HR62 LA STRADA PER VIRGIN RIVER

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Women's fiction

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Robyn Carr

La strada per Virgin River

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Virgin River Mira Books

© 2007 Robyn Carr Traduzione: Maria Claudia Rey

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto

di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con

Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

© 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

Prima edizione Harmony Romance dicembre 2009

HARMONY ROMANCE

ISSN 1970 - 9943 Periodico quindicinale n. 63 del 4/12/2009 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 72 del 6/2/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Sotto la pioggia, Mel scrutò la strada ripida e fangosa a-guzzando gli occhi nell'oscurità, e per l'ennesima volta si disse: Devo proprio essere impazzita. Poi udì un tonfo sordo e capì che la sua BMW era uscita di strada ed era affondata nel fango del fossato. Premette sull'acceleratore e sentì che la ruota girava a vuoto. Adesso sì che sono nei guai, pensò. Accese la luce interna e guardò il cellulare. Aveva per-so il segnale circa un'ora prima, quando aveva lasciato la statale per inerpicarsi su per la montagna. Stava discuten-do al telefono con la sorella quando la comunicazione si era interrotta di colpo. «Speravo tanto che fossi rinsavita» stava dicendo Joey. «Non puoi fare una sciocchezza simile, non è da te... tu non sei adatta a una piccola città di provincia!» «Be', mi ci abituerò» aveva ribattuto lei. «Ormai ho ac-cettato l'incarico e ho venduto tutta la mia roba, perciò non posso tornare indietro.» «Ma non potevi prenderti solo un periodo di riflessio-ne? Magari andare a lavorare in un ospedale privato, prenderla con più calma?» «No, ho bisogno di cambiare radicalmente» aveva ri-battuto lei. «Basta con le zone di guerra. Qui in mezzo ai boschi non aiuterò a venire al mondo bambini in crisi di astinenza, e nessuna delle mie pazienti arriverà in ospeda-le in manette, sorvegliata da un poliziotto. La donna che

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mi ha offerto il lavoro ha detto che Virgin River è un po-sto tranquillo e sicuro.» «In mezzo al nulla, a mille miglia da un caffè Star-bucks» protestò Joey, «dove ti pagheranno in natura con uova o zampetti di maiale!» Mel era scoppiata a ridere. «Zampetti di maiale? Oh, Joey, non ti sento più... sto salendo in mezzo agli alberi, temo di perdere campo...» «Te ne pentirai, dai retta a me. Stai facendo una stupi-daggine e...» A quel punto il cellulare si era zittito. Ma Joey aveva ragione, perché a ogni miglio che percorreva Mel si pen-tiva sempre più della sua decisione. La strada si faceva sempre più stretta e tortuosa, e la pioggia cadeva incessante. Erano solo le sei di sera, ma sotto gli alberi altissimi e folti era già buio pesto. E ov-viamente la strada non era illuminata in alcun modo. Se-condo le indicazioni che Mel aveva ricevuto, la casa in cui avrebbe dovuto incontrare la donna che l'aveva assun-ta non doveva essere lontana; ma lei non osava abbando-nare la macchina e proseguire a piedi. Per quel che ne sa-peva, poteva perdersi in quei boschi e sparire per sempre. Nel tentativo di rinfrancarsi, prese dalla valigetta le fo-to che aveva ricevuto e le esaminò, ripetendo a se stessa tutte le ragioni per cui aveva deciso di accettare quel la-voro. Le istantanee ritraevano un grazioso villaggio com-posto di case di legno, con verande fiorite, tetti a punta e finestre ad abbaino; una scuola vecchio stile; una chiesa dallo svettante campanile. C'erano cespugli di malva e ro-dodendri, alberi da frutto carichi di fiori, prati verdi su cui pascolavano le mucche; una caffetteria chiamata Pie and Coffee, un emporio, una minuscola biblioteca, e l'a-dorabile chalet dove avrebbe abitato, gratis, per l'anno di durata del contratto. Alle spalle della cittadina si ergevano le catene mon-tuose Trinity e Shasta, coperte da una stupefacente fore-

