Handout Kierkegaard

6

Click here to load reader

Transcript of Handout Kierkegaard

Page 1: Handout Kierkegaard

PROF. MARCELLO CROCE

IL PENSIERO DI KIERKEGAARD

1. Sören Kierkegaard era nato a Copenhagen nel 1813. Potendo vivere di rendita grazie al

patrimonio ereditato dal padre, si dedicò agli studi di teologia e filosofia. Nel 1841, do-po qualche anno, ruppe il fidanzamento con Regina Olsen, Fu a Berlino per seguire le lezioni di Schelling nel 1841-42. Pubblicò con pseudonimi le proprie opere, fra il 1843 e il 1845: Aut Aut, Timore e tremore, Briciole filosofiche, Il concetto dell'angoscia, Gli stadi sul cammino della vita. Dal 1846, con la Postilla conclusiva alle Briciole filosofiche, Kierkegaard orientò la riflessione interamente alla sfera religiosa. Morì nel 1855.

2. La rottura del fidanzamento, le polemiche che ebbe con la Chiesa luterana danese ac-

cusata di pseudo-religiosità, l'aristocratica distanza tenuta all'epoca dei moti rivoluzio-nari in Europa nel 1848-49, sono aspetti del fatto che Kierkegaard concepì la ricerca fi-losofica come la questione della propria esistenza. Per lui la verità non è l'impersonalità di un sistema già realizzato, ma qualcosa che ha a che fare con l'esistenza in modo de-cisivo: «Si tratta di comprendere il mio destino, di vedere ciò che in fondo Dio vuole ch'io faccia, di trovare una verità che sia una verità "per me", di trovare "l'idea per la quale io voglio vivere e morire"».

3. Occorre chiarire subito un punto. Per Kierkegaard la vera realtà è il singolo, non l'uni-

versale. Di qui la sua polemica con la filosofia hegeliana che riferiva il reale, in quanto razionale, all'universale. Hegel, ricordiamolo, concepisce la singolarità come un'astra-zione, che deriva dall'isolare qualcosa dal tutto in cui solo è reale (per Hegel il tutto è risultato del movimento dialettico). Per Hegel la realtà è etica e religiosa perché affer-ma l'universale, non l'individuale. Invece Kierkegaard difende la categoria del singolo come la categoria etico-religiosa per eccellenza. Egli voleva che sulla sua tomba si scri-vesse: Quel singolo.

4. Naturalmente, per capire questo occorre risalire alla tradizione religiosa del protestan-

tesimo, che in maniera drammatica egli cercò di vivere autenticamente. 5. La categoria del singolo pone la questione della realtà, e della verità, in maniera del tut-

to differente da quella hegeliana. La realtà per Hegel corrisponde alla necessità, in quanto dal punto di vista del reale e del vero qualcosa è come deve essere. La coincidenza di realtà e di razionalità significa che il farsi del reale nella storia è determinato dalla razionalità. Invece per Kierkegaard il reale ha un percorso diverso, è una possibilità di e-sistenza.

6. Egli pone la possibilità come categoria dell'esistenza del singolo. L’infinito per lui è la

possibilità (mentre Hegel aveva concepito l’infinito, a cui il singolo è relazionato, come necessità). Ciò significa che nessuno è già fin dall'inizio ciò che dovrà essere, anzi o-

Page 2: Handout Kierkegaard

2

gnuno si trova a dover decidere che cosa essere. La possibilità è la vera condizione del-l'esistenza. Questo significa che tutto dipende dalla nostra libertà iniziale. Siamo noi a decidere cosa essere, passando da una libertà indeterminata a una determinazione.

7. Questa condizione del singolo verrà poi dalla filosofia di Heidegger, nel XX secolo, e-

spressa nell'affermazione che l'essenza (ciò che uno è) non precede idealmente l'esi-stenza (l'essere effettivo), ma è vero il contrario: ciò che siamo dipende dalla nostra de-cisione, da come ci determiniamo. Questa sarà in sostanza la visione dell'Esistenziali-smo.

