HR98_LE CAMPANE DI VIRGIN RIVER

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Le campane di Virgin River Robyn Carr

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Robyn Carr

Le campane di Virgin River

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Forbidden Falls

Mira Books © 2010 Robyn Carr

Traduzione di Maria Claudia Rey

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà

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© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Romance

febbraio 2012

Questo volume è stato stampato nel gennaio 2012 presso la Mondadori Printing S.p.A.

stabilimento Nuova Stampa Mondadori - Cles (Tn)

HARMONY ROMANCE ISSN 1970 - 9943

Periodico mensile n. 98 del 25/02/2012 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 72 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

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Noah Kincaid, recentemente ordinato pastore, stava navi-gando su Internet quando capitò per caso su eBay e trovò una chiesa messa all'asta – in un paesino chiamato Virgin River, che non aveva mai sentito nominare. L'idea lo fece ridere, ma allo stesso tempo lo incuriosì. Aspettava pazien-temente da tempo che gli assegnassero una chiesa tutta sua, e pensò che non sarebbe stata una cattiva idea dare un'occhiata di persona. Se non altro avrebbe visto un pano-rama diverso: aveva sentito dire che quella zona della Ca-lifornia era molto piacevole. In effetti la prima cosa che lo colpì fu la bellezza delle montagne e delle foreste. Il paese sembrava un po' dimes-so e la chiesa era un disastro, ma c'era un'atmosfera serena difficile da dimenticare. Virgin River sembrava un luogo tranquillo, semplice e privo di complicazioni. Nessuno fece caso a lui. Gli uomini del posto avevano capelli tagliati cortissimi, in stile militare, o portavano barbe incolte e lunghe code di cavallo, come i pescatori con cui Noah aveva lavorato per anni. In quel quadro lui si integrava alla perfezione: portava stivali un po' spelacchia-ti, jeans sbiaditi e rotti qua e là, una camicia di denim con collo e polsini molto lisi. I capelli troppo lunghi si arric-ciavamo sulla nuca. Da giorni Noah aveva intenzione di tagliarli, ma per ora andavano benissimo così e gli permet-tevano di mescolarsi meglio alla gente del luogo. Anche la sua corporatura era simile a quella degli altri: era snello

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ma robusto, con muscoli forgiati da anni di lavoro sui pe-scherecci o sui dock, a trainare le reti e a scaricare tonnel-late di pesce appena pescato. La chiesa appariva abbandonata da anni, e la porta non era chiusa a chiave. All'interno c'erano cumuli di spazzatu-ra, probabilmente lasciati dai vagabondi che vi avevano trovato rifugio. I vetri erano rotti e le finestre erano coper-te da assi inchiodate, ma nel presbiterio c'era una stupefa-cente vetrata colorata, che era stata protetta dall'esterno con delle assi ed era intatta. Dopo la sua visita, Noah fece un giro di Virgin River in macchina – non ci volle molto – prese un caffè nell'unico bar, scattò alcune foto e tornò a Seattle, dove telefonò alla donna che aveva messo all'asta la chiesa, Hope McCrea. «Oh, è abbandonata da anni» spiegò lei con voce roca da fumatrice. «E il paese è senza religione da lungo tempo.» «È sicura che adesso abbia bisogno di religione?» repli-cò lui. «Non del tutto, ma un po' di fede non guasterebbe. Quel posto deve essere riaperto o raso al suolo. Una chiesa vuo-ta porta male.» Noah era assolutamente d'accordo. Nei giorni successivi, benché impegnato con l'insegna-mento nel college dove lavorava, non riuscì a togliersi dal-la mente la chiesa e Virgin River. Così sottopose l'idea di comprare la chiesa ai suoi supe-riori – e scoprì che loro sapevano da tempo della sua esi-stenza. Noah mostrò loro le foto e i capi concordarono che il posto aveva un buon potenziale. La popolazione era del-la dimensione giusta, e stabilire una congregazione sem-brava un'idea vincente. Ma il costo della ristrutturazione, per non parlare del necessario per arredare la chiesa, sa-rebbe stato troppo alto. Il loro bilancio non lo consentiva. Così ringraziarono Noah e gli promisero che presto avreb-be avuto una sua chiesa. I suoi capi ignoravano però che Noah aveva recente-

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mente ereditato una certa somma di denaro – per lui, una piccola fortuna. Aveva trentacinque anni, e fin dai diciotto aveva sempre lavorato e studiato: si era pagato l'università lavorando sui pescherecci e nei mercati ittici del porto di Seattle, fino a quando, un anno prima, sua madre era morta e con suo grande stupore gli aveva lasciato una cospicua eredità. Perciò Noah tornò dai suoi superiori e fece loro una proposta molto allettante. Avrebbe provveduto ai costi di ristrutturazione della chiesa, con l'intesa che loro gli a-vrebbero dato l'incarico di pastore. Prima di concludere l'accordo, tuttavia, telefonò al suo migliore amico e mentore, colui che a suo tempo gli aveva indicato la strada del seminario. George Davenport era un ministro presbiteriano in pensione, che ora insegnava all'Università di Seattle. L'amico gli domandò se avesse perso del tutto la ragione. «Mi vengono in mente centinaia di modi in cui potresti buttar via il tuo denaro» disse. «Vai a Las Vegas e punta tutto sul rosso. Comprati una missio-ne in Messico. Ma considera che se quella gente volesse un pastore, se lo sarebbe già cercato.» «Strano però che la chiesa sia rimasta in piedi tutti que-sti anni, come se aspettasse di essere riportata in vita» o-biettò lui. «Ci dev'essere una ragione se l'ho vista per caso su eBay. Non avevo mai visitato eBay in vita mia.» Dopo un po' George ammise: «Se le fondamenta sono solide e il prezzo è ragionevole, potrebbe essere un'idea. Grazie alla tua donazione otterresti una buona riduzione sulle tasse, e avresti la possibilità di servire una piccola congregazione in un paesino di montagna dove non fun-ziona nemmeno il cellulare. Sembra fatto per te.» «Non c'è nessuna congregazione» gli ricordò Noah. «E allora dovrai crearla. Se c'è qualcuno che può riu-scirci quello sei tu. Sei nato per questo, e prima che tu ti offenda, guarda che non parlo del tuo DNA, parlo di puro e semplice talento. Ho visto come sapevi vendere il pesce,

