana, e l’Ufficio animali del Comune presso cui siamo distaccati è formato da Giorgio e da altre due persone, Stefano Ferretti (naturalista) e Simona Orecchia (biologa). La squadra è poi costituita da dieci persone appartenenti alle fasce deboli, che si occupano delle colonie feline non presidiate dalle gattare oppure di distribuire il mangime sterilizzante nei luoghi dove si concentrano i piccioni. Simona si occupa

3 La più recente: EMCA (European Mosquito Control Association), Mosquito Control in a Changing Environment-VIIIth Conference 12-16 March 2017-Becici Montenegro.

direttamente delle colonie feline, della gestione e della loro sterilizzazione, Giorgio Chiaranz e Stefano Ferretti si occupano di zanzare, scarafaggi, colombi, ratti; Luca Baghino di disinfestazioni. La loro competenza e autorevolezza in merito è tale che frequentemente partecipano a convegni e congressi di settore, anche con la presentazione di lavori scientifici specifici3.

Nel mentre, il settore del Verde attraversa un momento di crisi e di stallo: dopo una fase pionieristica, si era strutturato ma non in misura sufficiente.

Il Consiglio di Amministrazione si è trovato dinnanzi ad un bivio che indicava due direzioni opposte: fare sviluppo e quindi tentare di fare il salto decisivo, oppure chiudere il settore. Esserci o non esserci. L’intuizione fu corretta nell’ avallare la scelta strategica di esserci, e i fatti e i numeri di oggi lo confermano. Siamo infatti passati dai circa 10 addetti del 2007 ai 73 del 2016 con ricavi che superano i due milioni di euro. Abbiamo a disposizione 20 autocarri di differenti dimensioni (dai Piaggio Porter ai più grandi Nissan), autoveicoli da strada e a quattro ruote motrici (Fiat Panda 4x4, Mitsubishi L200), insieme a due biotrituratori, tre trattori e un´autoscala Nissan di proprietà per poter operare in quota nei lavori di potatura.

Siamo in grado quindi di offrire al cliente una capacità tecnico-operativa adeguata anche per lavori impegnativi sia per dimensione che per complessità, mettendo a disposizione una elevata professionalità e una forza lavoro davvero considerevole per la realtà ligure.

Roberto ha anche modo di individuare la persona giusta che può aiutare a rilanciare questo settore:

Lorenzo Monteverde.

Lorenzo nel 2007 lascia il suo ruolo di vice direttore della Coldiretti per arrivare da noi, perché ha già scelto il suo percorso: lasciare un lavoro che

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occupava totalmente i suoi spazi per approdare ad uno che avesse un senso diverso e un significato più vicino ai suoi valori.

Dopo un periodo di osservazione e di studio, deduce che gli ambiti da analizzare e recuperare maggiormente siano quelli gestionale e organizzativo: ogni lavoro deve sostenersi economicamente, ragione per cui è indispensabile separare la funzione gestionale da quella operativa. È necessario poi far sì che vi sia una vera interazione tra i gruppi di lavoro, condizione indispensabile per la crescita del settore nel suo complesso:

«Mi sono poi trovato a scegliere tra una gestione di tipo strettamente gerarchico e un po’ militaresca ed una un po’ più rischiosa che fa leva su due elementi importanti, la fiducia e l’autonomia: ho scelto quest’ultima. Ho puntato molto sulla motivazione e il senso di responsabilità della persona, su un sistema di condivisione e di ascolto di chi sicuramente conosce il lavoro meglio di me. Normalmente non dico al cliente che siamo una cooperativa sociale, sia perché non è così significativo come un tempo, sia perché voglio che vedano e giudichino innanzitutto la qualità del nostro lavoro, non le condizioni specifiche dei lavoratori. Cerchiamo di dare di noi e del nostro lavoro una immagine ordinata e pulita per smontare certi pregiudizi che ancora si trovano soprattutto in ambienti culturalmente lontani dalla nostra realtà, in cui notiamo anche uno stile ed un modo di lavorare diversi dai nostri. Un primo aspetto che ho molto apprezzato quando sono entrato è stato l’attenzione verso la formazione professionale, soprattutto per il messaggio rafforzante che dà a chi la riceve, a maggior ragione in una realtà quale la nostra in cui uno dei problemi risiede proprio nella disistima che alcuni hanno nei propri confronti».

Sono stati necessari circa tre anni perché il settore del verde si sostenesse economicamente, ci siamo strutturati in modo adeguato alle aree di intervento

4 Con lavori di preparazione del terreno e zappatura abbiamo dato vita, insieme all’assessorato all’Ambiente, alla creazione di un orto scolastico presso la Casa di riposo di Albissola Marina, che rappresenta un valido e concreto esempio di avvicinamento al mondo vegetale per i bambini delle quarte e quinte della scuola primaria.

che andavamo a ricoprire, era anche necessario che i clienti avessero riferimenti precisi prima e durante tutto il percorso riguardante l’esecuzione di un qualsiasi lavoro. La riorganizzazione è stata in un certo senso anche un momento di rivoluzione con l’individuazione dapprima dei capi squadra e poi, quando le dimensioni sono ulteriormente aumentate, dei coordinatori d’area.

Il primo ad essere inserito in questo ruolo (nel 2009) è Claudio Venga, agrotecnico responsabile dell’area savonese:

«Questo lavoro fondamentalmente per me è una passione, anche se è molto faticoso, richiede esperienza e il vero saper fare. Il mio ruolo è composito: sono l’interfaccia con gli utenti (in quest’area ne abbiamo due particolarmente importanti come il Comune Savona e quello di Albisola) 4, ma mi occupo anche della progettazione. Inoltre organizzo le squadre e cerco di sviluppare all’interno di esse le capacità del singolo perché cresca egli stesso nel suo lavoro, ma anche noi come gruppo. Negli anni siamo cresciuti soprattutto perché si è creata una sorta di fidelizzazione, godiamo di una reputazione tale che ci hanno affidato sempre nuovi lavori che non ci saremmo mai immaginati di svolgere. Lavorare in una cooperativa ha un obiettivo finale in po’ più alto rispetto ad una azienda di mercato: ovvio che bisogna guardare al fatturato altrimenti non si sta

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in piedi, però poi ottieni anche il risultato umano che rimette tutto in piedi. Fondamentale poi la condivisione del sogno e il senso di appartenenza che non è il brand di una azienda, ma il marchio umano che hai sulla pelle, vedo che molti lo hanno perché le persone sentono fortemente la fiducia che riponi in loro».

Rimanendo in quest’area, vi è un intervento che ci rende particolarmente orgogliosi non solo come tecnici ma soprattutto come cittadini: la pulizia, svolta dagli operatori a titolo volontario e gratuito, del giardino della casa del Presidente Sandro Pertini a Stella San Giovanni. Questa la testimonianza di Elisabetta Favetta, presidente della Associazione “Sandro Pertini” di Stella:

«Circa tre anni fa mi contattò Roberto Perugi e chiese la situazione del giardino della casa di Sandro Pertini a Stella: era incolto e in disordine, ce ne occupavamo noi ma con tutti i limiti del caso. Arrivò la squadra di Claudio Venga alla quale rappresentai la situazione dell’area, mi chiese carta bianca per intervenire, gliela diedi. Non riuscii e ancora non riesco a contenere il mio stupore e il mio entusiasmo per l’intervento, sentimento ampiamente condiviso dalla popolazione del paese. Non solo hanno lavorato con grandissima professionalità e attenzione, ma con una motivazione che ho interpretato, e sono certa di non sbagliarmi, come forma di rispetto e riconoscimento verso la figura del presidente Pertini. Non soltanto vengono ogni volta che li chiamo, ma sono intervenuti dopo i lavori di ristrutturazione della casa e in previsione della visita del presidente Mattarella, rendendo il luogo degno della giornata che ha ricordato i venticinque anni dalla morte di Sandro».

Con l’estendersi della attività a levante, nella zona del Tigullio, sorge anche qui la necessità della figura del coordinatore. Francesca Zerega viene inserita nel 2013, è ragioniere programmatore, ma l’esperienza che la caratterizza di più è il progetta reattività che abbiano come obiettivo l’impiego di fasce deboli di varia natura e origine. È stata una naturale conseguenza di una formazione personale sensibile agli obiettivi della cooperativa che hanno

fatto crescere in lei forte il desiderio di aiutare il prossimo, soprattutto se in difficoltà:

«Dopo un breve periodo di inserimento, mi trovavo a Santa Margherita quando Lorenzo e Valerio mi hanno detto: questi sono i ragazzi, queste le mail che ti possono essere utili. Così ha avuto avvio il mio ruolo di coordinatrice, e loro, come gli altri, sempre disponibili a darmi una mano. Ho un carattere forte, a volte non facile, ma forse mi ha aiutato sia a svolgere un ruolo che la nostra società, purtroppo, concepisce ancora come prettamente maschile, sia ad affrontare momenti veramente difficili e impegnativi che mi hanno anche indotto a mollare tutto. Sono rimasta anche perché credo in questa struttura è in ciò che mi ha insegnato».

