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CARTABIANCA Buen Vivir L'alternativa al modello europeo Produzione Prendiamoci le nostre responsabilità Messa a fuoco di un concetto Sviluppo La rivista di COMUNDO | Febbraio 2016 incontrarsi per agire

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CARTABIANCA

Buen Vivir L'alternativa al modello europeoProduzione Prendiamoci le nostre responsabilità

Messa a fuoco di un concettoSviluppo

La rivista di COMUNDO | Febbraio 2016incontrarsi per agire

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editoriale

Questo sarà un anno di cambiamenti per CARTABIANCA: dopo 7 anni di collabo -

razione il nostro redattore Giovanni Valerio ci lascia per cogliere una nuova sfida

professionale. In questi anni Giovanni ha contribuito a fare di CARTABIANCA una

rivista di approfondimento sui temi riguardanti la cooperazione e solidarietà interna -

z ionali moderna, valida e unica nel suo genere nella Svizzera italiana. Un grazie di

cuore per averci accompagnato nel nostro cammino verso un mondo migliore!

A livello globale, il 2016 sarà l’anno d’inaugurazione degli Obiettivi di sviluppo soste -

nibile (OSS), dopo che a fine 2015 gli Obiettivi di sviluppo del millennio (OSM)

sono scaduti senza aver dato i frutti sperati. Gli OSS invitano proprio tutti i paesi del

mondo, quelli del Nord compresi, ad assumersi le proprie responsabilità e a

cambiare qualcosa (come racconta l’intervista di Nicole Maron a pagina 8).

Lo sviluppo sostenibile, come scrive Silvano Toppi a pagina 7, è un’espressione-valigia

che può essere utilizzata in diversi modi, a seconda di dove si vuol porre l’accento.

Al giorno d’oggi sappiamo ad esempio che non è la maggiore produzione la chiave per

raggiungere prosperità e pace nel mondo intero: le leggi dello sviluppo non sono

le stesse per tutti e non tutti devono seguire la stessa via. Tanto più che il contesto in

cui si opera è radicalmente diverso a seconda che ci si trovi in un paese “sviluppato”,

“in via di sviluppo” o “sottosviluppato”, se vogliamo riferirci alle definizioni che

si utilizzavano verso la fine degli Anni Sessanta (come ricorda l’articolo di Joseph

Ester mann a pagina 4). Definizioni linguistiche che suonano oggi desuete, e che stanno

a testimoniare i cambiamenti avvenuti nell’ambito della cooperazione allo sviluppo.

Il concetto è tutt’oggi in continua evoluzione e ridefinizione. Anche COMUNDO e i suoi

membri ne sono coscienti: non smettiamo di interrogarci sulle finalità del nostro

lavoro, sul contributo dei nostri cooperanti, sul loro impatto al Sud e al Nord (vedi ad

esempio il modello del Buen Vivir spiegato da Sandra Lassak a pagina 12) e su quanto

ognuno di noi, nel proprio piccolo, può fare per realizzare uno sviluppo condiviso.

Siamo convinti che solo con una presa di coscienza collettiva che coinvolga il maggior

numero di persone, possiamo sperare di avere un ruolo nel cambiamento, rendendolo

possibile. Ecco perché vi ringraziamo di seguirci in questa importante opera di

sensibilizzazione.

Cara lettrice, caro lettore

… una rivista coordinata ora a livello nazionale assieme alle redazioni di Friborgo e Lucerna.Oltre a una rinnovata veste grafica, vi offriamo una pubblicazione realiz zata da un team inter-regionale giovane e dinamico (nella foto da sinistra le redattrici Sylvie Eigenmann e NicoleMaron per Lucerna, Maimouna Mayoraz per Friborgo, Priscilla De Lima per Bellinzona), che siconfronterà di volta in volta su temi inerenti la cooperazione allo sviluppo da presentare alproprio pubblico attraverso CARTABIANCA, WENDEKREIS e ComundoNews. Grazie a questacollaborazione – che testimonia l’intenzione di COMUNDO di essere presente nelle tre regionilinguis tiche per promuovere il dibattito su questi temi e una maggiore solidarietà internazio-nale – possiamo proporvi dei contributi importanti che integrano l’offerta informativa di Inter-Agire/COMUNDO. Attraverso le riviste CARTABIANCA e Punti Cardinali, il sito internetwww.comundo.org, la nostra pagina Facebook e le news letter che regolarmente vi inviamo,vogliamo tenervi aggiornati sulle nostre attività e offrirvi spunti di riflessione sul nostro im-pegno a favore di una maggiore giustizia sociale. CARTABIANCA è tuttora in evoluzione, non stupitevi quindi se vi saranno ulteriori cambiamenti infuturo: lo sviluppo non finisce mai.

Corinne Sala

Avete tra le mani il primo numero della nuova versione di CARTABIANCA …

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sommario

4 L'aiuto allo sviluppo è sorpassato

7 Sviluppo sostenibile: un'espressione-valigia

8 L'ONU si assume ora le sue responsabilità sulla scena globale?

10 «Discendiamo dagli indigeni, ma non facciamo più le stesse cose»

12 Rimuovere il "modello di stampo coloniale"

14 Prendiamoci le nostre responsabilità

15 Cambiare il mondo, un cucchiaio per volta

16 Gli scambi dal Sud al Nord: una promessa per il futuro

18 Al fianco delle famiglie filippine

20 Essere disabile in Bolivia, una triplice esclusione

Il "Buen Vivir" come alternativa al modello europeoPagina 12

COMUNDO nelle Filippine, a sostegno dei genitori soliPagina 18

dossier

cooperazionesud/nord

sacrificioquaresimale

in concreto

effetti dal nord/effetti dal sud

i nostri cooperanti

La vignetta di Daria

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ome un sismografo, la lingua registra i mutamenti dellarealtà. Ed è così anche nella cooperazione allo sviluppo.

Negli Anni Sessanta, in Svizzera si parlava di “aiuto tecnico”, poidi “aiuto allo sviluppo” e infine di “cooperazione allo sviluppo”.E i beneficiari vennero definiti prima“vittime della guerra mon-diale”, poi “Terzo Mondo”, per indicare quei paesi che non sischieravano né con il capitalismo né con il socialismo. Solo successivamente si parlò di “paesi in via di sviluppo” e infine di“Sud del Mondo”.Le diverse denominazioni rispecchiano le differenti teorie domi-nanti. Negli Anni Cinquanta e Sessanta esse spiegavano la situazione delle regioni sottosviluppate soprattutto in base a fattori interni» come il clima, le caratteristiche dei terreni, la crescita demografica, le carenze dell'istruzione e del sistema sanitario o la corruzione dei governi e il nepotismo. Ben presto,tuttavia, apparve evidente che le disuguaglianze per tenore di vita e ricchezza non si possono analizzare senza far riferimentoalle dinamiche di potere e alle strutture economiche mondiali.Per questo alla fine degli Anni Sessanta comparvero delle teorieche spiegavano il sottosviluppo di una parte dell'umanità comeconseguenza dello sviluppo di altre parti e della vicendevole dipendenza economica, tecnologica e politica. Ma anche questitentativi di spiegare si rivelarono insufficienti e dovettero lasciare il posto a modelli più complessi.

Ciononostante, nel dibattito sull'aiuto allo sviluppo è prevalsa fino agli Anni Ottanta l'idea che gli stati del Sud dovessero recu-perare qualcosa che le nazioni industrializzate avevano già rag-giunto da tempo. Si trattava principalmente di una crescita eco-nomica, cioè di aumentare il Prodotto Interno Lordo, ciò che è sta-to enfatizzato dalle ricette dei programmi neoliberisti della BancaMondiale e del Fondo Monetario. Il sostanziale obiettivo di tali pro-grammi era far sì che i paesi del Sud risultassero all'altezza delmercato globalizzato attraverso la cancellazione di programmisociali, sovvenzioni statali e manovre economiche e l'incoraggia-mento dell'iniziativa privata. Ciò ha avuto come conseguenza im-mediata l'aumento drammatico della povertà, una maggiore di-pendenza dai finanziatori e una svendita delle ricchezze nazio-nali, delle risorse naturali e delle ricchezze del sottosuolo.