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e ho sempre pensato che in questa tua abilità doveva esser-ci un messaggio nascosto. Fallo, se è quello che vuoi. Apri le porte della tua chiesa e del tuo cuore, e dedicati alla tua missione. Oltre tutto sei il solo ministro che io conosca che possieda un po' di denaro.» Così Noah mise a punto i dettagli con i superiori, augu-randosi che sua madre non si rivoltasse nella tomba. A dire il vero lei lo aveva pienamente sostenuto quando, anni prima, lui aveva deciso di fuggire il più lontano possibile dal sacerdozio – e con ragione. Suo padre era un famoso predicatore televisivo – e un uomo freddo e tirannico. No-ah gli era sfuggito, ma a sua madre non era stato possibile. Se diciassette anni prima, quando a diciotto aveva ab-bandonato la casa paterna, qualcuno gli avesse detto che sarebbe diventato un pastore lui stesso, Noah gli avrebbe riso in faccia. E invece eccolo lì: voleva fare il sacerdote, e voleva quella chiesa. Voleva quell'edificio in rovina, al centro di un paesino di montagna semplice e tranquillo. Alcune settimane più tardi, Noah era alla guida del camper di quindici anni che sarebbe stato la sua casa per un bel po'. A traino portava il pick-up Ford, vent'anni di vita. Prima di inerpicarsi su per le strade di montagna, do-ve il cellulare sarebbe stato inservibile, chiamò George. «Sto andando a Virgin River» annunciò. «Bene, ragazzo mio, come ti senti?» ridacchiò l'amico. «Come se avessi concluso l'affare del secolo, o come se temessi di ritrovarti al verde e sul lastrico senza nemmeno capire che ti è successo?» Noah rise. «Non lo so ancora. Sarò di certo al verde prima che la chiesa sia presentabile... ma se non riuscirò a mettere insieme una congregazione potrei ritrovarmi a far volare i pesci a Seattle.» In effetti, lavorando al mercato del pesce gli era capitato spesso di gettare letteralmente grossi pesci da una cassetta all'altra. Era come una recita inscenata con i colleghi scaricatori, e proprio lì George lo aveva scoperto.

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«Inizierò subito i lavori, e confido che la chiesa presbi-teriana non mi lascerà per la strada se nessuno frequenterà i servizi religiosi. Se non ci si può nemmeno fidare della propria chiesa...» George scoppiò in una sonora risata. «I tuoi Presbiteria-ni sono gli ultimi di cui mi fiderei. Quelli pensano troppo! Sai che non ero entusiasta della tua idea fin dall'inizio, Noah, ma ti auguro ogni bene. E sono fiero di te e del tuo coraggio.» «Grazie, George. Mi terrò in contatto con te.» «Buona fortuna, figliolo» disse George in tono più serio. «Spero tu trovi quello che cerchi.» Era il tardo pomeriggio del primo di luglio quando No-ah entrò in paese e andò a fermarsi di fronte alla chiesa. C'era già una vecchia Chevrolet familiare parcheggiata po-co oltre, con le ruote da fuoristrada coperte di fango. Ap-poggiata alla portiera c'era una donna anziana e minuscola, con bianchi capelli corti e arruffati e spessi occhiali da vi-sta. Una sigaretta le pendeva dalle labbra, ai piedi portava vecchie scarpe da tennis che non dovevano mai essere sta-te bianche, e nonostante la stagione indossava una vecchia giacca a vento con le tasche strappate. Quando Noah scese dal camper la donna gettò a terra la sigaretta e la spense con la punta della scarpa. Una delle strabilianti bellezze locali, pensò lui con ironia. «Il reverendo Kincaid, immagino» disse la donna. Dalla sua espressione Noah dedusse che si aspettava qualcuno un po' più raffinato: magari vestito in pantaloni stirati e camicia bianca, con mocassini lucidi, capelli ben tagliati e barba rasata di fresco. Lui aveva la barba lunga, i capelli arruffati e una bella macchia d'olio sui jeans, risul-tato di una fermata non prevista a un centinaio di miglia da lì, quando il motore del camper aveva richiesto il suo in-tervento. «Signora McCrea» disse porgendo la mano. Lei la strinse e vi depose un mazzo di chiavi. «Bene ar-

