Health Online 21

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IL PERIODICO DI INFORMAZIONE SULLA SANITÀ INTEGRATIVA settembre/ottobre 2017 - N°21 IN EVIDENZA IPOACUSIA, PATOLOGIA DA NON SOTTOVALUTARE CHE RENDE DIFFICILE COMUNICARE E PUÒ FAVORIRE L’ISOLAMENTO E LA DEPRESSIONE. INTERVISTA AL DOTT. GIANCARLO CAVANIGLIA INNOVAZIONE TECNOLOGIA CURIOSITÀ La medicina rigenerativa nella cura dell’osteoartrite: dal bisturi alla siringa Vitamina D nella cura e nella prevenzione dei tumori eHealth. Perché la sanità digitale interessa le spese di tutti gli italiani Ganoderma: un fungo asiatico dalle molteplici proprietà

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Il perIodIco dI InformazIone sulla sanItà IntegratIva

HEALTHsettembre/ottobre 2017 - n°21

In evIdenzaIpoacusIa, patologIa da non sottovalutare che rende dIffIcIle comunIcare e può favorIre l’Isolamento e la depressIone. IntervIsta al dott. gIancarlo cavanIglIa

InnovazIone

tecnologIa

curIosItà

La medicina rigenerativa nella cura dell’osteoartrite:

dal bisturi alla siringa

Vitamina D nella cura e nella prevenzione

dei tumori

eHealth. Perché la sanità digitale interessa le spese

di tutti gli italiani

Ganoderma: un fungo asiatico dalle

molteplici proprietà

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La salute alla portata di tutti!

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health onlIneperIodIco bImestrale dI

InformazIone sulla sanItà IntegratIva

anno 4° settembre/ottobre 2017 - n°21

dIrettore responsabIlenicoletta mele

dIrettore edItorIaleIng. roberto anzanello

comItato dI redazIonealessandro brigato

mariachiara manopulogiulia riganelli

dIrezIone e proprIetàhealth Italia

via di santa cornelia, 900060 - formello (rm)

[email protected]

tutti i diritti sono riservati.nessuna parte può essere

riprodotta in alcun modo senza permesso scritto del direttore editoriale. articoli, notizie e recensioni firmati o siglati

esprimono soltanto l’opinione dell’autore e comportano di

conseguenza esclusivamente la sua responsabilità diretta.

IscrItto presso Il regIstro stampa del trIbunale dI tIvolIn. 2/2016 - diffusione telematican.3/2016 - diffusione cartacea

9 maggio 2016

ImpagInazIone e grafIcagiulia riganelli

ImmagInI© fotolia

tiratura 102.157 copie

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HEALTH

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Il dibattito sulla sanità è continuo e serrato e le opinioni sono le più disparate, mentre dalle colonne del nostro periodico abbiamo sempre sostenuto e continuiamo a sostenere che il modello a tre pilastri, quali pubblico, integrativo e privato richiede, forse, solo qualche correttivo minimale, essendo l’impostazione determinatasi nel nostro Paese sicuramente adeguata e corretta da un punto di vista giuridico, legislativo, sociale, fiscale ed economico e può consentire di realizzare un modello sanitario all’avanguardia.

Preferiamo, quindi, lasciare a coloro che sostengono, molto spesso per interessi di parte, il motto di bartaliana memoria “l’e’ tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”, le sterili polemiche e le richieste di interventi non necessari, per concentrarci sul futuro.

Siamo convinti, infatti, che in campo sanitario sia necessario non una modifica organizzativa, giuridica, sociale, ma piuttosto una rivoluzione copernicana del pensiero corrente tale da consentire di mettere sempre più al centro dell’operato il diritto alla salute di ogni individuo.

Per attuare questa rivoluzione copernicana, i primi valori sui quali è indispensabile effettuare rapidamente un cambiamento di paradigma sono i concetti di prevenzione e cura.

Oggi la sanità si occupa di curare chi si ammala anche con importanti successi, con significativi investimenti tecnologici e con costante professionalità, ma il vero successo sarà sempre più legato ad evitare che le persone si ammalino.

Prevenire con percorsi specifici in campo alimentare, con precisi programmi di attività fisica, con un utilizzo mirato dei prodotti naturali, con esami diagnostici accurati e con la genetica, questa è la vera sfida che la sanità deve affrontare nel terzo millennio.

Il secondo valore sul quale è necessario attivare modelli organizzati è il concetto di accessibilità e di prossimità all’individuo.

Oggi la sanità prevede una serie di passaggi burocratici e formali da seguire per curarsi, ma la vera opportunità offerta dallo sviluppo tecnologico è quella di portare la sanità dove ci sono l’individui e non costringere gli individui ad andare verso la sanità, semplificando processi e metodologie ove tutto questo, in una logica di attuazione dei piani di prevenzione sanitaria, sarà ancora più indispensabile.

Approssimarsi all’individuo per consentirgli di apprendere quali sono i processi di prevenzione più adatti, spiegare e diffondere la cultura stessa della prevenzione, facilitare l’accesso ai sistemi di monitoraggio sarà la seconda importante sfida in campo sanitario.

Il terzo valore sul quale è necessario intervenire è quello della protezione, in quanto è vero che il diritto alla salute è un diritto di tutti, ma non bisogna dimenticare che c’è chi ha più diritto di altri per un semplice principio etico: i bambini, gli anziani, i

malati cronici, coloro che sono affetti da patologie importanti, le fasce deboli della popolazione, devono essere protetti più degli altri.

Oggi la sanità, per un principio di uguaglianza sociale, dedica tempo ed attenzione a tutti quasi in ugual misura, ma detto che chiunque ha diritto alla cura, c’è una bella differenza tra un individuo malato di bronchite ed un bambino con una patologia cardiaca grave.

Proteggere la comunità nel suo insieme significa creare sempre più centri specializzati focalizzati su singole patologie ove risiedano competenze e capacità tali da risolvere con successo il problema grave là dove esiste, questa sarà la terza importante sfida utile a creare un modello sanitario evoluto e socialmente equilibrato.

Sicuramente la rivoluzione copernicana sopra rappresentata costituisce un passaggio epocale e non possiamo minimamente pensare che lo Stato, quale entità giuridica, sociale ed economica, possa procedere solitario su questa strada.

Dobbiamo pretendere che la sanità pubblica si concentri sempre di più sulla protezione delle fasce deboli della popolazione offrendo loro capacità mediche specifiche, competenza, strumenti diagnostici evoluti, per garantire cure adeguate tramite centri specializzati presenti su tutto il territorio nazionale, trasformando ancor di più le strutture sanitarie pubbliche in località di protezione sanitaria reale e concreta.

Ma dobbiamo contestualmente promuovere sempre di più il concetto della mutualità affinché gli enti di sanità integrativa, quali i Fondi Sanitari, le Società Generali di Mutuo Soccorso e le Casse di Assistenza Sanitaria, unici enti abilitati a gestirla, si spingano sempre più sulla strada della prevenzione, creando percorsi adeguati e personalizzati, e sulla via della prossimità, realizzando strutture di facile acceso sempre più vicine alla popolazione, perché proprio il principio mutualistico sul quale si fondano è il valore sul quale costruire.

Infine dobbiamo utilizzare anche le competenze di chi offre prestazioni e coperture privatistiche affinché supporti con le proprie metodologie ed i propri strumenti questo processo evitando, però, le invasioni di campo che avvengono quando enti privati, che hanno come obiettivo l’utile economico, si vestono da enti di sanità integrativa, che basandosi sul concetto di mutualità hanno come obiettivo la salute dei propri associati.

Invece quindi di invocare modifiche delle regole esistenti, di veicolare concetti basati su inconsistenti diritti corporativi, di difendere interessi economici privati, dobbiamo occuparci tutti di supportare la rivoluzione copernicana della sanità del nostro paese, che peraltro è un processo già in atto, perché questo è l’unico modo per prevenire le patologie che hanno necessità di cure, farsi prossimi ad ogni individuo, proteggere i cittadini, salvaguardando nel contempo anche l’equilibrio economico del nostro grande paese e delle famiglie creando il sistema sanitario del futuro.

A cura di Roberto AnzanelloedItorIale

la sanità: prevenzione, prossimità, protezione

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SOM

MA

RIO

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24

GAnODeRMA: un FunGO asiatico dalle MOltePlICI PROPRIetà

VItAMInA D nella cura e nella PReVenzIOne DeI tuMORI. Intervista al Dott. toni Ibrahim

l’IPeRtenSIOne: cos’è e perché nOn VA tRASCuRAtA?

IPOACuSIe o disturbi dell’udito, unA PAtOlOGIA DA nOn SOttOVAlutAReIntervista al dott. Giancarlo Cavaniglia

In evIdenza

20eHeAltH. Perché lA SAnItà DIGItAle InteReSSA le SPeSe di tutti gli italiani

08la medicina rigenerativa nella CuRA Dell’OSteOARtRIte: dal bisturi alla SIRInGA

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SOM

MA

RIO

36la tROMbOSI: quel “tronco sulla carreggiata” POCO COnOSCIutO DAGlI ItAlIAnI

32Il tuMORe AllA VeSCICA si può PReVenIRe

29Attenzione ai FARMACI AntIReFluSSO: l’AbuSO può aumentare il RISCHIO DI ICtuS

38ASMA: la nuova frontiera della terapia per COMbAtteRe lA FORMA GRAVe

Page 7: Health Online 21

HeAltH tIpsSapevi che...la griffonia è una pianta tropicale della tradizione

africana, appartenente alla famiglia delle leguminose. le sue proprietà sono state scoperte solo in anni recenti in occidente. È utile per migliorare l’umore, facilitare il sonno, controllare il senso di fame.

l’eucalipto è il miglior rimedio contro la tosse e il raffreddore perché è un ottimo antibatterico e disinfettante. l’infuso di eucalipto è eccellente per contrastare la tosse, mentre per il raffreddore potete fare dei fumenti per circa 15 minuti. In erboristeria trovate anche l’olio essenziale che, diffuso nell’ambiente, tende a distruggere i germi presenti nell’aria e aiuta a decongestionare le vie respiratorie.

nel nordic walking si usano dei bastoncini in spinta, facendo sì che

addominali, dorsali, tricipiti e glutei lavorino sodo. nello stesso tempo si ha un minor

carico sulla colonna vertebrale e su ginocchio, bacino e caviglie. con il ritmo

giusto, aiuta a perdere peso, bruciando il grasso in eccesso.

non si deve confondere lo stretching, importante da fare a fine allenamento con i muscoli caldi, con il riscaldamento da eseguire prima di iniziare ad allenarsi. lo stretching a freddo rischia infatti di fare male, aumentando il rischio di infortuni, mentre è consigliato un breve riscaldamento di 5 minuti di lavoro cardio oppure di 10 minuti di esercizio più dolce che risvegli il corpo.

Ricche di fibre e sali minerali, le castagne aiutano in caso di anemia, stanchezza psico-fisica, e anche in gravidanza, grazie all’apporto di acido folico. Inoltre, contengono vitamine, riducono il colesterolo e aiutano a riequilibrare la flora batterica.

tra i cibi da portare in tavola per assicurare al nostro organismo la giusta dose di vitamina c ci sono anche le verdure. le più ricche sono i cavoli bianchi e i broccoli, che si prestano a svariati usi in cucina, e i peperoni. I peperoni gialli rispetto ai rossi ne contengono una quantità maggiore.

un paio d’ore prima dell’attività fisica è

sempre consigliato uno spuntino veloce, evitando

alimenti troppo grassi o ricchi di zuccheri. dopo

l’allenamento si deve dare il giusto nutrimento

al corpo, una semplice centrifuga o un succo non

aiutano a reintegrare sali minerali e fibre consumate

durante lo sforzo.

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la medicina rigenerativa nella cura dell’osteoartrite: dal bisturi alla siringa

a cura dialessia elem

tecniche di avanguardia in ortopedia con l’uso delle

cellule staminali che migliorano il dolore alle articolazioni e

ripristinano la funzionalità di oltre il 50%.

la medicina rigenerativa sta prendendo sempre più piede

anche in campo ortopedico, tanto da essere considerata,

per pazienti che presentato problemi di osteoartrite, meglio

conosciuta come artrosi - un’alterazione degenerativa

cronica della cartilagine - una valida soluzione in grado

di controllare l’infiammazione, fermare la degenerazione

e rigenerare il tessuto danneggiato: le cellule staminali

mesenchimali infatti, sono capaci di differenziarsi in

condrociti, cellule di osso e cartilagine e produrre preziosi

fattori di crescita e nutritivi.

Attualmente tra le varie alternative studiate, le cellule più

efficaci sono le ADSC (Adipose Derived Stem Cell), ossia le

staminali prelevate dal tessuto adiposo. Si tratta di cellule

mesenchimali (quelle che formano tessuto connettivo),

destinate a creare impalcature solide ma flessibili e

che hanno mostrato una speciale e specifica attività

rigenerativa proprio nei confronti del tessuto cartilagineo.

L’efficacia, la maneggevolezza del trattamento, la minima

invasività e la sostanziale mancanza di effetti avversi

correlati sono i vantaggi del trattamento con le cellule

staminali. I risultati ottenuti fino ad ora in campo ortopedico

indicano infatti che la medicina rigenerativa sarà, in

un futuro prossimo, così complementare ai trattamenti

farmacologico e chirurgico tradizionali tanto che, in alcuni

casi, potrà sostituirli.

In cosa consiste il trattamento? Come agiscono e qual è

l’effetto delle cellule staminali nella cura delle patologie

ortopediche?

Health Online ha intervistato il dott. pierdanilo sanna,

Specialista in ortopedia e Consulente per la Medicina

Rigenerativa in ambito ortopedico a Dubai Healthcare

City.