L'aiuto allo sviluppo è sorpassatoAnche la cooperazione allo sviluppo evolve continuamente: se un tempo era in primo piano un collegamento economico all'Occidente,oggi ci si domanda se l'idea e il concetto di sviluppo siano al passo con i tempi

Testo: Josef Estermann

Dal finanziamento all'interscambio Per lungo tempo, l'aiuto o cooperazione allo sviluppo in sensoclassico consisteva nel finanziare i progetti condotti nel Sud conmezzi del Nord globalizzato: si costruivano scuole, ospedali, pozzi ecc. Anche società missionarie e ordini religiosi hanno cominciato presto a operare in tutto il mondo secondo quello chesarebbe poi diventato l'“aiuto allo sviluppo”, ancora prima chenascesse tale denominazione. Partendo dall'idea di carità, le chie-se e gli ordini religiosi hanno avuto un ruolo centrale nello sviluppo di un'ampia fascia di popolazione, per esempio in merito a istruzione scolastica e sanità.Con l'intervento in loco di sacerdoti e missionari ha avuto ancheinizio un nuovo orientamento dell'aiuto allo sviluppo incentra-to sulla presenza sul posto: la “cooperazione allo sviluppo attra-verso l'interscambio di persone”. La maggior parte di queste organizzazioni, compresa COMUNDO, sono nate da istituzioni ec-clesiastiche o vicine alla Chiesa. Oggi la collaborazione allo sviluppo volontaria è chiaramente basata sull'impiego di espertinella trasmissione di conoscenze ed esperienza.

E cosa viene dopo lo sviluppo?Nel Sud globalizzato, in molti mettono in discussione in sensogenerale il concetto di sviluppo. Da un lato ritengono che laparolaabbiaun'accezioneculturalebenprecisa, ecioè l'ideadipro-gresso, benessere e crescita diventata dominante nell'Europamo-derna. Il concetto, tuttavia, non andrebbe generalizzato, in quan-to esisterebbero anchemolte culture che non condividono la fedenel progresso e l'idea di crescita. D'altro canto, si critica lo strettolegame del concetto di sviluppo con l'economia capitalistica e gliinteressi geopolitici delNord. Il sociologomessicanoGustavoEste-va, tra i più acuti critici dell'“ideologia dello sviluppo”, sostiene:«Finché non esisteranno strutture eque nell'economia, nel com-mercio e nella telecomunicazione, parlare di “cooperazione allosviluppo” è fuorviante». Per questo richiede il superamento dellosviluppo e un'organizzazione del mondo basata sulla giustizia el’attenzione per il post development.Gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) cercano di reagire alla cri-tica invitando allo stesso modo tutti i paesi a Sud e a Nord ad as-sumersi la responsabilità comune di organizzazione del mondo. Nelcontempo l'approccio “dare di più” diventa “prendere meno”, il chesignifica che: non è più accettabile riflettere sul concetto di svi-luppo senza tener conto della discussione sull'equità sociale delmondo, della sostenibilità ecologica e dei diritti dell'umanità.

Josef Estermann è direttore dell'Area Formazione e sensibilizzazionedi COMUNDO.

CSi è creduto a lungo che i paesi del sud avessero da recupe rarequalcosa che le nazioni industrializzate avevano già raggiunto da tempo

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Perché lo sviluppo sostenibile è prioritario?A questo punto si pongono due domande. Se la sostenibilità è ilnuovo paradigma inevitabile, come vi si è arrivati? Perché lo sviluppo socialmente sostenibile è prioritario? La prima doman-da si evita sempre. Eppure è da lì che bisognerebbe partire. Globalizzazione, concorrenza internazionale sfrenata, mitizza-zione del prezzo sempre più basso, delocalizzazioni, sfruttamentoe precarizzazione del lavoro, diseguaglianze, finanziarizzazioneestrema, debito pubblico e privato come imbrigliamento della società, della politica, del lavoro, dilapidazione di natura e risorse,guerre, crisi e insicurezza come condizione umana permanente:questo è il paradigma in cui siamo sempre immersi, diventato insostenibile. Si tenta quindi di sostituire, per non annientarsi,qualcosa che sia sostenibile. L’orizzonte esistenziale della nostra epoca è però ormai occupato dalla crisi ambientale, che èstata posta al centro dello sviluppo sostenibile perché si è presaconsapevolezza della vulnerabilità della natura.

Serve una nuova filosofia di vita La seconda domanda discende direttamente dai contenuti dellaprecedente. La percezione dei disastri che l’uomo provoca sullanatura è una condizione necessaria per modificare la sua azio-ne. Le persone devono quindi impegnarsi in un cambiamento deiloro comportamenti. Tuttavia è innegabile che l’azione è condi-zionata dall’educazione, dalla classe sociale, dallo stato di salu-te, dal reddito delle persone. Nel mondo attuale la persistenza della povertà e dell’esclusione sociale, l’aumento delle disegua-glianze, delle tensioni sociali, dei conflitti, stanno a dimostrareche la dimensione sociale dello sviluppo ha carattere prioritario.

Il vecchio paradigma che ci aveva promesso con la globalizza-zione la riduzione della povertà, ci ha pure dimostrato che cre-scendo, ma persino riducendo la povertà non si entra in uno svi-luppo socialmente sostenibile. La sostenibilità sociale dello svi-luppo è prioritaria su tutte le altre forme di sostenibilità,economica o ambientale, per una ragione fondamentale: perchéla dimensione sociale è essenziale nella coscienza che le personepossono sviluppare, sia nei confronti dell’ambiente, sia nei con-fronti dei dogmi economici del vecchio paradigma che soffocanol’uomo. Se la nozione di sviluppo sostenibile è un invito ad ave-re una visione collettiva, intergenerazionale e proiettata nel tem-po, bisogna partire dalle capacità delle persone, ridefinire persi-no una filosofia di vita, affinché possa veramente funzionare. Al-trimenti si rimane alla valigia piena e all’umanità vuota. O sicorre il rischio di una pantomima per fingere di cambiare.

Silvano Toppi è giornalista ed economista.

viluppo sostenibile è un’espressione-valigia. Alcuni lavendono come un comportamento necessario per cam-

biare la mentalità dilapidatrice. Altri la usano per dirci che conl’economia attuale, fondata sull’espansione senza limiti, sbatte-remo contro il muro della finitezza delle risorse. Altri, ancora, lausano come mantra purificatore, etichetta di marketing assolu-toria, patente di sensibilità politica. Nei testi fondatori del-l’espressione sviluppo sostenibile si trovano sempre presenti letre dimensioni: economica, sociale, ecologica. Quella economicasi esprime in termini di crescita autocontrollata e si fonda su prin-cipi di equilibri macroeconomici, su regole di investimento perrendere qualitativa la crescita, per non generare oneri ecces siviche si riverserebbero sulle future generazioni, sulla fede nella tecnologia che troverà rimedi. Quella ecologica pone l’ac-cento sulla lotta contro l’inquinamento, il controllo delle risorse non rinnovabili, le economie di energia, la trasmissionedel capitale naturale alle generazioni future. La dimensione sociale, a dire il vero, è rimasta poco esplorata. Perché è la piùimpegnativa: implica (se si è sinceri) un rinnovamento radicaledei modi di pensare e di attuare lo sviluppo. Perché esistono ancora un Nord e un Sud diversi o contrapposti proprio in ter-mini di livello di sviluppo ed è complesso trovare le condizioniper giungere insieme alla giusta utilizzazione delle risorse.

Un modello-matrioska Per spiegarci la nozione di sviluppo sostenibile, qualcuno ha scomodato l’immancabile modello. Ad esempio, quello bioeco-nomico. Avremmo così una sfera ambientale che ingloba una sfe-ra sociale, la quale ingloba a sua volta la sfera economica, comeuna serie di matrioske. Con questo, si afferma che le attività eco-nomiche sono al servizio dell’uomo, ma che l’esistenza umana èdipendente dal sistema biofisico. Insomma: usiamo l’economiaper lo sviluppo dell’uomo, tenendo però conto che l’uomo è collocato e agisce dentro un sistema biofisico (ambiente, natura,risorse, interrelazioni) che è definito. Tutto bene, se non si insi-nuassero obiezioni ovvie: proprio nellamisura in cui l’ambiente èspesso condizionato dall’azione dell’uomo, oppure proprio nellamisura in cui i metodi rispettosi dell’ambiente dipendono dallecondizioni sociali nelle quali si trovano e si svolgono le attivitàumane, dove finisce lo sviluppo detto sostenibile ? Torna inscena, prepotentemente, la condizione sociale. Determinante.

S

Sviluppo sostenibile:un'espressione-valigiaDelle varie dimensioni dello sviluppo sostenibile, quella sociale è rimasta poco esplorata, forse proprio perché è la più impegnativa

Testo: Silvano Toppi

La dimensione sociale è essenzialeper sviluppare una coscienza critica

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CARTABIANCA: Eva Schmassmann, secondo Lei la formulazionedegli OSS è riuscita meglio rispetto a quella degli OSM, che pervari motivi erano stati oggetto di critica?Eva Schmassmann: Una delle principali critiche mosse agli OSMera di indicare obiettivi specifici – per esempio la lotta alla po-vertà – solo per i paesi del Sud del mondo. Con gli OSS ci si è al-lontanati da questo schema; il principio guida non è più quellodel “Nord ricco che aiuta il Sud povero”: gli OSS riconoscono cheanche i paesi del Nord hanno una responsabilità globale e devo-no cambiare qualcosa. Anche rispetto al processo di elaborazione degli OSM sono statifatti enormi passi avanti. Mentre gli OSM erano stati definiti nelristretto entourage dell'allora segretario generale dell'ONU KofiAnnan, questa volta le Nazioni Unite hanno consentito una lar-ga partecipazione della società civile, impiegando tre anni per laformulazione. Questo però ha anche portato a un risultato piut-tosto complesso: gli OSS comprendono 17 obiettivi e 169 obiet-tivi associati.