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sta di sequoie. Il Virgin River, da cui la cittadina prende-va il nome, era profondo e impetuoso e popolato di sal-moni, storioni, cavedani e trote. Mel aveva guardato su Internet le immagini della regione e si era convinta che non esistesse paesaggio più bello al mondo. Peccato che al momento non vedesse altro che pioggia, fango e buio. Ansiosa di lasciare Los Angeles, Mel aveva inserito il suo curriculum nel registro delle infermiere, e una delle reclutatrici le aveva segnalato Virgin River. Il medico condotto della cittadina stava invecchiando e aveva biso-gno di un'assistente. Una benefattrice del posto, Hope McCrea, era disposta a farsi carico dello stipendio per un anno, e metteva a disposizione lo chalet in cui l'assistente avrebbe abitato. Il consiglio comunale avrebbe provvedu-to alla sua assicurazione per almeno un anno, pur di avere finalmente un'ostetrica in quella remotissima parte della regione. «Ho faxato il suo curriculum e le sue referenze alla si-gnora McCrea» aveva detto la donna, «e la signora ha de-ciso di assumerla. Forse dovrebbe andare a dare un'oc-chiata al posto.» Mel aveva telefonato a Hope McCrea la sera stessa. Dopo una conversazione di circa un'ora la sua decisione era stata presa, e la mattina dopo lei aveva cominciato a pianificare il suo trasloco. Da allora erano passate due settimane. Nessuno lo sapeva, ma Mel aveva un bisogno dispera-to di andar via. Da mesi sognava un posto tranquillo, in cui ricominciare daccapo. Non dormiva una notte intera da tempo immemorabile. I pericoli della città, con la sua criminalità diffusa, sembravano consumarla. Solo andare in banca o al supermercato la riempiva di ansia. Il suo lavoro al pronto soccorso dell'ospedale, dove ar-rivavano le vittime di rapine e sparatorie o i criminali stessi, legati alla barella e sorvegliati dai poliziotti, la sta-va prosciugando.

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Per non parlare della solitudine del letto vuoto la notte. Inutilmente gli amici l'avevano pregata di non fuggire, di non seppellirsi in una cittadina sconosciuta. Mel aveva preso parte a sedute di elaborazione del lutto, era stata seguita da uno psicologo, aveva frequentato la chiesa. Ma non era servito a niente. L'unico pensiero che le dava sol-lievo era la speranza di trovare un luogo in cui la gente non era costretta a mettere il chiavistello alle porte, e do-veva preoccuparsi soltanto che i cervi non entrassero nel-l'orto. Sembrava il paradiso. Ma adesso, seduta in macchina sotto la pioggia a guar-dare le foto, si rendeva conto di aver commesso un erro-re. Hope McCrea le aveva detto di mettere in valigia in-dumenti caldi e solidi come jeans e stivali. Ma i suoi sti-vali erano griffati, da quattrocentocinquanta dollari al pa-io; e i jeans costavano sui duecento dollari l'uno. Mel pagava senza batter ciglio trecento bigliettoni per taglio e colpi di sole. Era abituata a spendere senza pro-blemi, grazie all'ottimo stipendio di infermiera specializ-zata. Poteva anche trascorrere buona parte della giornata in camice verde, però quando lo abbandonava le piaceva essere elegante. Ma qui chi credeva di impressionare, forse le trote e i cervi? Nell'ultima mezz'ora aveva visto passare solo un vec-chio furgoncino. La signora McCrea non le aveva detto che la strada era ripida e pericolosa, con tornanti così stretti che due mac-chine non sarebbero potute passare contemporaneamente. Per fortuna la BMW era affondata dal lato della strada addossato alla collina, non quello affacciato sul precipi-zio e privo di guard-rail. Se non fosse arrivato nessuno, avrebbe dovuto passare la notte in macchina. Mel sospirò e prese un giaccone pesante da uno degli scatoloni sul se-dile posteriore. Per fortuna aveva ancora due mele, un po' di cracker e dei formaggini, ma aveva finito la Coca Co-