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rivato. Vuol dare un'occhiata alla chiesa?» «Mi occorrono le chiavi?» replicò lui. «L'ho già visitata piuttosto bene, e quando sono stato qui non era chiusa.» «L'ha già vista?» domandò la donna stupita. «Ovviamente. Sono venuto fin qui prima di fare un'of-ferta per conto della chiesta presbiteriana. La porta non era chiusa, così sono entrato. Ai miei superiori serviva essen-zialmente la relazione di un ingegnere sulla solidità delle fondamenta, ma io ho fornito loro anche alcune foto.» Lei si aggiustò sul naso le grosse lenti. «Cos'è lei, un pastore o un agente segreto?» «Credeva che la chiesa presbiteriana l'avrebbe acquista-ta sulla fiducia?» rispose Noah con un sorriso. «Non vedevo altre possibilità. Be', dal momento che sa già tutto andiamo da Jack. È l'ora del mio whisky, ordini del dottore. Gliene offro uno se vuole.» «Il dottore le ha ordinato anche di fumare?» osservò lui con un altro sorriso. «Lei non ha peli sulla lingua, figliolo. Ma non cominci a tormentarmi.» «Vorrei proprio conoscere quel dottore» borbottò lui se-guendola. Hope si fermò di botto e lo guardò da sopra la spalla. «È morto» disse. E marciò in direzione del bar. Noah era in paese solo da due giorni, ma aveva finito detersivi e stracci e doveva scendere a Fortuna per rifor-nirsi. La strada era stretta, ripida e piena di tornanti, e lui si domandò come avesse fatto ad arrivare a Virgin River con il camper e il pick-up al traino. Era a metà strada quando gli toccò la prima lezione sulle differenze tra la vita a Seat-tle e quella in un paese di montagna. Notò un animale immobile sul ciglio della strada, e per fortuna trovò poco oltre una piazzola in cui fermarsi. Scese dal pick-up, si avvicinò e vide che si trattava di un cane, probabilmente domestico. Un nugolo di mosche volava at-

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torno a un punto in cui il pelo dell'animale era incrostato di sangue. Noah distinse un lieve movimento e si chinò a os-servare meglio. Il cane aveva gli occhi aperti, la lingua penzoloni e respirava appena. Sembrava sul punto di mori-re. Guardandolo Noah ebbe una stretta al cuore. In quel momento arrivò un altro pick-up, che si fermò dietro il suo. Ne scese un tale in jeans, stivali e cappello da cowboy, che camminava un po' storto come se avesse ma-le alla schiena. Un fattore o un rancher, pensò Noah. «Qualche problema, amico?» domandò l'uomo. «C'è qui un cane che dev'essere stato investito da una macchina» rispose Noah. «Però è ancora vivo.» L'uomo si accucciò e osservò l'animale da vicino. «Mmh» brontolò. Poi si rimise in piedi. «D'accordo, ci penso io.» Noah scacciò le mosche e carezzò la testa dell'animale. «Tranquillo» sussurrò. «Adesso ti curiamo.» Poco dopo riapparvero gli stivali dell'uomo – e la canna di un fucile puntato sul petto del cane. «Ehi!» esclamò Noah spingendo da parte il fucile. «Che vuol fare?» «Metter fine alle sofferenze di questa povera bestia» fe-ce l'uomo come se la domanda gli apparisse ridicola. «Per-ché, lei che farebbe?» «Voglio portarlo da un veterinario» replicò Noah met-tendosi in piedi. «Magari può essere curato.» «Amico, lo guardi bene. È pelle e ossa, mezzo morto di fame. Era già spacciato prima che la macchina lo investis-se, e non sarebbe giusto lasciarlo qui a morire.» L'uomo prese di nuovo la mira. Ancora una volta Noah spinse da parte il fucile. «Dov'è il veterinario più vicino?» domandò. «Se non lo può cura-re, almeno lo sopprimerà senza farlo a pezzi.» L'uomo scrollò la testa. «C'è Nathaniel Jensen un po' prima di Fortuna, ma cura grossi animali... però ha dei ca-ni. Se non può far niente la manderà da qualcun altro, o

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penserà lui a finirlo. Ma secondo me questa bestia non ar-riva fin là.» «Come trovo questo dottore?» «Prenda la statale 36 e svolti su Wycliffe Road. Vedrà un'insegna che dice Stalle Jensen – Veterinario. Sono po-chi minuti da qui.» Poi scrollò di nuovo la testa. «Ma si poteva risolvere tutto in pochi secondi...» Noah lo ignorò, andò ad aprire la portiera del suo pick-up e poi tornò accanto al cane, lo sollevò tra le braccia e solo allora si accorse che era una femmina. Il sangue della ferita era secco, ma le mosche continuavano a ronzarci at-torno e Noah pensò che probabilmente si sarebbe ritrovato dei vermi sui vestiti. Stava per deporre la cagna sul sedile quando l'uomo alle sue spalle disse: «Buona fortuna, ami-co». «Già» grugnì lui. «Grazie.» Il dottor Jensen, un uomo amichevole poco più giovane di Noah, si rivelò molto più disponibile di quanto il ran-cher avesse previsto. Visitò brevemente l'animale, poi dis-se: «Questa potrebbe essere Lucy. Il suo padrone allevava cavalli, ed è morto in un incidente vicino a Redding qual-che mese fa. Stava trainando un puledro in città, e nell'in-cidente sono rimasti uccisi entrambi. Il suo cane, un border collie, non è mai stato ritrovato e tutti pensavamo che fos-se morto... ma se questa è Lucy, probabilmente stava cer-cando di tornare a casa.» «C'è qualcuno che può occuparsi di lei?» domandò No-ah. «Il fatto è che il vecchio Silas era vedovo, e la sua unica figlia ha sposato un militare e si è trasferita a sud anni fa. Il ranch e le stalle di Silas sono stati venduti immediata-mente, e così i suoi animali. La figlia non è nemmeno tor-nata a nord per la vendita. Potrei chiedere in giro se qual-cuno sa dove vive, ma questo ci farebbe perdere tempo e temo che la vecchia Lucy non ne abbia troppo... a parte