Non sono troppi 169 obiettivi associati per poter essere veramen-te messi in pratica in un lasso di tempo di 15 anni?Il numero degli obiettivi rispecchia la realtà. Va detto che gli OSSnon sono una semplice continuazione degli OSM perché inclu-dono l'intero catalogo di obiettivi del summit di Rio (la prima con-ferenza mondiale sull'ambiente, tenutasi a Rio de Janeiro nel1992) e la lotta contro i cambiamenti climatici. Le persone chechiedono soluzioni semplici, a mio avviso non si rendono contodella complessità dei problemi da affrontare. Il fatto che le Na-zioni Unite abbiano firmato l'Agenda 2030 che contiene gli OSSoffre alla società civile l'opportunità di esercitare pressioni sui go-verni esigendo che gli OSS siano perseguiti nella loro interezza.

L'ONU si assume ora le sue responsabilitàsulla scena globale?Con la sottoscrizione dell'Agenda 2030, l'Organizza-zione delle Nazioni Unite ha anche concordato gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS) che rappre-sentano un proseguimento e un ampliamento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (OSM). EvaSchmassmann, esperta di cooperazione allo sviluppo presso Alliance Sud, esprime un giudizio nel complesso positivo sugli OSS ma mette in evidenza alcuni aspetti delicati

Intervista: Nicole Maron

Quanto può influire la società civile?Già con gli OSM la società civile ha esercitato abbastanza rapida-mente pressioni sui governi affinché si passasse all'attuazione.Questo, e le relazioni annuali sullo stato di avanzamento, hannoportato a una specie di gara tra i paesi che vogliono fare bella fi-gura di fronte agli altri. Penso che la società civile sfrutterà que-st'occasione anche per gli OSS, chiedendo ad esempio che i go-verni elaborino un progetto di attuazione per ogni obiettivo.

Molti obiettivi sono espressi con un ottimismo eccessivo, peresempio “sradicare la povertà in tutte le sue forme e ovunque nelmondo” o “raggiungere l’uguaglianza di genere e l'autodetermi-nazione di tutte le donne e le ragazze”. Non è un po' un ostacoloal raggiungimento degli obiettivi?Gli obiettivi sono formulati in modo molto diverso. Alcuni sonoespressi in modo concreto, per esempio l'eliminazione della po-vertà estrema entro il 2030. Il fatto che la soglia di povertà in basealla definizione degli OSS sia pari a 1.25 dollari al giorno, tutta-via, dovrebbe permettere di raggiungere effettivamente l'obietti-vo entro il 2030. Ciò permette però alle persone interessate di so-pravvivere, non di condurre una vita che meriti questo nome.Contemporaneamente, si stabilisce che ogni paese dimezzi entroil 2030 il numero di persone che, in base alla definizione nazio-nale, vivono sotto la soglia di povertà. Questo è già più difficileda realizzare: in Svizzera, per esempio, ciò significherebbe dovermigliorare la situazione di circa 600mila persone. Uno dei moti-vi per cui i paesi firmatari hanno accettato obiettivi tanto ambi-ziosi è che l'Agenda 2030, che contiene gli OSS, non è un docu-mento giuridicamente vincolante. Ciò significa che nessun pae-se può essere sanzionato se non raggiunge gli obiettivi. Altri obiettivi, invece, sono formulati in modo meno concreto.Quando si parla di “prendere provvedimenti contro” o di “soste-nere”, non si formula un obiettivo concreto. In questi casi, saràimportante definire gli indicatori: si è deciso di condurre i nego-ziati sugli indicatori solo a seguito di quelli sugli obiettivi veri epropri. Il pericolo è quindi che si definiscano soprattutto indica-tori facilmente misurabili. Sarebbe invece importante misurarein termini non solo quantitativi ma anche qualitativi.

Come valuta complessivamente gli OSS?Il fatto che tutti gli stati si identificano con una visione di svilupposostenibile conformemente a quanto illustrato dall'Agenda 2030,è già un successo. Gli OSS non basteranno però a salvare il mon-do. Per esempio, continuano a considerare la crescita economicala soluzione dei problemi attuali, ignorando che proprio questacrescita è parte del problema. Rappresentano comunque la mi-glior soluzione che gli stati potessero concordare, ed è già unabuona cosa aver raggiunto tale accordo.

Un aspetto molto discusso è stato quello del finanziamento degliOSS. La loro attuazione richiede ulteriori risorse finanziarie. Con-trariamente a ciò, la Svizzera riduce le spese per la cooperazioneallo sviluppo (vedi riquadro). Come si può giustificare ciò?La società civile durante le negoziazioni degli OSS si è impegna-ta affinché si fissasse un calendario che stabilisse entro quando

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i paesi industrializzati devono attuare la loro promessa di im-piegare lo 0,7 per cento del reddito nazionale lordo per la coo-perazione allo sviluppo. I paesi industrializzati non hanno peròaccettato questa richiesta.

Quali altre difficoltà ci sono in concomitanza con il finanziamen-to degli OSS?Poiché i paesi industrializzati si trovano per così dire in regimedi risparmio, chiedono ai paesi in via di sviluppo di mettere a di-sposizione essi stessi più risorse. In compenso, sono disposti adaiutarli a sviluppare regimi fiscali; non concepiscono invece l'i-dea di creare un gruppo intergovernativo per collaborare a que-stioni di ordine fiscale – nonostante ciò sia proprio quello checi vorrebbe: le multinazionali, infatti, cercano spesso con ognimezzo di non dover pagare tasse nei paesi del Sud del mondo. Ildenaro che confluisce nel Nord dai paesi del Sud del mondo am-monta complessivamente al doppio di tutti i capitali che vannodal Nord al Sud; questi comprendono non solo finanziamenti perlo sviluppo ma anche gran parte dei f lussi d’investimento diret-to provenienti dal settore privato.

Quali leggi e regole si potrebbero ipotizzare per risolvere questodilemma?Le multinazionali non dovrebbero poter investire a loro piaci-mento ma collaborare con i governi dei vari paesi, in modo taleche gli investimenti riguardino i settori opportuni per uno svi-luppo sostenibile. Inoltre, dovrebbero impegnarsi in modo vin-colante a rispettare obblighi inerenti ai diritti umani e alla tute-la dell'ambiente. Purtroppo, nell'Agenda 2030 non sono state sta-bilite tali regole. È stata scelta la strategiadi spingere le imprese a investimenti so-stenibili attraverso incentivi finanziari an-ziché attraverso regole, anche se ciò a bre-ve termine non porta grandi profitti. Se-condo me questo non basta.

Eva Schmassmann ha studiato Relazioni in-ternazionali ed è esperta di cooperazioneallo sviluppo presso Alliance Sud.

I 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS)Gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS) sono stati elaborati aseguito degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (OSM) per defi-nire propositi di sviluppo sostenibile in tutto il mondo. Contra-riamente agli OSM, gli OSS comprendono anche aspetti econo-mici ed ecologici. Mentre gli OSM sono stati elaborati da pochiresponsabili dei paesi industrializzati, nella formulazione degliOSS sono state coinvolte molte organizzazioni non governativee la società civile. Gli OSS comprendono 17 obiettivi e 169 obiet-tivi associati, sono entrati in vigore il 1° gennaio 2016 e hannouna durata di 15 anni. Gli OSS sono parte essenziale dell'Agenda2030 dell'ONU per lo sviluppo sostenibile.

Fondi svizzeri per la cooperazione allo sviluppoCon l'8° obiettivo di sviluppo del millennio, (“sviluppare unapartnership globale per lo sviluppo”), le Nazioni Unite si sonoimpegnate a impiegare lo 0,7 per cento del loro reddito na-zionale lordo per la cooperazione allo sviluppo. Soltantoquattro paesi hanno messo in atto questo proposito entro il2015 – la Svizzera non è tra questi. Nel settembre del 2015, ilDipartimento federale degli affari esteri ha reso noto di man-tenere il suo obiettivo dello 0,5 per cento. Nel novembre del2015, il Consiglio nazionale e il Consiglio degli Stati hannoperò approvato la richiesta del Consiglio federale di ridurrenel 2016 i fondi per la cooperazione allo sviluppo di 115 mi-lioni di franchi. Il Consiglio Federale ha previsto altri tagli. Se-condo Alliance Sud ciò renderà impossibile mantenere an-che solo la promessa dello 0,5 per cento.

