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HIRAM Rivista del Grande Oriente d’Italia n. 3/2010 EDITORIALE Nell’approssimarsi del Centocinquantesimo Anniversario dell’Unità d’Italia 3 Gustavo Raffi e Antonio Panaino Introduzione allo studio del Sefer Yetzirah 11 Giuseppe Abramo A proposito dell’origine dello zero 35 Stefano Buscherini Relativismo e legge di natura: il mondo moderno fra Pascal e Cartesio 43 Adriano Di Silverio La migliore Massoneria è quella dell’Amore, spiegata dalla Sapienza 51 Vincenzo Tartaglia L’arco reale delle Repubbliche 59 Giancarlo Elia Valori La mistificazione di Lèo Taxil 73 Nicoletta Casano Outsider Art e disagio psichico 87 Sergio Perini • SEGNALAZIONI EDITORIALI 95 • RECENSIONI 103

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Rivista del Grande Oriente d’Italian. 3/2010

EDITORIALENell’approssimarsi del Centocinquantesimo Anniversario dell’Unità d’Italia

3Gustavo Raffi e Antonio Panaino

Introduzione allo studio del Sefer Yetzirah 11Giuseppe Abramo

A proposito dell’origine dello zero 35Stefano Buscherini

Relativismo e legge di natura: il mondo moderno fra Pascal e Cartesio 43Adriano Di Silverio

La migliore Massoneria è quella dell’Amore, spiegata dalla Sapienza 51Vincenzo Tartaglia

L’arco reale delle Repubbliche 59Giancarlo Elia Valori

La mistificazione di Lèo Taxil 73Nicoletta Casano

Outsider Art e disagio psichico 87Sergio Perini

• SEGNALAZIONI EDITORIALI 95• RECENSIONI 103

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HIRAM viene diffusa su Internet nel sito del G.O.I.:www.grandeoriente.it | [email protected]

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CCoollllaabboorraattoorrii eesstteerrnniiLuisella Battaglia (Univ. Genova); Dino Cofrancesco (Univ. Genova); Giuseppe Cogneti (Univ. Siena); Domenico A. Conci (Univ. Siena);Fulvio Conti (Univ. Firenze); Carlo Cresti (Univ. Firenze); Michele C. Del Re (Univ. Camerino); Rosario Esposito (Saggista); Giorgio Galli (Univ.Milano); Umberto Gori (Univ. Firenze); Giorgio Israel (Giornalista); Ida L. Vigni (Saggista); Michele Marsonet (Univ. Genova); Aldo A. Mola(Univ. Milano); Sergio Moravia (Univ. Firenze); Paolo A. Rossi (Univ. Genova); Marina Maymone Siniscalchi (Univ. Roma “La Sapienza”);Enrica Tedeschi (Univ. Roma “La Sapienza”)

CCoorrrriissppoonnddeennttii EEsstteerriiJohn Hamil (Inghilterra); August C.’T. Hart (Olanda); Claudio Ionescu (Romania); Marco Pasqualetti (Repubblica Ceca); Rudolph Pohl(Austria); Orazio Shaub (Svizzera); Wilem Van Der Heen (Olanda); Tamas’s Vida (Ungheria); Friedrich von Botticher (Germania)

Comitato di Redazione: Guglielmo Adilardi, Cristiano Bartolena, Giovanni Bartolini, Giovanni Cecconi, † Guido D’Andrea, Gonario GuaitiniComitato dei Garanti: Giuseppe Capruzzi, Angelo Scrimieri, Pier Luigi Tenti

AArrtt DDiirreeccttoorr ee IImmppaaggiinnaazziioonnee: Sara CircassiaSSttaammppaa: E-Print s.r.l., via Empolitana, km. 6.400, Castel Madama (Roma)DDiirreezziioonnee: HIRAM, Grande Oriente d’Italia, via San Pancrazio 8, 00152 RomaDDiirreezziioonnee EEddiittoorriiaallee ee RReeddaazziioonnee: HIRAM, via San Gaetanino 18, 48100 RavennaRegistrazione Tribunale di Roma n. 283 del 27/6/1994EEddiittoorree: Soc. Erasmo s.r.l. Amministratore Unico Mauro Lastraioli, via San Pancrazio 8, 00152 Roma. C.P. 5096, 00153 Roma OstienseP.I. 01022371007, C.C.I.A.A. 264667/17.09.62SSeerrvviizziioo AAbbbboonnaammeennttii: Spedizione in Abbonamento Postale 50%, Tasse riscosse

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NNeellll’’aapppprroossssiimmaarrssii ddeell CCeennttoocciinnqquuaanntteessiimmoo AAnnnniivveerrssaarriioo ddeellll’’UUnniittàà dd’’IIttaalliiaa

di GGuussttaavvoo RRaaffffiiGran Maestro del Grande Oriente d’Italia

(Palazzo Giustiniani)e

di AAnnttoonniioo PPaannaaiinnooUniversità di Bologna

Direttore scientifico di Hiram

EDITORIALE

In the year 2011 Italy will mark the 150th anniversary of its re-unification. Presently,a very hostile propaganda tries to attack the historical meaning of this event in theframework of a generalized criticism regarding the supposed overwhelming secretrole of Freemasonry played behind the main processes endorsed by thecontemporaneous élites, which determined the final succes of the Italian unificationduring the Risorgimento. Some of these arguments seem to reproduce many of theabsurdities written by Léo Taxil about the Masonic program in Italy. The final targetof these accusations is unclear, but in any case such a propaganda endangers the veryauthority of the fundamental institutions of the society and of the State, which canbe also seriously discredited by it. The Grand Orient of Italy, thus, emphasizes itspublic role as supporter of the State and the Constitution and offers its ethical andmoral authority in support of a deeper knowledge of the positive conquests gained inthe Risorgimento and the following democratic improvements, which made of thiscountry one of the first founders of the European Community.

Carissimi Fratelli,gentili lettrici e lettori,

TTTTra pochi mesi entreremo nel 2011e, quindi, nel cuore di uno deglianniversari che ciclicamente il

calendario storico del nostro paese im-pone. Gli anniversari, al di là dell’aspettomeramente celebrativo, spesso puramenteformale e di facciata, hanno però un ri-

svolto positivo, giacché costringono unanazione e soprattutto i suoi cittadini a farei conti non soltanto con l’evento focale, masoprattutto con il senso che esso assumedinanzi alla storia presente. In altri ter-mini, diremo che la storia passata non è af-fatto monolitica, anche se a differenza diquella futura, essa risulta già avvenuta, inquanto ogni epoca rilegge e ripensa a

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quanto già accaduto a seconda dello scena-rio che la realtà contingente impone. Ov-vero, se il futuro non è ancorascritto, il passato può riscriversiin molti modi. In diversi casi,tale ovvietà è dettata da conti-nue e crescenti conoscenze,come di norma accade per leetà più remote, che grazie allenuove scoperte archeologiche,epigrafiche, linguistiche et ce-tera, ci appaiono in modo diffe-rente, perché mutato è ilnovero e la ricchezza dellefonti, ma anche perché più ade-guata risulta la metodologia concui tali scenari passati possono essere nuo-vamente vagliati con maggior senso critico.

A volte le nuove scoperte sconvolgonoletteralmente i nostri schemi e ci costrin-gono a raffinare le nostre opinioni, in qual-che caso anche ad abbandonare teoremidivenuti obsoleti o non più fondati su datiineccepibili. Ma questo è il mestiere dellostorico ed anche il suo compito civile. In-fatti, sempre incombente è il rischio di con-fondere, anche in relazione alle vicendeapparentemente più innocenti, la rifles-sione critica e, almeno tendenzialmenteimparziale, con l’ideologismo o con impo-stazioni aprioristiche, ossia fondate su tesia priori, già scritte in precedenza a dispettodelle fonti e dei dati. Ciò può avvenire siaper il passato vicino sia per quello remoto.Basti pensare, per epoche lontane, a quantadifficoltà comporti oggi trattare del pro-blema storico dell’identità etno-linguisticae storico-politica dell’antica Macedonia,alla luce delle spinose controversie tra due

stati del nostro continente che si conten-dono il monopolio di tale eredità. Di fatto,

anche l’antico diviene mo-derno o contemporaneo,perché la lettura del passatosi presta ad un utilizzo perfini altri.

Tale problema è ben pre-sente nella metodologiastoriografica più sorvegliatae severa, che rifiuta di suo-nare il piffero per qualsiasirivoluzione, nella coscienzache le strumentalizzazionidella storia sono, pur-troppo, uno degli strumenti

ideologico-politici più efficaci. Infatti, lagente normale, il grande pubblico deimedia, non legge le fonti, non vaglia i dati,non entra criticamente nel merito degli ar-gomenti con una conoscenza diretta deglistrumenti primari e secondari su cui le ar-gomentazioni possono essere acquisite, masi lascia affascinare da schemi semplici, daslogan e affermazioni ad effetto, un po’come accade nella pubblicità, che per suoscopo deve convincere senza provare ef-fettivamente quanto propone di acqui-stare. Per questa ragione, di rado un“mattone” storiografico, con testi e docu-menti in tre o quattro lingue, tecnicismiprofessionali o quant’altro proprio del ba-gaglio degli storici professionisti, può as-surgere a best seller, ed è una norma nonscritta ma pur sempre vera che un librosemplice, chiaro, ma talora banale e im-preciso spesso scacci dal mercato un altroben fatto. Non che l’alta divulgazione nonsia possibile, ma quando i problemi sono

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veramente difficili, la strada più corretta èquella, almeno per sommi capi, di spiegarli,il che comporta comunque una certa di-sponibilità ed un relativo impegno per illettore, l’altra è invece quellache il mercato predilige e cheattraverso semplificazionicrescenti arriva sino a bana-lizzare la complessità dei fatti.

È abbastanza facile esal-tare la valenza simbolica edidentitaria dei tartan scozzesi,millantandone l’antichitàquasi ancestrale; più com-plesso, anche se veritiero, di-mostrare che i bellissimitessuti clanici degli Scozzesisono solo un’invenzione, tuttosommato, abbastanza moderna. Ma se l’in-venzione della tradizione è un processo,molto pericoloso, da tempo ben eviden-ziato, e che in alcuni casi come quello soprarammentato almeno non comporta geno-cidi o pulizie etniche, diverso appare il casodi altre invenzioni, come quella della supe-riorità ariana, i cui esiti finali furono messiin atto da criminali mostruosi, ma la cuifattura richiese menti educate, colte e raf-finate. Eppure è facile credere a quanto sinarra, soprattutto se sono autorità ricono-sciute a propagare ideologismi e schemi fa-cilmente assimilabili, su cui interegenerazioni vengono a formarsi.

Questa lunga premessa, se si vuole, dimetodo al tema delle prossime celebrazionidel centocinquantesimo anniversariodell’Unità Nazionale ci è parsa necessaria,perché troppi sono i problemi che questa“ricorrenza” si trascina con sé e che, peral-

tro, direttamente coinvolgono la stessaidentità massonica nella storia del nostropaese.

Negli ultimi mesi più voci si sono levateper proporre un facile teo-rema: l’Unità d’Italia e conessa il Risorgimento sarebbestata un’operazione non dipopolo, ma elitaria, di fattoun’azione di conquista espan-sionistica messa in atto constraordinario successo daCasa Savoia con il sostanzialeaiuto di una rete, altrettantoelitista, ma per di più radical-mente anticlericale, costruitada una setta occulta ricondu-

cibile alla Massoneria. L’azioneinternazionale di supporto svolta in questoprocesso da alcuni stati europei, peraltrospesso rivali tra loro, servirebbe, controogni evidenza logica, a suffragare l’esi-stenza di un torbido piano elaborato dallapiovra massonica mondiale. Paradossal-mente, il teorema creato ad arte da LéoTaxil, che faceva del novello re d’Italia ilprescelto candidato della Massoneria perusurpare il sacro soglio di Pietro viene conuna certa rudezza e, senza alcun senso delridicolo, riproposto. Non è nostra inten-zione contrapporre a tali sciocchezze unadisamina delle molteplici componenti po-litiche, identitarie, religiose e filosoficheche ispirarono il nostro Risorgimento, datoche nei prossimi numeri di Hiram, questiaspetti saranno toccati da specialisti di taleperiodo, ma la riduzione dei moti che por-tarono alla creazione di uno stato unitarioad una sorta di Risiko massonico-sabaudo

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• 5 •Nell’approssimarsi del Centocinquantesimo Anniversario dell’Unità d’Italia, G. Raffi e A. Panaino

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è del tutto fantastico, così come ridicola ap-pare l’asserzione secondo la quale il mondodella Cristianità sarebbe ri-masto estraneo a questoprocesso e che le massepopolari ne siano statealtrettanto escluse.

Siamo così passati dauna fase, che ha distintola seconda metà del ‘900,in cui almeno una certadiffusa storiografia mar-xista guardava in modocritico al Risorgimento,evidenziandone il successo borghese e lasconfitta del quarto stato (che si trova sin-tetizzata nel titolo dei volumi di Renzo delCarria, intitolati appunto Proletari senza ri-voluzione. Storia delle classi subalterne italianedal 1860 al 1950, 2 voll., Milano, EdizioniOriente, 1970, I ed. 1966), ad una storiogra-fia che esalta il passato pre-unitario, il po-tere temporale della Chiesa, all’insegna diuna riscoperta di valori illiberali, già messiin campo nella pubblicistica volta a demo-lire sia il secolo dei Lumi sia la RivoluzioneFrancese. Non che non fosse necessaria unaserena disamina di eccessi, limiti ed errori,ma da lì ad esaltare l’Ancien Régime nepassa. Nessuno intende celebrare la ghi-gliottina ed il Terrore con i suoi processisommari, ed è più che lecito sollevare unariflessione puntuale, capace di prendereanche contropelo la storia, intorno a tantevicende commendevoli (sebbene non giu-dicabili moralisticamente e fuori contesto),ma l’esaltazione acritica del “prima” aquale fine mira? Come nel caso della Rivo-luzione Francese e dell’Illuminismo, così

anche il Risorgimento, in realtà non sem-pre illuminista, se mai romantico, e talora

poco rivoluzionario, al-meno a parere di unaparte più severa dellacritica storica, sarebbestato, per una certa vol-gare pubblicistica, ilparto solitario dellaMassoneria. Tale asser-zione è stata demolitasia in un caso sia nell’al-tro. I Massoni, in Fran-

cia, si sono schierati tantocon i Rivoluzionari quanto con il Re, men-tre, nel nostro Risorgimento, una rete mas-sonica italiana, coesa ed efficiente, nonpoteva affatto esistere, dato il fraziona-mento territoriale del paese, e l’impossibi-lità di creare un’obbedienza unitaria, anchese un certo humus lasciato dalla precedentetradizione napoleonica e libero-muratoriapoté giocare sì una sua parte, senza perquesto generare una regìa, tenuto contoche anche in questo caso i Massoni avevanoidee molto diverse e contrastanti e si divi-devano tra repubblicani e mazziniani, so-cialisti utopisti o ferventi monarchici,nonché tra fautori di uno stato centrali-stico oppure di una federazione, esatta-mente come accadeva tra molti cattolici(oppure non c’erano cattolici nel PiemonteSabaudo?), liberali ed anche conservatori(che però sostenevano il processo unita-rio). Se colpe, o forse meglio meriti, deveassumere la Libera Muratoria in Italia, vi ècertamente l’aver contribuito al processounitario attraverso migliaia di singoli, tra iquali però si trovano le più alte figure del

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nostro Risorgimento, Garibaldi in testa, lequali operavano non secondo una direttivalibero-muratoria eteroguidata da parte diuna mai esistita cupola inter-nazionale, ma per liberascelta, secondo lo spirito deitempi ed il loro sentire. D’al-tro canto, altri Massoni, adesempio austriaci o filo-au-striaci agivano secondo finiopposti, come era logicoaspettarsi. Certo è che i Li-beri Muratori italiani, sparsitra Obbedienze diverse o inlogge territoriali, hanno datoun contributo fondamentale,anche se – ribadiamolo – non esclusivo, enon possiamo che essere fieri di ciò. Le po-lemiche attuali sono, quindi, una manife-stazione di livore antistorico, indegna di unpaese moderno. A nessuno, infatti, ver-rebbe in mente di accusare, in patria, laGran Loggia d’Inghilterra per aver di fattosostenuto la causa dell’Impero Britannico.Sarebbe considerato semplicemente untraditore. In questo senso, anche le altreObbedienze estere che talora non com-prendono per quale motivo il GrandeOriente d’Italia sia impegnato in battagliecivili e di difesa propositiva della memoriastorica, devono considerare il fatto chequesta nostra penisola è ancora immaturae che, in alcune sue componenti, non sem-bra aver affatto digerito né la modernità néaddirittura la stessa unità nazionale, nelmasochistico compiacimento di tornare adessere una mera appendice geografica.

L’impianto con cui il Risorgimentoviene messo sul banco d’accusa e con esso

l’Unità d’Italia in realtà non risponde allanecessità di un paese maturo che vuole se-riamente interrogarsi su cosa non abbia

funzionato; per esempio, sul per-ché dopo 150 anni ci sia ancorauna questione meridionale (ocomunque la si voglia chiamare),mentre la Germania, uscita de-vastata in termini economici maancor più etico-morali, dalla Se-conda Guerra Mondiale, abbia difatto affrontato in modo strut-turale una riunificazione costo-sissima, e non solo per il suobilancio. Oppure sul perché in

molte parti di quest’Italia tantobella e, a volte perduta (ma da non disper-dere), i cittadini non siano stati educati asentirsi tali, ma vivano secondo un “fai date” basato sul favoritismo, sull’accettazionedell’abuso, della prevaricazione, dell’ille-cito, del predominio, dell’illegalità.

Farsi delle domande, essere critici è ne-cessario, ma per andare dove? Per spaccareil paese in tanti piccoli regni, che oggi nonsarebbero più governati dagli Asburgo-Lo-rena o dai Borbone e dal Papa, ma da castetali da far rimpiangere una nobiltà, che al-meno allora (oggi possiamo dubitarne)aveva il coraggio di rischiare la vita sulcampo di battaglia, come fecero i rampollidella migliore aristocrazia italiana inqua-drati nel Savoia Cavalleria per fermare i Te-deschi dopo la rotta di Caporetto? I piùprovocatori potrebbero anche domandarsiperché nelle nostre feste più importanti,capita, talora proprio durante le parate mi-litari, di sentir suonare la Marcia di Ra-detzky, pezzo bellissimo, ma per noi pur

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• 7 •Nell’approssimarsi del Centocinquantesimo Anniversario dell’Unità d’Italia, G. Raffi e A. Panaino

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sempre la marcia della sconfitta, visto cheJohan Baptist Strauß la compose per cele-brare la vittoria di Cu-stoza? Verrebbe mai inmente ai Francesi di suo-nare Preussen Gloria, per-ché la musica è bella? Sitratta, quest’ultimo inparticolare di un para-dosso estremo, che in-dica come si sia, datempo invero, persa labussola, o peggio che essasi sia smagnetizzata indicando il nordovunque capiti. Meglio sapere di non sa-pere, che credere alle favole.

Non è compito della Massoneria affron-tare temi politici, e quindi tutti gli argo-menti relativi all’opportunità o meno di unfederalismo amministrativo nel nostropaese esulano dal nostro compito e su diessi il Grande Oriente d’Italia non potràavere una posizione sua. Detto e ribaditociò, i continui attacchi all’Unità d’Italia, alTricolore, all’Inno nazionale, ai padri dellaPatria, per arrivare sino alla nazionale dicalcio (che non ha giocato bene, è vero, male invettive di natura ideologica e non spor-tiva erano partite ben prima del fischiod’inizio) sono una musica che risuona datroppo tempo e che si unisce alla stessa Ra-detzkymarsch. Più si suona allo sfascio ed al-l’insegna della confusione, meglio sarà, cosìtemiamo pensano i diversi soloni dell’anti-risorgimento, che però hanno altri fini. In-fatti, una volta demolito senza appello ilRisorgimento e l’Unità Nazionale, cosa re-sterebbe? L’odio intra-nazionale, “polen-toni” contro “terroni”, “Celti” contro

“Romani” e “Greci”, unito a quello più ac-cecato (ma con una buona mira) contro

tutti gli altri diversi, per lin-gua, colore della pelle e pro-venienza. La riflessionecritica ha un senso ed unoscopo costruttivo, la distru-zione ha altri fini. In questoscenario, il ruolo storicodella Massoneria, che in Ita-lia per le ben note sue vi-cende è quella del Grande

Oriente d’Italia, diviene an-cora una volta fondamentale. Attraversoun antimassonismo becero si cerca di de-molire l’Unità dell’Italia e noi siamo diret-tamente chiamati in causa per tutelare nonsolo la Libera Muratoria, ma la stessa unitànazionale. In questo senso quanto sta ac-cadendo riguarda in modo stringente la no-stra istituzione, che deve a nostro avvisofarsi carico di un’importante funzione dicarattere educativo e informativo, senza ti-mori o nascondimenti.

Il Grande Oriente d’Italia si proponecome un’istituzione, ovvero come un cir-cuito autorevole, il cui scopo è quello diagire, a dispetto di coloro che vorrebberovederci operare come una cosca segreta sucui gettare alla bisogna ogni colpa (bastipensare alla famigerata P3, su cui la stampasi è baloccata svolgendo una funzione de-magogica e non realmente informativa,visto che tale consorteria non aveva nulla ache spartire con qualsivoglia réseau libero-muratorio) in modo da fungere da ben ri-conoscibile agenzia etica, volta aconsolidare i valori costituzionali ed i prin-cipi fondanti della nostra società civile e

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democratica. Sparare ad alzo zero sul-l’Unità d’Italia, insinuare continuamente ildubbio, a partire dalla ma-nualistica scolastica, chetutto sommato sarebbestato meglio se questaunità non si fosse maifatta, che le legislazionipre-unitarie e le diversecostituzioni fossero mi-gliori, e via di seguito, nonè solo follia, ma sembra ri-spondere ad un disegno dieversione, che delegittimando lo Stato allaradice, in un paese dove le Istituzionihanno già diversi problemi, mira a rinfor-zare altri poteri, veramente forti, ed a ne-gare tutte le conquiste conseguite dallibero pensiero, dalla moderna laicità (chenon significa negazione delle religioni) edalle società aperte, libere e democratiche.

Non si tratta allora di celebrare sempli-cemente gli eroi del passato, le battaglie, igrandi passaggi legislativi e costituzionali,ma di vagliarne la complessità, in modo dasaldare un paese in una nuova unità, chesappia guardare all’Europa e che sappiastare al suo interno con sempre maggioradeguatezza e capacità, non frantumatanuovamente tra persone che non sanno piùperché stiano insieme. I Massoni hannoidee diverse, ma nel Grande Oriente d’Ita-lia, anche se molti lo ignorano, i nuovi so-dali, al momento della loro iniziazione,promettono solennemente di rispettare laCarta Costituzionale e di adempiere cononore alle loro funzioni nella vita civile.Quindi sebbene diversi, tutti noi non pos-siamo negoziare il principio dell’unità na-

zionale e la difesa dello Stato e della Costi-tuzione. Siccome restiamo diversi e non ab-

biamo una linea ma solodei princìpi da seguire,discutiamo di tutto ciò,ovviamente fuori daltempio e dalle sedute ri-tuali, con la libertà ed ilsenso critico che ci èproprio ma, come istitu-zione italiana, nella suaautorevolezza, ci strin-giamo al Presidente della

Repubblica, unica figura dinanzi alla qualeè il tricolore a piegarsi in segno d’omaggio.Altro che potere occulto!

Nei prossimi mesi e soprattutto nelprossimo anno daremo vita ad una serie ar-ticolata di eventi che avranno lo scopo diaiutare a capire meglio, senza strilli o in-vettive, il nostro passato e le sue implica-zioni sul futuro prossimo, in una palestracivile ed etico-morale all’insegna del dia-logo e della riflessione. A spaccare quantocostruito con molta sofferenza e non pochierrori ci vuole poco, a progettare un futuropiù giusto e solidale costerà molta più fa-tica. Il nostro scopo è quindi chiaro.

Chi sperava che la Libera Muratoria in-gaggiasse una battaglia scomposta all’inse-gna dell’anticlericalismo o dell’esaltazionetroverà una comunione di spiriti liberi, cheguardano al futuro senza dimenticarsi delpassato, non per suonare le trombe dellacelebrazione fine a se stessa, ma per co-struire, alla luce del sole una più saldaunità europea all’insegna della chiarezza edell’unità nazionale.

Rivendicare il contributo massonico

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dato alla costruzione del nostro paese,prima durante e dopo il Risorgimento, nonsignifica per noi assumerne la paternità,come alcuni intendono pro-porre in modo cialtrone-sco, anche perché sifarebbe torto alle tantecomponenti che versaronoil loro sangue per un sìalto fine, ma semplice-mente farsi carico, per laparte che ci compete, diuna responsabilità storicae di una testimonianza ci-vile, fatta di martiri e di figure straordina-rie, che caddero non certamente perfavorire consorterie occulte, nuove dise-guaglianze o il ritorno a rinnovate teocra-zie confessionali di qualsivoglia matrice.

Se per questi meriti dobbiamo sentirciin colpa, ebbene, allora ci presenteremo altribunale della storia, certamente nonsenza peccato, curiosi però di vedere qualimeriti potranno elencare i fabbricatori didiscordia, i difensori del particolarismo edell’egoismo. Vedremo finalmente sesiamo veramente colpevoli per aver fattocondividere a tutti gli Italiani ed al mondola lezione di Giordano Bruno oppure se siabene che si debba abbandonare il nostropaese alle fiamme di tutti i ben pensantiche lo arsero vivo ed ai loro epigoni che an-cora si beano di tale crimine. Perché ab-battuta l’unità nazionale all’insegnadell’esaltazione del prima, vediamo solo

roghi e mostri, un bellum omnium contraomnes, figlio della barbarie, che ci allonta-nerà dall’Europa e dal mondo civile, a cui

noi invece apparteniamo. Noi vogliamo festeg-

giare insieme con le altrecomponenti dialogantidella nostra società ilprocesso unitario, nonper esaltare il nazionali-smo e un patriottismobellicista e retorico cheha portato troppi lutti al

paese, ma per ripercor-rere tutti i passaggi nodali della nostra de-mocrazia, le grandi conquiste civili,dall’obbligo scolastico al suffragio univer-sale, dalle libertà costituzionali all’ingressonella comune casa europea, in cui deside-riamo restare a testa alta. Un’Italia, la no-stra, che è anche quella delle suetradizionali minoranze linguistiche, fran-cesi, tedesche, slovene e croate, albanesi egrecaniche o addirittura catalane. Se unBafometto si aggira per l’Italia, non lo sicerchi nelle logge, perché lì non avrebbeplatea adatta. Altri gli rendono omaggio.Facciamo solo in modo che la sua voce nonsia la sola e che non trovi più ascolto diquanto meriti. Le più importanti istituzionidel nostro paese lo chiedono. Noi stessi,come Istituzione, dobbiamo essere prontia svolgere il nostro compito civile e nonpossiamo esimerci dall’essere l’autoritàetico-morale che il momento richiede.

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IInnttrroodduuzziioonnee aalllloo ssttuuddiioo ddeell SSeeffeerr YYeettzziirraahh

di GGiiuusseeppppee AAbbrraammooGran Segretario del Grande Oriente d’Italia

(Palazzo Giustiniani)

The Sefer Yezirath, most probably, is one of the ancient if not the most ancientCabalistic texts we have today. Nevertheless, we must note and underline that itscontent amazes us with its modernity, and the nearly scientific tenor of the expositionof the subjects. More than any other text, it shows the universality of the Cabalisticwisdom, and is capable of proposing an important message, also to the conscience ofthose who follow other spiritual traditions. The “Book of Education”, after all, offersthe quintessence of the system of correspondences attested in the Cabala, a systemwhich allows us to arrange and unify the different pieces of that wide and complexmosaic representing human and natural reality. The book, as we know it, claims to bea monologue of patriarch Abraham, where, through the contemplation of all thatsurrounds him, he comes up to the conclusion of the unity of God. Presenting such adense compendium of cosmogony and cosmology, the Author tries to match his ideaswith the Talmudic disciplines, in particular those concerning the doctrine of Creationand Merkavà. The Sefer Yezirath, in fact, presents itself as a compendium of forms ofcorrespondences, aiming to disclose the parallelism of the space-temporal phenomenain the human and physic nature, thus revealing their roots in a world of pure “divine”conscience. So, the Sefer Yetzirah simplifies the unorganized complexity of reality,“rearranging” it in an harmonic and symmetric simple system.Sefer Yetzirah is the first text that introduces the idea of sefirà, that is one of themost known, but also one of the most important concepts of Cabala.The first great Cabalists saw the sefiroth as the stages of the process of emanation,through which God brought the manifestation of the different plans of existence, fromthe more subtle and superior to the rough and material ones.The fundamental framework of the universe as a whole is based on 32 basic unities,the famous “Thirty-two paths of Wisdom”. They are the fundamental elementsthrough which reality is formed, in its physic and spiritual expressions.Finally, the act of creation is presented as a consequence of God’s speech – over the voidand the shapeless –, which becomes the reality of the cosmic order by means of aseries of “creative” words.The ideology of language, that is the acceptance of the word as a medium of creation,can become a sufficient reason to study this very ancient text, particularly for thosewho, with the instructive and irreplaceable guide of a rituality, are engaged in asearch for the “lost words”, to which a constituting value in the knowledge of sacrumcan be attributed.

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L’epoca e l’Autore

SSSSull’origine e la patria spirituale delSefer Yetzirah sonostate espresse le

più diverse opinioni senzache sia stato possibilegiungere a conclusioni de-finitive.

Infatti, quanto alla da-tazione essa oscilla dal IIall’VIII secolo, e quantoalla paternità la si attri-buisce perfino al patriarcaAbramo. Tuttavia, nono-stante le incertezze sullasua età, tenuto conto cheil Talmud ne fa menzione,possiamo, quanto meno,collocarlo intorno a 1800anni fa.

I quesiti che questo libro ha sollevatopossono essere riassunti, con Alfonso M. DiNola (1985: 48) nei seguenti termini:

Del resto molto discusso è il problemadelle influenze presenti nel libro. Lo si puòritenere frutto del sincretismo gnostico e ri-sultato di molteplici infiltrazioni culturalid’ambito ellenistico-ermetico ovvero lo sideve considerare tipica espressione di unatradizione ebraica gelosamente preservatada ogni contaminazione estranea, almenonei suoi schemi ideologici essenziali, anchese l’ideologia, nell’atto di essere consegnataallo scritto, ha subito l’adattamento a taluneforme terminologiche e concettuali propriedella gnosi?

Pur apprezzando molto l’impostazionedel Di Nola, verso il quale ci sentiamo debi-

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tori di tanti insegnamenti, devo dire che, seci immettiamo in questo campo di ricerca,

purtroppo non sarà facileuscirne, perché - nono-stante l’abbondante e au-torevole letteratura inproposito - non è sem-plice decidere se l’Autoredel Sefer Yetzirah ha cer-cato di mettere d’ac-cordo la dottrinagnostica degli eoni, conquella della scuola pita-gorica o neoplatonica,anche perché tutte le in-terpretazioni sono possi-bili e una parentela, siapure non proprio strut-turale, è rintracciabile in

correnti speculative paral-lele o in armonia con l’esoterismo ebraico.

Tuttavia vale la pena di precisare che lebasi pre-storiche della Cabalà, poggiano suquelle discipline mistiche-occulte a cui siriferisce lo stesso Talmud quando parla deiSitrè Torah, i “Misteri della Legge”, i qualiassumono il doppio aspetto di Mà’asehMerkavah – “Opera del Carro o del Trono”- e Mà’aseh Bereshith – “Opera della Crea-zione”.

La prima - il cui più noto esponente èconsiderato Rabbi ben Zakkai - è una disci-plina diretta a esperienze estatiche e di pe-netrazione del numinoso, e si rifà alracconto della visione descritta nel primocapitolo di Ezechiele; la seconda - il cui piùnoto esponente è considerato Rabbi Aqivà

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nella quale vengono fondamentalmente ri-confermati i principi dell’esistenza di un Diocreatore, della sua assoluta unità e della di-

retta derivazione del cosmodallo stesso Dio, che lo ha for-mato per un atto di volontariacreazione ex nihilo.

Inoltre, premesso che ilSefer Yetzirah è quasi certa-mente uno dei più antichi senon il più antico testo caba-listico di cui siamo oggi inpossesso, è il caso di notaree sottolineare come il conte-nuto stupisce per la moder-nità e il gusto quasiscientifico con cui gli argo-menti sono esposti.