La forza e la tenacia di Francesca sono state riconosciute da Roberto e Valerio anche attraverso il suo inserimento nel percorso di Alta Formazione per il management cooperativo (MIC) del 2017 insieme a Giorgio Chiaranz.

Le nostre squadre sono molto composite, l’esperienza più significativa è stata l’inserimento di un gruppo di profughi che abbiamo inserito non solo dal punto di vista lavorativo, ma anche sociale. Come Pama Austin Frank:

«Sono arrivato dalla Nigeria dopo un percorso difficile come molti miei connazionali. Ho una moglie che vive in Italia e che ho conosciuto all’interno della cooperativa, fatto da noi abbastanza frequente e piacevole. Ho anche una figlia di 14

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anni che vive nel nostro paese. Dal 2005 lavoro nel settore Manutenzione del verde e mi occupo del taglio dell’erba e delle siepi».

Il risultato più bello è quando li vedi crescere, consolidarsi e portarsi qui la famiglia e questo risultato non è una somma algebrica, ma una somma di valori che hanno fatto sì che la nostra famiglia conti ben 17 nazionalità dall’Albania al Burkina Faso, dalla Bulgaria all’Ecuador, solo per citarne quattro. Siamo la dimostrazione lampante che la diversità può essere solo che una occasione di arricchimento per ciascuno e per l’intera cooperativa. La chiave di volta che sostiene tutto questo è la vera integrazione che si attua attraverso il rispetto e l’attenzione verso chi ha provenienza e tradizioni diverse.

Raggiunti questi livelli, la Manutenzione è ormai a tutti gli effetti un sotto settore del Verde (gli altri sono Ingegneria naturalistica e il Verde forestale); nel 2009 cresce ancora grazie al nostro ormai consolidato mix tra intuizione, professionalità, capacità organizzative. Cresce non solo in dimensioni, ma anche in altezza, inserendo una attività, il tree climbing, in cui riusciamo a realizzare interventi specialistici di potatura e abbattimenti con cinque operatori abilitati a lavori in quota e su fune con tecniche alpinistiche.

Auglys Ruslanas, di origine lituana, è tornato vivere a Genova con la moglie, genovese, perché vuole far crescere qui i suoi figli. Porta da noi

tutta la sua lunga esperienza nella attività di tree

climbing, maturata in Inghilterra e in Svizzera, paesi dove questa professione è riconosciuta e ricca di opportunità. Il patentino che ha acquisito ha un valore internazionale, è riconosciuto negli Stati Uniti, in Canada, in Europa tranne che nel nostro paese dove si può acquisire una abilitazione assimilata ad attività che con il tree climbing non hanno nulla a che fare:

«Sulla scorta della mia esperienza negli altri paesi, insieme al responsabile del settore del Verde abbiamo pensato alla realizzazione di progetti che potrebbero far crescere la cooperativa ma la mancanza di una normativa dedicata lo impedisce. In Liguria poi questa professione ha un grave ritardo rispetto a regioni come Toscana e Lombardia, noi però abbiamo raggiunto alti livelli di professionalità e siamo molto richiesti. Non è operazione facile formare e rendere la squadra coesa, più complesso ancora se ci si deve confrontare con le difficoltà specifiche di alcuni nostri ragazzi, ma adesso siamo un gruppo forte e umanamente unito. È un lavoro molto complesso e difficile nella fase della formazione del cantiere, della organizzazione del lavoro, della gestione dei mezzi, della sua esecuzione nel rispetto della sicurezza, non solo dei lavoratori ma anche dell’intero contesto in cui andiamo ad operare. Alla squadra è richiesto un alto livello di professionalità e attenzione continua, non è permesso distrarsi. In Liguria poi il livello di difficoltà e di pericolo è particolarmente elevato, sia per le caratteristiche proprie del territorio sia perché gli enti pubblici preposti dispongono di risorse limitate destinabili alla manutenzione del verde, quindi si trovano spesso piante malate che necessitano di trattamenti particolarmente complessi».

Uno dei i lavori più importanti è stato quello svolto all’interno della Biosfera nell’area del Porto Antico di Genova. L’operazione, resasi necessaria per una riqualificazione generale delle piante tropicali arboree e di alto fusto all’interno della struttura, è stata svolta seguendo criteri e prescrizioni tecniche ben precise in considerazione delle peculiarità della Biosfera e dell’esigenza di mantenerne l’effetto scenografico.

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In squadra con Auglys c’è Maurizio Gay, il suo percorso di vita in un certo senso assomiglia un po’al lavoro che svolge adesso, un percorso faticoso, tutto in salita. Dove però puoi trovare chi ti aiuta a individuare gli appigli giusti per arrivare in alto:

«Ero molto scettico, non volevo entrare poiché non avevo una immagine chiara e positiva del mondo della cooperazione: ‘nelle cooperative si sta male, non pagano’, mi dicevano, in Comunità hanno insistito molto, alla fine ho accettato e nel 2005 sono arrivato qui. All’inizio mi sentivo un po’ smarrito, mi pareva di lavorare poco, invece poi ho capito che la vera differenza era la centralità della persona rispetto al lavoro e l’attenzione che gli viene dedicata. La squadra di cui faccio parte è molto unita e forte, anche in Comunità succedeva così: se il gruppo era forte, questa forza si riproduceva anche sui singoli individui, se il gruppo era in crisi, ci sentivamo tutti più fragili. Ricordo poi Don Gallo come persona forte e vivace ma al tempo stesso molto comprensiva».

Decisamente difficile, con una salita tortuosa e molti sbandamenti anche il percorso di vita che nel 2007 ha portato Roberto Piras ad approdare anch’esso da Don Gallo e poi da noi:

«Quando sono arrivato ad una assunzione stabile ho preso casa con Maurizio in via Gramsci, che a pensarci ora sembra un paradosso: in realtà, se veramente hai risolto e chiuso con il tuo passato non conta dove sei ma chi sei in quel momento. Mi è stata data sempre crescente fiducia e opportunità di maturazione professionale. La mia specializzazione è l’ingegneria naturalistica, settore di cui sono il coordinatore: lavoro con il legno con cui eseguo, sulla base di progetti, strutture per recuperare porzioni di terreno colpito da frane, è un lavoro molto duro e complesso ma a me piace moltissimo. Vengo al lavoro con grande soddisfazione grazie anche ai miei colleghi con i quali ho un rapporto di grande coesione sul lavoro e solidarietà umana, spesso ci confrontiamo e condividiamo i nostri problemi, un po’ come si faceva da Don Gallo dove si condivideva tutto e ti davano gli strumenti per cambiare la tua vita, ma venivi lasciato libero di

scegliere, diversamente rispetto alle altre comunità. Io e mia moglie (Viviana Correddu, autrice del libro Il Gallo siamo noi) li abbiamo usati proprio tutti, strumenti che mi hanno aiutato a uscire anche dalla mentalità e dagli atteggiamenti di diffidenza e autodifesa nei confronti degli altri che sviluppi quando sei in ambienti a rischio».

E infine i ragazzi del Verde, le acquisizioni più recenti, giovani ma preparati e motivati: Davide Balma e Valentina Mainero hanno una formazione simile, provengono dall’Istituto «Marsano» di Genova dove hanno conseguito il diploma di Perito agrario, entrambi arrivati in famiglia dopo un periodo di praticantato. Davide svolge uno stage presso di noi durante il periodo scolastico, entusiasta presenta il suo curriculum e nel 2012 viene assunto. Attualmente gestisce il magazzino, organizza le squadre in partenza dalla sede, è esperto in tree climbing e in progettazione giardini, adora il lavoro all’aria aperta:

«Quando sono tornato, a distanza di soli tre anni, ho visto una grande crescita complessiva, un’organizzazione meglio strutturata, una modalità di lavoro più condivisa e solidale. Siamo tutti ugualmente importanti, da chi rastrella a chi arrampica, siamo parti di un unico motore, se soltanto una non funziona si va avanti male o ci si ferma ed io ho avuto la possibilità di coniugare passione e buon clima lavorativo. Mi piacerebbe che la cooperativa si sviluppasse in un settore in cui siamo già presenti e ben preparati, quello della

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progettazione e creazione di giardini ex novo, come ad esempio è già avvenuto in occasione della creazione di un parco giochi per l’Istituto Primavera di Begato dove l’alluvione aveva distrutto ogni cosa. Mi piacerebbe poter fornire in questi ambiti un servizio completo dalla progettazione alla realizzazione di ogni aspetto e componente».

