20-%2011%202010

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“Viva il Concilio” Ha quarantacinque anni e li porta molto bene. I suoi indirizzi sono ancora validi, le sue pagine sono ancora fresche, le sue intuizioni sono ancora capaci di trasmettere al lettore quell’entusiasmo e quel brivido che provammo, tutti indistintamente, nei giorni della sua celebrazione. Veramente un bel concilio, anche se, come tutte le cose, ha continuamente bisogno di essere aggiornato, approfondito, attualizzato, qualche volta, sulla base delle sue idee fondamentali, perfino oltrepassato. Perché il tempo non passa inutilmente per nessuno e perché, soprattutto, “cresce” in continuità la comprensione della chiesa, in sintonia coi progressi della storia e con gli sviluppi della sensibilità degli uomini. “Viva il concilio” è una recente iniziativa che sta trovando un successo insperato, tanta è l’attenzione da essa suscitata in ogni parte della comunità cristiana, tanta è la partecipazione alle sue diverse proposte. Anche il titolo appare suggestivo e indovinato. Viva il concilio, perché l’avvenimento fu tanto grande, i suoi documenti così innovativi, che il tempo finora trascorso, anche se non proprio breve, si è dimostrato insufficiente perché la comunità potesse impadronirsi di tutte le sue ricchezze. Intorno a esso sono sorte discussioni, polemiche, divisioni. C’è da credere che il peccato più grosso sia quello della superficialità. “Chi può essere contro il concilio?”, una frase che ci tocca riascoltare spesso. Forse non è in questione tanto l’avversità, quanto piuttosto il non averne capito fino in fondo la lettera e, soprattutto, il non essere riusciti a impadronirsi dello spirito. Perché il concilio ha insegnato anche un metodo e il primo modo per tradirlo è esattamente quello di dimenticare il processo che l’ha reso possibile. Il metodo, la metodologia, del coraggio, dell’ascolto, dell’attenzione ai segni dei tempi, della sinodalità, della compartecipazione, della corresponsabilità. Tutte caratteristiche, queste, che hanno segnato indelebilmente soprattutto le pagine dedicate alla chiesa. Perché non va dimenticato che il concilio Vaticano II è stato il concilio della chiesa sulla chiesa. Mai, nella sua storia bimillenaria, la chiesa si era fermata a riflettere su se stessa con tanta distensione e tanta intensità. Lo sguardo era aperto sull’universo intero (nessun problema che batteva alle porte fu allora dimenticato), ma tutto veniva riguardato attraverso il prisma della chiesa. Veramente un atto di amore per la comunità escatologica di salvezza. A che punto siamo nella applicazione della nuova ecclesiologia conciliare? Ci sono dei momenti in cui bisogna rinunciare alle polemiche, ridurre al minimo le discussioni, ritrovarci tutti insieme intorno a quel vero e proprio tesoro che i padri conciliari (alcuni soprattutto) ci hanno consegnato. Il nostro è uno di questi. Certo, anche nell’applicazione del concilio c’è una discreta gradazione: da alcune parti si è andati più veloci, da altre meno, da altre ancora si è rimasti fermi, come se nulla fosse successo. Altrettanto va detto delle persone. La stessa gerarchia (non è un mistero per nessuno) si è divisa più di una volta nell’interpretazione dei testi, nella valutazione degli orientamenti, soprattutto nell’accettazione dello spirito che pure rimane determinante nella risoluzione delle questioni rimaste pendenti e non del tutto risolte. Il Vaticano II è stato un concilio di transizione, come fu di transizione il Papa che lo convocò (ma che bella transizione!) e non era forse nemmeno possibile che tutte le intuizioni fossero portate al loro compimento. Nelle nostre mani è così rimasta una bruciante eredità. Ma se si capisce la linea di tendenza, si può anche arrivare a risolvere le sospensioni e le incertezze, immancabili in avvenimenti del genere, con quello spirito nuovo di cui il concilio ci ha lasciato un indimenticabile esempio. Comunque, in un momento di innegabile crisi, in cui l’entusiasmo sta venendo sempre meno e le difficoltà si stanno moltiplicando al nostro interno e al nostro esterno, si impone oggi per tutti una rilettura dei testi conciliari. Ma dire “rilettura” non è forse un complimento che ci stiamo facendo per troppa generosità? Quanti in realtà hanno letto il concilio nella sua interezza, specialmente nelle sue parti più importanti? Si allude certamente ai fedeli, ma purtroppo l’elenco non può escludere nemmeno i ministri ordinati, quelli che avevano il dovere di guidare nella lettura e nella prassi la comunità loro affidata. “Viva il concilio” comincia con la presentazione sintetica di tutti e sedici i documenti. L’augurio però è che di qui nasca il desiderio di andare oltre. Giordano Frosini