Eva Schmassmann

Panoramica degli OSS1. Sradicare la povertà in tutte le sue forme e ovunque nelmondo.2. Porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, mi-g liorare l’alimentazione e promuovere l’agricoltura sostenibile.3.Garantire una vita sana e promuovere il benessere di tutti atutte le età.4.Garantire un’istruzione di qualità inclusiva ed equa e pro-muovere opportunità di apprendimento continuo per tutti.5. Raggiungere l’uguaglianza di genere e l’autodeterminazionedi tutte le donne e ragazze.6.Garantire la disponibilità e la gestione sostenibile di acqua eservizi igienici per tutti.7.Garantire l’accesso all’energia a prezzo accessibile, affidabile,sostenibile e moderna per tutti.8. Promuovere una crescita economica duratura, inclusiva esostenibile, la piena occupazione e il lavoro dignitoso per tutti.9.Costruireun’infrastruttura resiliente, promuovere l’industria- lizzazione inclusiva e sostenibile e sostenere l’innovazione.10. Ridurre le disuguaglianze all’interno dei paesi e fra di loro.11. Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri,resilienti e sostenibili.12.Garantire modelli di consumo e produzione sostenibili.13. Adottare misure urgenti per combattere i cambiamenti cli-matici e le loro conseguenze.14. Conservare e utilizzare in modo sostenibile gli oceani, imari e le risorse marine.15. Proteggere, ripristinare e promuovere l’uso sostenibile degliecosistemi terrestri, gestire in modo sostenibile le foreste, con-trastare la desertificazione, arrestare e invertire il degradodei suoli e fermare la perdita di biodiversità.16. Promuovere società pacifiche e inclusive orientate allo svi-luppo sostenibile, garantire a tutti l’accesso alla giustizia e co-struire istituzioni efficaci, responsabili e inclusive a tutti i livelli.17. Rafforzare le modalità di attuazione e rilanciare il partena-riato globale per lo sviluppo sostenibile.

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n principio, quando tutto iniziò, il Nicaragua era vuoto,privodipersone.C'eranolaterra, i laghi, i fiumi,glialberie le

pietre.C'eranogranchi, lucertole,coyoteelepri.Epoic'eranoivul-cani roventi e fumanti. Ma non c'era nessuno che li guardasse, néuomini, nédonne. In principio, proprio all'inizio di tutto, si dice che ci fossero glidei. Vivevano là dove sorge il sole. Il dio Tamagostat custodiva laluce del giorno. Dalle sue mani veniva tutto ciò che è buono. Egliera innamorato di Cipaltonal, la dea della notte, sul cui volto bellissimo brillavano i colori dell'aurora. Per incontrarla, Tama-gostat percorreva la volta celeste, ora per ora. Quando le nuvolesi accorsero che era innamorato, gli dissero: «Ascolta, incontre-rai la bella Cipaltonal soltanto se coglierai il momento in cui ilsole apre gli occhi e proietta il suo primo raggio». Tamagostat re-stò di guardia ogni mattina, e un giorno, quando il sole aprì ilsuo occhio sinistro, poté vedere l'amata. «Cipaltonal, ti amo così tanto, così tanto …» Allora il volto di Cipaltonal arrossì ancor piùe divenne più bello che mai, e Tamagostat balzò sul primo rag-gio di sole e baciò Cipaltonal sulla bocca. Quel giorno l'aurora nonfu come le altre, non si erano mai visti prima tanti bei colori, nési sarebbero visti più. Da quel bacio degli dei ebbero origine gliabitanti del Nicaragua.Questa è la storia tratta da un libro illustrato sull'origine del-l'uomo nel Nicaragua, scritto ispirandosi a una raccolta di miti e leggende del popolo Maya guatemalteco k’iché.

Coltivazione del cotone vietataDa allora nella vita del Nicaragua sono accadute molte cose nuo-ve. Il Nicaragua fu costituito da molti popoli. «Noi siamo la copiadegli indigeni - dicono le donne di El Chile -, discendiamo daloro, ma non facciamo le stesse cose». – El Chile è un villaggiodi tremila anime nel Dipartimento di San Ramón, a nord-est del Nicaragua, descritto come comunità indigena e noto per le borse, gli zaini e i portamonete tessuti a mano e venduti nelle botteghe di artigianato artistico. «I nostri antenati coltivavano ilcotone», racconta Alcadia Hernandez Pai, un'anziana abitante diEl Chile. Le donne filavano, coloravano e tessevano abiti e stoffe

«Discendiamo dagli indigeni, ma non facciamo più le stessecose»Quali sono i sogni di un popolo nato, secondo il mito, da un bacio degli dei? Dalle leggende Maya all'odiernavita rurale in Nicaragua sono cambiate molte cose

Testo: Marta Ostertag

per sé e le loro famiglie. A quei tempi non c'era quasi bisogno disoldi; le donne con l'argilla fabbricavano le stoviglie di cui avevano bisogno, si piantavano e mangiavano fagioli, mais e risoe i bambini nascevano in casa. Chi si ammalava si curava con lepiante. Alcadia Hernandez Pai non ha imparato a tessere: neglianni Cinquanta il dittatore Anastasio Somoza vietò la coltivazionedel cotone e ne fece bruciare le piante. Non tollerava concorren-za per le sue piantagioni a Chinandega e León e costrinse la popolazione indigena a comprare abiti prodotti esternamente.«Da allora molte cose sono cambiate», aggiunge Alcadia Hernan-dez Pai e mostra la pentola di alluminio e il bicchiere di plasticasulla sua stufa a legna: «Tutto comprato». La sua famiglia ha rea-lizzato qualche guadagno con la coltivazione di caffè. Quandosono morti i suoi genitori, è stata venduta la terra. Oggi non pos-siede quasi più terreno per piantare qualcosa. «Oggi posso ripo-sarmi», dice ridendo. Attorno alla semplice casa scorrazzano duegalline, tre cani e un maiale, al resto pensa il figlio, che lavorafuori.

Ritorno alle radici?Dopo la rivoluzione sandinista del 1979, il nuovo governo ha accordato più diritti alle 22 popolazioni indigene del Nicaragua.Oggi il Consiglio degli anziani dell'“oficina central de la casa deindígenas” amministra i 61’280 ettari di terreno della regione diMatagalpa-San Ramón, riacquistati un tempo dal dominio colo-niale spagnolo in cambio di oro, e si batte per il riconoscimentodi questi diritti di proprietà. Sempre negli Anni Ottanta l'alloraministro della cultura, Ernesto Cardenal si è impegnato insiemealle donne di El Chile affinché la tradizionale arte della tessitu-ra fosse trasmessa dalle nonne alle nipoti, rinnovando le tecni-che tramandate e acquistando telai dall'Europa. Oggi i prodottidei “telares indígenas Nicaragua” sono venduti in tutto il paesee perfino esportati.E gli antenati indigeni, cosa sognavano per il futuro? Le donne diEl Chile ridono, imbarazzate: «Non conosciamo più molto di al-lora». Alcadia Hernandez Pai spiega: «Oggi piove ancora e abbiamo raccolti, ma la siccità aumenta e un giorno i nostri nipoti dovranno emigrare come i popoli della Bibbia». La margi-nalizzazione, la cristianizzazione, la confisca di terre e la dipendenza da beni di consumo esterni hanno lasciato poco spazio ai sogni. Si è impegnati con i problemi attuali. Se si potesse esprimere un desiderio per il futuro, sarebbe quello di ave-re sole e pioggia nella giusta quantità.

Marta Ostertag è etnologa e opera con COMUNDO nel Nicaragua,dove collabora con la ADDAC (Asociación para la Diversificación y elDesarrollo Agrícola Comunal), un'associazione che favorisce l'agricol-tura biologica.

«Un giorno i nostri nipoti sarannocostretti a emigrare come i popolidella Bibbia»

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Rimuovere il “modello di stampo coloniale”I cooperanti di COMUNDO percepiscono i dibattiti sulla cooperazione allo sviluppodal punto di vista delle persone del Sud, influenzato da aspetti diversi rispetto allamentalità europea. Una panoramica dal Perù

Testo e intervista: Sandra Lassak, Foto: Fabio Simoni/COMUNDO

a alcuni anni il Perù è consideratoun'economia emergente e un pae-

se in ripresa. Anche per questo l'assem-blea annuale del Fondo Monetario Inter-nazionale (FMI) e della Banca Mondiale siè svolta a Lima all'inizio di ottobre 2015.Nella popolazione locale è inoltre moltodiffusa la fede nel modello di sviluppo oc-cidentale, di stampo prevalentemente eco-nomico, e l'aspirazione a farne parte. Esi-stono vari gruppi, anche se ancora moltopiccoli e marginali, che hanno invece unatteggiamento critico nei confronti di que-sto modello che mette sullo stesso pianoripresa economica e sviluppo. Anche nelcorso dell'incontro tra le élite economi-che a Lima si era formata una piattaformaalternativa dal motto “Desmintiendo elMilagro Peruano” (“Il miracolo economicoperuviano: una falsità!”), costituita da varigruppi e iniziative volti a dimostrare quel-lo che si cela dietro il modello di successodel boom tanto celebrato: i motori princi-pali sono l'incremento di grandi progettinel campo delle energie estrattive, che perla maggior parte non rispettano né i dirit-ti umani né quelli ambientali, la repres-sione violenta delle proteste di chi difen-de il proprio paese e la propria esistenza,e non ultima la corruzione.