“l’innovativo trattamento - ha detto Sanna - si basa

sull’utilizzo delle cellule mesenchimali (MSC), ovvero le

cellule staminali adulte estratte direttamente dal grasso

corporeo (ADSC) che sono in grado di rigenerare il tessuto

cartilagineo”.

l’osteoartrite è la patologia ortopedica in cui è

maggiormente applicabile la medicina rigenerativa?

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“l’osteoartrite è una condizione degenerativa

che interessa circa il 15% della popolazione

mondiale, senza distinzione di sesso e

comprendendo individui sempre più giovani

che svolgono attività sportiva.

tra i fattori di rischio anche il sovrappeso e

l’obesità, in cui la massa corporea ‘preme’

su cartilagini e articolazioni, danneggiandole

e usurandole precocemente. I sintomi più

comuni sono il dolore, la rigidità, la tensione,

ma anche la sindrome delle gambe senza riposo ed i

disturbi del sonno, un quadro che spesso evolve verso la

depressione e la tendenza a muoversi sempre meno nel

tentativo di evitare il dolore. la progressione della malattia

è dovuta alla graduale distruzione dei condrociti (le

cellule di sostegno della cartilagine) e alla loro incapacità

di riparare efficacemente i danni del tessuto a cui

appartengono. la cartilagine infatti è un tessuto che dopo

un danno non si rigenera facilmente. Inoltre, nel tessuto

danneggiato vengono prodotte sostanze (proteinasi) che

distruggono le cellule articolari inducendole al ‘suicidio’, il

processo noto con il termine ‘apoptosi’”.

Perché l’uso delle cellule staminali derivate dal tessuto

adiposo?

“Perché rappresentano l’approccio migliore per trattare

la degenerazione del tessuto osseo e della cartilagine. Il

tessuto adiposo ha mostrato innegabili vantaggi: dalla

semplicità di prelievo alla maggiore quantità di staminali

presenti (rispetto, ad esempio, a quelle del midollo osseo) e

alla spiccata superiorità del risultato dopo la coltura.

Oltre a differenziarsi in condrociti, le staminali del grasso

espanse possiedono una azione paracrina, ossia producono

fattori di crescita, antinfiammatori e immunomodulatori a

livello locale con la secrezione di molecole che proteggono

le cellule dalla distruzione.

Si tratta di un autotrapianto di cellule staminali, che

vengono estratte direttamente dal tessuto lipidico

prelevato al paziente e che vanno a stimolare l’organismo

stesso a riprodurre ciò che è insufficiente o danneggiato.

In che modo? le cellule staminali vengono veicolate nel

ginocchio attraverso iniezioni intra-articolari, dove riparano

le lesioni e producono localmente una serie di fattori

bioattivi che svolgono un’azione rigenerativa in loco con

un alto profilo di sicurezza biologica.

Diversi studi clinici hanno confermato un miglioramento

nei sintomi percepiti e misurati con tecniche di imaging

diagnostico, con valori incoraggianti: miglioramento

del 44% dei sintomi a 6 mesi, e 59% a 12 mesi (secondo

la scala IKDC che prende in esame le attività svolte

senza dolore, il numero di giorni con dolore nelle ultime 4

settimane, la severità dello stesso e la rigidità e il gonfiore).

Il trattamento con le cellule staminali in campo ortopedico

ha quindi permesso il superamento delle

tecniche tradizionali come acetaminofene,

antinfiammatori non steroidei (FANS) e

oppioidi che controllano i sintomi, ma non

sono in grado di rallentare la progressione

della malattia e la degenerazione del tessuto

cartilagine. Inoltre, l’assunzione cronica di

farmaci porta ad un aumento degli effetti

collaterali. Mentre le procedure chirurgiche

sono state considerate troppo invasive e

limitate a casi specifici”.

Procedure chirurgiche troppo invasive: ci può spiegare

qual è la differenza tra queste e l’auto trapianto di cellule

staminali derivate da tessuto adiposo?

“la protesi è una sostituzione articolare che va a rivestire

l’articolazione così da impedire lo sfregamento tra capi

articolari danneggiati e quindi elimina il dolore e la

sofferenza articolare. Si tratta di un intervento di chirurgia

cosiddetta “maggiore”, essendo invasiva e non scevra da

rischi e complicazioni. Con il trapianto di cellule staminali

derivate da tessuto adiposo, invece si va ad incidere

stimolando biologicamente la riformazione della cartilagine

stessa, in quanto le cellule staminali prelevate dal paziente

una volta innestate nell’articolazione riconoscono le

cellule cartilaginee, si moltiplicano e tappezzano la zona

danneggiata con un nuovo tessuto sano. Questo permette

quindi non di sostituire, ma di rigenerare il tessuto stesso

dell’organismo, si avrà così un impatto chirurgico meno

invasivo, un tempo di ripresa rapidissimo e soprattutto è

un intervento biologico che prevede l’innesto delle nostre

stesse cellule staminali senza nessun taglio o azione di tipo

meccanico. Con questa tecnica si ottiene un risultato

sorprendente senza controindicazioni e con dei tempi di

ripresa rapidi per il paziente, in quanto non ci sono incisioni

importanti, ma solo un piccolo foro di circa mezzo cm,

all’interno coscia o all’addome, necessario per il prelievo

del tessuto adiposo. è un intervento biocompatibile che

asseconda la natura, la perdita di sangue è praticamente

inesistente, non necessita di alcuna riabilitazione perché

non c’è perdita di tono muscolare e immobilizzazione

dell’arto”.

Come avviene tecnicamente il trapianto autologo di

tessuto adiposo?

“è una procedura mininvasiva. Al paziente viene prelevato

il grasso presente nella superficie addominale o dall’interno

coscia. l’uso che tradizionalmente viene fatto del grasso

in ortopedia prevede che dopo il prelievo - una mini

liposuzione come quella che si esegue in chirurgia plastica

in anestesia locale - il tessuto adiposo venga centrifugato

dagli esperti presenti in sala, per poi essere reinnestato,

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circa 20 ml, questo viene posizionato in una

apposita valigetta da trasporto che viene

quindi consegnata al personale del bioscience

Institute”.

Cosa succede al campione di grasso una

volta giunto nella camera sterile? l’abbiamo

chiesto al dott. giuseppe marchesani, Director

di bioscience Clinic Middle east.

“una volta che il campione è giunto nelle Cells Factory

di bioscience viene velocemente accettato e trasferito

nell’area sterile - ha spiegato Marchesani - l’operatore

all’interno di una cappa a flusso laminare, con un processo

enzimatico, disgrega il tessuto nelle sue componenti

cellulari. dal campione quindi vengono eliminate le

componenti cellulari non utili o addirittura potenzialmente

dannose come i macrofagi, permettendo di isolare ed

espandere le sole cellule di nostro interesse. Il processo di

espansione è ottenuto con una tecnica di coltura cellulare

estremamente selettiva per le

cellule staminali mesenchimali

(ADSC). Al termine della

lavorazione, dopo circa 12

giorni dalla raccolta del grasso,

si avrà una popolazione di

cellule staminali assolutamente

omogenea e ben maggiore in

numero alle cellule staminali

inizialmente presenti. Orthoskill

sarà quindi pronto per

essere cryo-conservato nella

nostra cryo-banca o essere

reinnestato al paziente”.

Qual è il risultato?

“Partendo dal presupposto che il principio attivo in

questa tecnica di terapia rigenerativa sono le cellule

staminali mesenchimali, il risultato finale mira ad avere

un numero adeguato di cellule altamente omogenee

e prive di contaminazioni da impiegare in uno o più

trattamenti. Questa tecnica permette di superare i limiti

delle metodiche che impiegano le cellule staminali del

grasso senza una fase di coltura. Innanzitutto, il paziente

può riceve una precisa dose di cellule staminali idonea per

la sua patologia, vengono inoltre eliminate le componenti

cellulari che potrebbero essere addirittura lesive come i

macrofagi sopra citati o in genere le cellule leucocitarie.

Ortoskill quindi rappresenta una grandiosa e rivoluzionaria

novità?

“Assolutamente, può essere considerata una delle prime

per via articolare, con una semplice siringa

all’interno dell’articolazione danneggiata.

Il paziente stesso è quindi il donatore e allo

stesso tempo il ricevente: ecco perché si parla

di “autotrapianto” o “trapianto autologo” di

tessuto adiposo”.

negli ultimi anni ci sono stati ulteriori sviluppi

a conferma che la medicina rigenerativa

rappresenterà il futuro nella chirurgia ortopedica.

A San Marino e a Dubai è presente il bioscience Institute

(http://www.bioinst.com), un polo biotecnologico tra i più

qualificati e avanzati d’Europa, specializzato nella coltura

cellulare e nella crioconservazione di cellule staminali

autologhe che ha conseguito significativi risultati nella

ricerca mirata alle nuove applicazioni terapeutiche delle

cellule staminali e ottenuto importanti riconoscimenti

dalla comunità scientifica nazionale e internazionale.

bioscience ha messo in campo un trattamento innovativo

per la degenerazione ossea e cartilaginea che si chiama

Orthoskill.

Con questa tecnica, anziché

usare il grasso che contiene

poche cellule staminali e

molte cellule dannose come i

macrofagi, è possibile curare

le condizioni degenerative

dell’osso e della cartilagine,

con l’uso di un’adeguata ed

omogenea quantità di cellule

staminali mesenchimali. una

volta prelevato il tessuto

adiposo, le cellule staminali

vengono isolate dalle cellule

dannose e coltivate su un

supporto biodegradabile ricco

di fattori di crescita. Al termine della coltura, che dura circa

due settimane, le cellule vengono iniettate nella zona in

cui la cartilagine è danneggiata dove formano nuovo

tessuto sano.

“la procedura è simile a quella spiegata per il tessuto

adiposo - ha spiegato Sanna, che collabora con bioscience

Institute - ma il trattamento di Orthoskill prevede due step.

Il primo è la raccolta di una piccola quantità di grasso

attraverso una procedura ambulatoriale di mini liposuzione

in anestesia locale da cui è possibile estrarre un numero

di staminali sufficienti a generare, dopo la moltiplicazione

nella “fabbrica di cellule” come bioscience di San Marino

e Dubai, circa 50milioni di ADSC, divise in 5 provette da

10 milioni di cellule ciascuna, per altrettanti trattamenti.

Il secondo step è il reinnesto al paziente dopo circa 12-

15 gg tramite l’infiltrazione. La caratteristica innovativa

di Orthoskill sta proprio nella coltura ed espansione delle

cellule staminali. una volta fatto il prelievo di grasso di

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11

traslazioni della medicina rigenerativa che impiega

cellule staminali di grado farmaceutico in ambito clinico.

Dopotutto, prestigiosi istituti europei tra cui il Rizzoli si stanno

muovendo nella medesima direzione. un grandioso

progetto europeo, ADIPOA e II del VII Programma Quadro

dell’ue, che ha coinvolto 12 centri europei riuniti in un

consorzio coordinato dal Centro universitario Ospedaliero

di Montpellier, iniziato nel 2010 e totalmente finanziato

dalla comunità europea, che mira a sviluppare una

piattaforma per il trattamento dell’osteoartrite con cellule

mesenchimali ottenute dal tessuto adiposo, sta iniziando

in questi mesi a dare i primi entusiasmanti risultati.

L’ampio studio multicentrico ha confermato l’efficacia

del trattamento con le cellule staminali, sin dalla prima

applicazione: sono state usate due dosi di ASCs in 50

pazienti ciascuna, comparate con un gruppo di controllo

che ha ricevuto una iniezione di acido ialuronico. Per tutti

poi sono stati misurati i benefici e gli effetti sulla disabilità

e la qualità di vita con la scala di valutazione WOMAC

(la Western Ontario and McMaster universities Arthritis

Index) che ha registrato un miglioramento significativo

del dolore, sino al 40% in meno. Miglioramento del 30%

nella scala KOOS (Knee injury and Osteoarthritis Outcome

Score) e del 50% nell’indice VAS per la valutazione del

dolore”.

Il quantitativo di grasso adiposo viene quindi prelevato dal

chirurgo, inviato all’istituto che procede con l’isolamento

e la coltura delle cellule staminali mesenchimali e dopo

12 giorni è tutto pronto per essere iniettato al paziente.

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Dott. Sanna, in questo caso come avviene l’innesto?

“esistono diverse opzioni. nella maggior parte dei

casi si procede con l’infiltrazione a mezzo siringa con

ago sottile e tutto viene fatto in regime ambulatoriale.

Questa procedura a seconda dell’articolazione da

infiltrare può prevedere l’utilizzo di un ecografia per

guidare precisamente l’ago durante il trattamento.

Questo è il caso dell’anca che, essendo contornata da

molti muscoli, è sicuramente meno “aggredibile” di un

ginocchio che è invece “palpabile” in quasi tutti i suoi

contorni.

In altri casi invece, specialmente dopo un trauma in

un giovane atleta o sportivo, che magari ha oltre al

danno cartilagineo altre lesioni associate ( lesione

del menisco, del legamento crociato) le cellule

staminali vengono iniettate direttamente nel tessuto

cartilagineo danneggiato questa volta però, con

approccio chirurgico mininvasivo secondo la metodica

artroscopica. Grazie ad una micro telecamera il

chirurgo può vedere direttamente il sito della lesione,

posizionando perfettamente l’ago in modo da eseguire

l’iniezione delle cellule con grande accuratezza e

precisione.

Esistono infine altre situazioni, quali ad esempio la necrosi

ossea, frequente soprattutto alla testa femorale, dove per

cause ancora non ben conosciute ma probabilmente

per un difetto di irrorazione sanguigna, il tessuto osseo

progressivamente va in sofferenza andando incontro a

una morte cellulare (necrosi). In questi casi si possono

iniettare le cellule staminali direttamente nell’arteria che

sappiamo essere quella afferente la zona del tessuto

sofferente o, in alternativa, tramite un piccolo foro

percutaneo; guidati da una tAC le cellule staminali

vengono iniettate nel punto di lesione”.