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“Viva il Concilio” Ha quarantacinque anni e li porta molto bene. I suoi indirizzi sono ancora validi, le sue pagine sono ancora fresche, le sue intuizioni sono ancora capaci di trasmettere al lettore quell’entusiasmo e quel brivido che provammo, tutti indistintamente, nei giorni della sua celebrazione. Veramente un bel concilio, anche se, come tutte le cose, ha continuamente bisogno di essere aggiornato, approfondito, attualizzato, qualche volta, sulla base delle sue idee fondamentali, perfino oltrepassato. Perché il tempo non passa inutilmente per nessuno e perché, soprattutto, “cresce” in continuità la comprensione della chiesa, in sintonia coi progressi della storia e con gli sviluppi della sensibilità degli uomini.

“Viva il concilio” è una recente iniziativa che sta trovando un successo insperato, tanta è l’attenzione da essa suscitata in ogni parte della comunità cristiana, tanta è la partecipazione alle sue diverse proposte. Anche il titolo appare suggestivo e indovinato. Viva il concilio, perché l’avvenimento fu tanto grande, i suoi documenti così innovativi, che il tempo finora trascorso, anche se non proprio breve, si è dimostrato insufficiente perché la comunità potesse impadronirsi di tutte le sue ricchezze.

Intorno a esso sono sorte discussioni, polemiche, divisioni. C’è da credere che il peccato più grosso sia quello della superficialità. “Chi può essere contro il concilio?”, una frase che ci tocca riascoltare spesso. Forse non è in questione tanto l’avversità, quanto piuttosto il non averne capito fino in fondo la lettera e, soprattutto, il non essere riusciti a impadronirsi dello spirito. Perché il concilio ha insegnato anche un metodo e il primo modo per tradirlo è esattamente quello di dimenticare il processo che l’ha reso possibile. Il metodo, la metodologia, del coraggio, dell’ascolto, dell’attenzione ai segni dei tempi, della sinodalità, della compartecipazione, della corresponsabilità.

Tutte caratteristiche, queste, che hanno segnato indelebilmente soprattutto le pagine dedicate alla chiesa. Perché non va dimenticato che il concilio Vaticano II è stato il concilio della chiesa sulla chiesa. Mai, nella sua storia bimillenaria, la chiesa si era fermata a riflettere su se stessa con tanta distensione e tanta intensità. Lo sguardo era aperto sull’universo intero (nessun problema che batteva alle porte fu allora dimenticato), ma tutto veniva riguardato attraverso il prisma della chiesa. Veramente un atto di amore per la comunità escatologica di salvezza.

A che punto siamo nella applicazione della nuova ecclesiologia conciliare? Ci sono dei momenti in cui bisogna rinunciare alle polemiche, ridurre al minimo le discussioni, ritrovarci tutti insieme intorno a quel vero e proprio tesoro che i padri conciliari (alcuni soprattutto) ci hanno consegnato. Il nostro è uno di questi.

Certo, anche nell’applicazione del concilio c’è una discreta gradazione: da alcune parti si è andati più veloci, da altre meno, da altre ancora si è rimasti fermi, come se nulla fosse successo. Altrettanto va detto delle persone. La stessa gerarchia (non è un mistero per nessuno) si è divisa più di una volta nell’interpretazione dei testi, nella valutazione degli orientamenti, soprattutto nell’accettazione dello spirito che pure rimane determinante nella risoluzione delle questioni rimaste pendenti e non del tutto risolte. Il Vaticano II è stato un concilio di transizione, come fu di transizione il Papa che lo convocò (ma che bella transizione!) e non era forse nemmeno possibile che tutte le intuizioni fossero portate al loro compimento. Nelle nostre mani è così rimasta una bruciante eredità. Ma se si capisce la linea di tendenza, si può anche arrivare a risolvere le sospensioni e le incertezze, immancabili in avvenimenti del genere, con quello spirito nuovo di cui il concilio ci ha lasciato un indimenticabile esempio.

Comunque, in un momento di innegabile crisi, in cui l’entusiasmo sta venendo sempre meno e le difficoltà si stanno moltiplicando al nostro interno e al nostro esterno, si impone oggi per tutti una rilettura dei testi conciliari. Ma dire “rilettura” non è forse un complimento che ci stiamo facendo per troppa generosità? Quanti in realtà hanno letto il concilio nella sua interezza, specialmente nelle sue parti più importanti? Si allude certamente ai fedeli, ma purtroppo l’elenco non può escludere nemmeno i ministri ordinati, quelli che avevano il dovere di guidare nella lettura e nella prassi la comunità loro affidata.

“Viva il concilio” comincia con la presentazione sintetica di tutti e sedici i documenti. L’augurio però è che di qui nasca il desiderio di andare oltre.

Giordano Frosini