Tra le organizzazioni che analizzano ilconcetto di sviluppo non solo dal punto divista economico ma anche da una pro-spettiva culturale più ampia, c'è IDECA(Instituto de estudios de culturas andinas),un'organizzazione partner di COMUNDOa Puno. L'attività di IDECA è incentratasul dialogo interculturale e in particolaresul tema della decolonizzazione: l'obietti-vo primario è quello di cambiare la men-talità delle persone, ancora molto in-f luenzata dalle strutture coloniali. Inol-tre IDECA si prefigge di favorire strategie

per un “buon vivere”, il cosiddetto “BuenVivir”, delle comunità Quechua e Ayma-ra. Un colloquio con Boris Rodriguez, di-rettore di IDECA.

CARTABIANCA: Boris Rodriguez, che cosaassocia alla cooperazione allo sviluppo?Boris Rodriguez: Quando si parla di svi-luppo si pensa generalmente a un model-lo di sviluppo occidentale. Questo concet-toèconsideratocomel'unicovalido,anchese sappiamo che al mondo ci sono molteculture. Nonostante ciò diamo per sconta-to che lo sviluppo sia realizzabile attraver-so la crescita economica. I governi, le isti-tuzioni che operano a livello globale, ilFondo Monetario Internazionale e gli ac-cordi di libero scambio cercano con ognimezzo di affermare questo modello, no-nostante si trovi in crescente stato di crisi.Esso distrugge le altre forme di sviluppochenon condividono l'idea di progresso distampo occidentale, per esempio le formediffuse tra le popolazioni indigene.

Come si possono descrivere queste forme?Ilmodellodel “buonvivere”o“BuenVivir”diffusoquidanoi inPerù,peresempiodal-le comunità Aymara eQuechua, non pun-ta sul miglioramento della vita nel sensodel possedere sempredi più. È invece la re-lazione tra l'uomoe lanaturaarivestireunruolo centrale, basata su rapporti orizzon-tali, in base ai quali i membri della comu-nità sono responsabili per consentire alprossimo una vita buona e dignitosa. Aquesta idea si contrappongono le conse-guenze distruttive del sistema di sviluppodominante basato sul profitto, che si ri-specchiano qui in Perù soprattutto neicrescenti conflitti sociali ed ecologici.

Come si fa a trovare qui una nuova perce-zione del concetto di sviluppo?

cooperazione sud/nord

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Anche nell'ambito della cooperazione allosviluppo ci sono tendenze non caratteriz-zate da un presunto senso di superioritàma che prendono sul serio gli “altri” e siimpegnano insieme a loro in base alle loroesigenze per operare un cambiamento.Anche il lavoro di COMUNDO è impron-tato a questo modello alternativo di coo-perazione allo sviluppo. Le istituzioni chemettono in dubbio il concetto “ufficiale”di sviluppo dovrebbero essere un model-lo per lo stato e per le ONG. Finora, però,questi sforzi di realizzare un altro tipo dicooperazione allo sviluppo sono ancoramolto deboli.

D

Il "Buen Vivir" come alternativa al modello di sviluppo europeo

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“buon vivere” riguarda anche i diritti; l'o-biettivo è riconquistare spazi pubblici, au-tonomia e autodeterminazione, senza iquali non è possibile un “buon vivere”. Èquindi un progetto politico ed ecologicoper un altro tipo di vita basato sulla di-gnità e la solidarietà.

Qual è secondo Lei il compito principaledella cooperazione allo sviluppo intesacome contributo per una vita migliore?In tutto quello che facciamo nell'ambitodella cooperazione interculturale o inter-nazionale, è necessario analizzare innan-zitutto i nostri schemi mentali fondamen-tali. Bisogna essere disposti a ricevere cri-tiche e a riconoscere che esistono altreconcezioni del mondo e altre logiche, perrif lettere insieme sul modo di collegaredue tipi di pensiero. In tal senso, la coope-razione allo sviluppo non deve riferirsisolo all'economia e alla politica ma anchealle relazioni interpersonali nell'atto del-la collaborazione. Solo così è possibile undialogo sincero e interculturale.

Sandra Lassak è teologa e lavora per COMUNDO a Lima in Perù. Presso AETE(Asociación educativa teológica evangélica)opera nell'ambito della formazione teologica ecumenica e si occupa soprattuttodi ques tioni femminili e di genere. Inoltre coordina il lavoro di Comundo nel Perù.

Come mai?Non è facile lasciarsi alle spalle ilmodellodominante di sviluppo, sia per il Nord glo-balizzato che per il Sud; è molto difficilerimuovere il “chip di stampo coloniale”che noi tutti, esperti e collaboratori di or-ganizzazioni partner, abbiamo in testa.Spesso riproduciamo inconsciamentementalità e azioni influenzate da un'ideadi superiorità. In questo senso coopera-zione allo sviluppo significa anche cerca-re di superare questo problema.

Come attuate concretamente questo pro-posito nell'ambito della vostra attivitàpresso IDECA?

Da un lato cerchiamo di promuovere undibattito sul tema del “Buen Vivir” comealternativa al modello europeo. Ciò im-plica anche una rif lessione sulla nostraorganizzazione per valutare a fondo sequelli che adottiamo sono effettivamentemetodi orizzontali. Le attività di ricercain ambito accademico sono infatti gene-ralmente intrise della logica occidentale.Ciascuno si sforza di eliminare nella pro-pria vita la mentalità di stampo coloniale,secondo cui quello che proviene dai pae-si occidentali è migliore.

Come si manifesta ad esempio questamentalità?A Puno da alcuni anni c'è un grande su-permercato della catena “PlazaVea” in cuisi vendono prodotti industrializzati. Con-temporaneamente continuano a esistere imercati locali, in cui fanno la spesa moltepiù persone. Tuttavia nelle città si diffon-de il pregiudizio che i prodotti provenien-ti dai contadini locali dei villaggi siano diqualitàpiù scadente.Così si fa inmodoche“Plaza Vea” diventi un luogo di potere.

I modelli di sviluppo indigeno si possonoattuare a livello globale?Esempi in Ecuador e in Bolivia, in cui ilconcetto di “Buen Vivir” è stato ripresoanche dal governo, dimostrano che si trat-ta di un modello di sviluppo alternativoche riguarda tutta l'umanità e non solo gliindigeni. Da loro possiamo inoltre impa-rare a instaurare un rapporto diverso conla terra e migliorare le relazioni sociali.Siamo arrivati a un punto in cui l'interopianeta non può più sopportare il pesoche l'uomo gli impone.

Voci critiche sostengono che il “Buen Vi-vir” sia pervaso da romanticismo indige-no e non attuabile dalle nostre società ba-sate in gran parte sulla vita di città.Non si tratta di proclamare il ritorno allacampagna ma di rendere possibile un'al-tra vita nelle città, creando piccoli spazidove vivere in modo più sano ed ecologi-co. In Bolivia esistono diverse esperienzedi agricoltura urbana, orti cittadini ecc.Le persone che vivono nelle città, infatti,in gran parte non sono soggetti autonomi,ma consumatori del mercato privati delloro potere di cittadini. In tal senso, il Boris Rodriguez

La mentalità di stampocoloniale spesso si basaancora sulla convinzionesecondo cui ciò che pro-viene dai paesi occiden-tali è migliore

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sacrificio quaresimale

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Prendiamocile nostre responsabilitàNel Sud del mondo le persone sonoprivate di una vita dignitosa affinché il Nord possa godere di beni di consumo a poco prezzo. La campa- gna ecumenica di quest’anno invita ad agire con sollecitudine percostruire un mondo più giusto

Testo: Katia Guerra

umarou ha 9 anni e sogna di di-ventare infermiere o calciatore.

Abita a Nouveau-Bissa in Burkina Faso. Lacasa dove abitava prima, insieme a tuttoil suo villaggio, sono stati distrutti per farespazio a una miniera d’oro a cielo aperto.Oumarou e la sua famiglia si sono trasfe-riti a due chilometri da dove abitavanoprima. Da allora la loro vita è peggiorata.