Più di qualunque altro testo, esso mo-stra l’universalità della sapienza cabalisticache, da una parte stimola a percorrere viedi ricerca che rifiutano l’idolatria, intesa quicome l’accontentarsi di frammenti di veritàe di assolutizzarli nell’illusione che essisiano il tutto o che siano più importanti dialtri frammenti, e dall’altra ha la capacitàdi porsi come messaggio rilevante anchealla coscienza di coloro che seguono altretradizioni spirituali.

Il “Libro della Formazione” offre, in de-finitiva, la quintessenza del sistema di cor-rispondenze della Cabalà che ci permettedi riordinare e di unificare i vari pezzi diquel mosaico vasto e complesso che è la re-altà umana e naturale.

Il progresso scientifico e tecnologico,pur con tutti i suoi vantaggi importanti edirrinunciabili, ha spesso esasperato la com-plessità separativa del modo con cui perce-

- invece è una cosmologia mistica, che sirifà all’opera della creazione descritta nelprimo capitolo del Genesi.

L’Opera della Creazione,trasformatasi nel corso deltempo in una via operativaal pari dell’Opera del Carro,corrisponde a quell’inclina-zione razionale e specula-tiva diretta alla ricercadell’archè, del principio tem-porale ed essenziale delcosmo.

Ma’aseh Berescith sorgedunque come esegesi delprimo capitolo del Genesi,ma molto presto si tra-sforma in una dottrina in-terpretativa dei testi sacri enella ricerca di tutti i Sitrè Torah (i “Misteridella Legge”).

L’Autore del Sefer Yetzirah ha chiara-mente cercato di mettere d’accordo le di-scipline talmudiche relative alla dottrinadella Creazione e della Merkavah anche seil libro si colloca nell’ambito dell’indaginecosmogonica e cosmologica piuttosto chedella via estatica che, sostenuta da praticheascetiche ed evidentemente psichiche,consentiva l’unione con la sfera del divino.

Inoltre prendiamo ancora da A. Di Nola(1985: 62) la seguente idea-guida del-l’opera:

Una valutazione generale del Sefer Yetzi-rah, prima che ci si disperda nei particolaridescrittivi dei molteplici suoi temi, ci fa ri-conoscere in esso una trascrizione ermeticadella cosmogonia monoteistica mosaica,

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1 Scholem, 1973: 32-42.; Di Nola, 1985: 47-81; Mistica Ebraica, 1955.2 Le citazioni del testo sono tratte dal Sefer Yetzirah a cura di Gadiel Toaff, 1988.

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compendio di cosmogonia e cosmologia,nel quale l’Autore cerca di mettere d’ac-

cordo le sue idee con le disci-pline talmudiche relativealla dottrina della Crea-zione e della Merkavà.

PPrriimmaa PPaarrttee

Nella sua prima propo-sizione, il libro stabilisceun rapporto con la specu-lazione ebraica sulla Sag-gezza divina la Chokhmà, oSophia “Con trentadue mi-steriosi sentieri di Sag-gezza Dio (e qui seguonoattributi vari) ha scolpitoed ha creato il suomondo”.2

Queste trentadue vie - elementi e mate-riali per la costruzione del cosmo, forzefondamentali che emanano dalla Chokhmàe nelle quali essa prende aspetto - sono, percosì dire, i due piani della creazione; infatti,il primo è costituito dalla decade di logoi se-minali (come li chiama Di Nola), cioè dallesefiroth, che in realtà corrispondono alleprime dieci cose create desumibili dal Ge-nesi, ed il secondo piano è quello che ri-sulta dalle ventidue lettere che nellospazio, ormai costituito, producono vari or-dini di realtà naturali.

Nelle o per le trentadue vie la creazioneha ricevuto l’impronta divina ed il cosmo

piamo noi stessi e il mondo, rispondendo esoddisfacendo molti dei nostri bisogni, malasciando anche enormispazi vuoti all’internodelle coscienze di co-loro che nella sa-pienza tradizionalenon vedono elementio momenti anacroni-stici, ma piuttosto ilmezzo per riportarsialla consapevolezza diun’energia unifica-trice ed organizzativapresente in ogni luogoe tempo.1

Il contenutoIl Sefer Yetzirah è

un concentrato di for-mule di corrispondenzevolto a svelare il parallelismo dei fenomenispazio-temporali nella natura fisica eumana mostrandone le loro radici neimondi della pura coscienza “divina”. Inquesto modo il Sefer Yetzirah semplifica lacomplessità disorganizzata della realtà“riordinandola” in un insieme armonicosemplice e simmetrico.

Il libro, come noi lo conosciamo, è unmonologo del patriarca Abramo, in cui, permezzo della contemplazione di tutto ciòche lo circonda, egli arriva alla convinzionedell’unità di Dio.

Come si è accennato il libro è un denso

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me-ruah), “il soffio del soffio”, cioè l’ele-mento primordiale dell’aria, dalle quale Dio

ha creato le 22 lettere fon-damentali.

3) Dall’aria primor-diale nasce l’acqua(maym me-ruah), dallaquale Dio ha creato ilcaos cosmico (Tohu eBohu, fango e liquido in-sieme).

4) Dall’acqua primor-diale nasce infine ilfuoco (Esh mi-maym),dal quale Dio ha creato ilTrono della Gloria e gliordini degli angeli (pro-prio in questo passo delSefer Yetzirah vi è la con-nessione fra i due sistemi

mistici del Trono e del Bereshith, nel sensoche l’Autore dopo aver spiegato la crea-zione fisica, passa all’origine dei mondi su-periori, in cui si realizza l’estasi).

5-10) Le ultime sei sefiroth sono definitein tutt’altro modo: esse rappresentano lesei direzioni dello spazio, senza che vengadetto se esse sono emanate da elementiprimordiali anteriori, anzi chiaramente ledimensioni spaziali derivano, ciascuna in-dipendentemente, dal nome di Dio, ����(YodHe Vav He), da cui tolto la He finale ab-biamo la radice creatrice dell’altezza (YodHe Vav), della profondità (Yod Vav He), del-l’oriente (He Yod Vav), dell’occidente (HeVav He), del meridione (Vav Yod He) e delsettentrione (Vav He Yod ).

Per l’insieme delle sefiroth è enunciatoche il loro inizio e la loro fine sono legate

esiste in virtù delle dieci parole pronun-ciate da Dio sul caos e dei ventidue segni amezzo dei quali Dio ha“scritto” e “detto” ilmondo.

Le prime dieci ma-nifestazioni creatricisono designate - comesi è detto - con la pa-rola sefiroth, plurale disefirà che nel Talmud èusata con il valore dicalcolo, numerazione.Dall’etimologia dellaparola si è pervenutiad un’interpretazionedella stessa nel sensoche questi primi diecisimboli del Sefer Yetzi-rah costituirebbero laserie fondamentale della numerazione: ladecina. D’altra parte con l’introduzione diun nuovo termine (sefirà) per i dieci nu-meri primordiali al posto dell’abituale “mi-spar”, l’Autore sembra indicare che non sitratta semplicemente di numeri ordinari,ma di numeri in quanto principi dell’uni-verso o gradi della creazione.

Ciascuna sefirà è disposta in una deter-minata categoria della creazione:

1) La prima è lo spirito del Dio vivente(ruah Elohim chaijm), che, nel Berescithaleggia sulle acque e si fa parola di crea-zione. Come tale è eterna e increata (“illoro principio non ha principio e la lorofine non ha fine”).

2) Da ruah viene fuori, per così dire, percondensazione, “l’aria dello spirito” (ruah

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3 Castelli, 1880: 25.

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diventano parole manifestatrici del pen-siero. Per simboleggiare poi la potenza crea-trice nella materia, nulla di meglio che gli

organi genitali.

Il rapporto unitario fradio e realtà cosmiche èanche espresso nella quali-ficazione belimah che seguesempre la parola sefiroth.Le sefiroth, dunque, sonobelimah (da belì “senza” e ma“cosa”) per significare cheesse sono - come dice il Ca-stelli – “i primi e soli ele-menti di tutto il creato, daiquali poi tutto si forma e sisvolge senza altra so-stanza”. Quindi il terminepuò essere letto sia come

“prime nel tempo, senza pre-cedenti, prime come elementi creati” ov-vero “infinite”; ma può anche significare“senza precedenti materiali di origine”,proprio come in Giobbe (26,7), ove si diceche Dio tiene sospesa la terra sopra belimah,cioè sopra nessuna cosa.

Non è da escludere anche l’interpreta-zione dello Scholem, secondo il quale ilcontenuto del testo suggerisce piuttosto ilsenso di “chiuso”, di “chiuso in sé”.

Il Sefer Yetzirah è il primo testo che in-troduce il concetto di “sefirà” che è uno deipiù noti, ma anche uno dei più importantidella Cabalà.

I primi grandi cabalisti videro le sefi-

l’uno all’altra e che questa decade primor-diale forma dunque un’unità, il che è inperfetta sintonia con il ca-rattere monoteistico ecreazionistico della co-smogenesi ebraica.

Al riguardo vale lapena di citare l’analo-gia, riportata nel testo,dell’unità divina conl’unità organica e fun-zionale delle dieci ditadella mano e “il pattodell’Unico collocato alcentro: e come le paroledella lingua, così la cir-concisione della pelle”.

Per David Castelli3

questo sarebbe il primocenno del concetto poiampiamente svolto dalla Cabalà di compa-rare il corpo umano da un lato con Dio edall’altro con il mondo, anche se con il SeferYetzirah:

non siamo ancora giunti a una rappre-sentazione così piena dell’umano nel divinoe di questo in quello; non siamo giunti an-cora a fare un Dio-Uomo né un Uomo-Dio.L’idea per altro che la lingua e il membro vi-rile rappresentano l’unità in mezzo alla de-cina, come Dio è uno fra le dieci Sefiroth, sipuò, secondo me, spiegare come un simbolodella doppia potenza creatrice, dell’ideale edel materiale.

Per simboleggiare nell’uomo questa po-tenza creatrice nulla di meglio che la lingua,per mezzo della quale si esprimono le idee e

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SSeeccoonnddaa ppaarrttee

Esaurita la primafase della cosmoge-nesi con la triade ele-mentare e lo spaziotridimensionale, lastoria della crea-zione, nella secondafase è fondata sullelettere dell’alfabeto,espressione della po-tenza creatrice emezzo attraverso ilquale Dio “dice” e“scrive” il mondo.

Con la combina-zione delle 22 lettere,infatti, tutto il realesi costituisce nei tre

livelli del cosmo: ilmondo, il tempo, il corpo umano (mundus,annus, homo).

Le 22 lettere, in prima istanza, sono di-vise secondo i cinque organi della fona-zione (gola, labbra, palato, denti e lingua),ma poi nel seguito della trattazione l’Au-tore dimentica quest’antica divisione deigrammatici e ne adotta un’altra.

Le 22 lettere si dividono in tre gruppi: ilprimo comprende le tre madri (alef, mem eshin - rispettivamente iniziale della paroleaver “aria”, maim “acqua” e finale della pa-rola esh “fuoco”). Ad esse, chiaramente,corrispondono a loro volta i tre elementiAria, Acqua e Fuoco, da cui deriva tutto ilresto, ma anche le tre stagioni, come purele tre parti del corpo (testa, petto e ad-dome).

roth come le fasi del processo d’emana-zione con cui Dio ha manifestato i varipiani dell’esistenza, daipiù sottili e superioria quelli grossolani emateriali.

A questa visione siè in seguito aggiuntaquella che vede nelle“sefiroth” le “po-tenze” dell’anima,cioè gli strumenti ba-silari che l’animaumana possiede perrapportarsi con la re-altà circostante, conse stessa e con il Crea-tore. Le sefiroth sonoquindi “stati di consa-pevolezza” presentiin ciascuno di noi e sve-lata la loro potenza nascosta esse diven-tano vere e proprie luci dell’anima.Pertanto il vero scopo dell’ascesi spirituale,secondo la Cabalà, è il ritrovamento in cia-scuno di noi dell’Albero della Vita costi-tuito dalle dieci sefiroth, la prima dellequali (Keter - Corona) appartiene al pianotrascendente, la seconda e la terza (Ho-khmà - Sapienza e Binà - Intelligenza) alpiano cognitivo, la quarta (Chesed -Amore), la quinta (Ghevurà - Forza), lasesta (Tiferet - Bellezza), la settima (Netzah- Eternità), l’ottava (Hod - Splendore), lanona (Yesod - Fondamento), appartengonoal piano emotivo ed infine la decima (Mal-khut - Regno) al piano pratico.

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Le ventidue lettere, pur essendo in nu-mero ristretto, consentono per “combina-

zione” e “trasposizione” unnumero infinito di pa-role. “Così come le 22lettere forniscono 231tipi combinando l’alefcon tutte le lettere etutte le lettere con beth,e così via” e così l’interacreazione e l’intero lin-guaggio scaturiscono daun’unica combinazionedi lettere.

Così ad esempio conlettere diversamentecombinate si possonoesprimere i pensieri piùopposti (oneg “piacere”,negà “piaga”)

Va infine ricordatoche per mezzo delle permutazioni apparechiara l’infinita varietà di cui è capace l’al-fabeto ebraico, il che dimostra l’infinita va-rietà del creato: “Due lettere formano duecase, tre lettere costituiscono sei case,quattro ne costituiscono ventiquattro...,ecc.” (Per accertare quante volte un certonumero di lettere può essere trasposto, ilprodotto del numero precedente deve es-sere moltiplicato nel modo seguente: Let-tere 2 x 1 = 2; 3 x 2 = 6; 4 x 6 = 24; 5 x 24 =120; 6 x 120 = 720; 7 x 720 = 5040).

Le ventidue lettere dell’Alfabeto ebraicosono dunque chiamate dal Sefer Yetzirah le“pietre” (evanim) che il Grande Architettoha usato per costruire la “casa” che è lacreazione. Ogni lettera, lungi dall’essere

Il secondo gruppo è formato dalle 7doppie:

beth (b ב�), ghimel (g ג�),daleth (d ד�) , kaf (k כ�), pe(p פ�), resh (r ר�), tau (t ת�);

ad esse corrispondonoi sette pianeti, i sette cieli,i sette giorni della setti-mana, le sette porte del-l’anima, cioè le setteaperture della testa. Manello stesso tempo esserappresentano anche gliarchetipi delle sette op-posizioni fondamentalidella vita umana: vita emorte; pace e guerra; sa-pienza e follia; ricchezzae povertà; bellezza e brut-tezza; seminatura e deva-stazione; dominio easservimento. A loro corrispondono ancorale sei direzioni e, al centro, il Tempio che lesostiene.

[Per una strana coincidenza il valorenumerico delle sette doppie è uguale asette: infatti 2 + 3 + 4 + 20 +80 + 200 +400 =709; 7 + 0 + 9= 16; 1 + 6 = 7] .

Il terzo gruppo è formato dalle dodiciconsonanti semplici:

hey (h ה�), vav (w ו�), zayin (z ן�), cheth(ch ח�) ṭeth (ṭ ט�), jod (y י�), lamed (l ל�), nun(n נ�), samekh, (s ם�), ʿayin (ʿ� ,(צ �ṣ) sadè ,(ע�quf (q ק�) che corrispondono alle principaliattività dell’uomo, i cosiddetti dodici“sensi”, alle immagini dello Zodiaco, ai do-dici mesi e ai dodici principali organi (oguide) del corpo umano.

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questi aspetti. Quindi non è superfluo fa-miliarizzarsi con le lettere dell’Alfabeto

ebraico e con le loro ca-ratteristiche. Le loroproprietà gradatamenteverranno alla luce, in-tanto, secondo la visionecabalista, il guardarle hagià un effetto positivosulla coscienza, che neviene stimolata a livellosopra-conscio.

Le ventidue lettere,come già abbiamo ac-cennato, sono le radicida cui derivano i se-guenti settori generalidella creazione:

Nella dimensione chia-mata “mondo” OLAM: i tre elementi attivi(fuoco, aria, acqua), i sette corpi visibili delsistema solare, i dodici segni zodiacali.

Nella dimensione chiamata “anno”SHANA’: le tre stagioni dell’anno (calda,fredda, temperata), i sette giorni della set-timana, i dodici mesi soli-lunari del calen-dario ebraico (Nisan, Yaar, Sivan, Tamuz,Av, Ellul, Tishirei, Heshvan, Chislev, Tevet,Shvat, Adar).

Nella dimensione chiamata “anima”(unione della realtà fisica, psichica e spiri-tuale dell’essere umano) NEFESH: le tre di-visioni principali del corpo (testa, torace,ventre), le sette aperture del viso, i dodiciorgani del corpo (due mani, due piedi, duereni, stomaco superiore, stomaco inferiore,

una semplice convenzione umana sul comerappresentare un elemento fonetico, è inrealtà uno degli agenti es-senziali del processo crea-tivo. Nel pronunciare ognilettera il “fiato” divino hadato origine ad una por-zione della realtà. Tramitela combinazione e la per-muta delle varie lettere, lasapienza divina ha dato esi-stenza alla molteplicitàdelle forme viventi ed ina-nimate.

Quando Adamo “chiamòi nomi” di ogni essere pre-sente nel giardino dell’Eden(Genesi 3), in realtà eglistava riconoscendo e leg-gendo la formula o permuta-zione presente alla radice di ciascuno diessi. Ciò gli era possibile grazie alla “vista”spirituale di cui era ancora dotato.

In definitiva, ricapitolando, ogni letteradell’Alfabeto è un archetipo che possiedeuna triplice forza:

la sua forma o aspetto grafico; il suosuono o il significato del suo nome; il suovalore numerico.

Queste tre forze agiscono sulla triadepiù importante dell’apparato conoscitivoumano: vista, udito, intelletto.

Il testo del Sefer Yetzirah è estremamenteconciso e concentra in poche parole tantis-sime informazioni. Esso fa quasi pensare al-l’indice di un libro più che al libro stesso.

Pertanto un suo studio “effettivo” nonpuò non approfondire accuratamente tutti

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le prime sia le seconde sono tutte presentie sono rappresentate tutte insieme nell’Al-

bero della Vita.Inoltre nello stesso

libro, come abbiamovisto, si parla anche dicome le 22 lettere sianodivise a loro volta in tregruppi: tre madri, settedoppie e dodici semplici.

In tutto quindi ab-biamo quattro gruppi: lesefiroth, le tre letteremadri, le sette doppie ele dodici semplici.

Osservando la strut-tura dell’Albero dellaVita è estremamente in-teressante notare che aparte le 10 sefiroth soli-tamente raffigurate gra-

ficamente con un piccolocerchio, i 22 canali sono raffigurati con tregruppi di linee ed esattamente tre orizzon-tali (che sono le tre lettere madri), setteverticali (le sette lettere doppie), e 12 obli-que (le dodici lettere semplici).

Ciò premesso, nel testo biblico ritro-viamo in queste 32 apparizioni del nome diDio una analoga suddivisione in quattro.

Dieci volte c’è la frase “vaiomer Elo-him”, “e Dio disse”, e queste sono le sefi-roth. In realtà quando contiamo leespressioni “Dio disse” ci accorgiamo chesono nove, la prima, o il primo “e Dio disse”è sottintesa, corrisponde infatti alla sefiràdella Corona che si distingue dalle altre edè quella bocca, che emette la prima parola“bereshit”. Kheter è assolutamente inco-

milza, fegato, intestino tenue, bile) e i do-dici “sensi” (vista, udito, odorato, favella,gusto, coito, azione, mo-vimento, ira, riso, me-ditazione, sonno).

Il numero 32L’intelaiatura prin-

cipale dell’insieme ap-pena descritto apparedunque costituita da 32unità fondamentali, ifamosi “Trentadue sen-tieri della Sapienza”.Essi sono gli elementiessenziali di cui è com-posta la realtà, sia nellesue espressioni fisichesia in quelle spirituali.

L’entità numerica 32non è casuale, ma possiedediverse precise origini bibliche.

La storia della creazione così com’è de-scritta nel primo capitolo del Bereshit (Ge-nesi), contiene esattamente 32 volte ilnome “Elohim” il primo dei vari nomi concui Dio è chiamato nella Torà. La Cabalàspiega che il nome “Elohim” descrive la po-tenza divina preposta alla creazione e almantenimento delle leggi naturali su cuipoggia la realtà.

È interessante notare che, nel “Librodella Formazione”, come abbiamo innanziaccennato, questi 32 sentieri, queste 32volte con cui il nome Elohim, il nome dellacreazione, agisce e si rivela, sono divise indue gruppi: dieci sefiroth e 22 lettere e sia

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combinazione tra verticale ed orizzontale,diversa di volta in volta.

Il numero 32 spesso rappre-senta anche la Torà nella suainterezza, dato che le letterecon cui essa incomincia è laBeth, il cui valore numericoè 2, e quella con cui essa fi-nisce è la Lamed, il cui va-lore numerico è 30. Lasomma della prima e dell’ul-tima lettera della Torà di-venta così il simbolo di tuttoil suo contenuto.

Quanto alla letteralamed, è il caso di ricordareche questa lettera indical’ascesi da un livello all’altro.

Per capire questo discorsopossiamo esemplificativamente riferirci aigradi di un segno zodiacale che sono 30come il valore della lamed e come i giornidi un mese. Ogni mese c’è un passaggio, c’èun rinnovamento; secondo la linguaebraica la parola kodesh (“mese”) è ugualea kadash (“nuovo”), cioè rinnovamento. Lalamed è chiamata anche “la torre che volaper aria”, è cioè una specie di razzo spa-ziale che porta la consapevolezza da un li-vello a quello successivo.

Quindi la Torah, che dobbiamo inten-dere come un certo tipo di conoscenza, in-comincia da due e poi ci accompagna fino aun certo livello e ci dà la spinta per andareoltre e per superare ogni comprensioneprecedente. Ecco perché nella liturgiaebraica si legge in continuazione. Ognianno, nella Sinagoga, si finisce e si rico-mincia.

noscibile, quindi non si rivela, rimane na-scosta.

Poi c’è scritto tre volte“vaias Elohim”, “e Dio fece”,e questi sono i tre canaliorizzontali, in quanto l’attodel fare è legato ad un con-cetto di orizzontalità.

Dei tre verbi che indi-cano l’atto creativo,“creare” è fare un qualcosadal niente, “formare” è dareuna forma a ciò che è statocreato, ma è privo di qual-siasi forma ed infine per“fare” occorre avere una so-stanza che ha già una forma,quindi significa combinareinsieme sostanze, elementi ecose che hanno già forma. Si opera per-tanto su un piano di “materia”.

Questa è una conquista nel piano crea-tivo perché Dio vuole creare il mondo,vuole dargli una consistenza tutta sua, ladimora nel basso che Dio ricerca, un luogooltre il quale non c’è niente di più basso cheè appunto la materia. Ecco l’importanza delfare, ecco perché è collegato con le tre let-tere madri che sono le lettere più impor-tanti.

Poi ci sono sette espressioni “Vaiar Elo-him” e “Dio vide” e questi sono i sette ca-nali verticali.

Infine abbiamo 12 espressioni assortite:lo “spirito di Dio aleggiava”, “e Dio creòAdamo”, “Dio li benedisse”, “Dio li pose”insomma una serie di verbi assortiti e que-sti sono i canali diagonali che rappresen-tano appunto un’azione complessa, una

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zirah suggerisce che lo studio dei “Trenta-due Sentieri della Sapienza” è la via per

spiegare la misteriosa va-rietà del mondo, e per ri-conoscere in esso il filounificante della Sapienzasuperiore.

Inoltre rispetto alla li-mitatezza del pensieroscientifico e alla sua inca-pacità di uscire dalcampo del “sensibile” del“corporale”, il “Librodella Formazione” offreuna chiave di corrispon-denze che permette benpiù della descrizione delpiano fisico della crea-zione, chiamato nel testo“Olam” (“mondo”). In-

fatti esso ci porta a realiz-zare come il mondo fisico non è altro chel’ultima espressione di un sistema ben piùricco ed articolato, che include i fenomenidel tempo e della storia - chiamati col ter-mine “Shana’” (“anno”) - come pure i fe-nomeni psichici, emotivi, intellettuali espirituali dell’essere umano - chiamati conil termine “Nefesh” (“anima”). Infine iltesto li ricollega con le loro radici più ele-vate, all’interno dello stesso pensiero diDio, le Dieci Sefiroth, e le Ventidue letteredell’Alfabeto ebraico, il linguaggio essen-ziale con cui si esprime la mente divina.

Un altro modo di capire le qualità “ma-tematiche” del numero trentadue è quellodi considerarlo come la quinta potenza delnumero 2.

Ogni volta dovrebbe portare su un altropiano, senza mai togliere l’uomo dal due.

Trentadue è il valorenumerico della parola“lev”, “cuore” (Lamed +Beth). Oltre ad affermareche la Torà è il cuorestesso della creazione ciòsuggerisce che i “Trenta-due Sentieri” sono il“cuore” della realtà, cioèla sua parte più intima,l’essenza del nucleo cen-trale, nella quale è conte-nuta la chiave percomprendere tutto ilresto. Ciò giustifica la pre-tesa del “Libro della For-mazione” di voler ridurrel’indiscutibile complessitàdella realtà sensibile ad appena trentadueelementi fondamentali. Questa “riduzione”dunque è valida solo a proposito del“cuore”, dell’entità centrale del creato e la-scia intatta l’infinita varietà delle manife-stazioni delle forme di vita e diintelligenza.

D’altra parte, la metodologia di esem-plificare la realtà oggettiva in un numero ilpiù ridotto possibile di elementi-primi èbasilare nella stessa osservazione scienti-fica. Così, ad esempio, nella chimica tuttala varietà della materia viene ridotta ad ap-pena un centinaio di elementi, attraversola cui combinazione e permutazione si ar-riva poi alla complessità delle strutturemolecolari e cellulari. Anticipando di due-mila anni questa metodologia, il Sefer Yet-

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formula secondo la quale bisogna saperleggere la dualità fondamentale dell’esi-

stenza in termini di paralle-lismo, di corrispondenzae di simmetria, “poten-ziando” tale lettura me-diante la sua estensione atutti i cinque gradi del-l’essere.

Difficoltà interpretativeIl testo del quale ab-

biamo cercato di schema-tizzare il contenuto nonsempre è chiaro, il lin-guaggio talvolta è strin-gato, talvolta invecepleonastico e inoltrecerte espressioni facili-tano l’ambiguità e l’in-

certezza interpretativa.Pertanto la letteratura, abbastanza im-

portante in materia, ha trovato modo disbizzarrirsi sulle non poche difficoltà di pe-netrazione di più di un punto.

Così ad esempio:

1 - La sovrapposizione delle due teorie(sefiroth e lettere) ha spinto parecchi stu-diosi ad attribuire all’Autore l’idea di unaspecie di doppia creazione: vi sarebbe dun-que una creazione ideale per mezzo dellesefiroth che si potrebbero immaginarecome astrazioni e una creazione reale dalcollegamento con gli elementi della lingua.

Infatti nel primo capitolo la triade ele-mentare appare prodotta dalla seconda,terza e quarta sefirah, nel terzo capitolo,invece, le tre lettere madri producono,

La base 2 rappresenta la polarità fonda-mentale su cui si basa tutta l’esistenza ri-velata, che è “seconda” aquella segreta che rimanein uno stato di unità conDio. “Due” rappresentaanche la simmetria su cuisi appoggia la creazione,assunto condiviso ormaianche dalla scienza (bastipensare al rapporto mate-ria - antimateria descrittodalla fisica quantistica).

Qohèleth, nel versetto(7,14) “questo parallelo aquello fece Dio” (ze leumatze assà ha Elmi) aveva an-ticipato la scoperta dellafondamentale dualità sim-metrica di tutti i fenomenifisici e psichici. Non a caso laTorà incomincia proprio con la Beth chevale 2.

L’esponente a cui va elevato il 2 per ot-tenere 32 è 5, che si riferisce alle 5 dimen-sioni che esistono nella creazione secondoil “Libro della Formazione”. Il testo comeabbiamo già accennato contiene la se-guente ripartizione: mondo - anno - anima.

Questi tre livelli espressi in termini mo-derni sono: spazio - tempo - coscienza.

Com’è noto in fisica, lo spazio possiedetre dimensioni e il tempo una. La “quinta”dimensione, quella che la scienza non haancora scoperto e forse non scoprirà mai, èquella della consapevolezza dell’essere vi-vente, cioè di colui che si trova al centrodelle altre quattro coordinate.

In conclusione dunque 2 elevato a 5 è la

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Come si può osservare la corrispon-denza dei giorni con i pianeti non si ac-

corda con la visionetradizionale che attribui-sce il primo giorno (do-menica) al Sole, ilsecondo (lunedì) allaLuna, il terzo (martedì) aMarte, il quarto (merco-ledì) a Mercurio; il quinto(giovedì) a Giove, il sesto(venerdì) a Venere ed in-fine il settimo (sabato) aSaturno.

L’Autore del Sefer Yet-zirah ha invece tenutoconto solo della distanzadei pianeti dalla terra epartendo da Saturno, ilpiù lontano, ha proce-duto all’attribuzione ai

pianeti stessi dei vari giorni della setti-mana.

È strana questa attribuzione perché èdell’ambiente caldeo (e quindi supponiamodifficilmente ignota all’Autore) la conce-zione che si sviluppò - forse già nella primametà del I millennio a.C. - che metteva inrapporto i sette giorni della settimana conl’ordine delle sfere tolemaiche, vale a direcon quello delle varie distanze dalla terradei pianeti allora conosciuti (Saturno,Giove, Marte, Sole, Venere, Mercurio,Luna).

Ad ogni pianeta l’astrologia attribuivala presidenza sopra una determinata ora;poiché il numero delle ore del giorno, 24(dodici diurne e dodici notturne), divisoper il numero dei pianeti, 7, dà un resto di

come abbiamo visto, la triade elementare,in contraddizione con quanto l’Autoreaveva detto prima.

La contraddizionepuò essere spiegata solose si interpreta la primafase di creazione nelsenso che in essa gli ele-menti vengono in esi-stenza, ma come masseindistinte. Quando suqueste scende il germevivificante di Dio informa dei tre fonemi(alef, mem, shin) la na-tura indistinta si fa di-stinzione: il Fuocodiventa volta celestenello spazio, stagioneestiva nel tempo, e testanell’organismo umano;l’Acqua si fa terra nello spazio, stagione in-vernale nel tempo e ventre nell’organismoumano; l’Aria diventa vento nell’universo,stagione temperata nel tempo e busto nel-l’organismo umano.

2 - Un altro punto (cap. IV) sul quale vo-gliamo fare qualche osservazione è quelloin cui, nell’utilizzare, per l’opera creativa,le sette lettere doppie, come abbiamo in-nanzi accennato, partendo dalla letterabeth, fu creato, fra l’altro, Saturno nelmondo e il giorno del sabato nel tempo;con la lettera ghimel Giove e la domenica;con la daleth Marte e il lunedì; con la kaf ilSole e il martedì; con la pe Venere ed ilmercoledì, con la resh Mercurio ed il gio-vedì, con la tav la Luna ed il venerdì.

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4 Savini, Il Sefer Yetzirah.5 Di Nola, 1985: 57.6 Toaff, 1988: 95.

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(l’Anno) e l’Uomo, la prima di queste serie(alef - spazio - universo) avrebbe come

punto di fondamento, stabileed immutabile, il Dragone,così come la seconda (mem- tempo - anno) lo zodiaco ela terza (shin - uomo) ilcuore.

Ma questa tesi, come facostatare lo stesso Autore,pur essendo la più proba-bile non è assolutamentecerta, in quanto il “Dra-gone” potrebbe corrispon-dere allo zodiaco (le dodicilettere semplici), e la sferaai sette pianeti (le sette let-tere doppie).

Di conseguenza - con-clude Gadiel Toaff6, rifacen-

dosi ad Aqivà ben Joseph - il Dragonestarebbe nell’Universo come il re sul tronopoiché tutto ciò che è circondato dal Dra-gone (zodiaco) è governato dai segni dellozodiaco come un paese è governato dal suore. La sfera starebbe nell’anno come il renella sua provincia, poiché il regno del-l’anno avrebbe 52 provincie, le 52 setti-mane. Il Cuore starebbe nell’uomo come ilre nella guerra, poiché l’intelligenza umanaè sempre in guerra contro l’ignoranza e lasuperstizione.