Ci sono effetti collaterali?

“Poiché usiamo solo le cellule del paziente, non ci sono rischi

di alcun tipo (contaminazione, rigetto o reazione allergica)”.

Quante volte occorre ripetere il trattamento?

“non esiste una frequenza ideale per eseguire queste

procedure, perché dipende dalla gravità della

condizione e dalla capacità intrinseca di guarigione

propria di ogni paziente.

Può essere sufficiente un trattamento o anche effettuarne

altri senza però eseguire un nuovo prelievo, visto che

le cellule possono essere tranquillamente conservate

per moltissimi anni in apposito criocongelatori. Quando

necessarie vengono scongelate e rese in pochi giorni

disponibili per il nuovo trattamento.”

Quali sono i tempi di guarigione? e quali sono i risultati?

“Dipende dal paziente. L’efficacia terapeutica del

prodotto biologico è strettamente correlata all’età

biologica del paziente e non solo a quella anagrafica.

l’età biologica è legata allo stile di vita e alla condizione

fisica generale (l’obesità, il fumo, l’alcool e le droghe

hanno un effetto negativo).

di solito il processo di riparazione con orthoskill richiede

2-3 mesi, ma il miglioramento si può notare anche prima,

circa 4-6 settimane dal trattamento. Ad ogni modo,

i risultati molto spesso sono davvero sorprendenti. Il

paziente che prima non camminava, non era in grado

di flettere o estendere il ginocchio, depresso per la

percezione negativa delle sue limitazioni e spaventato

dal dover affrontare un importante intervento chirurgico

non scevro da rischi quali quello protesico classico, lo si

rivede in poche settimane tornare alla quasi completa

ripresa funzionale, senza dolore e anche di buon umore”.

La ricerca scientifica in campo medico ha un ruolo

fondamentale. le tecniche innovative in campo

chirurgico sono possibili grazie anche all’impegno dei

ricercatori che lavorano in modo costante ogni giorno

per raggiungere dei grandi risultati, come in questo caso.

Dott. Marchesani, secondo lei cosa ci riserva il futuro?

“Sono certo che assisteremo ad un prepotente sviluppo

di un nuovo tipo di medicina, molto meno invasiva e

molto più custumizzata alle esigenze del paziente. Con il

procedere della nostra conoscenza in campo biomedico

la combinazione di tecniche di biologia cellulare,

molecolare e biotecnologia dei materiali sposteranno

l’attività dei medici dalla sala operatoria a ambienti più

simili a laboratori. basti pensare alle nuove terapie anti

tumorali con cellule CAR-T, roba fantascientifica solo 6

anni fa. La figura del medico sarà ancora più cruciale,

sarà suo il compito di amalgamare insieme le varie

tecnologie per l’ottenimento del miglior risultato clinico.

la collaborazione tra gli specialisti nei diversi settori,

come tra i biologi e gli ortopedici, è fondamentale

perché la professionalità è cruciale nella selezione del

paziente, nel suo monitoraggio e per corretto uso del

prodotto”.

lo sviluppo di un nuovo tipo di medicina sempre meno

invasiva, innovativa e più vicina e attenta alle esigenze

del paziente è possibile grazie alla collaborazione tra le

diverse branche mediche e scientifiche, ma soprattutto

alla ricerca. e come disse lo scienziato statunitense

Charles Sanders Peirce “Non si può bloccare la strada

della ricerca”.

Page 13: Health Online 21

Presentano

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nella sanità integrativa l’unica forma di assistenza concreta e sostenibile che opera senza scopo di lucro.

La volontà di diffondere il più possibile il principio di prevenzione ha spinto Mutua MBA ad affidarsi a Radio Radio, emittente radiofonica romana che sin dalla sua nascita si è caratterizzata come talk radio, ed elaborare per gli ascoltatori un’offerta di 9 sussidi:

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Page 14: Health Online 21

14

l’ipertensione: cos’è e perché non va trascurata?

a cura dimariachiara manopulo

la pressione arteriosa è la forza esercitata dal sangue

contro la parete delle arterie. Ad ogni battito del cuore,

il sangue esce dal ventricolo sinistro attraverso la valvola

aortica, passa nell’aorta, per diffondersi poi a tutte le arterie.

Quando il cuore si contrae e il sangue passa nelle arterie, si

registra la pressione arteriosa più alta, ‘sistolica’ o ‘massima’;

tra un battito e l’altro, il cuore si riempie di sangue e all’interno

delle arterie si registra la pressione arteriosa più bassa, detta

‘diastolica’ o ‘minima’.

la misurazione della pressione si registra a livello periferico,

usualmente dal braccio e viene indicata da due numeri

che indicano la pressione arteriosa sistolica e la diastolica,

misurate in millimetri di mercurio (es. 120/80 mmHg).

Secondo la classificazione del JNC

7 (Joint National Committee on

Prevention, Detection, evaluation

and treatment of High blood

Pressure) si considera ‘normale’

una pressione sistolica inferiore

a 120 mmHg e una pressione

diastolica inferiore a 80 mmHg.

si parla di ipertensione quando i

valori di sistolica e/o di diastolica

superano i 140 (per la massima) o

i 90 (per la minima).

le stime dicono che 15 milioni di

italiani soffrono di ipertensione,

ma solamente la metà ne è

consapevole. tenere sotto

controllo la pressione, e mantenerla

nei livelli raccomandati, è invece

fondamentale, perché l’ipertensione rappresenta il fattore

di rischio più importante per l’ictus, per le malattie legate

all’invecchiamento (disturbi della memoria, disabilità),

ma anche per l’infarto del miocardio, gli aneurismi, le

arteriopatie periferiche, l’insufficienza renale cronica, la

retinopatia.

Per saperne di più, abbiamo fatto qualche domanda al dott.

roberto manopulo, Responsabile Servizio di Cardiologia,

Ospedale Privato Accreditato Villa Maria di Rimini.

Quali sono le cause di ipertensione?

L’Organizzazione Mondiale della Sanità, definisce

l’ipertensione arteriosa il più frequente disordine

cardiovascolare, presente in circa il 20% della popolazione

adulta di molti paesi. In Italia, il Progetto RIFle (Risk Factors

and life expectancy), in oltre 70.000 individui esaminati,

con età compresa tra 20 e 69 anni, distribuiti in 13 regioni,

ha evidenziato una percentuale di ipertesi variabile dal

21,3 al 25,7%. Il fenomeno assume addirittura caratteristiche

eclatanti con l’avanzare dell’età.

Secondo dati epidemiologici statunitensi del Fourth

national Health and nutrition examination Survey, più

della metà degli ultrasessantacinquenni ed il 75% degli

ultrasettantacinquenni americani sono ipertesi. I dati relativi

alla popolazione anziana italiana, pur percentualmente

leggermente inferiori, sono sostanzialmente sovrapponibili

per caratteristiche intrinseche e per l’occorrenza di eventi

avversi cardiovascolari che è molto elevata.

nell’ipertensione arteriosa cosiddetta essenziale o primaria,

che rappresenta circa il 95% dei casi, non esiste una causa

precisa, identificabile, essendo

coinvolti più meccanismi regolatori,

coinvolgenti il sistema nervoso

autonomo e la funzione renale.

nel restante 5% dei soggetti invece,

l’ipertensione è la conseguenza di

anomalie congenite od acquisite,

che interessano i reni (stenosi

di una arteria renale), i surreni

(iperfunzione ghiandolare), i vasi

(coartazione aortica). In questi

casi, l’individuazione e la rimozione

delle cause, può accompagnarsi

alla normalizzazione dei valori

pressori.

l’aumento della pressione arteriosa

può anche dipendere dall’uso

ed abuso di alcune sostanze tra

cui, per esempio, la liquirizia, gli spray nasali, il cortisone,

la pillola anticoncezionale, la cocaina e le amfetamine.

Sospendendone l’assunzione, i valori pressori tornano alla

normalità.

esiste una predisposizione?

Si, la presenza in famiglia di soggetti ipertesi rappresenta

certamente una predisposizione importante. Vi sono poi

condizioni che possono favorire l’ipertensione, come

l’avanzare dell’età (invecchiamento vascolare, cioè

l’arteriosclerosi), il sovrappeso e l’obesità, il fumo, l’abuso

alcoolico, lo stress, una dieta ricca di sodio e povera di

potassio, la sedentarietà.

è possibile prevenirla?

Una dieta povera di sale, l’attività fisica moderata e

Page 15: Health Online 21

15

trascurata?

In primo luogo l’ictus cerebrale, poi l’infarto miocardico,

l’insufficienza renale progressiva e la retinopatia che

può anche provocare una perdita del visus. In generale

l’ipertensione costituisce un fattore fondamentale nella

determinazione del processo arterio ed aterosclerotico.

Quali esami sono importanti per tenere sotto controllo

l’ipertensione?

È necessario monitorare l’assetto glicolipidico e la

funzione renale, oltre che sottoporsi periodicamente

a controlli strumentali come ecg a riposo e da sforzo,

ecocardiogramma, ecodoppler dei vasi del collo, per

individuare precocemente possibili evoluzioni del danno

vascolare. la strategia potrà essere diversa a seconda

della presenza o meno di altri fattori di rischio associati.

Oltre a modificare lo stile di vita, per abbassare la pressione

bisogna ricorrere comunque ai farmaci?

Nelle forme lievi, la modifica di stili di vita errati ed il rispetto

di una dieta iposodica, può essere sufficiente, ma in molti

casi è indispensabile un trattamento farmacologico. Per

fortuna al riguardo l’armamentario terapeutico è molto

ricco e variegato e la scelta del farmaco verrà fatta dal

medico sulla scorta della storia clinica del paziente e della

presenza di altre patologie associate. Stabilire l’efficacia

di un farmaco può richiedere un po’ di tempo ed alle

volte è necessario associarne più di uno, anche 4 o 5, tutti

con meccanismi di azione diversi, in grado di realizzare

un potenziamento reciproco. Può anche succedere che

dopo anni di terapia, un paziente richieda l’aggiunta od

il cambio di un farmaco; non è colpa dell’antiipertensivo

che perde efficacia, ma è l’effetto della pressione arteriosa,

che con gli anni cambia.

costante (30 minuti al giorno di camminata veloce o di

cyclette), il controllo del peso corporeo (la perdita di

peso, in caso di sovrappeso/obesità), l’astensione dal

fumo di sigaretta, un consumo controllato di alcoolici,

sono tutti atteggiamenti raccomandabili per mantenere

un buon controllo pressorio. tali misure, nelle forme

lievi di ipertensione, possono rappresentare da sole un

trattamento non farmacologico efficace, a meno che non

vi siano altri fattori di rischio importanti associati, come il

diabete mellito e l’ipercolesterolemia.

Come si può riconoscere? Quali sono i sintomi

dell’ipertensione?

I valori pressori normali per la popolazione adulta sono

compresi entro i 140/85 mmHg, pertanto, si parla di

ipertensione quando uno od entrambi siano costantemente

superiori.

Non esistono sintomi specifici, essendo questi attribuibili

anche a molte altre condizioni, ma i più frequenti sono

cefalea, sensazione di stordimento, vertigini, ronzii nelle

orecchie, alterazioni della vista (annebbiamento o

presenza di puntini luminosi davanti agli occhi), perdite di

sangue dal naso (epistassi).

La scarsità dei sintomi e la loro aspecificità sono il motivo

principale per cui spesso il paziente non si accorge di

avere la pressione alta. Per questo il solo modo per fare

diagnosi di ipertensione arteriosa è quello di sottoporsi

periodicamente a misurazioni pressorie. una individuazione

precoce consente di prevenire malattie cardiovascolari

invalidanti e spesso mortali. nei soggetti anziani l’aumento

dei valori pressori riguarda specificatamente quelli sistolici,

in quanto secondario ad un incremento della rigidità

vasale conseguente al processo di invecchiamento delle

arterie.

Quali possono essere le conseguenze di una ipertensione

Page 16: Health Online 21

16

tutta la tua salute, ora, in un’app!

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Page 17: Health Online 21

17

la vitamina D è un’alleata della salute, svolge diverse

funzioni per il benessere dell’organismo, ma dei suoi

numerosi benefici se ne parla poco.

Oltre a prevenire l’osteoporosi ed essere anche un valido

aiuto per le donne durante la post-menopausa, quando la

fragilità ossea aumenta, è stato scientificamente provato

che è in grado di ridurre di circa il 12% le infezioni acute delle

vie respiratore. non solo, è anche utile nella prevenzione

di alcune patologie intestinali. uno studio condotto da un

gruppo di ricerca dell’università di Sheffield, pubblicato

sulla rivista British Medical Journal Open Gastroenterology

ha indagato il legame tra deficit di vitamina D e colon

irritabile studiando un piccolo campione di 51 pazienti. Da

un semplice esame del sangue è emerso che la vitamina

D era insufficiente nell’82% dei casi: più sono i fastidi della

pancia, tanto più sono bassi i valori di vitamina D. nella

seconda fase dello studio, i ricercatori hanno poi verificato

che questi pazienti rispondevano bene agli integratori,

riuscendo a ripristinare valori normali di vitamina D e hanno

dichiarato di aver migliorato la loro qualità di vita rispetto

al disagio prodotto dalla colite; questo, secondo gli esperti,

potrebbe essere dovuto anche all’azione antidepressiva -

altra funzione - della vitamina D.

la vitamina D è quindi ormai considerata più un ormone

che una vitamina in quanto regola vari organi e sistemi,

tanto che la sua carenza è stata associata a diversi tipi di

malattie come il diabete, l’infarto, l’Alzheimer, la Sclerosi

multipla e potrebbe essere associata anche ad un maggior

rischio di sviluppare una neoplasia. Secondo alcuni studi ci

sarebbe una correlazione tra la carenza di vitamina D e

l’insorgenza dei tumori: è emerso, infatti, che persone con

alti livelli di questa vitamina nel sangue corrono meno rischi

di sviluppare tumori rispetto ai soggetti che hanno livelli

più bassi. Dai risultati di una ricerca condotta dai Cancer

treatment Centers of America, inoltre, è stato rilevato che

carenze di vitamina D sono spesso riscontrate in pazienti

oncologici indipendentemente dal loro stato nutrizionale.

