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83 Capitolo VII: gli aspetti antropici. IL PAESAGGIO DELLA CONQUISTA ROMANA La dominazione romana costituì una cesura e una profonda trasformazione nel complesso sistema economico e insediativo del territorio della Via Amerina. L’area controllata da Falerii, al confine con le terre d’Etruria, condusse i falisci già dal 402 a.C. ad allearsi con etruschi e cape- nati (Veio, Capena) per contrastare l’espansionismo romano: pur- troppo le continue guerre e saccheggi provocarono nel territorio gravi situazioni di instabilità politica ed economica. Prima con la caduta di Veio e Capena (396-395 a.C.), poi con il successivo ingresso di Nepi e Sutri nella sfera romana, Falerii restò isolata nell’Etruria meridionale e fu costretta a un primo trattato di pace nel 394 a.C. 1 L’attestarsi di Roma in posizione avanzata con le postazioni di Nepi e Sutri, considerate porte d’Etruria perché contemporanea- mente barriere e ingressi 2 , permise ai conquistatori il controllo sull’Agro Falisco, con la posizione strategica di Nepi (che ve- dremo consolidarsi nei secoli successivi) e con un baluardo nei confronti di Tarquinia costituito dalla roccaforte di Sutri. Si ven- ne così a interrompere il contatto tra le città alleate di Falerii e 1 De Lucia Brolli, A.M., L’Agro Falisco …… op. cit. 2 “…loca opposita Etrurie e velut claustra inde portaeque” Livio 6, 9, 4. Tarquinia che insieme avrebbero potuto creare seri problemi a Roma 3 . Falerii ebbe ulteriori scontri con Roma: dal 357 al 351 a.C. (al tempo in cui era alleata con Tarquinia); successivamente nel 293, e infine, dopo l’interruzione di un trattato di pace perpetua, nel 241, una data cruciale nella storia del territorio 4 . Roma, a seguito delle vicende legate all’occupazione dell’Etruria meridionale, inseguì due atteggiamenti nei riguardi dei territori conquistati. Comportamenti ricollegabili entrambi a una politica unitaria, basata su due concetti: decentramento urba- no, per annullare i rischi di ribellione e incremento della produ- zione agricola. Il perseguimento di tale politica di conquista, incentrata sullo sconvolgimento delle strutture territoriali, determinò il più repen- tino e forte disegno paesaggistico avvenuto in Etruria meridiona- le. Questo disegno fu supportato dalla fondazione ex novo di cit- tà, dallo sfruttamento massiccio delle risorse naturali e agricole, nonché dalla realizzazione di un diverso sistema stradale. I territori di Sutri, Nepi e Veio, quindi le parti a sud-ovest del territorio, conquistate già nel IV secolo a.C. conservarono in un 3 In seguito a tale fronte Tarquinia conquisterà, nel 389 a.C. Sutri che venne poi subito ripresa dai romani. Morselli C., Sutrium. Firenze:, 1980. 4 Pallottino M., Etruscologia. Milano: 1984.

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Capitolo VII: gli aspetti antropici.

IL PAESAGGIO DELLA CONQUISTA ROMANA

La dominazione romana costituì una cesura e una profonda trasformazione nel complesso sistema economico e insediativo del territorio della Via Amerina.

L’area controllata da Falerii, al confine con le terre d’Etruria, condusse i falisci già dal 402 a.C. ad allearsi con etruschi e cape-nati (Veio, Capena) per contrastare l’espansionismo romano: pur-troppo le continue guerre e saccheggi provocarono nel territorio gravi situazioni di instabilità politica ed economica.

Prima con la caduta di Veio e Capena (396-395 a.C.), poi con il successivo ingresso di Nepi e Sutri nella sfera romana, Falerii restò isolata nell’Etruria meridionale e fu costretta a un primo trattato di pace nel 394 a.C.1

L’attestarsi di Roma in posizione avanzata con le postazioni di Nepi e Sutri, considerate porte d’Etruria perché contemporanea-mente barriere e ingressi2, permise ai conquistatori il controllo sull’Agro Falisco, con la posizione strategica di Nepi (che ve-dremo consolidarsi nei secoli successivi) e con un baluardo nei confronti di Tarquinia costituito dalla roccaforte di Sutri. Si ven-ne così a interrompere il contatto tra le città alleate di Falerii e

1 De Lucia Brolli, A.M., L’Agro Falisco …… op. cit. 2 “…loca opposita Etrurie e velut claustra inde portaeque” Livio 6, 9, 4.

Tarquinia che insieme avrebbero potuto creare seri problemi a Roma3.

Falerii ebbe ulteriori scontri con Roma: dal 357 al 351 a.C. (al tempo in cui era alleata con Tarquinia); successivamente nel 293, e infine, dopo l’interruzione di un trattato di pace perpetua, nel 241, una data cruciale nella storia del territorio4.

Roma, a seguito delle vicende legate all’occupazione dell’Etruria meridionale, inseguì due atteggiamenti nei riguardi dei territori conquistati. Comportamenti ricollegabili entrambi a una politica unitaria, basata su due concetti: decentramento urba-no, per annullare i rischi di ribellione e incremento della produ-zione agricola.

Il perseguimento di tale politica di conquista, incentrata sullo sconvolgimento delle strutture territoriali, determinò il più repen-tino e forte disegno paesaggistico avvenuto in Etruria meridiona-le. Questo disegno fu supportato dalla fondazione ex novo di cit-tà, dallo sfruttamento massiccio delle risorse naturali e agricole, nonché dalla realizzazione di un diverso sistema stradale.

I territori di Sutri, Nepi e Veio, quindi le parti a sud-ovest del territorio, conquistate già nel IV secolo a.C. conservarono in un

3 In seguito a tale fronte Tarquinia conquisterà, nel 389 a.C. Sutri che venne poi subito ripresa dai romani. Morselli C., Sutrium. Firenze:, 1980. 4 Pallottino M., Etruscologia. Milano: 1984.

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certo senso lo status quo. Gli originari siti occupati dalle città continuarono (e rafforzarono nel caso di Nepi e Sutri) il ruolo svolto precedentemente; anche grazie all’arrivo di nuovi abitanti gli insediamenti agricoli furono incrementati fino allo sfruttamen-to dei terreni più marginali e l’inizio del disboscamento della fo-resta cimina5.

Le analisi polliniche effettuate sul lago di Monterosi hanno dimostrato come, fino alla conquista romana, tale area non fosse stata mai toccata dalla presenza umana. Non per nulla la selva cimina era definita impenetrabile e orrenda, e tale restò fino a quando, nel 310 a.C., Quinto Fabio Rulliano non l’attraversò per giungere fino a Perugia6. Quest’episodio dimostra anche come nella pianura vulcanica i boschi avevano ormai perso, già prima dell’arrivo dei romani, le connotazioni di silva7.

Diversa è la strategia dei romani nei confronti dell’area più a nord di Nepi, quella controllata da Falerii. Qui la politica romana intraprese l’evacuazione di tutti i siti di origine preromana con la conseguenza di far scomparire città egemoni come Narce e Falerii e di avviare a un rapido declino i centri più settentrionali come Corchiano, Grotta Porciosa e Ponte del Ponte8.

A differenza dei centri dell’area veientana del IV secolo, l’abbandono coinvolse anche i siti rurali. Secondo Potter “... più

5 Potter W.T., Storia del paesaggio…, op. cit. 6 Bonacelli R., La Natura e gli Etruschi, in Studi Etruschi, vol.II. Firenze: 1928 (ristampa 1967). 7 Non dobbiamo dimenticare il valore religioso del bosco che dalla cultura e-trusca mutua in quella romana e persiste ancora a lungo nei riti ma dal concetto di silva paurosa si trasforma in lucus come quello di Feronia, grande santuario dove “....all’ombra del bosco sacro, garante la dea della sorgente, si riunivano nella festività periodica Falisci e Latini, Etruschi, Sabini e Umbri....”Quilici L., Il Tevere a nord di Roma in età romana, in: Il Tevere un’antica via per il Me-diterraneo. Catalogo della mostra 21 aprile-29 giugno 1986, Roma: 1986. 8 De Lucia Brolli A.M., L’Agro..., op. cit.

dell’80% dei 104 centri agricoli... decaddero al tempo della con-quista romana e il 50% non venne mai più rioccupato” 9. Pur tut-tavia quest’applicazione della teoria di conquista si completò an-che con la simultanea fondazione di fattorie agricole: in così gran numero che in epoca repubblicana sorpassarono quelle del perio-do precedente.

