f Cerri-Rossi Cap-5- Le Stagioni

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57 Capitolo V: gli aspetti naturali. LE VARIAZIONI STAGIONALI La lettura paesaggistica di un territorio comporta, oltre ad un’interpretazione culturale e storica dei suoi elementi, anche un’analisi percettiva dell’insieme e delle parti che lo compongo- no. Ciò che noi vediamo ci appare dapprima sotto forma di quanti- tà, poi, dopo una serie d’operazioni di distinzione e ricomposizio- ne, riusciamo finalmente a impartire un ordine alle cose viste 1 . La prima percezione di un paesaggio dipende dalla superficie che lo delinea (linea retta, superficie aperta, superficie conchiusa) e dai colori che lo compongono. I colori in particolare ci trasmet- tono diverse sensazioni, prime tra tutte quelle di caldo o di freddo che condizionano poi le nostre emozioni: gli stati di quiete, ansia, tensione, stabilità, precarietà, ecc. che noi proviamo di fronte a paesaggi diversi tra loro 2 . “L’occhio non vede nessuna forma, in quanto sono solo chiaro, scuro e colore a stabilire insieme ciò 1 Goethe J.W., La teoria dei colori., a cura di Troncon R. Milano: 1983 2 “Quando Monet si volse totalmente alla pittura di paesaggio, non dipingendo più i suoi quadri nello studio, ma all’aperto, a contatto diretto con la natura, suo oggetto di studio approfondito divennero la mutevolezza della luce e dell’atmosfera, secondo le stagioni, le ore del giorno e le condizioni meteoro- logiche… Osservò che i colori locali degli oggetti sono dissolti dalla luce e dall’ombra, e che i raggi colorati riflessi si compongono in macchie più ricche di variazioni di freddo–caldo che di contrasti chiaroscurali.” Itten J., Arte del colore. Milano: 1982. che distingue un oggetto dall’altro e le parti di un oggetto dalle altre” 3 . Alla luce di queste premesse, un paesaggio non appare mai uguale a sé stesso ogniqualvolta si osserva. La Via Amerina, inol- tre, presenta già di per sé accentuate differenze di carattere morfo- logico lungo il suo percorso. Ciò per la caratteristica d’attraversamento in perpendicolare delle forre che produce una successione di saliscendi mutando la nostra percezione anche in maniera drastica: dal pianoro coltivato (superficie aperta) passia- mo all’interno di un bosco (superficie chiusa che tende, a volte, al punto), per trovarci, poi, lungo una tagliata (superficie rettilinea). Insieme a tali diversità di conformazione del territorio, anche le mutazioni stagionali trasformano a loro volta il paesaggio, spesso irriconoscibile. Le nostre sensazioni, la possibilità di vi- sualizzare più o meno quantità dello stesso oggetto, oppure il mo- to inconscio di soffermarci di fronte ad un elemento del paesag- gio, sono molto legati alle variazioni stagionali. Abbiamo cercato nel corso di un anno di testimoniare le rela- zioni che esistono tra la diversità morfologica del paesaggio della Via Amerina, le mutazioni stagionali e il trasformarsi delle nostre 3 Goethe J.W., Teoria dei colori…… op. cit.

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Capitolo V: gli aspetti naturali.

LE VARIAZIONI STAGIONALI

La lettura paesaggistica di un territorio comporta, oltre ad un’interpretazione culturale e storica dei suoi elementi, anche un’analisi percettiva dell’insieme e delle parti che lo compongo-no.

Ciò che noi vediamo ci appare dapprima sotto forma di quanti-tà, poi, dopo una serie d’operazioni di distinzione e ricomposizio-ne, riusciamo finalmente a impartire un ordine alle cose viste1.

La prima percezione di un paesaggio dipende dalla superficie che lo delinea (linea retta, superficie aperta, superficie conchiusa) e dai colori che lo compongono. I colori in particolare ci trasmet-tono diverse sensazioni, prime tra tutte quelle di caldo o di freddo che condizionano poi le nostre emozioni: gli stati di quiete, ansia, tensione, stabilità, precarietà, ecc. che noi proviamo di fronte a paesaggi diversi tra loro2. “L’occhio non vede nessuna forma, in quanto sono solo chiaro, scuro e colore a stabilire insieme ciò

1 Goethe J.W., La teoria dei colori., a cura di Troncon R. Milano: 1983 2 “Quando Monet si volse totalmente alla pittura di paesaggio, non dipingendo più i suoi quadri nello studio, ma all’aperto, a contatto diretto con la natura, suo oggetto di studio approfondito divennero la mutevolezza della luce e dell’atmosfera, secondo le stagioni, le ore del giorno e le condizioni meteoro-logiche… Osservò che i colori locali degli oggetti sono dissolti dalla luce e dall’ombra, e che i raggi colorati riflessi si compongono in macchie più ricche di variazioni di freddo–caldo che di contrasti chiaroscurali.” Itten J., Arte del colore. Milano: 1982.

che distingue un oggetto dall’altro e le parti di un oggetto dalle altre” 3.