Per concludere, è molto probabile che lachiave di lettura di questo punto del SeferYetzirah vada ricercata nella tradizione allaquale l’Autore si ricollegava, quasi certa-

tre, la prima ora del giorno successivo aquello di Saturno era quella del Sole, laquarta dopo la ripetizionedei cicli di sette. Fu questoil ragionamento in base alquale si costituì l’ordinedei giorni della settimana.

3 - Il più incerto deipunti che presentanoqualche complessità in-terpretativa, è sicura-mente quello del VIcapitolo relativo al “dra-gone”.

Il primo problema èaddirittura relativo allaparola “telì” che secondoi commentatori ebrei nonsarebbe interpretabile conassoluta precisione, ma che comunquetrova tutti d’accordo nel farla corrispon-dere, come dice il Savini4 all’incirca a“drago” e sta per indicare qualcosa che sitrova nel cielo e quindi con il paragone “IlDragone sta nel mondo come il re sultrono” si vuole suggerire l’idea di un soste-gno, di un fondamento stabile ed immuta-bile, di un punto fermo.

Molto discussa è anche l’origine del“dragone”, che farebbe pensare a collega-menti mesopotamici, e/o caldaici e neoba-bilonesi.

Per A.M. Di Nola5, premesso che con leTre Madri oltre agli elementi sono staticreati lo spazio, (Universo), il tempo

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7 Di Nola, 1985: 58-59.8 Di Nola, 1985: 64.9 Di Nola, 1985: 68.

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“Nel Sefer Yetzirah l’atto di creazione èanalogamente rappresentato come un par-

lare di Dio, sopra il vuoto el’informe, che in forzadelle serie di parolecreatrici pronunciate,diviene realtà di co-smos-ordine. La Paroladi Dio scende sull’abissocarica di una potenzatrasformante, e, nel mo-mento in cui lo tocca,suscita il discriminatodallo indiscriminato,costituendosi, per ciòstesso, in radicale onto-logico, in seme essen-ziale dei singoli ordinidi realtà”8.

Nel Sefer Yetziraholtre alla Parola, voce di

Dio che ordina il caos ecrea il cosmo, troviamo anche l’attribu-zione di un valore alle lettere dell’alfabetoche non sono solo “dette”, ma “scritte”,“incise”, “scolpite” e che “divengono i semidi nuove realtà concrete nella loro doppiamanifestazione di segni grafici e di fo-nemi”9.

Al riguardo vale la pena di ricordarequanto già l’Autore ha avuto modo di illu-strare ponendo nelle varie combinazioni diun gruppo fonetico fondamentale, rappre-sentato dal nome YHVH, il “radicale gene-tico” dello spazio.

mente fiorita nell’ambito della tarda cul-tura mesopotamica, e quindi7 ci trove-remmo di fronte ad unagiudaicizzazione del mitodel dragone primordiale che“vinto nel dramma di ori-gine, viene a formare ilcielo”. Il Dragone in defini-tiva, quindi, il segno cosmo-logico che rappresenta lastabilità che l’universo haraggiunto dopo il dramma diconfusione primordiale. “Haperciò una doppia funzione,quella negativa di disordineelementare e di male co-smico e quella positiva di so-stegno dell’ordine spazialeceleste, come fissità dell’ar-monia ricavata dal caos.”

Riflessioni e pensieri

L’assunzione della parola a mezzo di creazione

In principio era il Verboe il Verbo era presso Dio

e il Verbo era Dio

Nel Genesi la creazione è una succes-sione di parole pronunciate da Dio.

Nel primo capitolo, relativo alla cosmo-genesi e all’origine dell’uomo la potenzacreatrice appare nell’espressione “Diodisse” che ricorre più volte.

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trascendente, e ciò in quanto le lettere chele compongono contengono in sé qualcosa

che è come un seme po-tenziale e/o metafisico.

Ciò premesso vieneda riflettere che l’Uomosi distingue da tutti glialtri esseri che lo circon-dano perché ha l’usodella Parola ma - comedirebbe Qohelet - anchequesto è vanità perchéproprio di ciò che lo co-stituisce Uomo conoscetanto poco quanto nullae questo molto probabil-mente perché la radicedel linguaggio non ap-partiene al mondo del

sapere saputo, trasmissi-bile e dimostrabile.

Qual è veramente l’origine della Parola? Secondo il Genesi (cap XI) dopo che per

circa due millenni si è parlato nel mondoun’unica lingua insegnata da Dio, per pu-nire la protervia dell’uomo manifestatanella costruzione della torre di Babele, Diostesso provocò la confusione delle lingue.

In verità gli studiosi che hanno cercatodi penetrare questo mistero, con le lorotesi, non sono andati più in là delle purecongetture.

Infatti l’origine del linguaggio ora èstata individuata in una convenzione do-vuta ad uomini sapienti e potenti che asse-gnarono a questo o quel vocabolo undeterminato significato, ora nella naturastessa dell’uomo che ha formato il linguag-

L’ideologia del linguaggio cioè l’assun-zione della parola a mezzo di creazione puòdiventare una ragione suffi-ciente dello studio di questoantichissimo testo, e ciò inmodo particolare da parte dichi, sotto la guida formativaed insostituibile di una ri-tualità è impegnato nella ri-cerca di “parole perdute”,alle quali si può riconoscerevalore costitutivo nella co-noscenza del sacro.

A parte altre considera-zioni non dobbiamo dimen-ticare che ai riti, allarappresentazione dei miti,alla ripetitività dei cerimo-niali, si attribuisce un poteretrasformante in virtù del-l’energia che è nelle parole eche vengono lette e recitate allo scopo distaccare l’uditorio, riverente ed attento, daltempo presente e per ricreare condizioniastoriche, incondizionate, liberatrici chefanno trascendere lo stato profano per rag-giungere livelli superiori di conoscenza.

Concepire gli elementi fonetici utilizzatiper la composizione delle parole comesegni carichi di valore simbolico e di por-tata metafisica, non dovrebbe essere diffi-cile in una Istituzione o in una Scuola che èdisseminata, di parole “sacre” e di “passo”,che, non a caso, mutano al mutare dei gradicioè al mutare di condizioni iniziaticheparticolari.

C’è quindi da pensare che tali parole, ac-quisite certe condizioni, perdono il loro va-lore letterale e si caricano di un significato

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migliore dei casi, le parole non hanno altrovalore che non sia convenzionale e che per-

tanto è sempre diverso.Eppure, nonostante

Hobbes, correndo il ri-schio di essere accusatiquanto meno di esseredei sognatori, non ci èfacile abbandonarel’idea che ci stavamoformando circa una no-bile origine della parola,e sulla possibilità del-l’esistenza di una realtà,dietro di essa.

Anzi uno scrittore,Fabre d’Olivet, forse,come noi, sognatore, cidà una mano affer-mando:

[...] Le parole che com-pongono le lingue in generale, e quellaebraica in particolare, lungi dall’essere but-tate là a caso e formate dall’esplosione di uncapriccio arbitrario, come si è voluto pre-tendere, sono al contrario prodotte da unamotivazione profonda: [...] non esiste unasola (parola) che non possa ricondurre adegli elementi fissi e dotati di natura im-mutabile quanto al principio, malgrado chevariabile all’infinito quanto alle forme.

L. Cl. de St. Martin - il Filosofo Incognito- forse voleva dire la stessa cosa quandoscriveva:

In qualunque maniera si consideri l’ori-gine del genere umano, il germe radicale delpensiero non può essergli stato trasmesso

gio sotto la spinta dei suoi bisogni (Vico).Oppure, approdando alle concezione dei fi-losofi moderni, il linguaggiodiventa l’espressione o l’in-tuizione del sentimento edella soggettività (Croce), oil pensiero, la logicità, l’uni-versalità (Gentile).

Certamente non è nellenostre capacità trovare lasoluzione, tuttavia, sia puresolo come ipotesi di lavoro edi meditazione, ci viene dariflettere che forse do-vremmo accettare i suggeri-menti del Sefer Yetzirah, equindi dovremmo pensareall’alfabeto come ad unateofania, o alle lettere comead archetipi creatori o comeall’idea la cui realtà èespressa dalla parola, o comea segni carichi di valore simbolico.

A questo punto le lettere, assunte nellaloro portata metafisica e viste come gliequivalenti degli elementi che formano ilcosmo, forse ci aiuteranno a realizzarequalche punto di contatto con la realtà di-versa che presiede alla loro formazione.

L’ebraico lingua sacra

Qualunque erudito moderno che ap-pena abbia sentito parlare di Hobbes, po-trebbe facilmente confutare leconsiderazioni innanzi esposte facendociosservare che le parole non possono avereun’energia in sé in quanto alla loro istitu-zione ha presieduto l’arbitrio e quindi, nel

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L’Autore del Sefer Yetzirah al segno al-fabetico “mem” fa corrispondere l’acqua e,

ci sembra, che sia antica, edirei connaturata al-l’uomo - perfino in mo-menti inconsci o noncontrollati dalla co-scienza quali il sogno -la rappresentazionedella nascita usando ilsimbolo dell’acqua: ca-dere nell’acqua o usciredall’acqua.

Tutti i mammiferiprovengono da animaliacquatici, tutti - nonescluso l’uomo - hannopassato nell’acqua laprima parte della loro

vita: nascendo essi escono dall’acqua. Neiracconti popolari tedeschi la tradizionalecicogna che porta i bambini, li prende dauno stagno, da un pozzo. Nei miti è assaifrequente, in luogo della nascita dell’eroe,narrare il suo salvataggio dall’acqua: sipensi ad esempio a Mosè, salvato dalleacque, a Romolo e Remo, salvati dal Tevere,ecc.

Con le considerazioni che precedono,certamente, non pretendiamo di aver datodefinitivamente la dimostrazione di unadeterminata origine della Parola e quindidella creatività che è in essa e pertantodella sua sacertà, né che questo discorso siariferibile alla lingua ebraica più che adaltre; tuttavia - per quanto ci riguarda -qualche dubbio sulle affermazioni di Hob-bes ora ha una consistenza maggiore.

se non attraverso un segno, e questo segnosuppone un’idea-madre.

Fabre d’Olivet nellasua Grammatica de la lin-gua ebraica restituita ag-giunge:

Cerchiamo di sco-prire come il segno, ma-nifestandosi al di fuoriprodusse un nome; ecome il nome caratteriz-zato da un tipo figuratoprodusse un segno. As-sumiamo come esempioil segno M –�(memebraico) che, enuncian-dosi con i suoi elementiprimordiali il suono el’organo della voce, diviene la sillaba aM oMa, e si applica ad una delle facoltà delladonna che la distingue eminentemente,vale a dire a quello di Madre. Se qualcuno invena di scetticismo mi chiede perché io ri-conduco l’idea di Madre in questa sillaba aMo Ma e perché sono sicuro che vi si applichieffettivamente, gli risponderò che la solaprova che posso fornirgli nella sfera mate-riale in cui si muove è questa: in tutte le lin-gue del mondo, da quella dei Cinesi fino aquella dei Caraibi, la sillaba aM o Ma si ri-conduce all’idea di Madre, come aB o Ba oPa a quella di Padre. Se questo scettico du-bita della mia asserzione, mi provi che èfalsa; se non ne dubita mi dica come è pos-sibile che tanti popoli diversi, gettati a cosìgrandi distanze, sconosciuti gli uni agli altri,si sono accordati nel dare questo significatoa questa sillaba, o se invece questa sillabanon è l’espressione innata del segno dellamaternità.

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In questo alfabeto si possono trovare leorigini dell’alfabeto greco (che inizial-mente si scriveva anche in senso sini-strorso) e quindi - per quanto riguarda la

lingua italiana - dal greco ri-trovare, via via le originidell’alfabeto etrusco e diquello latino.

L’ampia disgressione,seppure utile e necessaria afissare qualche punto, comesi è detto, non ha la pretesadi dimostrare né la sacertà,né la priorità della linguaebraica, la quale infatti nonè né la prima né l’ultimadelle lingue, né la sola lin-

gua madre.Per giungere ad una conclusione asso-

lutamente inattaccabile forse dovremmocercare di penetrare tutti i possibili idiomidella terra, estrapolarne i punti di contattoe stabilire dove sta la priorità, il che non cisembra né facile né possibile.

Tuttavia, almeno come ipotesi di lavoro,ci sembra più che accettabile la tesi diFabre d’Olivet secondo il quale, per elevarsialle radici del linguaggio non si può pre-scindere da almeno tre antichi idiomi: il Ci-nese, il Sanscrito e l’Ebraico, i quali hannoacquisito diritto alla venerazione per es-sere rispettivamente la lingua di libri diprincipi universali denominati King dai Ci-nesi, di libri della scienza divina chiamatiVeda o Beda dagli Indù, e infine del Sefer diMosè.

In questi autentici monumenti del-

Pertanto, sia pure solo per tentare ditrovare ancora qualche elemento - che,come al solito, non chiude il problema, maci aiuta a tenerlo aperto - vale la pena diconsiderare che l’alfa-beto, nel senso esattodel termine, si ispiraal principio cosid-detto dell’acrofoniacioè ad un segno ideo-grafico viene attri-buito un valorefonetico corrispon-dente alla sua conso-nante iniziale.

Per esempio la let-tera B nasce dal segnoindicante la pianta diuna tenda (beth), la let-tera G dal profilo di un cammello (gamel),la lettera D dal disegno di una porta (da-leth).

Non a caso abbiamo scelto questiesempi della lingua ebraica perché l’alfa-beto (come riferisce il Dizionario Enciclo-pedico Treccani alla voce relativa) è statoinventato in Siria o in Palestina nei primisecoli del secondo millennio a.C. per scri-vere i dialetti semitici del paese.

Ma, in realtà, l’alfabeto che sviluppò ilcitato principio dell’acrofonia fu quello fe-nicio - non dimentichiamo sempre di areasemitica - che cominciò la sua diffusionesin dal terzo millennio a.C. Esso, a diffe-renza delle centinaia di segni dell’alfabetocuneiforme e geroglifico, comprendevasolo 22 lettere, il che spiega il rapido suc-cesso fra gli Ebrei, gli Aramei e gli altri po-poli semitici.

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10 Weiss 1931.

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perto da un triplice velo, ha attraversatoindenne il torrente dei secoli, sfidando losguardo dei profani, e unicamente com-

preso nel corso dei tempi,da quelli che non pote-vano divulgarne i se-greti”.

Ancora una voltaquanto premesso nonpuò, né deve essere suffi-ciente per trarre conclu-sione, ma vogliamo soloche resti aperto il pro-blema della possibilità diriscontro nei segni enelle parole che compon-

gono il linguaggio, di ele-menti fissi e dotati di natura immutabile.

Per illustrare la natura di questi ele-menti non troviamo niente di meglio chepensare al “simbolo”, il quale, com’è noto,nella comune accezione, è qualcosa di con-creto che evoca ciò che è astratto, e cheesotericamente può raffigurarsi come unoggetto presente sulla terra e che conmezzi terreni possiamo entro certi limitiavvicinare e capire, ma le cui scaturiginistanno altrove, sicché per raggiungerle oc-corre operare quei movimenti interiori di“salita” richiamati dai rituali.

Tuttavia, per meglio chiarire l’idea chestiamo cercando di esporre riferiamoci adun esempio che, peraltro, ha valore assolu-tamente scientifico e che è tratto dalla psi-canalisi10.

l’umanità la Parola ha lasciato oltre alla suaimpronta ineffabile, tesori di conoscenza edi sapienza.

Probabilmente, oltreagli idiomi indicati ve nesono anche altri, ma perquanto ci è dato sapere,nessuna lingua possiedeuna letteratura sacra piùoriginale ed estesa diquelli suddetti.

Ciò premesso, la lin-gua cinese, pur essendo lapiù antica, è vissuta iso-lata sin dalla nascita e pernoi occidentali in gene-rale e dell’area culturalemediterranea in partico-lare, vive tuttora in una dimensione tem-porale e spaziale assolutamente diversa enon facilmente penetrabile.

La lingua sanscrita, stimata, dai suoicultori, come la più perfetta, superiore allatino ed al greco in regolarità e ricchezza,è ormai morta nel suo uso corrente, fattaeccezione per la casta sacerdotale brahma-nica.

Quanto alla lingua ebraica, come ab-biamo innanzi visto, il suo alfabeto è quellopiù vicino alle origini del nostro quindi, pernoi, è - quanto meno - più congeniale en-trare nello spirito delle idee trasmesse inuna più volte millenaria successione di-retta od indiretta, ed inoltre e soprattuttoè assolutamente costitutivo per il nostropensiero il Libro che la racchiude, che “co-

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Il Sefer Yetzirah, alla shin, attribuisce ilFuoco e spesso si parla di questo elementocome energia creativa che, a livello fisico èposseduto dall’uomo e dalla donna. A que-

sto punto non sappiamo se sia solo un casoa volere che in ebraico il fuoco si dica esh,l’uomo ish e la donna ishà.

Dunque secondo gli esperti di questa di-sciplina da migliaia e migliaia di sogni ana-lizzati, sogni di persone d’ogni ceto,d’ambo i sessi, d’ogni età, di tutti i popoli,di tutti i tempi, risulta che le immagini dicase, di palazzi, di edifici in genere sonoequivalenti a persone e specialmente adonne.

A prescindere dai sogni anche nel lin-guaggio corrente ci si imbatte spesso in lo-cuzioni che avvicinano o paragonano unadonna ad un edificio. Così ad esempio si usa

dire di una donna inaccessibile che è “unafortezza inespugnabile”, o di una donnamolto corteggiata che è “una fortezza as-sediata”; senza dire degli appellativi chevengono attribuiti alla Madonna nelle lita-nie: Turris eburnea, domus aurea, turris davi-dica ecc.

Lo scambio fra le rappresentazioni delladonna e la casa appare evidente proprionella lingua ebraica, nella quale la parolabeth che è poi la seconda lettera dell’alfa-beto, significa casa.

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Bibliografia essenziale

AAVV (1955), Mistica Ebraica, Einaudi, Torino.Castelli, D. (1880) Il commento di Sabbatai Donnolo sul Libro della Creazione, Le Monnier, Fi-

renze.Di Nola, A.M. (1985) Cabbala e Mistica Giudaica, Carucci, Roma.Savini, S. (1923) Il Sefer Yetzirah, Editore Carrabba, Lanciano.Scholem, G. (1973) Le origini della Cabalà, Il Mulino, Bologna.A cura di Gadiel Toaff (1988), Sefer Yetzirah, Carucci, Roma.Weiss, E. (1931) Elementi di psicoanalisi, Hoepli, Milano.

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Anche la lingua italiana però se ne è ap-propriata nelle espressioni tecniche e nellefrasi idiomatiche: “mettere a zero uno stru-mento” (negli apparecchi di misurazione),“il grado zero” (in linguistica il grado apo-fonico in cui la vocale scompare), “spararea zero” (in balistica), “tagliare i capelli azero”, “radere a zero”, “zero spaccato” (ilsegno tagliato per evitare che possa esseretrasformato in 6).

Il termine e la sua forma sono tanto en-trati nel lessico che quasi mai ci ricordiamodel lungo viaggio che questo concetto hacompiuto dall’antico Oriente fino alla cul-tura occidentale. La stessa etimologia ri-corda il tragitto finale compiuto: gli Indiani

AAAAnoi moderni che impieghiamo inumeri quotidianamente non ap-pare ormai così importante il

ruolo dello zero all’interno del nostro si-stema numerico. Il segno circolare ha unamolteplicità di funzioni; rappresenta:

- il numero soggetto alle operazioni ealle regole matematiche;

- l’assenza di una registrazione nellacella di una tabella;

- il punto di partenza per il conteggio oper la graduazione di uno strumento o perla divisione di una scala in una parte nega-tiva e in una positiva;

- la mancanza di una cifra all’inizio, al-l’interno o alla fine di un numero.

This paper discusses the theories concerning the Babylonian origin of the conceptand of the sign for Zero and their transmission to ancient Greece. Regarding Indianculture, the article offers a discussion of two theories: the first concerns theindependent, i.e. Hindu, introduction of the Zero concept and sign; the second arguesfor a direct transmission from the Greek world via the astronomical tables. While itis not clear who was the first to invent the concept and the sign for the zero, thisarticle explains that the Indians introduced the zero in the “class” of numbersextending the aritmetical rules in order to take into account the new cipher.

AA pprrooppoossiittoo ddeellll’’oorriiggiinnee ddeelllloo zzeerroo

di SStteeffaannoo BBuusscchheerriinniiUniversità di Bologna

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1 La base 60 traeva origine dal più antico sistema sumero, che in una sua fase avanzata avevaimpiegato lo stesso cuneo verticale per rappresentare l’unità e la sessantina. Il segno per lo zeromancava in quanto era indispensabile solo nei sistemi numerici posizionali, mentre non era ne-cessario in quelli che non seguivano tale principio, come, oltre al sumero, quello egizio.2 Per la trascrizione dei numeri cuneiformi si usa separare le cifre sessagesimali con il segno“,” mentre il segno “;” divide la parte intera dalla parte frazionaria: ad esempio, 1,24;30 indica1x601+24x600+30/60 = 84,5.3 Simili problemi di lettura erano stati avvertiti anche negli altri sistemi numerici mesopo-tamici: ad esempio in una tavoletta, datata al 31° anno di regno di Ammi-ditana di Babilonia (1683-1647 a.C.), i cunei verticali delle sessantine e quelli delle unità sono separati dal termine accadicošuši, parola indicante il 60 (Ifrah 1994, I: 316).

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di rappresentare i numeri superiori. Comenel sistema moderno, i cunei assumevano

valori differenti a se-conda della posizioneoccupata: mantene-vano il proprio valorese scritti in prima po-sizione, lo moltiplica-vano per la prima

potenza di 60 nella se-conda e così via. Gli stessi concetti eranopoi applicati nella scrittura delle frazioni,dove però l’esponente della base era nega-tivo2.

Il sistema era perciò posizionale e ses-sagesimale, ma all’interno di ogni ordine digrandezza seguiva un principio additivo edecimale. Tale aspetto portava ad un’ambi-guità di lettura: ad esempio, due cunei oriz-zontali e un gruppo di cinque verticalipotevano essere letti come 25 oppure 10,15o anche 20,5. Consci di tale problema3, gliscribi babilonesi per indicare la mancanzadi un valore ed il passaggio da un ordine adun altro incominciarono ad impiegare uno

indicavano lo zero con śūnya (“vuoto”), chefu tradotto dagli Arabi con sifr, che a suavolta fu reso in latinoda Fibonacci con ze-phirum. Nei secolisuccessivi la parolalatina divenne cifrao zeron da cui il ter-mine moderno haorigine.

Ancora prima della civiltà indiana, tut-tavia, i Babilonesi crearono un segno da im-piegare per segnalare l’assenza di una cifrain una sequenza numerica all’interno deitesti matematici e astronomici. Lo zero ap-parve quindi nel loro sistema numerico po-sizionale e sessagesimale1, denominato daThureau-Dangin (1932) “savant” per l’am-bito in cui era usato, che era stato svilup-pato verso il XIX secolo a.C. In tale sistemaun cuneo verticale rappresentava l’unitàmentre quello orizzontale la decina. Se-guendo un principio additivo e decimaleera possibile scrivere i numeri fino al 59,mentre la valenza posizionale permetteva

Figura 1 - Numeri babilonesi

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4 Scrive Labat (1976: 24-25, 175), riguardo alla frase nella scrittura cuneiforme, che i duecunei nei commentari separavano la parola dalla spiegazione o indicavano la fine di un’idea o di unatrattazione. Per esempi concernenti l’uso dello spazio vuoto o del cuneo obliquo nelle tavolette, vediIfrah 1994, I: 353-355. 5 A questi problemi va aggiunto il caso degli scribi “sbadati o poco coscienziosi” che omet-tevano lo spazio vuoto (Ifrah 1994, I: 358).

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Nella zona di taglio è presente l’eleva-mento al quadrato di 2,27, il cui risultato è

indicato in 6,9. Dato che il va-lore doveva essere in nota-zione sessagesimale 6,0,9, èchiaro che l’autore non co-nosceva ancora l’uso delsegno di separazione.Una possibile spiegazione

della tarda introduzione dei due cunei puòessere ricercata nel fatto che in base 60, adifferenza del nostro sistema, i numeri chenecessitavano dello zero per essere tra-scritti erano pochi. Ad esempio, nel casosessagesimale lo zero serviva solo per scri-vere il 60, mentre in quello decimale eranecessario per scrivere le sei decine. Am-pliando l’intervallo, si nota che solo 59 nu-meri prima del 3.600 richiedevano il segnonel sistema babilonese, ovvero tutte le po-tenze del 60 (1,0 e 2,0 e 3,0 e così via), men-tre in quello moderno già nella scrittura divari numeri del primo centinaio è indi-spensabile (101, 110, 102, 120, ad esempio).

Il ritrovamento delle tavolette matema-tiche ed astronomiche del periodo seleu-cide ha permesso di capire come imatematici e gli astronomi impiegassero ilsegno. Gli studi (Neugebauer 1945, 1955;Ifrah 1994, I: 363) hanno dimostrato che iBabilonesi usavano lo zero nella scrittura

spazio vuoto, oppure due cunei obliqui, giàusati in ambito letterario4.

Il primo metodo non risol-veva però completamente ilproblema: rimaneva il casodell’assenza di due ordini digrandezza successivi (darappresentare con due spazivuoti consecutivi) e la difficoltàdi lettura di un solo numero, da cui non erapossibile conoscere l’ordine di grandezza5.

La soluzione a simili problemi di letturafu trovata nel periodo seleucide (III sec.a.C.) con l’introduzione dello “zero”, rap-presentato da una variante grafica del pre-cedente segno di separazione.

A noi moderni può apparire strano illungo periodo intercorso tra lo sviluppo delsistema posizionale e l’introduzione di talesegno. Eppure Ifrah (1994, I: 357-359) ha di-mostrato grazie a due antichi testi mate-matici che nel 1700 e nel 1200 a.C. gli scribinon si preoccupavano della questione:

- il primo esempio è tratto dalla tavo-letta VAT8528, relativa all’interesse di uncapitale;

- il secondo dalla tavoletta AO17624,proveniente da Uruk.

Il testo di quest’ultima espone il pro-blema della suddivisione di un trapezio.

Figura 2 - Lo zero babilonese

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6 Per la descrizione del sistema numerico greco, le sue origini e le principali operazioni,Buscherini 2009.7 I Greci non lavoravano con le moderne funzioni trigonometriche, ma utilizzavano la corda(εὐθεῖα), definita come il segmento sotteso dall’angolo al centro di una circonferenza.

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espresse seguendo il sistema sessagesimale,ma i numeri che le componevano furono

rappresentati con le letteregreche, secondo la nota-zione ionica.

Nelle tavole di questitesti l’assenza di una partefrazionaria nelle sequenzenumeriche era indicatacon il segno che, secondoGupta (1995: 51), fu il risul-

tato dell’abbelli-mento di unpiccolo cerchio.Per alcuni stu-diosi il segnoaltro non sa-rebbe che unaomicron, inizialedella parolaοὐδέν, ovvero“nulla”. Poiché lastessa letterarappresentava

anche il numero 70 nel sistema ionico, lalinea posta sopra sarebbe servita ad elimi-nare gli inevitabili problemi di lettura deidue possibili valori e sarebbe scomparsa nelperiodo bizantino.

Neugebauer (1969: 13-14) non concordacon tale spiegazione: i papiri astronomici

dei numeri come noi moderni: in posizionemediale, finale ed iniziale.

In quest’ultimo caso lozero appariva nelle tavo-lette in cui gli scribi dove-vano rappresentare solo lefrazioni sessagesimali edera perciò necessario indi-care l’assenza di una parteintera.

I testi astronomici ba-bilonesi furono il canaletramite cui la notazionesessagesimale e lozero raggiun-sero il mondo el-lenico. I Grecipossedevano unsistema nume-rico compostodalle 27 letteredell’alfabeto concui scrivevano inumeri fino al9996: le prime 9lettere servivanoper indicare le altrettante unità, le succes-sive 9 le decine e le restanti le centinaia. Inquesta notazione, ad esempio, il numero 11era scritto ια.

Nonostante il sistema fosse decimale, labase 60 fu introdotta per scrivere le fra-zioni nei testi astronomici: esse furono

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8 Neugebauer e Pingree 1970-71.

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prova di tale trasmissione sarebbe conte-nuta nei versi IV, 6-15 dell’opera traman-

data con il titolo diPañcasiddhāntikā (I 5trattati astronomici)8 diVarāhamihira (505d.C.), che espongono latavola dei seni: per gliangoli che vanno da 0°a 90° sono dati i corri-spondenti valori delseno (jyā) con le fra-zioni espresse in basesessagesimale. La man-canza della parte fra-

zionaria è indicata con śūnya.

Nel testo il termine non indica solo l’as-senza di un valore, ma è considerato un nu-mero, come dimostra il suo ripetuto usonelle operazioni di addizione e sottrazione.Visto che le parti in cui lo zero intervienein un’operazione trattano argomenti pro-venienti dal precedente Pauliśasiddhānta (Iltrattato di Pauliśa), è molto probabile che ilconcetto di zero come numero fosse giàstato introdotto al tempo in cui era avve-nuta la stesura di tale opera, ossia nel 400d.C. (Datta 1926; Datta e Singh 1962: 78-79).

Lo stesso periodo è stato individuato daPingree (2003), che rintraccia lo zero nelPaitāmasiddhānta (Il trattato del dio Brahman)del Viṣṇudharmottapurāṇa, rappresentatodalle parole śūnya, kha (“il cielo vuoto”),pūrṇa (“luna piena”) e puṣkara (“il loto”),

del periodo tolemaico non supportano que-sta spiegazione, ma suggeriscono l’inven-zione di un nuovosegno come indica-tore di un postovuoto. L’argomentoè stato approfon-dito dall’opera diJones (1999) sui pa-piri astronomici diOssirinco del pe-riodo tolemaico, incui lo studiososcrive che gli astro-nomi usavano duemetodi per evitare di ripetere più volte itermini tecnici:

- il troncamento della parola;- l’uso di un segno.Il secondo sistema era impiegato pro-

prio nel caso della rappresentazione di unposto vuoto in una frazione sessagesimaleo davanti a questa nel caso dell’assenzadella parte intera. Il segno era comune-mente il cerchio con sopra la linea oriz-zontale, ma esistevano alcune variantigrafiche, che andavano da semplici sposta-menti della linea, che poteva essere scrittasopra o sotto il cerchio, a nuove forme incui alla fine si erano collegati in un solotratto la linea ed il tondo.

Secondo Pingree (2003: 138-139) fu que-sta l’origine dello zero indiano, visto che letavole astronomiche sanscrite furonomolto probabilmente il risultato della tra-duzione delle corrispettive greche. La

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9 Ifrah (1994, I: 793-977) ha descritto in maniera molto approfondita la numerazione in-diana, esponendo le teorie “fantastiche” e scientifiche (affiancando all’ipotesi dello sviluppo indi-pendente, quella di un’influenza babilonese o cinese) relative alla sua origine.10 Per un approfondimento di tali studi, Gupta 1995.11 Due esempi si ricordano: il grammatico Pānini (circa 500 a.C.) che sembra non solo avercontribuito al concetto di zero, ma anche averlo impiegato prima che i matematici indiani lo “ac-cettassero” (Gupta 1995: 57 e relativa bibliografia); Piṅgala (prima del 200 a.C.) e il suo uso del cer-chio per indicare l’assenza di un valore nella ricerca di tutte le possibili disposizioni di due sillabein un metro contenente n sillabe (Datta e Singh 1962: 75-77; Gupta 1995: 57). Per una presentazionedei forti legami tra grammatica e aritmetica nel mondo indiano, vedi Ifrah 1994, I: 949-955.12 Per il concetto di śūnya nel mondo indiano, Bag e Sarma 2003.13 Con questo termine Brahmagupta intende una frazione che ha zero come numeratore.

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con la parola.Non tutto il mondo scientifico concorda

con questa ricostruzione: alcuni studiosi,soprattutto indiani, propendono per un’in-troduzione indipendente dello zero daparte della civiltà indiana. La loro ricercadel primo uso del simbolo e della parola èpartita dai testi vedici e si è spinta fino al-l’inizio dell’era cristiana10. Lo studio non siè poi ristretto solo al campo matematico,ma ha abbracciato anche la filosofia, le ri-flessioni mistico-religiose e la grammaticaindiana11, tutti campi che sembrano ab-biano partecipato all’evoluzione del con-cetto e del simbolo dello zero12.

In un insieme così vasto di testimo-nianze è comunque possibile definire un

tutti termini che richiamano la forma ro-tonda.