La distribuzione e le caratteristiche degli insediamenti agricoli variavano secondo le dimensioni. C’era una prevalenza di piccole fattorie con una superficie media di 1000-1400 mq (43% del tota-le dei siti), una consistente presenza di capanne e ricoveri utiliz-zati prevalentemente da pastori (35% del totale dei siti) e un buon numero di ville rustiche dotate di terme, porticati, rivestimenti marmorei e stucchi (22% dei siti).

Il potenziamento delle attività agricole e la specializzazione delle colture doverono modificare notevolmente il paesaggio. Lo sviluppo del sistema del maggese biennale e il piano geometrico dei lotti e dei campi, ereditato dagli etruschi, furono perfezionati cercando l’integrazione tra agricoltura e allevamento. Il fine per-seguito fu quello di un giusto equilibrio tra sfruttamento delle po-tenzialità produttive del terreno e il completamento delle stesse con sostanze organiche rappresentate principalmente dal letame. L’agricoltura romana adottò quindi due sistemi che conferirono al paesaggio forme diverse. Il primo detto a campo aperto, dove tra gli appezzamenti non vi erano segni divisori e dopo il raccolto i maggesi erano lasciati al pascolo promiscuo del bestiame di tutta la comunità. Il secondo detto dei due campi (alternanza biennale maggese-cereali) con un paesaggio a campi chiusi (Fig. 1), deli-mitato da strade vicinali, siepi e alberate, dove l’integrazione del-la base foraggiera era assicurata con l’assegnazione di speciali appezzamenti pubblici al pascolo promiscuo10. Nel territorio in 9 Potter W.T., Storia del paesaggio..., op. cit. 10 Sereni E., Storia del paesaggio agrario …. op. cit.

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questione è presumibile che siano stati adottati entrambi i sistemi. L’adozione del maggese biennale conferì un’orditura di segni or-togonali al territorio tramite la limitatio (divisione del suolo agra-rio) realizzata attraverso il cardo e il decumanus che composero non solo la divisione dei campi ma anche la viabilità pubblica e vicinale11.

Fig. 1. Il paesaggio del “campo chiuso”.

Le coltivazioni di maggiore importanza erano costituite dai ce-reali: il farro (triticum dicoccum e triticum spelta), il miglio (pa-

11 Decumanus e cardo sono gli elementi costitutivi del paesaggio agrario ro-mano, essi determinano una limitatio regolare spesso in centurie, quadrati di 710 metri di lato equivalenti a 2700 piedi per una superficie di 50 Ha; o in stri-gae o scama se il lotto risulta rettangolare.

nicum miliaceum) e il panico (panicum italicum)12. Ma le colture che conferirono un’impronta diversa al disegno del paesaggio fu-rono le piantate costituite prevalentemente dall’olivo e dalla vite, quest’ultima coltivata con il sistema promiscuo sia dell’alberello sia del palo vivo13.

Va rammentata la coltivazione del lino (linum usitatissimum), pianta utilizzata nell’Agro Falisco soprattutto per la fibra dalla quale si ricavavano abiti, vele, reti da caccia e da pesca14.

Gli arboreti si diffusero relativamente tardi in relazione alla modifica del sistema proprietario. Questo, verso la fine dell’età repubblicana, passò dalla piccola proprietà ad una concentrazione

12 L’Etruria fornì a Roma, tramite la via di comunicazione del Tevere, numero-si aiuti durante le frequenti carestie del V secolo (492, 490, 440, 433 e 411 a.C.). “…ex Tuscis frumentum Tiberi venit” Livio, II, 34. 13 Il sistema di allevamento a palo vivo (albereto gallico), chiamato anche ramputinum, consisteva nel sostenere i tralci di vite tramite dei sostegni, gene-ralmente alberi, a differenza del sistema greco (alberello) dove la vite cresceva senza sostegno. Le piante utilizzate per il palo vivo erano diverse ma quelle consigliate dagli autori romani dovevano essere dotate di fogliame poco denso così da non togliere soleggiamento alla vite: opulus (acero campestre ?), cor-niolo, carpino, orniello, salice, olmo, pioppo nero, frassino, fico, olivo, tiglio, acero e anche la quercia. Il sistema a “sostegno morto” si basava sull’utilizzo di semplici pali (pedamenta) o da gioghi (iugatae): il sostegno a palo poteva essere costituito da palanche, pali, canne; il giogo da pertiche, canne e corde. Bonacelli R., La Natura....op. cit. 14 Anche se la coltivazione del lino è citata da vari autori come Grazio Falisco “...et aprico Tuscorum stupea campo Messis, contiguum sorbens de flumine rorem, qua cultor Latii per opaca silentia Tibris Labitur, inque sinus magno venit ore marinos. At contra nostris imbellia lina Faliscis …” e Silio Italico IV, 223 “…indutosque simul gentilia lina Faliscos”, la produzione evidentemente non era di eccellenti qualità (...imbellia lina...) rispetto a produzioni di altre aree geografiche. Ciò anche perché il clima non si addice a questa pianta che richiede suoli alluvionali, limosi e profondi. Probabilmente tali colture si svi-luppavano nei fondovalle più ampi come la foce del Treia e la Valle del Teve-re.

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di fondi con l’utilizzo sempre maggiore di manodopera servile. “A questo sempre più largo impiego della manodopera servile, e all’entità sempre maggiore delle anticipazioni richieste da un’economia di piantagione, risponde la decadenza delle vecchie forme della piccola proprietà e del piccolo possesso dei coltiva-tori diretti, e la crescente importanza della grande azienda agra-ria schiavistica, la villa rustica...”15.

Questa tendenza ad accentuare la proprietà terriera (latifundia) avrebbe ridotto il numero delle piccole proprietà di contadini-coloni. La fine del ceto agricolo e l’inizio della decadenza della coltura granaria si sarebbero accompagnati anche ad una trasfor-mazione dell’assetto socioeconomico. Diverse zone furono inglo-bate nei latifondi e lasciate ad un’economia soprattutto pastorale che si accentuò in età imperiale.

Assunse importanza il trifoglio e le colture prative in generale. Queste, con un minore investimento di capitali, consentivano di ottenere il massimo rendimento produttivo16.

La villa rustica, oltre ad essere una grande azienda agraria, fu anche il luogo dove la cultura romana esibì il proprio senso este-tico e paesaggistico. Roma sviluppò il concetto di verde legato al gusto del bello e del diletto personale, tanto da arrivare, nelle grandi ville suburbane, alla trasformazione d’intere porzioni di paesaggio con funzioni diverse e legate alle innovazioni architet-toniche e filosofiche provenienti dall’Oriente ellenizzato17. Nei

15 Sereni E., Storia del paesaggio...op. cit. 16 Bonacelli R., La Natura...op. cit. 17 “La villa era per antonomasia un luogo ove riposare durante il tempo libero, o otium, che era il contrario di negotium, cioè attività o non riposo... Grande rilievo viene dato alla posizione e alle caratteristiche del luogo,importantissime per la riuscita del progetto: il mare e i monti, il tempo e i venti stagionali. Onde ottenere un certo effetto complessivo risultano quindi essenziali boschi, prati e vedute sia naturali che artefatte. Benché collocate in un sereno scenario rurale, queste residenze sono perfettamente attrezzate: non manca mai alcunché e la

giardini e nei grandi parchi delle ville la vegetazione, spesso eso-tica, fu utilizzata con effetti scenografici. Tra le essenze erano comuni l’acanto, la rosa, il lauro (introdotto dalla Grecia), il bos-so (utilizzato come bordura e nell’arte topiaria), l’edera (dal signi-ficato simbolico di gaiezza), il platano (pianta importata dalla Grecia e utilizzata esclusivamente per uso ornamentale), il cipres-so (utilizzato per delimitare i fondi rustici e dal I secolo dell’impero diffuso anche nell’ornamentazione dei sepolcri).