Nello specifico, per quanto riguarda il rischio del cancro

al colon è stata condotta una ricerca – nell’ambito del

a cura dinicoletta mele vitamina d nella cura e nella

prevenzione dei tumori.Intervista al Dott. toni Ibrahim

Page 18: Health Online 21

18

grande studio europeo ePIC alla cui realizzazione hanno

partecipato diversi ricercatori sostenuti da AIRC – dalla

quale è emerso che le persone con i più alti livelli di

vitamina d nel sangue hanno un rischio di cancro al colon

inferiore di circa il 40% rispetto a chi invece ne è carente.

un legame simile sembrerebbe esistere anche per altri tipi

di tumori.

Quali sono le neoplasie nelle quali la carenza è

maggiormente coinvolta? Qual è il ruolo della vitamina D

in oncologia?

Health Italia l’ha chiesto al dott. toni Ibrahim, Responsabile

della SSD Centro di Osteoncologia, tumori Rari e testa Collo

dell’Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei

tumori (IRSt) IRCCS di Meldola (Forlì-Cesena).

Quando si è iniziato a pensare ad un possibile

ruolo della vitamina D in oncologia?

“I primi dati di letteratura risalgono agli anni

ottanta e si riferiscono a dati sull’osteosarcoma,

un tumore osseo nel quale la vitamina D e il

metabolismo del calcio ricoprono un ruolo

importante. Inoltre, negli stessi anni, si è

scoperto che le cellule tumorali del carcinoma

della mammella posseggono il recettore della

vitamina D, ovvero l’”interruttore” necessario

alle cellule per rispondere agli stimoli della

vitamina stessa. Inoltre, dati epidemiologici

sulla distribuzione geografica del cancro del

colon-retto negli Stati uniti, hanno mostrato

che la mortalità dovuta a questo tumore era più alta nei

luoghi dove la popolazione subiva un’esposizione alla luce

solare minore rispetto ad altri posti. Dato che la vitamina

D viene sintetizzata a livello cutaneo proprio in seguito

all’esposizione solare, si è ipotizzato che questa molecola

abbia un ruolo protettivo per questa patologia”.

Quali sono i tumori nei quali la carenza è maggiormente

coinvolta?

“Dagli studi fatti fino ad oggi risulta che i tumori nei quali la

carenza di vitamina D ha un ruolo significativo sono quelli

del colon retto, del seno, della prostata e dell’ovaio”.

Quali sono gli effetti della vitamina D sul tumore?

“la vitamina D ha diverse funzioni biologiche sia a livello

sistemico, come la regolazione della deposizione di calcio

nelle ossa, sia a livello cellulare. Quando la vitamina D si

lega al proprio recettore all’interno della cellula, questo

può entrare nel nucleo e legarsi a sequenze specifiche di

DNA modificando l’espressione genica delle cellule, ovvero

la qualità e la quantità di proteine che verranno prodotte

dalla cellula tumorale. In particolare, la vitamina D sembra

avere un effetto protettivo perché inibisce la proliferazione

di queste cellule, ne induce la morte e stimola i meccanismi

di riparo del DnA che sono spesso alterati nelle cellule

malate.

è quindi possibile introdurre la vitamina D in una cura

oncologica? e quali sono gli effetti quando si introduce

nella terapia di un paziente oncologico? la vitamina D è

anche in grado di rallentare lo sviluppo del cancro?

“l’oncologo deve tenere particolarmente sotto controllo

lo stato di vitamina D nei propri pazienti, soprattutto per il

mantenimento dello stato di salute dell’osso. Quando il livello

di questa vitamina è deficitario deve essere assolutamente

incrementata. I dati sull’effetto della vitamina D rispetto

all’andamento della malattia tumorale non

sono ancora definitivi e richiedono conferma

in studi clinici prospettici e soprattutto

randomizzati, ovvero confrontando più gruppi

di persone con carenza o presenza di vitamina

D”.

Che cosa si intende per salute dell’osso nel

paziente oncologico ?

“Il ruolo della vitamina d nel mantenimento

dell’integrità dell’osso è fondamentale e

soprattutto ne previene la disintegrazione.

Quest’ultima condizione avviene solitamente

dopo la menopausa nella donna e

l’andropausa nell’uomo, ma può verificarsi anche durante

i trattamenti oncologici. la perdita della salute dell’osso

è responsabile delle fratture, con conseguente impatto

negativo sulla sopravvivenza dei pazienti. Inoltre, nei

pazienti oncologici sembra che il mantenimento della

salute dell’osso abbia un ruolo sull’andamento della

malattia, in particolare nel tumore della mammella e

della prostata. la vitamina D è molto importante anche

per i pazienti con metastasi ossee e per questo occorre

integrarla affiancandola alle altre terapie”.

Vitamina D e prevenzione. Alcuni studi di laboratorio hanno

dimostrato che la vitamina D è in grado di svolgere attività

potenzialmente in grado di prevenire una neoplasia. è

così? Cosa ne pensa?

“effettivamente le funzioni biologiche della vitamina D

riportano a questa ipotesi. Oltre alle già citate attività

della vitamina D sulle cellule tumorali, è importante

menzionare la sua capacità di indurre la differenziazione

cellulare, ovvero la capacità delle cellule di caratterizzarsi

in specifici compiti. Questa differenziazione è correlata a

una diminuzione della proliferazione e dell’aggressività

Page 19: Health Online 21

19

tumorale. I dati epidemiologici riguardanti la vitamina D e

la prevenzione dei tumori sono contraddittori e richiedono

conferme in studi omogenei e randomizzati a più gruppi. A

livello più sistemico, come precedentemente detto, ricordo

che la vitamina D ha un ruolo importante nella regolazione

del metabolismo del calcio e nel mantenimento della salute

dell’osso mentre, indirettamente, la sua mancanza può

influenzare il processo di metastatizzazione delle cellule”.

In conclusione, c’è un ruolo della vitamina D in oncologia

o per adesso ci sono solo stimoli per migliorare la ricerca

e ottenere dati sicuri con lo scopo specifico di prevenire

il cancro e combattere la progressione della neoplasia?

Quali sono le aspettative?

“Ad oggi in oncologia sono in corso centinaia di studi

sulla vitamina D che coinvolgono sia gli ambiti legati alla

prevenzione sia quelli riguardanti l’andamento della malattia

tumorale. tuttavia, in attesa dei risultati di questi studi,

riteniamo molto importante il mantenimento della vitamina

D nel sangue a un buon livello, sia in pazienti che abbiano

già effettuato trattamenti chemioterapici e per i quali gli

esami diagnostici non rilevano più presenza di malattia, sia

in pazienti in cui il tumore risulti presente a livello locale o

sistemico, in particolare nelle ossa. Il consiglio generale è

quello di mantenere uno stile di vita sano attraverso una

buona alimentazione che segua le regole della dieta

mediterranea, praticando attività fisica, evitando di fumare

e limitando l’eccessiva esposizione al sole”.

la vitamina D ha un ruolo fondamentale per il benessere

del nostro organismo. Come sapere qual è il proprio valore?

e come garantire al nostro organismo una giusta quantità di

vitamina D?

“Con un semplice esame del sangue è possibile

determinare il livello di vitamina D presente in ciascuna

persona, analizzando il valore 25(OH)D. Per ottimizzare il

livello di vitamina D occorrerebbe trascorrere molto tempo

all’aria aperta esponendosi al sole (evitando la fascia

oraria compresa tra le 11 e le 16) e mangiando cibi che la

contengono.

buone fonti alimentari di vitamina D sono: il pesce e gli olii

che esso contiene, in particolare trota, sogliola, sgombro,

salmone, pesce spada, storione, tonno e sardine; le uova,

soprattutto il tuorlo; il latte, il burro, il fegato e i grassi animali,

come quelli contenuti nelle carni di pollo, di anatra e di

tacchino; i fiocchi di mais, i cereali e le verdure verdi. Purtroppo

spesso i pazienti oncologici subiscono fasi di ipovitaminosi

durante le quali è necessaria un’implementazione per via

orale. Il consiglio, comunque, sempre valido, è quello di

rivolgersi al proprio medico”.

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ITALIA

Page 20: Health Online 21

20

ehealth. Perché la sanità digitale interessa le spese di tutti gli italiani

a cura dialessandro notarnicola

la trasformazione digitale della sanità pubblica è una

prospettiva realistica e necessaria che produce un

guadagno complessivo di 4 miliardi di euro in Italia.

Intrapresa da pochi anni, questa nuova via dello

“star bene” si figura con dei tratti diversi dalla sua

antecedente: è più vicina al paziente, equilibra il

rapporto qualità-costo, riduce sprechi e inefficienze.

“Ogni euro - ha fatto sapere la ministra della Salute,

beatrice lorenzin - verrà reinvestito per migliorare

l’assistenza ai cittadini”.

Con l’avanzare delle tecnologie e con il dilatarsi della

rete mediatica, anche il sistema sanitario avverte

l’esigenza di puntare su nuovi sistemi di gestione della

sanità. Come infatti avviene in molti ambiti, grazie al

digitale, le prospettive di sviluppo della medicina, e

dunque della ricerca, sono enormi, e rendono possibile

quel salto decisivo in grado di sostituire il paradigma

dell’assistenza tradizionale. l’obiettivo? Ottimizzare

l’allocazione delle risorse e innalzare la redditività

sociale.

20

Page 21: Health Online 21

21

Sulla dimensione 3.0

della sanità se ne è

discusso in occasione

del convegno “Sanità

elettronica e processi

digitali nel settore della

salute”, avvenuto

a Roma presso la

Camera dei deputati.

l’incontro, moderato

dalla giornalista

della Rai Maria

Antonietta Spadorcia

e organizzato

d a l l ’ a s s o c i a z i o n e

Italian Digital

Revolution con il patrocinio dell’Agenzia per l’Italia

digitale, dell’Agenzia nazionale per i giovani, di Formez

PA, della Regione lazio e della fondazione “I Sud del

mondo”, ha illuminato uno scenario del tutto inedito,

a partire dalla cartella clinica digitale, strumento

indispensabile per modernizzare l’intero sistema e

puntare sulle nuove frontiere offerte dal maggiore

utilizzo delle tecnologie.

“la sanità italiana è a un bivio – ha spiegato Mauro nicastri

dell’Agenzia per l’Italia digitale e presidente dell’Aidr

– appare ormai chiaro

come l’innovazione digitale

sia essenziale per andare

verso una sanità sostenibile,

ma occorre accelerare

e rimuovere barriere e

inerzie all’innovazione

cominciando dal valorizzare

al meglio le iniziative di

successo già presenti

sul territorio italiano ed

europeo.

nei prossimi mesi sarà

importante utilizzare con

migliori risultati le risorse

economiche a disposizione,

come per esempio quelle del POn governance ‘ICt per

la salute’, la cui reale disponibilità dipenderà anche dalla

capacità di programmazione e progettualità. è inoltre

fondamentale investire nella cultura digitale di cittadini

e operatori, coinvolgendoli anche nella progettazione

dei nuovi servizi. In sintesi, è urgente agire affinché il SSN

e i sistemi sanitari regionali, che vanno resi sempre più

digitali, possano mettersi in marcia speditamente per

rispondere alle esigenze di utenti, medici e operatori”.

la Commissione europea ha definito l’eHealth,

traducibile con sanità

elettronica o digitale,

come “l’uso delle ICt

nei prodotti, servizi

e processi sanitari

a c c o m p a g n a t o

da cambiamenti di

ordine organizzativo

e sviluppo di nuove

competenze, il tutto

realizzato allo scopo

di migliorare la

salute dei pazienti,

dell’efficienza e della

produttività in ambito

sanitario, nonché a un

più alto valore economico e sociale della salute.

l’eHealth riguarda l’interazione tra i pazienti e chi offre i

servizi sanitari, la trasmissione di dati tra le varie istituzioni

o la comunicazione tra pazienti e/o professionisti in

ambito sanitario”. Quello che tuttavia interessa al

governo italiano è il risparmio della spesa pubblica

sanitaria: considerando che intorno al 2050 in europa gli

over 60 copriranno circa il 35% della popolazione la cura

digitale è l’unica soluzione dal momento che limando il

muro della burocrazia ed eliminando buona parte della

carta a vantaggio di cartelle e ricette elettroniche,

si raggiungerebbe un

risparmio notevole pari,

secondo cifre ufficiali, a

una diminuzione del 10-15 %

della spesa sanitaria, pari a

20 miliardi, ovvero un punto

del nostro Pil.

Ad oggi, tuttavia, c’è

da dire che malgrado il

considerevole impegno,

l’Italia non è ancora

preparata per affrontare

la storica svolta. lo dicono

i numeri: nel corso del 2016

solo l’1,1% della spesa

sanitaria è stato destinato alla digitalizzazione: 1,27

miliardi, con un calo del 5% rispetto all’anno precedente

(1,34 miliardi). Restando nel 2016 si è assistito a un

investimento organico di 65 milioni sulla cartella

elettronica.

Gli sforzi da parte del Paese però ci sono anche se si

tratta di un cammino praticato gradualmente ma che

vedrà grandi risultati sia in termini di risparmio pubblico

che di crescita delle aziende e dunque di business dei

profitti privati.

Page 22: Health Online 21

ScegliereSalute

ITALIA

Page 23: Health Online 21

23

Il ganoderma (Ganoderma lucidum), noto anche come

reishi rosso o nero, è un fungo medicinale, conosciuto

in cinese come lin zhisato. usato da più di duemila anni

nell’estremo oriente, è considerato quasi “miracoloso” ed

enormemente benefico e per questo è chiamato anche

“fungo dell’immortalità”.