Hanno perso diversi terreni agricoli e ciòche oggi coltivano non basta per sfamarela famiglia. Anche il bestiame è diminui-to. Inoltre, l’acqua del pozzo del villaggionon si può più bere perché è inquinata.Oumarou impiega tre ore tutti i giorni perandare a prendere l’acqua nel paese vici-no. Anche Azéta, 13 anni, si è trasferita aNouveau-Bissa, ma non è felice nella nuo-va casa. A causa della miniera d’oro, mol-ti lavori necessitano di più tempo. Propriocome Oumarou, anche lei deve andare aprendere l’acqua nel pozzo del paese vici-no. Inoltre, per raccogliere la legna o por-tare il bestiame al pascolo, deve fare am-pie deviazioni a causa delle recinzioni del-la miniera. Quando non vanno a scuola,Oumarou e Azéta lavorano nei campi peraiutare le famiglie a procurarsi il sosten-tamento. La lente della nuova campagna ecumeni-ca promossa da Sacrificio Quaresimale ePane per tutti, in collaborazione con Es-sere Solidali, si posa anche su Oumarou eAzéta. Dietro a un bene di consumo, comead esempio una collana d’oro, c’è spessola miniera di una multinazionale comequella di Bissa in Burkina Faso, per la co-struzione della quale un intero villaggioha dovuto abbandonare le proprie case.Sono andate perdute fonti di sostenta-mento, altre sono state inquinate o di-

strutte per sempre. La vita della popola-zione si è fatta più difficile. Anche l’atti-vità mineraria vera e propria è costellatada violazioni dei diritti umani e dal man-cato rispetto dell’ambiente.Le multinazionali devono assumersi leloro responsabilità per come agiscono,ovunque nel mondo. Questo è ciò chechiede anche l’iniziativa"per multinazio-nali responsabili",lanciata da molte ONG,fra le quali Sacrificio Quaresimale, Paneper tutti e COMUNDO. Firmando e/o rac-cogliendo le firme per l’iniziativa (sul sitowww.iniziativa-multinazionali.ch), fac-ciamo sentire la nostra voce per dire chese si fanno affari a livello globale, anchele responsabilità sono globali. L’introdu-zione nella legge svizzera di un dovere didovuta diligenza per le multinazionalicon sede nel nostro paese, ma che hannoanche attività all’estero, obbliga le impre-se a impegnarsi e agire affinché i dirittiumani e gli standard ambientali siano ri-spettati ovunque nel mondo.

Ma ognuno di noi deve anche prendersi lesue responsabilità nella vita di tutti i gior-ni e agire con sollecitudine. È importantesostenere i progetti di cooperazione allosviluppo che rafforzano le popolazioni delSud del mondo, ma non solo. Quando ac-quistiamo un gioiello, un vestito o un te-lefonino, interessiamoci e rif lettiamo sucosa si nasconde dietro la produzione diquesti beni di consumo. E agiamo: ogniscelta nella buona direzione rende il mon-do più giusto e sostenibile. Le alternativeci sono: basta cercarle e non limitarsi a uti-lizzare il prezzo come ago della bilanciaper le nostre scelte. Cambiando le nostreabitudini di vita e rendendole più soste-nibili, aiutiamo noi stessi e le popolazio-ni che vivono nel Sud del mondo.

Sacrificio Quaresimale➔ www.vedere-e-agire.ch

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Le miniere privano della terra e causano fame.

vedere-e-agire.ch

Non sempre l’oro luccica.

Cosa si nasconde dietrola produzione di unbene? Riflettiamo primadi ogni acquisto

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in concreto

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Cambiare il mondo, un cucchiaio alla voltaTesto: Priscilla De Lima, Foto: Samuel Golay/Ti-Press

i fronte a un incendio una pos-sibilità è quella di scappare e

lasciare che tutto bruci. Un’altra è quelladi scrivere il giorno dopo una lettera in-dignata alle autorità. La terza opzione èversare un secchio d’acqua sul fuoco e spe-gnerlo. E se uno non ha un secchio pren-de un bicchiere, e se non ha un bicchiereusa un cucchiaio».

Questa citazione (da “Contro il fanatismo”,di Amos Oz) ci offre lo spunto per una ri-f lessione sulle nostre possibilità concretedi contribuire allo sviluppo sostenibile. Difronte a tutte le atrocità che succedono nelmondo, ai disastri ambientali, agli effettidevastanti del cambiamento climatico, allafame e alla miseria, alla guerra, alle trage-die individuali e collettive che ci colpisco-no ormai quotidianamente, la prima rea-zione può essere quella di chiudere gli oc-chi e ignorare quello che ci viene detto,scritto e mostrato. Lasciare che tutto bru-ci, insomma. Vuoi perché è troppo dolo-roso, vuoi per senso d’impotenza, spesso cisi rifugia nella convinzione che tanto sitratta di giochi di potere esclusivi, parte dimeccanismi troppo complicati perché sipossa in qualche modo influire. E invece no, perché il cambiamento con-creto si fa con i piccoli gesti di tutti i gior-ni: tutti noi abbiamo un cucchiaio.

Non tutti possono pensare di partire perun progetto d’interscambio nell’ambitodella cooperazione internazionale, né de-dicarsi professionalmente alla ricerca diuna maggiore giustizia sociale nel mondo.Tutti noi siamo però cittadini del mondoe in quanto tali abbiamo il dovere di infor-marci su cosa succede lontano da noi, cosìcome sotto il nostro naso. Prendiamocidunque le nostre responsabilità, comesuggerisce Katia Guerra nel suo contribu-to per Sacrificio Quaresimale nella paginaa fianco. Ogni volta che apriamo il bor-sellino per comprare qualcosa, proviamoa fare una mini rif lessione: mi serve dav-vero? Mi renderà felice? Il primo gesto di“disobbedienza civile” nei confronti del

consumismo sfrenato e del modello di svi-luppo malsano che porta con sé, è infattiproprio quello di non consumare.

Se invecedecidiamochedobbiamoproprioacquistare qualcosa, chiediamoci: come,doveedachièstatoprodotto? Ilprezzononè l’unico fattore a dover influenzare le no-stre scelte.Conunpo’dibuonavolontà,unminimod’informazioneedi spiritocritico,si trovano delle alternative sostenibili, eti-camenteaccettabili,dibuonaqualitàesen-za una spesa eccessiva.

E infine ricordiamoci ogni tanto di pen-sare alle 8 R di Serge Latouche, come spun-to per ridurre l’impatto ambientale dellenostre scelte di consumo: Rivalutare (ri-vedere i valori in cui crediamo, cambian-do quelli che devono esser cambiati: più

altruismo che egoismo, più cooperazioneche concorrenza), Ricontestualizzare(cambiare il punto di vista su alcuni concetti, ad esempio ricchezza e povertà,o scarsità e abbondanza), Ristrutturare(adattare in funzione del cambiamentodei valori le strutture economico-produt-tive, i modelli di consumo, i rapporti so-ciali, gli stili di vita), Rilocalizzare (consu-mare prevalentemente prodotti locali), Ri-distribuire (garantire a tutti gli abitantidel pianeta l’accesso alle risorse naturalie a un’equa distribuzione della ricchez-za), Ridurre (sia l’impatto sulla biosferadei nostri modi di produrre e consumareche gli orari di lavoro), Riutilizzare (ripa-rare anziché gettare), Riciclare (recupera-re tutti gli scarti non decomponibili deri-vanti dalle nostre attività).

«D

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effetti dal nord/effetti dal sud

nord

Gli scambi dal Sud al Nord,una promessa per il futuro

Nel 2014, l’organizzazione COMUNDO ha inviato in Svizzeradue collaboratori di organizzazionipartner del Burkina Faso e del Brasile. Questo innovativo progettopilota è stato valutato da due esperti. Ritenendolo un’esperienzapositiva, hanno confermato il potenziale di questi scambi dal Sudal Nord e definito delle raccoman-dazioni per favorirne il successo

In passato, diverse associazioni svizzereavevano già organizzato missioni di pro-fessionisti del Sud nel nostro paese. Ep-pure sono ancora estremamente rare seconfrontate al f lusso inverso. Ancora piùrari sono quei casi in cui non ci si limitaa offrire a queste persone delle formazio-ni o a coinvolgerle nel lavoro di sensibi-lizzazione. È questo il carattere eccezio-nale delle missioni nel 2014 di AlessandraCeregatti, specialista in mobilitazioni e co-stituzione di reti della MMD (Marcia mon-diale delle donne) in Brasile, e di SamBarthélémy, economista dell’associazione“A2N” nel Burkina Faso. Entrambi sono ri-masti in Svizzera per un periodo di tremesi con lo scopo di rafforzare, grazie alleloro competenze specifiche, alcune orga-

nizzazioni della società civile. AlessandraCeregatti ha lavorato con un’associazionesorella della sua, cioè la MMD-Svizzera aNeuchâtel; Sam Barthélémy era invecealla FICD (Fédération interjurassienne deCoopération) a Delémont.

