Hegel e il mondo capovolto: signoria e servitù

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E' un commento della più celebre e discussa figura fenomenologica hegeliana, molto dibattuta anche dopo Hegel dai marxisti.

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Commento alla figura fenomenologica “Indipendenza e dipendenza dell’Autocoscienza; signoria e servitù”. E’ la prima figura del momento autocoscienza ed è anche la più celebre e commentata dell’intera opera hegeliana. Storicamente collocata nel dispotismo orientale, è più nota come “dialettica servo-padrone”. Nelle società dispotiche, orientali, il sultano ha diritto di vita e di morte su tutti i sudditi. La coscienza è diventata ora autocoscienza, ma per essere tale ha bisogno di essere riconosciuta da un’altra Autocoscienza: l’Autocoscienza postula, quindi, per bisogno, l’esistenza di un’altra Autocoscienza. E’ un “agire doppio”, un agire “davanti allo specchio, in cui tutto è identico ed opposto”. Si ha quindi una situazione paradossale. L’Autocoscienza, che ha bisogno dell’altra per essere riconosciuta, cerca quindi la sua verità nell’altra. Hegel tiene qui presente la categoria giuridica del “riconoscimento”, ma il riconoscersi come soggetti di diritto, cioè essere con uguali diritti è un riconoscimento inferiore rispetto al riconoscersi come autocoscienze, in quanto i soggetti di diritto, ovvero gli esseri viventi, sono vincolati alla vita, mentre l’autocoscienza si ritiene immortale. Ognuna delle due autocoscienze pretende di essere solo lei l’Autocoscienza e considera l’altra come vita, cioè inferiore all’Autocoscienza. Il rapporto tra le due autocoscienze non è quindi l’amore (Feuerbach criticherà Hegel su questo punto), né un patto di riconoscimento (nozione giusnaturalistica e contrattualistica): ma l’antagonismo: Hegel riprende qui Hobbes riguardo alla conflittualità presente nello stato di natura, in cui vigeva il “bellum omnium contra omnes” e lo “homo homini lupus”. Hegel dà inoltre molta importanza alla guerra (nell’Enciclopedia la definirà come “vento purificatore dalla putredine”). Abbiamo quindi due poli, l’identità e l’alterità, in cui “ogni Autocoscienza è mediante l’altra”. Tale dualità delle autocoscienze è un rapporto di contesa, è un duello mortale, in cui ciascuna autocoscienza cerca la morte dell’altra. Il rapporto originario è quello di guerra: gli altri rapporti, secondari, seguono solo come freno del primo (le istituzioni civili): ma Hegel non fa qui una filosofia della storia, né una filosofia del diritto o un trattato giusnaturalistico; Hegel sta soltanto facendo una fenomenologia della coscienza e ad Hegel non interessa in questo caso la storia dell’origine delle società o degli Stati. C’è una duplice valenza, che ha una dimensione filosofica e letteraria (cfr. Doestoevskij, Il sosia); io non sono io, ma sono un altro E’ lo smarrimento fra l’io e l’altro: io sono un “doppio” (cfr. letteratura francese). C’è un doppio doppio senso: la prima autocoscienza vuole togliere l’altro, ma l’altro è lei stessa, ed inoltre, l’altro fa ciò che fa la prima autocoscienza. E’ il “gioco delle forze”, aveva detto Hegel nella figura precedente “Forza e intelletto”, è un continuo passaggio dalla prima alla seconda, e viceversa. Ciascuna autocoscienza è mediante l’altra: è la perfetta reciprocità dell’operare allo specchio. Segue un esercizio di bravura della speculazione hegeliana, Hegel parla appunto di un “doppio doppio senso” (il tema del “doppio” e dello smarrimento dell’io sarà ripreso ne Il sosia di Doestoevskj). Si preannuncia quindi un duello mortale, in cui ogni Autocoscienza vuole eliminare l’altra per dimostrare che solo lei è l’Autocoscienza, e come tale non teme la morte: Hegel fa qui l’apoteosi del samurai orientale, che non teme la morte. Ogni Autocoscienza, uccidendo l’altra, dimostra che l’altra è vita ed è a lei inferiore. Tale duello delle autocoscienze è una negazione: ogni coscienza è certa di sé, e nega tutto ciò che è fuori di lei, compresa l’altra Autocoscienza. In tale duello tra le autocoscienze c’è un terzo termine, che è la vita. Ciascuna Autocoscienza proclama sé stessa come autocoscienza e l’altra come vita: la vita è considerata inferiore all’Autocoscienza, perché lo sbocco naturale della vita è la morte, la vita è quindi destinata a morire, a differenza dell’Autocoscienza, che, credendosi Assoluto, non è destinata alla morte. Ogni Autocoscienza, in questo duello, cerca quindi di dimostrare che solo lei è l’Autocoscienza e che l’altra è vita: per far questo ciascuna autocoscienza cerca di uccidere l’altra. Per dimostrare di essere tale, ogni autocoscienza deve però dimostrare di non interessarsi alla propria vita, mettendola a repentaglio, rischiandola, affrontando la morte (per dimostrare che essa non è vita, e di conseguenza non muore).