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che non sappiamo nemmeno se sia davvero lei.» «Ha detto la vecchia Lucy?» domandò Noah. «Era un modo di dire, in realtà deve avere tre o quattro anni. Silas aveva parecchi cani da pastore, ma Lucy era la sua preferita e gli andava dietro dappertutto. Dio, in che condizioni è!» «Può curarla?» «Posso metterle una flebo, scoprire la causa dell'emor-ragia, ripulirla e sedarla se necessario e darle degli antibio-tici, ma tutto questo costerà parecchio e non so se la figlia di Silas è disposta a pagare. La gente di qui non è molto sentimentale quando si tratta di animali. Non vogliono spendere molto più del loro valore effettivo.» «Già, comincio a capirlo» disse Noah estraendo il porta-fogli dalla tasca. Prese la carta di credito e continuò: «Non ho ancora il telefono, sono appena arrivato da queste parti e so che qui i cellulari non hanno campo. Le telefonerò o passerò a vedere come sta. Lei faccia tutto il necessario.» «Non ci sarebbe niente di male a sopprimerla, sa» disse Jensen in tono gentile. «Ridotta com'è, molti lo farebbero. E se anche guarisce, non è detto che sarà un granché.» Noah carezzò la testa dell'animale e pensò, Non è detto che molti di noi siano un granché, ma continuiamo a pro-varci. «Le dia qualcosa per il dolore, la prego. Non voglio che soffra mentre lei cerca di curarla.» «Ne è sicuro?» domandò Jensen. Noah gli sorrise. «La chiamerò domani pomeriggio. E grazie.» Il giorno dopo Noah seppe che Lucy aveva tre costole rotte, due lacerazioni e qualche graffio, era malnutrita, in-festata da zecche e vermi, e aveva un'infezione intestinale. Forse sarebbe guarita, ma per il momento era piuttosto grave. Il dottor Jensen suggeriva inoltre di farla sterilizzare non appena si fosse rimessa in forze. Così, pensò Noah, ol-tre a tutto il resto la povera bestia avrebbe anche subito un'operazione... Diede a Jensen il numero del bar accanto

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alla chiesa – e scoprì che il dottore conosceva bene il pro-prietario. Ben presto fu chiaro che il centro di comunicazioni per tutta Virgin River era proprio il bar di Jack accanto alla chiesa. Jack era un uomo molto simpatico, che conosceva tutti e sapeva tutto. Fece a Noah alcune domande sulla sua posizione, sui titoli di studio e sui progetti che aveva per la chiesa, e in breve tutto il paese ne fu informato. Noah si aspettava alcuni scherzi, o almeno qualche bonaria presa in giro sul fatto di aver comprato la sua chiesa su eBay. E in questo non fu deluso, ma scoprì che la gente era anche piuttosto sollevata di sapere che lui era un vero e proprio pastore – dal momento che sembrava piuttosto un tagliale-gna disoccupato. E anche le sottili cicatrici sulle mani e sulle braccia, frutto degli anni di lavoro sui pescherecci, anziché impensierire gli abitanti del paese, vennero consi-derate come segno della sua autentica propensione al lavo-ro fisico. Noah spiegò che la chiesa di Virgin River apparteneva ufficialmente alla chiesa presbiteriana, e che una volta in funzione e frequentata da una vera congregazione sarebbe stata retta da un gruppo di anziani sacerdoti. La speranza degli anziani era che la proprietà della chiesa passasse con il tempo ai membri della congregazione, se questi fossero stati abbastanza numerosi e avessero potuto raccogliere il denaro necessario. Per il momento, i suoi progetti consi-stevano nel creare un posto tranquillo e amichevole in cui la gente potesse raccogliersi, prestarsi aiuto reciproco e pregare insieme. «Niente cerimonie complicate o sacrifici animali» aggiunse con un sorrisetto, «finché non ci cono-sceremo un po' meglio.» Non solo Jack gli fece un'ottima propaganda, ma in breve tempo Noah cominciò a considerarlo un amico. En-trava nel locale almeno una volta al giorno, anche solo per un caffè, e in quel modo conosceva a poco a poco il resto degli abitanti.

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Il telefono di Jack era ovviamente il mezzo per comu-nicare con il resto del mondo. «Ha telefonato Nate» disse Jack una mattina. «Quel tuo cane è sempre in vita, e sta lentamente migliorando.» «E adesso vale più del mio pick-up?» domandò lui. Jack rise. «Guarda che l'ho visto, quel catorcio» rise Jack. «Secondo me Lucy valeva di più già quando l'hai raccolta dal ciglio della strada.» «Però quel catorcio mi porta dove voglio» replicò Noah. «Il più delle volte.» Il socio e cuoco di Jack, noto a tutti con il nome di Prea-cher, aveva offerto a Noah la possibilità di usare la loro connessione wireless per controllare le e-mail e fare delle ricerche su Internet. Ma lo aveva avvertito di non comprare nient'altro da Hope McCrea. Così ogni tanto Noah andava da Jack anche per usare il suo computer, e quando non stava ripulendo la chiesa o facendo spese, andava a trovare Lucy dal dottor Jensen. Il tempo era bello e Nate teneva Lucy in un recinto all'aperto. Noah stava con lei almeno un'ora, ac-carezzandola e parlandole in tono calmo e rassicurante. Do-po una decina di giorni Lucy stava molto meglio e comin-ciava a camminare, sia pure lentamente. «Non mostrarmi il conto, per ora» disse Noah a Nate durante una delle sue vi-site. «Non mi va di mettermi a piangere di fronte a te.» Per il momento non c'era ancora una canonica abitabile, ma il camper era abbastanza comodo. Noah usava il pick-up per andare un po' in giro fuori del paese, bussando alle porte e presentandosi alla gente per dir loro che aveva in-tenzione di riaprire la chiesa. Sperava di trovare qualche volontario che lo aiutasse nelle pulizie, ma non osava chiederlo direttamente e per il momento nessuno si era of-ferto. Tutti sembravano molto amichevoli, ma Noah pen-sava che si tenessero un po' sulla difensiva per vedere che tipo di pastore fosse. Poteva anche darsi che non risultasse quello che loro si aspettavano, ma questo si sarebbe scoperto solo col tempo.