Valentina da marzo del 2015 affianca Lorenzo Monteverde in tutti gli ambiti del suo lavoro, dalla progettazione alla gestione dei cantieri, dalla rendicontazione al contatto con il cliente:

«Il mondo della cooperazione mi era estraneo, non pensavo che un’impresa cooperativa potesse essere così strutturata e competente. La parte del mio lavoro che mi piace di più è quello della progettazione, settore che stiamo cercando di far crescere e sviluppare partendo da piccoli progetti: ce ne occupiamo io e Lorenzo ed alcuni ragazzi che consultiamo quando si tratta di inserire sistemi di irrigazione. La collaborazione si allarga nella fase di realizzazione del progetto, quando si rende necessario apportare modifiche e miglioramenti sul campo. Questo è il momento più bello sia sotto il profilo professionale che umano: lo scambio, la condivisione. Fondamentale infatti per me e Lorenzo ascoltare quello che dicono i ragazzi anche sul singolo intervento, sulla singola pianta, questi momenti costituiscono per tutti una crescita in una professione che richiede molte energie anche fisiche e tanta determinazione».

Nonostante tutto questo Lorenzo vorrebbe sviluppare un quarto settore nell’ambito della produzione agricola, al fine di garantire la continuità del lavoro alle persone che superano i limiti di età imposti da alcuni settori del Verde: qualche passo in questa direzione è già stato fatto, spero che il cammino porti nel tempo alla costituzione di una vera e proprio azienda agricola. Secondo la sua esperienza, la pluralità di attività e di clienti garantisce maggiormente la continuità e la stabilità del lavoro, fattore importante soprattutto per chi ha vissuto una lunga fase di precariato o per chi, non più giovanissimo, ha perso il lavoro e non riesce a mantenere la famiglia.

Nel 2010, quando si pensava che la nostra attività dovesse concentrarsi e crescere attorno ai settori che ormai ci avevano caratterizzato e per i quali eravamo affidabili e apprezzati, si presenta una opportunità che Roberto coglie immediatamente intuendo che potesse essere una ulteriore occasione di sviluppo. All’interno degli spazi di un grande ospedale cittadino già da tempo ci occupiamo di manutenzione del verde, affidamento ottenuto dopo un anno di prova a titolo gratuito con l’obiettivo di scardinare una certa diffidenza nello svolgimento di questi lavori con le fasce deboli. Avendo quindi dimostrato con i fatti disponibilità e capacità organizzativa, ci viene richiesto di strutturare il servizio interno di trasporto farmaci. Quindi, insieme agli uffici preposti, si studia un piano di fattibilità: a distanza di poco meno di due mesi si struttura il servizio, si acquistano cinque mezzi, si formano e organizzano 12 persone comprese naturalmente fasce deboli e invalidi civili. Successivamente vinciamo anche una gara europea. L’attività si amplia poi sino a ricomprendere il trasporto di cartelle cliniche e documentazione sanitaria, consegna della posta interna e di materiali per la pulizia e di cancelleria. Dimostriamo a tutto tondo quindi la nostra capacità finanziaria, organizzativa, di visione.

Di questa squadra fa parte Salvatore Carotenuto. Dopo un passato soprattutto internazionale di manager di alto livello nel settore petrolchimico, arriva da noi nel 2011:

«Sono quindi passato a Genova a lavorare alla MSC: si trattava di migliorare l’organizzazione e le performance di alcune aziende satelliti della compagnia, ma non si è rivelata una buona

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esperienza. Superato un periodo di crisi, sono entrato qui semplicemente a seguito della presentazione di un curriculum. Mi occupo del coordinamento e consegna di farmaci e cartelle all’interno di un ospedale genovese e da quando lo abbiamo avuto in gestione noi, questo servizio è nettamente migliorato, abbiamo un indice di errore prossimo allo zero e un indice di soddisfazione molto elevato».

All’interno del sotto settore del Verde forestale, che garantisce il lavoro anche nel periodo autunnale e invernale, si è sviluppato ormai da tempo un solido rapporto con l’Orto botanico di Villa Beuca a Cogoleto che gestiamo direttamente collaborando anche all’organizzazione di conferenze a tema che si svolgono nel Punto culturale intitolato a Don Gallo.

La storia di questo rapporto passa attraverso quella della cooperativa Il Giunco, nata sotto l’impulso di chi mi aveva dato vita e di Luca Baghino che ne è stato presidente sino al 2012 quando la cara consorella decide di entrare nella nostra ormai grande famiglia – a quest’anno siamo quasi 200 – dove è rimasto anche Luca, attualmente Referente presso l’importante e delicato appalto per le disinfestazioni di un grande ospedale genovese:

«Oggi in effetti, dopo quaranta anni di interessi naturalistici, ornitologici e di impegno, anche professionale, nell’ambientalismo scientifico, ripenso a quando mi avvicinai al sociale, attraverso un corso di formazione destinato a costituire un’impresa sociale di tipo B. Nel 2001 riuscimmo a costituire la cooperativa e ad avviare l’Orto Botanico: iniziò una storia fatta di persone, di percorsi di vita

comuni e insieme diversi, di aspettative individuali e collettive. Il Giunco ha rappresentato la realtà di un’impresa entrata non solo a far parte della vita del paese, ma rivelatasi anche utile alle amministrazioni locali per l’affiancamento, ad esempio, garantito ai giardinieri del Comune di Cogoleto. La fusione per incorporazione in realtà ha permesso di mantenere non solo esperienze e competenze acquisite, ma anche le giuste autonomie della squadra dell’ex-Giunco ora divenuta unità distaccata a Cogoleto, con servizi anche nella vicina Celle Ligure».

Questo a ponente, e a levante? – direte giustamente voi – anche qui non ci siamo fatti scappare l’occasione per un coinvolgimento in un interessante progetto sociale: Aiutiamoli a lavorare, promosso dal Rotary Club Portofino e dal Comune di Santa Margherita.

Due persone di Santa Margherita, rimaste finora fuori dal circuito del lavoro, si stanno occupando, sotto il tutoraggio di un nostro coordinatore, di un orto del Convento dei Frati Cappuccini, la cui manutenzione, per via del sempre più basso numero di frati, si era fatta nel tempo critica. I prodotti dell’orto e della vigna serviranno a rifornire la mensa dei poveri che, all’ora di pranzo, è in grado di offrire un pasto a una quarantina di persone indigenti.

Bene – potreste continuare – e a Genova? Sono nata sotto la Lanterna (con quanto orgoglio noi genovesi pronunciamo queste parole!) e certamente non potevo fare a meno di prendermi cura di Lei. Nel 2014 ho aderito al progetto Insieme per la Lanterna con l’Associazione Giovani Urbanisti-Fondazione «Labò» e molti altri partner. Insieme abbiamo adottato, grazie alla concessione del Comune di Genova e del Municipio II Centro Ovest, il complesso monumentale della Lanterna a titolo di volontariato, riuscendo ad evitarne la chiusura per la cronica carenza di fondi. Il nostro compito è quello relativo alle manutenzioni periodiche della vegetazione e delle aree a verde, attraverso il taglio dell’erba, la regolazione delle siepi e delle alberature.

E adesso? Continuo ad andare veloce e non mi fermo certo.

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Abbiamo reso concreti alcuni desideri e progetti espressi da chi avete sino ad ora ascoltato, ma realmente condivisi.

Innanzitutto abbiamo pensato al futuro di coloro che sono in famiglia da più tempo, con i quali ho mosso i primi passi: abbiamo aperto l’Orto del

Rastrello, cooperativa agricola che ha l’obiettivo di trovare nuovi sbocchi di lavoro per i nostri soci fasce deboli e per quei lavoratori che per età non sono più in grado di svolgere le mansioni, soprattutto quelle fisicamente più impegnative, che sono state loro affidate e che hanno svolto per anni con grande impegno.

Poi alcuni soci, Giorgio, Monica e Stefano, hanno pensato che tutto ciò che hanno faticosamente costruito ed appreso in tutti questi anni dovesse essere sviluppato e messo a disposizione degli altri, come è stato fatto per noi. Quindi ha preso vita il R.G.C.-Rastrello Global Consulting, che si occuperà di prestare consulenze in ambito Qualità, Ambiente, Sicurezza, HACCP e Formazione, con l’intento di mettere a disposizione di altre cooperative e realtà locali il nostro know-how.