Tali opere formerebbero l’ultima fasedelle sei in cui lo studioso suddivide l’in-troduzione dello zero in India:

- la scrittura dei numeri in base 10;- il sistema decimale posizionale all’ini-

zio dell’era cristiana9;- l’uso di śūnya per segnalare la man-

canza di termini in una sequenza nume-rica;

- l’arrivo in India delle tavole astrono-miche greche contenenti il segno circolare;

- la resa del cerchio greco nel pūrṇa onel bindu (punto) sanscrito;

- la scrittura verso il 400 d.C. dei nu-meri con il segno del numero e non più

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14 Il termine impiegato è khahara, che gode della proprietà di rimanere invariato se gli sisomma o gli si sottrae un numero finito. 15 Nonostante lo zero sia presente nelle opere del periodo greco, non raggiunge però il pienostatus di numero: scrive infatti Euclide negli Elementi (VII, 1-2) che “l’unità è ciò secondo cui ciascunodegli enti è detto uno e numero è una molteplicità composta di uno” (Acerbi 2007: 1091).

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487-491.

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gupta facciano il loro ingresso nell’arit-metica razionale i numeri 0 e ∞”.

Più cauti sono stati Boyer (1943) e piùrecentemente Plofker (2009: 191-196) nelcommentare il passo: il primo ha sottoli-neato la poca chiarezza dovuta ad una suc-cessiva affermazione dello scrittoreindiano che a/0 x 0 = a; la seconda, consi-derando l’opera in cui è presente tale re-gola, si domanda se la divisione abbia comerisultato l’infinito nell’algebra e una sortadi stato indeterminato nell’aritmetica op-pure se il concetto di infinito sia collegatoad una fase più avanzata dell’insegna-mento.

Se quindi non ci sono certezze riguardoa chi spetti l’onore di aver sviluppato perprimo il concetto e il segno zero, le testi-monianze permettono di affermare che fu-rono gli Indiani ad introdurre lo zero nella“classe” dei numeri (sanscrito sankhyā)15,ampliando anche le regole aritmetiche perprendere in considerazione la nuova cifra.

periodo preciso in cui anche per lo zero fu-rono fissate delle regole matematiche: nel628 Brahmagupta presentò nei versi 18.30-35 del XII capitolo del Brāhmasphuṭa-siddhānta (Il trattato corretto di Brahman)l’aritmetica dello zero.

Nei secoli successivi le operazioni cheinteressavano lo zero furono prese inconsiderazione anche da altri matematiciindiani (Mahāvīra, metà del IX sec.,Śrīpati, metà dell’XI sec.) fino ad arrivarea Bhāskara (XII sec. d.C.) che nel suo trat-tato Bījagaṇita (Algebra) introdusse l’infi-nito14 come risultato di una divisione perzero.

Loria (1982: 174-176) a proposito del-l’algebra indiana, in cui lo zero “funzio-nando come denominatore di unafrazione, dava luogo ad un’entità di nuovogenere, dotata della curiosa proprietà dinon mutare per l’aggiunta o la diminu-zione di un numero qualsivoglia”, scriveche “è lecito asserire che con Brahma-

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Buscherini, S. (2009) Nel segno di Urania. Introduzione alla trigonometria greca e al calcolo dellecorde. Con una premessa di Antonio Panaino. Milano.

Datta, B. (1926) Early Literary Evidence of the use of the Zero in India. The American Math-ematical Monthly, 33, pp. 449-454.

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Una seconda risposta era la dottrinadella metempsicosi per la quale, come in-segnava Pitagora nel mondo occidentalegreco antico, un’anima era condannata aun’eterna successione di esistenze animalie vegetali ma poteva sottrarsi a questociclo, come nell’Orfismo: la possibilità e ilmodo di questa fuga dal ciclo delle rinasciteerano il fulcro della visione pitagorica delmondo: l’anima era una “scintilla del fuocodivino” staccata da un livello divino di im-mortalità, come un frammento tenuto pri-gioniero in una lunga catena di corpiavviati alla morte. L’uomo sapiente era

LLLL’uomo ha sempre cercato, daquando ha conquistato l’uso dellaragione, di spiegarsi il perché della

propria vita e della propria esistenza e, perconseguenza, di spiegarsi il perché dellamorte. Per risolvere l’angoscia ha pensatodi individuare una sfera metafisica, l’aldilà,un luogo privilegiato dove, in spirito e/ocorpo, poter ritrovare dopo la morte i pro-pri cari, gli affetti più veri, vivendo e con-dividendo una condizione di pienasaggezza e tranquillità, un luogo creato eregolamentato da Dio, posto all’esterno delmondo, un luogo metafisico.

By comparing some focal points developed by Pascal and Decartes the Author focuseson the meaning of relativism and its relation with the Law of nature in the frameworkof contemporary cultural debate.

RReellaattiivviissmmoo ee lleeggggee ddii nnaattuurraa:: iill mmoonnddoo mmooddeerrnnoo ffrraa PPaassccaall ee CCaarrtteessiioo

di AAddrriiaannoo DDii SSiillvveerriioo

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pendente dal luogo, dal momento storico,dall’interferenza di altri elementi dell’am-

biente, animali, piante,luogo geografico:per chi la pensa cosìla natura umana èfluttuante, non certaperché quando sipensa di trovare unprincipio o una re-gola questi possonocambiare, il princi-pio vacilla e non ci sipuò più ancorare adesso, cambiano le re-gole del gioco e tutto

è incerto nell’infinita-mente grande così come nell’infinitamentepiccolo.

Per Cartesio, convinto dell’esistenzadella natura umana come categoria, questomodo di ragionare incerto sulla natura èfrutto di ignoranza, superstizione, e dellaprevalenza dei costumi sulla ragione. Questicostumi, per gli illuminati, sono fattori di ce-cità che impediscono l’individuazione dellavera natura umana, mentre per i relativistisono fattori di incertezza: so di non saperenulla nel mare fluttuante ed incerto: nulla siferma per noi e, questo stato, che ci è natu-rale, è quello più contrario alle nostre in-clinazioni (Pascal).

Secondo la prospettiva di Cartesio gli il-luminati vantano la loro verità e la loro su-periorità al cospetto dell’ignoranza dei nonilluminati, la quale va eliminata e non man-tenuta.

Secondo la prospettiva di Pascal l’incer-tezza e il brancolamento sono condizione

quello che si liberava dalla ruota delle rein-carnazioni terrene; era l’uomo che rag-giungeva il livellosublime divenendo“l’uomo filosofo”amante della sa-pienza, che perse-guiva il sapere e ilbene con tutte lesue forze: questa erala via per riguada-gnare la vera vita di-vina dell’anima.

La ragione peròprescinde da questimondi basati su attidi fede e da sempre unintimo dibattito si svolge fra questi due“momenti dell’intelletto”, fra la fede e laragione: l’una escluderebbe l’altra per cuiil pensiero dell’uomo fluttua fra questi duesentimenti e non si concede né sicurezzané stabilità, come dice Pascal, ma subiscecontinue oscillazioni.

A questa visione si oppone la conside-razione di Cartesio per il quale, dopo un at-tento studio, dopo un viaggio fra i costumi,si può scoprire la vera natura umana, lostrato di roccia sotto la sabbia, il luogo dellasicurezza e della stabilità ove non esistonocambiamenti.

Per Pascal la natura umana è un primocostume così come il costume è una se-conda natura. Vale a dire che il costume èla nostra natura: natura e costume nonsono l’una lo strato di roccia che ricoprel’altro e lo protegge: essi si intrecciano e sicontaminano reciprocamente in modo di-

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• 45 •Relativismo e legge di natura: il mondo moderno tra Pascal e Cartesio, A. Di Silverio

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rispetto e comprensione, un atteggia-mento, questo di Pascal, che cerca di spie-

garsi e di rendersiconto della prospet-tiva degli oppositoriilluminati (pur nonavvenendo il contra-rio da parte di questiultimi).

Per Pascal non èimportante studiareil certo e lo stabilema il processo dina-mico della certifica-zione, non conoscerela stabilità ma i pro-cessi di stabilizza-zione, non l’umanitàma le prove di uma-nizzazione.

Potremmo direche Pascal ha messo a

fuoco col suo studium dei costumi e dellacultura umana (contrapposto a Cartesiocon le sue certezze sulla natura umana) ildesiderio della certezza, lo sforzo, la ten-sione verso punti stabili, verso degli anco-raggi che ci possono sfuggire o possonoessere rivisitati: tutto questo nel mondomoderno è divenuto metodo di studio e diricerca scientifica per l’antropologo cosìcome per qualunque scienziato, accettatocome tale, base di tutto il fondamento deiLumi da 400 anni in qua.

Perso l’ancoraggio offerto da una na-tura umana stabile subentra un approdomistico fideistico alla stabilità, il che ci al-lontana dalla posizione scientifica, antro-pologica: l’uomo resta ad osservare la

generale dell’umanità e non ci sono formeseparate e diverse di umanità: tutti cercanosempre di ormeg-giarsi, di appigliarsisu qualche punto etutti vedono questoappliglio sfuggireloro; per Pascal nonc’è la verità di alcunie l’ignoranza dialtri, la superioritàdei primi e l’inferio-rità dei secondi, ildestino di leaderdegli “illuminati” eil destino di seguacidei “non illumi-nati”: vi è inveceuna comune e con-divisa condizione dimiseria e di preca-rietà. Pertanto l’atteg-giamento che più si addice alla prospettivadi Pascal è la pietà e la comprensione per-ché in questo vasto mare siamo tutti nellastessa barca. Tutto cambia e ci sfugge dallemani nel mutare della storia.

Secondo la prospettiva di Cartesio si im-pone una netta separazione fra forme diumanità diverse e opposte, seguendo unoschema gerarchico fondato su una pretesadi verità e di pienezza da un lato (illumi-nati) e su una ammissione di indigenza e dibisogno dall’altro (non illuminati).

Secondo la prospettiva di Pascal sulpiano antropologico e dei rapporti inter-culturali, emerge invece un atteggiamentodi comunicazione, di reciproco interesse,

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Questa analisi di Montaigne mette afuoco il problema educativo umano che do-

vrebbe essere di-spensato comeinsegnamento atutti: esso do-vrebbe verteresulla condizioneumana, conoscerel’umano collocan-dolo nell’universo,non toglierlo daesso portandolonel metafisico: laconoscenza del-l’uomo deve cioècontestualizzarel’uomo: il chi

siamo? è inseparabileda dove siamo? da dove veniamo? e da dove an-diamo?

Le conoscenze del XX secolo hannochiarito per vari aspetti la posizione del-l’uomo nell’universo ma non in modo uni-voco, né esiste una capacità intellettualeipertestuale che faccia concepire il nostrodoppio radicamento nel cosmo fisico enella sfera vivente da cui ci sentiamo par-zialmente sradicati col nostro spirito comefossimo osservatori “esterni” della natura.

Tuttavia i sistemi delle nostre idee (teo-rie, dottrine filosofiche, ideologie) sonosoggetti all’errore e proteggono gli errori ele illusioni in essi inscritti: è nella logica or-ganizzatrice di ogni sistema di idee resi-stere all’informazione che non gli convienee che non può integrare: le teorie resistonoall’aggressione delle teorie nemiche o delleargomentazioni avverse, finanche le teorie

fluidità del reale del mare magnum, mentrecompie un salto verso la trascendenza everso una stabilità rite-nuta più totale e defi-nitiva.

Già Montaignenella seconda metàdel ‘500 scriveva:

Le leggi della co-scienza, che noi di-ciamo nascere dallanatura, nasconodalla consuetudine(costume); ciascunoinfatti venerandointimamente le opi-nioni e gli usi appro-vati e accolti intornoa lui, non può disfarsenesenza rimorso né conformavisi senza soddi-sfazione [...] Ma il principale effetto dellasua potenza è che la consuetudine [o il co-stume, la cultura] ci afferra e ci stringe inmodo che a malapena possiamo riavercidalla sua stretta e rientrare in noi stessi perdiscorrere e ragionare dei suoi comandi.

In verità, poiché li succhiamo col lattefin dalla nascita e il volto del mondo si pre-senta siffatto al nostro primo sguardo, sem-bra che noi siamo nati a condizione diseguire quel cammino.

E le idee comuni che vediamo aver cre-dito intorno a noi e che ci sono infuse nel-l’anima dal seme dei nostri padri, sembrasiano quelle naturali e generali. Per cui ac-cade che quello che è fuori dai cardini dellaconsuetudine (costume o cultura nuovi oparticolari), lo si giudica fuori dai cardinidella ragione: Dio sa quanto irragionevol-mente perlopiù.

Montaigne, Essais

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un semplice fronteggiarsi di bene e male.Gli integralismi sono inclini a credersi ca-

paci di rispondere atutte le domande e dicolmare i vuoti disenso, spiegare ciòche è inspiegabile, di-mostrare Dio. DalTalmud abbiamo im-parato invece comesia preferibile accet-tare l’ambiguità delmondo ed educarel’uomo a una sag-gezza che è quelladell’incertezza, aduna intelligenza cheè quella della com-plessità (Bernheim).

Non possiamo non ri-flettere che siamo in un gigantesco cosmoin espansione, fatto da miliardi di galassieciascuna a sua volta costituita da miliardidi stelle e viviamo in una Terra la cui “fini-tezza” impone a noi uomini il principio diospitalità universale nel riconoscere adognuno il diritto di non essere trattatocome nemico: il comune destino terrestreci impone con forza il principio di solida-rietà.

La nostra Terra è una minuscola trot-tola, che gira attorno a un astro errante almargine di una piccola galassia di perife-ria. Dobbiamo perciò riflettere sul fatto chele particelle dei nostri corpi sono apparsesin dai primi decimi di secondo del nostrocosmo quasi 14-15 miliardi di anni fa e i no-stri atomi di carbonio si sono formati in

scientifiche, le sole capaci di accettare lapossibilità di essere confutate; spesso vi re-sistono e sappiamoquanti esempi diquesto tipo sonopresenti nella sto-ria. Da parte loro ledottrine, teoriechiuse su se stesseassolutamente con-vinte della loro ve-rità proprio perchébasate sulla fede,sono invulnerabiliad ogni critica.

Dall’altra partefedeli alla saggezzad e l l ’ i n c e r t e z z ascientemente ab-biamo abbandonatol’idea di un universo or-dinato, perfetto, eterno, bello cosmico ecrediamo ora in un universo nato nella ra-diazione, in divenire dispersivo, nel qualeordine, disordine e organizzazione gio-cano, proprio come nell’intuizione di Pa-scal, in un modo che è nello steso tempocomplementare, concorrente e antagoni-sta.

Accettiamo così ingenuamente la com-plessità del reale con la sua difficoltàespressiva e la sua gravità, prescindendodall’espressione e nel rispetto di un di-scorso religioso che propone una nozionesempre – obiettivamente – o vera o falsa eche uno abbia ragione o torto: in questoo/o è racchiusa l’incapacità di sopportarela relatività delle cose umane, come sel’universo si svelasse a noi sotto forma di

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tri una delle vocazioni essenziali dell’edu-cazione sarà lo studio della complessità

umana: l’educazionedovrebbe mostrare eillustrare il destino amolte facce del-l’umano: il destinodella specie umana,il destino indivi-duale, il destino so-ciale, il destinostorico, tutti i destinimescolati e insepa-rabili. L’educazionecioè dovrebbe cosìsfociare nella cono-scenza e presa di co-scienza dellacondizione umana

nostra ma anche della condizione comunea tutti gli umani e della ricchissima e ne-cessaria diversità degli individui, dei popolie delle culture e puntare a riconoscere cosìil nostro radicamento come cittadini dellaTerra.

Dovrebbe essere un sapere comune ilfatto che la cultura è costituita dall’insiemedei saperi, delle abilità, delle regole, dellenorme, dei divieti, delle strategie, delle cre-denze, delle idee, dei valori e dei miti chetutti si trasmettono di generazione in ge-nerazione: così la cultura si riproduce inogni individuo, controlla l’esistenza dellasocietà e ne mantiene la complessità psi-cologica e sociale. Ogni società umana ar-caica o moderna vive e sopravvive perchéha la propria cultura singolare. L’insieme ditutte queste è la vera cultura dell’uomo: la

uno o più soli prima del nostro; le nostremolecole si sono formate e addensate, neiprimi tempi convulsivi dellaTerra, in macromolecole as-sociate all’interno di vortici,di correnti del mondo chi-mico, uno dei quali, quelloorganico-biologico, tra i piùricchi nella sua diversitàmolecolare, si è metamor-fizzato in un’organizzazionedi tipo nuovo rispetto all’or-ganizzazione strettamentechimica del cosmo: unaauto-organizzazione vi-vente, che è divenuta co-sciente, capace diauto-osservazione, umana-mente direi, anche capace diironia e di arte: abbiamo la presunzioneche essa raggiunga l’apice del suo sviluppocon la comparsa dell’uomo.

Questa ominizzazione si sta compiendoda qualche milione di anni: si tratta diun’avventura discontinua con comparsa escomparsa di nuove specie (habilis, erectus,ergaster, neanderthal, sapiens), con l’acquisi-zione dei linguaggi, lo sviluppo delle cul-ture, dei saperi, delle credenze e dei mitiintesi come frutto dell’attività cerebrale,divenuti capitali trasmissibili di genera-zione in generazione: tutto questo ci ha di-sorientati e ci ha fatto dimenticare l’unitàcosmica assoluta della nostra condizione,il cui mistero giace in fondo alla naturaumana, privilegiando il senso della singo-larità del fenomeno “uomo”.

Nella nostra epoca caratterizzata da fa-cilità di scambi d’informazione e di incon-

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Questa era planetaria della comunica-zione fra gli uomini è simile e conseguente

alla diaspora planetaria chenelle ere passate ha spo-stato da un continente al-l’altro, prima masse interedi ominidi e poi masse diuomini sapientes con inva-sione di tutto il pianeta: gliuomini hanno mantenutosempre gli stessi caratterigenetici, quelli che per-mettono di generare, discambiare e di assimilarelingue, culture e destini edi rinnovare la creazionedel bello e del buono, del-l’arte.

Tutto questo è accaduto e accade ancheora in modo sempre imprevedibile propriocome quando, dopo la scoperta delle Ame-riche, da piccole nazioni come Spagna, Por-togallo, Olanda, Inghilterra, Francia, StatiItaliani partì l’avventura della occidenta-lizzazione del globo, ponendo le loro cul-ture innanzi a quelle di civiltà più estese enumericamente enormemente più grandicome la cinese, indiana, amerinda.

Questa dominazione porta alla scom-parsa di civiltà intere e distruzioni in Ame-rica e Africa, con violenze e schiavitù, conla scoperta delle “razze” e con l’esporta-zione di malattie come morbillo, influenza,herpes, tubercolosi (che fanno stragi inAmerica) e con l’importazione della sifilidein tutta l’Eurasia. Si esportano in Americaovini, bovini, cavalli, cereali, vite, ulivo,piante tropicali, caffè e canna da zucchero

cultura cioè permette la vita dell’uomo, deisuoi vari gruppi “etnici”.

Tecniche meccaniche(ruota, aratro, giogo,bussola, stampa, elet-tricità, radio, automo-bile, telefono,riproduzione e tra-smissione delle imma-gini anche in temporeale ecc.) si diffon-dono facilmente e inmodo totale da un po-polo all’altro, supe-rando confini chesembrerebbero insor-montabili, passando dauna cultura all’altra,perché sono utili e con-venienti, meravigliosi frutti del pensieroumano come “arte sublime” estrema del-l’intelletto: la “techne”dell’antica Grecia.

Così pure credenze religiose o ideologielaiche, sociali e politiche, correnti artisti-che figurative e musicali migrano e si uni-versalizzano in modo talora inatteso,imprevedibile e sorprendente da una cul-tura ad un’altra, che già possiede un suo ca-pitale specifico di credenze, di miti, di idee,di valori su cui basa il legame della singolacomunità ai suoi antenati, alle sue tradi-zioni, ai suoi morti. Sicchè si produceun’integrazione di saperi e di tecniche, diidee e di costumi, di alimenti e soprattuttoanche di individui provenienti da lontano:ciò è sempre un arricchimento se una cul-tura dominante tecnico-civilizzatrice nonha effetti lesivi su culture meno potenti epiù ingenue.

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sta nella “tolleranza” come rispetto del di-ritto di proferire un discorso che ci sembra

ignobile anche se non locondividiamo, per nu-trirci del buono che stanelle opinioni diverse,convinti che può esserciverità in un’idea antago-nista alla nostra.

Questa epopea co-smica dell’organizzazioneumana, soggetta conti-nuamente alle forze in-certe talora insondabili didisorganizzazione e di di-spersione (quell’ancorag-gio che vien meno) èanche l’epopea di un le-

game-alleanza che finoraha impedito al cosmo di disperdersi o disvanire appena nato: in seno a questocosmo, forse all’apice di uno sviluppo pro-digioso di un particolare ramo dell’autor-ganizzazione vivente, sempre palpitanteper una grande intrinseca intelligenza, noicontinuiamo a modo nostro la nostra av-ventura, noi viventi, fuscelli della diasporacosmica, briciole dell’esistenza solare, mi-nuta germogliazione dell’esistenza terrena.

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Riferimenti bibliografici essenziali

Ferguson, K. (2009) La musica di Pitagora, Longanesi, Milano.Morin, E. (2001) I sette saperi necessari all’educazione del futuro,, Raffaello Cortina Editore, Mi-

lano.Remotti, F. (2008) Contro natura, Editori Laterza, Bari-Roma.

e si importano mais, patata, fagioli, pomo-doro, manioca, patata dolce, cacao e ta-bacco: si verifica un cambioepocale dei gusti alimen-tari in tutto il mondo edegli apparati economicisottostanti. Oltre all’agri-coltura, l’economia pro-duce un cambio epocaleanche per la diffusione del-l’industria e delle relativetecniche a tutti i livelli diproduzione creando im-mensi progressi in tutti icampi di attività del ge-nere umano.

Tutto ciò porta ad un ri-conoscimento della co-scienza della complessitàumana: ci aiutano l’arte, la letteratura anon ridurre un essere umano alla sua partepiù piccola né catalogarlo in base al suopassato: bisogna aver fede nel cambia-mento e nella conversione dell’uomo al“meglio” confidando nella sua capacità didiscernimento e di “scelta” sfruttando lalogica, il λογος, il verbum.

La risposta ai piccoli conflitti interioriche sommandosi creano conflitti enormi,

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laborazione con l’anima (compasso incro-ciato con la squadra: celeste camera dicompagno).

In questa ultima condizione l’universo,che precedentemente aveva una forma spi-rituale in armonia con la celeste camera diMaestro (mondo dello spirito), comincia adassumere forme più grossolane, fantoma-tiche, astrali, compatibili con la celeste ca-mera di Compagno (mondo dell’anima) econ quanto questa camera è in grado di for-nire: sono le forme animiche attraverso lequali si manifesta il Compagno d’Arte,

PPPPartendo dal principio della crea-zione e dell’attività del GrandeArchitetto (compasso che si apre:

celeste camera di Maestro), dal primo ma-nifestarsi cioè della Luce cosmica, si arrivaad una fase in cui il Sole Spirituale si avviaa tramontare per lasciare il maglietto sim-bolico nelle mani della Luna. Attraversotale declino l’universo passa, secondo gliesoterici insegnamenti, da una condizioneprevalentemente spirituale (compasso so-vrapposto alla squadra) ad un’altra in cuiinvece lo spirito entra in reciprocità e col-

The best form of Freemasonry is that one which is mostly concerned with the questfor inner enlightment, discharging any external and superficial tinsel. The search forlight is not only a formal expression, but represents the real objective to be reachedby a true Master Mason.

LLaa mmiigglliioorree MMaassssoonneerriiaa èè qquueellllaa ddeellll’’AAmmoorree,, ssppiieeggaattaa ddaallllaa SSaappiieennzzaa..

di VViinncceennzzoo TTaarrttaagglliiaaSaggista

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Sono da ritenere davvero eccezionali gliindividui i quali riescono a percepire, dellaMassoneria, l’occulto aspetto che la rende

in tutto degna della cele-ste camera di Maestro,dove troneggia lo spiritoche permea e vivifica ilnostro universo. Quegliindividui, in breve gli ini-ziati, hanno sviluppatoconcretamente la rara ca-pacità di captare, pur vi-vendo corporalmente sulnostro pianeta, i messaggie gli insegnamenti prove-nienti dal mondo spiri-tuale, quindi proprio daquelle entità divine, “so-lari”, le quali, collabo-rando con il GrandeArchitetto, sin dal princi-

pio presero parte alla co-struzione dell’universo, e che chiamiamoMaestri Liberi Muratori.

Siccome lo spirito è invisibile, dobbiamopur dire che i pensieri che spiccano per no-biltà e purezza, altamente massonici, benoltre la materialità profana, possono ac-cendersi e manifestarsi soltanto negli indi-vidui eccezionalmente dotati della“visione” spirituale. Osservo che, nel cielo,la più pura ed elevata Massoneria secondolo spirito (Libera Muratoria) è alla sola por-tata di quelle eccelse entità che rispetto al-l’Essere Supremo formano come unacorona: esse corrispondono al Risp.moMaestro delle Cerimonie, al Venerabilis-simo, al Risp.mo Oratore, al Risp.mo Segre-tario, i quali hanno infatti maggiore affinità

l’anima umana vera e propria. Tali formeanimiche rappresentano le pre-forme ditutto ciò che appare sulla Terra nello spaziofisico, secondo le condi-zioni materiali, grezze einfedeli che sono propriealla Camera di Apprendi-sta, appunto il mondoterreno. Questo mondo,pur governato dalle illu-sorie e mortali leggi fisi-che, è via via rimodellatoproprio dai “Fratelli” ini-ziati di ogni tempo, se-condo invece le eterneleggi dell’armonia: a talescopo i “Muratori” si ser-vono di “utensili” sempremeno materiali, semprepiù impalpabili. Questaascesa peraltro coincidecon l’evoluzione interiore,il reale percorso iniziatico del Compagnod’Arte, quindi dell’anima che tenta di libe-rarsi del corpo (Apprendista) al fine diprendere coscientemente il posto nel “suo”mondo animico (celeste camera di Compa-gno), da essa stessa attraversato e speri-mentato nel lontano passato, maincoscientemente.

Quale realtà umana rappresenta inveceil Compagno d’Arte, quando lavora nellaCamera di Apprendista? Rappresenta l’in-dividuo creativo, immaginativo, intuitivo,“lunare” nell’attesa di vedere il Sole spiri-tuale: è la persona fisica in grado di viveresempre più coscientemente, già nei sogni,quanto gli riserverà il futuro sia in questavita che nell’oltretomba.

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• 53 •La migliore Massoneria è quella dell’Amore, spiegata dalla Sapienza, V. Tartaglia

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resta pertanto misteriosa la vera esistenzadegli illuminati iniziati, condotta secondo

princìpi dettati dall’anima e dallospirito. È infatti vero che gliiniziati vivono tra noi, si la-sciano addirittura sfiorare esono operativi nel modo mi-gliore; è tuttavia anche veroche un velo di riservatezza e diprudenza li nasconde e pro-tegge. Sicché le preziosissime,oltremodo significative traccedel loro passaggio sulla terrarestano invisibili, sono comeinesistenti per i comuni mor-tali il cui unico sguardo, mate-riale, non va oltre le apparenzepiù immediate e illusorie.

Se quindi un Maestro LiberoMuratore fosse la degna incarnazione dellaLuce “intorno a noi” (la quale irraggia laluce primaria del Venerabile ed è propriadei Maestri), potendo quindi vivere sul no-stro pianeta secondo lo Spirito del Grado ele esoteriche conoscenze teosofiche, in-dubbiamente la sua interiore luminositàsarebbe insopportabile non soltanto per iprofani ma persino per i Fratelli del rangoinferiore. A loro modo bendati, questi ul-timi non percepirebbero quindi la vera na-tura e non coglierebbero gli essenziali evelati insegnamenti di quell’illuminatoMaestro: e per costui, devo dire, tale sorteneppure sarebbe la peggiore! Sappiamo di-fatti quanto i “bendati” siano inclini a de-ridere e avversare tutto ciò che nonriescono a vedere!

Ma dove si nascondono, ormai, i reali enon finti Maestri conformi e fedeli al

e più stretto rapporto con il libro, imma-gine simbolica dello Spirito Assoluto (“te-stimone”). Invece sullaTerra, nelle condizionimateriali, quelle eccelseentità spirituali subisconouna metamorfosi involu-tiva e diventano persone,esseri viventi in carne edossa: costoro sono inverogli iniziati del più alto li-vello. A queste luci spiri-tuali dobbiamo larivelazione della ScienzaMuratoria, dei misteridella vita e della morte.Sicché all’intuizione illu-minata si manifestano i 4Coronati celesti, in alto, e, aloro immagine, i 4 Coronati terrestri. Que-sti ultimi, i suscitatori dei pensieri elevati edei nobili sentimenti che sollecitano ed ele-vano l’eletto Fratello, infondono nella suaanima, ben sveglia e pronta, tanto spiritodi sacrificio e non meno umiltà.

Dunque gli ideali di tolleranza, fratel-lanza e amore sono preclusi alle animegrezze ancora sonnecchianti negli indivi-dui irrigiditi dal materialismo, smarriti trale illusioni di questa Terra: esattamente co-storo, già sovrabbondanti sul nostro pia-neta, fanno purtroppo massa persino nelTempio nostro, per di più mostrandosi tut-t’altro che taciturni e remissivi! Tali indivi-dui, Fratelli o profani bendati di fronte alSole immateriale, sono incapaci quindi diafferrare il linguaggio spirituale e di acco-gliere le elevanti rivelazioni secondo laLuce ed il Fuoco. Per quegli esseri accecati

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sulla Terra la migliore Massoneria possi-bile, quella dell’amore, la più fedele al

mondo ideale del libro? La solavia è quella spirituale, dolo-rosa, la quale, prescindendoda ogni intermediazione di-luente e alterante, mette di-rettamente in contatto ilconoscitore e il conoscibile.La conoscenza più elevata acui ogni degno iniziandosempre più aspira avan-zando sul cammino, non èinvero la luce inizialmenterichiesta bensì il fuoco:amore suscitatore di vita,onnipotenza misteriosa, inalto come in basso.

Se non ami già istintiva-mente qualcosa, come potrai conoscerla?Come e dove, troverai la forza che ti spin-gerà verso l’ignoto? Il vero eletto avverteinizialmente una sacra scintilla d’Amore, inmaniera più o meno nebulosa, incosciente:ma questo gli basta! Se non avesse tale ca-pacità di amare e inseguire ciò che ignora,e che i comuni mortali temono, secondoquali altre argomentazioni potrebbe unFratello ragionevolmente considerarsi“eletto”?

Se sei un eletto autentico, vedrai e rea-lizzerai ciò che già senti di amare: il tuo sin-cero amore non ti tradirà! Se vuoi dunquedisfarti via via della benda, dovrai semprepiù amare: prima l’amore, in ogni caso, poitutto il resto… Cosa ti è dato peraltro of-frire, Fratello Muratore, che sia più pre-zioso ed elevante dell’amore? Accontèntatipiuttosto di offrire anche una sola scintilla

Grado, capaci di vivere, praticare e spie-gare, quando necessario, la Massoneria es-senziale, eterna e vera? Non èpoco diffuso il sano convin-cimento che, malgrado i ri-conoscimenti, appariscentiquanto effimeri, e malgradogli avanzamenti esteriori esterili che elevano gerarchi-camente, la maggior partedei Fratelli, iniziando pro-prio dai Maestri, è a talpunto disorientata da igno-rare persino da dove comin-ciare l’ascendente camminoverso la Scienza Muratoria!Pochissimi sanno che labase del volo è in noi stessi,nell’entità spirituale-animica:rari sono infatti i Fratelli, i quali percepi-scono e ammettono un’entità invisibilenell’uomo corporeo.

Sicché la spirituale Massoneria, senz’al-tro la migliore e la più vera, quella che al-meno ritualmente e simbolicamente sioffre al Maestro Libero Muratore, è desti-nata a rimanere invisibile, astratta, inesi-stente! Come non bastasse, nel nostromondo duale (scacchiera) gli opposti siscambiano continuamente il posto e le fun-zioni, sicché tutto risulta mescolato e con-fuso: è dunque quasi impossibile trovarel’amore e la sapienza totalmente ed ine-quivocabilmente da una parte, l’odio el’ignoranza dall’altra.