Il paesaggio subì un’ulteriore trasformazione e un ritorno, pos-siamo dire, al disegno paesaggistico del campo aperto. L’antico frazionamento della proprietà (campi chiusi) e il suo disegno or-dinato in lotti si dissolse, infatti, in forme aperte e meno rigide. Queste nel Basso impero, con la crisi della manodopera servile, portarono il maggese biennale verso un sistema di campi e d’erba con lunghi periodi di riposo a pascolo18.

Fin dall’inizio del III sec. d.C, la situazione economica con-dusse ad una riduzione del numero dei siti agricoli occupati. Se

natura è stata per così dire organizzata da giardinieri e ingegneri idraulici. Il paesaggio è costellato di siepi e terrazze; i campi coltivati e gli orti, la gran quantità di legna da ardere e il bestiame da latte rendono quasi autonoma ogni villa, ...” MacDonald W.L., Pinto J.A., Villa Adriana. Milano: Electa, 1997. 18 “Non si tratta qui solo, si badi bene, di un processo di degradazione del pae-saggio agrario, ma anche di una progressiva disgregazione delle sue forme più precise. Nel nuovo ordinamento interno della grande proprietà, del saltus si-gnorile o imperiale, in effetti, con la preminenza che in esso vengono assu-mendo le attività dell’allevamento, il riconoscimento del diritto di pascolo dei coloni su tutte le terre del saltus stesso (jus pascendi) diviene un’esigenza pro-duttiva, così come un’esigenza produttiva diviene il riconoscimento del loro diritto di semina sulle terre salde (jus serendi): da un regime e da un paesaggio di campi chiusi, così, già si rileva la tendenza al passaggio ad un regime di campi aperti, nel quale tutte le terre del saltus, appunto sono aperte, dopo il raccolto, al pascolo promiscuo delle greggi.” Sereni E., Storia del paesag-gio...op. cit.

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ne sarebbero avvantaggiati i boschi e la macchia che in alcune a-ree avrebbero resistito sino ai nostri giorni19.

Le forme del tessuto agrario, che in età repubblicana e alto im-periale rappresentarono il controllo e il dominio geometrico della romanitas sulla natura, furono sostituite da un processo di degra-dazione di quelle forme paesaggistiche e dal ritorno alla naturali-tas di un territorio che, ancora oggi, conserva i suoi tratti più sel-vaggi e caratteristici.

LA RETE STRADALE ROMANA

L’applicazione del concetto di decentramento urbano e d’attrazione dei territori italici nella sfera romana trovò la sua e-splicitazione materiale nella realizzazione del sistema viario.

Nella conquista dell’Etruria meridionale e nel definitivo as-soggettamento e controllo delle popolazioni, i tracciati stradali confermarono la volontà romana di non avere vincoli di carattere storico o ambientale. Roma pianificò le nuove vie di comunica-zione con estrema precisione tecnico-politica, adottando solo in parte tratti stradali precedenti e senza esitare ad abbandonarli qua-lora non fossero stati idonei alla strategia complessiva di conqui-sta.

Il primo concetto con il quale furono determinati i tracciati fu quello d’isolamento dei nuclei urbani preesistenti o di rafforza-mento di quelli funzionali al controllo del territorio. Subito dopo la conquista di Falerii, fu codificato nel 220 a.C. il tracciato defi-nitivo della Via Flaminia in funzione della conquista della Gallia Cisalpina. Il nuovo tracciato emarginò, di fatto, la capitale falisca dagli scambi commerciali e ne svuotò il ruolo di centro territoria-

19 Nell’Agro Falisco il 40% dei siti fu abbandonato nel 300 d.C. e il 50% alla fine del IV secolo. Potter W.T., Storia del paesaggio..., op. cit.

le20. La Via Cassia (probabilmente dal 154 a.C.) abbandonò l’antico centro di Veio e penetrò, rafforzandola, la roccaforte stra-tegica di Sutri. La Via Amerina, come vedremo meglio, collegò in modo stabile Nepi alla Cassia, ma senza toccare gli antichi cen-tri falisci più a nord21.

Fig. 2. Schema delle strade romane nell’Italia centrale.

Il secondo concetto fu la velocità di percorrenza. Questa dove-va consentire di raggiungere nel minor tempo possibile le regioni controllate dall’espansionismo romano per ragioni d’ordine mili- 20 Per una descrizione del territorio attraversato dalla Via Flaminia nel tratto da ponte Milvio a ponte Felice nei pressi di Civita Castellana consultare: Messi-neo G., Carbonara A., Via Flaminia.Roma: 1993. 21 Per il percorso della Via Cassia, da Roma ai confini con la Toscana, vedere Cavallo D., Via Cassia I Via Cimina. Roma: 1992 e Martinori E., Via Cassia. Roma: 1930.

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tare o amministrativo. Il concetto di velocità fu legato alla razio-nalizzazione del tracciato e al percorso più breve e meno acciden-tato. Ciò naturalmente comportava ingenti sforzi economici sia nella costruzione sia nella manutenzione di ponti, viadotti, taglia-te, rilevati e pavimentazioni.

LA COSTRUZIONE E L’AMMINISTRAZIONE DELLE VIAE PUBLICAE

I tracciati stradali erano determinati o da ingegneri militari (praefecti fabrum) o, quando la realizzazione era civile, dai men-sores o dagli architecti.

La realizzazione della strada, dopo un tracciamento eseguito con la massima precisione, richiedeva l’apertura di trincee, la formazione di rilevati o l’attuazione di sbancamenti (tagliate): ciò per dare alla strada una pendenza costante e in ogni modo non ec-cessiva22. Parallelamente all’asse della strada erano scavati dei solchi (sulcis) dove si posizionavano delle pietre in verticale (crepidines) che determinavano i bordi della strada e svolgevano il ruolo di contenere sia il sottofondo sia la pavimentazione.

Particolare attenzione si poneva all’irregimentazione delle ac-que meteoriche e di quelle presenti naturalmente lungo il percor-so. Le strade presentavano notevoli lavori di drenaggio realizzati con opportune pendenze della massicciata e poi convogliate, at-traverso canali, verso l’esterno della carreggiata.

Dopo la realizzazione del tracciato e delle crepidini, si badava a mettere in opera un’adeguata fondazione con materiale di riem-pimento (agger), per uno spessore variabile secondo la consisten-za del terreno e con diversa granulometria degli inerti. Spesso si

22 Non erano rare le pendenze in rettifilo di 12-13 gradi.

utilizzava anche sabbia e pozzolana con calcina per rinsaldare la base. A seguito del compattamento del sottofondo erano disposte le pietre di pavimentazione (basoli) costituite da materiale molto duro (basalto, leucite) o materiale locale (calcare, arenaria). Le pietre, connesse con estrema precisione, avevano una forma poli-gonale, proprio per determinare una maggiore coesione. Per evita-re che i carri superassero la crepidine e salissero sui marciapiedi, si disponevano ad intervalli regolari dei basoli in verticale (gon-phi). L’opera si completava con l’apposizione di cippi in pietra (miliari ) che segnavano la distanza progressiva per ogni miglio (1478 metri)23 (Fig. 3).

Fig. 3. Sezione tipo della strada (da Carta Archeologica).

La dimensione della carreggiata variava secondo l’importanza e della mole di traffico. Generalmente era di 14 piedi (4.10 me-

23 I miliari oltre che a segnare la distanza indicavano il nome del magistrato che aveva costruito o restaurato la strada e quello dell’imperatore sotto cui quell’opera era stata realizzata. Sulla Flaminia, nei pressi di Civita Castellana, il miliario di Costantino (miglio XXXV) testimonia come ancora nel IV secolo d.C. tale tratto stradale fosse di estrema importanza per Roma. Mennella G., Miliari tardo-romani sull’itinerario falisco della Flaminia. Faenza: 1988.

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tri)24 per le strade di grande comunicazione, ma tale misura non era evidentemente l’unica. Bisogna considerare che l’interasse tra le ruote dei carri era di 90-110 cm, quindi una tale larghezza per-metteva un comodo doppio senso di marcia25.