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la. La mattina dopo avrebbe avuto una feroce emicrania per mancanza di caffeina. E nei dintorni non c'era Starbucks, pensò amara. Spense il motore ma lasciò i fari accesi per essere visi-bile in caso arrivasse una macchina, poi appoggiò la testa allo schienale e chiuse gli occhi. E subito comparve un viso familiare. Mark. A volte il desiderio di rivederlo una ultima volta, di parlargli ancora per un poco, era travol-gente. Mark le mancava terribilmente: le mancava qual-cuno di cui aver cura, qualcuno da aspettare a casa, con cui svegliarsi la mattina. Una volta lui le aveva detto: Questo, tu e io, durerà per sempre. E invece era durato solo quattro anni. Lei ne aveva trentadue, ed era sola. Mark era morto, e lei era morta con lui. Un picchiettare sul finestrino la riportò bruscamente alla realtà. Un uomo anziano con una torcia in mano la guardava truce. «Signorina... si è impantanata nel fango!» stava dicendo. Mel abbassò il finestrino. «Lo so. La ruota è slittata nel fossato.» «Logico. Quella porcheriola che guida non vale gran-ché su queste strade.» Porcheriola, la sua BMW decappottabile nuova di zec-ca, uno dei vani tentativi di lenire la solitudine? «Nessu-no mi aveva avvertita, ma grazie del chiarimento» fece lei sarcastica. L'uomo la guardò inarcando le sopracciglia cespuglio-se. I capelli bianchi erano incollati al cranio dalla pioggia, che gocciolava lungo il grosso naso. «Non si muova. A-desso aggancio la catena al suo parafango e la tiro fuori. Stava andando allo chalet di Hope McCrea?» Proprio quel che cercava, pensò Mel. Un posto dove tutti si conoscevano. Stava per dirgli di stare attento a non graffiare il parafango, ma lasciò perdere e rispose di sì.

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«Non è lontano. Dopo che l'ho rimessa in strada può seguirmi fin là.» «Grazie» sospirò lei sollevata. Sicché avrebbe avuto un letto. E se la signora McCrea aveva un cuore, le avrebbe fatto trovare anche qualcosa da mangiare e da bere. Mel immaginò un caminetto acceso e un soffice letto con len-zuola pulite e un caldo piumino, dove si sarebbe avvolta sentendosi finalmente al sicuro. La macchina gemette e arrancò, e finalmente uscì dal fossato. L'uomo la trainò finché non fu sul terreno solido, poi si fermò per staccare la catena e gettarla nel retro del suo furgoncino e fece cenno di seguirlo. Mel obbedì gra-ta, standogli alle calcagna e usando il tergicristallo alla massima velocità per ripulire il parabrezza dagli schizzi di fango. In poco meno di cinque minuti l'uomo mise la freccia e svoltò a destra in un viottolo pieno di buche, che si apriva in una radura. Il furgoncino fece una curva per ripartire e lasciò Mel di fronte a una... una catapecchia. Non era affatto un adorabile chalet. Era una capanna dal tetto aguzzo, con una veranda che però sembrava at-taccata al corpo principale solo da un lato. L'altro era in parte crollato e appariva pericolante. Le assicelle di legno che ricoprivano i muri erano scurite dalle intemperie e dagli anni, e una finestra era tappata da assi inchiodate. Non c'era luce all'interno né all'esterno, e nessun invitante pennacchio di fumo usciva dal comignolo. Le foto giacevano sul sedile del passeggero. Mel pre-mette sul clacson, poi afferrò le foto e scese, tirandosi sul capo il cappuccio del giaccone. Corse verso il furgonci-no, e l'uomo abbassò il finestrino e la guardò come se le mancasse una rotella. «È proprio sicuro che questo sia il cottage di Hope McCrea?» domandò lei. «Eccome.» Mel gli mostrò la foto del delizioso cottage con la se-