8. Di qui il punto centrale per Kierkegaard: l'uomo è ciò che sceglie di essere. 9. Con la categoria del singolo, contrapposta a qualsiasi realtà universale, viene in luce al-

lora un tipo di dialettica diverso da quella di Hegel, una dialettica esistenziale. Se l'uomo è ciò che sceglie di essere, a partire da una libertà illimitata, allora il movimento dialet-tico non sarà più (come in Hegel) aufhebung = superamento che include gli opposti, ma esclusione reciproca, una possibilità esclude l'altra.

10. La scelta, che nasce dalla libertà di scegliere, cioè di determinarsi del singolo, consiste

in un'alternativa tra le varie concezioni della vita che ci si presentano. Tra le diverse al-ternative non c'è passaggio, mediazione, continuità e sviluppo. No. C'è invece il salto, che implica la crisi dell'esistenza, la sofferenza e l'angoscia.

��� Quando si scopre che tutto è possibile si affaccia l'angoscia. Quando tutto è possibile, in

realtà, è come se nulla fosse possibile. C'è sempre la possibilità dell'errore, del nulla, la possibilità di agire in un modo che nessuno sa che cosa accadrà. L'angoscia, a differen-za della paura, che si riferisce invece a qualcosa di determinato e cessa quando cessa il pericolo, non si riferisce a nulla di preciso e accompagna costantemente l’esistenza dell’uomo. L’angoscia è essenzialmente connessa all’esistenza umana, in quanto quest’ultima è divenire verso l’ignoto. L'angoscia è dunque letta come fondamento stesso della condizione umana. �

12. “L’angoscia è la possibilità della libertà; soltanto quest’angoscia ha, mediante la fede, la

capacità di formare assolutamente, in quanto distrugge tutte le finitezze scoprendo tut-te le loro illusioni. E nessun grande inquisitore tiene pronte torture così terribili come l’angoscia, nessuna spia sa attaccare con tanta astuzia la persona sospetta, proprio nel momento in cui è più debole, né sa preparare così bene i lacci per accalappiarlo come sa l’angoscia; nessun giudice, per sottile che sia, sa esaminare così a fondo l’accusato come l’angoscia che non se lo lascia mai sfuggire, né nel divertimento, né nel chiasso, né sotto il lavoro, né di giorno, né di notte” scrive Kierkegaard nel Concetto dell’angoscia.

Page 3: Handout Kierkegaard

3

13. La disperazione invece irrompe nel rapporto dell'io con se stesso. La disperazione è dovuta al fatto che la possibilità dell'io, che scelga o meno di volere se stesso ossia se decida o meno di accettarsi per ciò che è, conduce sempre ad un fallimento. Se l'io sceglie di vo-lere se stesso, cioè sceglie di realizzarsi, viene messo di fronte alla sua limitatezza e al-l'impossibilità di compiere quanto ha deciso. Se l'io sceglie di non volere se stesso e quindi di esser altro da sé, si scontra nuovamente con un'altra impossibilità.

14. Il singolo si dispera perché vuole ma non riesce a trovare se stesso nei vari possibili, in

quanto tutte le possibilità di essere se stesso si rivelano insufficienti e inadeguate. Ma anche il singolo si dispera quando percepisce che non c'è piú alcuna possibilità di tro-vare il vero se stesso, e vi rinuncia; vorrebbe semplicemente distruggere se stesso senza potervi riuscire: questa è la forma piena, totale, della disperazione, è quella che Kierke-gaard chiama malattia mortale.