Il ganoderma lucidum è usato in Oriente come supporto

per sostenere il cuore, rivitalizzare il corpo e tranquillizzare

lo spirito.

Si presenta come un grosso fungo dal colore rosso bruno

scuro e lucido e ha una consistenza legnosa. In natura

cresce sui tronchi di alberi caduti nel profondo delle foreste

della Cina e del Giappone, ma ora viene coltivato con

successo.

tutte le parti del fungo vengono utilizzate: frutto, spore e

micelio.

Come molti altri funghi medicinali cinesi, il reishi contiene

un complesso di carboidrati chiamati polisaccaridi,

accompagnati da proteine e amminoacidi.

I polisaccaridi, il beta-glucano e i triterpeni sono le sostanze

attive più benefiche presenti nel ganoderma, quelle che

racchiudono le potenti proprietà terapeutiche di questo

alimento, anche se, come dice la medicina tradizionale

cinese, nessuno dei singoli elementi preso singolarmente

può portare gli stessi benefici del consumo per intero del

fungo stesso.

Proprietà e benefici del Ganoderma

numerosi studi condotti nel corso degli ultimi trent’anni in

Giappone, Cina, America e Regno unito hanno evidenziato

che il consumo di ganoderma è utile nel trattamento di

molti disturbi e patologie, come

asma, ulcere, infiammazioni renali,

e perfino come supporto nei casi di

aIds.

la maggior parte delle ricerche ha

evidenziato l’uso del ganoderma

come integratore in grado di

apportare benefici normalizzando

e regolarizzando gli organi e le loro

funzioni.

È in grado di stimolare il sistema

immunitario, promuovendo la

capacità del nostro corpo di attivare

i naturali processi di guarigione.

Secondo la medicina tradizionale

cinese, il ganoderma ha tante altre proprietà:

• aiuta a diminuire i livelli di trigliceridi e colesterolo nel

sangue, regolando anche la pressione sanguigna.

Questo riduce il rischio di malattie cardiovascolari;

• è un antistaminico naturale, in grado di ridurre le

reazioni allergiche perché contiene una sostanza

simile all’idrocortisone;

• combatte infiammazioni e infezioni virali come

l’influenza;

• inibisce l’attività del virus dell’Herpes Simplex;

• svolge un’azione sedativa, calmante e rilassante, e

proprio per questo viene utilizzato nei casi di insonnia;

• migliora la concentrazione e la memoria;

• aiuta nel trattamento dei casi da sindrome da fatica

cronica;

• aiuta a mantenersi in forma: attiva il metabolismo,

trasformando il cibo in energia; viene utilizzato infatti

come ingrediente nei prodotti dimagranti;

• riequilibra la flora batterica intestinale;

• regola i livelli di zucchero nel sangue;

• fluidifica il sangue e quindi può prevenire le trombosi

• combatte i radicali liberi e aiuta a prevenire i tumori,

grazie al suo contenuto di Vitamine b, C, D.

Per tutte queste proprietà viene chiamato il “Fungo

Miracoloso”.

Come si può consumare?

Il ganoderma lucidum si può consumare in zuppe o nel tè,

ma il sapore estremamente amaro e la consistenza molto

legnosa non lo rendono apprezzabile.

lo si consuma più facilmente in forma di capsule, pastiglie

o in polvere; è in vendita nei negozi

specializzati.

si consiglia di consumarlo in sinergia

con la vitamina c, per potenziarne

gli effetti medicinali.

le proprietà del Ganoderma non

sono ancora riconosciute come

presidi medici ma solo come rimedio

naturale, pertanto si consiglia

di consultare il proprio medico

di fiducia qualora si assumano

medicinali contro l’ipertensione o

anticoagulanti, in caso di allergia

ai funghi e in stato di gravidanza o

allattamento.

a cura disilvia terracciano ganoderma:

un fungo asiatico dalle molteplici proprietà

Page 24: Health Online 21

24

Ipoacusie o disturbi dell’udito, una patologia da non sottovalutare Intervista al dott. Giancarlo Cavaniglia

a cura dinicoletta mele

Si chiamano disturbi dell’udito o ipoacusie i deficit della

funzione uditiva. Possono variare non solo nella tipologia,

ma anche in origine e intensità: la compromissione

dell’udito comporta una perdita parziale della funzione

uditiva, con livelli che vanno da leggera a moderata,

severa, profonda, mentre si definisce anacusia la perdita

totale delle capacità uditive. Se il disturbo interessa un solo

orecchio si definisce unilaterale.

I disturbi dell’udito dipendono da cause diverse e possono

essere fortemente invalidanti. l’impatto economico e

sociale sui singoli individui e sulla comunità può risultare

molto pesante.

la funzione uditiva svolge un ruolo importante per tutto

l’arco della vita e quando questa viene meno occorre

agire immediatamente, perché oltre alle conseguenze

sulla salute si possono presentare dei risvolti a livello sociale.

I problemi dell’udito infatti, rendono difficile comunicare e

possono così favorire l’isolamento e la depressione della

persona colpita dalla patologia. A tal proposito, l’invito

dell’Organizzazione Mondiale delle Sanità (OMS) è quello

di non ignorare e trascurare i disturbi dell’udito.

Health Online ha approfondito l’argomento grazie

all’autorevole collaborazione del dott. giancarlo

cavaniglia, medico chirurgo specializzato in

otorinolaringoiatria che si occupa di diagnosi e terapia dei

disturbi dell’udito.

Dott. Cavaniglia, quali sono le principali cause che portano

ai disturbi dell’udito? Chi sono i soggetti maggiormente a

rischio? La sordità può essere ereditaria?

“Per prima cosa bisogna distinguere le ipoacusie in

trasmissive e neurosensoriali. le prime sono legate ad

un danno dell’orecchio medio e ad un problema di

conduzione della catena ossiculare (martello, incudine,

staffa). le seconde ad un danno a livello della coclea

(dove il suono viene trasformato in un impulso nervoso) o

24

Page 25: Health Online 21

25

a livello del nervo acustico.

un capitolo a parte è rappresentato

dalle cosiddette sordità centrali.

le cause possono essere ereditarie,

infettive (virali e batteriche),

degenerative, traumatiche, vascolari,

etc.

I soggetti maggiormente a rischio

sono i bambini, i soggetti esposti in

maniera continuativa a rumore, i

soggetti affetti da patologie croniche

neurologiche e dismetaboliche.

Alcune forme di sordità possono

essere ereditarie, per altre ci può

essere una predisposizione familiare”.

L’ipoacusia viene classificata in quattro livelli ed ogni

grado implica un diverso tipo di approccio medico e

sociale. Può spiegare i livelli e quali sono quelli considerati

invalidanti?

“la ipoacusia leggera è di solito una forma trasmissiva

legata ad una flogosi delle prime vie aeree transitoria che

regredisce completamente con una terapia medica o

termale.

la ipoacusia moderata è legata o ad una cronicizzazione

di un processo infiammatorio delle prime vie aeree o ad un

iniziale danno neurosensoriale. La terapia non può essere

solo medica, ma a seconda dell’età del paziente e della

gravità della patologia correlata può essere necessario

ricorrere ad un trattamento chirurgico o protesico.

la ipoacusia severa comporta un serio problema

di integrazione sociale, si rende quindi necessario il

trattamento della patologia principale, una protesizzazione

acustica e a seconda dell’età anche ad una rieducazione

logopedica.

la ipoacusia profonda comporta gravi ripercussioni nella

vita di relazione, con la necessità relativamente all’età del

paziente di ricorrere, dove una protesizzazione tradizionale

non fosse sufficiente, ad un intervento chirurgico di

impianto cocleare, con tutto il successivo iter riabilitativo”.

Sulla base dell’origine e dell’intensità, in che modo i deficit

della funzione uditiva si possono curare? Quali sono le

tecniche, gli ausili e gli apparecchi oggi maggiormente

utilizzati per risolvere i problemi legati ai disturbi dell’udito?

“Di solito le patologie dell’orecchio medio, quindi quelle

di tipo trasmissivo nelle quali non c’è un danno del nervo

acustico, siano esse batteriche cronicizzate, o degenerative

(colesteatoma congenito o secondario) possono essere

curate con un intervento chirurgico

di timpanoplastica. nel trattamento

chirurgico, il medico ha però

come primo obiettivo la risoluzione

dell’evento morboso che ha causato

la ipoacusia e questo può talvolta

essere in contrasto con il recupero

completo della funzione uditiva. le

forme neurosensoriali non possono

trarre nessun giovamento da un

trattamento chirurgico che non può

ripristinare la funzione nervosa. unica

eccezione sono le forme profonde,

che in casi selezionati possono essere

sottoposte ad un impianto cocleare

(intervento che deve essere effettuato solamente presso

Centri di Riferimento). le tecniche chirurgiche tendono a

ricostituire la continuità della catena ossiculare, quando

non è possibile riutilizzare tutti gli ossicini si utilizzano protesi

di materiale sintetico biocompatibile che sostituiscono

l’ossicino mancante.

Per quanto riguarda le protesi acustiche, oggi sono stati

raggiunti risultati di altissimo livello con la tecnologia digitale

e la possibilità di applicare delle protesi direttamente

all’interno dell’orecchio medio a contatto con la finestra

ovale.

l’importante è utilizzare gli ausili protesici tanto più

precocemente quanto più è giovane il paziente e

ricorrere quando necessario ad un supporto logopedico

nell’infanzia e psicologico nell’età più avanzata”.

Riassumendo, quando l’intervento chirurgico ed è risolutivo

in maniera definitiva?

“Il trattamento chirurgico è indicato nella maggior parte

delle ipoacusie legate ad una patologia dell’orecchio

medio. In medicina è difficile garantire un risultato

definitivo: al di fuori di patologie malformative che possono

essere spesso risolte, le affezioni flogistiche attecchiscono

su una persona piuttosto che su un’altra, per una sorta di

predisposizione soggettiva che rimane e che può favorire

ricadute o nuove patologie dello stesso organo”.

è possibile e in che modo prevenire i disturbi dell’udito?

“bisogna per prima cosa chiarire due punti. Prima di

tutto, le patologie dell’orecchio non sono mai primitive,

ma insorgono come complicazione diffusa dalle

prime vie aeree (flogosi rinosinusali, faringotonsilliti,

episodi infiammatori delle vegetazioni adenoidee) poi

nell’infiammazione e infezione dell’orecchio medio la

In evIdenza

Page 26: Health Online 21

26

ed è in gran parte dovuto ad obesità o alla mancanza

di attività fisica. I soggetti affetti da diabete tipo 2 non

producono una quantità sufficiente di insulina o non sono

in grado di usarla in modo efficace.

Il diabete gestazionale insorge nelle donne in gravidanza

che precedentemente non hanno mai sofferto di diabete.

Viene diagnosticato attraverso una analisi del sangue

eseguita durante la gravidanza. non ne sono state

individuate le cause specifiche, ma si ritiene che gli ormoni

prodotti durante la gravidanza aumentino la resistenza

della donna all’insulina, con conseguente riduzione della

tolleranza al glucosio.

non si sa molto dell’interazione tra diabete ed ipoacusia.

In effetti l’ipoacusia potrebbe essere una complicanza

sottovalutata del diabete, sia di tipo 1 che di tipo 2. A causa

di tutto ciò e della consapevolezza generalmente limitata

delle conseguenze negative dell’ipoacusia sul benessere

di una persona, a molti pazienti diabetici non viene

diagnosticata la propria ipoacusia oppure preferiscono

ignorare la propria condizione

senza fare nulla al riguardo. la

ipoacusia è prevalentemente

di tipo neurosensoriale. nel

diabete tipo 1 esiste una forte

correlazione con l’ipoacusia

in età relativamente giovanile,

prima che gli effetti cumulativi

di invecchiamento, esposizione

al rumore ed altri fattori

contribuiscano al deficit uditivo.

nel diabete tipo 2 la malattia

e l’ipoacusia sono normalmente associate all’età. la

maggiore differenza uditiva si manifesta nelle frequenze

medie ed acute. l’incidenza e la gravità dell’ipoacusia

sembrano essere correlate alla quantità di tempo trascorso

dall’insorgere del diabete ed all’efficienza del controllo

dei loro livelli di glucosio.

Complicazioni ben note del diabete coinvolgono

cambiamenti patogenetici e micro-vascolari dei nervi

sensoriali. Osservazioni post-mortem di pazienti diabetici

mostrano un ispessimento dei capillari nella stria vascularis,

un ispessimento delle pareti dei vasi della membrana

basilare ed una maggiore perdita delle cellule ciliate

esterne nel giro basale inferiore oltre alla demielinizzazione

dell’ottavo nervo cranico Inoltre il restringimento dell’arteria

uditiva interna è un altro cambiamento vascolare causato

dal diabete”.

Oltre ad una correlazione tra i disturbi dell’udito e il diabete,

esiste una relazione bidirezionale tra disturbi acustici e

deterioramento cognitivo in età avanzata. A sostenerlo

sono numerosi studi che hanno dimostrato la correlazione

tra ipoacusia e morbo di Alzheimer.

Stando ai dati, oltre 7 milioni di italiani e 590 milioni di

persone nel mondo convivono con un deficit dell’udito

mucosa va incontro ad una modificazione (metaplasia)

che favorisce nuovi episodi flogistici (effetto memoria).

la prevenzione va quindi fatta sulle prime vie aeree

riducendo le infiammazioni e trattando i primi sintomi in

maniera adeguata per evitare le complicazioni specie nei

soggetti predisposti.