Infine, anzi last but not least, dalla Cooperativa Sociale La Cruna abbiamo acquisito il virtuoso ramo d’azienda che si occupava da oltre 15 anni di gestione dei rifiuti speciali. In questo modo abbiamo voluto ampliare le nostre attività nel settore della gestione rifiuti prodotti dalle imprese, acquisendo le autorizzazioni al trasporto e intermediazione di rifiuti pericolosi e non-pericolosi, e alla gestione di un impianto autorizzato

al recupero e alla preparazione al riutilizzo, tra i pochi in Italia ad essere autorizzati al “fine vita” delle apparecchiature elettroniche. L’acquisizione di questo ramo d’azienda ci ha permesso inoltre di integrare nella nostra compagine un gruppo di operai specializzati alla cancellazione dati sensibili, alla verifica di funzionamento della componentistica e al disassembleggio.

A dirigere questo settore di impresa con il ruolo di Responsabile Marketing e Sviluppo abbiamo scelto Marco Scagliarini che, proveniendo dall’esperienza maturata in Cruna, si occuperà di promuovere alle aziende le attività di consulenza e gestione ambientale, e i progetti di recupero e riutilizzo dei rifiuti (toner, RAEE, arredi aziendali...) nell’ottica virtosa dello sviluppo sul nostro territorio di una economia inclusiva, sostenibile e circolare.

Ciò che vogliamo trasmettere maggiormente è difficilmente definibile a parole perché assimilabile ad un’aria che si respira, ad un’atmosfera che ci fa veramente sentire una grande famiglia, è quello che abbiamo un po’ orgogliosamente identificato come il Rastrello Style. È una giusta fusione di valori e comportamenti che ci lega, ci rafforza e ci caratterizza e che ha sempre al centro la persona, sia esso un lavoratore o un soggetto svantaggiato. Questo modo di essere lo traduciamo poi in modo di lavorare e lo rivolgiamo a chi si avvicina ai nostri servizi. Svolgiamo al meglio e con grande professionalità il nostro compito, ma curiamo con altrettanta professionalità il rapporto con il

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cliente nello spirito di un clima di partnership e lo seguiamo anche dopo il termine del lavoro in modo tale che si senta accudito, fiducioso, rispettato.

Quando arrivi a questo punto della tua vita non ci sono scuse: sei pienamente nell’età adulta, hai una grandissima forza che ti consente di spegnere le candeline sulla torta d’un soffio anche se cominciano ad essere molte. Ma dopo gli applausi e i cori di chi sta festeggiando con te, quando ti stai gustando non solo la torta ma anche la soddisfazione di ciò che sei riuscito a diventare e costruire, il tuo pensiero si rivolge alle persone che ti hanno seguito e accompagnato in questo percorso. Chi ti ha sorretto e guidato e chi ti affianca in questo percorso e cammina insieme a te.

Come non si nasce, non si cresce da soli: crescere è il frutto di un lavoro di squadra, è il risultato del cooperare.

E sono certa che questo sia anche il pensiero del nostro presidente Roberto Perugi, perché è questo che lui stesso ci ha insegnato:

«Siamo partiti come gli ultimi, gli esclusi, come quelli che ma sì affidiamogli questo semplice lavoro

per solidarietà e compassione, come quelli che possono fare solo questo o poco più perché non sono

nelle condizioni di sviluppare una professionalità,

come quelli che sono una cooperativa e per di più

sociale, non sono una vera azienda.

E invece ciò che siamo adesso dimostra che si erano sbagliati, la ragione stava e sta ancora dalla nostra parte e di tutti coloro che ci hanno creduto e hanno condiviso con noi questo percorso.

È stato un percorso duro e difficile, in cui abbiamo dimostrato la capacità di cogliere le occasioni di sviluppo e di nostra crescita come azienda, ma anche di credere nella crescita individuale attraverso la

formazione continua e costante, capacità sviluppare grande professionalità in ogni aspetto del nostro lavoro. Abbiamo fatto tutto questo senza mai perdere di vista la stella polare di questo cammino, i nostri valori che hanno sempre al centro la persona: solidarietà, affidabilità, sicurezza, attenzione e sensibilità verso chi ha un percorso di vita magari complesso e diverso dal proprio, ascolto.

La cooperativa siamo noi, se non ci fosse stata la cooperativa le nostre esperienze di vita sarebbero state diverse, ma soprattutto distanti.

E invece siamo vicini e uniti, fianco a fianco ogni giorno e insieme ancora cresceremo, per questo vi voglio ringraziare tutti perché se siamo arrivati a mettere nero su bianco questi trent’anni è merito di ognuno di noi che prosegue insieme agli altri tenendosi saldamente per mano».

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Laboratorio disassemblaggio RAEE - Impianto recupero rifiuti speciali de IL RASTRELLO

Foto AMIU Genova – F.Tomasinelli 2017

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VISTA DA VICINO

Vi ho detto tutto di me, vi ho raccontato la storia dei miei primi trenta anni attraverso un monologo a più voci: può sembrare una contraddizione ma non è così quando ogni voce è in continuità e in armonia con le altre.

Ho chiesto poi ad alcuni di coloro che, in modo diverso, in fasi e in momenti diversi, hanno avuto il compito o il ruolo di farmi a arrivare sino a qui, di fare due passi indietro e guardare a me e ai miei 30 pensando anche a sé stessi.

Ė una mia esigenza per affrontare l’età adulta, quando all’improvviso ti ritrovi di fronte al mondo e devi farti largo per segnare da sola il tuo cammino.

Lascio quindi a loro la parola.

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86 I 30 anni della Cooperativa sociale «Il Rastrello»

Mario Baroni

Consigliere comunale e ex direttore Credem

La mia esperienza professionale nel settore creditizio inizia in Banca Intesa per poi proseguire con Credem a cui il Rastrello si era rivolto nel 2002 per un finanziamento.

In questo settore il mondo della cooperazione è sempre stato visto con dubbi e sospetti: una sorta di serbatoio in cui collocare persone e a cui ogni tanto affidare appalti.

Le esigenze della cooperativa si concentravano soprattutto nella anticipazione di crediti propri provenienti da enti pubblici e in investimenti in macchinari e attrezzature. Ho concesso loro prestiti senza chiedere fideiussioni personali, nella convinzione che bisognasse fare una valutazione dell’azienda nel suo complesso e verificare che fosse strutturalmente in grado di restituirli.

Questa convinzione trova poi riscontro nei criteri di rating di Basilea 2 e 3, che indicano come imprescindibili elementi di valutazione la solidità patrimoniale, la struttura dell’azienda, l’indebitamento a breve o a lungo termine, mentre considera le garanzie personali come del tutto accessorie.

Riconoscere un finanziamento ad un’azienda vuole dire anche aiutarla a crescere facendo capire che devono stare in piedi non solo budget e piano finanziario, ma deve stare in piedi l’insieme nel suo complesso senza perdere di vista la sua distintività anche in questo, il fatto che ci siano dei soci e non un padrone deve responsabilizzare tutti in termini solidaristici.

La sintonia di valori e prospettive con il mondo della cooperazione e in particolare con il Rastrello deriva anche dalla mia personale esperienza nel mondo sociale come socio fondatore della cooperativa L’Altro Sole.

Osservando questo mondo quindi da un duplice punto di vista posso dire che la cooperazione sociale attualmente rappresenta una solida fetta di mercato economico senza il quale il nostro paese rischia di crollare.

Il mondo a mio parere non si reggerà mai sul denaro e sulle lobby, si regge sulla solidarietà, sulla sussidiarietà, sulla carità, sì regge sugli atti e sui fatti virtuosi di una cooperativa come il Rastrello che lavora in silenzio e bene garantendo l’occupazione a 200 persone, sostenendo le fasce deboli, facendo un lavoro importante anche sui temi ambientali. Nel nostro paese la società non si reggerà mai sulle spa e sulle multinazionali, l’occupazione sarà garantita da persone che si auto-occupano, costruendo per sé e per gli altri. La cooperazione ha una visione reale della società, è un modo, un metodo che ha costruito il benessere di questo paese, mettendo insieme sinergie, competenze e capacità che si declinano in lavoro vero e competitività sul mercato globale, non può pensare di vivere di appalti pubblici.

In una civiltà vera, però, la priorità devono essere i bisogni reali delle persone puntando anche sulla qualità dei servizi, quindi gli enti pubblici devono aumentare gli investimenti e il fatturato verso la cooperazione sociale di tipo B perché non si corra il rischio che il sostegno e il servizio verso le fasce deboli mettano in grave difficoltà i lavoratori ordinari.

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Giacinto Botto

Educatore del Centro Studi e Socio fondatore

Enrico Montobbio e Maria Grazia Daniele, all’epoca assessore ai Servizi sociali presso la Provincia, avevano già cominciato ad inserire disabili nelle scuole in modo tale che questo mondo si rendesse conto di queste realtà e si organizzasse di conseguenza. Questi inserimenti venivano effettuati in modo un po’ impositivo e forte per cercare di abbattere barriere soprattutto culturali nei confronti della disabilità e aprire un nuovo corso.