15. Infatti l’uomo è spirito. Che cosa vuol dire spirito? L’uomo è sintesi di anima e corpo.

Tuttavia lo spirito non è questa sintesi, cioè il semplice rapporto tra l’anima e il corpo. Lo spirito è il rapporto che si relaziona con se stesso, diventa un Sé davanti all’infinito. Il tempo e l’eternità si incontrano. Nell’infinito il singolo è misurato da Dio. E’ nello stare davanti a Dio che l’anima, nel suo rapporto con il corpo, esiste veramente: cioè è persona, spirito. La nostra relazione con l’infinito ci fa esistere. Proprio il senso di nulli-tà che deriva dalla disperazione, cioè dalla lontananza da Dio, ci avvicina alla fede.

16. La scelta dunque si basa su alternative e le alternative che descrive Kierkegaard sono

tre, per un paio di motivi: intanto perché Kierkegaard resta comunque idealmente in stretto dialogo (critico e polemico) con Hegel e la dialettica per Hegel aveva, come sap-piamo, un ritmo ternario, tesi/antitesi/sintesi; e poi perché queste alternative corri-spondono alla vicenda personale dello stesso Kierkegaard, e, come sappiamo, per lui la verità non si separa dalla sua situazione esistenziale.

17. Queste alternative vengono da lui chiamate stadi dell'esistenza, ma non nel senso di tap-

pe di un percorso, ma come possibilità appunto, come scelte che si escludono a vicen-da. Kierkegaard dice: aut – aut. Esse sono lo stadio estetico, lo stadio etico, lo stadio re-ligioso.

18. Lo stadio estetico non è propriamente una scelta, perché si caratterizza con il non sce-

gliere mai. L'uomo estetico non decide, ma esperimenta, e in pratica gioca, non s'impe-gna, sfugge sempre. Perciò vi è contrapposizione diretta fra lo stadio estetico e quello etico. Tale opposizione è personificata nell'opposizione fra il seduttore da un lato, e il marito dall'altro. L'eroe dello stadio estetico è perciò Don Giovanni. Le caratteristiche del-l'esistenza estetica sono la varietà molteplice, l'immediatezza, l'istantaneità.

19. Nel Don Giovanni mozartiano egli vede la forza dell'eros nell'universo estetico. La sua

caratteristica è la condizione del desiderio. La passione è il fascino di questo eroe mozar-tiano, che la musica esalta perché questa passione è spontaneità del carnale e la musica è

Page 4: Handout Kierkegaard

4

sensualità geniale. Egli rappresenta la forza traboccante dell'amare che cerca in ogni donna la donna, infedele per una specie di forza cosmica, demoniaca, che coincide con quella della musica.

20. Invece il protagonista del Diario del seduttore, Giovanni, rappresenta l'esteta riflesso, in

cui prevale la riflessione, il calcolo, il programma. Egli è l'eroe non del desiderio e della sua potenza infinita, ma dell'arte della seduzione. La donna che cade nelle sue reti, Cor-delia, è incapace di un'esistenza spirituale autonoma e attende che l'uomo gliela riveli. Così Giovanni sa trarre dal tumulto dell'animo femminile il suono dolce e raffinato del-l'amore. Giovanni non ha passione, ma consapevolezza estrema, da cui trae il proprio piacere. Ma la sua opera di seduzione consiste nell'equivoco intenzionale tra realtà e fantasia poetica, in cui avviene una dissociazione interiore nella donna. Giovanni tron-ca con lei non appena si accorge che è vincolata a lui, ma senza averla toccata, così che lei si domanda se tutto sia stato reale o no.

21. Il simbolo della vita etica è il matrimonio. La figura del marito è quella dell'assessore

Guglielmo di Aut Aut. Dicevamo che fra i due stadi non v'è passaggio, ma un salto che deriva dalla disperazione voluta dall'esteta, che, di fronte alla consapevolezza della vanità delle cose finite, o cerca la distrazione o sceglie appunto la disperazione, entrando così nell'etica. Egli passa dall'accidentale e dall'immediato al valore, perché non è più quello che è immediatamente, ma diviene quello che diviene liberamente.