Ne consegue che, quaggiù, il bene e laverità rischiano in ogni momento di restareintrappolati nelle reti del male e dell’illu-sione. Per quale via si manifesta dunque

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E non è tutto. Infatti le parole degli illu-minati, per quanto ispirate e veritiere, tra-

discono la divina sapienza chele ispira: tale tradimento èdovuto al fatto che l’umanoparlare è fatalmente accom-pagnato, anzi rivestito e quasisoffocato dalla materia e dal-l’illusorietà. Dal momentoperò che ci riuniamo, lavo-riamo ed evolviamo per aiu-tare l’umanità nel suoprogresso interiore, siano al-meno scelti i migliori Mas-soni affinché la ScienzaMuratoria, spiegata secondola luce e l’intuizione supe-riore, possa in qualche misura

rischiarare e confortare le anime di coloroche si sentono traditi dalla cultura ufficialee dai messaggi, sempre più incerti, lanciatidai ministri delle varie confessioni reli-giose. Occorre insomma sostenere e inco-raggiare in più modi coloro i quali,particolarmente versati nel simbolismo,sono in grado di spiegare per quanto possi-bile, entro i limiti del consentito, i misteridella luce e del fuoco.

Sennonché tutto questo non succedepoiché diversi Fratelli, anche di rango ele-vato, sono, devo fraternamente osservare,ancora accecati dalla nera benda! Ne derivache ogni cosa si muove quasi sempre se-condo una gerarchia fittizia, meccanica,purtroppo afflitta dall’arbitrio e neppurerisparmiata dalla devastante influenza chel’esteriorità, nelle sue molteplici espres-sioni, esercita sugli individui incapaci di al-lungare la visione oltre il velo.

di questo sacro fuoco, e sarai in pace con testesso, insensibile al disprezzo, indifferenteal pessimo giudizio di coloroche non ti capiscono.

Soltanto eccezional-mente lo spirito (sole) dellaMassoneria si rivela diretta-mente, mostrando così ilsuo bel volto immateriale, li-bero da ogni macchia di te-nebrosità. Per via indirettainvece, la nostra Istituzioneè purtroppo passibile d’es-sere tradita, costretta a rive-larsi tramite la limitatezzadei Fratelli, oppure attra-verso una Tradizione inverosempre più nebulosa, intie-pidita, silenziosa e ormai lontana, sto perdire morta … uccisa dalla nostra incapacitàd’intenderla … riassorbita nella sua eternafonte. Dunque la Massoneria, come fossedestinata a mostrare il volto peggiore, fini-sce col nascondere quasi sempre il mi-gliore, su cui è riflessa fedelmente l’essenzadel fuoco e della luce! E se del resto la mi-gliore Massoneria fosse spiegata dai suoipiù illuminati Fratelli (e gli altri se ne stes-sero finalmente nell’ombra, inattivi, per ilbene stesso dell’Istituzione: cosa che nonaccade!), neppure attraverso questa viaessa potrebbe mostrarsi quale essenzial-mente è, secondo le virtù del suo centro in-visibile, inalterabile, infinito, attraverso lecui pulsazioni vive e batte il cuore stessodell’universo nostro. Non è infatti nellepossibilità di chi è immerso nel mondo ma-teriale, squarciare il velo e scrutare nel-l’immateriale!

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Se invece della migliore Massoneria po-tesse, in tutta la sua difformità, mostrarsi

quella storica dei vanitosi, ar-rivisti, materialisti e “ben-dati”, emergerebbe alloranon altro che una pietragrezza: è la Massoneria cheesprime i più bassi istintiumani! Dal momento infattiche nella maggioranza deiFratelli il Pentalfa è capo-volto, come pensare chel’Istituzione possa nell’in-sieme mostrare il contrario,essendo essa simile ad ununico organismo?! Il dive-nire (l’evoluzione o l’involu-zione) del Pentalfa riguarda

non soltanto il singolo ini-ziando, ma coinvolge anche la “catena” deiFratelli: non è così?

Occorre tuttavia anche osservare chequanto appena detto circa la Massoneriastorica, quale cioè si mostra all’esterno einfedelmente, è riferibile a qualsiasi altrarealtà terrena che, legata all’uomo, nesegua la triste degenerazione, il declinospirituale: religioni comprese.

Se la peggiore Massoneria è quella cheappare esteriormente voltando le spalle alfuoco e alla luce, quale è invece la migliore?È la Massoneria illuminata che non consi-ste però nel suo esterno ma nell’interno,nell’eterna essenza occulta e da scoprire:essa si rivela pertanto unicamente aglieletti capaci di ravvisare nell’esistenzagiornaliera, nel divenire delle cose, persinonel vivere e pensare degli uomini peggiori,

Quando dunque il migliore resta nasco-sto, non tende forse a manifestarsi il peg-giore?

Se il 5, quell’essenza cheriluce divinamente nel Fra-tello illuminato, non pre-vale prendendo il comando,ecco che il 3, la sua contro-parte grezza e bestiale, om-brosa, prende invece ilsopravvento, si concretizza,si mostra, scalpita e si attivanella frenesia dell’inco-scienza (perpendicolare)!Dal punto di vista iniziatico,l’oscuramento del 5 nel 3equivale ad una catastrofeall’interno dell’animaumana, poiché sancisce lasconfitta della luce. Secondo il simbolismomuratorio si tratta del capovolgimento delPentalfa, il quale, non slanciando piùquindi la punta illuminata verso l’alto, a te-stimonianza della supremazia dello spiritonell’anima del Fratello, invece dirige quellapunta, ormai oscurata, verso il bassomondo delle tenebre e della materialità!Questo mondo, corrispondente al Setten-trione del Tempio, sotto molti aspetti è as-similabile all’Ade: in tale infernalecondizione lo spirito infatti si oscura,anche se temporaneamente e non perl’eternità.

È dunque necessario che venga bruciatabenevolmente nell’anima ogni traccia dicorporeità, affinché lo Spirito risorga dalletenebre e il simbolico Pentalfa riprenda abrillare per poter, grazie all’affinità, vol-gere la sua punta verso la luce ed il fuoco.

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• 57 •La migliore Massoneria è quella dell’Amore, spiegata dalla Sapienza, V. Tartaglia

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rando la verità e producendo pessimismo,la sapienza e l’amore in-

vece accendono ilsano ottimismo e sol-lecitano alla miglioreoperatività, poiché ri-velano ogni bellezzaspirituale nascosta:ciò, per il perfeziona-mento e la gioia del-l’anima eletta, la qualesogna e desidera esat-

tamente quelle ele-vanti visioni e quella vivificante bellezza.

l’impronta misteriosa dello Spirito, dellaperfezione e della divinatrascendenza. In effetti,gli eletti, poiché vedonosulla terra i fedeli ri-flessi del cielo, riesconoa cogliere le immaginidella luce anche quandoe dove questa non simanifesta. Mentre dun-que le tenebre, l’igno-ranza e le illusionitendono a ricoprire e na-scondere le belle forme del creato, oscu-

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Qui, l’ideologia chiave è il classicismodell’Imperium romano, un simbolismo ce-sareo che perdurerà fino alla RivoluzioneFrancese ed oltre.

Una ideologia del potere come “terzo”tra membri della società civile in conflittonaturale tra loro, che appunto è il sostegnodei “parlements”, vere e proprie corti diappello nate dalla rielaborazione e dalla ri-scoperta del diritto romano e dalla suacommistione con quello consuetudinario.

Il Re è il Terzo nel Diritto ma anche laCorte Finale, dopo la giustizia bassa e altaamministrata dai signori feudali locali.

Si delinea la creazione, come mito uni-tario, e come radice storica (e antropolo-gica) dei popoli: gli inglesi Tudor si

LLLL’evoluzione della democrazia mo-derna è stata lenta e complessa, ei suoi referenti ideologici e cultu-

rali rappresentano un sistema simbolicoancora, in gran parte, da chiarire.

La nascita dei “parlements” francesi apartire dal ‘600, eredi dei tradizionali “fori”di giustizia territoriali, è parallela all’inca-sermamento dell’aristocrazia di Francia al-l’interno della corte del Re Sole.

Una sostituzione, controllata dal poterecentrale della burocrazia monarchica, diclassi dirigenti, con la “noblesse de robe”borghese che rimpiazza il ceto nobiliareche fa, letteralmente, “ombra” al Sole mo-narchico e mira ad un frazionamento delloStato.

The present article offers an historical overview of the complex and contradictorydevelopment of the political associations and movements from the beginning of theRisorgimento’s process till present days. The Author deals, in particular, with theethical and cultural role of the Masonic crafts in contemporary society.

LL’’aarrccoo rreeaallee ddeellllee RReeppuubbbblliicchhee.. LL’’aassssoocciiaazziioonniissmmoo ppoolliittiiccoo ttrraa RRiissoorrggiimmeennttoo ee SSttaattii nnaazziioonnii

di GGiiaannccaarrlloo EElliiaa VVaalloorriiEconomista

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ropa”. Tutte idee che verranno rielaboratedalla lenta costruzione delle procedure edelle mitologie del movimento democra-tico repubblicano e nazionale.

E un simbolismo at-tiva per contiguità l’altro:il Partito Socialista Ita-liano viene fondato a Ge-nova nel 1892, nella saladei Carabinieri, partepubblica di una loggiamassonica a caratterepositivista, legata al re-pubblicanesimo francesee ai sansimoniani.

Mazzini pensa alla sua“religione dei popoli” inrapporto al cattolicesimoliberale ed eterodosso,apertamente “figlio”della Rivoluzione del1789, di Montalembert e

Lamennais. Montalembert è il cattolico che parte

per Varsavia in difesa della Polonia che in-sorge contro i russi nel 1831.

E l’inno polacco parla ancora dei pa-trioti locali volontari delle guerre napoleo-niche che tornano in Patria per la guerradel 1795: marcia, marcia Dabrowsky, dallaterra italiana alla Polonia sotto il tuo comandoci uniremo al popolo!

Quindi le mitologie e le soluzioni politi-che circolano e comunicano tra loro intutta Europa, dalla Rivoluzione Francesefino ad oggi e, possiamo immaginare,anche in futuro.

Già, ma come interpretare la Rivolu-zione Francese? De Maistre, apologeta della

riallacciano al mito di Re Artù, ipotizzandouna continuità del loro casato con il Mo-narca della Cornovaglia, i re francesi ela-borano il gallicanesimo religioso,l’autonomia parzialeda Roma, in Inghil-terra si diffonde l’an-glicanesimo, glispagnoli creano ilmito della “hispani-dad”.

Ogni nazione ha ilsuo repertorio mitico,che giustifica l’unifi-cazione territoriale elinguistica e crea,oltre che le leggi, leabitudini e i simbolidelle masse e delleclassi dirigenti.

Tutti miti chehanno a che fare conil “sacre”, e che diver-ranno l’ossatura del laicismo nazionale edemocratico che caratterizzerà il XIX se-colo e le avventure della Massoneria comenetwork delle classi dirigenti postfeudali.

Per i Re francesi, vi è la cerimonia del“sacre”, appunto, l’incoronazione; e la tra-dizione dell’imposizione delle mani sui ma-lati, studiata da Marc Bloch nel suostraordinario I Re Taumaturghi.

Per la Spagna, l’hispanidad rappresentala missione globalizzante e cattolica delregno, dopo la scoperta dell’America, av-venuta proprio negli anni della riunifica-zione del Regno di Siviglia e di Aragona.

Per l’Inghilterra, il controllo dei mari el’identità insulare contro la “Vecchia Eu-

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cano nell’adorazione ragionevole dell’EnteSupremo.

Ma torniamo al nostro “miracolo”, la Ri-voluzione francese. Essa ritraduce per le

masse nazionalizzate dellafine del Settecento le tema-tiche dello Stato Centraliz-zatore che era stato creatodal Monarca “sacro” e asso-luto, in parziale contrastocon la Chiesa di Roma.

Ora il “sacro” è tutto ilpopolo, e tutto il popolo è laNazione, ed ogni nazione, equi si verifica l’impronta ti-picamente massonica, ha unsuo compito specifico nel“Grande Disegno” al quale

tutte partecipano.Nella prima edizione del “Leviatano” di

Hobbes vi è l’immagine di un sovrano la cuifigura è composta da tanti piccoli uomini.

La Rivoluzione del 1789 realizza nei fattiquesto simbolismo hobbesiano, con il ReSacro che si trasforma nel popolo sovranoe intangibile, e con il popolo stesso che di-viene giudice di appello delle sue stesseparti, e che riscopre una sua sacralità spe-cifica, spesso con tratti marcatamente an-ticristiani.

La “Dea Ragione” spodesta, natural-mente per brevissimo tempo, la Santa Ver-gine, i mesi vengono ridenominati con lecaratteristiche delle coltivazioni e delclima, per sottolineare il “Novum Ordo Sae-culorum” e per riattivare il mito del “terri-torio”, dell’economia agricola che è allaradice di tutti i surplus produttivi, comeritenevano gli economisti illuministi.

controrivoluzione ma membro della Mas-soneria, nel rito della Stretta Osservanzache caratterizza le èlites fridericiane diPrussia e accoglie elementi dell’esoterismomartinista, parla del 1789come di un “miracolo”.

Un miracolo del mali-gno, certamente, ma co-munque un fenomenosoprannaturale destinatoa cambiare, radicalmentee per lui in peggio, la sto-ria di tutta l’umanità.

Per l’Abate Barruel,capostipite della tradizio-nale teoria della “cospi-razione massonica” chesarebbe all’origine del-l’Ottantanove, la Massone-ria è la “centrale” del potere mondialerivoluzionario e, tematica molto attualeoggi, mira al potere mondiale e alla ridu-zione di tutti i popoli del Globo sotto un do-minio invisibile e maligno di “Illuminati”.

La propaganda antisemita che oggi ve-diamo diffusa nei mezzi di comunicazionedei paesi arabi e islamici non si allontanada questo modello: il “sionismo mondiale”e comunque il popolo ebraico sono all’ori-gine, nella tradizione dei “Protocolli deisavi di Sion”, della Massoneria e quindidella Rivoluzione americana, di quella fran-cese, delle rivoluzioni nazionali europee,del bolscevismo per poi incarnarsi defini-tivamente nello Stato Ebraico.

E pensare a quanto è stato importantel’Islam pacifico nel creare il mito illumini-sta, con Lessing e Goethe, dei “tre anelli”,delle tre religioni monoteiste che si unifi-

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La democrazia della tradizione masso-nica diviene così, progressivamente, da si-

stema di comunicazione eselezione delle classi diri-genti in un meccanismo disistematico controllo dalbasso delle azioni dei go-verni.

Un meccanismo inevita-bile che era stato previsto daMazzini, dalla Prima Inter-nazionale, da tutte le forzeprogressiste che nasconopoco dopo il “Miracolo” del1789 e il suo viaggio in Eu-ropa con Napoleone.

È questa l’ipotesi soste-nuta da Arno Mayer, che ri-

tiene il tradizionale “AncienRégime” sostanzialmente stabile, malgradole Rivoluzioni repubblicane e nazionali,fino alla Prima Guerra Mondiale.

La democrazia popolare, in tutto il Ri-sorgimento italiano, ha scarsi sostenitori,anche i mazziniani, quando parlano di“parlamento libero”, fanno riferimento allecaratteristiche e alle origini dei loro mem-bri, non alla base elettorale che li portavaalle camere.

Il 27 Gennaio 1861, prima elezione delRegno d’Italia, gli iscritti alle liste elettoralisono 418.695, su un totale della popola-zione del nuovo regno di 25.750.000. Diquesto 1,8% degli aventi diritto al voto at-tivo, vanno materialmente a votare pocopiù della metà: il 57,2% dell’1,8% della po-polazione totale.

La percentuale cambia significativa-mente alle politiche del 1886, quando gli

Non è del tutto vero che la Massoneriasia all’origine di queste trasformazioni;essa si caratterizza come ele-mento di collegamentodelle classi dirigenti in ter-mini di “dispotismo illumi-nato, come in Austria e inGermania, e anche la Fran-cia ha una forte Massonerianazionalista che non vede dibuon occhio la canaille isti-gata dai piccoli avventurieririvoluzionari, e mira ad unariforma europea con l’aiutoe il sostegno delle case re-gnanti più “illuminate”. È ilcaso di Goethe.

E difatti, nell’Ottocento,le massonerie “anglosassoni”avranno una impronta liberale e conserva-trice, collegata al simbolismo biblico e allacredenza teista nel Grande Architetto del-l’Universo. Per Voltaire il modello è la GranBretagna, non la rivoluzione popolare teo-rizzata dai russoviani.

Mentre la Massoneria di estrazione na-poleonica e francese genera una serie diobbedienze con miti non cristiani e non bi-blici (Memphis-Misraim, il rito egizianocon Cagliostro, le mitologie femminili dellelogge miste con la Grande Madre Mediter-ranea e Iside, l’adorazione della donna conil positivismo di Comte, i sansimoniani chevanno alla ricerca di Fatima in Nordafrica).

Da culto solare che connette in sé il mo-narca, il Redentore, il Libro sacro ebraico,la Massoneria eterodossa di estrazionefrancese si trasforma in Rito Lunare, fem-minile, precristiano e prebiblico.

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sono forzosamente a basso livello intellet-tuale, abituate ad un lavoro ripetitivo, mas-

sificate anche durante iltempo libero.

Il film “Metropolis” diFritz Lang disegna que-sto universo: la tecnica ela scienza inducono ilcapitalismo a diveniremonopolistico, le massesono ormai controllatedalla psicologia applicataalla organizzazione dellavoro, la guerra “solaigiene del mondo” comela definiscono i Futuristi,

elimina le masse in sopran-numero e crea le condizioni dell’espan-sione futura dei monopoli nazionali.

Qui, la democrazia moderna non c’en-tra proprio. Infatti, da Gustave Le Bon, in-ventore della “psicologia delle folle” (libroche Mussolini terrà sul suo comodino) aVilfredo Pareto, con la sua “Teoria delle éli-tes”, a Gaetano Mosca creatore del mitodella “classe politica” allo stesso BenedettoCroce che ironizza sulle “alcinesche sedu-zioni” della democrazia di massa, fino aisindacalisti di Sorel, la Guerra Mondialechiude, apparentemente, il ciclo delle rivo-luzioni democratiche, distruggendo con-temporaneamente lo stesso Ancien Régimeche le contrastava.

Il proletariato viene nazionalizzato, fa-cendolo così uscire dal quadro delle “alci-nesche seduzioni”, il capitalismomonopolistico, che tutti vedono come di-rezione unica dello sviluppo economico,genera stati che nazionalizzano le loro

aventi diritto al voto sono l’8,2% della po-polazione, e di questi vanno a votare il53,6%.

Così il Parlamentoviene determinato dal4,8% del totale della po-polazione di 29 milioni dicittadini italiani.

L’ipotesi di ArnoMayer è suggestiva, conla Prima Guerra Mon-diale, a contatto direttocon i due grandi “esperi-menti” (o “miracoli” intermini alla De Maistre?)dell’America e della Rus-sia Sovietica, che nasce pro-prio durante la fine del conflitto, l’Europache ha assorbito la Rivoluzione del 1789 el’impresa napoleonica si trova a nuotarenel mondo nuovo, dove i vecchi equilibriinfracontinentali non servono e non val-gono più.

È questo il momento, detto tra paren-tesi, in cui si materializza la questione me-diorientale e la nascita effettiva delMovimento Sionista, l’opportunità perl’Europa di proiettare sé stessa in MedioOriente, e di fare i conti con il proprio an-tisemitismo, che ha accompagnato moltaideologia sia rivoluzionaria che controri-voluzionaria.

L’americanismo, la produzione in serieinventata da Henry Ford I, il “fordismo”analizzato da Antonio Gramsci costitui-scono lo scenario nuovo di una dimensionedi massa senza democrazia possibile, né ri-stretta né a suffragio universale.

Le masse pensate dal sistema taylorista

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E non sembra quindi strano, come in-vece apparve agli intellettuali meno infor-mati, il Patto Ribbentrop-Molotov tra

Germania nazista eUnione Sovietica stali-niana.

I nazisti volevanotenersi fermo il fronteorientale, per colpire il“capitalismo ebraico emassonico” ad Occi-dente. I sovietici eranoben contenti di far di-struggere il capitalismodai nazisti, per poi su-bentrare con le loro reti“coperte” in attesadella “crisi finale” delsistema economico.

Era la fine della de-mocrazia, era la fine del

modello universalistico dei “diritti del-l’uomo e del cittadino” che aveva caratte-rizzato il nazionalismo democratico dal1789 al 1848, e che era continuato nel mo-dello liberale-progressista che aveva carat-terizzato il giolittismo in Italia, i gabinettidi Von Bismarck in Germania, la Terza Re-pubblica francese.

Ovvero: una capacità di assorbimentoselettivo delle nuove élites emergenti al-l’interno di una classe politica che operavanel mercato-mondo.

Un sistema piccolo ma efficiente, chepermette la quasi integrazione dei sociali-sti nel sistema giolittiano in Italia, i governiradicalsocialisti a Parigi, il socialismo“prussiano” di Ferdinand de Lassalle a Ber-lino.

masse taylorizzate senza bisogno alcunodei “ludi cartacei” elettorali.

Di fronte alla crisi derivante dalla aper-tura del mercato-mondo ealla concorrenza dell’Ame-rica e, forse, dell’Unione So-vietica, i Paesi europei sichiudono a riccio.

Fascismo, nazismo,“terze vie”, lo stesso fran-chismo spagnolo sono ri-conducibili alla formula diStalin “il socialismo in unPaese solo”. Se si chiudonole porte alla concorrenzaglobale e quindi si irreggi-mentano, fuori dalla demo-crazia e dagli idealiilluministici e massonici, lemasse, sarà possibile se-condo questo disegno man-tenere un mercato interno abbastanzagrande per i nuovi monopoli nazionali, e isovrapprofitti potranno essere distribuitialle masse evitando una volta per tutte lalotta di classe.

Lotta alla Massoneria e lotta all’Ebrai-smo sono due facce della stessa medaglia:entrambi sono internazionalizzazioni delleclassi dirigenti, e interrompono il circuito,apparentemente ottimale, tra monopolioeconomico e partito unico.

Il “socialismo in un Paese solo”. Se sileggono oggi le accuse che Stalin diffusecontro Trotzky, e che Curzio Malaparte rac-conta nel suo Tecnica di un colpo di Stato,sembra di leggere i discorsi di Hitler e Mus-solini contro l’internazionalismo ebraico eil “serpente verde”, la Massoneria.

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Ma anche l’asse portante della futuraResistenza si origina in ambito massonico,“Giustizia e Libertà”.

Il manager che organizza e inventa l’IRI,Alberto Beneduce, è un uomo legato al vec-

chio presidente delconsiglio Nitti, è 33della Massoneria diPiazza del Gesù(quella più a “destra”,secondo la misureprofane) è socialistariformista ed aperta-mente estraneo al re-gime. Suo genero saràEnrico Cuccia, chemolto opererà per gliAlleati in Portogallo ein Francia.

In quegli anni Be-nedetto Croce, antifascista tollerato dal re-gime, polemizza con la Massoneriadefinendola ormai morta, elemento del-l’associazionismo piccolo borghese e pro-vinciale ormai estranea dai veri giochi edallo “spirito dei tempi”.

Quasi una ripetizione della vecchia bat-tuta di Federico II di Prussia, “un GrandeNiente”. Croce ha davanti a sé l’immaginedella Massoneria meridionale, dove si sonointegrate nelle Logge ceti parassitari ari-stocratici con ceto medio anch’esso so-stanzialmente improduttivo, una sorta diassociazione che vede, nel mito unificantedel “fratello” Garibaldi l’inno di Don Fabri-zio Corbera di Salina con il suo campierearricchitosi nelle distrazioni del possi-dente, Don Calogero Sedara, tanto per ri-correre a due delle figure principali

Quando questo equilibrio si rompe, dalcaso Dreyfus in Francia o con il governoStresemann dopo la crisi economica tede-sca postbellica, allora rinasce il patto scel-lerato tra vecchie classi dirigentidell’ancien régime,monopoli pubblico-privati, e ideologi pro-letari del “socialismoin un paese solo”.

È un tenuissimoequilibrio quello chemantiene in vita ilcollegamento traideologie liberali, cetomedio, classe diri-gente, imprese.

È probabile chequesto equilibrio sialabile, sia pure per mo-tivi diversi, anche oggi.

Ma la Massoneria è inevitabilmente ubi-qua. La scissione in Italia tra Ordine e RitoScozzese, con il vertice (ovvero il Rito) chesi separa creando l’Obbedienza di Piazzadel Gesù, si inserisce nella scissione traclassi dirigenti che si va creando alla finedel decennio giolittiano.

Raul Palermi, Gran Maestro di Piazzadel Gesù dalla scissione, si dice abbia fattofirmare il “Manuale dell’apprendista” aMussolini, incontrandolo nel “singolo” cheda Milano portava il futuro duce a Roma,durante la “Marcia” che lo incorona presi-dente del Consiglio.

I gerarchi che organizzano, nelle saledell’Hotel Brufani di Perugia la Marcia suRoma sono in gran parte massoni, e nonsolo di Piazza del Gesù.

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genti nazionali, non riesce ad amalgamarsipienamente alternando gruppi di potere e

ceti politici che si stabiliz-zano temporaneamentesolo rispetto alla coronadi Savoia.

Forse è Cavour, chemuore troppo presto,forse è l’integrazione dif-ficile di una economiaagricola da latifondo delSud che si scontra con lastruttura meno vertica-lizzata del Centro (lamezzadria) e del Nord pa-dano (la meccanizzazionesu grandi appezzamenti ela manodopera salariata);forse sarà il peso relativodelle imprese industriali,

che nascono con il nuovogrande mercato nazionale e il sostegnodello Stato in Lombardia, Liguria e Pie-monte, ma insomma l’Unità nazionale ag-grega aree che, di lì a poco, avrannogeopolitiche diverse, agganci al mercato-mondo differenziati, tradizioni di contattieuropei e massonici variegate e spesso nonfacilmente compatibili tra di loro.

Il fascismo, beninteso, userà la Masso-neria, in quanto, per mutuare l’espressionedi Antonio Gramsci, è “il partito della bor-ghesia”; ma la borghesia in Italia è struttu-ralmente debole, il proletariato è di originiagricole e marginali e premoderne, e portacon sé tutti i pregiudizi antimassonici delTrono e, soprattutto, dell’Altare.

In quanto il fascismo è una rivolta diceti medi e di piccola borghesia urbaniz-

disegnate da Tomasi di Lampedusa nel suoGattopardo.

In tutte e due i casi, sitratta di “cambiare tuttoperchè niente cambi”.

Una bilateralità dellaMassoneria italiana chepromana dal Risorgi-mento: una fase storica incui si inseriscono cetimedi locali (in Liguria, To-scana, Veneto, Lombar-dia) che sono già integratiin una esperienza masso-nica multiforme, daquella giuseppista au-stroungarica agli influssinapoleonici in Liguria, dadove opera Filippo Buo-narroti, l’erede pisano diMichelangelo, che orga-nizza, su ordine di Napoleone, ordini mas-sonici segreti e mai visti prima e setterivoluzionarie.

E tradizioni massoniche fortissime simanifestano anche nel Regno delle Due Si-cilie, dove il piccolo ceto medio e l’aristo-crazia meno parassitaria subiscono gliinflussi dell’Oriente britannico, esempioclassico di integrazione tra ceti emergentie vecchie élites e tra diverse tradizioni geo-grafiche, caratteristiche che pongonol’Oriente inglese fuori dal “fuoco dellamente” che caratterizza la diffusione set-taria (e spesso massonicamente irregolare)che promana dalla Francia e dalla Bavieradegli “illuminati” di Weishaupt.

Si potrebbe pensare ad una Massoneriaitaliana che, proprio come le classi diri-

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mentre la Massoneria e il Risorgimentosono state, fin dall’inizio, esperienze e ri-

voluzioni dall’alto chehanno modernizzato edeuropeizzato, a tappe for-zate e quindi incompiuta-mente la vecchia Italia.

Ma l’Italia unita nonpuò essere nazionalista:perché essa deve la suastessa unità nazionale adun equilibrio geopoliticotra le potenze europee eglobali che, esso solo,permette spazi di mano-vra alla nazione italiana.

È la Francia che è inte-ressata ad un contraltaremediterraneo per la GranBretagna e per insulariz-zare la potenza centroeu-ropea tedesca e renderla,

per usare la terminologia diHaushofer, “potere terrestre”; è la stessaGran Bretagna che è interessata a determi-nare una limitazione del potere marittimofrancese nel Mediterraneo e a favorire unaItalia unita e amichevole con Londra percontrollare, dalla Penisola, il Mediterraneoe la sua direzione geopolitica verso Est,verso l’Asia Minore e l’India.

È infine la Russia che, oltre la sua areadi influenza slava che arriva ai nostri con-fini, desidera una Italia unita per compri-mere la Germania e limitarne la suaespansione verso Est, oltre a garantire conuna Italia amica l’accesso ai “mari caldi”che è l’ossessione strategica russa da Pie-tro I a Vladimir Vladimirovic Putin.

zata, gli “studenti” famosi che hanno fattola Grande Guerra e sono stati derisi e umi-liati dal socialismo del“non aderire né sabo-tare” turatiano, la Mas-soneria entra nelfascismo “movimento”,per usare la dicotomiadi Renzo De Felice, maquando il fascismo di-viene da “movimento”“regime” e chiude lapartita con la Chiesacattolica (arricchendolacon le riparazioni per laBreccia di Porta Pia e isuccessivi spogli di pro-prietà) con il Concor-dato del 1929, alloral’anticlericalismo mas-sonico e l’esoterismo“pitagorico” che tantaparte aveva nelle Loggeitaliane e nelle due Obbedienze maggioriallora il rapporto con la Massoneria sichiude. Il fascismo ha il suo modernismo incasa: è il futurismo, certo venato anch’essoda influssi esoterici di origine massonicama comunque in rotta con le Obbedienzeitaliane su un punto essenziale: il suo fer-reo nazionalismo.

Il fascismo è insieme antirisorgimentoe “compimento del Risorgimento”, è maz-ziniano e antimazziniano, è strapaese estracittà, è tradizionalismo premoderno efuturistico.

È il suo rifiuto pragmatico di sintetiz-zare tutti i suoi opposti e le sue latenti con-traddizioni che lo mantiene al potere,

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terizzata da un forte dualismo, che l’impe-tuoso sviluppo economico accentua: unavasta base industriale che opera, per la

prima volta nella sto-ria d’Italia, nel mer-cato europeo emondiale, senza loStato come compra-tore finale, e una se-quenza di sacche diarretratezza regionaleche non vengono in-globate nella rappre-sentanza politica erisultano inviate aiflussi migratori versol’Estero.

Dal 1946 al 1971emigrano oltre 5 mi-

lioni di italiani, la po-polazione dell’Austria e quasi l’interapopolazione della Svizzera, per compren-dere le dimensioni del fenomeno.

Quando l’emigrazione si chiude, nel1971, la fase di tensione sociale è già ini-ziata e i segnali che danno per chiuso il“Miracolo economico” italiano sono giàben visibili a tutti.

Per la Massoneria (o meglio, per le mas-sonerie) italiane nel secondo dopoguerra lalinea è quella di un fortissimo atlantismo,di un altrettanto esplicito anticomunismo,pur venato di spunti progressisti che da-tano dal mazzinianesimo e dal riformismosocialista che hanno fatto parte del DNApolitico delle Obbedienze italiane unitarie,il che rende da un lato necessaria la pre-senza della Massoneria nel quadro politicoe sociale italiano, ma contemporanea-

Questi equilibri geopolitici, tutti incen-trati sul Mediterraneo, innervano il pro-cesso unitario e caratterizzano anchel’evoluzione della Mas-soneria italiana e le suerelazioni con le succes-sive élites politiche, daCavour fino ai giorninostri.

L’accettazione daparte del ministrodegli Esteri sovieticoVishinsky, a Capri, diun accordo stabile conl’Italia badogliana econ il governo delRegno del Sud, nell’in-contro segreto che ildirigente sovieticoebbe con il Segretariodel Ministero degli Affari esteri Prunas, ècomprensibile in questo contesto, mentreper il potente segretario Prunas coprire lespalle ad Est (e ammorbidire il PCI) al de-bole governo di Salerno è un modo percreare uno spazio di manovra per l’Italiapostfascista che, altrimenti, sarebbe total-mente dipendente dai voleri degli angloa-mericani.

Proprio da questo punto di vista, sicomprende la diffusione della Massoneriain tutte le formazioni politiche del secondodopoguerra, laddove la DC e il suo bloccosociale portano, per la prima volta nellastoria d’Italia, le masse contadine alla rap-presentanza organica nel governo delpaese, unite alla piccola borghesia urbana ea settori non trascurabili di classe operaia.