Alla luce di queste premesse, un paesaggio non appare mai uguale a sé stesso ogniqualvolta si osserva. La Via Amerina, inol-tre, presenta già di per sé accentuate differenze di carattere morfo-logico lungo il suo percorso. Ciò per la caratteristica d’attraversamento in perpendicolare delle forre che produce una successione di saliscendi mutando la nostra percezione anche in maniera drastica: dal pianoro coltivato (superficie aperta) passia-mo all’interno di un bosco (superficie chiusa che tende, a volte, al punto), per trovarci, poi, lungo una tagliata (superficie rettilinea).

Insieme a tali diversità di conformazione del territorio, anche le mutazioni stagionali trasformano a loro volta il paesaggio, spesso irriconoscibile. Le nostre sensazioni, la possibilità di vi-sualizzare più o meno quantità dello stesso oggetto, oppure il mo-to inconscio di soffermarci di fronte ad un elemento del paesag-gio, sono molto legati alle variazioni stagionali.

Abbiamo cercato nel corso di un anno di testimoniare le rela-zioni che esistono tra la diversità morfologica del paesaggio della Via Amerina, le mutazioni stagionali e il trasformarsi delle nostre

3 Goethe J.W., Teoria dei colori…… op. cit.

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sensazioni. Abbiamo individuato tre ambienti tipo: il pianoro, il bosco e la tagliata, documentandone le trasformazioni.

IL PIANORO

Il pianoro ci mostra il suo mutamento stagionale tramite gli stadi attraversati dalla vegetazione spontanea e dalle coltivazioni. In breve: tramite le variazioni di colore e le tessiture del territorio.

Il pianoro in inverno

Per mesi, dall’autunno inoltrato all’inverno, il paesaggio del pianoro trasmette una sensazione di uniformità. Ogni suo elemen-to, infatti, a volte anche il cielo, assume un colore verde di varie tonalità (i campi ad esempio sono di solito lasciati a pascolo per diversi mesi), il tutto delimitato dal color grigio-marrone degli al-beri spogli e delle siepi.

L’impressione è di abbracciare visualmente uno spazio senza soluzione di continuità. Lo sguardo non ha punti di riferimento e vaga in cerca di uno stimolo che trova nell’unica emergenza del territorio che è il Monte Soratte, quando anch’esso non è nascosto dietro la foschia.

La sensazione che si prova su di un pianoro nel periodo inver-nale è quella di calma: una calma dovuta all’ampiezza della vi-sione e ai colori riposanti che ci circondano4. Il nostro stato di

4 “Una scuderia di cavalli fu divisa in due parti, di cui una venne dipinta di blu, l’altra in rosso – arancio. Nella zona blu i cavalli, dopo una corsa, si rilassava-no assai rapidamente, nella zona rossa rimanevano a lungo eccitati ed irrequie-ti.” J. Itten Arte del colore ……. op. cit.

quiete è interrotto soltanto dalla curiosità che porta il nostro sguardo verso il confine costituito dal bosco di forra 5 (Fig. 1).

Il pianoro in primavera

Nei mesi primaverili ed estivi, ma anche all’inizio dell’autunno, ogni passeggiata lungo i pianori della Via Amerina può offrirci delle sorprese che stimolano il nostro sguardo.

In primavera i campi coltivati presentano una gamma notevole di colori: vanno dal verde chiaro dei seminativi (grano, orzo, ave-na, ecc.) al giallo della colza e al rosso cupo dei fiori dell’erba medica. Le siepi che bordano i campi, con una fioritura che per-mane per tutti i mesi primaverili, sono le più appariscenti: in feb-braio-marzo hanno i colori bianchi del pruno e i gialli dei cornioli insieme al verde chiaro delle prime foglie; in primavera inoltrata s’infiorano del biancospino, del ligustro, della rosa canina e di al-tre specie in un tripudio di verde della restante vegetazione. Un infinità di elementi colpiscono la vista e mettono in moto la no-stra curiosità facendoci addentrare nei particolari.

Il pianoro in estate

In estate il pianoro assume fondamentalmente due colori: il verde brillante della vegetazione e il giallo oro dei campi per lo più coltivati a seminativo. Il paesaggio, più che in ogni altra sta-gione, presenta un tale contrasto di colori che ci trasmette una sensazione di “tensione” visiva (Fig. 2).