La manutenzione delle strade era affidata ad un curator impe-gnato nella gestione di tutti i problemi legati ad una particolare via. Spesso tale mandato si estendeva anche alle vie secondarie che si dipartivano dalla principale, come il caso delle vie Cassia, Clodia, Cimina e Annia (Amerina?) sottoposte al controllo di un’unica magistratura26.

24 Il piede romano misura 29.56 centimetri ed è di derivazione greca, mentre quello precedente (pes oscus o italicus) era di 27.50 centimetri. Il piede si di-videva in quattro palmi (7.39 cm); i multipli erano: cubito (1.5 piedi = 44.40 cm), passo (2.5 piedi = 74.00 cm), pertica (10 piedi = 296.00 cm) e il miglio (5000 piedi = 1478.00 metri). Docci M., Maestri D., Il rilevamento architetto-nico. Roma-Bari: 1987. 25 Quilici L., Le strade. Viabilità tra Roma e Lazio. Roma: 1990. 26 Ibidem

LA VIA AMERINA27

Subito dopo ponte Milvio, a nord di Roma, si dipartivano quat-tro strade: Via Flaminia, Via Tiberina, Via Cassia e Via Clodia. Al XXI miglio della Via Cassia, al centro della depressione calde-rica di Baccano, all’altezza della mansio ad Vacanas28, si staccava in direzione nord una delle più importanti e oggi meglio conser-vate strade dell’Etruria meridionale: la Via Amerina che raggiun-geva l’Umbria29.

27 In questi ultimi anni a seguito delle pionieristiche ricognizioni della British School di Roma, pubblicate nel 1957, e successivamente con gli scavi intrapre-si nel 1983 dalla Soprintendenza archeologica per l’Etruria Meridionale con la collaborazione del Gruppo Archeologico Romano, si sono susseguite numero-se e valide pubblicazioni di carattere storico-topografico sul tracciato della Via Amerina. Per tali motivi il nostro approccio all’illustrazione del percorso si sforzerà di analizzare le qualità paesaggistiche della strada romana evitando, per quanto possibile, considerazioni di carattere storico-archeologico. Per una approfondita ed esauriente descrizione della Via Amerina dal punto di vista storico archeologico vedere: Frederiksen M.W., Ward Perkins J.B., The an-cient road systems of the central and northern Ager Faliscus, in Papers of the British School at Rome, XXVI, 1957. De Lucia Brolli M.A., La Via Amerina, in Antiqua, 5-6, (sett.-dic.), 1987. De Lucia Brolli M.A., L’Agro..., op. cit. 28I resti della stazione di posta della mansio di Vacanas, citati dalla Tavola Peutingeriana, sono venuti alla luce nel 1979, in seguito a lavori connessi con l’ampliamento della SS 2 Cassia. Gli scavi hanno messo in evidenza alcuni ambienti riconosciuti come tabernae e un ambiente termale. Vedi Gazzetti G., Le campagne sistematiche di scavo nella Valle di Baccano, in Antiqua, nn 5-6 (sett.-dic.), 1987. 29 L’appellativo di Amerina deriva dalla città romana di Ameria, meta termina-le del tratto più conosciuto della strada, ma è controverso se in antico a tutto il percorso sia stato attribuito questo nome. Alcuni dati epigrafici citano una Via Annia posta in relazione a Falerii Novi. Gli stessi autori della Carta archeolo-gica chiamano Via Amerina soltanto quella che esce dalla porta nord di Falerii Novi.

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La strada fu realizzata a spezzoni: i romani, probabilmente nel IV secolo a.C, pianificarono un primo tratto di collegamento con Nepi.30 Dopo la conquista di Falerii, 241 a.C., fu dato inizio alla definitiva realizzazione del percorso che tagliò in linea retta il ter-ritorio falisco, ponendo a latere le antiche città preromane e, di fatto, escludendole da contatti con la nuova arteria di comunica-zione territoriale.

Rappresentativa di questa scelta politica fu la fondazione ex novo della città di Falerii Novi, proprio sull’asse della strada. Fondazione che tradizionalmente è collegata alla distruzione dell’antica Falerii e alla deportazione dei suoi abitanti nel nuovo sito urbano.

L’Amerina venne quindi a costituire il nuovo asse strutturante del territorio che, insieme alla parallela Via Flaminia, distante ot-to km, assunse il ruolo di cardine territoriale per una nuova e sconvolgente geometria nell’assetto geografico-politico locale. La particolarità del tracciato consisteva nella determinazione di un percorso “artificiale”, in quanto non fondato su condizionamenti morfologici e, sostanzialmente, in contrasto con le strutture oro-grafiche che hanno governato i percorsi territoriali sino al III se-colo a.C. Per questo basta confrontare le scelte effettuate dai ro-mani per il tracciato della Cassia e della Flaminia. Queste due consolari appaiono più naturali, più ubbidienti a regole morfolo-giche territoriali per la loro capacità di percorrere i crinali ed evi-tare, per quanto possibile, attraversamenti fluviali31. L’Amerina invece appare una strada d’ardito ingegno tecnico

30 Nepi diviene colonia romana nel 383 a.C. 31 “Il suo percorso (Cassia) venne infatti scelto con estrema accortezza. Nono-stante la miriade di corsi d’acqua che lambisce le pendici dei Monti Sabatini, utilizza solo un ponte tra la Tomba di Nerone e Sutri, un’economia di sforzi che denota un’attenzione considerevole nell’attuazione del progetto...” Potter W. T., Storia del paesaggio..., op. cit.

nell’attraversare perpendicolarmente i crinali, che sarebbero di-venuti, per molti anni a seguire, dei decumani di collegamento trasversale tra le pendici dei monti Cimini e il Tevere.

Tutto ciò fu il segno della volontà romana di ri-creazione del paesaggio non più inteso come ripetizione mnemonica delle sue strutture primarie, tipiche dei popoli più antichi, bensì come crea-zione nuova, tale da segnare un diverso atteggiamento di possesso del territorio.

IL TRACCIATO32

Dopo aver superato il monte dell’Impiccato, estrema propag-gine del cratere di Baccano, l’Amerina scende lungo le pendici nord della caldera tenendosi sul lato sinistro del Fosso di Fontana Latrona, per giungere, dopo l’attraversamento del Fosso del Pa-vone, in prossimità di Ponte di Valle Romana33.

Da qui prosegue con un tratto sostanzialmente pianeggiante, attraversando Pian delle Rose fino al Fosso dello Stramazzo. Su-perato il corso d’acqua a quota 203, la strada sale fino quota 226. Questo è il primo segmento dove si può individuare il basolato originario per circa 300 metri che ci conduce, tramite un terraz-zamento, prima in pendenza poi dolcemente pianeggiante, fino al torrente che attraversa Valle Larga. Oltrepassato il torrente, i resti della massicciata non sono più individuabili; la strada doveva curvare verso sinistra per attraversare un nuovo corso d’acqua (Fosso Pasci Bovi) nel punto dove oggi passa l’attuale provinciale

32 Il tracciato della via è ricompreso nelle tavolette IGM 1:25.000 F°143 II N.E. Campagnano di Roma - F°143 I S.E. Nepi - F°143 I N.E. Civita Castella-na-F° 137 II S.E. Gallese - F°137 II N.E. Orte - F° 137 I S.E. Amelia 33 Tratto individuato su carta IGM 1:25.000 foglio 143 II N.E. Campagnano di Roma.

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dell’Umiltà (Fig. 6). L’Amerina, tramite un ponte con unica arca-ta34, continua il suo percorso ad una quota superiore rispetto alla carrabile. La zona, denominata Selciatella, costituisce, fino e oltre la località detta il Cascinone, uno dei tratti più interessanti per i resti della pavimentazione rimasta intatta: visibili le crepidini, il marciapiede e i gomphi35.

L’Amerina corre poi parallelamente alla strada asfaltata per circa 200 metri oltre il Cascinone. Qui è intersecata dalla stessa strada per ritrovarsi, sempre in parallelo, sul lato opposto, nasco-sta sotto una fitta siepe fino poco prima di Casale l’Umiltà. Que-sto tratto era parzialmente conservato fino alla fine dell’‘80036.