Una visione più equilibrataIntervistato da noi dopo il suo ritorno aOuagadougou,SamBarthélémyreputachequeste missioni «apportano un’orienta-zione concreta alle ONG svizzere. Il perso-naledel Sudconoscebene il contestoepuòquindi spiegare le priorità e consigliare leorganizzazioni sulle formed’interventoef-ficaci». Dall’altro canto, Sam Barthélémyha acquisito unamigliore conoscenza del-Testo: Raji Sultan

«Ne valeva la pena»

Diplomato in economia e gestionedelle organizzazioni e imprese, Sam Barthélémy lavorava nel 2014per l’organizzazione burkinabé A2N,partner di COMUNDO. Durante tremesi, ha appoggiato in Svizzera laFédération inter jurassienne de co -opé ration e de dévéloppement (FICD)

Quali sono state per lei le principali sfidequando è arrivato in Svizzera?Quando sono arrivato, mi ero detto di es-sere fortunato a partecipare al progettopilota di scambio Sud-Nord, visto che i ri-sultati di questo progetto potevano porta-re a un nuovo approccio. Dovevo quindifocalizzarmi sugli obbiettivi e superare ledifferenze culturali. La sfida era di prova-re che il Sud può portare un valore ag-giunto al Nord nella cooperazione allo svi-luppo. Gli interventi Sud-Nord portanoun’orientazione concreta alle ONG sviz-zere. Il personale del Sud conosce bene ilcontesto e può dunque spiegare le prioritàe consigliare le organizzazioni sulle formeefficaci d’intervento.

Intervista di Sam Barthélemy realizzatada Raji Sultan e Sergio Ferrari

Questi scambi devonoessere integrati nei programmi strategicidelle organizzazioni

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sud

la realtà svizzera, ciò che ha permesso allaONG burkinabé dove lavorava di rafforza-re i suoi partenariati e le sue reti di contat-ti (leggere l’intervista allegata).

Le capacità e le competenze del Sud sonocosì riconosciute di uguale valore rispettoa quelle del Nord, trasmettendo una vi-sione di sviluppo più equilibrata di quel-la paternalista che ha dominato per mol-to tempo. Se tali scambi reciproci sem-brano a primo impatto più che giusti, ètuttavia necessario verificare la loro fatti-bilità e il loro valore aggiunto. DanieleFino, Senior Lecturer all’Istituto degli Altistudi internazionali e dello sviluppo di Gi-nevra e Liliana Soler, incaricata dei corsinella stessa istituzione, hanno dunque ri-cevuto un mandato da COMUNDO e Unitéper analizzare questa esperienza.

Un potenziale da sfruttareLo studio dei due esperti si conclude conuna constatazione globalmente positivadi questo progetto pilota: «Possiamo testi-

moniare un vivo interesse, un’accoglien-za molto favorevole e un entusiasmo ge-nerale che abbiamo constatato presso tut-ti gli attori (….). Era uno scambio moltoricco in termini di relazione intercultura-le e che ha sicuramente contribuito arafforzare il valore di reciprocità che è alcuore dell’interscambio di persone pressoCOMUNDO»

Il loro lavoro ha ugualmente permesso d’i-dentificare dei dispositivi da sviluppareper assicurare la pertinenza di tali man-dati. I due esperti sottolineano in partico-lar modo la necessità di coinvolgere le organizzazioni partner del Sud nell’iden-tificazione, la preparazione, la realizza-zione e la valorizzazione dei progetti discambio. Altrimenti il rischio è che il man-dato apporti benefici unicamente alla persona che lo realizza. Grazie a questaesperienza e sotto l’impulso della CEAS(Centro ecologico Albert Schweizer, orga-nizzazione impegnata negli scambi Sud/Nord e Sud/Sud), si sono sviluppati degli

Durante la sua missione in Svizzera la suaONG in Burkina ha però perso la collabora-zione di un impiegato qualificato come lei…Sapevo che l’assenza di tre mesi potevapesare per l’ONG partner e per questo mo-tivo ho insistito su alcune priorità del miomandato. Inoltre, tramite internet, potevocomunque dare un contributo su alcuniaspetti che richiedevano la mia esperien-

za. Il mio soggiorno in Svizzera mi ha per-messo d’imparare di più sulla comunica-zione al Nord. Ho messo a frutto quest’e-sperienza ad esempio per realizzare un

rapporto annuale corrispondente ai biso-gni. La mia ONG ha anche ottenuto la fi-ducia dei donatori, che hanno aumentatoil loro finanziamento, e ha aderito a del-le reti internazionali. Credo quindi che ilsanto valesse la candela.

Cosa le ha insegnato personalmente que-st’esperienza? A cosa le serve oggi?Personalmente, quest’esperienza mi hadato tantissimo. Ho potuto constatare dipersona le realtà del Nord, sono stato uti-le per alcune ONG e ne ho conosciute dinuove. Scoprendo altre culture, ho potu-to costruire una rete professionale e infor-male. Il mio posto attuale di coordinatorein Burkina Faso per Sacrificio Quaresima-le ne è il frutto.

strumenti per facilitare l’attuazione pro-fessionale di questo tipo di mandato. Af-finché l’impatto di questi scambi, il cuipotenziale è ora dimostrato, porti benefi-ci a tutti gli attori interessati, Daniel Finoe Liliana Soler raccomandano pertanto laloro integrazione nei programmi strategi-ci delle organizzazioni. La loro istituzio-nalizzazione e sistematizzazione (mentrenel passato erano piuttosto sporadici) rap-presentano sicuramente oggi una grandesfida, poiché ne favorirebbero la coeren-za e il funzionamento.

Raji Sultan è responsabile della Comunica-zione e delle pubbliche relazioni di Unité.Sergio Ferrari è giornalista per diversi media svizzeri e corrispondente per l'Ameri-ca Latina.

Bisogna ancora accumulare esperienza esviluppare strumenti adeguati, ma questoprogetto pilota di COMUNDO costituisceoggi una solida base per realizzare concre-tamente futuri scambi Sud/Nord.

La sfida era di provareche il Sud può portare un valore aggiunto alNord nella cooperazioneallo sviluppo

UnitéDa cinquant’anni Unité, l’associazioneSvizzera per lo scambio di persone nellacooperazione allo sviluppo, garantisce laqualità degli impegni dei volontari attra-verso standard, valutazioni, sostegni isti-tuzionali, studi e formazioni. È costituitada una ventina di organizzazioni part-ner, tra cui COMUNDO. In collaborazio-ne con la Direzione dello Sviluppo e del-la Cooperazione (DSC), si impegna a fa-vore di una cooperazione efficace,durevole ed equa con i partner al Sud. Nel2014 sono state effettuate 680 missioni dicooperazione attraverso lo scambio dipersone, due terzi di queste sono stateco-finanziate dalla DSC.

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I nostri cooperanti

Non tutte le famiglie filippine hanno la fortuna di poter vivere assieme

Al fianco delle famiglieDal 2013 Nicola e Christian Maiersvolgono nelle Filippine l'attività di cooperanti per COMUNDO. Prendendo spunto dall'“Anno dellafamiglia” illustrano brevemente le sfide che devono affrontare le famiglie filippine e le possibili soluzioni che stanno elaborando

Testo: Nicola e Christian MaierFoto: Marcel Kaufmann/COMUNDO

Recentemente nostra figlia Tabea, di ottoanni, ci ha sorpresi con questa richiesta:«Il prossimo anno scolastico la mia amicapuò abitare da noi?». Mentre andavano ascuola, lei e alcuni bambini di famiglie in-digene hanno fatto un inventario di ciòche contengono le loro cartelle. Tabea tie-ne i quaderni in una mappetta e le pennein un astuccio; quando i quaderni sonopieni e le penne consumate, li sostituiamocon altri nuovi. Nelle famiglie indigene,questo spesso non è possibile. Così le bam-bine hanno pensato che, abitando insie-me, avrebbero entrambe una cartella benassortita. Nella regione della Cordillera lecondizioni delle famiglie sono incerte; ad

esempio anche in occasione del Natale.«Per Natale posso chiedere in regalo unastrada?», ha chiesto Salome, la nostra fi-glioletta di cinque anni, stufa di dover fareogni giorno i duecento gradini che porta-no al nostro quartiere. Noi cerchiamo delle soluzioni alternative ai tradizionaliregali natalizi, soprattutto nei riguardi del-le famiglie indigene del vicariato apostoli-co di Bontoc-Lagawe per il quale operiamo.