5 “…consideriamo adesso quegli aspetti del qui e del là in cui il qui è noto e quello che sta al di là è sconosciuto, è infinito misterioso o è nascosto in un grande “abisso nero”. Primo tra questi è l’anticipazione…(riferimento a foto nel testo) fanno chiaramente sorgere la curiosità di chi guarda nei confronti della scena che si presenterà ai suoi occhi quando avrà raggiunto la fine della strada.” Cullen G., Il paesaggio urbano. Bologna: 1976.

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Il pianoro in autunno

Nei mesi di fine estate e inizio dell’autunno, in un gioco di ro-sa, di rosso e di viola, s’affacciano nelle siepi le prime bacche nel mezzo di foglie che s’apprestano a ingiallire. I campi mutano nuovamente colore e passano dal giallo ocra delle stoppie al colo-re rosso-tufo del maggese: il paesaggio del pianoro si prepara a colori simili tra loro in tonalità, riconducendoci a sensazioni di quiete e di pace (Fig. 3). Oltrepassata Falerii Novi, il “paesaggio del seminativo” lascia il posto al “paesaggio della piantata. Fig. 1. Il pianoro in inverno.

Le piantate più frequenti sono noccioli, viti e olivi. Esse hanno la stessa variazione cromatica stagionale del bosco, ma, per mino-re altezza, ci permettono un campo visuale di alberi, di orizzonte e di cielo che il bosco invece di solito ci occlude.

L’odore del pianoro

L’odore costituisce un elemento invisibile del paesaggio ma anche essenziale nella caratterizzazione dei luoghi.

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Fig. 2. Il pianoro in estate Fig. 3. Il pianoro in autunno.

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Gli odori del pianoro sono maggiormente percepiti in due pe-riodi dell’anno: in primavera, con l’esplosione dei cosiddetti fiori di campo e di quelli delle siepi che danno una sensazione di deli-cata freschezza; in estate nel momento della fienagione. L’odore del fieno si divide in due momenti: odore di erba appena tagliata, il primo, che si sprigiona immediatamente dopo la falciatura; un odore più elaborato e complesso, il secondo, dato dall’essiccazione di alcune piante presenti nel fieno che conten-gono delle molecole odorose di cumarina come il Paleo odoroso (Anthoxanthun odoratum), la più fragrante tra gli elementi del fieno, l’Alisso, i Meliloti (altissima e officinalis) e il trifoglio (Trifolium incarnatum).

IL BOSCO

Quando ci s’inoltra in un bosco, a seconda della stagione, la vegetazione, più o meno fitta, ci può nascondere (o rivelare) par-ticolari diversi di uno stesso paesaggio.

I fattori che determinano le differenze stagionali sono gli stessi già descritti per il pianoro. Nel bosco predomina la variazione cromatica della vegetazione associata a un’altra variabile che è la “quantità dello spazio visibile”; il paesaggio inoltre viene modifi-cato dal fattore spaziale, tanto che l’effetto emozionale che ci vie-ne trasmesso cambia nettamente (a differenza del pianoro) a se-conda se noi lo percorriamo in estate o in inverno.

Il bosco in inverno

In inverno la visione nel bosco si “allunga” fino a farci vedere chiaramente la strada davanti a noi. Il paesaggio presenta essen-zialmente due colori, quello marrone-grigio della vegetazione

spoglia e quello chiaro del cielo: colori perfettamente distinti tra loro, a differenza del paesaggio di pianoro.

La sensazione è di quiete, dovuta al colore “caldo” e uniforme della vegetazione e alla possibilità di controllo che possiede il no-stro sguardo oltre la barriera “trasparente” degli alberi (Fig. 4).

Fig.4- Il bosco in inverno.

Il bosco in primavera e in estate

In primavera inoltrata e soprattutto in estate, il bosco riacquista la sua caratteristica di “barriera visiva”. Predomina il colore verde con una tonalità intensa che, a contrasto con la temperatura “e-sterna”, ci trasmette una sensazione di refrigerio.

Ciò che cambia notevolmente è la quantità di spazio visibile, certamente limitata, che produce delle reazioni emozionali diver-se secondo i soggetti che vi camminano all’interno. Lo sguardo è

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limitato in ogni parte dalla vegetazione6, situazione questa che de-sterà una sensazione di curiosità in alcuni soggetti, spronandoli alla ricerca di novità nel paesaggio; per altri un bosco in estate può divenire quanto di più misterioso e abissale possa esistere e la sensazione di curiosità potrebbe trasformarsi in sospetto e timore7 (Fig. 5).

Fig.5- Il bosco in estate.