Da Casale l’Umiltà, la strada si avvale della prima tagliata tu-facea per discendere verso il Cerreto, prima del fosso. Sulla destra della via moderna sono ben visibili i basoli sotto la parete tufacea. Il Fosso del Cerreto era attraversato con una struttura, probabil-mente a tre arcate in luogo di quella medievale di Ponte Nepesi-no37. Successivamente risale attraverso una tagliata fin sopra il

34 Il ponte è tuttora in piedi anche se la sua fattura non sembra appartenere alla tipologia delle strutture di scavalcamento presenti più avanti lungo la strada. L’estradosso è pavimentato con selci ma le connessioni tra i blocchi lasciano dei dubbi sull’epoca di realizzazione. 35 “...In questo punto è riconoscibile nella sua integrità la struttura di questa via. È composta di un agger incurvato lievemente, largo m.2.75 e formato da selci di basalto palombino, poco cuneate, per lo più di forma pentagona irrego-lare e connesse con molta accuratezza. A ciascun lato della via stava un mar-ciapiede rialzato cm.10, largo circa 1.20, costruito a piccole pietre allungate ed a ciottoli messi per testa. Questo era diviso dalla via per mezzo di una crepidi-ne di pietre rettangolari infisse nel terreno e di umboni arrotondati in cima e disposti l’uno di fronte all’altro alla distanza di circa m.4.50” Gamurrini G.F., Cozza A., Pasqui A., Mengarelli R., Carta archeologica d’Italia (1881-1887). Materiali per l’Etruria e la Sabina. Firenze: 1972. 36 Ibidem 37 A Ponte Nepesino l’Amerina si inoltra nella prima forra tufacea, da qui si dipartiva, verso destra la strada per le acque termominerali. In questo luogo si

pianoro di San Marcello dove si stacca il percorso di crinale della Massa38, per poi ridiscendere di nuovo in tagliata verso il fosso omonimo, oltrepassato il quale giunge con un tratto pianeggiante a Nepi. I resti della via romana erano ancora visibili ai redattori della Carta archeologica39. La strada entrava a Nepi nel luogo ove oggi sorge una delle porte del Castello Borgiano40 (porta Ni-ca): qui, per un tratto di circa 20 metri, sono ancora in posto i ba-soli. L’Amerina doveva attraversare l’area occupata dal castello e, tramite un tracciato che scendeva verso la forra sul percorso

percepisce l’‘ingresso’ attraverso l’Agro Falisco dove l’incontro tra il sistema geomorfologico dell’apparato vulcanico Sabatino con quello Vicano determina un brusco cambiamento del paesaggio. 38 Il crinale della Massa è uno dei luoghi paesaggisticamente più intensi di tutto il territorio falisco. Ricco di presenze storiche: i Cavoni, Grotta Arnaro, Castel d’Ischia; permette una penetrazione all’interno del sistema idrografico della Valle del Treia con panoramiche di eccezionale importanza come: la vista del pianoro di Nepi, l’insediamento monastico di Castel Sant’Elia o la lussureg-giante Valle del Cerreto con l’ ‘isola’ tufacea di Monte Merluzzo. 39 “...Da qui (Cantinaccia) fin presso il monumento sepolcrale in faccia a Nepi, cioè per circa un Km la Selciatella mantiene l’antica struttura. E’ un bellissimo tratto per metà saliente, conservato con le crepidini e gli umboni al posto ...” Gamurrini G.F., Cozza A., Pasqui A., Mengarelli R., Carta archeologica ... op. cit. Dobbiamo rilevare che parte della strada è andata distrutta con i lavori di sistemazione degli anni ‘50 come aveva, purtroppo, intuito Ward Perkins: “...Il giorno prima di scrivere queste parole abbiamo appreso che è stata approvato un progetto di riapertura dell’antica strada che andava da Settevene a Nepi, e che i lavori stanno per iniziare; è difficile credere che una quantità enorme di ciò che abbiamo documentato non scomparirà tra breve per sempre.” Frederi-ksen M.W., Ward Perkins J.B., The ancient road ...op. cit. 40 L’ingresso attuale della strada attraverso porta Nica è uno dei luoghi più in-teressanti del percorso, sia nelle sue sequenze di avvicinamento che stazionan-do dal terrazzo che si apre sulla Valle del fosso del Ponte. Non a caso numerosi pittori paesaggisti hanno ritratto queste visuali extra muros primo fra tutti Ca-mille Corot. Per la ricerca artistica del Corot, effettuata negli anni venti dell’800 nell’Agro Falisco, vedere: Galassi P., Corot en Italie,. Hong Kong: 1991.

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dell’attuale Via Nepesina, scavalcare il fosso con un ponte al li-vello di quello attuale, ma poco più ad est41.

Superato il Fosso del Ponte di Castello, il tracciato sale in di-rezione nord verso località San Paolo per raggiungere, dopo un chilometro, Rio Vicano. Attraversato quest’ultimo, dove non so-no più presenti resti delle strutture, la strada risaliva parzialmente in trincea fino alla sommità del pianoro di Selva Iella42 per ridi-scendere poi, ancora in tagliata, fino al torrente detto Fossitello. Qui sono ancora visibili i piedritti dell’antico ponte in opera qua-drata43. Superato il corso d’acqua si inoltra all’interno del bosco della Tenuta dell’Isola (prima emergenza naturalistica incontrata sul tracciato) per piegare a destra dirigendosi verso Torre dell’Isola. Il primo tratto segue uno stretto crinale (punto più stretto appena 10 metri) per aggirare i due affluenti del Fosso dell’Isola e poi scendere costeggiando l’antico sito di Torre dell’Isola44 e attraversare il torrente. Siamo a quota 170: da qui la strada risale fino a 220 grazie ad una serie di tornanti, quindi va ad incontrare la Strada Statale Nepesina in località San Lorenzo45.

41 Tratto individuato su carta IGM 1:25.000 foglio 143 I S.E. Nepi 42 Da qui si diparte la strada di crinale che conduce nel sito falisco e altome-dievale di Pizzo Iella. 43 Il ponte doveva essere ad un unica arcata. Per la tecnica costruttiva del ponte cfr nota 46. 44 Il sito è conosciuto anche come Isola Conversina o Torre Stroppa e nei do-cumenti medievali come Castrum Insulae. Vedi Gamurrini G.F., Cozza A., Pa-squi A., Mengarelli R., Carta archeologica ... op. cit. Frederiksen M.W., Ward Perkins J.B., The ancient road ...op. cit. Conti S., Le sedi umane abbandonate nel Patrimonio di S.Pietro. Firenze: 1980. Lucchesi E., Nepi, Filissano, Isola Conversina, Ponte Nepesino. Roma: 1984. 45 Secondo Ward Perkins la strada per scavalcare il fosso dell’Isola attraversa-va il suo affluente di destra per due volte. Attualmente non sono più visibili i resti delle due strutture a monte dell’ultimo ponte. Dal fosso dell’Isola il trac-ciato originario doveva salire in principio con una rampa ricavata nella parete tufacea oggi crollata.

Da questo punto, con un asse perfettamente rettilineo, si dirige verso Falerii Novi (Fig. 7).

Fig. 4. L’Amerina sul pianoro di S. Lorenzo.