Genitori a distanzaI nostri vicini, come molte altre famigliedella Cordillera, ricavano il loro sostenta-mento dalle coltivazioni di riso su terraz-ze, da orti e boschi, ma non possono per-mettersi di spendere molto per l'istruzio-ne scolastica dei figli, per indumenti oaltri beni di prima necessità. Per questocercano lavoro nelle grandi città o all'e-

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COMUNDO nelle FilippineSaremmo lieti se voleste offrire un sostegno finanziario per il lavoro di COMUNDO nelle Filippine. Dove versare le vostre offerte:conto postale 60-394-4, IBAN CH53 0900 0000 6000 0394 4, Specifica: Nicola e Christian Maier, Filippine

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stero. Le donne fanno le infermiere in Ca-nada o le governanti a Hong Kong, gli uo-mini lavorano a Manila nei call center ocome marinai sui mercantili. Secondo lestatistiche, l’11% dei filippini si guadagnada vivere all'estero, per poter mantenerela famiglia. Questo esodo mina notevol-mente la solidità della cellula familiare,che resta comunque uno dei pilastri dellasocietà filippina. Le coppie vivono infattiseparate per mesi o addirittura anni e mol-ti matrimoni falliscono per questo motivo.Nelle Filippine però il divorzio non è ri-conosciuto dalla legge; l'annullamentoformale e religioso del matrimonio è pos-sibile, ma ciò prevede un iter lungo e co-stoso. Succede allora che spesso delle cop-pie separate stringano nuovi rapporti diconvivenza privi di atto formale.

Parallelamentee indipendentementedallaforma giuridica del matrimonio, anche ibambini soffrono a causa di queste rela-zioni a distanza, poiché sono lasciati neivillaggi dove vivono conun solo genitore ocon i nonni. Se a volte le famiglie riesconoa gestire bene la distanza, spesso le relazio-nidelle famigliedi lavoratori filippiniall’e-stero sono descritte come «pesanti».

Economia locale e accompagna-mento socialeUna possibile alternativa a un lavoro fuo-ri dalla regione della Cordillera viene of-ferta dai piccoli progetti locali di investi-tori nazionali (e multinazionali), interes-sati alle risorse naturali della regione, adesempio piccoli impianti di energia idroe-lettrica o miniere di rame e d'oro. Le ener-gie rinnovabili sono ben viste, ma questiprogetti creano evidenti conflitti tra le fa-miglie e i comuni. Alcune famiglie netraggono benefici economici, altre si sen-tono svantaggiate. Alcuni comuni fannoparte dell'accordo con gli investitori, altrisono esclusi. Quello che sul piano econo-mico può essere visto come uno sviluppopositivo, grava sui rapporti tra famiglie ecomuni. Per favorire uno sviluppo anche

in ambito sociale e non solo economico,sacerdoti e collaboratori della pastoralesociale e familiare accompagnano i co-muni e le famiglie nella vita quotidiana.

Gruppi di attività per famiglieNel 2016 la Chiesa filippina rivolgerà par-ticolare attenzione alle famiglie. Dal Si-nodo dei vescovi sulla famiglia svoltosinell'ottobre del 2015, sono scaturite mol-te proposte. In occasione della prima do-menica d'Avvento del 2015 nel vicariato diBontoc-Lagawe ha preso il via un pro-gramma di attività per i gruppi di volon-tari che si occupano delle famiglie. Si trat-ta di catechisti, formatori, coppie, assi-stenti sanitari e sociali, membri diassociazioni religiose e non. Durante ilcorso, decisamente orientato verso la for-mazione, i gruppi approfondiscono le loroconoscenze e competenze per migliorarel’accompagnamento delle famiglie in sen-so lato: i gruppi saranno presenti al fian-co dei genitori soli, degli avvocati consi-glieranno le coppie sulle condizioni con-trattuali dei matrimoni, operatori socialifungeranno da mediatori in caso di pro-blemi coniugali o di educazione dei figli.

Come cooperanti di COMUNDO, sostenia-moeconsigliamoquestigruppidivolontarigrazie alla nostra esperienza professionale

di educatori sociali. Assieme a loro, orga-nizziamo ad esempio dei corsi di comuni-cazionepercoppie,deigruppidiparolaperfacilitare le relazioni tragenitorie figliado-lescenti, delle consulenze in ambito di pia-nificazione familiare o anche delle escur-sioni per famiglie. Un’attenzione partico-lare è posta ai programmi di formazionedestinati ai giovani e agli adulti.

Nicola e Christian Maier vivono dal 2013 nel-le Filippine insieme ai loro tre figli. Lavoranoper un’organizzazione partner di COMUN-DO, il Vicariato apostolico di Bontoc-Lagawe.Operano nell'ambito del sostegno alle fami-glie e preparano collaboratori addetti allaconsulenza di coppie e famiglie. Il tema cen-trale è la prevenzione della violenza dome-stica e del maltrattamento dei minori. Il blogdi Nicola e Christian Maier offre informazioniaggiornate sul loro lavoro:Nelle Filippine il

divorzio non è ricono -s ciuto dalla legge

➔ www.maiersinbontoc.wordpress.com➔ www.bonlagfamilyandlife.wordpress.com

Page 20: HD 7 2007 - assets.comundo.orgassets.comundo.org/downloads/cb_feb_16.pdf · estrema, debito pubblico e privato come imbrigliamento della società, della politica, del lavoro, dilapidazione

20 cartabianca 1/2016

Nel prossimo numero (giugno 2016)

• La doppia sfida dei nostri cooperanti• Identità e genere• La questione migratoria

Identità. Chi siamo? Noi e gli altri

CARTABIANCA con Notizie Inter-Agiretrimestrale di approfondimento inter-culturalefondato nel 1898 con il nomeBETLEMME e pubblicato da COMUNDO/Inter-AgireRedazionePriscilla De LimaRedazione WENDEKREISSylvie Eigenmann e Nicole MaronRedazione ComundoNewsMaimouna MayorazVignetta Daria LeporiGrafica Thomas LinggFoto Marcel KaufmannStampa MulticolorPrint AG, Baar1 numero: franchi 5.–Abbonamento (4 numeri): franchi 20.–Abbonamento estero: franchi 30.–La pubblicazione di articoli tratti daCARTABIANCA è possibile solo previo

consenso della redazione e citando lafonte. Articoli firmati riportano l’opinionedell’autore, che non è necessariamenteidentica a quella di COMUNDO/Inter-Agire.COMUNDO/Inter-Agire è titolaredel marchioZEWO, l’ente che verifica chele donazioni ricevute sono utilizzateper lo scopo dichiarato,efficacemente e senza sprechi.Redazione CARTABIANCACOMUNDO/Inter-AgirePiazza Governo 46500 BellinzonaTel 058 854 12 10E-mail: [email protected]: www.comundo.orgPer la Svizzera:Conto postale 69-2810-2

Partito in febbraio dello scorso anno as-sieme alla moglie Zulma e ai figli Gio-na e Gioele, Giorgio Caldelari si occupadella riabilitazione e dell’educazionespeciale per bambini e ragazzi con han-dicap nel centro educativo CEAMAN(Centro de educación especíal MadreAsunción Nicol), a El Alto. I bambini ei giovani disabili incontrano varie for-me di esclusione che li colpiscono inmodi diversi, a seconda del tipo di di-sabilità che presentano, del luogo incui vivono e della cultura o della clas-se sociale a cui appartengono. In Boli-via questa esclusione è aggravata dallasituazione di povertà del paese e dallacarenza di servizi sanitari e sociali. Ilcentro CEAMAN sostiene circa un cen-tinaio di studenti: i più piccoli sono ac-colti almattino,mentre il pomeriggio èfrequentato dai ragazzi che lavorano intre atelier (falegnameria, panetteria earti manuali) più un gruppo di giovaniche segue la formazione scolastica. Al momento di partire Giorgio preve-deva di occuparsi soprattutto degli ate-

maggiori difficoltà di apprendimento.«Attualmente sto lavorando con otto diloro che hanno un età compresa tra i15 anni e i 22 anni, hanno un ritardomentale medio e alcuni sono portatoridi altri disagi come l'autismo».

lier, dell’attività fisica dei ragazzi e del-l'inserimento professionale di alcuni diloro. «Invece la realtà e i bisogni che hotrovato sono altri, a parte un po' di diso-rientamento iniziale dove mi sono chie-sto: "Ora che faccio?", è stata la realtà stes-sa, il dialogo con i colleghi e la direttricea suggerirmi dove potevo essere più utile».Dopo un periodo di introduzione iniziale,l’educatore sociale di Savosa, ha infatti de-ciso di lavorare con i ragazzi che hanno

Giovane, disabile e povero: CEAMAN lottacontro queste forme di esclusione sociale

Chi volesse sostenere il lavoro di Giorgio in Bolivia può farlo attraversoun versamento a:

Inter-AgirePiazza Governo 4, 6500 BellinzonaCCP: 69-2810-2IBAN CH74 0900 0000 6900 2810 2Specificare: Progetti Giorgio e ZulmaPer saperne di più sugli altri progetti di➔ Inter-Agire: www.comundo.org/it

Giorgio Caldelari sostiene i ragazzi permigliorare il loro apprendimento e le loro conoscenze