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dia a dondolo sulla veranda e i vasi penduli colmi di fiori colorati. «Mmh...» fece lui. «È da un po' che la casa non ha quest'aspetto.» «Ma nessuno mi ha avvertita! La signora mi ha detto che potevo avere l'affitto gratis per un anno... mi ha offer-to il posto perché il dottore locale aveva bisogno di un'as-sistente, e adesso trovo questo!» «Non sapevo che il dottore avesse bisogno di aiuto» osservò l'uomo. «Non è stato lui ad assumerla, vero?» «No. Ma mi hanno spiegato che stava diventando trop-po vecchio per soddisfare tutte le esigenze della comuni-tà, che ci sarebbe stato bisogno di un altro dottore ma che per un anno io potevo andar bene.» «Andar bene per cosa?» Mel alzò la voce per farsi sentire nello scrosciare della pioggia. «Sono un'infermiera professionale e un'ostetrica.» Questo sembrò divertirlo. «Guarda guarda.» «Lei conosce il dottore?» «Qui tutti conoscono tutti. Ma direi che prima di pren-dere una decisione lei sarebbe dovuta venire fin qua a da-re un'occhiata, e a parlare con lui.» «Già, pare anche a me... Aspetti, mi lasci prendere la borsa così posso darle qualcosa per il suo disturbo.» Ma l'uomo la scoraggiò con un gesto della mano. «Non voglio niente. Da queste parti la gente non spreca soldi per l'aiuto di un vicino.» Sollevò una delle sopracciglia cespugliose e disse ironico: «Mi sa che Hope l'ha presa in giro. Affitto gratis... ah! Questa bicocca è disabitata da anni!». In quel momento un vecchio SUV comparve nella ra-dura, sobbalzando sulle buche. «Eccola che arriva» disse il vecchio. «Buona fortuna.» Mise in moto e se ne andò sghignazzando. Mel cacciò le foto sotto il giaccone e rimase in piedi

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accanto alla sua macchina mentre il SUV parcheggiava. Alto sulle ruote com'era, difficilmente il veicolo si sareb-be impantanato com'era successo alla sua BMW, pensò lei. Hope McCrea lasciò i fari accesi, puntati sul cottage, e poi scese. Era un donnino minuscolo, con folti capelli bianchi tagliati corti e un paio di occhiali dalla montatura scura che sembravano troppo grandi per la sua faccia. Portava un paio di stivali di gomma e un enorme imper-meabile di tela cerata che accentuava la sua bassa statura. Gettò a terra un mozzicone di sigaretta e si avvicinò con un gran sorriso. «Benvenuta!» disse con la voce roca che Mel aveva già sentito al telefono. «Benvenuta?!» la scimmiottò lei estraendo la foto e sventolandola in faccia alla donna. «Questo non è quel che mi aveva promesso!» Imperterrita, Hope McCrea ribatté: «Sì, il cottage ha bisogno di una rinfrescata. Volevo venire ieri a dare una pulita, ma poi non ho fatto in tempo». «Una rinfrescata? Ma sta cadendo a pezzi! E lei mi ha detto che era adorabile, si ricorda? Un gioiello, ha detto!» «Santo cielo. Nessuno mi ha avvertito che lei era così melodrammatica...» «E a me nessuno ha detto che lei era una bugiarda!» «Su, andiamo, discutere così non ci porterà da nessuna parte. Vuol restare in piedi sotto la pioggia o entrare a vedere com'è la casa?» «Francamente vorrei tornare sui miei passi e andarme-ne via, ma temo che non arriverei lontano senza quattro ruote motrici. Un altro piccolo dettaglio che lei si è di-menticata di menzionare.» Senza commenti, il folletto dai capelli bianchi salì con un balzo i tre gradini della veranda e fece per aprire la porta d'ingresso, che non era chiusa a chiave. Ma dovette spingerla con la spalla e commentò: «Si dev'essere gon-fiata per la pioggia».