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Il tratto, scoperto recentemente, mostra una pavimentazione ancora perfettamente conservata sotto circa un metro di terra. At-traversato il pianoro di San Lorenzo appare per tutta la sua lun-ghezza l’asse stradale, con una prospettiva che giunge sino all’abbazia di Santa Maria di Falleri. L’Amerina discende, tramite una trincea, verso il Fosso dei Tre Ponti che è attraversato con un viadotto, ancora ottimamente conservato di periodo repubblica-no46. La strada risale il crinale per poi ridiscendere sul Fosso Maggiore nel tratto più interessante e suggestivo di tutto il trac-ciato. Da qui la strada-necropoli, tramite il Cavo degli Zucchi47, si lancia attraverso Pian della Badessa, dove sotto una siepe ne re-stano consistenti tracce, fino al superamento prima di Rio Calel-lo48 e poi di Rio Purgatorio49, entrando finalmente, da sud,

46 “Il ponte sul Rio dei Tre Ponti si può dire intatto: è il più bell’esempio di ponte romano in tutto il territorio falisco.” Gamurrini G.F., Cozza A., Pasqui A., Mengarelli R., Carta archeologica ... op. cit.. La struttura a vista è in opus quadratum bugnato con blocchi di tufo disposti con diatoni (conci posti di te-sta) alternati ad una fila di ortostati (conci posti per lunghezza) a rivestire la struttura interna in opus caementicium. Per una descrizione dettagliata vedere Frederiksen M.W., Ward Perkins J.B., The ancient road ...op. cit. 47 L’attraversamento del Rio Maggiore presenta un ‘addensamento’ straordina-rio di preesistenze archeologiche di epoca romana relative sia alle strutture via-rie (basolato, ponte, tagliate) sia alle strutture funerarie (mausolei, tombe a ca-mera, arcosoli, loculi, tombe a fossa, colombari). Il quadro paesaggistico si completa con una vegetazione di insolita varietà e qualità. 48 L’Amerina si avvaleva per l’attraversamento del torrente di un modesto pon-te in opus quadratum con una luce di circa quattro metri, ancora in piedi nel 1887. 49 La forra del Rio Purgatorio è l’ultima prima dell’ingresso della strada a Fa-lerii Novi e tra quelle attraversate è la più ampia (circa 200 metri). Delle strut-ture del viadotto non restano che la spalla sud e tracce del suo ingresso sulla parete nord. Le condizioni morfologiche della zona devono aver dettato la di-rezione dell’attraversamento e in subordine, anche la struttura urbanistica della città. Bisogna considerare che la spalla nord del viadotto si avvale di uno spe-rone tufaceo che si protende in avanti e proprio su questo asse si è impostato il

all’interno di Falerii Novi50. Qui l’Amerina funge da cardo della città e diviene asse strutturante dell’originario assetto urbano. Su-pera quindi il foro e si dirige verso la porta nord dove sono ancora evidenti tracce di pavimentazione.

Subito fuori le mura la strada piega ad ovest per portarsi verso il Castellaccio di Rio Cruè51, poi in linea retta attraversa la mac-chia del Quartaccio52 fino alla tagliata che permette l’attraversamento del Fosso delle Sorcelle. Quindi risale in locali-tà Fallarese e procede sino alla Madonna del Soccorso53 (Fig. 8).

Attraversato il Rio Fratta la strada sale, tramite una tagliata, verso il pianoro settentrionale di Sant’Antonio e, dopo aver attra-versato il Fosso delle Pastine, continua con un tratto eccezional-mente pavimentato per circa un chilometro fino alla ferrovia Or-

cardo e quindi il foro di Falerii Novi. La zona è oggi profondamente modifica-ta rispetto allo stato originario, sulle pareti della forra, sia a sud che a nord, so-no imponenti le tracce delle operazioni di estrazione del materiale lapideo uti-lizzato per la costruzione delle mura. 50 Su Falerii Novi vedere Di Stefano Manzella I., Falerii Novi negli scavi degli anni 1821-1830, in “Rendiconti Pontificia Accademia di Archeologia”, XII, 2, 1979. De Lucia Brolli A. M., L’Agro…, op. cit. Per la descrizione paesaggisti-ca del tratto entro la città cfr. paragrafo “Falerii Novi”. 51 La confluenza tra il fosso di Castellaccio e il suo affluente di destra dà vita al Rio Cruè, primo tributario diretto del Tevere. Al centro dei due corsi d’acqua sorge lo sperone tufaceo che ospita i resti di una struttura altomedievale e alla base di essa numerose sepolture ricavate sulle pareti. 52 Tratto individuato su carta IGM. foglio 143 I N.E. Civita Castellana. 53 Di rilevante interesse sono le due tombe rupestri a portico ricavate sulla pa-rete nord della forra per la loro descrizione De Lucia Brolli A. M., L’Agro…, op. cit. A circa 600 metri a valle della chiesa del tardo cinquecento di Santa Maria del Soccorso, il Rio Fratta era attraversato da un percorso di epoca fali-sca con le vie cave di S. Egidio e della Cannara. Quilici L., La cava buia di Fantibassi e le vie cave del territorio falisco, in: La Civiltà dei Falisci. Atti del XV convegno di Studi Etruschi e Italici, Civita Castellana 28-31 maggio 1987. Firenze: 1990. AA.VV., Contributi allo studio di fattibilità della direttrice via-ria Civita Castellana-Viterbo. Viterbo: 1985.

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te-Capranica. Superata quest’ultima, percorre la piana di Mazzo-neto e poi scende con una brusca curva verso destra, tramite una tagliata, entro la forra del Fosso delle Chiare Fontane. Da qui si dirige in linea retta all’attraversamento del Fosso Carraccio e poi di quello della Gaetta che delimitano il pianoro di Santa Bruna54.

Sul pianoro di contrada Aliano si perdono le tracce della strada fino alla tagliata che scende sul Fosso di Aliano55. Risalito il qua-le, la strada si portava, presumibilmente, ad est dell’abitato di Va-sanello56 per raggiungere Poggio Pelato dove inizia la discesa, at-traverso Macchia Sparta e tramite il “Passo del Lupo”, fino a Tor-re Zelli sul Rio Paranza (Fig.9). Da qui individuare il tracciato dell’Amerina risulta problematico: essa doveva comunque risalire la cresta di Resano per poi scendere, nel punto meno ripido e più morbido, verso il Tevere, passando nei pressi delle Terme di Orte e arrivando al fiume che superava a Seripola dove non restano più tracce del ponte57.

Dall’area portuale, tramite la sella di Castiglioni, la strada scende verso il Rio Grande e, una volta superato, risale la valle lungo la riva destra toccando la Solfatara (Fig. 10). Oltrepassa nuovamente il rio subito a monte della confluenza con il Fosso del Campo Antico e, dopo 500 metri, piega a sinistra dirigendosi 54 Cerri G., Ferrara A., Grimaldi G., Casale Santa Bruna: un villaggio fortifi-cato nei pressi della Via Amerina, in Biblioteca e Società, anno X, 3-4, (estrat-to). Viterbo: 1991. 55 Tratto individuato su carta IGM 1:25.000 foglio 137 II N.E. Orte. 56 Nardi G., Le antichità di Orte, Roma: 1980. 57 Seripola coincide, presumibilmente, con il Castellum Amerinum indicato nella Tabula Peuntingeriana. Il sito fu scoperto nel 1962-63 a seguito dei lavo-ri per la realizzazione dell’Autostrada del Sole ed esso consiste con un com-plesso portuale dotato di ambienti commerciali, magazzini, terme, abitazioni e tabernae, la sua frequentazione deve farsi risalire tra il II secolo a.C. e il V d.C. Begni Perina G., Il porto sul Tevere in località Seripola, in Il Tevere un’antica via per il Mediterraneo, catalogo della mostra 21 aprile-29 giugno 1986. Roma: 1986.

verso nord (passando a circa 300 metri a est di Podere Totano), fino a raggiungere, dopo due chilometri e mezzo, la strada per Penna in Teverina, percorrendo il crinale che arriva ad Amelia58 Fig. 11).

Questo tracciato, pur conservando una direzionalità costante verso nord e affrontando dei punti difficili come gli scavalcamen-ti dei torrenti e ben 36 attraversamenti di corsi d’acqua, non è per-fettamente rettilineo, ma forma un arco del quale la linea diretta Cassia-Amelia ne costituisce la corda. La distanza in via retta tra i due poli di Baccano e di Amelia misura 48 chilometri, mentre l’arco formato dalla strada misura 54 chilometri pari a circa 36 miglia romane59. La scelta di un tracciato con uno scarto di soli sei chilometri dalla linea retta ci illumina sulla capacità dei topo-grafi romani: con poche miglia in più l’Amerina riuscì a raggiun-gere alcuni obiettivi, come il passaggio obbligato per Nepi, e ad aggirare notevoli difficoltà di carattere geomorfologico. La strada evita le profonde forre degli affluenti del Treia e quelle dell’area del Rio Fratta e, mantenendosi a monte di Orte, supera il Tevere nel punto dove la valle è più ampia e meno ripida (Fig. 5).