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Nel frattempo aveva raccolto biscotti e torte sufficienti a metter su una vendita di beneficenza. Le signore del paese passavano a salutarlo e portavano un dono di benvenuto, e benché Noah fosse terribilmente goloso cominciava ad a-verne abbastanza di dolci. L'idea della vendita sembrava sempre più allettante. Un'altra cosa che faceva in quei giorni erano le visite nell'ospedale più vicino, a Grace Valley. Predicare era la sua professione, ma la sua vera missione era portare con-forto, soprattutto alle persone ammalate e sole. Dal momento che l'ospedale non aveva un cappellano, gli ammalati usufruivano dell'assistenza saltuaria dei pa-stori della zona. Noah chiese a un'infermiera volontaria di indicargli le persone a cui una sua visita poteva far piace-re, e lei lo squadrò da capo a piedi con aria dubbiosa. For-se perché indossava i soliti jeans con una camicia di flanel-la e gli stivali, pensò Noah. Eppure aveva scelto la sua u-nica maglietta senza buchi... Forse, se non avesse avuto una Bibbia fra le mani la donna lo avrebbe messo alla por-ta. Era evidente che i preti si mettevano un po' più in ordi-ne prima di visitare gli ammalati. Il suo primo paziente fu un uomo anziano e bisbetico, che diede un'occhiataccia alla Bibbia e grugnì: «Non sono dell'umore adatto». Noah rise. «Purtroppo non posso mettere la Bibbia in ta-sca, ma mi dica lei che cosa preferisce fare. Chiacchierare, raccontare barzellette, guardare la TV?» «Lei di dov'è, giovanotto?» «Sono nato in Ohio, ma recentemente...» «Voglio dire, di che religione?» «Oh. Sono presbiteriano.» «Non entro in una chiesa da più di cinquant'anni.» «Non mi dica.» «Ma quando ci andavo non era certo in una chiesa pre-sbiteriana.» «Capisco.»

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«Sono nato cattolico, io!» «Ma davvero? Be', vediamo...» Noah mise la mano in tasca e ne estrasse un rosario. «Questo le può servire?» «Che accidenti ci fa un presbiteriano con uno di quegli affari? Adesso li usate anche voi?» «No, ci atteniamo alle regole di base, ma io sono un predicatore polivalente. Lo vuole?» «Tanto non lo userò» ribatté l'uomo con aria di sfida. «Me lo lasci pure, ma non lo userò.» «Benissimo» disse Noah. «Allora, che cosa danno in TV?» «Andy Griffith» rispose l'uomo. «Mi piace moltissimo!» esclamò Noah. «Ha mai visto l'episodio in cui Barney si compra una moto con il side-car?» Poi entrò nella camera e si sedette accanto al letto dell'uomo, posando il rosario sulle sue mani deformate dall'artrite. «L'ho visto. E lei si ricorda quello dove lui si chiude in cantina?» «Lo faceva ogni due o tre settimane, no?» rise Noah. «E quello in cui zia Bea si ubriaca, l'ha visto?» L'uomo annuì. «Otis, l'ubriacone del quartiere, quello sì è un bel tipo.» Ci volle un po' di pazienza, ma infine l'uomo disse di chiamarsi Salvatore Salentino, Sal per gli amici. Per un po' Noah e Sal ricordarono vari episodi del loro show preferi-to, poi l'uomo ebbe bisogno di aiuto per andare in bagno, raccontò a Noah del suo camioncino e di quanto sentiva la mancanza della guida, cosa che non poteva più fare dopo essere stato messo in un istituto per anziani. Poi parlò della figlia, che si era trasferita lontano da lì e veniva a trovarlo molto di rado, e passò a informare Noah di quanto odiava i computer. Infine gli domandò se sarebbe tornato a trovarlo presto, perché tra un paio di giorni sarebbe tornato nell'i-stituto. «Posso passare a trovarla anche là, se vuole» suggerì lui.

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«Faccia pure. Ma non si metta in testa di farmi diventare un maledetto presbiteriano.» «Santo cielo, no» sorrise Noah. «È solo che da tempo non trovavo nessuno con cui guardare Andy Griffith.» Non c'era molto da salvare nella vecchia chiesa. I ban-chi, il pulpito, l'altare e altri accessori erano stati venduti quando la chiesa era stata chiusa, e perfino gli elettrodo-mestici della cucina erano stati portati via. Restava però la stupefacente vetrata, un incredibile capolavoro che per for-tuna era rimasto intatto. La prima cosa che Noah aveva fatto era stato chiedere in prestito a Jack una scala e staccare le assi che tappavano le finestre dall'esterno. La luce del giorno aveva rivelato quella vetrata meravigliosa, molto più preziosa di quanto una piccola chiesa di campagna potesse permettersi, e No-ah si era stupito che non fosse stata venduta o spostata in un'altra chiesa. Guardarla gli comunicava un senso di ap-partenenza e uno stimolo a perseguire la sua missione. La vetrata ritraeva Gesù in tunica bianca, con le braccia aperte e i palmi delle mani rivolti verso chi guardava. Sul-la sua spalla c'era una colomba, ai suoi piedi un agnello, un coniglio e un cerbiatto. Il sole al tramonto si rifletteva negli occhi della figura e creava un raggio di luce che i-nondava la chiesa, un sentiero luminoso in cui si vedevano danzare le particelle di polvere. Noah non possedeva un inginocchiatoio, ma amava restare in piedi di fronte a quel-la splendida immagine, con le mani in tasca, e ripeteva tra sé le parole di San Francesco d'Assisi, la più bella preghie-ra che conoscesse. Signore, fai di me uno strumento della tua pace... Alla fine della terza settimana Noah portò Lucy a casa. Il dottor Jensen gli diede il conto per le cure prestate e No-ah lo piegò e se lo cacciò in tasca, ripromettendosi di guardarlo una volta arrivato. Quando infine lo esaminò, si