L’Italia del secondo dopoguerra è carat-

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Questo fu più o meno il discorso del“Comandante Franchi” all’allora ambascia-

tore italiano in Unione So-vietica.

Quindi il nesso identi-tario della Massonerianel secondo dopoguerraitaliano è appunto atlan-tico, liberale-progressi-sta, europeista ed attentoad evitare la chiusura suposizioni antimoderne econfessionali del partitosicuramente egemone, laDemocrazia cristiana.

L’europeismo dellaMassoneria è, per cosìdire, sostitutivo e dispe-rato. Come sarà quello diun grande leader della

DC, Nino Andreatta. Vistoche le sacche di arretratezza strutturaleitaliana non sono risolubili con gli stru-menti interni, allora aspettiamo l’UnioneEuropea che costringerà una classe politicache in parte sopravvive grazie a quelle ar-retratezze a modernizzare il nostro Paese.Si ripropone una “rivoluzione dall’alto” eun traino dall’estero che sono stati carat-teristici del nostro Risorgimento.

Questo nesso tra potere DC e laicismoatlantico cade, con la fine della “guerrafredda” e l’avanzare della stessa unifica-zione europea. E si trasforma anche il ruolodella Massoneria. Essa si trasforma dive-nendo avanguardia della espansione degliinteressi nazionali in Paesi tradizional-mente legati all’Italia con legami massoniciche risalgono al Risorgimento: l’Ungheria,

mente la diluisce in un reticolo di relazionicon Enti e partiti che hanno, nei confrontidell’Oriente italiano, lostesso astio e lo stessopotere di disposizioneche il fascismo avevarispetto alla Massone-ria dell’epoca: il poteremuove le masse,spesso fortemente an-timassoniche, ed ha lachiave dei rapporti, es-senziali per la stabilitàinternazionale ed in-terna, con la Chiesacattolica, con la qualela Massoneria non hadel tutto chiarito leproprie tensioni tradi-zionali: né la Chiesal’ha fatto con la Masso-neria, peraltro.

La Massoneria è l’asse del potere atlan-tico in Italia nella misura in cui tutte le po-tenze vincitrici sanno benissimo che laDemocrazia Cristiana vede la NATO comeun potere “protestantico” e un potenzialeelemento di contrasto con la Chiesa nellatradizionale politica estera italiana, media-toria ed attendista.

Fu un eroe della Resistenza torinese e li-berale, Edgardo Sogno, a convincere il fu-turo segretario generale della NATO ManlioBrusio ad accettare il principio della Alle-anza Atlantica e a abbandonare le sue pre-cedenti tentazioni neutraliste: “guarda chei russi se attaccano l’Europa sono subito danoi, comunque vada, quindi è meglio en-trare nella NATO”.

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con il MERCOSUR e il NAFTA indebolisconole storiche correlazioni tra la Massoneria

italiana e gli emigrati genovesidel Boca di Buenos Aires,per esempio.

Il blocco del sistema poli-tico italiano, nella fase in cuiinizia ad operare la globaliz-zazione e termina il “bipar-titismo imperfetto” nonpermette alle Obbedienzeitaliane di trattare libera-mente, per usare la meta-fora di Giulio Andreotti, con“più forni”, mentre la teoriae la propaganda democra-tica si globalizzano e per-dono quella specificità

nazionale che tanta parte hanella identità politica della Massoneria ita-liana.

Inoltre, il crescere del ruolo geopoliticodi paesi tradizionalmente non massonici,come la federazione Russa e la Cina, insu-larizza la Massoneria e la rende debolenella gestione, culturale e politica, dellenuove sfide che appaiono all’orizzonte.

Beninteso, la Massoneria in Cina c’era,eccome: era legata al nazionalismo di Sunyat Sen e di Ching kai Shek, e, con ogni pro-babilità, è rimasta “in sonno” in una pic-cola rete di “quadri” urbani del PCC.

E la Massoneria russa è legata alla Rivo-luzione di febbraio e alle riforme di Lwow edi Stolipyn, ed è stata attiva nel gruppo fi-loinglese che assassinò il “mago” Rasputin.

Per non parlare del “fratello” Kerensky.E la Massoneria in India non è un sempliceretaggio del colonialismo britannico,

o genera obbedienze più strettamente or-ganiche ai referenti massonici tradizionalidell’Oriente italiano, come laGran Bretagna o gli stessiUSA.

Per non parlare delnesso con il mondo arabo,nel quale le Obbedienze ita-liane, sulla base di unalunga tradizione che datadalle prime conquiste colo-niali in Nordafrica e nei rap-porti “antimperialisti” delfascismo con il nazionali-smo arabo e perfino con ilSionismo durante il Man-dato britannico in MedioOriente, è uno degli assi disviluppo tradizionali della po-litica estera della Massoneria italiana.

Basti pensare al rapporto particolaredella casa reale giordana con la Massone-ria di Piazza del Gesù, o ai contatti feconditra le Obbedienze italiane e la Rivoluzionealgerina o la Casa Reale del Marocco.

Ma è una direzione che viene trasfor-mata dai fatti: il mondo arabo moderato habisogno non solo di affari e rituali, nel con-testo della Seconda Intifada e del succes-sivo e connesso jihad globale qaedista.

Altro elemento della politica esteramassonica italiana è il sudamerica: lì la crisifinanziaria degli anni ’80 che investe tuttal’area blocca le tradizionali relazioni ritualie politiche della Massoneria italiana con iPaesi della Grande Emigrazione ottocente-sca: Argentina, Cile, Uruguay. L’entratadella Spagna nel grande gioco geopoliticoe la nuova attrattiva esercitata dagli USA

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• 71 •L’arco reale delle Repubbliche, G.E. Valori

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presenza “profana” in Italia con il processounitario, la Massoneria, dovrà fare i conti

con l’emergere di forze anti-nazionali, spesso con trattifortemente antimoderni,antimassonici, neotradizio-nalisti e antinazionali, dinuove identità locali, pre-nazionali e a forte tassoidentitario.

E ancora, in un contestoin cui anche nel quadro eu-ropeo e NATO le potenzenostre alleate avranno mag-giori spazi di manovra auto-noma, si dovrà pensare aduna Massoneria italiana cheha un progetto geopolitico

culturale, rituale capace disintetizzare i tanti influssi francesi, tede-schi e nordamericani e britannici; per nonparlare della nuova massoneria russa le-gata al Cremlino di Putin, erede del “co-munismo magico” dei rosacroce russi delSettecento e della San Pietroburgo miste-riosa di Andrei Belyi, come dei simbolismicelati nel “Maestro e Margherita” di Bul-gakov.

E si tratterà, infine, di declinare il mes-saggio nazionale e unitario, caratteristicodell’identità massonica italiana, in questonuovo campo di forze globali.

Il locale che diviene politico e identita-rio oltre che amministrativo, e il Nuovo Or-dine Mondiale delle potenze autonome chesi profila all’orizzonte.

Sarà questo il mondo, massonico e pro-fano, del nostro futuro.

quello in cui, come narrava Kipling, “ci ri-troviamo in Loggia, poi tutti torniamonelle nostre case a pregare ilnostro Dio”. È ancora moltodi più.

Ma il “socialismo in unpaese solo” che ha caratte-rizzato il “secolo breve” nonera e non poteva esseremassonico.

Oggi la vera sfida cultu-rale, per la Massoneria ita-liana, dovrà essere duplice:da un lato il ridisegno delruolo dell’Italia nel sistemageopolitico occidentale, conuna Europa che rimane po-tenza economica ma non sievolve, come avevano speratoe pensato Andreatta, Guido Carli, Ugo LaMalfa, Enrico Cuccia e oggi Carlo AzeglioCiampi, in un modello politico e strategicoforte.

D’altro canto, gli USA, altro riferimentoculturale e politico delle Obbedienze ita-liane, pensano, per usare la formula elabo-rata da Richard Haas, presidente delCouncil on Foreign Relations, “alla finedella monopolarità americana”, in un con-testo dove le situazioni strategiche nonsono più determinate dalla SuperpotenzaUSA.

E, d’altro canto, la Massoneria italianadeve confrontarsi con un problema anticoe sempre nuovo: il federalismo e il ridise-gno anche culturale e identitario, dei po-teri regionali in Italia.

La forza che ha caratterizzato la propria

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1 Questo lavoro è stato realizzato in collaborazione con il Servizio Biblioteca del GrandeOriente d’Italia diretto dal Dottor Bernardino Fioravanti.2 Marie-Joseph-Antoine-Gabriel Jogand Pagès nacque a Marsiglia il 21 marzo 1854 da una fa-miglia cattolica. Durante gli anni passati in collegio, si appassionò di letture di liberi pensatori e ri-voluzionari, trascurando gli studi religiosi. A sedici anni si arruolò nel 3° reggimento degli Zuavi,mentendo sulla sua età, e al ritorno cominciò a lavorare come giornalista per l’Egalité, fino a fon-dare un suo giornale satirico La Marotte (1870-1872) dove assunse lo pseudonimo di Léo Taxil pernon infastidire la sua famiglia. Nel suo libro Les Confessions d’un ex-libre-penseur (pp.137-138), pub-blicato nel 1887, spiega l’etimologia del suo pseudonimo: Léo si riferirebbe al nome del nonno ma-terno, che si chiamava Leonidas; Taxil all’indiano Taxile, alleato di Alessandro il Grande. Perulteriori notizie sulla vita di Taxil vedi: James; Jarrige, 1999: 40; Ripoll, 1997: 55-65; Saunier, 2008:848-850.

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gliese Antoine Gabriel Jogand Pagès, aliasLéo Taxil,2 per spiegare il motivo che lospinse a svelare i presunti misteri dellaCCCCreare di sana pianta la diavoleria con-

temporanea queste sono le paroleutilizzate dal giornalista marsi-

Léo Taxil was the instigator of the biggest ever misrepresentation of facts concerningFreemasonry. Discovering the reason why he did that is the aim of this study. ActuallyTaxil himself gave an explanation for his twelve years long stories presenting realfreemasons, diabolical women and, last but not least, Satan in person. As aconsequence it should not be necessary to go deep into obscure areas of research. Butwhat one can deduce from his work is never so clear and understandable, given thefact that Taxil’s “faith” was a misrepresentation of reality.

LLaa mmiissttiiffiiccaazziioonnee ddii LLééoo TTaaxxiill

di NNiiccoolleettttaa CCaassaannoo11

Università Libera di Bruxelles

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Massoneria. Viene da sé la domanda suquali fossero le intenzioni di questo perso-naggio controverso della findu siècle e, senza andare acercare una risposta chissàdove, affidiamoci alla con-fessione di Taxil che si pre-murò lui stesso di far lucesu tutta la questione. Il 19aprile 1897, nella grandesala della Società Geogra-fica di Parigi, davanti ad unvasto pubblico che avevaseguito con più o menoserio coinvolgimento lesue stravaganti, quanto af-fascinanti rivelazioni, di-chiarò di averlo fatto perpuro divertimento.3 Il veromestiere di Taxil era infatti quello del mi-stificatore. Come egli stesso affermò, sem-pre nella stessa occasione, utilizzando unasimilitudine in un certo senso sibillina: “Sidiventa cuochi, ma si nasce rosticcieri. La per-fezione della scienza di arrostire non s’im-para: avviene lo stesso io credo per l’arte diprendere in giro la gente: raggiratori sinasce!”.4

Dalla falsa notizia che aveva fatto circo-lare a Marsiglia su un gruppo di pescecaniche stavano devastando la rada nel 1873, al-l’inizio della sua propaganda massonica nel1885,5 Taxil aveva infatti avuto modo di af-

finare le sue tecniche di raggiratore pertrarre in inganno i suoi nemici e colpirli at-

traverso quello che lui definiva“divertimento”, in onore delsuo motto: Tuons-les par lerire.6 Se nel 1873 il suo bersa-glio era Espivent, il generaledi Marsiglia che aveva sop-presso il giornale di Taxil, LaMarotte, e che per l’allarmi-smo generato sui pescecaniaveva allestito una spedizionein mare di ben cento uominiarmati che però tornarono amani vuote; nel 1885, Taxilmirò dritto al suo bersagliopreferito: la Chiesa e in parti-colare al papa Leone XIII.

Prima dell’antimassoneria, infatti, Taxilsi era occupato per un decennio circa dipropaganda anticlericale praticata attra-verso la sua attività giornalistica, la parte-cipazione alla Lega anticlericale come unodei fondatori e le numerose opere anticle-ricali. Tra quest’ultime, Le Fils du Jésuite(1879) gli valse la scomunica. Taxil si impe-gnò in tutto questo fino a quando la pub-blicazione dell’enciclica Humanum Genus diLeone XIII nel 1884 lo ispirò alla nuova epiù grande mistificazione della sua car-riera.

Nessuna condanna nei confronti della

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3 Rivista della Massoneria Italiana, 1897, N. 8-9, pag. 130.4 Ibidem, pp. 124-125.5 Ivi.6 «Ammazziamoli con le risate». Ripoll, 1997:56.

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Massoneria fino a questo momento erastata più severa.7 Dalle parole scritte delpapa sulla Società Massonica, la quale, a suodire, ispirava e aiutava i “partigiani della

città malvagia”, cioè il “regno di Satana”,8 ilgiornalista marsigliese capì che “sparlaredei massoni era dunque il miglior mezzo dipreparare le vie alla colossale mariuoleria

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Ritratti di Sophia Walder e di suo padre

7 Nefontaine, Schreiber, 2000:195. In breve la Massoneria moderna cominciò ad essere con-dannata tramite encicliche a partire dal 1738 (In eminenti, papa Clemente XII), cioè appena ventu-n’anni dopo la sua nascita. Su questo argomento vedi: Les enseignements originaux des papes sur lafranc-maçonnerie et les autres sectes, factions séditieuses, sociétés secrètes, assemblées, réunions, agréga-tions, conventicules para-maçonniques, de 1717 à nos jours, Pierre Téqui éditeur, Paris.8 Momigliano, 1959. Leone XIII (1878-1903), XVI «Humanum Genus» 1884, pp. 383-384.

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9 Rivista della Massoneria Italiana, 1897, N. 8-9, pag. 129.10 Taxil fu iniziato nella loggia parigina Le Temple des Amis de l’Honneur Français all’obbedienzadel Grande Oriente di Francia nel febbraio 1881, ma poi espulso in ottobre dello stesso anno per lasua insopportabile irruenza. Saunier, 2008: 849; Rivista Massonica, 1977, N. 7, Biografie massoniche,pag. 443 e Introduzione a Taxil, 1993: 9.11 Rivista della Massoneria Italiana, 1897, N. 8-9, pag. 130.12 Ivi, pp. 126-128.13 Ivi, pp. 128-129 e James, pag. 252.14 Rivista della Massoneria Italiana, pp. 130-132.

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Le prime pubblicazione antimassoni-che, tra cui Les Mystères de la Franc-maçon-

nerie dévoilés, si basavano sullarielaborazione in chiave fan-tastica di fonti massonicheche Taxil aveva consultato.Aggiungendo quel giustopizzico di satanismo, Taxilaveva raggiunto con le sueopere un successo tale da ri-cevere la diretta attenzionedel papa Leone XIII che glidiede udienza a Roma nel1886. Qualche anno dopo,Taxil pubblicò una versioneaggiornata di queste operedove l’alta Massoneria luci-feriana, da lui chiamata

“palladismo”, vide ufficial-mente la sua nascita nella ritualità masso-nica.14 Arrivato a quel punto, Taxil potevaavviare il motore della sua macchina infer-nale nelle opere successive, dando al palla-dismo una vita vera e propria. Egli convinseun suo vecchio amico di collegio, CharlesHacks, che era stato medico della Marina,ad aiutarlo nella sua impresa. Costui avevaviaggiato molto nella sua vita e, descri-vendo le sue avventure, fornì quel cano-

di cui io in antecedenza assaporavo tutta lagioia”.9 Ecco quindi la motivazione del suopassaggio all’antimassonismo.Molti pensarono che la suafosse voglia di vendetta neiconfronti della Massoneriache lo aveva cacciato soloqualche mese dopo la sua ini-ziazione,10 ma non fu affattocosì.11

Per fare apparire credibilela sua conversione, dovevaprocedere gradualmente esoprattutto conquistarsi la fi-ducia dei clericali. Il primopasso fu quello di scrivereuna lettera in cui rinnegavatutti i suoi scritti anticlericalie che gli valse l’espulsione dallaLega anticlericale.12 Poi passò un periodo inconvento,13 e solo dopo si diede alla stesuradi opere sulla Massoneria ispirandosi aisuggerimenti che aveva trovato in Huma-num Genus. Lui che, differentemente dallagran parte dei propagandisti antimassonicisuoi predecessori o contemporanei, erastato massone – seppure per breve tempo –aveva molto da dire sul regno di Satana pa-ventato e condannato da Leone XIII.

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15 Rivista della Massoneria Italiana, 1897, N. 8-9, pag. 133.16 Ib., pag. 136.

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quindi popolare ilmondo fantasticodel palladismo etrovò in DianaVaughan la per-sona giusta perinterpretare ilruolo della donnaluciferiana, GranMaestra del pal-ladismo, protago-nista sia del librodel Dr. Bataille,che di altreopere. Diana Vau-ghan era in realtàuna copista datti-lografa, rappre-sentante di unafabbrica di mac-chine da scriverenegli Stati Unitiche aveva lavo-rato per Taxil eche accettò sin dasubito con entu-siasmo questo in-carico. “[...]questa triplice

collaborazione hapermesso [...] di pubblicare delle opere chepossono rivaleggiare con le Mille e unanotte”16 e Taxil poteva finalmente affermareche “tutto il mio Palladismo era stato soli-damente costruito, quanto alla parte mas-sonica propriamente detta, dal momento

vaccio necessario aTaxil per confezio-nare quell’opera-testimonanza diben undici anni diviaggi scanditidalle cerimoniepalladiste prati-cate in tutto ilmondo da tanti po-poli diversi. Questiviaggi sono stati ri-portati con una ri-cerca maniacaledel dettaglio nelfamigerato Le dia-ble au XIX siècle.L’autore e protago-nista di quest’av-ventura prese ilnome di Dr. Bataille,pseudonimo con ilquale Hanks fu co-nosciuto dalgrande pubblico,ma che in realtà fuun personaggioi m m a g i n a r i ofrutto dell’espe-rienza e della fanta-sia di entrambe gli ideatori della storia.Taxil era infatti convinto che “il pubblicaredei rituali non offre lo stesso interesse, cheil raccontare delle avventure come testi-monio, in ispecie se queste avventure sonostupefacenti”,15 ed aveva ragione. Doveva

Albert Pike, Sovrano Gran Pontefice della MassoneriaUniversale e i dieci membri del Serenissimo Gran Col-legio dei Massoni Emeriti. Charleston, 1 marzo 1891

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17 Ib., pag.137.18 Pruneti, 2002: 85.19 Docteur Bataille, 1892-1895: 18.20 Ib., pag. 319.21 Jarrige, 1999: 42.22 Ivi.23 Su questo argomento vedi: Poulat, Laurant, 2006.24 Goldschlager, Lemaire, 2005: 28.

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narrativi permisero a Taxil di acquisire unaposizione di rilievo senza però uscire dai

ranghi di una seppur poco lo-devole, ma fortunata tradi-zione letteraria. In effetti, lastruttura e lo scopo delle sueopere erano fondamental-mente gli stessi che si eranoaffermati nella già allora se-colare letteratura antimasso-nica ed esoterica che inquello stesso periodo eraelargita al grande pubblicodalla rivista antimassonica LaFranc-maçonnerie demasquée.21

Per quanto riguarda lastruttura, ad esempio, “le

maître imposteur” utilizzò glistandard antimassonici riuniti dal gesuitaNicolas Dechamps in Les Sociétés secrètes etla société ou philosophie de l’histoire contempo-raine (1874-1876),22 opera di riferimentodell’antimassoneria. Inoltre, il palladismodi Taxil risiedeva nelle arrières loges, temaripreso qualche anno prima nell’opera diMonsignor Ségur, Les Francs-Maçons, ce qu’ilsont – ce qu’ils font – ce qu’ils veulent,23 ma cheera un’eredità lasciata niente meno chedall’abate Barruel.24 Le immagini che co-stellano i libri rivelazioni di Taxil, invece,sono le stesse che Eliphas Levi – il più fa-

che dei massoni, dei 33, non hanno credutol’edificio un vano miraggio e hanno do-mandato di entrarvi”.17 Il suc-cesso delle opere di Taxil staproprio in questa materia-lizzazione del mondo del-l’alta Massoneria popolatoda presunti protagonisti re-almente esistiti tra cui nonmancò di comparire Satanain persona.

In questo modo, “allafine del XIX secolo, il dia-volo che, già da lungotempo, si sospettava fosse ilburattino occulto, final-mente venne allo sco-perto.”18 La vera novità diTaxil fu infatti quella di avere dato vita, at-traverso il palladismo, al mondo satanicosulla terra. Ecco quindi che Satana compareora sotto forma di un giovane uomo, di-stinto e con un non so che di malinconiconello sguardo davanti a quei pochi fratelliche avevano raggiunto i più alti gradi delpalladismo;19 ora nella sua forma più pitto-resca all’appuntamento del venerdì col Ge-nerale Pike nella sala a pianta triangolare,chiamata Sanctum Regnum, della sede delSupremo Direttorio Dogmatico di Charle-ston.20 Questi “reali” ed originali elementi

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25 “Rievocò da certe oscure leggende francesi il nome di un idolo, Bafometto, che dicevasi es-sere stato adorato dai Templari (Bafometto sarebbe una trascrizione corrotta, attraverso la linguaspagnola, dell’arabo Mahomed) [...]” articolo intitolato “L’inventore di Bafometto” in Rivista Mas-sonica, 1907, N. 8, pp. 180-181.26 Nefontaine, Schreiber, 2000: 181-182.27 L’abate Henri Jabineau avrebbe elaborato la teoria del complotto nel 1790 che poi sarebbestata sviluppata da François Lefranc ed altri prima di arrivare a Barruel. Jarrige, 1999: 25-28.28 Mellor, 1978: 202.

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originale, fornen-done una versioneattualizzata e piùaccessibile al vastopubblico. L’operache rese famosoBarruel s’intitolavaMémoires pour ser-vir d’histoire au Jaco-binisme e uscì incinque grandi vo-lumi tra il 1797 e il1798. In queste pa-gine l’abate for-niva una sintesicoerente della teo-ria diffusa in quelperiodo da diversiautori27 che spie-gava come la rivo-luzione francesefosse stata in realtà

il frutto della con-giura occulta delle sette anticattoliche, cioèle logge massoniche del XVIII secolo. “Loscopo della massoneria sarebbe statoquello di abolire l’antico ordine cattolico emonarchico e di stabilire sulle sue rovineun nuovo ordine, figlio delle idee del XVIIIsecolo, e questo piano satanico sarebbestato eseguito attraverso la Rivoluzione”.28

moso esoterista del-l’Ottocento – usò nelsuo Dogme et Rituel dela Haute Magie (primaedizione, Parigi, 1855-56), portando in er-rore chi haconsiderato Taxil l’in-ventore di Bafometto,che in realtà Leviaveva già presentatonel suo libro inquanto idolo dei tem-plari.25

Anche lo scopodelle opere di Taxilera lo stesso dei suoipredecessori e con-temporanei, ovvero larivelazione della teo-ria del complottomassonico. Il valoreaggiunto apportato aquesta teoria da Taxil ebbe un tale impattosul pubblico che la storia gli ha assegnatosin da subito il titolo di diretto discepolodell’abate Barruel, cioè di colui che ha datoi natali al fenomeno del best-seller antimas-sonico.26 In effetti, Taxil con la sua mistifi-cazione rigettava la Massoneria neglioriginali antri di quel suo presunto peccato

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29 Docteur Bataille, 1892-1895: 315-319.30 Ibidem, pag. 345.31 “Io sarò madre a trentatrè anni di una figlia che, lei stessa, a trentatrè anni metterà almondo un’altra figlia. Vi sarà così una successione di figlie, mie discendenti, che saranno madria trentatrè anni. Questo è già scritto, in maniera irrevocabile, nel libro del destino, e l’ultima diqueste figlie della mia discendenza sarà la madre dell’Anticristo [...]”, Ibidem, pag. 382 (traduzionenostra).32 Nefontaine, Schreiber, 2000: 196 e 207.33 Ripoll, 1997: 58.34 Ib., pag. 60.

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sona era ben altro, come abbiamo già af-fermato in apertura. Taxil utilizzò la Mas-

soneria per prendersigioco del suo piùgrande nemico: laChiesa ed il papa. Comeci ricorda Elisabeth Ri-poll, Taxil all’iniziodella sua “carriera”,con la sua propagandaanticlericale, se la presedirettamente con l’isti-tuizione ecclesiasticaed il clero – in partico-lare i gesuiti – per

“esorcizzare degli incubid’adolescente, per regolare dei conti”.33

Esaurita questa vena narrativa e consta-tando che il suo pubblico non recepiva piùcon lo stesso entusiasmo i suoi scritti, in-ventò la “più bella mistificazione del se-colo” pour relancer la machine,34 grazieall’ispirazione trovata nella nuova enciclicadel papa. Arrivati a questo punto, è evi-dente che non possiamo considerare ilTaxil “anticlericale” separatamente dalTaxil “massonico” e, in generale, appog-giamo appieno l’affermazione di Alec Mel-lor secondo il quale “[...] parlare

Il nuovo ordine a cui invece l’antipapa Al-bert Pike ordiva dal Supremo Direttorio diCharleston, cioè dal Vaticanodella Massoneria universale,centro del satanismo uni-versale,29 sarebbe statoquello di preparare attra-verso il palladismo, diffusoin tutto il mondo, il regnodell’Anticristo,30 cioè il figliodell’ultima discendentedonna di una delle protago-niste luciferiane delle operedi Taxil: Sofia Walder.31

L’antimassoneria diTaxil, come quella di Barruel,non era quindi nient’altro che l’ennesimotentativo ben riuscito di fortificare le fon-damenta della fatiscente fortezza dellaChiesa eretta contro la Massoneria per unaguerra ormai da più di un secolo ben ali-mentata da questa cattiva propaganda. Lapopolarità di questi autori fu infatti ilfrutto di una vera e propria avventura edi-toriale che fece la fortuna di molti editori.32

Ma se rivelare le losche trame dellaMassoneria era lo scopo della letteraturaantimassonica e quindi dell’opera di Taxil,quello del giornalista marsigliese in per-

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Satana o Lucifero nelle sue forme di apparizioni abitudinarie

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dell’anticlericalismo francese senza parlaredella massoneria sarebbe un nonsenso”.35

Se ci vogliamo addentrare nella produ-zione letteraria di Taxil pertrovare una dimostrazionea questa tesi della conti-nuità tra anticlericalismoed antimassonismo, appor-tiamo ancora l’esempio delDiable au XIX siècle. Qui ilDottor Bataille racconta lestorie di personaggi più omeno famosi, descritti tutticome dei massoni o co-munque degli adepti del sa-tanismo, che furonopoliticamente i più grandiavversari di Pio IX, il papadell’unità d’Italia e dellacondanna del socialismo edella Massoneria. Questi personaggi furonoi protagonisti indiscussi della battaglia an-ticlericale dell’epoca. Si parla infatti di car-bonari (storia dell’assassino carbonaro cheaveva sconvolto la gioventù di Carbuccia estoria di Matraccia)36 e di socialisti radicali(Clovis Hugues e Bovio).37 Gian Battista Pei-sina, il napoletano appartenente al rito diMemphis che aveva iniziato il Dr. Bataille,era un garibaldino.38 Il medico di GiuseppeGaribaldi, il dottor Timoteo Riboli,39 aveva

35 Mellor, 1978: 201 (traduzione nostra).36 Docteur Bataille, 1892-1895: 21-24.37 Ibidem, pag. 51 e 53.38 Ibidem, pp. 142-143.39 Sovrano Gran Commendatore del Supremo Consiglio dei Supremi Consigli riunificati. VediMola, 2006: 181 e 202.40 Docteur Bataille, 1892-1895: 439 (traduzione nostra).

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partecipato ad una riunione segreta dimassoni, tutti appartenenti all’alta Masso-neria, a Milano nel 1870, mentre si stava

combattendo la guerra franco-prussiana. A questa riunione– dove il diavolo non mancòdi fare la sua apparizione –erano presenti altri quattor-dici massoni tutti riuniti alloscopo di discutere dellaguerra in corso e di come daessa ne sarebbe potuta na-scere una buona occasioneper colpire il papa. Dopoqualche mese, le truppe ita-liane sarebbero entrate aRoma attraverso la breccia diPorta Pia. Ma d’altronde lostesso primo re d’Italia, Vit-

torio Emanuele II, “re della Ri-voluzione, l’usurpatore del patrimonio disan Pietro”, degno discendente dell’anti-papa Felice V, era stato scelto dall’alta Mas-soneria.40 E che dire della nascita delpalladismo stesso? Sempre secondo la nar-razione del Dottor Bataille, dalla preesi-stenza dell’occultismo massonico, fufondato il palladismo niente meno che il 20settembre 1870: “L’Alta Massoneria si èdunque definitivamente costituita con uncapo dogmatico, un supremo grande diret-

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41 Ibidem, pag. 345 (traduzione nostra).42 Adriano Lemmi fu Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia dal 1885 al 1896 e SupremoGran Commendatore del Rito Scozzese Antico ed Accettato fino alla morte (1906), Rivista Masso-nica, 1973, N.3, Biografie massoniche, pag. 180.43 Rivista della Massoneria Italiana, 1897, N. 8-10, pp. 137-139.

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tra parte però,non possiamotrascurare che lamaggior parte diquesti perso-naggi anticleri-cali fosse ancorain vita e chequindi potevareplicare diretta-mente alle ca-lunnie di Taxil.Senza poter pas-sare in rassegnale reazioni ditutti i diretti in-teressati, è dove-roso soffermarsialmeno sulla ri-sposta dell’isti-tuzione, direttainterlocutrice diSatana su questaterra secondoTaxil: la Masso-

neria.A prescindere dalla calunnia, l’intera

Massoneria italiana dimostrò sin dal 1885poca stima nei confronti di Taxil e di con-seguenza si adoperò per non dare nem-meno troppo seguito alle sue rivelazioni. Inquell’anno, infatti, nel suo organo ufficiale,la Rivista della Massoneria Italiana, riportava

torio, un ponteficeluciferiano, il giornostesso che l’usurpa-tore piemonteseconquistava Roma eproclamava l’aboli-zione del poteretemporale delpapa.”41 E per nonlasciare il quadro in-completo non pos-siamo trascurare ilfatto che il succes-sore del GeneralePike sarebbe statoAdriano Lemmi,42

Gran Maestro delgiovane GrandeOriente d’Italia, cheavrebbe fatto diRoma la nuova sededell’alta Massone-ria.

Come risulta evi-dente da questiesempi, Taxil aveva dato un volto satanicoai più acerrimi nemici della Chiesa e delPapa. Il sovrano pontefice e molti prelatidimostrarono una certa soddisfazione nelleggere tali rivelazioni e quasi non sepperocontenersi dalla felicità quando Diana Vau-ghan finse di convertirsi e divenne intimaconfidente di importanti prelati.43 Dall’al-

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44 Ibidem, 1885, N. 1-16, pag. 230.45 Ibidem, 1889, N. 14-15, pag. 227.46 Rivista della Massoneria Italiana, 1897, N. 8-10, pag. 118.

