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Luca Ghisleri*

Heidegger e Wittgensteinfilosofi del Novecento

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origine, aveva studiato teologia e fi-losofia presso l’università di Fribur-go, dove poi insegnò e di cui nel1933 divenne anche rettore, pro-nunciando in questo suo ruolo un di-scorso considerato di adesione al na-zismo, ma dimettendosi da tale cari-ca un anno dopo e tornando a con-durre una vita per il resto povera diavvenimenti esteriori di rilievo e tra-scorsa pressoché interamente inGermania. Wittgenstein invece ap-parteneva ad una ricca famigliaviennese di origine ebraica (il padreera un gigante dell’industria siderur-gica) e aveva studiato prima inge-gneria a Berlino, poi filosofia dellamatematica a Cambridge, dove suc-cessivamente insegnò a partire dal1929, dopo aver fatto il maestro ele-mentare in un villaggio della Stiria eaver trascorso anche qualche tempoin un convento lavorando comegiardiniere. Ma soprattutto Heidegger e Witt-

Un rapporto di identità e di differen-za sembra unire fra di loro MartinHeidegger e Ludwig Wittgenstein,sicuramente tra i maggiori pensatoridel Novecento. Un rapporto che sidispiega sia in termini biografici siain termini speculativi. Entrambi natinel 1889 in paesi di lingua tedesca eaccomunati almeno in parte dallostesso terreno di formazione, costi-tuito dalla reazione antisoggetivisti-ca alle “questioni della logica, del si-gnificato e della verità” (Perissinot-to), rappresentata da pensatori comeFrege e Husserl; accomunati anchedal fatto che il percorso filosofico diciascuno di loro sia connotabile allaluce di una più o meno netta distin-zione tra due fasi di pensiero, ma so-prattutto convergenti nel voler porreal centro della riflessione la questio-ne del linguaggio.Heidegger era nato a Messkirch, unopaesino del Baden nel sud della Ger-mania da genitori cattolici di umile

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––––––––––––1) “Lezioni di filosofia. Pensatori del Novecento” è il ciclo di incontri promosso dalla Cooperativa Cattolico-demo-

cratica di Cultura, che si è tenuto nella Sala Bevilacqua di via Pace n.10 a Brescia il 9, 16 e 23 aprile. Pubbli-chiamo un intervento di Luca Ghisleri, curatore delle Lezioni e collaboratore della rivista.

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dello stesso Heidegger costituirà unadelle principali fonti dell’esistenziali-smo, doveva terminare con una par-te relativa alla questione generaledell’essere, che però non fu maiscritta, perché egli si scontrò con i li-miti del linguaggio della metafisica,dominato dal modello della ‘sempli-ce presenza’, che riduce l’essere al-l’ente, all’oggetto manipolabile, di-menticando la differenza (ontologi-ca) fra essi. Dopo la cosiddetta ‘svolta’, nella se-conda fase della sua riflessione Hei-degger ripercorrerà così la storia dellametafisica occidentale leggendola inchiave nichilistica proprio perchéconnotata da tale oblio della differen-za ontologica che, sorto con Platone,culmina nel dominio moderno e con-temporaneo della scienza e della tec-nica. In un’epoca dominata dal pri-mato del soggetto e dal pensiero cal-colante si tratta allora di rimettersi inascolto dell’essere che si rivela nel lin-guaggio. L’oblio dell’essere è superatoinfatti mediante un pensiero ramme-morante e interpretativo che intendeil linguaggio come “casa dell’essere”(espressione contenuta nella Letterasull’umanismo) e cioè non come unmero strumento del pensiero stesso,ma come l’orizzonte storico e l’am-biente comune all’interno del quale sidischiude la nostra esperienza delmondo. In particolare il linguaggiodei grandi poeti con il suo potere evo-cativo è il modello di un linguaggioche non oggettiva l’essere ma che lorivela nel suo nascondimento.Anche Wittgenstein, nel Tractatuslogico–philosophicus, affronta il pro-