Questo nuovo corso si è presentato da subito popolato di ostacoli soprattutto perché in alcuni ambienti non è stato per nulla facile far capire che il diverso inserito nella normalità tende a normalizzarsi e

non a diversificarsi.

Questo tipo di inserimento presentava maggiori difficoltà di quello tradizionale, del singolo inserimento in azienda del disabile che veniva affidato all’azienda stessa e trovava sempre nei colleghi aiuto e attenzione. Con questo progetto la sfida era seguire direttamente e organizzare il lavoro dei ragazzi, far sì che potessero svolgerlo quasi in autonomia magari in un ambiente non protetto.

Gli inizi sono stati quindi più che pionieristici, molta intraprendenza, molta buona volontà dettate dall’entusiasmo di far crescere e sviluppare questa realtà per il bene dei ragazzi e del loro inserimento, ma poche le risorse, le persone e i mezzi. Io ero un educatore, non avevo una formazione professionale nel verde, ero semplicemente una persona che amava la campagna e che in questa occasione si è formato documentandosi e chiedendo a chi ne aveva competenza.

Ricordo il taglio di un cedro del Libano davanti all’ASL di Torriglia, era un albero di 32 metri e le nostre funi ne misuravano 29, ricordo me e Baffico lassù sulla piattaforma armati di motosega, uno aggrappato all’altro

Ricordo poi un lavoro nel settore delle pulizie affidatoci dal comune di Bogliasco, non avendo alcuna attrezzatura a disposizione e piuttosto che rinunciarvi abbiamo utilizzato l’aspirapolvere che ciascuno di noi aveva in casa.

Questo è il periodo (1989, nda) in cui io e la Marini abbiamo passato il testimone a chi era nel frattempo sopraggiunto e gradualmente ci siamo allontanati per dedicarci alle altre realtà che gestivamo, sempre disponibili però per aiuti e consigli.

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88 I 30 anni della Cooperativa sociale «Il Rastrello»

Mario Calbi

Assessore ai Servizi sociali del Comune di Genova dal

1976 al 1985

Ho fatto parte di quel gruppo di amministratori di Comune, Provincia e Regione che assumevano le decisioni perché progetti come Il Rastrello potessero essere realizzati, ho lavorato in grande sinergia con Maria Grazia Daniele ed Enrico Montobbio.

La nascita di questa e altre cooperative in questo periodo costituisce inizialmente una forma di ripiego, in quanto un primo progetto prevedeva interventi gestiti dal settore pubblico con la partecipazione degli utenti sulla base del modello dei Consultori dell’assistenza domiciliare, attraverso i quali il pubblico avrebbe gestito le strutture tecniche affiancate da comitati costituiti dai soggetti portatori di interessi con poteri istituzionalmente definiti.

Con la legge Stammati, però, gli enti locali ebbero in quel periodo un taglio soprattutto nella assunzione del personale: avevano risorse a disposizione con le quali dovevano strutturare il servizio, ma senza l’assunzione di personale, la scelta fu quella di utilizzare soggetti terzi che gestissero i servizi attraverso un finanziamento pubblico, invece di gestire direttamente i servizi.

I costi poi si rivelarono inferiori rispetto all’inserimento nelle strutture tradizionali come i laboratori protetti, anche se inizialmente la soluzione delle cooperative sociali appariva non convincente in quanto sembravano anch’esse una forma di reclusione, un po’ più evoluta ma simile ai laboratori protetti. Sembravano un ripiego, ma alla fine divennero uno strumento importante in quanto l’inserimento lavorativo necessitava di tempi scalati e per le aziende sarebbe stata una situazione senza alcun vantaggio produttivo neanche a lungo termine, soprattutto perché vi erano persone con livelli di difficoltà per i quali tale inserimento sarebbe stato impensabile o con tempi indefiniti. Quindi avere un contesto lavorativo reale con un riconoscimento giuridico e le garanzie

conseguenti come la pensione, la copertura di malattia e l’inserimento in un contesto di regole, anche se in qualche modo adattate, era un valore aggiunto importante.

Il Rastrello è nato in questo modo: uno dei primi progetti di inserimento è stato realizzato con il settore Giardini e Foreste del Comune di Genova che aveva accettato la proposta di Montobbio di inserire persone affette da sindrome di down a svolgere il ruolo di aiutanti giardinieri. Di conseguenza, si è constatato che far lavorare persone disabili in questo ambito fosse produttivo dal punto di vista della socializzazione e dell’inserimento, in relazione ai quali aveva dato ottimi risultati.

All’inizio degli anni 2000 venne aperto dal Comune di Cogoleto un Orto Botanico a Villa Beuca e ne venne affidata la gestione ad una piccola Cooperativa sociale, Il Giunco, formata anche da persone seguite dalla Salute Mentale ospiti dell’ex manicomio.

Qualche anno dopo si pose il problema di garantire la sopravvivenza della Cooperativa rispetto all’insufficiente finanziamento comunale e poiché ero responsabile di questo servizio mi capitò di ritrovare Il Rastrello, divenuto nel frattempo una solida realtà produttiva e organizzativa, che non aveva però dimenticato la sua ragione d’essere.

Il Giunco venne così assorbito dal Rastrello e ciò permise nel 2012, con la chiusura dell’Orto per difficoltà del bilancio comunale, il mantenimento in servizio dei cooperatori e anche la riapertura sia pure parziale dell’Orto, a spese e per volontà del Rastrello.

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Domenico Chionetti

Responsabile della Comunità San Benedetto al Porto

Faccio il mio ingresso nella Comunità nel 1998 come volontario e vi lavoro stabilmente nel 2003.

La Comunità entra in contatto con le altre realtà del territorio sempre partendo dalle relazioni umane e personali, quindi il rapporto tra enti che operano nel sociale e nella possibilità di riscatto delle persone aveva già un vissuto importante, questo sottolinea ancora di più la forza del movimento cooperativo in rete con le comunità di accoglienza. Per me la cooperativa Il Rastrello è una realtà ontologica, di grandi valori al pari del Ceis di Bianca Costa.

La Comunità si fonda sulla matrice carismatica di Don Gallo che ha saputo tenere insieme persone molto differenti: i cattolici dissidenti più legati alla teologia della liberazione negli anni di Wojtyla e di Ratzinger, ma anche agnostici e atei e naturalmente persone con problemi di dipendenza, altri con un vissuto disagiato. Nel periodo iniziale il lavoro era molto più presente, ma c’era anche un mondo molto meno normato, un mondo caratterizzato da comunità a tempo pieno e cassa comune che erano comunità di vita. Questo sistema subisce un cambiamento a metà anni ’90 anche se il consumo di eroina non diminuisce come non diminuiscono le dipendenze, cambiano le culture dei consumi.

Nel periodo che va dal 1970 al 1994 la Comunità si basava sulla autosufficienza quindi era sostenuta non solo da lasciti e donazioni, ma anche dal proprio lavoro, quindi la pelletteria, la falegnameria, la rilegatoria, la tipografia, la trattoria la Lanterna. Don Gallo poi era il nostro grande fundraiser. Successivamente, in conseguenza dell’intesa Stato-Regioni, abbiamo iniziato a lavorare con le Asl in relazione alle dipendenze.

Dobbiamo riconoscere l’impoverimento delle risorse del sociale rispetto alle dipendenze che non solo ha dato meno strumenti per l’accoglienza, ma ha anche ridotto la possibilità di utilizzare il lavoro come strumento di reinserimento che solo in parte

viene fatto e quindi risulta non più sufficiente. In questo contesto Il Rastrello è stato uno strumento importante, un supporto fondamentale, una forza che ci ha permesso di dare opportunità a tutte quelle persone che erano più affidabili o con un percorso di maturazione più certo.

Ricostruendo il rapporto con Il Rastrello il ricordo più forte e importante è stato quello relativo alle tante persone che hanno attraversato quei luoghi, quindi Il Rastrello ci dà l’opportunità di fare una riflessione rispetto allo strumento del lavoro, prezioso e sempre più in crisi, insieme a quello della casa perché la Comunità non è un luogo esaustivo, è un pezzo di percorso, non è salvifica. È un primo passo che poi però ha bisogno, dopo un periodo di riappropriazione della propria dignità, della propria dimensione umana, delle relazioni interpersonali, ha bisogno di ulteriori strumenti per rientrare nella società attiva.

Le persone che sono transitate attraverso la cooperativa sono state talmente tante che è difficile ricordarle tutte e questo costituisce già un segno del sostegno che ci è stato dato e comunque non ci siamo mai messi attorno ad un tavolo per dirci grazie o ricordare ciò che abbiamo fatto, questo può essere un limite da una parte e un elemento di ricchezza, di maturità dall’altra. Quando ti trovi nel fare non badi molto ai convenevoli ma agisci.