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Ma in un secondo momento la prima Autocoscienza pensa che se eliminerà l’altra non avrà più nessuno che la riconosce come Autocoscienza, ecco che sorge la paura, come esperienza metafisica della morte, ed emergono due atteggiamenti opposti, la paura per morte, ma anche il disprezzo per la vita, necessario per essere riconosciuta come Autocoscienza. A questo punto un’autocoscienza teme di morire, arretra di fronte alla morte e si mette nelle mani dell’altra, alla quale chiede soltanto di risparmiarle la vita. L’altra accetta, la prende e ne fa il suo schiavo. La categoria di dominio (Herrschaft) è stata molto usata da Hegel nel periodo francofortese: esprime una cattiva unificazione dei due termini, in cui uno soverchia l’altro. Hegel, a Francoforte ha infatti applicato tale categoria a molti aspetti religiosi, morali e filosofici: la stessa filosofia pratica kantiana era stata considerata una morale di dominio della legge sulle inclinazioni individuali. Altra forma di dominio era il rapporto dell’uomo ebraico con il suo Dio e della natura con l’uomo ebraico: il primo termine è sempre schiavo del secondo. Anche la filosofia fichtiana era una filosofia di dominio assoluto dell’io sul non-io. Hegel inserisce questa figura, come si è detto, nel dispotismo asiatico, orientale, perché il despota non è un re: ha diritto di vita e di morte su tutti i suoi sudditi, che non sono cittadini, ma appunto sudditi. Hegel ha presente anche il diritto di guerra antico; quando in guerra uno si arrende ha perso la libertà e diventa schiavo. Hegel tiene qui presente la Politica di Aristotele: si è schiavi per generazione, ma anche per battaglia persa. L’Autocoscienza che ha vinto è il despota orientale, che non è un semplice re, ma uno che ha diritto di vita e di morte sui sudditi, che non sono cittadini moderni, cioè membri attivi di un corpo politico che è lo Stato, ma appunto sudditi. L’Autocoscienza che ha vinto domina (Herrschaft) sull’altra. Lo schiavo lavora gli oggetti per il Signore, che in questo modo si rapporta alle cose non direttamente, ma indirettamente, mediante il servo, e scopre così che il suo dominio sugli oggetti è un dominio servile, non degno di un’Autocoscienza. Il servo, invece, mediante il 1)lavoro si riscatta dal Signore, perché mette sé stesso, “imprime” sé stesso nelle cose che lavora. Il signore non potrebbe godere le cose senza il servo. Il signore non vuole sporcarsi le mani lavorando le cose, ed obbliga il servo a lavorare. Ma tale lavoro fa sperimentare al servo la sua indipendenza, il servo mette sé stesso nelle cose, facendole diventare come sue: mediante una “dura disciplina” il servo è diventato libero, si è emancipato. Il lavoro è stata quindi una grande esperienza formativa per il servo: il lavoro è la dimensione costitutiva dell’autocoscienza. Questa è la prima esperienza formativa che compie il servo. In secondo luogo il servo fa una seconda esperienza, quella della 2)paura, che è diversa dalla prima tipologia di paura, che aveva provato; Hegel, in proposito, cita la Bibbia, “La paura del Signore è l’inizio della Sapienza”, tale paura educa il servo, lo forgia e spezza i vincoli della dipendenza servile, che diventa così Autocoscienza, liberandosi dai vincoli della vita. Infine, il servo compie l’esperienza del 3)servizio: mediante una “dura disciplina” il servo ha imparato a tenere a freno tutti i suoi impulsi naturali. Con queste tre formative esperienze compiute dal servo (paura, lavoro, servizio), il rapporto si è capovolto: ciò che la coscienza credeva essere il Signore si è rivelato il servo (“Indipendenza e dipendenza dell’Autocoscienza” è infatti il titolo della figura), mentre ciò che riteneva servile è invece diventato Signore., riscattandosi con le tre formative esperienze, tra cui il lavoro (Arbeit), la più importante perché la più formativa delle esperienze. Si tratta quindi di un mondo “capovolto”, invertito, alla rovescia. A questo “Per Noi è già sorto il Sapere Assoluto”, ma non per la coscienza, che vede, ancora una volta, soltanto il suo smacco. Il filosofo sovietico di fine Ottocento Alexandre Kojève vede in questa figura, nel riscatto del servo quello del proletariato, mediante il lavoro, ma lo stesso Marx, prima di Kojève, nell’Ideologia tedesca definisce questa figura una “robinsonata”, ovvero un’astrazione speculativa hegeliana, il solo rapporto astratto tra Robinson Crosue e Venerdì, il suo fedele servo, pronto a dare la vita per il padrone. Tra Robinson ed il suo servo non c’è infatti nessuna rivoluzione, nessuna lotta di classe. Per Marx, in Hegel c’è infatti soltanto un’astratta alienazione della coscienza e l’idea della lotta di classe è del tutto assente.