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portò una mano al petto. «Ricordami di non staccare gli occhi dalla strada la prossima volta che scendo a valle» disse al cane. Lucy gli leccò la mano. La povera bestia non era ancora del tutto in forze, dove-va osservare una dieta molto nutriente e prendere pillole di vitamine e di antibiotici. Era un border collie bianco e nero – con forse qualche traccia di altre razze – e aveva bellis-simi, profondi occhi marrone dallo sguardo patetico. Noah le comprò una morbida cuccia che sistemò nell'ufficio del-la chiesa, e poiché il cucinino del camper era molto ridotto chiese a Preacher di prepararle due volte al giorno una pappa speciale a base di pollo e riso. Lucy riusciva a salire i tre gradini che portavano al bar, ma aveva difficoltà a su-perare la rampa di scale fino alla sua cuccia, così Noah fi-niva per portarla sempre in braccio. Tra le visite ai possibili membri della comunità, le cure a Lucy e la pulizia della chiesa che andava piuttosto a ri-lento, in breve Noah si rese conto che gli occorreva un aiu-to. Quando gli installarono il telefono mise in giro la voce che cercava un assistente, e cominciò a ricevere un numero di telefonate superiore a quelle che si aspettava: ma quan-do si cominciava a parlare di orari e stipendio molte delle candidate dicevano che avrebbero richiamato, e sparivano. In effetti i doveri richiesti non erano pochi: non si trattava soltanto di gestire un ufficio, ma di ripulire i locali e di-pingere le pareti. Probabilmente il lavoro manuale scorag-giava la maggior parte delle persone. Infine Noah prese appuntamento con tre donne che non avevano fatto troppe domande: sistemò Lucy sulla sua cuccia accanto alla vecchia scrivania che aveva trovato nel locale, e si preparò al colloquio con la prima candidata. Selma Hatchet, una donna robusta sulla sessantina che camminava appoggiandosi a un bastone a tre piedi, lo squadrò e domandò: «È lei il pastore?». «Sì» rispose lui alzandosi in piedi. Poi le indicò l'unica altra sedia. «La prego, si accomodi.»

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La donna raccontò che si era occupata della famiglia, aveva cresciuto due nipotini per aiutare la figlia impegnata con il lavoro, e aveva svolto per vent'anni incarichi di vo-lontariato presso la chiesa presbiteriana di Grace Valley. «Signora Hatchet, più in là il suo compito sarà quello di occuparsi dell'ufficio, ma per il momento è invece un lavo-ro molto fisico. Non mi occorre soltanto qualcuno che or-ganizzi l'ufficio e la biblioteca. Qui si parla di sfregare pa-vimenti e pareti, stuccare, ridipingere, e probabilmente sol-levare pesi. Forse non è questo il lavoro che cerca.» La donna si irrigidì e sollevò il mento con sfida. «Io in-tendo lavorare per il Signore» replicò. «Con l'aiuto della preghiera sono disposta a sopportare qualsiasi peso lui vo-glia affidarmi.» Noah si domandò se la donna contava su un eventuale risarcimento in caso di caduta da una scala o strappo mu-scolare. «Questo è ammirevole... ma nel nostro caso il la-voro del Signore sarà sporco e faticoso, e probabilmente lei finirà per pregare soprattutto perché la pomata antidolo-rifica faccia affetto.» La accompagnò alla porta con la promessa di mantener-si in contatto e ricevette la seconda candidata. Rachel Nagel sembrava fisicamente più adatta alle sue esigenze, e si dichiarava più che disposta a lavorare dura-mente. Era sulla quarantina, era la moglie di un rancher e aveva spostato e sollevato pesi per tutta la vita: ma il suo aspetto era poco incoraggiante. Aveva un'espressione den-sa di critica, e cominciò a fargli domande senza dargli mo-do di spiegarsi. «Lei non sarà uno di quei tipi liberali, ve-ro?» Liberale era praticamente il secondo nome di Noah. Suo padre parlava solo di fuoco eterno, inferno e dannazione, ed era una delle ragioni per cui lui era diventato l'esatto contrario. «Be', ecco, sono stato considerato liberale da al-cuni e molto conservatore da altri» rispose. «Mi dica, si-gnora Nagel, per caso lei suona il piano o l'organo?»

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«Non ho mai avuto tempo per le frivolezze, con un ranch da mandare avanti. Ma ho cresciuto sette figli con mano ferma, e posso assicurarmi che la dottrina della chie-sa venga seguita alla lettera.» «Questo è un dono invidiabile» disse Noah. «Le farò sapere.» «Non dovrebbe tenere un cane in chiesa» osservò la donna. «Finirà per avere dei problemi.» «E dove pensa che dovrei tenerla?» «Visto che non ha un giardino, potrebbe costruirle un canile e lasciarla fuori. O legarla a un albero.» Da quello Noah capì con certezza che la signora Nagel non era adatta. La terza candidata si chiamava Ellie Baldwin. Quando lei entrò nel suo cosiddetto ufficio, la sorpresa fu tale che Noah non riuscì subito ad alzarsi in piedi. La donna era giovane, sui venticinque anni, e molto alta: più di un metro e ottanta senza contare i tacchi e i capelli. Gran parte di quel metro e ottanta erano gambe, lunghe gambe che sbu-cavano da una corta gonna arricciata. Ai piedi portava sandali col tacco a spillo, e aveva una massa di capelli ric-ci color rame con ciocche dorate, che scendevano sulle spalle. Non solo il suo maglioncino giallo era molto ade-rente, ma scollato al punto da mostrare una parte del reggi-seno rosa fucsia – modello push-up. Noah non vedeva una donna vestita in quel modo da parecchio tempo. Non pote-va negare che fosse uno spettacolo piacevole, ma di solito non ne vedeva di simili in chiesa. La ragazza teneva in mano un foglietto di carta appallot-tolato. «Cerco il reverendo Kincaid» disse. «Sono io. Come sta?» «Lei è...?» «Sì, sono il pastore. E lei dev'essere la signorina Bal-dwin.» Noah osservò senza parere gli occhi truccati di nero, le guance sottolineate dal fard, le labbra rosse e lucide, le