Per una persona che inizia a lavorare all’interno della cooperativa vedere persone come Roberto e Maurizio che lavorano e assolvono incarichi di responsabilità e di autonomia è una grande testimonianza non solo di fiducia ma anche di possibilità di percorso e di maggior impegno. Le diffidenze di cui parlava Maurizio sul mondo cooperativo mal gestito, malpagato decadono automaticamente.

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90 I 30 anni della Cooperativa sociale «Il Rastrello»

Beppe Costa

Presidente e Amministratore delegato di Costa

Edutainment

Il fatto che il rapporto duri da più di venti anni è un dato di fatto importante ed è da una parte la conseguenza di una scelta precisa da parte nostra di avvalerci per alcuni servizi delle cooperative sociali, e dall’altra, nonostante sia stata messa in gara con altre, la volontà di mantenere comunque il rapporto con Il Rastrello soprattutto perché il livello di servizio da loro prestato è sempre stato molto elevato, corrispondente ai parametri che ci siamo prefissati e di conseguenza loro richiesti.

Ciò vuole dire non solo una attenta ed accurata pulizia di tutta la struttura ma anche svolgere il proprio lavoro, soprattutto durante la presenza dei visitatori dell’Acquario, in modo adeguato, discreto e cortese da parte di persone caratterizzate da un percorso di riqualificazione personale che a me in particolare interessa molto, tanto che due lavoratori della cooperativa, una volta usciti positivamente dal loro percorso, sono diventati nostri dipendenti.

Il rapporto con Il Rastrello è sempre stato ottimo non solo sotto il profilo personale ma anche umano, l’intesa non è mai mancata anche e soprattutto in uno dei momenti che ci ha visto in maggiore difficoltà, come quello dal quale stiamo progressivamente uscendo: non si dimentichi che questa situazione ha avuto conseguenze pesanti anche su di loro, in un certo senso ulteriormente aggravate dall’essere proprio una cooperativa sociale.

Ho notato poi che le persone di questa cooperativa svolgono il lavoro loro assegnato, che spesso va al di là delle pulizie e a volte riguarda attività di manutenzione di vario genere, con l’atteggiamento non tanto del fornitore, ma di chi si sente integrato nella struttura e partecipe dell’organizzazione.

Ritengo quindi Il Rastrello non tanto un fornitore quanto piuttosto un vero partner.

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Maria Grazia Daniele

Assessore provinciale dal 1975 al 1980, eletta presidente

della allora USL alla quale venne assegnato il Centro

Studi; dal 1985 al 1990 consigliere regionale e dal 1992

al 2001 Senatrice

Cari amici del Rastrello.

Molti sono i ricordi: anni di grande impegno ed entusiasmo.

L’approvazione, da parte del Parlamento di allora, della legge che ha previsto l’inserimento scolastico dei ragazzi con problemi fisici, psichici e sensoriali, è stato a mio parere determinante per l’affermazione di una cultura inclusiva e non più emarginante che ci ha consentito nel tempo di affrontare nuove situazioni.

Furono inseriti bambini handicappati in tutte le scuole.

Dalla scuola alla formazione professionale, all’inserimento lavorativo, il passaggio è stato breve.

Ciò è stato possibile per una forte sinergia tra operatori, associazioni e noi amministratori degli enti locali. Enrico Montobbio mi aveva più volte ripetuto: l’handicappato non deve saper contare fino a sei, ma deve saper mettere sei cucchiaini sul tavolo, se è questo che deve fare; dobbiamo insegnarli delle cose vere: solo in questo modo è motivato e imparerà. In fabbrica imparerà ad avvitare un bullone perché è un posto vero, dove si lavora senza finzione.

Tante erano le domande alle quali dare risposta: come farli arrivare alla fabbrica, col pulmino speciale? No, con il taxi. E dopo? Dopo insegneremo loro a prendere l’autobus. E come faremo a convincere le aziende? Inizialmente chiedendolo come sperimentazione, senza gravare finanziariamente su loro. Potremmo allora dare un sussidio? È meglio chiamarlo borsa di lavoro, è un presalario. Per quanto tempo?

Abbiamo lavorato tanto e tutti insieme, i risultati ci sono stati. Molti giovani sono stati inseriti nel mondo del lavoro, sono diventati uomini adulti a tutti gli effetti. Oggi si chiamano a ragione diversamente abili. L’handicap ha potuto essere superato attraverso l’inserimento nella società in tutte le sue manifestazioni.

Ho avuto la soddisfazione di presentare al Senato la legge che riconosce questa nostra esperienza e di proporne il metodo a livello nazionale. La legge è stata approvata, porta il mio nome ma dietro c’è il lavoro tenace e prezioso di tante persone, con le quali ho lavorato con convinzione.

Il Rastrello ha le sue radici in queste esperienze, rappresenta la fase successiva all’inserimento, è la partecipazione alla gestione del proprio lavoro, del proprio futuro, è il diventare azienda.

In questi trent’anni siete cresciuti numericamente e professionalmente, avete esteso il vostro intervento lavorativo in più settori, avete dato vita ai nostri sogni di allora.

Per questo vi devo dire grazie, grazie a chi ha sostenuto e diretto questo progetto, grazie ai lavoratori che ne hanno fatto un esempio per tutti.

Con affetto, Maria Grazia Daniele.

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Carlo Lepri

Psicologo del Centro Studi

Chi, come me all’epoca, ha cominciato l’avventura dell’inserimento lavorativo dei disabili, ha agito con una forte componente ideale. Adesso invece siamo un po’ soffocati dalla dimensione tecnica, sicuramente fondamentale, ma che non deve dimenticarsi degli uomini. Le persone disabili erano quelle figure attraverso le quali segnare il cambiamento: gli ultimi diventavano i primi.

Il tirocinio di formazione in situazione è stato il vero elemento innovativo, in quanto sino ad allora la formazione si faceva all’interno dei laboratori protetti, che comunque erano fini a sé stessi in quanto privi di contatto con la realtà esterna. Si faceva la formazione sul luogo di lavoro perché una delle grandi scoperte sul piano scientifico era che l’apprendimento avviene laddove si produce l’apprendimento stesso, in quanto uno dei problemi di queste persone era proprio il suo trasferimento. La fase successiva alla formazione in situazione era poi la mediazione che abbiamo chiamato borsa lavoro finalizzata alla permanenza quindi all’assunzione.

Abbiamo speso molto e spesso in maniera diretta in questi progetti di costituzione di cooperative. In realtà non c’è stata sempre unanimità tra i tecnici che si occupavano di inserimento lavorativo rispetto alla cooperazione sociale, perché vedevamo alcuni rischi. Il più temuto era che all’interno di queste situazioni si potessero verificare atteggiamenti di tipo protettivo, paternalistico, assistenziale, soprattutto dove la percentuale di persone disabili intellettivi era molto elevata: per questo vigilavamo con attenzione anche sullo sviluppo, che dopo i primi anni diveniva autonomo.

La differente scelta fatta dal Rastrello nel corso degli anni di divenire una azienda realmente produttiva, ha condizionato naturalmente la scelta delle categorie di fasce deboli da inserire: c’è una esigenza di stare sul mercato che deve essere contemperata con da una parte la mission e dall’altra l’obbligo di accogliere le fasce deboli.

Come Centro Studi avevamo insistito molto perché questa realtà avesse una doppia connotazione: fosse da una parte uno strumento di transito per alcune delle persone disabili, dove potevano formarsi e acquisire competenze professionali, ma soprattutto relazionali, di permanenza per altre.

Questo è avvenuto nel tempo ed è stata una risorsa importante, per la cooperativa e per il centro servizi che seguiva la persona.

La cooperazione sociale vive ora un momento di grande difficoltà: la pista di lavoro che mi sento di indicare è di cercare di uscire dalla logica di essere solo il braccio operativo dei servizi pubblici e di collegarsi con una imprenditorialità innovativa che riguardi soprattutto ambiente e nuove tecnologie. Per percorrere queste strade nuove è fondamentale rimanere in stretto contatto con il territorio di cui sono espressione, con i servizi, gli enti locali, imprese. Ma anche e soprattutto con i cittadini, attraverso la partecipazione nei luoghi dove la socialità si esprime, dove si fa cultura, dove si fanno scelte politiche.

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Francesca Marini

Psicologa presso il Centro Studi

Il Rastrello è stata un’idea che è partita da me e da Giacinto Botto immaginando spazi nuovi che andassero al di là di quanto imponesse alle aziende la legge sul collocamento obbligatorio.

La nascita del Rastrello fa parte di quella rivoluzione sociale e culturale che parte dall’integrazione scolastica e prosegue con quella lavorativa e sociale e che ha rivoluzionato la vita dei disabili e soprattutto delle loro famiglie che, in alcuni casi, nascondevano il figlio disabile in casa senza inserirlo in alcuna struttura scolastica anche speciale.