22. Nello stadio etico non viene ripudiata la vita estetica, cioè la bellezza, ma l'autosuffi-

cienza dell'estetica, che invece viene subordinata a qualcosa di più alto. In tal senso il matrimonio risulta più bello come espressione dell'amore. In quanto vincolo, il matri-monio è la decisione del tempo, mentre l'esteta sceglie non il tempo ma l'istante. L'amore romantico, proprio dell'estetica, ha una falsa concezione del tempo e dell'eternità, per-ché crede che l'istante sia l'eternità, e perciò svaluta del tutto il tempo. Il matrimonio compie l'aspirazione dell'amore romantico scegliendo il tempo. L'esteta è preso dall'in-tensità del primo amore, o del principio dell'amore, e lo confonde con l'assoluto, men-tre sa che è irripetibile e perciò unico. Ma l'etica sceglie nel tempo la vera eternità dell'a-more, cioè la continuità. Essa esprime l'infinito nel finito.

23. Ora, certamente come aveva detto Hegel, l'etica è l'universalità dell'esistenza indivi-

duale: l'etica vuole veramente, consiste nella scelta in se stessa. Questa è la sua superiorità sull'estetica, condannata a una dispersione infinita di stati d'animo e di istanti sempre differenti tra loro. Nell'etica si forma la personalità, cioè si sceglie e si diventa veramen-te se stessi. Alla base essa ha la ripetizione, anziché un'incessante sperimentazione. Alla base della ripetizione c'è la costanza del ricordo, ma nella forma della ripresa, non della memoria nostalgica. Di qui la novità presente nella ripetizione. La vita stessa è una ri-presa.

24. Passare dallo stadio estetico allo stadio etico è dunque passare dall'eccezionalità, dal

mutamento, dalla chiusura in se stessi, all'universale, al comune, alla manifestazione di

Page 5: Handout Kierkegaard

5

sé agli altri. Ma perché lui, Kierkegaard non ha poi fatto questo passaggio, rompendo il suo fidanzamento con Regina?

25. L'impossibilità del matrimonio annuncia il terzo stadio, lo stadio religioso. L'impossibili-

tà estetica del matrimonio vuol dire mantenere l'amore allo stato dell'amore nascente, confinandolo fin dal principio nel ricordo. Ricordo di un incanto poetico. Egli sostiene che "la fanciulla aveva destato in lui non l'innamorato, ma il poeta", senza comprendere il vero senso della ripetizione. Ma v'è anche l'impossibilità religiosa del matrimonio. In pratica egli scoperse che Regina non era uno spirito veramente religioso: "Dio rappre-sentava per lei pressappoco ciò che si ha in mente quando si pensa a un vecchio zio bonario, che fa tutto quello che i bambini desiderano".

26. Kierkegaard abbandona l'estetica, ma non riesce ad accettare di inserirsi nell'universa-

le, la soluzione etica. L'etica rivendica il dominio dell'universale sul singolare, non solo l'io personale, ma l'io sociale, l'io civile. E' chiaro che lo stadio etico finisce col compro-mettere il concetto di individualità. Si tratta soprattutto del fatto, che l’uomo etico è l’uomo autosufficiente, l’uomo che trova in sé la propria salvezza. In fondo, l’uomo eti-co non ha veramente bisogno di Dio. Ma cosa succede quando l'individuo si trova ne-cessariamente solo con se stesso, senza il sostegno di una legge universale e comune? E' il caso di Giobbe, l'eroe biblico che viene messo alla prova da Dio con ogni sorta di sven-ture e di mali. Allora Giobbe lotta con Dio, senza però mai cessare di abbandonarsi a lui.