genstein sono spesso indicati come ifondatori delle due correnti che han-no connotato direttamente o indi-rettamente molta parte della filoso-fia novecentesca e che del resto con-tinuano ad innervare il dibattito teo-rico attuale: da una parte, la filosofiaermeneutica – asse essenziale del co-siddetto orientamento ‘continentale’(europeo) – attenta in particolare al-la dimensione interpretativa e stori-co–umanistica della conoscenzanonché ad un approccio antiscienti-sta basato sulla produzione di operedi “grande sintesi speculativa”; dal-l’altra, la filosofia analitica – presen-te soprattutto nell’area anglo–ameri-cana – che fa maggiormente riferi-mento a conoscenze di ordine logi-co–formale e che pone a tema dellapropria indagine argomenti più cir-coscritti affrontati attraverso il me-todo dell’analisi del linguaggio(scientifico ma anche comune). L’originalità di Heidegger consistenell’estrema radicalità con cui egli e-sprime l’esigenza di ripensare la no-zione fondamentale del problema fi-losofico, quella di ‘essere’. Per con-durre tale indagine appare centrale ilruolo di chi pone la domanda riguar-dante il senso dell’essere e cioè l’uo-mo, denominato “esserci”, un entecaratterizzato da temporalità e mor-talità, che si trova sempre gettato inuna situazione storica particolare eche, a partire da questa e dai signifi-cati che in essa si dischiudono, pro-getta la propria esistenza aprendosial mondo e agli altri. Essere e tempo,l’opera che affronta queste temati-che e che anche contro le intenzioni

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blema del rapporto tra il linguaggio ela nostra esperienza del mondo, malo fa alla luce di una prospettiva se-condo la quale le proposizioni dellinguaggio stesso sono concepite co-me “immagini dei fatti del mondo”(nel senso che i termini che le costi-tuiscono stanno fra di loro in relazio-ni che raffigurano i nessi esistenti tragli oggetti della realtà), giungendocosì a sostenere che solo il linguaggiodelle scienze naturali è dotato di sen-so, proprio perché esso è l’unico chedescrive le cose reali. Ma, a differen-za di quanto faranno i neopositivistidel circolo di Vienna che si ispire-ranno ampiamente al Tractatus, perWittgenstein ciò non implica che ol-tre alla scienza non ci sia null’altroda dire, ma che l’unico atteggiamen-to possibile per esprimere ciò che laeccede (e che, come l’arte, l’etica ela religione, risulta essenziale per lavita) è il silenzio: ‘Su ciò di cui nonsi può parlare si deve tacere’. Certo ilprimo Wittgenstein, difensore dellasensatezza esclusiva del linguaggioscientifico, ricade certamente nellacritica alla semplice presenza soste-nuta dal secondo Heidegger che in-fatti, anche se ne aveva sentito par-lare molto poco, definì il pensatoreviennese come un ‘un crasso positi-vista’. In realtà i due pensatori sem-brano proporre soluzioni diverse allostesso problema rappresentato daldominio della scienza: Wittgenstein

prospetta il silenzio mistico, mentreHeidegger fa riferimento al linguag-gio poetico. Del resto, una valenza non univoca,bensì polivalente del linguaggio è so-stenuta dallo stesso Wittgensteinnella seconda fase del suo pensiero,quella inglese, che trova espressionein particolare nelle Ricerche filosofi-che. In esse egli fa infatti riferimentonon tanto al linguaggio scientificoma a quello comune e quotidiano,all’interno del quale il significatodelle parole non si basa più sul riferi-mento preciso agli oggetti, ma su bendeterminate regole d’uso, che carat-terizzano i cosiddetti ‘giochi lingui-stici’ (quali, ad esempio, dare ordini,risolvere un problema di matemati-ca, recitare o anche pregare). Essi siradicano in particolari forme di vitae sono sempre il frutto di precisi con-testi storici e comunitari, avvicinan-dosi in questo modo alla concezioneermeneutica heideggeriana.Pur nelle evidenti differenze, en-trambi i pensatori sembrano così ac-comunati da una concezione della fi-losofia intesa come riflessione sul lin-guaggio nel suo riferimento all’esseree alla vita. Proprio per questa con-cretezza, tornare a meditare il loropensiero anche mediante l’analisidegli intrecci tra le loro rispettiveposizioni può contribuire a una mag-giore comprensione di noi stessi e delnostro ruolo nel mondo.

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