Ė importante sottolineare questo contesto storico, perché questa rivoluzione costituita dal Centro Studi è nata per dare continuità a un sogno, è stato un momento che definirei magico di grande energia ed entusiasmo.

Molti sono stati gli ostacoli che abbiamo incontrato in questo difficile cammino, anche all’interno del nostro mondo a causa di un atteggiamento rigido che si confrontava con il nostro pensiero creativo.

Abbiamo coinvolto Maria Grazia Daniele e Mario Calbi, che ci aveva dato un piccolo appalto. In quel periodo c’era anche La Scopa Meravigliante che gestiva soltanto persone con problemi psichiatrici.

Noi invece, grazie al Centro Studi, potevamo occuparci anche di altre fasce deboli, handicap motorio, disagio sociale, insufficienza mentale con un orizzonte di inserimento molto ampio.

Il nostro obiettivo non era solo collocare le persone, ma soprattutto trovare un contesto lavorativo in cui si potessero integrare e realizzare compatibilmente con le proprie caratteristiche.

Abbiamo coinvolto anche l’ANFFAS per capire quali erano gli spazi di lavoro in cui ci si poteva muovere, volevamo creare una cooperativa attiva, non assistita.

Con questo strumento volevamo arare terre nuove, tracciare solchi nuovi in territori nuovi ed evidentemente, se il Rastrello vive ancora, vuole dire che abbiamo fatto una buona semina.

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94 I 30 anni della Cooperativa sociale «Il Rastrello»

Giovanni Miceli

Direttore dell’ANFFAS dal 1972 al 2011 e presidente

della Cooperativa dal 1997 al 2005

L’ANFFAS a Genova è nata nel 1965. Ricordo che i marinai di una portaerei americana ormeggiata in Darsena, probabilmente contattati da qualche famiglia, erano venuti a dare il bianco alle pareti della prima sede.

Avevamo molti laboratori: meccanica, legatoria, cartotecnica, falegnameria, maglieria, però non vi erano sbocchi lavorativi, quindi era necessario creare un percorso, attraverso il quale i ragazzi che avevamo preparato al lavoro potessero svolgerlo all’esterno.

Da qui la simbiosi con il Rastrello e la collaborazione del Centro Studi di Enrico Montobbio.

Abbiamo riversato nel Rastrello tutta la nostra esperienza e volontà di creare qualcosa che non c’era, un percorso verso l’inserimento lavorativo e ci siamo riusciti anche se non è stato facile, ma le scelte economiche si sono rivelate vincenti e su questa onda si è evoluto ancora di più.

Determinante poi la scelta di coinvolgere nel Consiglio anche i lavoratori per una vera condivisione delle scelte. Questo ha portato come conseguenza la diversificazione degli interventi e il fatto di entrare a fondo nella problematica del lavoro, cosa che non è di tutti gli imprenditori. Un imprenditore normalmente guarda al reddito, anche noi guardavamo al reddito ma insieme ai lavoratori.

Mi risulta che ci sia ancora molta fratellanza tra i lavoratori, con un importante lavoro si è creata una buona armonia.

Ricordo bene che nelle riunioni quanto veniva detto nasceva non tanto dal cervello ma dal cuore, c’era una spinta emotiva forte e permanente che portava a grandi risultati e altrettante soddisfazioni.

Ripensando a questa mia esperienza posso affermare che rifarei tutto nello stesso modo, forse avrei lottato di più dal punto di vista politico in quanto mi sono reso conto di quanto era poco conosciuta questa realtà. In un incontro svolto con Biasotti [Sandro, ex presidente della Regione Liguria, nda], finalizzato a presentare alla Regione la nostra realtà, egli stesso ha potuto rilevare come fossimo una delle più importanti cooperative della città di Genova. Questo però stava a significare che le istituzioni non conoscevano le nostre dimensioni e il servizio reso alla città.

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Enrico Montobbio

Direttore del Centro Studi per l’integrazione lavorativa

dei disabili

La cooperativa Il Rastrello è nata all’interno di un progetto complessivo di integrazione degli handicappati: quando abbiamo cominciato a inserire persone disabili nelle imprese con gli strumenti di mediazione ci siamo accorti che c’erano aziende che avevano veramente difficoltà ad effettuare questi inserimenti in quanto definite capital intensive, quindi a forte investimento di capitale e a basso investimento di manodopera, con posizioni altamente specializzate, mentre noi avevamo bisogno di aziende labour intensive, sostanzialmente manifatturiere e a Genova ve ne erano poche.

Recandoci quindi nelle aziende ad alta intensità di capitale come la petrolchimica, ci è stato suggerito di organizzare una struttura, nello specifico una cooperativa, che lavorasse per incarico. Questa realtà di reale avanguardia è stata poi oggetto di un interessamento internazionale, ho lavorato in 19 paesi su questo progetto. In America l’integrazione lavorativa attuata secondo il metodo genovese si chiama Genoa System: in California c’è stata una esperienza interessante, si chiamava supported

employ, che però prevedeva supporti in azienda più accentuati rispetto al modello di partenza, in cui l’operatore aveva una presenza maggiore in azienda.

Noi, invece, davamo molta responsabilità all’azienda, la incaricavamo di fare la scuola del

lavoro.

Il progetto poi è stato poi assorbito dall’OCSE e finanziato dal governo americano, tanto che una equipe di specialisti USA è venuta a Genova e ha fatto rilevamenti e un rapporto. Altre esperienze, figlie del modello genovese, si sono svolte in Argentina, Canada, in Francia, in Germania e in Svizzera.

Uno degli elementi strategici in questo progetto è stata la collaborazione tra i vari soggetti coinvolti, il Centro Studi, le aziende e le famiglie che dicevano «noi sappiamo che lei c’è». Era un gesto di fiducia, un’apertura di credito.

In Italia la dimensione critica verso i disabili e le loro famiglie era molto elevata, non a Genova però perché la dimensione del Centro Studi puntava sull’alleanza con la famiglia.

L’inserimento, naturalmente, non è una guarigione, una restitutio ad integrum totale: è un’integrazione con un ruolo sociale che riverbera nell’identità e comporta vantaggi di benessere, di utilità, di senso della partecipazione sociale. Il ruolo sociale è un fattore fondamentale di costruzione identitaria. Se noi chiedevamo alla persona disabile chi fosse, rispondeva «sono un ragazzo», un eterno ragazzo che andava a dare il bacino al capo del personale prima di iniziare la giornata, che i colleghi chiamavano ü figgieü.

Guardando al Rastrello provo una grande fierezza, quando vedo persone che vi lavorano che sono diventate uomini, semplici, ma uomini nel vero senso della parola mi si riempie il cuore.

Con questa esperienza ritengo di aver dato un senso reale alla mia vita.

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96 I 30 anni della Cooperativa sociale «Il Rastrello»

Sergio Pippo Rossetti

Assessore ai Servizi Sociali e alla Sanità del Comune

di Genova dal 1993 al 2002; dal 2010 al 2015 assessore

regionale alle Risorse finanziarie, è ora consigliere

regionale

La mia esperienza in questa realtà inizia come esponente del Centro dì Solidarietà al tavolo della Federazione Regionale Solidarietà e Lavoro, in primo luogo in termini di volontariato prima che cooperatore in senso aziendale. A questa è seguita la fase relativa alla mia esperienza di assessore in Comune e quindi interlocutore nei confronti della cooperazione come direttore del Chiossone.

In questo periodo ho vissuto i cooperatori come un insieme di soggetti capaci, che lavoravano su più settori avendo anche un segmento privato da incrementare, con una serie di operatori ed educatori che gradualmente sono diventati i manager della cooperativa.

Negli anni novanta iniziamo a inserire queste realtà, ma già nel 1992 la classe politica salta per il malaffare e perde efficacia. Progressivamente l’amministrazione pubblica, che comincia ad avere problemi economici, sviluppa una logica del contratto e della gara, della prestazione di servizio, della regolamentazione non sul risultato ma sui criteri oggettivi e autorizzativi. A questa è seguita la fase del cambio del mercato, quindi le gare di appalto, inevitabili ma complicate: forse sarebbe stato utile innestare dei processi di valutazione del cambiamento del mercato del lavoro ed agire di conseguenza.

Nel 1996 abbiamo prodotto il regolamento per le cooperative tenendo presente il rapporto qualità-prezzo: non si andava quindi sul ribasso, ma sulla esperienza e capacità di tenuta.

Se confronto quel regolamento con il codice degli appalti rimango perplesso: bisogna prestare attenzione alla qualità del servizio offerto e selezionare in base a questo principio, la scelta

non può essere determinata dal solo criterio della gara, ma da un sistema di selezione che consenta di tutelare il tessuto territoriale, la presenza all’interno di esso, l’esperienza, quindi la cooperazione sociale non come mero servizio ma come valore aggiunto delle relazioni del territorio in cui si deve integrare anche la rete del volontariato. Il valore del tessuto sociale quindi come elemento di qualità della vita di una comunità.