Per quanto riguarda le ipoacusie da esposizione ai rumori

(di tipo lavorativo), bisogna usare tutti i presidi messi a

disposizione per ridurre gli eventuali danni (cuffie, etc.) in

quanto l’orecchio è fatto per sentire i suoni, anche a volume

elevato, ma è indifeso verso i rumori (privi di armoniche)

che possono distruggere in maniera irreversibile le cellule

ciliate deputate a trasformare il suono e la voce in uno

stimolo nervoso da inviare al lobo temporale del cervello”.

Diversi studi hanno dimostrato che c’è un legame tra

diabete e ipoacusia: secondo gli esperti, le persone

affette da diabete hanno una probabilità più che doppia,

precisamente di 2,15 volte più elevata, di incorrere in una

perdita dell’udito rispetto ai

non diabetici. nel 65% dei casi

l’ipoacusia che si riscontra nei

diabetici riguarda le frequenze

acute, mentre nel 26% dei

casi si ha un interessamento

delle frequenze medio-gravi. In

sostanza, 1 diabetico su 4 ha una

perdita uditiva significativa, per

la quale può essere necessario

l’utilizzo di apparecchi acustici.

Nel mondo scientifico sono due

le ipotesi che portano a questa correlazione. la prima fa

riferimento all’angiopatia diabetica, che si verifica quando

il diabete provoca danni a livello dei vasi sanguigni,

associandosi così ad alterazioni vascolari dell’orecchio

interno e causando disturbi circolatori. la seconda ipotesi

mette in evidenza, invece, come il diabete possa agire

sui nervi, alterando la trasmissione dell’impulso a livello del

nervo acustico e delle vie uditive centrali.

Dott. Cavaniglia, è importante non sottovalutare questa

associazione? Quali sono i rischi maggiori per le persone

che soffrono sia di ipoacusia che di diabete?

“esistono 3 tipi principali di diabete: Diabete tipo 1; Diabete

tipo 2 e Diabete gestazionale. Il diabete tipo 1, denominato

anche diabete giovanile, o insulino-dipendente, è un

disordine del sistema immunitario che impedisce la

produzione di insulina. le cellule beta del pancreas, che

sono responsabili della produzione di insulina, vengono

attaccate ed uccise dal sistema immunitario. Il diabete

tipo 1 viene normalmente diagnosticato durante l’infanzia

o la prima adolescenza, sebbene i suoi sintomi possano

insorgere a qualunque età. Il diabete tipo 2 è la forma più

comune di diabete. Rappresenta il 90% dei casi di diabete

Page 27: Health Online 21

27

e vanno incontro a un rischio maggiore di sviluppare

forme di demenza. Il pericolo di decadimento cognitivo

è direttamente proporzionale al livello di ipoacusia: può

aumentare fino a 5 volte nei casi più gravi di sordità e per

ogni peggioramento dell’udito di 10 decibel si registra una

crescita del rischio di demenza di circa 3 volte.

Dott. Cavaniglia che ne pensa? è così?

“Con il passare del tempo diminuisce la qualità di ricezione

dei suoni, e in presenza di ipoacusia aumenta di 5 volte

la probabilità di andare incontro alla demenza senile,

indipendentemente da altri possibili fattori”.

è vero che chi ha una perdita uditiva a 60/65 anni ha un

maggior rischio di sviluppare demenza nel corso degli

anni?

“Attraverso l’udito ci rapportiamo al mondo, apriamo un

canale di comunicazione con altre persone e recepiamo

gli stimoli esterni. Quando si comincia a sentire male, poco

o niente, il cervello si atrofizza fino a facilitare la comparsa

della demenza senile. Quello tra ipoacusia e demenza

senile è un legame reale e, riprendendo le parole del Prof.

Martini, Cattedratico di Padova, possiamo affermare che

‘rallentare anche di un solo anno l’evoluzione del quadro

clinico, porterebbe a una riduzione del 10% del tasso di

prevalenza della demenza nella popolazione generale,

con un notevole risparmio in termini di risorse umane ed

economiche’”.

Quali sono le misure di prevenzione?

“Fare controlli audiometrici. A differenza di quanto

accade in molti Paesi europei, in Italia si sottovalutano i

disturbi dell’udito, a tal punto che l’ipoacusia degenera

spesso in sordità e gli acufeni sono considerati un fastidio

a cui ci si abitua.

Ai primi segnali di abbassamento dell’udito invece bisogna

rivolgersi all’Otorinolaringoiatra per eseguire tutti i test

medici richiesti dal caso diagnosticato e, eventualmente,

utilizzare l’apparecchio acustico”.

I disturbi dell’udito oltre ad avere delle serie conseguenze

sulla salute potrebbero anche dare origine a dei problemi

sotto il profilo sociale e assistenziale. Ad esempio,

potrebbero complicare il dialogo tra medico e paziente

con la conseguenza che il fatto di “non sentire bene”

potrebbe creare errori nel seguire in modo giusto una

determinata terapia. A testimoniarlo uno studio realizzato

dai ricercatori della Cork University, pubblicato su “Jama

Otolaryngology”, condotto su 100 pazienti over 60, dal

quale è emerso che il 43% degli anziani non riesce a capire

le indicazioni del medico proprio a causa di problemi di

udito. nella ricerca, il 57% aveva qualche problema

di udito (con picchi fra gli 80enni), ma solo il 26% usava

apparecchi acustici. Risultato? ben 43 pazienti hanno

riferito di aver sentito male le istruzioni del medico o

dell’infermiera.

Dott. Cavaniglia, cosa ne pensa? Quanto è importante

l’utilizzo di apparecchi acustici? Secondo lei, perché molti

anziani sono restii nell’utilizzo di questi apparecchi?

“L’ipoacusia può avere conseguenze negative:

• Ridotta qualità della vita

• Solitudine, isolamento sociale

• Scarsa autostima, insicurezza, frustrazione

• Ridotta qualità delle relazioni familiari e personali

• Ridotte capacità cognitive

La soluzione più semplice ed efficace è la protesizzazione

precoce, ma nonostante la ricerca e la tecnologia

abbiano fatto molti passi in avanti, gli apparecchi acustici

sono costosi per molte persone e alcuni li ritengono troppo

invasivi. Questo è dovuto ad un problema culturale per

cui gli occhiali vengono messi in mostra ma della protesi

acustica ancora si prova vergogna”.

Alla luce di quanto detto, quali sono i suoi consigli?

“l’orecchio è un organo di senso molto importante e

delicato, ci serve oltre che per sentire, anche per capire

da dove provengono i suoni sia per permetterci una vita

di relazione, sia per farci pervenire eventuali segnali di

pericolo. l’uomo è un essere sociale e vive in mezzo agli

altri con i quali deve interloquire e relazionarsi, è quindi

fondamentale mantenere l’efficienza uditiva nel migliore

dei modi. è necessario controllare la funzionalità uditiva

sin dalla primissima infanzia in modo da prevenire, curare,

riabilitare i danni al sistema uditivo il più precocemente

possibile; eseguire per tempo terapie mediche ed

eventuali interventi chirurgici che possano ripristinare la

funzione uditiva. In caso si rendesse necessario, ricorrere

ad una protesi acustica, superare falsi preconcetti e,

seguendo le indicazioni dello specialista, rivolgersi a un

Centro di apparecchi acustici per scegliere il più adatto

alle proprie esigenze”.

Page 28: Health Online 21

28

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anziane non autosufficienti. Nello svolgimento delle proprie attività istituzionali, la Fondazione si propone di sensibilizzare l’opinione pubblica su tematiche quali la difesa e la tutela della salute, incentivando il concorso e

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Page 29: Health Online 21

29

Gli inibitori di pompa protonica (IPP) sono una categoria

di farmaci molto diffusa ed utilizzata per il trattamento di

acidità di stomaco e reflusso gastroesofageo.

Gli inibitori della pompa protonica sono farmaci che

curano solamente la sintomatologia, perché agiscono

direttamente sulle cellule che secernono acido nello

stomaco, esattamente a livello della loro pompa

protonica, inibendola e riducendola. erano nati per brevi

periodi di cura, ma oggi vengono prescritti da molti medici

e specialisti per cure di mesi, di anni o per un trattamento

a vita.

In quali casi si possono prescrivere gli inibitori di pompa

protonica?

Sono davvero pochi. In presenza di ulcera gastrica o

duodenale; in alcune malattie ipersecretorie ben definite;

in associazione con antinfiammatori non steroidei, però

in soggetti a rischio; in alcuni tipi di malattie da reflusso

gastroesofageo; come coadiuvante nella terapia contro

l’Helicobacter pylori, il batterio che trova un ambiente

ideale di sopravvivenza e riproduzione all’interno dello

stomaco umano.

Secondo dati elaborati con la Società italiana di

farmacologia e la Federazione italiana medici di medicina

generale sulla base di statistiche dell’Agenzia italiana

del farmaco (AIFA), oltre 1.289.000 persone, pari al 46,5%

dei pazienti, utilizzano gli antisecretori in maniera non

appropriata, cioè senza che per loro rappresentino la

terapia più efficace.

nel corso dell’ultimo meeting annuale dell’American Heart

Association, uno studio danese ha osservato gli effetti

collaterali di questi farmaci, analizzando le informazioni di

quasi 250mila pazienti nel corso di quasi sei anni.

Secondo i ricercatori che hanno condotto lo studio1, gli

inibitori di pompa protonica sono già noti per i loro effetti

potenzialmente negativi sulle funzioni vascolari. Quando si

attivano sopprimono l’enzima DDAH, dimetilamino-idrolasi.

Questo causa un aumento dei livelli ematici di ADMA

a cura dialessandro viganò Attenzione ai farmaci

antireflusso: l’abuso può aumentare il rischio di ictus

2929

Page 30: Health Online 21

30

massimo, il rischio varia dal 30% in più per il lansoprazolo fino

al 94% del pantoprazolo. Gli utilizzatori di IPP sono in media

più anziani e maggiormente colpiti da altre patologie,

fra cui la fibrillazione atriale. Lo studio ha tenuto conto di

età, genere e alcuni fattori medici come la presenza di

ipertensione, fibrillazione atriale, cardiopatia e l’eventuale

uso di alcune categorie di

antidolorifici associate a ictus

e attacchi cardiaci. gli h2

bloccanti (o acido-riduttori, per

es ranitidina), un’altra famiglia di

farmaci usati contro l’acidità di

stomaco, non sembrano invece

mostrare rischi di questo tipo, ma

gli autori della ricerca spingono

alla prudenza: si tratta di uno

studio osservazionale, non in

grado di stabilire relazioni causali,

di conseguenza non è possibile

affermare che gli H2 bloccanti

siano meglio degli inibitori di

pompa protonica in assoluto.

Per chiarire questi punti, occorrerà uno “studio controllato

con placebo e randomizzato”, come raccomandano gli

autori.

I ricercatori invitano più che altro alla prudenza nell’utilizzo

indiscriminato di questi farmaci: “un tempo si credeva che

gli inibitori di pompa protonica fossero sicuri e privi di grossi

effetti collaterali”.

FOnte:1. Y. T. Ghebremariam, P. LePendu, J. C. Lee, D. A. Erlanson, A. Slaviero, N. H. Shah, J. Leiper, J. P. Cooke. An Unexpected Effect of Proton Pump Inhibitors: elevation of the Cardiovascular Risk Factor ADMA. Circulation, 2013; DOI: 10.1161/CIRCulAtIOnAHA.113.003602

(dimetilarginina asimmetrica), un importante messaggero

chimico. Hanno scoperto che ADMA a sua volta ha

soppresso la produzione di un altro messaggero chimico,

ossido di azoto, che influenza la funzione cardiovascolare,

come dimostrato dai vincitori del nobel 1998 Furchgott,

Ignarro e Murad. Studi quantitativi sui modelli di topi

mostravano che gli animali

alimentati da IPP avevano più

probabilità di avere tessuto

vascolare teso.

Gli scienziati hanno voluto

verificare se esistesse

un’associazione con l’ictus

ischemico, causato dalla

formazione di coaguli che

bloccano il flusso di sangue

verso il cervello.

I ricercatori hanno potuto

osservare le cartelle cliniche

di pazienti (età media 57 anni)

sottoposti a endoscopia. Fra i 250mila partecipanti allo

studio, quasi 9500 di loro sono stati colpiti da un ictus

ischemico per la prima volta nella loro vita nel corso

dei sei anni di osservazione: gli scienziati hanno quindi

determinato se, al momento dell’attacco, i pazienti stessero

assumendo almeno un farmaco fra quelli appartenenti alla

categoria degli inibitori di pompa protonica (omeprazolo,

pantoprazolo, lansoprazolo o esomeprazolo). Il rischio

di ictus è, in generale, del 21% più alto fra i pazienti che

assumevano inibitori di pompa protonica, percentuale

che varia in base al dosaggio: a quello minimo, non sono

state registrate variazioni significative mentre al dosaggio

Page 31: Health Online 21

l’allestimento museale è stato progettato per offrire al visitatore un quadro completo ed esaustivo sulla storia delle società di mutuo soccorso. Il percorso si apre con dei pannelli informativi che raccontano, in una sequenza cronologica, il fenomeno del mutualismo e continua con delle grandi teche espositive in cui è racchiusa una notevole varietà di materiale documentario, nonché un ragguardevole insieme di medaglie, spille, distintivi ed alcuni cimeli di notevole rarità, riconducibilli ad oltre duecentro tra enti e società di mutuo soccorso, con sedi in Italia e all’estero.

All’interno del museo è presente uno spazio multifunzionale nel

quale coesistono un archivio storico, una biblioteca e un centro

studi. Inoltre, è stato riservato uno spazio per ospitare ogni forma

d’arte: mostre, concerti di musica e rappresentazioni teatrali.

Previa prenotazione, ogni artista potrà esporre o esibirsi

gratuitamente all’interno dello spazio dedicato.