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ad apertura dell’articolo, e si continua: “nelcampo clericale ne sono esterrefatti capi e

gregari: Léo Taxil, dopo 12anni di attacchi, di calun-nie, di vituperi, di inven-zioni infami, grottesche,ridicole, oscene, contro laMassoneria, ha dichiaratopubblicamente, che i suoilibri, gli articoli, i discorsi,le conferenze, il satani-smo, il palladismo, MissVaughan, le lettere di Al-berto Pike, la elezione diAdriano Lemmi a SommoPontefice della Massone-ria luciferiana e tutto ciòche è uscito dalla sua vul-canica fantasia di riti laidi

e diabolici non costituivache una colossale mistificazione per trarrein inganno l’ingenuo gregge clericalesco eper ridere della sua supina imbecillità.»46

Taxil era quasi riuscito nel suo intento.Si era burlato della Chiesa e aveva tenuto ilmondo col fiato sospeso per tutto queltempo, fino a che non fu costretto ad uscireallo scoperto, onde evitare un deludentesmascheramento. Seguendo sempre le sueparole, Taxil fu costretto a svuotare il saccoproprio per la pericolosità dei dubbi cheerano stati sollevati sull’esistenza di DianaVaughan durante il congresso antimasso-nico che si tenne dal 26 al 30 settembre

la traduzione della notizia della conver-sione del giornalista marsigliese apparsasul Bulletin Maçonnique de Paris,n° 65. In questo testo si af-fermava che “noi ignoriamoil prezzo che Roma vi hamesso; ma qualunque essosia, essa ha sprecato il suodenaro, poiché ha compratoun libero pensatore a dop-pia faccia”.44 Una volta or-dita la mistificazione, lastessa rivista non mancò didire la sua commentandoproprio i Misteri della Masso-neria rivelati sempre con lostesso sdegnante distacco:“Questo Taxil è lo stesso,che, già apostata e spregiudi-cato, scrisse La Vita di Gesù, il-lustrata con figure oscene [...]. Questapenna, stillante ancora del fango che pro-dusse quella immoralità, si adopera oggi asmascherare i Massoni!”.45 Fu solo in occa-sione della confessione nel 1897 che la ri-vista in questione dedicò più di ventipagine a Taxil. Anche se il testo della con-fessione, tratto e tradotto dal giornale fran-cese Le Frondeur, occupa la maggior partedell’articolo, le pagine introduttive hannoun loro peso in quanto rappresentano ilvero sfogo di un’istituzione che aveva su-bito non pochi attacchi per ben dodici annicontinui. “La bomba è scoppiata”, si legge

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47 Rivista della Massoneria Italiana, 1897, N. 8-10, pag. 140. L’Unione antimassonica fu fondataa Roma il 20 settembre 1893. Nel luglio 1895 l’Unione, dopo che il 20 settembre – data della presadi Roma e ricorrenza per la Massoneria italiana – era stato dichiarato giorno di festa nazionale,propose di passare ad una fase più acuta della lotta alla Massoneria attaverso l’organizzazione diun congresso antimassonico internazionale. A questo evento sarebbe stato dato un carattere emi-nentemente cattolico allo scopo di fare conoscere tutto il male causato dalla Massoneria alla Chiesae alla società. Jarrige, 1999: 210-213.48 Jarrige, 1999: 225.49 Berchmans, 1973: 72-73.

• 85 •La mistificazione di Léo Taxil, N. Casano

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inatteso della mia gioiosa mistificazione leha provocato, si assicura, una grande collera(...)

In quanto, sapere che si èstati mistificati per dodicianni da un libero pensatorescettico è una cosa alquantosgradevole quando si è ilrappresentante dello SpiritoSanto, quando si è diretta-mente e in maniera perpe-tua inspirati dal divinopiccione. Ma sapere chequesta ridicola posizione ènota al mondo intero, su-scita il colmo del disap-punto. Oh mio papa, cheguaio per il dogma della vo-stra infallibilità!

Un fumista di Marsigliasi è guadagnato la sua vene-

rabile testa. Orrore! .... Edegli aveva preso le sue misure affinché lasua messinscena terminasse scoppiandocome una bomba, con un fracasso che sa-rebbe risuonato nella stampa dei due emi-sferi; maledizione!49

Ma la bomba in effetti non era esplosa ela Chiesa aveva fatto giusto in tempo a cor-rere ai ripari. Naturalmente il clero rimase

1896 a Trento per iniziativa dell’Unione an-timassonica.47 Durante queste cinque gior-nate di intensi studi sullaMassoneria, venne discussoanche “il caso Taxil” sullascia della pubblicazione –avvenuta nell’agosto del1896 – di un’inchiesta di ungesuita tedesco, padre Her-mann Grüber, che dimo-strava che le preteserivelazione della signorinaVaughan non era altro cheuna colossale impostura.48

Anche se aveva previstoun’uscita di scena più cla-morosa, Taxil godette dellasua vittoria non mancandodi farne partecipe il suo di-retto interlocutore. Qualchemese dopo la sua confessione, egli inviò alpapa un esemplare della sua Bible amusante,scritta nel 1882, con in annesso una letterache vale la pena riportare.

Santo Padre,si dice che lei non sia contento, dopo il

19 aprile di questo anno, il ventesimo delsuo glorioso pontificato. Il denudamento

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50 Rivista della Massoneria Italiana, 1897, N. 8-10, pag. 119.51 James, pag. 252.

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utilizzando gli pseudonimi di ProsperManin e Madame Jeanne Savarin. Nello

specifico, due anni primadi morire, con quest’ul-timo pseudonimo, egliassunse le vesti femmi-nili per redigere un librodi ricette intitolato Labonne cuisine dans la fa-mille (1905).51 Forse inquesto modo, il vecchiofumista di Marsiglia spe-rava di apparire più cre-dibile agli occhi di chi,pur riconoscendolo, neavrebbe apprezzato al-meno l’altro suo vero ta-lento innato rimastoglida coltivare: quello delrosticciere.

un po’ amareggiato e non mancò di trovaresubito un capro espiatorio nella Massone-ria stessa: “Ed oggi cantano sututti i toni che il Taxil è unarnese massonico, che lesue invenzioni furono pen-sate, elaborate nei concilia-boli della Massoneria perdare un fiero colpo al cat-tolicismo! Imbroglioni efurfanti!”.50

Dopo quel giorno allaSocietà Geografica di Pa-rigi, la buona stella di Ga-briel Antoine Pagès volseinevitabilmente al tra-monto. Non perdendo ilvizio del travestimento let-terario, continuò a scrivere

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OOuuttssiiddeerr AArrtt ee ddiissaaggiioo ppssiicchhiiccoo

di SSeerrggiioo PPeerriinniiMedico psicoterapeuta

The Author underlines the relationship between the Outsider Art and the artisticexpressions of people without real vocational training, but with unconfortable feeland mental problems. After the birth of psychoanalysis, all the different forms ofartistic expressions became a subject of deeper psychological research. The Authordeals, in particular, with the artistic production of A. Goldani, regarded as a masterof Outsider Art, who painted more than 2500 works, describing his output by meansof a psychodynamic method.

LLLLa Outsider Art o arte irregolare èuna espressione dell’arte da partedi persone senza cultura acca-

demica specifica che, grazie ai loro bisogniaffettivo-emotivi profondi, hanno la im-pellente necessità di esprimere i loro vis-suti in forma diretta senza mediazionealcuna.

Outsider Art è termine coniato nel 1972dal critico d’arte inglese Roger Cardinalcome sinonimo del francese Art Brut, defi-nito da Jean Dubuffet. Il termine inglese èapplicato spesso più largamente, per inclu-dere gli autodidatti o i creatori di Arte naïveche non si sono mai istituzionalizzati. Ge-neralmente hanno poco o nessun contattocon le istituzioni del mondo tradizionaledell’arte; in molti casi, il loro lavoro vienescoperto soltanto dopo la loro morte. Molte

opere di Art Brut o Outsider Art esprimonostati mentali estremi, idee non convenzio-nali, o mondi di fantasia elaborati.

Un tema complesso ma ricco di rifles-sioni culturali a cavaliere tra l’Arte e laPsichiatria ad indirizzo psico-dinamico.

Per cogliere il significato profondo diquesto approccio è necessario ripercorreresinteticamente un percorso culturale cheparte dal tardo Positivismo dell’’800 allor-quando nascono nuove discipline quali:Paletnologia con Boucher di Perthes; Etno-logia e Antropologia con la scoperta deiGraffiti di Altamira; Economia politica clas-sica con la teoria economica di Karl Marx;Psicologia sperimentale di Gustav TheodorFechner; Psicoanalisi di Sigmund Freud;Psicopatologia dell’espressione grafico-pit-torica con le significative pubblicazioni di

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Lombroso (Genio e follia), di Prinzhorn (Artedei folli) e di Foucault (Storia della follia).Anche il mondo dell’Arte subisce cambia-menti epocali con le Avanguardie del Post-Impressionismo del primo ‘900: diparticolare significato la corrente artisticadell’“Art Brut”, nata e sviluppatasi neglianni ‘30, il cui maggior riferimento cultu-rale rimane Jean Dubuffet che, grazie allasua collezione d’arte, fonda il Museo d’ArtBrut di Losanna (CH) presso il castello diBeaulieu. All’interno del dibattito culturaledi quegli anni nasce un interesse partico-lare per tutte le espressioni artistiche nonaccademiche, nella logica della salva-guardia della capacità espressiva senzacondizionamenti di sorta. Da qui l’interesseper l’arte africana, l’arte orientale, iprodotti pittorici dell’infanzia e dei malati

mentali. Oggi, questo tipo di espressioneartistica, libera dai condizionamenti acca-demici e dal mercato, è definita Outsider Arto Arte irregolare.

Il Surrealismo, a seguito delleconoscenze della Psicanalisi, esprime inchiave simbolica i moti dell’Inconscio.

Pittori come Van Gogh, Munch, Kirch-ner, Schiele hanno esperienze dirette o in-dirette della malattia mentale ed ognunodi loro esprime nella propria Arte il disagioesistenziale ed i propri fantasmi interiori.

Nella seconda metà del ‘900 grazie a Ce-sare Zavattini, Marino Mazzacurati, Vit-torino Andreoli, Bianca Tosatti e GiorgioBedoni emergono dal contesto psichiatricoitaliano nomi di Artisti quali: Antonio Li-gabue, Carlo Zinelli, Tarcisio Merati, PietroGhizzardi, Agostino Goldani.

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Fig. 1: Cm 22x16 – tecnica mista Fig. 2: Cm 22x16 - tecnica mista

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In ambito psichiatrico nascono vari ap-procci metodologici rispetto alla produ-zione artistica dei pazienti. Max Simon,Morselli, Prinzhorn, Fay, Vinchon, Ey, Cesarpropongono come paradigma di letturauna classificazione rigida con propri codicisemiologici per approfondire la relazionetriangolare: Paziente-Codice-Medico.

Solo negli anni ‘50-‘60 del secolo scorsopsichiatri come Bobon, Maccagnani, An-dreoli passano da un approccio metodolo-gico sincronico o strutturale a un metododiacronico o longitudinale dove gli aspettigrafico-pittorici divengono l’espressionedella storia clinica o psico-dinamica del pa-ziente e, dunque, oggetto della psicanalisi odella psichiatria ad indirizzo psicoanalitico.In quel periodo si hanno inoltre sia un ap-proccio psico-farmacologico con Macca-

gnani, Cazzullo,Volmat sia un approcciopuramente artistico con E. Kris e S. Arieti.

Vittorino Andreoli nella psicopatologiadell’espressione grafico-pittorica intuiscela valenza di una prima fuga dalla Psichia-tria classica che porterà successivamenteagli ateliers di Arte-terapia presso variestrutture psichiatriche (S. Salvi a Firenze,Reparto Psichiatrico Guardia 2° del Policli-nico di Milano, Ospedale Psichiatrico diReggio Emilia, Ospedale Psichiatrico Giudi-ziario di Castiglione delle Stiviere-MN,ecc.). Questa nuova sensibilità verso le mo-dalità comunicative di ogni persona, so-prattutto in ambito psichiatrico, è unulteriore elemento che permette il matu-rare della legge 180 del 1978 voluta forte-mente da Basaglia.

Come scrive Ernst Kris la creazione ar-

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• 89 •Outsider Art e disagio psichico, S. Perini

Fig. 3: Cm 8x18 - tecnica mista Fig. 4: Cm 14x20 - tecnica mista

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tistica è un mezzo espressivo uguale o su-periore alla parola. Si sviluppa con sempremaggiore pregnanza il concetto che il Di-segno sia un equivalente della comunica-zione non verbale e, pertanto, allarga lepotenzialità di conoscenza del paziente. Neconsegue che la Psichiatria più modernavalorizza sempre più anche questa moda-lità di comunicazione non verbale.

Anche nell’esperienza dell’ atelier diPittura nel Day Hospital Cl. PsichiatricaGuardia 2° del Policlinico di Milano emergecon forza che la funzione espressiva comu-nicativa dell’attività figurativa permetteuna dimensione catartica ed una libera-zione dei “fantasmi interni” rivelando unaintelaiatura relazionale diversa nel pa-ziente psicotico.

La triade comunicativa diventa: Pa-ziente emittente > elaborato artistico >

operatore-ricevente.Lo stesso Bobon afferma che l’uso del

disegno diviene una espressione del pa-ziente che vuole comunicare.

A sua volta, il critico Dino Formaggio af-ferma come l’osservatore deve compren-dere per intuizione partecipe.

Gianni Scalia ci mette in guardia sul ri-schio della Psichiatrizzazione dell’Esteticoo, al contrario, della Estetizzazione delloPsichiatrico. Lo stesso Scalia propone dicongedare il concetto di “arte psicopatolo-gica” sia in senso Estetico sia in senso Psi-chiatrico verso un approccio antropo-analitico, considerando coloro che produ-cono le opere come portatori di esperienze“altre” nel modo di essere e nel linguaggio.

Achille Bonito Oliva commenta l’attivitàdel Centro Attività Espressivo La Tinaia diS. Salvi di Firenze, affermando che in que-

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Fig. 5: Cm 17x23 - tecnica mista Fig. 6: Cm 15,5x23 - tecnica mista

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sto atelier si utilizzano tecniche al serviziodi un bisogno espressivo che non conoscealcuna perizia eccetto l’involontaria ten-sione verso l’immagine, spesso allucinataper una condizione interna. Inoltre ricordacome tutti gli stili dell’arte contemporaneapartono da una necessità intrinseca diespressione senza mediazioni culturali odaccademiche.

Voltolini del S. Lazzaro di Reggio Emiliascrive come le opere grafiche siano unmezzo comunicativo del Paziente con sestesso, un mezzo per la liberazione dellapropria energia, un mezzo per la integra-zione ed il rinforzo dell’IO.

Per quanto concerne l’approccio allalettura delle espressioni grafico-pittoricheè opportuno ricordare quanto scritto da al-cuni Autori:

B. Lehale individua tre metodi di ap-proccio: 1) Genetico di tipo biografico; 2)Strutturale, in cui si valuta il fantasma sot-togiacente a una o più opere; 3) Psico-bio-grafico con l’interazione tra l’uomo e la suaopera, nella quale si prendono in conside-razione le motivazioni inconsce, le circo-stanze biografiche collocate nel contestoculturale e sociale del paziente e si inter-pretano le opere come le associazioni li-bere della cura analitica.

S. Freud nel libro Un ricordo d’infanzia diLeonardo da Vinci afferma che alla base dellagenesi dell’attività artistica del pittore cisono i primi anni di vita e la sublimazionedella libido, energia che trova il suo soddi-sfacimento da uno scopo sessuale ad unonon sessuale.

L.S. Vygotskij afferma che i desideriproibiti e censurati dal super-Ego (Co-

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• 91 •Outsider Art e disagio psichico, S. Perini

Fig. 7: Cm 22x22 - tecnica mista Fig. 8: Cm 10x9 - tecnica mista

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scienza) raggiungono, grazie all’arte, laloro soddisfazione nel piacere della formaartistica, ripudiando così il pan-sessuali-smo e il primato dato all’infanzia e riba-dendo l’importanza dell’ Ego (Conscio)come fattore attivo.

M. Klein afferma come l’opera d’arte siaun tentativo di restauro dell’oggetto fanta-smatico di amore-odio distrutto.

Chassenet-Smirgel scrive come attra-verso l’arte si giunga ad una “riparazione”del soggetto stesso.

De M’Uzan afferma come durante l’attocreatore dell’opera pittorica il paziente ri-trovi l’integrità dell’Io dopo la frattura.

E. Kris sottolinea come la funzione inte-gratrice dell’IO comprenda la possibilità diuna regressione auto-controllata nell’In-conscio.

Altri Autori sottolineano l’importanzadel codice simbolico che spesso sottende laproduzione artistica:

per Groddeck si tratta di un codice indi-viduale che riunifica le forze di dispersionepresenti nell’individuo; per Jung, invece sa-rebbe elemento della lingua universale del-l’inconscio collettivo caratterizzato dagliarchetipi; per Arnheim qualsiasi elementorappresenta qualcosa che ne travalica l’esi-stenza particolare, mentre per Gombrich èl’IO che impara a trasmutare e canalizzaregli impulsi dell’ID per cristallizzarsi nelleopere d’arte.

Un altro aspetto riguarda la relazionetra colui che produce e colui che usufrui-sce del prodotto grafico-pittorico:

per Green l’opera è un oggetto trans-narcisistico, fenomeno di identificazione

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Fig. 9: Cm 19x11 - tecnica mista Fig. 10: Cm 33x23 - tecnica mista

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tra chi crea e il pubblico; per Dino Formag-gio artista e pubblico mostrano il proprioinconscio nello specchio dell’arte.

Silvana Crescini, conduttrice dell’atelierdell’OPG di Castiglione delle Stiviere, ha de-scritto l’importante lavoro svolto con nu-merosi pazienti là ricoverati che, tremattine alla settimana, possono dedicarsiliberamente all’espressione grafico-pitto-rica proiettando nelle loro produzioni leproprie angosce e i loro fantasmi, oggettopoi di valutazioni clinico-diagnostiche daparte dei medici psichiatri.

Autorizzato dalla vedova del Pittore, ri-porto alcune immagini pittoriche di Ago-stino Goldani, paziente ricoverato pressol’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Bre-scia e lì deceduto il 30/9/1977 all’età di 62anni con diagnosi di “ipocondria psico-tica”.

Goldani ha dipinto dagli anni ‘50 al 1977circa 2500 opere pittoriche utilizzando car-toncini di piccole-medie dimensioni ritro-vate in due cassapanche nel suo atelier dilavoro. Opere mai vendute e prodotte perse stesso lavorando ogni giorno in solitu-dine, mentre la moglie si spostava a Bresciaper mantenere l’economia della famiglia.

Il caso è stato scoperto dopo la suamorte ed è stato studiato secondo l’ap-proccio psico-biografico, approfondendocon la vedova e i familiari le motivazioni in-consce, le circostanze biografiche e consi-derando le opere come le associazionilibere della cura analitica.

Seguono alcune brevi descrizioni inchiave psico-dinamica di alcune opere.

L’opera n° 1 esprime la frattura della fi-gura umana intesa come un puzzle che sem-bra indicare comunque, una via salvificatramite un’area sulla fronte come un “terzoocchio” che indica l’invito ad approfondirele sue problematiche affettivo-emotiverapportandosi con il cervello, sede dellamente e delle emozioni.

La figura n° 2 è un apparente paesaggiodove è dipinta una casa, sede dell’intimitàdelle proprie emozioni, divisa in due partida un albero morto quasi a simboleggiarela morte psichica che taglia la sua intimitàin due. Ma anche qui è possibile rilevare unrichiamo di aiuto nella strada sterrata che

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• 93 •Outsider Art e disagio psichico, S. Perini

Fig. 11: Cm 30x42 - tecnica mista

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esce dall’opera e che sembra indicare unavia alternativa di comunicazione.

La figura n°3 rappresenta un angosciosourlo silente a seguito di una pugnalatanello sterno: da notare, come ulteriore di-sagio psichico, il cognome diviso in due:Gol-Dani.

Nella fig. n° 4 si apprezza uno sfondopaesaggistico di grande interesse pittoricoe delle figure in primo piano che espri-mono solitudine e incomunicabilità.

Il quadro n° 5 pone in rilievo la “prepo-tenza” di un grande vaso di fiori rispetto adun piccolo vaso che viene compresso ed an-nichilito impedendo al piccolo alberello dicrescere serenamente. Notare la firma delpittore all’interno del piccolo vaso ad indi-care la sua difficoltà a crescere e ad espri-mersi.

Nella figura n° 6 è evidente un Cristosofferente con lacrime di sangue, chiaraproiezione delle sofferenze dell’Autore.

Nella figura n° 7 dipinta su un tondocartonato di una torta, si notano varie fi-gure sicuramente allegoriche, alcune leg-gibili, altre simboliche, tra cui un uccellocentrale che guarda verso l’esterno e sem-bra controllare la situazione, una figurafemminile che osserva l’uccello, un’altra fi-gura in una fotografia incorniciata ed al-cuni frutti con un fico in primo piano.

Nella figura n° 8 è notevole la testa az-zurra dipinta a spatola che osserva il suo

Alter Ego come un gioco di specchio psico-dinamico.

Nella figura n° 9 è evidente la dispera-zione esistenziale dell’Artista che definiscela sua espressione pittorica come “Arte di-sperata”, quasi come una necessità intrin-seca di esprimere il proprio disagio percercare di mantenere un proprio precarioequilibrio.

Nella figura n° 10 l’autore proietta il suodisagio rispetto alla propria identità diruolo sessuale.

La fig. n° 11 esprime una sorta di ango-scia di castrazione mostrando una boccaaperta con chiari riferimenti anatomici algenitale femminile e, pertanto, al mitodella “vagina dentata”.

Da questa breve carrellata sulla produ-zione artistica di Goldani si può intuire lagrande potenzialità comunicativa di tantepersone che mandano segnali di ricerca dicontatto spesso inascoltati e sta a ciascunodi noi, al di là del ruolo profano, coglierequesta necessità specificamente umana.

Sarebbe auspicabile una maggiore dis-cussione sul tema sull’Outsider Art perchéporterebbe ad un dibattito culturale es-tremamente interessante, focalizzandocosì il concetto stesso di Arte e dei suoicanoni e ponendo in discussione il Mercatostesso dell’Arte. Tale indirizzo coinvol-gerebbe inoltre un settore della Medicina,quale la Psichiatria, in un dibattito cultu-rale sulla gestione dei pazienti e delle loromodalità comunicative e terapeutiche.

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La simbologia dei Tarocchi è ben più complessa di quantopossa immaginare chi li utilizza come semplici carte da gioco.Le carte principali (la papessa, l’appeso, ecc.), da sempre uti-lizzati per la divinazione dai cartomanti, da soli o combinati agli altri segni, riman-dano direttamente ed esplicitamente ad astrologia, alchimia e alle scienzetradizionali. Gli apparati concettuali delle discipline tradizionali leggono ogni ele-mento della vita come collegato ad un’unica dimensione cosmica. Anche i Tarocchi,in questa prospettiva, possono dire qualcosa sull’intima essenza della persona, sulladimensione iniziatica dell’individuo e sul senso complessivo del suo essere-nel-mondo.La riflessione sul rapporto uomo-mondo proprio della tradizione massonica può es-sere reinterpretata anche attraverso una rilettura dei simboli dei Tarocchi, impresache è stata praticata in questo volume sia attraverso la composizione di un mazzo di78 Tarocchi completo di Arcani maggiori e minori, sia attraverso una spiegazioonedettagliata dei contenuti simbolici.

MMIICCHHEELLEE MMAARRZZUULLLLIIIl segreto dei Tarocchi massoniciIntroduzione di Claudio BonvecchioCon poesie di Morris L. GhezziCon le 78 carte dei TarocchiMimesis Edizioni, Milano-Udine, 2010, pp. 152 + Tarocchi, € 30,00

Segnalazioni editoriali

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AA CCUURRAA DDII PPAAOOLLOO SSCCAARRPPIILa rivelazione segreta di Ermete Trismegisto. Vol I.Fondazione Lorenzo Valla e Arnoldo Mondadori Editore, Torino, 2009, pp. 543

Un essere immenso appare a un uomo tutto teso verso l’essenzadelle cose e gli domanda cosa voglia “udire e vedere e poi ap-prendere e conoscere grazie alla contemplazione”. È Poiman-dres, il Nous del dominio assoluto. Il suo interlocutore glirisponde: “Voglio essere istruito intorno agli esseri, compren-derne la natura e conoscere dio”. Tutto allora gli si svela, tuttosi trasforma in una luce serena e gioiosa della quale egli si in-

namora. Così inizia il primo Trattato, il Poimandres, del Corpus Hermeticum: una delleraccolte di testi più fortunate e influenti che la tarda antichità ci abbia lasciato. La suastoria è essa stessa un’avventura. Già attribuita al “tre volte grande” (“trismegisto”,appunto) Ermes - il dio della scrittura, dell’astrologia e dell’alchimia che risulta dal-l’associazione, presente sin da Erodoto, della divinità greca con l’egizio Thoth - essaè ritenuta antica quanto se non più di Mosè, e interpretata come prefigurazione delCristianesimo. In realtà, la redazione dei testi sembra risalire ai secoli fra il I e il IVdella nostra èra, mentre una parte, l’Asclepius - un trattato di magia che riporta lepratiche dei sacerdoti egizi - circola già nel Medioevo occidentale nella traduzione la-tina ritenuta di Apuleio. Ma nel 1460 l’originale greco giunge nelle mani di Cosimo de’Medici, che ordina subito a Marsilio Ficino di dimenticare Platone e dedicarsi al Cor-pus. Ficino completa l’opera nell’aprile del 1463 e riceve come compenso una villa aCareggi. Nel Seicento, la paternità e vetustà dell’opera sono infine demolite, a colpidi filologia, da Isaac Casaubon. Per secoli, però, la sua influenza è fondamentale: dapico della Mirandola a Hieronymus Bosch, da Peter Bruegel a John Milton, da Gior-dano Bruno a Isaac Newton, e più tardi ancora sino a William Blake, artisti e intellet-tuali coltivano l’ermetismo. Ermete trova il suo posto persino sul pavimento delDuomo di Siena. Ed è certo difficile resistere al fascino della sua rivelazione segreta,nella quale teologia e cosmologia si mescolano allo studio dell’uomo e alla dottrinadell’anima, dove demonologia e astrologia si fondono. Dove si parla del Principio edella Fine, e si prospetta una via di Salvezza.La Fondazione Valla pubblica La rivelazione segreta di Ermete Trismegisto in due volumi,il primo dei quali contiene, oltre ai Trattati tradizionali, anche le Definizioni armenee gli Estratti di Stobeo.

• 96 •SEGNALAZIONI EDITORIALI

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Tra i più noti e influenti intellettuali del nostro tempo, in que-sta intervista Zygmunt Bauman ripercorre alcune tappe fon-damentali del suo itinerario teorico, fornendo delleindicazioni preziose per comprendere le trasformazioni chehanno investito le tradizionali coordinate politico-culturalidella società in cui viviamo. Bauman ci sollecita a interrogarci sulle nuove forme disovranità politica, sui pericoli del “comunitarismo”, sul rapporto tra individuo e so-cietà, sulle diverse manifestazioni della globalizzazione, sul passaggio dallo Stato so-ciale allo Stato penale, sull’importanza del laboratorio politico europeo e sul sensostesso della modernità.

ZYGMUNT BAUMANModernità e globalizzazioneIntervista di Giuliano BattistonEdizioni dell’asino, I libri de Lo Straniero, Piccola bibliotecamorale, 2009, Roma, pp. 152, € 12,00

Il benvenuto, Roberto GiustiUsi e costumi degli Ebrei di Pitigliano, Stefano ArietiLe comunità ebraiche nei feudi di confine e la loro confluenza inquella di Pitigliano, Angelo Biondi“Giacobini” di Pitigliano nel 1799, Davide ManoSalvare o rubare le anime?, Anna Maria IsastiaGli Ebrei di Pitigliano, città rifugio, città dell’ospitalità, Giovanni GrecoLa mostra “Il nodo d’amore”

A CURA DI ROBERTO GIUSTI E GIOVANNI GRECOPitigliano “La Piccola Gerusalemme” terra della libertà e dell’acco-glienzaAtti del convegno “3 giorni a Pitigliano”, 22-24 maggio 2009,San Giovanni in Persiceto, 2010, pp. 101

SEGNALAZIONI EDITORIALI• 97 •

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• 98 •SEGNALAZIONI EDITORIALI

IILL PPEENNSSIIEERROO MMAAZZZZIINNIIAANNOODemocrazia in azioneAnno LXV - numero 1 - Gennaio-Aprile 2010

EEddiittoorriiaallii ee ccoommmmeennttiiTorniamo allo spirito della Costituzione Repubblicana, M. Di NapoliXXV Aprile, R. BrunettiI Mille e noi, R. BalzaniLa prima emergenza: ricostruire l’unità morale degli Italiani, P. Ca-ruso

PPrriimmoo RRiissoorrggiimmeennttooLa Repubblica Romana: Stato sovrano, dotato di personalità giuridica internazionale, L. OrsiniLa stella al merito garibaldino, AnvrgHofer, Mazzini e il Tirolo, R. PancaldiMazzinianesimo e positivismo in Achille Sacchi “Il medico che si batte” (1827-1890), G. Reggiani

115500°° ddeellll’’UUnniittàà dd’’IIttaalliiaaDieci ritratti per Giuseppe Pecchio, C. ColomboLa Storia è scesa in piazza, S. SamorìRisorgimento conteso - intervista a Massimo Baioni, S. Mattarelli

SSeeccoonnddoo RRiissoorrggiimmeennttooIl valore del 65° anniversario della Liberazione, M. Artali

TTeerrzzoo RRiissoorrggiimmeennttooCristiani, socialisti e unità europea, M. BarnabèLiberiamo Jafar Panahi, La RedazioneL’altro Risorgimento, F. Missiroli

SSttuuddii RReeppuubbbblliiccaanniiLa Repubblica Romana in pericolo, S. SamorìDall’imperativo categorico all’utilitarismo: la morale di Kant e di Mill, L. Naccarati

SSoocciieettàà ee CCuullttuurraaChi era il profeta Al Mansùr che fu leader islamico della Cecenia?, F. Manicardi

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Nathan il sindaco che sfidò il clerical-conservatorismo, L. BagatinMotivi risorgimentali nella poetica di Biagio Marin, S. Pozzani

RRaaccccoonnttii mmaazzzziinniiaanniiUn’altra idea della letteratura di fine XX secolo, G. Matteini

LLiibbrrii,, CCuullttuurraa ee SSoocciieettààLa voce del Mezzogiorno, La RedazioneFra gli scaffali, A. SfientiRecensioni, D. Mirri e A. PendolaL’opzione - Lettere di Luigi Bertelli e dei suoi corrispondenti, M. OstencRiletture - Un editoriale della rivista Nord-Sud, F. Compagna

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Quello che ora vi dico, non lo potete comprendere in questo momento,ma lo comprenderete più tardi

Leo Taxil

Dopo essersi convertito solennemente al clericalismo, l’ex-massone Leo Taxil svela i misteri e i rituali della Massoneria esostenuto da Prelati, Monsignori, Vescovi e Cardinali sarà per dodici anni animatoredella lega Anti-massonica di cui Papa Leone XIII benedirà il Congresso di Trento(1896). La sua burla antimassonica si tramuta però in un terribile scacco per i Cleri-cali. Una fonte non tanto sulla Massoneria, ma, piuttosto, sulla credulità e l’ignoranzadi coloro che si lasciarono ingannare.

LEO TAXILI misteri della MassoneriaEdizioni Excelsior, 2010, Milano, pp. 429, € 18,50

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Il titolo di questo libro riprende l’acclamazione popolare cheaccompagnava il passaggio dell’ultimo esponente della fami-glia nato e tragicamente morto a Ravenna il 29 novembre 1856per mano assassina, quel giovane e coraggioso Francesco Lova-telli che è stato tra i principali protagonisti del Risorgimentoin Romagna, apprezzato per le sue qualità intellettuali e moralie per la sua autorevolezza, riconosciutagli anche da Mazzini.

La biografia, ancora mai scritta, di questa vittima emblematica delle contraddizionidella sua epoca costituisce la parte fondamentale di questo lavoro, inserita nella ri-costruzione scrupolosa della storia della famiglia Colombi, poi divenuta Lovatelli, fa-miglia che è stata per oltre tre secoli strettamente intrecciata con la storia di Ravenna,da quando all’inizio del XVI secolo essi vi si trasferirono, o secondo molti vi ritorna-

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GGIIUUSSEEPPPPEE RROOSSSSIIUna storia ravennate. Il Circolo Ravennate e dei Forestieri, 1860-2010.Prefazione di Massimo Stanghellini Perilli. Postfazione di An-tonio Patuelli.Longo Editore, Ravenna, 2010, pp. 113, € 15,00

Il Circolo Ravennate e dei Forestieri mantiene viva la più altatradizione associativa cittadina, promovendo attività cultu-rali e ricreative negli esclusivi locali della propria prestigiosasede, il Quattrocentesco Palazzo Rasponi, collocato nella ZonaDantesca tra Via Corrado Ricci e Via Guido da Polenta.Si perpetua, ancora oggi, l’attività di un antico sodalizio - IlCircolo Ravennate, sorto nel 1860 - avendone recuperato i

principi fondanti con la moderna cultura positiva dello star bene insieme.Il Presidente Rossi ha ben ricostruito qui la bella storia del Circolo, così richiamandonei nostri Soci l’orgoglio dell’appartenenza, in altri Ravennati e Forestieri l’ambizionedi farne parte, nella nostra Città la consapevolezza di avere sempre avuto all’internodel proprio centro un’Associazione assai significativa per la vita sociale ravennate,tra il XIX e il XXI secolo.