Esiste un servizio al cittadino che riguarda il tessuto della comunità in cui vive che lo fa stare bene ed è ormai consolidato il fatto che le economie crescono quando i cittadini hanno una buona qualità della vita e di conseguenza costano meno.

Avverto che il mercato del lavoro è molto cambiato nelle forme e nelle aspettative quindi è necessario trovare misure e risposte adeguate, altrimenti si fa fatica a difendere i valori: esistono settori economici non cooperativi che pur di lavorare accetterebbero qualsiasi situazione con grande interesse del pubblico a spendere poco e a farlo sapere.

Bisognerebbe far conoscere queste esperienze e costruire un sistema di alleanze, perché oggi il dato commerciale non è più collaborativo, ma competitivo rispetto al processo del territorio e in questo la politica deve avere un ruolo di guida e protagonista con una visione di lungo periodo, per trovare diverse soluzioni e nuove relazioni tra gruppi industriali e cooperazione.

Nella mia visione in prospettiva la cooperazione deve innanzitutto intuire dove va il mercato, quindi sviluppare managerialità. E realtà come il Rastrello lo stanno già facendo.

Bisogna poi strutturare un sistema di alleanze non solo locali e non solo politiche: le istituzioni innanzitutto dovrebbe sviluppare in rete tra di loro (coinvolgendo anche soggetti pubblici come la Corte dei Conti, il Mef, ma anche l’Autorità Nazionale Anti Corruzione) un lavoro tecnico

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giuridico e legislativo per la comprensione di quali siano quei servizi in cui avremo caduta di qualità e inserire in modo utile e dignitoso la cooperazione. Che deve però fare al suo interno sistema e quindi massa critica.

Perché avvenga ciò a mio parere è indispensabile che tutti i soggetti coinvolti abbiano la consapevolezza di dover fare un passo indietro, per guardarsi con chiarezza in volto, sviluppare un lavoro condiviso guardando nella stessa direzione: il bene comune.

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98 I 30 anni della Cooperativa sociale «Il Rastrello»

Mario Tullo

Dal 1985 consigliere del Comune di Genova,

successivamente assessore allo Sport e al Commercio,

dal 2008 deputato e membro della Commissione IX

Trasporti, Poste e Telecomunicazioni

L’inizio dell’attività del Rastrello coincide con l’inizio della mia attività istituzionale, nel 1985 ero un giovane consigliere comunale di opposizione.

Erano anni in cui la cooperazione sociale muoveva i primi passi nel solco delle realtà legate ai disagi sociali, alla disabilità, alla tossicodipendenza.

Il mio ricordo si fa più forte quando nel 1989, casualmente, mi cimentai in una operazione nell’ambito del rinnovo delle concessioni dello stadio.

Noi contestavamo la realizzazione dello stadio in quel luogo e il relativo progetto, ma era difficile contestare le convenzioni con Genoa e Sampdoria, quindi abbiamo proposto alle squadre di versare uno 0,2% sugli incassi per fare una commissione contro la violenza negli stadi.

Questo portò a un dialogo tra tifoserie e istituzioni, unica esperienza in Italia raccontata in una pubblicazione edita dal segretariato sociale della Rai.

Ne conseguì l’idea di sostituire il personale dell’Amiu che si occupava di pulire lo stadio: costituimmo la cooperativa Genova Insieme con ultrà di entrambe le squadre genovesi, così iniziò la mia attenzione per la cooperazione sociale.

Il Rastrello è stato ed è ancora è un punto di riferimento e un aiuto alla crescita, partnership per cooperative come Genova Insieme e La Scopa Meravigliante.

Cosa ci lascia questa esperienza? In alcuni casi le amministrazioni sono state partecipi di una rivoluzione culturale dove vi furono affidamenti diretti: pur credendo sempre a questa possibilità è prevalso il pragmatismo condizionato al taglio delle risorse.

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Filippo Zorzi

Consulente giuslavorista della Cooperativa

Il mio rapporto con Il Rastrello dura ormai da quindici anni ed è nato e proseguito soprattutto per via consulenziale.

La differenza che noto nel rapportarmi con il mondo cooperativo in generale e con Il Rastrello in particolare, è che il lato giudiziale non ha l’importanza che ha quello stragiudiziale. Questo porta con sé una valutazione molto positiva in termini meritori, noi avvocati siamo spesso chiamati a risolvere problemi in giudizio in genere come datori di lavoro, chiamati dalla forza lavoro. Il rapporto con la cooperativa è nato di natura consulenziale perché, rispetto ad altri soggetti giuridici, non hanno quasi mai bisogno di assistenza in giudizio in quanto raramente vengono citati. Le loro esigenze si declinano essenzialmente in consulenze giuridiche che consentano di migliorare l’approccio contrattuale con i propri lavoratori dipendenti, con le strutture dove si lavora, con gli strumenti contrattuali che consentono di acquisirne di nuove, di amministrarle e per la definizione dei contratti con i soggetti che usufruiscono delle loro prestazioni. Il giudiziale è rimasta una nicchia quasi del tutto trascurabile.

Dalla relazione consulenziale è nato poi un rapporto ben diverso da quello che nasce da quella giudiziale poiché la consulenza porta come conseguenza naturale una relazione di tipo personale e, poiché la qualità la fanno indubbiamente le persone, devo ammettere che nell’ambito cooperativo ci sono molte più persone con le quali ho voglia di relazionarmi rispetto al mondo delle imprese ordinarie.

Quando ciò avviene si condivide un’esperienza di reciproca crescita e soddisfazione caratterizzata da occasioni di aggiornamento, condizione molto gratificante poiché si possono toccare con mano i risultati che diventano così patrimonio comune all’interno della cooperativa. Parlare di lavoro non mi stanca, ma mi gratifica e soddisfa e questo si traduce

in un grande guadagno in termini umani che attualmente è una risorsa più preziosa di quello sviluppato in termini economici.

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IL RASTRELLO IN PILLOLE

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Azienda COOPERATIVA SOCIALE IL RASTRELLO A R.L. - ONLUS

Sede Legale Via Greto di Cornigliano, 6 r - 16152 Genova

Partita Iva 02689670103

Contatti Tel. 010|6591960 – Fax. 010|6593239

Email [email protected]

Web www.ilrastrello.it

Pec [email protected]

Numero Occupati (situazione al 09/03/2017) 205

Numero Soci 148

Numero Dipendenti 57

Numero Borse Lavoro 20

Settori di Attività Pulizie civili e industriali

Fauna Urbana e Disinfestazioni

Raccolta differenziata e gestione rifiuti speciali

Trasporti logistici presso Ospedale San Martino

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104 I 30 anni della Cooperativa sociale «Il Rastrello»

Occupati

Nazionalità Occupati

2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 201655 60 71 77 68 76 80 73 6660 63 66 62 68 66 63 70 7696 104 129 189 128 150 165 156 160156 167 195 201 196 216 228 226 286

fasce deboli

donne

uomini

totale collaboratori

0

100

200

300

400

500

600

Italia0 20 40 60 80 100 120 140 160

172

180 200

AlbaniaPeru

NigeriaEcuadorMaroccoRomaniaSri Lanka

Costa D’AvorioColombia

IranLituaniaTunisia

CileRepubblica Dominicana

Burkina FasoMali

GhanaBulgaria 1

11111111112233444

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Fatturato

2015

2016

2014

2013

2012

2011

2010

2009

2008

2007

2006

2005

2004

2003

2002

2001

2000

1999

1998

1997

1996

1995

1994

1993

199219

9119

9019

8919

8819

8719

86

0

1.000.000

2.000.000

3.000.000

4.000.000

5.000.000

6.000.000

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106 I 30 anni della Cooperativa sociale «Il Rastrello»

SISTEMA DI GESTIONE

ISO 14001:2015

SISTEMA DI GESTIONE

BS OMSAS 18001:2007

SISTEMA DI GESTIONE

ISO 9001:2015

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Stampa Coop Tipograf Savona settembre 2017

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108 I 30 anni della Cooperativa sociale «Il Rastrello»

“Leggendo le pagine che seguono toccherete con mano

la realizzazione di un sogno. Un sogno di una

minoranza che ha sfidato la cultura dominante ha

sperimentato, ha progettato e reso possibili soluzioni

lavorative per persone in difficoltà costruendo una

via nuova ed una vera opportunità d’integrazione.

Un sogno che ha cambiato in meglio la vita di molti e

ha distribuito vantaggi economici e sociali alla

comunità. Un sogno di cui andare orgogliosi”.

[dalla Presentazione di Gianluigi Granero,

presidente di Legacoop Liguria]