Mentre le vie del territorio falisco ubbidiscono ad una matrice di origine preromana, che cerca, per quanto possibile, di seguire i crinali o i fondovalle, la Via Amerina invece opera una rotazione ortogonale ribaltando il senso di percorrenza del territorio. È que-sto che la rende unica nel suo percorso.

58 Nardi G., Le antichità... op. cit. 59 La lunghezza della strada è storicamente attestata in 56 miglia secondo Cice-rone che la percorse da Roma ad Amelia in una sola notte (Pro Rosc, VII,19) in effetti dal XXI miglio della Via Cassia sommando le 36 miglia fino ad Ame-lia si raggiunge la lunghezza totale di 57 miglia. Il che conferma il dato storico.

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Fig. 5. Il tracciato della strada.

Fig. 6. Primo tratto della Via Amerina dalla Via Cassia fino al Fosso Pasci Bovi.

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Fig. 7. Secondo tratto della Via Amerina dal Cascinone fino a S. Lorenzo.

Fig. 8. Terzo tratto della Via Amerina dal Fosso dei Tre Ponti fino alla Madonna del Soccorso.

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Fig. 9. Quarto tratto della Via Amerina dal Fosso delle Pastine a Vasanello.

Fig. 10. Quinto tratto della Via Amerina da Poggio Pelato al Rio Grande.

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Fig. 11. Sesto e ultimo tratto della Via Amerina dal Rio Grande ad Amelia.

L’ ATTRAVERSAMENTO DELLE FORRE

La forra è un taglio naturale con pareti subverticali all’interno della pianura tufacea e tale solco costituisce una barriera per chi vuole percorrere il territorio dell’Amerina da nord verso sud e vi-ceversa.

La particolarità della strada romana consiste proprio nella se-quenza di attraversamenti di queste barriere, sequenza che è scan-dita dal ripetersi del saliscendi tagliata-ponte-tagliata. Il concetto consiste nel ridurre il dislivello esistente tra la sommità del piano-ro e il fondo delle valli conservando una direzione in rettilineo. Il sistema è di scavare una trincea con pendenze costanti, attraverso il pianoro, fino a raggiungere la parete tufacea della forra nel pun-to più basso possibile e poter scavalcare agevolmente il torrente

tramite un ponte (Fig. 12). I ponti presenti sulla Via Amerina so-no per la maggior parte riconducibili a una stessa tipologia co-struttiva. Gli esempi più significativi si ritrovano sul Fosso dei Tre Ponti e sul Rio Maggiore. La struttura consiste in un’anima in opus caementicium, formata con malta e bozzame di pietra stretta sui lati da pareti in opus quadratum di possenti blocchi di tufo.60 60 “La tradizione colta è rappresentata... dalla muratura in pietra squadrata, l’ opus quadratum dei romani, cioè la muratura isodoma e pseudoisodoma che Vitruvio attribuisce ai costruttori greci. Questo è caratterizzato da due ordini di pietre: 1) gli ortostati, blocchi parallelepipedi posti con il loro lato più lungo nella direzione del muro (nella terminologia del secolo scorso questa posizione fu detta di fascia, o di fianco, o in grossezza); 2) i diatoni, blocchi parallelepi-pedi posti con la maggior lunghezza ortogonale al muro (in chiave o di punta o di testa). L’apparecchio dell’opus quadratum è a corsi o filari orizzontali. I giunti verticali sono sfalsati.” Giuffré A., Letture sulla Meccanica delle Mura-ture Storiche. Roma: 1990. Vedi anche Marta R., Tecnica costruttiva romana. Roma: 1991.

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La larghezza dei ponti è quella strettamente necessaria a una car-reggiata in grado di superare il corso d’acqua generalmente con un unica arcata61.

Fig. 12. Schema di attraversamento della forra da parte dell’Amerina.

Tra gli attraversamenti, quello sul Rio Maggiore presenta delle

vere e proprie caratteristiche monumentali: la trincea sud e quella nord (Cavo degli Zucchi) costituiscono, sia per dimensioni che per ricchezza di testimonianze, un unicum rispetto a tutto il per-corso stradale62. Nell’area del Rio Maggiore le tagliate sono ecce-

61Sulle tecniche costruttive dei ponti romani e la loro distribuzione nel territo-rio si veda: Gazzola P., Ponti Romani. Firenze: 1963. Gamurrini G.F., Cozza A., Pasqui A., Mengarelli R., Carta archeologica ... op. cit. Frederiksen M.W., Ward Perkins J.B., The ancient road...op. cit. Cicognolo M.L., Ponti romani nell’Etruria Meridionale interna, in Informazioni, nuova serie, anno III, n° II, luglio-dicembre 94. 62 L’area del Rio Maggiore negli ultimi anni è stata oggetto di una sistematica campagna di scavo ad opera dei volontari del Gruppo Archeologico Romano in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica per l’Etruria Meridionale che ha condotto ad un approfondimento dei numerosi aspetti dell’area. Vedere in particolare: Caretta L., Via Amerina: complesso funerario romano con se-polcro a fregio dorico, in Archeologia della Tuscia II. Atti degli incontri di studio organizzati a Viterbo (1984). Quaderni del centro di studio per l’Archeologia Etrusco-Italica, 13. Caretta L., Innocenti G., Prisco A., Rossi P., La necropoli della Via Amerina a Falerii Novi, in “Settlement and economy in

zionalmente più ampie del consueto (larghezza circa 12 metri) e all’interno di queste la parte dedicata al transito dei mezzi occupa appena un quinto dello spazio. La tagliata nord ha conservato, sotto lo strato di terreno, il basolato ancora intatto realizzato con blocchi poligonali di leucite e in parte di basalto63. La carreggiata, larga 2.40 metri, leggermente displuviata al centro, presenta anco-ra la crepidine e i gonphi e, in alcuni tratti, delle piazzole laterali probabilmente di ausilio alla circolazione. Ma la peculiarità della tagliata sta anche nell’uso speciale delle sue pareti verticali che sono svuotate di materiale, erose internamente, scolpite in innu-merevoli forme domestiche (casa, portico, letto) al fine di creare delle “architetture in negativo” che hanno come archetipo il ripa-ro in grotta e il più vicino sistema di sepolture falisco. Ma nella tagliata sono presenti anche spazi di “architetture in positivo” ri-cavati nei vuoti perimetrali delle pareti dove si manifestano sepol-ture più ricche e scenografiche, ad esempio dei mausolei64. Di fat-

Italy 1500 BC to AD 1500. Papers of the fith Conference of Italian Archaeo-logy”, Oxford, pag.423-425. 63 Gli scavi stratigrafici effettuati dal G.A.R. hanno messo in evidenza come il basolato più antico, in leucite, risalga al I sec. a.C. e successivamente siano sta-ti operati degli interventi di reintegrazione con blocchi di basalto che interrom-pono la continuità dei solchi dei carri. Il primo strato di interro al di sopra della massicciata risale al II sec. d.C. mentre la frequentazione dell’area deve essere continuata almeno fino al IV secolo. Munzi M., Nuovi dati sulla Via Amerina e note prosopografiche sugli Egnatii di Falerii Novi, in Archeologia Uomo Ter-ritorio , 13, 1994. Innocenti G., Rossi P., La Via Amerina in località “Cavo de-gli Zucchi” (VT). Nuovi dati sulla frequentazione, in Archeologia Uomo Terri-torio, 14. 1995. 64 “Da una parte, un’azione progettuale intesa a costruire tramite il togliere e lo scavare, il cavare e l’estrarre, l’erodere e il sottrarre materia, un diminuire il volume per asporto (reale o fittizio che sia), sintetizzabile con il segno aritme-tico del meno. Dall’altra, il comporre spazi per aggiunta, sovrapposizione, con-trapposizione, distribuzione, legame, unione di elementi, membrature, appa-recchi e materiali, un addizionare e un aumentare il volume per combinazione

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to, la Via Amerina, da luogo di transito, si trasformò col tempo in una vera e propria necropoli65.