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lunghe unghie dipinte di blu elettrico e tempestate di bril-lantini. Un'occhiata in tralice alle gambe rivelò lo stesso smalto sulle unghie dei piedi. Lei avanzò nella stanza con un sorriso, poi si voltò di scatto ed eliminò la gomma da masticare. Noah non vide che cosa ne aveva fatto, ma quel sorriso rimase impresso nella sua mente. Era un bellissimo sorriso, colmo di speranza. Ma che cosa le veniva in mente di presentarsi a un colloquio di lavoro vestita in modo così vistoso? Gesù, pensò Noah, perché proprio a me? Tese la mano, sperando che non ci finisse la gomma scomparsa. «Come va?» ripeté. «Bene, grazie. Il lavoro è già stato assegnato?» «Ho sentito due candidate» rispose lui. «Ma parliamo del lavoro...» Dicendolo si sentì in colpa. Un pastore di trentacinque anni non avrebbe mai potuto assumere una donna come questa. La gente non avrebbe capito. O, anco-ra peggio, avrebbe creduto di capire. Questo colloquio era solo una perdita di tempo. «Oh... è il suo cane?» domandò la ragazza sorridendo a Lucy. «Sì. Si chiama Lucy.» Sentendo il suo nome l'animale alzò la testa. «Sembra malandata. È molto vecchia?» «Si sta riprendendo da un brutto incidente» spiegò No-ah. «L'ho trovata ferita sul ciglio della strada e sono diven-tato il suo nuovo padrone. Parlando del lavoro» continuò, «non si limita soltanto a organizzare l'ufficio. Come vede c'è parecchio da ripulire e sistemare, e la chiesa non sarà pronta ad accogliere i fedeli fino a quando non avremo fat-to un bel po' di lavoro pesante. Ci vorranno almeno un pa-io di mesi.» «Certo» annuì lei. «Va bene.» Noah inarcò le sopracciglia. «Se posso dirlo, lei mi sembra un po' fragile per questo genere di lavoro.» Lei rise. «Lei crede? Sembrerò fragile, ma ho ripulito un sacco di porcherie e sollevato un bel po' di pesi, Eminenza.»

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«Mi chiami Noah» fece lui schiarendosi la gola. «Non sono mica il papa.» «Lo so» sbuffò lei. «Volevo solo essere divertente...» «Be', in effetti lo è stata» ammise lui. «In sostanza, non mi occorre soltanto qualcuno che organizzi l'ufficio, ri-sponda al telefono e prenda gli appuntamenti, ma che pri-ma di tutto mi aiuti a pulire, dipingere le pareti, spostare i mobili e così via.» «Certo» ripeté lei. Noah si chinò in avanti. «Signorina Baldwin, perché le interessa questo lavoro?» «Non è un buon lavoro?» replicò lei. «L'annuncio non spiegava granché, ma mi sembrava un'offerta interessante per un lavoro dignitoso.» «Certo. E a lei interessa per quale motivo?» «Ho bisogno di cambiare. Cerco un lavoro più sicuro e meno stressante.» «E che cosa faceva... o fa, al momento?» «Sono una ballerina, ma l'orario non va bene. Ho dei bambini che adesso stanno con il mio ex marito, ma vorrei un lavoro da svolgere mentre loro sono a scuola, capisce.» «E ha esperienza come segretaria?» «Per quando avremo finito di stuccare e ridipingere, vuol dire? Oh sì, molta esperienza. Ho qui un elenco dei miei lavori precedenti» aggiunse estraendo dalla borsa un foglio di carta un po' stropicciato. Noah gli diede un'occhiata. Nell'elenco la voce balleri-na non compariva, ma lui pensava di capire che genere di ballerina fosse. Il suo abbigliamento, decisamente poco castigato, suggeriva anche troppo. Ma aveva lavorato per un agente immobiliare, un amministratore di condomini e un... «Un avvocato?» domandò Noah stupito. «Sì, una bravissima persona. Ho lavorato davvero mol-to bene con lui. Può telefonargli, lo confermerà. Mi ha detto che mi avrebbe scritto una lettera di referenze se fosse stato necessario.»

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«E come mai ha lasciato questo lavoro?» Lei distolse lo sguardo, un po' a disagio. «Lui era soddi-sfatto, glielo assicuro. Ma a sua moglie non piacevo per niente... Però gli telefoni, glielo dirà.» Noah guardò di nuovo l'elenco. La ragazza aveva fatto di tutto, dall'addetta allo scarico merci alla cassiera di un discount. «Com'è riuscita a mantenere tanti lavori?» do-mandò. «Lavoravo giorno e notte» spiegò lei. «In ufficio duran-te il giorno, per farmi un'esperienza, e part-time la sera e durante i weekend. Ho lavorato in quel discount nel turno di notte finché non lo hanno rapinato, e allora ho comin-ciato a fare le pulizie negli uffici con una piccola impre-sa.» «E lo scarico merci?» «Quello era per un commerciante all'ingrosso, ma era solo temporaneo. In attesa di trovare qualcos'altro che non mi rovinasse le unghie.» La ragazza sorrise. «Credo che non ci sia quasi niente che non ho fatto.» «Interessante» disse Noah. «Questo foglio posso tener-lo?» Lei lo guardò allarmata. «Non potrebbe scriversi i nomi o i numeri che le interessano? Ho fatto una certa fatica a metterlo insieme e ho solo quella copia.» «Ma certo» disse lui. «Dovrei farmi delle altre copie» aggiunse la ragazza. «Non ho il computer, per scrivere questo mi ha aiutata un'amica.» «Non è un problema» disse Noah. E si copiò alcuni nu-meri, benché non avesse alcuna intenzione di usarli. Quando alzò di nuovo lo sguardo fece una gran fatica a distoglierlo dal seno generoso di lei. Tra un po' gli sareb-bero usciti gli occhi dalle orbite, pensò. «Mi dica... per caso lei è capace di suonare l'organo o il pianoforte?» «L'organo no, ma mia nonna mi ha insegnato a suonare