27. Giobbe non si rassegna alla comune interpretazione del dolore come castigo (inflitto da

Dio) a causa dei peccati. Ma allora cos'è il dolore, se non è un castigo? E' una prova con cui Dio tenta l'uomo. Giobbe scopre la categoria religiosa della prova. Però la prova mette il singolo come tale di fronte a Dio: non esiste nessun criterio universale per dimostrare che una prova è una prova, solo l'individuo nella sua solitudine lo può sapere. Dunque se il dolore di Giobbe è immotivato e gratuito è una prova, e per questo alla fine si ri-concilia con Dio.

28. Alla sfera religiosa si giunge con una sospensione dell'etica, non attraverso una sua matu-

razione, perché dal punto di vista etico, in quanto universale, una prova è impensabile. Anche l'interpretazione del sacrificio del primogenito Isacco, in Timore e tremore, com-piuto da Abramo, si rifà al senso della prova. Dal punto di vista etico Abramo non sa-rebbe che un terribile assassino, e solo nella fede il suo gesto acquista il significato del singolo di fronte a Dio. In altre parole nella fede l'individuo ha un rapporto con l'asso-luto, superiore al rapporto che invece ha nell'etica con l'universale. La fede trascende l'etica.

29. E' chiaro che Kierkegaard intende la fede come puro rischio. L'eroe della fede non si

può appellare che al suo privatissimo e silenzioso rapporto con Dio, senza altri appigli, senza la garanzia di qualcosa di universale cui appellarsi. Non c'è alcun criterio per sa-pere se egli è un pazzo o un credente. Di qui la concezione della fede come paradosso.

Page 6: Handout Kierkegaard

6

Non ci sono criteri oggettivi per distinguere se l'individuo nella fede operi per volontà propria o per volontà di Dio. Abramo ha creduto "per assurdo": persino quando levava il coltello sul collo del figlio Isacco, Abramo ha creduto che Dio non gli avrebbe chiesto Isacco.

30. Ma vi è un fatto ancora. Al culmine della vita etica c'è il pentimento, che sorge dal rico-

noscimento di colpevolezza davanti a Dio, relativamente alla scelta tra il bene e il male, e dal proposito di uscire da questo stato di colpa. Perciò il pentimento è una vera scelta di sé davanti a Dio. Ma il pentimento è in contraddizione con l'etica, perché svela all'uomo la sua radicale insufficienza, essendo radicale il peccato in lui.

31. Proprio la radicalità del peccato originale rende insufficiente l'etica, sostiene Kierkega-

ard, perché non le consente di realizzarsi mai. Dunque il pentimento consiste nel ripu-dio di sé come colpevole, come peccatore: in tal senso è la massima espressione dell'eti-ca. Ma è pure la scoperta dell'insufficienza dell'etica, perché questa non può realizzare la redenzione dalla colpa. Solo la fede esprime la possibilità della redenzione dalla col-pa e perciò il peccato, nel cuore dell'etica, rinvia allo stadio religioso.

32. Le fede nell'amore di Gesù Cristo diventa allora la possibilità suprema dell'esistenza. Il

nascondersi di Dio nel suo rivelarsi come Cristo è l'atto dell'amore perché lascia l'uomo nella sua assoluta libertà, come possibilità infinita di scegliere. Così nella fede l'uomo esce dalla generalità e si costituisce come persona, determinandosi come essere spiri-tuale. Proprio la fede consente al singolo di determinarsi nella concretezza. Dunque liber-tà e fede sono inseparabili.

33. Ma perché un individuo sia formato così assolutamente e infinitamente mediante la

possibilità, egli dev’essere sincero di fronte alla possibilità e deve avere la fede. Per fe-de io intendo qui quello che per una volta Hegel, a modo suo, determina molto giu-stamente: la certezza interiore che anticipa l’infinito. Se le scoperte della possibilità so-no trattate con sincerità, la possibilità scoprirà tutte le cose finite, idealizzandole però nella forma dell’infinità, e abbatterà nell’angoscia l’individuo finché esso, da parte sua, non le vincerà nell’anticipazione della fede.” (Concetto dell’angoscia).

ζ