La tagliata è quindi un micro-paesaggio, un luogo artificiale dotato di caratteristiche uniche e formato dalla presenza di strut-ture antropiche ed elementi naturali, che possiamo definire come luogo riassuntivo di un contesto territoriale e paesaggistico più ampio66.

Ma la tagliata non è un luogo dove la percezione è statica e u-nivoca, come può essere uno spazio aperto, indefinito nei contor-ni lontani e non netti (es. il pianoro). Essa, con le sue pareti verti-cali e rettilinee, con la sua forma che condiziona lo sguardo in a-vanti, trasmette all’osservatore una sensazione di tensione verso una direzione frontale.

sapiente di parti, che potremmo sintetizzare con il segno aritmetico opposto del più.” Polano S., L’architettura della sottrazione, in Casabella, 659. 65 “Negli irrequieti vagabondaggi dell’uomo paleolitico, i morti furono i primi ad avere una dimora stabile: una caverna, una collinetta segnata da pietre o un tumulo collettivo. Erano questi i punti di riferimento a cui i viventi tornavano verosimilmente ogni tanto per comunicare con gli spiriti ancestrali o per pla-carli. Anche se la ricerca del cibo e la caccia non permettevano di occupare in permanenza una località, almeno i morti potevano aspirare a questo privilegio” Mumford L., La città nella storia, vol. I. Milano: 1990. 66 Potremmo individuare la tagliata come un iconema secondo la definizione di Turri: “Dando agli iconemi questo significato, cioè di elementi della percezio-ne che si pongono come segni fondamentali del paesaggio, essi sono parago-nabili ai fonemi, che sono i suoni elementari del discorso. Così intesi, gli ico-nemi sono come brani di paesaggio, parti significative di esso, parti e sineddo-che del quadro percettivo d’insieme. Detto in altro modo, sono dei quadri mi-nimi, elementari, che isolano una porzione di paesaggio, ne incorniciano un elemento rappresentativo, assumendo la funzione denotativa del contesto, di quelle unità di paesaggio ricercate ansiosamente dagli urbanisti e dai pianifica-tori”. Turri E., Il paesaggio…, op. cit.

Fig. 13. Sezioni del Cavo degli Zucchi.

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La sequenza tagliata-ponte-tagliata determina un’elevata quali-tà dinamica del percorso; la fruizione percettiva varia sensibil-mente articolandosi in quattro tipologie visive ( Fig. 14):

1. pianoro: vista illimitata/assenza di margini visivi/esterno; 2. tagliata: vista limitata/margini visivi laterali/ingresso; 3. ponte: vista parzialmente limitata/margine visivo fronta-

le/interno; 4. tagliata: vista limitata/margini visivi laterali/uscita; Le tipologie visive dell’attraversamento delle forre associano a

una componente quantitativa (illimitato, limitato, parzialmente limitato) una componente dinamico-sensoriale di movimento e stasi (esterno/stasi, ingresso/movimento, interno/stasi, usci-ta/movimento, esterno/stasi).

Gli aspetti percettivi della tagliata sono condizionati anche dal-la particolare luce che la colpisce. L’immagine delle trincee dell’Amerina, con direzionalità nord-sud, varia nettamente secon-do le ore del giorno. La luce le illumina totalmente soltanto per un ora il giorno, quando il sole si trova allo zenit; per il resto della giornata, l’illuminamento diretto mette in evidenza prima la pare-te ovest67 e poi quella est68. In questo modo contribuisce a una continua variazione di immagine della tagliata con le proiezioni delle ombre della vegetazione e dei margini superiori della trincea (Fig. 15).

67 Ore 11-12 solstizio d’inverno; ore 8-12 equinozi; ore 7-13 solstizio d’estate. 68 Ore 12-13 solstizio d’inverno; ore 13-16 equinozi; ore 13-17 solstizio d’estate.

Fig. 14. Schemi percettivi dell’attraversamento.

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Fig. 15. La luce.

FALERII NOVI69

Appena superato il Rio Purgatorio, l’Amerina entra nell’abitato di Falerii Novi dalla porta sud e fuoriesce verso nord dopo circa 500 metri.

L’incrocio tra la Via Amerina, che costituisce il cardo della città, e il decumano, rappresentato dalla strada proveniente da Porta Giove, determina il fulcro della tessitura urbana composta da insulae di cui soltanto una è attualmente visibile70. L’impostazione urbanistica, regolata rigidamente da un’assialità ortogonale, è chiusa invece da un perimetro irregolare materializ-zato da possenti mura in opera quadrata nelle quali si aprono nove porte71.

La caratteristica principale del luogo, nel contesto che stiamo trattando, è il rapporto tra l’asse stradale e l’impianto fortificato dove la forza di penetrazione rappresentata dalla strada contrasta con l’azione di pressione esercitata dalla cinta muraria che tende a chiudere lo spazio e a delimitarlo. La tensione visiva e la linea retta, costituite dalla Via Amerina nel territorio, si stemperano

69 Su Falerii Novi consultare: Di Stefano Manzella I., Falerii Novi negli scavi degli anni ….. op. cit.. De Lucia Brolli A.M., L’Agro Falisco... op.cit. 70 La parte visibile degli scavi è stata portata alla luce negli anni 1969-75 in adiacenza all’incrocio tra il cardo e il decumano. Begni Perina G., Falerii No-vi, in Studi Etruschi, vol. LI, (estratto). 1983, serie III. 71 Il perimetro è lungo circa 2400 metri e rinforzato da 50 torri difensive. Tra le porte di maggiore interesse sono da ricordare Porta Giove ad ovest, tramite cui passa il decumano massimo che, proveniente dai monti Cimini, collegava la città con la Flaminia e con il Tevere ad est, e Porta Puteana a sud-ovest, en-trambe con decorazione antropomorfa del concio di chiave dell’arco a tutto se-sto. De Lucia Brolli A.M., L’Agro…, op. cit.

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all’interno di uno spazio aperto e ampio, ma delimitato da confini visivi netti che separano il dentro (città) con il fuori (territorio)72.

Falerii Novi è quindi un luogo diverso. Una sorta di estraneità alle caratteristiche insediative del territorio la rende unica. Ciò si deve al fatto di essere stata fondata in un sito pianeggiante, natu-ralmente non sicuro, malgrado fosse fornita di mura e di torri. Fa-lerii Novi è la proiezione dell’immagine della romanitas, luogo progettato e costruito come una grande città a immagine dell’imponenza e del ristabilimento della pace dopo gli sconvol-genti episodi legati alla conquista. Proprio perché attraversata dall’Amerina, rappresenta anche il centro territoriale e, come tale, conferma una sua collocazione diversa e alternativa rispetto ai modelli insediativi preromani73.

La caratteristica primaria del luogo è il suo aspetto di paesag-gio di ruderi dai confini chiusi e circoscritti. Questi delimitano vi-sivamente uno spazio pianeggiante con leggere e armoniose on-dulazioni, dove l’abbazia cistercense di Santa Maria di Falleri co-stituisce l’elemento verticale e di riferimento all’interno della cin-ta muraria.

Diverso è l’aspetto del luogo subito oltre le mura dove è forte il contrasto tra la parte nord, pianeggiante e completamente colti-vata a seminativo, e l’area a sud, seminaturale e costituita dalla forra del Rio Purgatorio.

72 Finocchi S., Significato dei rapporti tra cinta fortificata e piano negli inse-diamenti preromani, in Studi sulla città antica. Atti del convegno di studi sulla città Etrusca e Italica preromana. Bologna: 1970. 73 “Nel modello ecologico romano degli insediamenti umani la stretta interdi-pendenza tra l’urbs e l’annesso territorio che ne garantiva l’esistenza, dichiara-va che il manufatto urbano era al centro di una civitas-civitatis (da cui civiltà e città) che era la condizione esistenziale, geoeconomica e politica nella quale il rapporto città/campagna sembra essere stato organico e non dicotomico”. Ver-celloni V., Ecologia degli insediamenti umani. Milano: 1992.

Fig. 16. Mausoleo all’esterno della città di Falerii Novi in una stampa del Re-inhart del 1796.

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Fig. 17. Falerii Novi (per le stazioni visive cfr. fig. 18).

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Fig. 18. L’esperienza visiva nell’attraversamento di Falerii Novi.