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il piano e gli inni erano la sua musica preferita. È passato un po' di tempo, ma se potessi esercitarmi probabilmente me la caverei ancora.» «Inni religiosi?» Lei sorrise. «Ci sono cresciuta, che ci creda o no.» «Davvero?» Noah si ritrovò a fissarla per un lungo mo-mento, infine si riscosse e domandò: «Ehm... dove abita, signorina Baldwin?» La ragazza si chinò in avanti e i suoi seni minacciarono di uscire dal maglioncino attillato. Noah sentì che le mani gli prudevano per la tentazione. «Mi chiami Ellie» disse lei. «Cioè, se io non devo chia-marla reverendo lei può chiamarmi per nome, le pare? Al momento ho una casetta a Eureka, ma vorrei portar via i miei bambini da lì. Mi piacerebbe trovare un posto tran-quillo e amichevole dove possano crescere liberi e al sicu-ro.» «Posso chiedere quanti anni hanno?» «Danielle ne ha otto e Trevor quattro» sorrise lei con orgoglio. «Sono fantastici, belli e intelligenti e...» Si inter-ruppe. «Be', è chiaro che io li trovo magnifici, ma le assi-curo che sono anche in buona salute. Non mancherò mai al lavoro perché sono malati.» Noah la guardò stupito. «Non sembra in età da avere dei figli così...» Poi tacque. Non erano affari suoi. «Ho messo su famiglia troppo presto, lo so. Ma sono fe-lice di averli.» Dopo una breve pausa, Noah disse: «Sì, lo credo. Sen-ta, lei ha un'ottima esperienza. Posso farle sapere qualco-sa?». L'espressione di lei si incupì. «Certo» disse. «Come no.» Poi si alzò in piedi e aggiunse: «Vorrei tanto che ci pensasse seriamente. Ho bisogno di questo lavoro. Ho cer-cato dappertutto qualcosa da fare durante il giorno, mentre i bambini sono a scuola, ma è un'impresa del diavolo... Mi scusi, forse lei non dice diavolo...»

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Noah sorrise suo malgrado. Diavolo, se non lo dico!, pensò. «Davvero, posso fare qualsiasi cosa» disse lei. «Sono una gran lavoratrice.» «Le sue qualifiche sono ottime» rispose lui. «Le farò sapere.» E tese la mano. Ellie la prese senza entusiasmo. «Grazie» sussurrò.

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Ritorno a casa di Susan Mallery

Quando ci sentiamo tradite dalla vita, oltre che dall'uomo che credevamo di amare, l'istinto ci riporta a casa. Ed è lì che torna Jenna. Dopo una carriera come chef a Los Angeles, si metterà a vendere prodotti per la cucina a Georgetown, aiutata dal so-stegno dei genitori adottivi e dalle idee stravaganti della sua commessa, Violet. Amore, amicizia ed entusiasmo sono gli in-gredienti fondamentali per arrivare a una svolta decisiva. Il nuovo equilibrio, però, viene turbato da due persone eccentri-che che si presentano a lei come i suoi genitori naturali.

Le campane di Virgin River di Robyn Carr

Non si sente spesso di una chiesa messa all'asta su eBay, ma è quello che succede a Virgin River, e Noah Kincaid è il fortuna-to che se l'è aggiudicata. Ora dovrà trovare un'assistente che lo aiuti nelle pulizie e nella gestione delle attività. È solo per compassione che affida il lavoro a Ellie Baldwin, una ragazza bellissima e provocante, che ha alle spalle una lunga serie di guai. Lei ha bisogno di quel lavoro per riavere con sé i propri figli e lui ha bisogno del suo entusiasmo per conquistare la comunità locale. E, ovviamente, a Virgin River, l'amore è sempre in agguato.

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Ogni donna ha un piano B di Sherryl Woods

Tornare a casa a volte non è come ci si era aspettati. Quando Dinah Davis decide che ne ha avuto abbastanza di reportage di guerra e si convince che è il momento di tornare dalla famiglia a Charleston, per capire se può riallacciare la relazione con l'ex fidanzato Bobby, si ritrova a fare i conti con situazioni e sen-timenti imprevisti. Il suo piano viene infatti ostacolato dal fra-tello di Bobby, Cord, bello, arrogante, indolente, orgoglioso e ribelle. Un tipo da evitare: esattamente il tipo da cui non si rie-sce a stare lontane. E tutta quella ostilità reciproca, nata già ai tempi della scuola, non potrà che sfociare in un'attrazione irre-sistibile.

La sorella della sposa di Kristan Higgins

Per l'avvocato divorzista Harper James non è facile essere ro-mantica, così, quando incontra l'ex marito Nick al matrimonio della sorella, fa di tutto per tenere a bada l'attrazione che anco-ra li unisce. Peccato che il destino non l'aiuti, e a causa di un problema con il volo di ritorno, si ritrova ad accettare un pas-saggio in auto che la vedrà nello stesso abitacolo insieme a Nick per ben tredici ore. Sarà un lungo viaggio nei ricordi di un rapporto che, forse, è finito troppo in fretta e, forse, ha an-cora molto da offrire. Chissà che ne penserà il suo quasi-fidanzato, a casa?

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