Il Museo del Mutuo Soccorso, nato dalla volontà di valorizzare la storia delle società di mutuo soccorso, si prefigge di salvaguardare e rendere fruibile al pubblico i beni attualmente in dotazione e di promuovere la conoscenza e la ricerca sul tema della mutualità. Visitando il museo si ha la possibilità di conoscere da vicino le società di mutuo soccorso, le loro tradizioni e l’importanza sociale che hanno ricoperto nelle varie vicende storiche del nostro Paese.

la struttura accoglie i visitatori anche con visite guidate e per le scuole sono pensati percorsi e laboratori didattici tematici. Sono, inoltre, previste aperture straordinarie nelle quali sarà possibile visitare le mostre in corso, assistere agli spettacoli e partecipare ad eventi e attività didattiche

Apertura:Dal lunedì al venerdì previa prenotazione

11.00 - 13.00 | 15.00 - 18.00 ultimo ingresso 17.30 (ingresso libero)

Info e prenotazioni:+39 337 1590905

[email protected]

Indirizzo:Palasalute

via di Santa Cornelia, 900060 - Formello (RM)

Page 32: Health Online 21

32

Il tumore alla vescica si può prevenire

a cura dialessia elem

la vescica è l’organo che ha il compito di raccogliere

l’urina che viene filtrata dai reni prima di essere eliminata

dal corpo.

Il tumore della vescica consiste nella trasformazione in

senso maligno delle cellule che ne rivestono la superficie

interna. la neoplasia rappresenta circa il 3% di tutti i tumori

e, in urologia, è secondo solo al tumore della prostata.

è più comune tra i 60 e i 70 anni, ed è tre volte più frequente

negli uomini che nelle donne. Alla diagnosi, il tumore della

vescica è superficiale nell’85% dei casi, infiltrante nel 15%.

Quella alla vescica è una forma di tumore sempre più

diffusa in tutti i paesi occidentali. In europa ogni anno

colpisce circa 175.000 persone e provoca 52.000 decessi

(5.600 solo in Italia).

la sopravvivenza a cinque anni supera, in Italia, il 70% dei

casi.

Fino ai primi anni novanta, i tassi di mortalità legati a

questo tumore si sono mantenuti costanti in europa, ma

negli anni successivi hanno iniziato una discesa che ha

permesso di raggiungere importanti traguardi sul fronte

della riduzione del numero di decessi (meno 16% per gli

uomini e meno 12% nelle donne). Secondo i dati riferiti dai

ricercatori coinvolti in uno studio internazionale realizzato

nel 2008 e finanziato anche da fondi AIRC, sul tumore

della vescica in 27 Paesi europei questi progressi sono

stati confermati. le percentuali di riduzione variano nei

diversi Paesi presi in considerazione, ma la tendenza alla

diminuzione è praticamente presente ovunque, con le

sole eccezioni di Croazia, Polonia, ungheria e Danimarca.

Seguire uno stile di vita sano ed eliminare altri possibili

fattori di rischio, come l’esposizione a particolari sostanze

nocive sul luogo di lavoro, le infezioni urinarie e un regime

alimentare povero di frutta e verdura, potrebbero aver

contribuito a rendere ancora migliori i risultati.

Grazie quindi agli studi internazionali e ai progressi della

scienza che negli ultimi anni ha investito molto sulla lotta

a questo tumore, e all’introduzione di terapie sempre più

efficaci e meno dannose per l’organismo, dal tumore alla

vescica si può guarire.

Questa neoplasia si può anche prevenire, ma pochi lo

sanno.

è quello che è emerso in un recente sondaggio

dell’Associazione italiana di Oncologia Medica (AIOM),

svolto su 1.562 cittadini (il 61% uomini) di età compresa

32

Page 33: Health Online 21

33

tra i 20 e gli 80 anni, dal quale

è emerso che il 37% degli

italiani non ha mai sentito

parlare della neoplasia e

il 78% non sa che si può

prevenire.

un dato interessante è che

per il 68% degli italiani il tumore

alla vescica è inguaribile.

Quali sono i fattori di rischio di

questa neoplasia? Secondo

l’83% è l’inquinamento il

principale responsabile, mentre per il 76% è una questione

genetica e per l’84% dipende dall’età.

Per saperne di più, Health Online ha intervistato il

prof. giampaolo tortora, oncologo del Dipartimento

di Medicina dell’università degli Studi di Verona e

ricercatore AIRC e il dr. roberto Iacovelli, specialista in

tumori urologici presso la stessa Oncologia.

È possibile prevenire il cancro alla vescica? È sufficiente

seguire uno stile di vita sano e fare attenzione ad altri

fattori di rischio, come l’esposizione a particolari sostanze

nocive sul luogo di lavoro, le infezioni urinarie e un regime

alimentare povero di frutta e verdura?

“lo stile di vita sano che preveda una costante attività

fisica e una corretta alimentazione ricca in frutta e

verdura è sempre raccomandabile, in quanto impatta

significativamente oltre che sulla riduzione del rischio

della maggior parte delle neoplasie, anche sulla riduzione

delle malattie cardiovascolari, che rappresentano le

principali cause di morte nella popolazione occidentale”.

è vero che il fumo, nemico numero uno per una probabile

insorgenza del tumore ai polmoni, è considerato anche il

primo fattore di rischio per la vescica?

“Si, il fumo è il principale responsabile del tumore della

vescica, oltre che del tumore al polmone e dei tumori del

distretto cervico-facciale. Quindi l’astensione dal fumo

rappresenta il primo passo nella ricerca di una vita sana.

Oggi sappiamo che per un fumatore il rischio di avere un

tumore della vescica ritorna al livello della popolazione

generale dopo almeno 15 anni di astensione dal fumo”.

Chi sono le persone considerate più a rischio?

“Per il tumore della vescica, i dati nel mondo

industrializzato ci dicono che il fumo di sigaretta e

l’esposizione ad alcune sostanze chimiche come le

amine aromatiche, l’anilina o l’arsenico, utilizzate

soprattutto nelle vernici, nella lavorazione della gomma

o dei metalli sono tra le possibili cause di questo tumore.

Ovviamente, il fumo rappresenta la più diffusa è anche

la più facilmente eliminabile”.

Ci sono dei segnali o sintomi

specifici per i tumori vescicali

che permettano una

diagnosi precoce? urinare

frequentemente o la difficoltà nel

farlo sono campanelli d’allarme

da non sottovalutare?

“la peculiarità del tumore

della vescica è quello di dare

manifestazione della sua

presenza fin nelle fasi precoci e

questo attraverso la presenza di sangue nelle urine, che si

colorano di rosso. l’ematuria appunto è il principale segno

e non va mai sottovalutata in quanto può essere associata

alla presenza di un tumore nella vescica o nelle vie urinarie

superiori, come gli ureteri o la pelvi renale. Il medico di

famiglia in primis e lo specialista urologo suggeriranno

poi gli esami da eseguire per capire se l’ematuria è data

dalla presenza di una neoplasia o da altre cause, come le

infezioni delle vie urinarie. Altri sintomi che possono suggerire

la necessità di ulteriori accertamenti sono l’aumento della

frequenza ad urinare in assenza di un quadro di cistite

infettiva”.

È vero che il tumore alla vescica è difficile da curare perché

colpisce soprattutto persone anziane spesso affette da

altre malattie?

“Come molti tumori, il rischio di avere un tumore della vescica

aumenta con l’età. l’ultimo rapporto dell’Associazione

Italiana di Oncologia Medica sui numeri del cancro in Italia

ci dice che questo è del 6% prima dei 50 anni e raddoppia

al 12% dopo i 70. Ovviamente, le persone più anziane sono

anche quelle affette da altre patologie come diabete,

insufficienza renale o problematiche cardiovascolari,

che possono limitare le possibilità di cura. In particolare, il

deterioramento della funzionalità renale è uno dei fattori

per decidere se somministrare o meno il cisplatino, che è

ad oggi il chemioterapico più attivo nel contrastare questa

malattia”.

Quali sono le terapie adottate? Quando è necessaria la

chirurgia e quali sono gli obiettivi?

“Il trattamento del tumore della vescica si avvale di

quanto di meglio è oggi disponibile in oncologia, ovvero

della chirurgia, della radioterapia e di molteplici terapie

mediche. tuttavia, data la sua rarità e la complessità di

gestione, c’è bisogno di un team esperto dove urologo,

oncologo e radioterapista si parlino tra loro, in quanto i

diversi trattamenti possono tra loro embricarsi al fine di

raggiungere un più alto tasso di guarigione. In generale,

la chirurgia è indicata in tutti i casi di malattia localizzata

alla vescica e diventa un’opzione valida nei casi di

coinvolgimento linfonodale, tuttavia la sua efficacia

Page 34: Health Online 21

34

aumenta se nella strategia terapeutica viene introdotta

la terapia medica. Sappiamo infatti che la chemioterapia

seguita dalla chirurgia produce risultati migliori della

chirurgia da sola nella malattia operabile. Così come i

pazienti non operabili per presenza di comorbidità possono

giovarsi della radioterapia associata alla chemioterapia,

con risultati sovrapponibili alla chirurgia”.

le novità principali di nuovi studi realizzati negli ultimi anni

hanno evidenziato, anche in questa patologia neoplastica,

il ruolo dell’immunoterapia con l’introduzione di anticorpi

anti-PD1 e anti-PD-l1, in grado di ripristinare la capacità

del nostro sistema immunitario

di riconoscere e aggredire il

cancro. Questi farmaci hanno

dimostrato di essere efficaci

e meglio tollerati rispetto alla

tradizionale chemioterapia.

Cosa ne pensate ?

“l’immunoterapia rappresenta

un notevole passo in avanti

in oncologia, in quanto ha

aumentato il potenziale

terapeutico a nostra disposizione.

Gli studi più recenti hanno

dimostrato come questi farmaci

siano in grado di aumentare

la sopravvivenza rispetto alla

chemioterapia, a prezzo di una minore incidenza di

effetti collaterali. Allo stato attuale, le indicazioni con le

quali questi farmaci saranno resi disponibili saranno due,

dopo il fallimento di una chemioterapia o nei pazienti che

non possono giovarsi di un trattamento chemioterapico.

Proprio per questo ultimo gruppo di pazienti, che

solitamente ha minori possibilità terapeutiche, a Verona

abbiamo disegnato uno studio per valutare l’attività di

un nuovo immunoterapico che vedrà la partecipazione

di altri centri in Italia e che partirà nei prossimi mesi. Oltre

questi aspetti dell’immunoterapia stiamo anche studiando

nuovi farmaci a bersaglio molecolare che possano essere

somministrati solo a quei pazienti che hanno specifiche

alterazioni molecolari tali da garantire una maggiore

possibilità di successo. l’obbiettivo è sempre quello di

fornire le migliori cure disponibili a tutti i pazienti e di

contribuire alla ricerca medica in questa patologia”.

Dal sondaggio è emerso che otto persone su dieci

vorrebbero ricevere maggiori informazioni e notizie.

Secondo voi quanto è importante informare la popolazione

sul tumore alla vescica?

“la corretta informazione è sempre un vantaggio, sia per

il medico che per il paziente.

essere informati consente di

evitare ritardi diagnostici e

di ricevere le migliori cure

disponibili. Ovviamente, il tumore

della vescica rappresenta una

malattia ad incidenza più bassa

se paragonata a quella del

polmone, della mammella o

dell’intestino e con una relativa

facilità di diagnosi che però non

deve portare a trascurare i primi

segni di malattia. la migliore

arma contro il tumore oltre alla

prevenzione è sicuramente la

diagnosi precoce”.

Alla luce di quanto detto, i consigli degli esperti intervistati

da Health Online sono:

• Mantenere un regime di vita sano, con adeguata

attività fisica e una corretta alimentazione;

• Astenersi dal fumo di sigaretta;

• Parlare sempre con il proprio medico di famiglia o con

l’urologo in caso si noti la presenza di sangue nelle

urine;

• nel caso in cui ci sia già stata la diagnosi di un tumore,

affidarsi a quei centri dove vi sia sufficiente esperienza

e un team multidisciplinare in grado di assicurare i più

alti standard di cura.

Page 35: Health Online 21

35

Health Italia S.p.A. nasce dalla volontà di alcuni imprenditori fortemente convinti che la salute e il benessere della persona siano diritti fondamentali da tutelare e promuovere. è un player di riferimento nella promozione di soluzioni di sanità integrativa e sostitutiva, nell’erogazione di servizi amministrativi, liquidativi, informatici e consulenziali a Fondi Sanitari, Casse di Assistenza Sanitaria e Società di Mutuo Soccorso.

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Page 36: Health Online 21

36

la trombosi: quel “tronco sulla carreggiata” poco conosciuto dagli italiani

a cura dialessandro notarnicola

è necessario conoscerla per evitarla. è uno slogan che

calzerebbe a pennello se riferito a ogni malattia che toglie

la vita lentamente causando gravi problematiche psico-

fisiche, in questo caso però il riferimento è alla trombosi,

un processo patologico poco conosciuto ma che riguarda

tristemente molti.

Ogni anno, infatti, essa è la causa di incidenti stradali che

potrebbero essere evitati se “presa” in tempo. Oggi solo

in europa si contano più di 85 milioni persone che hanno

conosciuto da vicino una delle malattie causate dalla

trombosi, riportando gravi invalidità come quelle lasciate

da un ictus o da un infarto del

miocardio e contribuendo a un

incremento drammatico dei

costi sanitari, stimati in europa

in 210 miliardi di euro l’anno,

ovvero il 33% del budget

dell’unione europea per il 2017.

la trombosi rappresenta un

tronco lasciato al centro della carreggiata: essa infatti è

un coagulo di sangue che prende forma dentro un’arteria

o in una vena, e che può viaggiare nel circolo sanguigno

intaccando organi lontani e causando un’ischemia (infarto

del miocardio e ictus cerebrale tra i più comuni).