Dalla Introduzione del Consiglio Direttivo del Circolo Ravennate e dei Forestieri

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FFRRAANNCCEESSCCOO LLOOVVAATTEELLLLIIViva il conte Checco, Re d’Italia. La famiglia e la vita di un grande ra-vennateLongo Editore, Ravenna, 2010, pp. 287, € 18,00

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Festa dello Statuto e 20 settembre; 9 febbraio e 10 marzo;Primo maggio e 15 maggio; 24 maggio, 4 novembre, 28 otto-bre; e ancora, 25 aprile e 2 giugno. Sono giornate-simbolo, al-cune ormai pressoché dimenticate, altre al centro ancora di undibattito controverso, che in questo libro sono studiate nellavarietà di significati e di implicazioni che hanno avuto in oltreun secolo di storia ravennate. Attraverso una folta documentazione, la ricerca esplorail ricchissimo e vivace universo di feste e commemorazioni civili, che hanno segnatole culture politiche cittadine e il loro rapporto con gli eventi fondativi della memoriapubblica nazionale e locale.Nel lungo periodo della storia unitaria, quello compreso tra la proclamazione delregno d’Italia e i primi decenni della democrazia repubblicana, anche a Ravenna lalegittimazione e la “messa in scena” della politica sono state sottoposte a forti cam-biamenti. L’evoluzione del sistema politico nazionale e dei suoi riferimenti simbolici,la pressione di grandi eventi esterni (le guerre), le dinamiche sociali e culturali con-nesse alla modernità, lo sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione: tutto ciò ha ri-chiesto un continuo adeguamento della tipologia e dei linguaggi dei rituali allenumerose trasformazioni in corso. Tra le manifestazioni del mito risorgimentale difine Ottocento, le parate imperiali di epoca fascista e le celebrazioni della Resistenza

MASSIMO BAIONIRituali in provincia. Commemorazioni e feste civili a Ravenna (1861-1975).Longo Editore, Ravenna, 2010, pp. 374, € 25,00

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rono, da Venezia. Basti pensare che ai due figli del capostipite Zanetto, nati a Vene-zia, si deve la riapertura del canale navigabile utilizzato per il trasporto del sale diChioggia e di altre derrate da Ravenna al Po, grande opera in cui erano stati precedutisolo dall’imperatore Augusto. Esponenti della famiglia furono costantemente pre-senti nel governo cittadino: dopo oltre due secoli il primogenito Ippolito fu insignitodal Papa della carica di Castellano della Rocca Brancaleone, per i grandi meriti di eru-dito illuminato e di abile politico, di mecenate e collezionista d’arte, infine di bene-fattore della città grazie a molte opere da lui promosse.L’intento di riproporre e meglio far conoscere la figura di Francesco Lovatelli valeanche per la sua famiglia, che ha abbandonato Ravenna dopo la sua morte per non piùtornare, ma che comunque ha avuto nel più recente passato esponenti che si sono di-stinti nel servire con onore quello stato unitario e libero dallo straniero che egli avevatanto agognato.

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negli anni dell’Italia repubblicana gli scarti sono evidenti. Al tempo stesso il libro evi-denzia i robusti elementi di continuità, verifica sul campo la persistenza e l’adatta-mento di modelli collaudati in tema di interpretazione della storia e di suarappresentazione nello spazio pubblico. Si tratta dunque di un osservatorio che, evi-denziando alcune componenti basilari dell’alfabeto politico locale, permette di co-gliere anche le radici storiche del marcato protagonismo associativo, vero trattoqualificante dell’identità cittadina e del suo territorio.

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Il lettore di provincia. Testi, ricerche, critica.Rivista semestrale, anno XL, fascicolo 132/133A. Longo Editore Ravenna, gennaio/dicembre 2009

Garibaldi: mito e storia

Riflessi romantici nell’arte della guerra di Giuseppe Garibaldi, Sal-vatore CapodieciL’uomo che fece l’impresa. Appunti su mito e storia di Giuseppe Ga-ribaldi, Marino BiondiGaribaldi poeta (?), Pantaleo PalmieriIl coinvolgimento delle masse nell’ideale unitario nazionale attra-

verso l’uso della scrittura. Scrittori professionisti e scriventi comuni in area salentina, FrancaTondo

Un brivido, nell’Ade (troppo - troppo poco - amate), Francesca FavaroTemi e figure ricorrenti, Franco Fido“Tutto mi interessa di lui”. Alfredo Grilli-Vittoria Abeti (1955-1959), Gianandrea ZanoneRiletture shakespeariane post-traumatiche, Valentina AdamiLa cultura soffocata, la civiltà soffocante in 1984 di George Orwell e Brazil di Terry Gilliam,Laura ApostoliEugenio Montale nella storia della letteratura italiana, John ButcherIntroduzione alle prime tre raccolte di poesie di Angelo Mundula, Renzo CauBertolucci o della cara, amata poesia, Walter Della Monica

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Un’opinione che non è lecito esaminare - osserva Luisella Battaglia - sarà destinata a di-venire un dogma morto anziché una verità viva.

Alla luce di tale assunto l’Autrice prende in esame istanze tra loro tradizional-mente lontane e contrapposte – liberalismo e aristotelismo, eguaglianza e differenza,libertà e conflitto, universalismo e particolarismo, etica dei diritti ed etica della cura– in vista di una loro dinamica composizione, alla luce della cifra dell’ambiguità. In talmodo, l’indagine qui presentata assume le sembianze della ricerca socratica, di unacontinua messa in discussione dei traguardi momentaneamente raggiunti. In ciò èracchiuso il significato di Bioetica senza dogmi, nel rifiuto, cioè, di inseguire una “veritàdefinitiva”, incontrovertibile, e nella ferma volontà di suggerire uno strumento di in-dagine valido in tutte le situazioni critiche con cui la bioetica contemporanea è co-stretta a misurarsi. Un libro, insomma, del tutto insoddisfacente per chi è alla ricercadi “ricette infallibili” di comportamento, adatto, invece, a coloro i quali, fermi nellacertezza che “pensare significa sempre esaminare e domandare, ossia scuotere gliidoli”, ambiscono a trovare strumenti di indagine liberi da ogni condizionamento po-litico-religioso. È così che il rifiuto della ricerca di una “verità assoluta” in campoetico, tanto affascinante quanto pericolosa, lascia spazio all’utilizzo di una ragion pra-tica che, rifiutando ogni forma di intellettualismo, si presenta come ragione aperta,

LUISELLA BATTAGLIABioetica senza dogmiRubbettino, Soveria Mannelli 2009, pp. 357, € 20,00

di Alma Massaro

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come “dialogo senza fine”. Uno strumento che ci permette di giudicare criticamentele nostre abitudini e tradizioni e di mantenere solo quelle che, tra esse, rispondonoalle richieste di coerenza e giustificazione; adatto, inoltre, a sanare i conflitti che na-scono tra le possibilità sorte dai progressi tecnologici e le fissità dell’apparato etico-legislativo. Come afferma l’Autrice:

mai come oggi c’è bisogno dell’aristotelica fronesis, ovvero di quell’arte della ragionpratica consapevole che i principi ultimi di un sistema morale, pur se enunciati con lamassima precisione, non sono in grado di offrire risposte prive di equivoci a tutti i pro-blemi che si pongono gli uomini nell’infinità varietà delle situazioni concrete.

Quelle situazioni, cioè, che si originano dalle nuove scoperte scientifiche: “la sfidaall’ordine naturale”, osserva Battaglia, “allarga il campo della nostra libertà e, con-seguentemente, quello della nostra responsabilità”; e aggiunge che “l’uomo ha ac-quisito nuovi poteri, ma conosce, nel contempo, una nuova precarietà”, ovvero lacontinua messa in discussione dei propri assunti morali. Alla presa di coscienza delladinamicità dei nostri apparati etici e normativi si accompagna, così, la necessità di for-mulare in modo laico il nostro pensiero etico e bioetico. A tale esigenza il testo inquestione fa fronte presentando una rilettura dell’insegnamento aristotelico – pre-stando particolare attenzione ai concetti di telos e eudaimonia – in chiave liberale e in-tegrando il liberalismo con i concetti di cura, diritti e capacità. Le ricadute di unasimile prospettiva per il pensiero bioetico contemporaneo sono forti e si presentanosu diversi piani: a livello metodologico, si ha la valorizzazione dell’argomentazione edel pluralismo, ma anche della immaginazione narrativa e dell’empatia; a livello nor-mativo, l’individuazione di principi guida, quali l’autonomia, il danno, la benevolenza,ma pure la fioritura, l’interdipendenza e l’asimmetricità; infine, a livello filosofico-antropologico, una visione ispirata sia a un’etica della responsabilità, attiva e ragio-nevole, sia a un approccio delle capacità. Inoltre, tale approccio fa ricorso ad unaragione che va oltre i limiti di razza, di genere e di specie, come dimostra l’applica-zione, in senso interspecifico, dell’approccio delle capacità.

A una prima enunciazione, infatti, di vita buona, come quella vita realizzata in tuttele capacità che un essere umano – inteso come individuo adulto di sesso maschile –ritiene importante realizzare, seguono due rivisitazioni di tale definizione: dapprima,si sostituisce all’ideale androgino di essere umano un soggetto neutrale nella molte-plicità di genere, razza e abilità; successivamente, si attua un ampliamento in sensointerspecifico di tale definizione – le capacità, adesso, sono relative a ciascun essereanimato, nessuno escluso. L’approccio delle capacità, pertanto, riconoscendo il prin-cipio normativo “nel rispetto e nella realizzazione di un insieme di capacità fonda-

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mentali”, presenta una concezione del bene “imperniata sulle capacità, consideratecome oggetti meritevoli di apprezzamento”. Il concetto di vita buona diviene il pa-rametro con cui misurare il benessere umano e animale e la felicità è intesa come rea-lizzazione delle capacità proprie di ciascun individuo.

Al liberalismo perfezionista di J. S. Mill – che ci fornisce i principi dell’autonomiaindividuale e della beneficenza uniti alla considerazione della differenza come fontedi ricchezza per la società e della cura come “dimensione fondamentale dell’esistenzaumana” – l’Autrice collega, dapprima, la considerazione simmeliana del conflittocome “scuola dell’io”, come simbolo della ricchezza dell’esistenza umana; successi-vamente, la riscoperta, avvenuta in ambito femminista, del valore della differenza,letto alla luce della cifra della somiglianza, al fine di evitare i rischi tanto dell’omolo-gazione quanto della frammentazione a favore di un “universalismo sensibile alle dif-ferenze”. Apporti particolarmente proficui per il discorso bioetico: dal filosofo tedescoderiva, infatti, una considerazione positiva del confronto tra opposte posizioni, chevede nell’argomentazione derivante dal dialogo lo strumento per arrivare alla me-diazione necessaria, seppur temporanea, tra le istanze delle opposte fazioni. Dal pen-siero femminista deriva, invece, l’attenzione verso ogni forma di ingiustizia – lottacontro ogni forma di discriminazione, razziale, sessuale e di specie contro il rischiodi un’antropologia egualitaria – e la considerazione dell’importanza dell’etica dellacura – intesa non come valore prettamente femminile ma “come dimensione fonda-mentale dell’esperienza umana, colta nella sua relazione indispensabile con i diritti”,in vista di un’integrazione di diritti e cura.

Dalla prospettiva di genere la bioetica eredita, inoltre, il tema della vulnerabilitàcome condizione esistenziale che accomuna il vivente nel suo insieme: al mito del-l’eterna autonomia si preferisce l’idea di un io in relazione, interdipendente. La presadi coscienza della vulnerabilità della vita umana, anziché destabilizzare e creare in-sicurezze, è vista in chiave costruttiva come momento per affermare il dovere di so-stenere coloro che hanno più difficoltà a realizzare le proprie capacità.

L’idea di cittadinanza come contratto tra eguali è, così, svelata in tutta la sua in-sufficienza: occorre pensare tale paradigma allargando la prospettiva attraverso il va-lore della cura.

È, inoltre, doveroso, ai fini di delineare i contorni di quest’opera, menzionare, oltrealla ricchezza dei temi trattati e alla peculiarità della prospettiva adottata, il fermoequilibrio che l’Autrice riesce a stabilire tra le istanze della ricerca teorica e le realiesigenze della vita vissuta. Facendo proprio l’argomento habermasiano per cui “nonpossiamo fare nessuna considerazione normativa senza prima aver assunto la pro-spettiva della persona interessata”, l’intera trattazione si svolge a partire dalla con-siderazione del profondo senso di rispetto dovuto a chi, nella vita reale, certe scelte

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IIRRÈÈNNEE MMAAIINNGGUUYYLe iniziazioni e l’iniziazione massonicaEdizioni Mediterranee, Roma, 2001

di Bernardino FioravantiBibliotecario del Grande Oriente d’Italia

Il volume di Irène Mainguy Le iniziazioni e l’iniziazione massonica,pubblicato nel 2001 e ampliato con l’edizione del 2008 è statoin breve tempo tradotto per il pubblico italiano, offrendo a co-loro che non conoscevano i suoi scritti un’opportunità di ap-profondimento e a tutti gli altri un’occasione per rileggere i

suoi lavori dedicati al simbolismo e alla ritualità massonica.

Con questa opera Irène Mainguy intraprende un viaggio sul concetto di iniziazionenella storia e nelle diverse latitudini, soffermandosi sulla specificità dell’iniziazionemassonica. Nel volume La nascita mistica. Riti e simboli d’iniziazione, lo storico delle re-ligioni Mircea Eliade nel sottolineare come il mondo moderno sia lontano dalle ini-

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è costretto a farle. Da ciò ne scaturisce una trattazione esemplare, una visione riccae complessa accompagnata dalla continua volontà di rimettere in discussione i nostrisistemi di valore contro ogni forma di interpretazione totalizzante e di “atavismoetico”.

Da tutto ciò ne deriva un libro che non vuole concludere un discorso trovando un“bene assoluto” ma, piuttosto, perseguire e incentivare la ricerca del “meglio possi-bile”, attraverso sia la consapevolezza dell’intrinseca dinamicità che possiede taleobiettivo per coloro ai quali è dato di vivere la propria esistenza sulla Terra, sia del-l’assunzione del dubbio come mezzo di comprensione:

Convivere con l’incertezza”, ricorda l’Autrice, “potrebbe rivelarsi un efficace anti-doto contro il fanatismo e l’intolleranza e diventare una forma adulta di educazione.

Un punto di vista compatibile anche con le istanze cristiane della nostra società,le quali, proprio in forza del profondo sentimento di rispetto della vita intesa comedono, sentono forte l’esigenza di indagare la conciliabilità degli sviluppi della scienzacon i principi della propria fede, senza dimenticare il fatto che sacralità non significaaffatto rifiuto del progresso.

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ziazioni di tipo tradizionale, malgrado la presenza di numerose organizzazioni chead essa si rifanno, rileva che in questo panorama la Massoneria si presenta con una“certa coerenza ideologica e ha già una storia e gode di prestigio sociale e politico”.La metodologia della sintesi documentale utilizzata dall’Autrice rappresenta, a mioavviso, un punto di forza di questo lavoro che getta luce sullo stato dell’arte delle ri-cerche fino ad ora uscite su questo tema. Questa tecnica, volta a “riunire ciò che èsparso”, raccoglie le centinaia di studi pubblicati sull’argomento e analizza le diversetesi, anche divergenti tra loro, offrendo una sintesi ragionata ed esaustiva di tutti ipunti di vista presi in considerazione per affrontare il complesso e vasto concettodell’iniziazione, al cui interno si inserisce l’iniziazione massonica. Il lettore seguendoil filo rosso delineato dalla Mainguy riuscirà ad orientarsi sul significato dell’inizia-zione, approfondendo grazie ai preziosi e costanti rinvii bibliografici tutti gli aspettiche più lo hanno sollecitato e interessato. L’autrice, non di meno, si interroga sul valore che nel ventunesimo secolo assume ilconcetto di iniziazione per l’essere umano, rendendo sempre più attuale un tema se-colare che si tramanda da generazioni e che tenta di fornire delle risposte alle do-mande esistenziali di tutti coloro che aspirano a perfezionarsi. La chiave proposta èquella di apprendere come armonizzare le apparenti opposizioni, facendo del mitodell’iniziazione massonica una realtà che può dare senso all’esistenza dell’uomo con-temporaneo che deve confrontarsi con i continui mutamenti del suo tempo. Di grande suggestione il racconto iniziatico finale su Le tre candele di San Giovanni checon il pregnante contributo dell’emblematica e dell’iconografia di testi massonici e dialtre tradizioni aiuteranno il lettore ad operare una preziosa sintesi, grazie anche alpotere unificante del Simbolo.

EELLIIOO OOCCCCHHIIPPIINNTTIII Filosofi del FuocoPer una epistemologia debole dell’alchimiaMimesis Edizioni, Milano-Udine, 2010

di Alessandro Orlandi

I filosofi del fuoco di Elio Occhipinti è un libro che spicca tra i numerosi testi sull’alchi-mia (o di alchimia) per la sua originalità. Le risposte agli interrogativi che l’Autore sipone vengono infatti ricercate lungo un affascinante percorso attraverso il pensierofilosofico e scientifico, dall’antica Grecia ai giorni nostri, con particolare attenzione

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ai recenti sviluppi della fisica e della neurofisiologia. L’alchimia, intesa come para-digma cognitivo è, secondo Occhipinti, una terza via oltre gli schemi logico-razionalidel pensiero filosofico e scientifico da una parte e l’approccio mistico-religioso alla re-altà dall’altra. La peculiarità di questa terza via consiste nella forte interrelazione tral’alchimista e la materia su cui egli opera: essa non può venire trasformata se non ac-cade una trasformazione interiore nell’alchimista stesso.Se nella storia del pensiero umano occidentale l’emergere della coscienza è legatoalla dualità, le categorie ermetiche utilizzate dagli alchimisti sono al contempo corpifisici e rappresentazioni mentali, materia e spirito, Io e Anima Mundi. Citando i fisiciDavid Bohm e John Von Neumann, i principi di indeterminazione di Heisenberg e ilparadosso del gatto di Schroediger, Occhipinti ci ricorda che “ogni particella materialeè dotata di una rudimentale qualità mentale”, che “l’universo è il risultato oggettivodi atti soggettivi (di osservazione)“ e che “una medesima totalità si specializza a voltein oggetti, a volte in pensieri”. La fisica moderna, insomma, suggerisce una fortissimainterazione tra mente, materia e conoscenza del mondo, relazione che gli alchimistidanno per scontata da almeno duemila anni. La loro concezione del mondo è organi-cistica e pone come punto basilare del percorso di ricerca individuale la scoperta el’identificazione dei legami tra macrocosmo e microcosmo.Il libro dà inoltre spazio alla “questione” del linguaggio oscuro e contraddittorio deitesti alchemici, che invece di essere un ostacolo rappresenta per l’Autore un mezzopropedeutico non tanto necessario alla scoperta di una “ricetta” operativa quanto unsistema per rompere gli abituali schemi logico-razionali e permettere all’alchimista-lettore di aprirsi a nuove e diverse modalità conoscitive. Un ruolo decisivo in questaimpresa viene giocato dall’immaginazione attiva, sulla quale tanto ha scritto HenryCorbin parlando dell’alchimia araba. L’immaginazione attiva, viene ipotizzata comelo strumento attraverso il quale gli alchimisti si pensavano capaci di intervenire sullarealtà: questa sarebbe la chiave per comprendere come essi potessero credere di cor-porificare lo spirito e spiritualizzare la materia. L’ultima parte del libro è positiva-mente centrata sul ruolo che l’alchimia può ricoprire per l’uomo di oggi. Il suo sapere,che è anche e soprattutto un saper vivere, può avere ancora un grande valore perl’educazione dell’uomo aiutandolo a superare la contrapposizione tra soggetto e og-getto, reintegrandoli a un livello più alto: “Squarciare il velo delle apparenze e co-gliere, fosse anche per pochi attimi, quel vibrante e vigoroso caos da cui emergono allostesso tempo ordine e disordine.”

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CCEESSAARREE SSUUGGHHIIL’allievo perenne. I miei anni con Luciano Anceschi. Pendagron, San Giovanni in Persiceto (BO), 2005, pp. 211, €15,00

di Guglielmo Adilardi

Nella premessa l’Autore indica chiaramente i confini, le fina-lità del saggio e la sua struttura di “libro di avventura”. Noi lodefiniremo piuttosto un’autobiografia romanzata ma moltodocumentata: e, ancora rimane difficile incasellarlo, questoè già un primo merito dello scrittore. Semplicemente diremoche è la storia non soltanto della vita universitaria e giovanile dell’Autore, accanto alsuo professore di Estetica, esame complementare alla metà degli anni Sessanta dellaFacoltà di Lettere e Filosofia all’Università di Bologna, ma anche storia della culturabolognese e nazionale in quel torno di tempo. E questo è senz’altro il secondo valoreed interesse del testo. Anceschi, dalla sua cattedra di Estetica, fu un caposcuola del Gruppo 63, movimentonato appunto nel 1963 a Palermo e composto da giovani intellettuali ed artisti dellaneoavanguardia italiana - per differenziarsi dalle avanguardie storiche del Novecento- fortemente critici nei confronti delle opere letterarie ed artistiche ancora legate amodelli tipici e tradizionali dei decenni precedenti.Del gruppo facevano parte poeti, scrittori, critici e studiosi animati dal desiderio disperimentare nuove forme di espressione, rompendo con gli schemi tradizionali.Richiamandosi alle avanguardie degli inizi del secolo, il Gruppo 63 si rifaceva alle ideedel marxismo - ma pochi di essi furono intellettuali “organici”- e alla teoria dellostrutturalismo. Senza darsi delle regole definite - il gruppo non ebbe mai un suo ma-nifesto -, diede origine a opere di assoluta libertà contenutistica, senza una precisatrama: ne è un esempio Alberto Arbasino. Gli stilemi del gruppo furono talvolta im-prontati all’impegno sociale militante, come gli scritti di Elio Pagliarani, ma che inogni caso contestavano e respingevano i moduli tipici del romanzo neorealista e dellapoesia tradizionale, perseguendo sempre una ricerca sperimentale di forme lingui-stiche e contenuti.Ignorato dal grosso pubblico, il gruppo suscitò interesse negli ambienti critico-lette-rari anche per le polemiche che destò criticando fortemente autori all’epoca già “con-sacrati” dalla fama quali Carlo Cassola e Vasco Pratolini, ironicamente definiti “Liale”,con riferimento a Liala, autrice di romanzi rosa.Il Gruppo 63 ebbe il merito di proporre e tentare un rinnovamento nel panorama piut-

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tosto chiuso della letteratura italiana, ma il suo aristocratico distacco dal sentire co-mune e la complessità dei codici di comunicazione ne fecero un movimento élitario,accusato di cerebralismo. Anche se Sughi, nelle pagine del saggio romanzato, indica apiù riprese come Anceschi e i suoi accoliti cercassero fuori dalle accademie, dalle auleuniversitarie poeti, letterati, artisti confacenti al sentire del movimento.Alcuni autori del Gruppo 63 furono il già citato Arbasino, Nanni Balestrini - che fu co-redattore con Sughi del “verri” feltrinelliano, la rivista di Anceschi -, Achille BonitoOliva, Alfredo Giuliani, Giorgio Celli, Furio Colombo, Corrado Costa, Roberto Di Marco,Umberto Eco, Enrico Filippini, Alberto Gozzi, Angelo Guglielmi, Giorgio Manganelli,Elio Pagliarani, Antonio Porta, Lamberto Pignotti, Edoardo Sanguinetti, Adriano Spa-tola, Sebastiano Vassalli, Michele Perriera, Germano Lombardi …Di tanti illustri personaggi - lamenta nel libro Sughi - nessuno divenne l’erede ufficialedi Anceschi: molti estimatori, molti alunni e nessun continuatore visibile, incarnato.Neppure qualcuno che si accingesse a rifare la storia del Maestro e di quella stagionesessantottesca di rinnovamento culturale e sociale. Per questo motivo l’autore si èsentito, ad oltre quarant’anni di distanza della nascita del Gruppo 63, di raggrumarnei ricordi affinché non rimanessero sulla battigia come aridi relitti del tempo perduto.Quasi un dovere morale nei confronti di un Maestro anche di vita, di cui Sughi si ri-conosce nel romanzo l’allievo perenne, e che Anceschi avrebbe destinato quale suo suc-cessore nella cattedra di Estetica se i marosi dell’esistenza non avessero portatol’autore per altri lidi. Uno di questi fu una cattedra liceale “[…] in una scuola di adora-bili somari” (p. 80) a Bologna, nella quale insegnò magistralmente anche al sottoscrittoitaliano e latino, alla fine di quegli anni Sessanta.

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RECENSIONI

MMOORRRRIISS LL.. GGHHEEZZZZIILa scienza del dubbio. Volti e temi di sociologia del diritto.Edizioni Mimesis, Milano-Udine, 2009, pp. 406

di Claudio Bonvecchio

Questa cospicua opera (anche, graficamente, accattivante) di Morris L. Ghezzi è uscitanella collana Law without Law della casa editrice Mimesis e vuole essere – ed è – unoriginale “impasto” tra storia e teoria: o se si preferisce tra il “diacronico” e il “sin-cronico”. Dove la storia è rappresentata dai volti e dagli uomini – da Norberto Bobbio,a Renato Treves, a Elías Díaz, a Gregorio Peces-Barba Martinez, a Vincenzo Tomeo, aMario A. Cattaneo, a Vincenzo Ferrari, ad Alberto Febbrajo, a Eugen Ehrlich, a Theo-dor Geiger, a Georges Gurvitch e a molti altri ancora – che hanno, in qualche modo,

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segnato il sorgere e il progressivo affermarsi della Sociologia del Diritto: dai primordidi fine Ottocento, alla piena accettazione novecentesca, sino ai tempi presenti. E dovela teoria è rappresentata dai grandi temi della Sociologia del Diritto: dalla tolleranzaalla democrazia, dalla Grundnorm alla cultura giuridica, alla metodologia giuridica,alla devianza e così via. Ma il catalogo è pressoché inesauribile per una Scuola – vo-luta da Treves – le cui proporzioni sono mondiali. E il termine “mondiale” non è unamera concessione retorica alla dilagante globalizzazione, ma la precisa puntualizza-zione di una indiscutibile realtà: di uomini, di idee e di prassi. Si può, dunque, dire che La scienza del dubbio è un bilancio: di ampio respiro e di no-tevole profondità. Lo è, per molti aspetti, in quanto sottolinea, analizzandone i pas-saggi salienti, la straordinaria importanza della Sociologia del Diritto. Dottrinasociologica (ed anche giuridica) che si è imposta – progressivamente – come un “vo-lano” del progresso e della democrazia contro una concezione statica del diritto. Con-cezione dietro cui si nascondevano interessi di gruppo, di casta o dell’Istituzionestatuale che, molte volte, di questi gruppi e di queste caste si è fatta braccio armato.Certo, la Sociologia del Diritto – e Ghezzi lo sottolinea, a chiare lettere – si può in-scrivere nella tradizione positivistico-giuridica. Ma questo non significa pensarla - oancor peggio liquidarla – come una astratta e fredda variante interpretativa del di-ritto. Al contrario – e proprio gli autori citati, unitamente alle tematiche affrontatelo provano – la Sociologia del Diritto brilla (e il termine è particolarmente pertinente)per una profonda, radicale e indiscutibile “passione civile”. Passione civile che hadato luogo non solo a riflessioni fondamentali nella teoria, ma pure a importanti ini-ziative “operative” e a uno “stile”, oggi insostituibile, nell’affrontare le problematichedel Diritto. Sorta per illuminare, con l’esperienza sociologica, le costruzioni giuridi-che – che fossero Carte Costituzionali, leggi penali o civili, l’azione dei magistrati oaltro – la Sociologia del Diritto si è sempre spesa per una equity of law senza di cui ilDiritto è mera sopraffazione: al più condita con la cultura, con la retorica e, talora, conla violenza. Ma si spende anche per diffondere quel vero e proprio culto per la libertà,la democrazia e la tolleranza di cui la ragione è lo strumento principe per governaree per educare. Basta pensare all’insegnamento di Treves e al suo “relativismo intelli-gente” – presente anche nell’insegnamento di Mario A. Cattaneo e di Vincenzo Fer-rari – in cui la convinzione illuministica della perfettibilità dell’essere umano si fondecon il rispetto per le altrui convinzioni e per la centralità della cultura. Posizione que-sta che sarà determinante anche in Vincenzo Tomeo che ne erediterà – pur nella di-versità degli interessi – il rigore e la profondità, che applicherà al campo delladevianza. Campo questo in cui la scientificità della Sociologia deve essere unita allaapertura mentale ispirata alla tolleranza – come voleva Tomeo – se si vuole evitare cheil Diritto si risolva in una forma moderna di legge del taglione. Entrambi – scientifi-cità e apertura mentale – sono, poi, l’essenza stessa della Sociologia applicata alla cri-

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minologia su cui si sono soffermati in Italia – ma avendo ben presente la tradizionefoucoltiana – tra i molti Alessandro Baratta, Pio Marconi, Adolfo Ceretti. In essi, ilconsolidamento di un corretto e sociale sapere della criminologia passa per un rigoremetodologico, un intelligente pragmatismo e una vivace attenzione per le trasfor-mazioni sociali, di cui la Sociologia del Diritto è attenta osservatrice. Va da sé che una simile impostazione concettuale richiede una approfondita disa-nima sia del pensiero sociologico che di quello giuridico. Per ciò che attiene al pen-siero sociologico, Ghezzi rileva la centralità della critica della sociologia giuridicacontro la metafisica e il dogmatismo – compreso il marxismo e il liberalismo – in nomedell’opposizione ad ogni ideologia. E qui, se obbligato è il riferimento a Geiger, al-trettanto dicasi per tutta quanta la Scuola di Treves, che di questa critica – come d’al-tronde nell’ambito filosofico-politico è avvenuto con Bobbio – ha fatto il suo puntod’onore, misurandosi con la storia e il sapere sociologico. Grazie a questa istanza il-luministico-critica – che ricorda per molti aspetti la Scuola di Francoforte – la Socio-logia del Diritto ha potuto svolgere una potente azione formativa nella costruzione diuna “democrazia senza ombre” e di una coscienza statuale aperta: i riferimenti a Diaze a Peces-Barba Martinez sono particolarmente significativi in proposito. Ma altret-tanto dicasi per la disanima del pensiero giuridico che – come sottolinea Ghezzi –corre il rischio, se non filtrato sociologicamente, di diventare un “inno di lode” a giu-dizi di valore estranei a qualsiasi attualità, ma, spesso, debitori ad una statualità im-positiva o ad una società oppressiva.Proprio per questo, la Sociologia del Diritto appare – a ragione, nell’opera di Ghezzi– come una pietra miliare del Diritto, ma soprattutto dello sforzo di tenuta, che il Di-ritto, unitamente alle democrazie, deve fare per contrastare quel nichilismo che nonè nihilismo – ossia prudente astensione (quasi wittgensteiniana) da “pericolosi” giu-dizi di valore, come voleva Geiger – ma moltiplica dell’indifferenza e di un “lasciarfare”, che troppo spesso fa pendere la bilancia (anche della giustizia) più sull’avere chenon sull’essere. Per questo, nell’epoca della consolidata “morte di Dio” non deve mo-rire la giustizia e tanto meno il Diritto, che ne è la matrice primigenia. Se così fossene morirebbe l’intera società, riportandola ad un passato di barbarie – magari mi-metizzata in forme più accattivanti e consumiste – di cui nessuno vuole più la ripeti-zione. Ma per questo, il Diritto deve abbandonare ogni fallacia teologica e metafisica– più o meno nascosta – e porsi come lo strumento pragmatico di una società libera,leggera, umana, aperta e tollerante: senza padroni, dogmi, valori prepotenti e pre-senze soffocanti. Sempre per questo motivo Morris Ghezzi ha voluto chiamare la Sociologia del DirittoScienza del Dubbio e mai titolo è stato più azzeccato, perché proprio sul dubbio si reggeil Diritto e la sua possibilità di incidere sugli uomini disposti ad accoglierlo per quelloche realmente è. E non per altro.

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