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Mel la seguì camminando con molta cautela, e consta-tò che nel tratto davanti alla porta la veranda sembrava abbastanza solida. Una luce si accese all'interno, e subito dopo si alzò una nuvola di polvere mentre la signora McCrea scuoteva una tovaglia. Mel tossì e aspirò una gran boccata d'aria fred-da, poi entrò. Hope McCrea sembrava impegnata a sistemare in qualche modo il cottage, nonostante la sporcizia: accosta-va le sedie al tavolo, soffiava via la polvere dalle lampa-de, raddrizzava i libri sullo scaffale. Mel diede un'occhia-ta intorno giusto per vedere quanto il posto era orrendo, perché non aveva alcuna intenzione di restare. Vide un divano rivestito di una sbiadita stoffa a fiori, due poltrone uguali, una credenza bassa che fungeva da tavolino da caffè, e una libreria composta da assi separate da mattoni. Dietro una credenza più alta che fungeva da divisorio c'e-ra la minuscola cucina, che non doveva essere stata pulita da anni. Il frigorifero e il forno erano aperti, come gli sportelli dei pensili che contenevano piatti e tazze troppo impolverati per essere usati. Anche il lavello era colmo di pentole e piatti, altrettanto sporchi. «Mi dispiace, ma questo è inaccettabile» disse Mel ad alta voce. «È un po' sporco, ecco tutto...» «Ma se nel forno c'è addirittura un nido!» strillò lei fuori di sé. Hope McCrea marciò in cucina con i suoi stivali infan-gati, prese il nido e si avvicinò alla porta d'ingresso, poi lo gettò fuori. Infine si spinse gli occhiali sul naso e guardò Mel. «Ecco fatto, il nido non c'è più.» Il tono di voce suggeriva che la sua pazienza si stava esaurendo. «Senta, credo proprio che non ci siamo» disse Mel cer-cando di non perdere la calma. «Poco fa, lungo la strada, mi sono addirittura impantanata e un tale ha dovuto ti-rarmi fuori dal fossato! Non posso restare qui, è fuori

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questione. Oltretutto sto morendo di fame e non ho porta-to scorte alimentari.» Fece una risatina secca e continuò: «Lei mi ha detto che avrei trovato una casa decente, e io ne ho dedotto che sarebbe stata pulita, e dotata di cibo sufficiente per un paio di giorni almeno. Ma questo...». «Lei ha un contratto» la interruppe la donna. «Anche lei! E credo che nessuno possa affermare che questo posto è abitabile.» Hope alzò gli occhi verso il soffitto. «Se non altro il tetto non perde, il che è un buon segno.» «Non abbastanza buono, temo.» «Quella disgraziata di Cheryl Creighton doveva venire qui a dare una bella ripulita, ma ha trovato delle scuse per tre giorni di seguito... mi sa che ha ripreso a bere. Senta, in macchina ho delle lenzuola, e se vuole la porto a man-giare qualcosa. Vedrà che domani mattina le cose andran-no meglio.» «Non c'è un posto in cui possa stare stanotte, come un motel sull'autostrada?» «Un motel?» ripeté Hope con una risata. «Questa le sembra una località turistica? L'autostrada dista almeno un'ora da qui, e con la pioggia di stasera ci metterebbe almeno il doppio. Io ho una casa grande, ma è piena di cianfrusaglie e ci vorrebbero ore per liberare il divano. Quando morirò mi sa che accenderanno un fiammifero e daranno fuoco a tutto quanto.» «Ma ci sarà pure un posto dove dormire...» «Ci sarebbe la casa di Jo Ellen. Ha una bella stanza so-pra il garage, che affitta di tanto in tanto. Ma per lei non va bene. Jo Ellen ha un marito che può essere un proble-ma... è stato preso a schiaffi da più di una donna, e non sarebbe una bella cosa che lei stesse lì, in camicia da not-te, con Jo Ellen addormentata e lui che si fa delle strane idee. Quello è uno con le mani lunghe, sa.» Buon Dio, pensò Mel. Quel posto sembrava peggiorare di minuto in minuto.