Secondo i dati diffusi da un’indagine di Alt Onlus solo il

33% degli italiani conosce davvero le malattie da trombosi

e le loro cause. Alla domanda se il tumore al seno nella

donna colpisce di più o meno della trombosi, buona parte

del campione preso in esame non è stato in grado di

fornire una risposta e solo 10% ha dato la risposta corretta,

riconoscendo la maggiore incidenza della trombosi tra la

popolazione femminile rispetto al cancro.

“la trombosi è un problema rilevante, è incredibile che così

poche siano le persone che la conoscono”, fa sapere Gary

Raskob, presidente del comitato della

Giornata mondiale per la trombosi

che si celebra ogni anni il 13 ottobre.

Comprendere quali sono i fattori di

rischio che aumentano la probabilità

di andare incontro a un evento da

trombosi e correggerli corrisponde

innanzitutto a salvare la propria vita

e quella dei propri cari. tuttavia, in

molti si domandano come si potrebbe

riconoscere subito la “patologia”.

Dolore o gonfiore di una gamba, della

caviglia o della coscia, associata a rossore e calore della

parte colpita, è il sintomo più lampante e visibile. Se il trombo

libera emboli che dalla vena arrivano al polmone compaiono

sintomi come respiro corto, dolore al dorso o al torace, ritmo

del cuore più rapido del normale, sensazione di stordimento

e a volte perdita di coscienza. Chi è ricoverato in ospedale

e ha subito un intervento chirurgico, ha un tumore, è rimasto

immobilizzato a lungo, è in gravidanza o nel periodo dopo il

parto, o prende farmaci a base di ormoni, o chemioterapia

è più a rischio (su 100 casi di trombosi venosa, 60 si verificano

in pazienti ricoverati o appena dimessi dall’ospedale). Ma

il rischio di trombosi coinvolge

anche coloro che soffrono di

una malattia infiammatoria

acuta o cronica.

A partire dagli anni ‘80 Alt

– Associazione per la lotta

alla trombosi e alle malattie

cardiovascolari – Onlus è

impegnata nella sensibilizzazione della popolazione

italiana sull’importanza delle malattie da trombosi,

cercando di insegnare che cosa vuol dire trombosi, come

si manifesta, quali sono i sintomi da non sottovalutare, che

fare se si manifestano, come curarla, come evitarla, come

modificare abitudini non sane che, in alcuni di noi più fragili

di altri, possono scatenare confusione nel sistema della

coagulazione del sangue, che incomincia a coagulare in

modo inappropriato, dovunque nel corpo, causando Ictus

cerebrale, Infarto, embolia.

Quando Alt è stata fondata da pochi mesi era stata

pubblicata un’immagine che mostrava chiaramente

una coronaria malata di aterosclerosi, che si chiudeva e

provocava infarto del miocardio proprio a causa di un

trombo. Sono stati necessari ben trent’anni perché questa

constatazione venisse studiata e capita, anche se ancora

molto c’è da approfondire. si deve

al professore eugene braunwald la

nascita della trombocardiologia. si

tratta di una ‘nuova’ disciplina che

potrebbe essere l’inizio della riduzione

di almeno un terzo dei costi richiesti

da questa patologia, ciò vorrebbe

dire che si potrebbero risparmiare in

europa70 miliardi di euro l’anno, un

dato importante per i costi sanitari

sempre più in affanno nell’ultimo

decennio.

36

Page 37: Health Online 21

37

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Page 38: Health Online 21

38

asma: la nuova frontiera della terapia per combattere la forma grave

a cura dialessia elem

Continua ad aumentare il numero di persone colpite

dall’asma, una patologia infiammatoria cronica

caratterizzata da sintomi come ostruzione delle vie aeree,

iper-reattività bronchiale e infiammazione.

Si stima che nel mondo siano circa 315 milioni le persone

che soffrono di questa patologia, e ogni anno si contano

circa 250mila morti dovute alle forme più gravi. è pari a

circa il 10% la percentuale dei pazienti nei quali le terapie

non riescono a controllare i sintomi, con rischio elevato di

ricadute con frequenti ricoveri in ospedale, e nei casi più

gravi di morte.

Per questa percentuale di pazienti con asma grave sono

in arrivo nuove terapie sperimentate anche in Italia, ad

esempio dal team di specialisti guidati da Walter Canonica,

Responsabile del Centro di medicina Personalizzata, Asma

e Allergologia dell’Istituto Humanitas di Rozzano (MI).

Per sapere di cosa si tratta abbiamo intervistato il dott.

Enrico Heffler, segretario della SIAAIC, Società Italiana

allergologia asma Immunologia clinica, nonché membro

del team.

Dott. Heffler, quali sono i sintomi dell’asma e chi sono le

persone più a rischio?

“I sintomi classici dell’asma sono la dispnea (la cosiddetta

‘fame d’aria’, ovvero una sensazione spiacevole di

difficoltà a respirare), solitamente associata a sensazione di

oppressione al torace, respiro sibilante (ovvero ‘fischiante’)

e tosse secca. Questi sintomi tendono a presentarsi con

una certa variabilità sia nel tempo che in termini di intensità

nei tanti pazienti affetti da asma. Il rischio di sviluppare

l’asma è aumentato in chi ha una predisposizione

genetica specifica (ad esempio a diventare allergico),

che interagisce con l’esposizione ambientale nel corso

38

Page 39: Health Online 21

39

della vita (ad esempio ad allergeni quali

gli acari della polvere o i pollini, oppure

a infezioni virali…). l’asma è infatti molto

frequentemente una patologia allergica,

anche se una certa proporzione di pazienti

non ha alcuna allergia nonostante sia

presente un’importante infiammazione

di tipo eosinofilo (che in passato era

considerata erroneamente un indice di allergia); proprio

questi pazienti asmatici non allergici ma con molti eosinofili

(una categoria di globuli bianchi) tendono ad avere forme

di malattia più gravi e di difficile controllo con i classici

farmaci antiasmatici”.

In che modo l’asma varia da persona a persona?

“L’asma può variare da paziente a paziente innanzitutto

in termini causali (può

essere di natura allergica

oppure no, può essere

favorita da infezioni virali o

batteriche, può dipendere

dall’esposizione all’ambiente

lavorativo, oppure può non

avere cause note), di livello

di gravità, di altre malattie

associate che possono

influenzarne il decorso

(ad esempio la rinite, la

rinosinusite cronica con

o senza poliposi nasale, il

reflusso gastroesofageo,

l’obesità…) e di risposta

alle terapie antiasmatiche

classiche (una proporzione

per fortuna minoritaria di pazienti asmatici tende ad avere

una certa resistenza biologica alla terapia cortisonica

inalatoria che è alla base della terapia dell’asma; questi

pazienti solitamente sono affetti da forme gravi di asma)”.

Il trattamento dell’asma mira a controllare i sintomi? Quali

sono i fattori che possono influenzare il controllo?

“Alla base del trattamento dell’asma vi è l’utilizzo di

farmaci (in particolare i cortisonici inalatori) che spengono

l’infiammazione bronchiale alla base della patologia

stessa; a questa terapia di fondo si possono associare, in

base alla gravità della patologia, altri farmaci quali dei

broncodilatatori oppure altri farmaci che agiscono sui

meccanismi infiammatori. lo scopo della terapia è quello

di ottenere il cosiddetto ‘controllo di malattia’, ovvero

l’assenza di sintomi tipici dell’asma, la normalizzazione della

funzionalità respiratoria e la riduzione delu

rischio futuro di sviluppare complicanze

o peggioramenti acuti dell’asma. Molti

sono i fattori che possono influenzare il

controllo dell’asma: dagli stessi differenti

meccanismi alla base dell’infiammazione

asmatica, alla presenza di comorbidità,

alle esposizioni ambientali, fino alla

purtroppo frequente scarsa aderenza dei pazienti alla

terapia (ovvero l’utilizzo non adeguato e non continuativo

dei farmaci) e alle oggettive difficoltà che alcuni pazienti

hanno nell’utilizzare gli inalatori attraverso i quali i farmaci

vengono somministrati”.

Quali sono le terapie generalmente seguite dalla maggior

parte dei pazienti?

“Per la maggior parte dei

pazienti asmatici la terapia

inalatoria con cortisonici,

eventualmente associati

a broncodilatatori o ai

cosiddetti antileucotrienici

(farmaci che agiscono

riducendo parte

d e l l ’ i n f i a m m a z i o n e

bronchiale tipica della

malattia), è sufficiente ad

ottenere un buon controllo

della malattia”.

Per circa il 10% di tutte le

persone con asma, seguire il

trattamento “normale” non

basta e i sintomi rimangono

incontrollati. Il paziente soffre quindi di asma grave.

Che cos’è esattamente l’asma grave e perché distinguere

l’asma grave da quello normale? Come si presenta e

perché alcune persone ne soffrono?

“’Asma grave’ è appunto la definizione che viene data

alla patologia di quei pazienti i quali, nonostante seguano

una terapia massimale anti-asmatica o addirittura

frequentemente utilizzino cortisonici per via sistemica,

continuano ad essere non controllati e con frequenti crisi

di asma (alcune delle quali possono portare il paziente

ad accedere al pronto soccorso, ad essere ricoverato in

ospedale o nei casi più sfortunati anche alla morte). pur

essendo circa il 10% di tutti gli asmatici, quelli più gravi

utilizzano oltre il 50% dell’intera spesa sanitaria relativa alla

malattia; è proprio l’insieme delle caratteristiche cliniche e

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40

delle sue conseguenze economiche che rendono l’asma

grave un’entità a sé stante e che necessita tutti gli sforzi

possibili per ridurne la frequenza”.

Sono state presentate di recente al congresso internazionale

dell’european Respiratory Society a Milano

alcune nuove frontiere della terapia

per i malati di asma grave. Può

spiegare di cosa si tratta? e da

cosa nascono questi studi?

“le nuove frontiere della

terapia per l’asma grave sono

i cosiddetti ‘farmaci biologici’,

ovvero rivolti a spegnere singoli

e specifici meccanismi infiammatori

coinvolti nei diversi ‘fenotipi’ (sottogruppi

di pazienti che condividono alcune

caratteristiche cliniche peculiari) della malattia. Il

primo farmaco biologico per l’asma è utilizzato ormai

da più di 10 anni (si chiama ‘omalizumab’) ed è rivolto ai

pazienti con fenotipo allergico di asma grave.

negli ultimissimi anni sono stati studiati invece diversi

altri farmaci biologici, in particolare rivolti a ridurre

l’infiammazione eosinofila tipica di altri fenotipi di asma

grave; uno di questi farmaci è stato recentemente

introdotto nel prontuario farmaceutico italiano (si chiama

‘mepolizumab’ ed agisce bloccando l’attività di una

proteina, l’interleuchina-5, responsabile della maturazione

e dell’attivazione degli eosinofili) ed altri sono in fasi molto

avanzate di studio con risultati per ora davvero eccellenti

(tra questi il ‘reslizumab’ e il ‘benralizumab’, ambedue in

grado di ridurre gli effetti della interleuchina-5; un altro

farmaco biologico in fase avanzata di studio per l’asma

grave è il ‘dupilumab’ che spegne sia l’infiammazione

eosinofila che quella allergica). La possibilità di avere più

farmaci biologici rivolti verso meccanismi biologici differenti

sarà un’intrigante sfida per i medici (che dovranno scegliere

il farmaco più adatto al singolo fenotipo di asma grave)

e un’enorme opportunità per i pazienti (che potranno

finalmente sperare in una guarigione o per lo meno nel

controllo ottimale dell’asma)”.

Si è parlato anche di un semplice prelievo di sangue in

grado di individuare pazienti con asma grave…

“In effetti per poter ‘fenotipizzare’ i pazienti (attribuire

il corretto fenotipo) e quindi poter scegliere la terapia

biologica più adeguata per ciascun singolo paziente, è

necessario effettuare alcuni semplici esami del sangue

quali l’emocromo (che fornisce, tra le altre informazioni, il

numero di eosinofili) e il dosaggio delle IgE totali e specifiche

(volti a identificare un possibile fenotipo allergico di asma

grave). Questi esami sono ormai alla portata di tutti i

laboratori analisi e sono di largo utilizzo. la vera novità è che

stanno iniziando a diffondersi anche dei dispositivi portatili

per effettuare queste analisi attraverso una singola goccia

di sangue e ottenendo il risultato in pochissimi minuti:

questi dispositivi (detti ‘point-of-care’) permetteranno

verosimilmente ai medici di fenotipizzare il paziente

asmatico grave nell’arco di tempo di una

singola visita ambulatoriale”.

Con queste nuove frontiere

si arriverà dunque ad una

medicina personalizzata?

Indirizzerà il medico verso una

terapia di precisione per ogni

paziente?

“Siamo già pienamente dentro

una nuova era nel trattamento

dell’asma: l’era della medicina

personalizzata, appunto. essa prevede che

ciascun paziente venga studiato in modo approfondito

per identificare i meccanismi biologici sottostanti all’asma

bronchiale, per poter fornirgli la terapia migliore disponibile

per il suo fenotipo. I farmaci biologici sono appunto

l’esempio più lampante dell’approccio personalizzato

all’asma grave”.

Quali sono i progetti futuri?

“uno dei campi di ricerca più interessanti nell’ambito

dell’asma grave è quello relativo allo studio e

all’identificazione dei cosiddetti ‘biomarcatori’, ovvero

molecole o caratteristiche clinico-laboratoristiche in grado

di identificare con precisione il fenotipo del paziente

e di predire la risposta ai singoli farmaci biologici. una

volta identificati dei biomarcatori affidabili si potrà

davvero fornire la versione più avanzata della medicina

personalizzata (una medicina personalizzata 2.0 !)”.

l’asma può variare da paziente a paziente innanzitutto in termini causali, di livello di gravità, di altre malattie associate che possono influenzarne il decorso

e di risposta alle terapie antiasmatiche classiche

Page 41: Health Online 21

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Page 42: Health Online 21

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