6 “Nell’ enclosure l’occhio reagisce al fatto di essere circondato da ogni parte. La reazione è statica: una volta entrati in un’enclosure, la scena rimane la stes-sa finché si resta all’interno o si cammina verso l’esterno, dove una nuova sce-na si rivela all’improvviso.” Cullen G., Il paesaggio…, op. cit. 7 “Nero, immobile e silenzioso come un grande animale, dotato di infinita pa-zienza, l’abisso osserva indifferente la gente camminare avanti e indietro nella luce del sole. Questo è l’ignoto creato dal buio più profondo.” Ibidem.

Il bosco in autunno

In autunno la passeggiata nel bosco è ricca di emozioni: la ve-getazione si mostra attraverso una miriade di colori di tonalità calda (il giallo acceso degli aceri e dei carpini, il ruggine delle querce, il rosso e il viola delle bacche). È l’unica stagione in cui la temperatura “esterna” è perfettamente uguale alla nostra tempe-ratura “interna”. Il contrasto è quello proprio dei colori caldi: “… il rosso arancio o rosso di Saturnio è il colore più caldo… Il giallo, giallo-arancio, arancio, rosso-arancio, rosso e rosso-viola si definiscono comunemente caldi…” 8 e, d’altra parte, il clima dei nostri autunni è comunemente mite. Lo sguardo, in questa situa-zione emozionale di perfetto equilibrio è dinamico, a differenza dell’estate, e pronto a cogliere il paesaggio nei suoi particolari più nascosti (Fig. 6).

Fig.6- Il bosco in autunno.

8 Itten J., Arte del colore, op. cit.

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L’odore del bosco

Il bosco si contraddistingue anche per il caratteristico odore dove gli aromi dei singoli elementi si compongono in un’armonia capace di intense sensazioni. Ciò avviene soprattutto nel periodo autunnale e primaverile in quanto d’inverno, con il freddo, e nelle estati asciutte gli odori diminuiscono d’intensità.

L’elemento che produce i profumi è il sottobosco di caducifo-glie quando l’humus si compone di foglie morte, di funghi, di le-gno e di muschio.

In primavera invece è dominante l’odore dei fiori di ligustro.

LA TAGLIATA

La tagliata, ai fini di una sua descrizione attraverso le stagioni, si può assimilare a un sentiero nel bosco percorso durante la sta-gione estiva. La ricca presenza di specie della macchia mediterra-nea ai bordi delle tagliate, come lecci, eriche, corbezzoli e gine-stre9, rende la vegetazione in gran parte sempreverde. Ci trovia-mo, anche per la quantità di spazio visibile, nella stessa situazione di un bosco d’estate dove, però, ad avvolgere lo sguardo non è so-lo la vegetazione, ma anche le pareti della tagliata forate dai var-chi delle tombe che producono sensazioni di abisso e mistero.

Ciò che varia notevolmente nel corso delle stagioni è l’effetto che la luce dà al percorso: in autunno e in inverno questo è nitido e chiaro e permette, data la scarsa presenza di ombra, una visione più approfondita delle preesistenze archeologiche; in estate l’ombreggiatura rende la visione più confusa e distratta, situazio-ne questa che distoglie l’attenzione.

Lungo la tagliata le stagioni influiscono sui giochi chiaroscura-li producendo i diversi livelli di interesse dei vari elementi: in au-tunno e in inverno le preesistenze archeologiche appaiono in pri-mo piano; in estate vi appare invece la vegetazione (Figg. 7-9).

L’odore della tagliata

Caratteristica della tagliata tufacea è di avere le pareti esposte al sole dove, come per la rupe, vengono a svilupparsi le piante mediterranee. Tra queste alcune hanno un forte elemento aromati-co che si sprigiona nel momento in cui vengono calpestate o stro-picciate. L’“aromaticità” della tagliata è data dal timo, dall’origano, dalla mentuccia e dal potente odore di liquirizia del selfino selvatico (Helichrysum stoechas). 9 Cfr. cap. IV.

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LA VIA AMERINA E LA NEVE

La neve non è un fenomeno consueto del territorio dell’Amerina, tuttavia, a causa della sua estraneità, è quello che produce maggiori sorprese. Le immagini qui riprodotte (Fig.10-11) sono state riprese nell’inverno del 1996, dopo un’eccezionale nevicata. Si è preferito inserirle senza alcun commento.

Un paesaggio può offrirci delle sorprese impensabili e trasfor-

mare uno stato attenzionale di quiete in uno di aperta tensione: “qualche volta una scossa straordinaria è in grado di strapparci da uno stato di morte a un sentire vivo… L’occhio aperto e l’orecchio vigile trasformano le più piccole scosse in grandi e-sperienze” 10.

10 Kandinsky W., Punto Linea Superficie. Milano: Adelphi, 1991.

Fig. 7. La tagliata in inverno. Fig. 8. La tagliata in estate. Fig. 9. La tagliata in autunno.

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Fig. 10. Il pianoro e la neve.

Fig. 11. Il bosco e la neve.