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La strada per Virgin Riverdi Robyn Carr

La vita a Virgin River scorre quasi in un’altra dimensione, avvol-ta nell’abbraccio protettivo dei boschi che la circondano. Il luogo ideale per trovare rifugio e rigenerarsi, come Melinda spera. Ma che non mancherà di riservarle emozionanti sorprese.Lei ha il cuore spezzato e vuole dimenticare. Quale modo mi-gliore che cambiar vita radicalmente? Basta con la città, il traf-fico, il caos. Un piccolo e tranquillo villaggio di montagna, tra torreggianti sequoie e corsi d’acqua cristallina, ecco ciò che ci vuole. Trovato un ambulatorio in cui esercitare la professione di ostetrica, Mel si gode la serena atmosfera di Virgin River. Ma all’orizzonte appare Jack, uomo forte e tenace, che non ha paura di nulla, neppure di innamorarsi perdutamente...

Amore, menta e cioccolatodi Susan Mallery

È possibile rimediare agli errori del passato? Dimostrare a tutti di essere diventata una persona matura e affidabile, una professio-nista competente, una buona madre? Per Jesse Keyes è arrivato il momento di tornare a Seattle con il figlio Gabe di quattro anni per fargli conoscere Matt, il padre che non l’ha riconosciuto. L’uomo accoglie entrambi senza troppo entusiasmo, pur restan-do impressionato nel constatare quanto il bimbo gli somigli. Non è molto, ma Jesse ha dimostrato di essere una donna dalle risorse sorprendenti. Ricomincia così a lavorare nella pasticceria di fa-miglia, dove inventa dei biscotti alla menta e cioccolato: frizzanti e afrodisiaci, riusciranno a rievocare sulle labbra di Matt il sapo-re delle loro notti insieme?

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La partita della vitadi Susan Wiggs

Kimberly van Dorn credeva di avere tutto: una carriera pro-mettente a Los Angeles, un fidanzato ricco e famoso, un futuro splendido. Quando è costretta a fare i conti con una realtà com-pletamente diversa, decide di tornare dalla madre, nella cittadi-na di Avalon, e cambiare vita. Mai più pubbliche relazioni, mai più capricciosi e inaffidabili campioni dello sport, è la promessa di Kim a se stessa. Ma ha fatto i conti senza Bo Crutcher, star della locale squadra di baseball.La vita di Bo è sempre stata in salita, ora però è arrivata la gran-de occasione, la possibilità di entrare nella più prestigiosa del-le squadre, di diventare davvero qualcuno. Kim non è solo una donna bellissima e affascinante, è anche la persona giusta per insegnargli a vivere sotto i riflettori, ad assumersi le proprie re-sponsabilità, e a fare scelte impegnative...

Innamorarsi a Virgin Riverdi Robyn Carr

È una sera d’autunno. Piove. L’unico locale di Virgin River sta per chiudere. Ma ecco arrivare una giovane donna ferita. Una donna che non vuol dire il suo nome, che sobbalza a ogni rumo-re, che è chiaramente in fuga. John “Preacher” non ha un buon carattere e, con quel suo fisico imponente, incute lo stesso timore reverenziale delle sequoie che svettano nei dintorni. La fragilità di Paige, però, risveglia in lui il senso del dovere e l’istinto di protezione verso i più deboli. E in breve questi senti-menti evolvono in qualcosa di molto più dolce e intenso perché gli occhi di chi ci ama davvero non si lasciano ingannare dalle apparenze, ma vedono direttamente la nostra anima.

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