Gusto, olfatto e vista

19
Lezione 8 Il GUSTO e l’OLFATTO Sono i 2 sensi chimici: si conoscono poche caratteristiche di entrambi e rivestono un ruolo marginale per quello che riguarda la fisiologia sensoriale umana, in quanto il non possedere né gusto né olfatto non pregiudica la sopravvivenza dell’individuo. Il senso del GUSTO Il senso del gusto è mediato da un’unità fondamentale, che trasduce gli stimoli gustativi, che è il bottone gustativo. Il bottone gustativo è ospitato in 3 tipi di strutture, chiamate papille gustative. Quindi esistono 3 diversi tipi di papille gustative: circumvallata, fogliata e fungiforme, che sono distribuite in vario modo sia sulla superficie della lingua, sia nel palato, nel faringe e nel primo terzo dell’esofago; ma nonostante la differenza anatomica e strutturale, di fatto l’unità fondamentale dove sono ospitate le cellule deputate alla trasduzione del gusto è sempre la stessa ed è il bottone gustativo. Quindi la differenza tra i 3 tipi di papille è una differenza solo dal punto di vista morfologico, perché di fatto la funzione sensoriale è svolta da un unico tipo di struttura. I bottoni gustativi sono disposti in maniera diversa a seconda del tipo di papilla: la caratteristica fondamentale di tutte è che il bottone gustativo è aperto verso l’esterno, quindi è in comunicazione con il velo di saliva che bagna tutta la cavità orale e quindi permette alle varie sostanze, che devono essere recepite, di arrivare fino alle cellule che si occupano della trasduzione.

Transcript of Gusto, olfatto e vista

Page 1: Gusto, olfatto e vista

Lezione 8

Il GUSTO e l’OLFATTO

Sono i 2 sensi chimici: si conoscono poche caratteristiche di entrambi e rivestono un ruolo marginale per quello che riguarda la fisiologia sensoriale umana, in quanto il non possedere né gusto né olfatto non pregiudica la sopravvivenza dell’individuo.

Il senso del GUSTO

Il senso del gusto è mediato da un’unità fondamentale, che trasduce gli stimoli gustativi, che è il bottone gustativo. Il bottone gustativo è ospitato in 3 tipi di strutture, chiamate papille gustative. Quindi esistono 3 diversi tipi di papille gustative: circumvallata, fogliata e fungiforme, che sono distribuite in vario modo sia sulla superficie della lingua, sia nel palato, nel faringe e nel primo terzo dell’esofago; ma nonostante la differenza anatomica e strutturale, di fatto l’unità fondamentale dove sono ospitate le cellule deputate alla trasduzione del gusto è sempre la stessa ed è il bottone gustativo. Quindi la differenza tra i 3 tipi di papille è una differenza solo dal punto di vista morfologico, perché di fatto la funzione sensoriale è svolta da un unico tipo di struttura. I bottoni gustativi sono disposti in maniera diversa a seconda del tipo di papilla: la caratteristica fondamentale di tutte è che il bottone gustativo è aperto verso l’esterno, quindi è in comunicazione con il velo di saliva che bagna tutta la cavità orale e quindi permette alle varie sostanze, che devono essere recepite, di arrivare fino alle cellule che si occupano della trasduzione.

Noi possiamo riconoscere diverse centinaia di sapori diversi che sono tutti riconducibili a 4 sapori base, quindi sono 4 classi di composti che danno origine a 4 sapori base, che sono: acido, salato, dolce e amaro. Perciò tutti i sapori percepiti di fatto nascono dalla combinazione, in varia proporzione, di questi 4 sapori fondamentali.

ACIDOPer quanto riguarda il sapore acido, questo è fornito direttamente dalla concentrazione dei protoni nel cibo e nei liquidi ingeriti. Quindi l’intensità del sapore acido che viene percepita è direttamente proporzionale al Log della concentrazione dei protoni (Log [H+]), quindi al pH. Il pH è l’antilogaritmo della concentrazione dei protoni, quindi

Page 2: Gusto, olfatto e vista

l’intensità della sensazione di acido è, in qualche modo, direttamente proporzionale al pH di ciò che in quel momento viene a contatto con i bottoni gustativi.

SALATOIl sapore salato è prodotto da sali in forma ionica, che devono essere dissociati, perché i sali associati non danno origine a nessun tipo di sapore salato. Una caratteristica particolare del sapore salato è che i cationi e gli anioni (cioè gli ioni positivi e gli ioni negativi) danno origine, pur essendo entrambi dei sali in forma ionizzata, a 2 gusti diversi. Quindi è vero che il gusto di salato è dovuto ai sali in soluzione in forma ionizzata, però di fatto il gusto percepito è diverso a seconda che si tratti di ioni positivi (cationi) o ioni negativi (anioni).

DOLCEIl sapore dolce deriva da zuccheri, glicoli, alcoli, aldeidi, chetoni, amidi, esteri e alcuni metalli pesanti tra cui il piombo (Pb). Il piombo è capace e dà origine alla sensazione di dolce: non è l'unico metallo pesante in grado di dare la sensazione di dolce ma è quello che più marcatamente ha un connotato dolce.

AMAROIl sapore amaro è dovuto quasi esclusivamente a composti organici. Quindi mentre l'acido e il salato sono dovuti a composti inorganici, il dolce è dovuto a composti organici ma anche a metalli pesanti, l'amaro è dovuto a composti organici: in particolare quelli ricchi di azoto, oppure gli alcaloidi. Perché questa differenza? Il sapore amaro, tra i 4 tipi di sapori fondamentali, è quello più spiacevole e c'è una correlazione tra questo e il fatto che sia dovuto ai composti organici, perché potenzialmente i composti più pericolosi per l'individuo (es. neuro-tossine) sono tutti composti organici; quindi il sapore amaro è una sensazione spiacevole, proprio per avvertire che il composto organico in questione è potenzialmente tossico per l'organismo e quindi, se possibile, non va ingerito. Questo è il motivo per cui solamente i composti organici che appartengono ad alcune categorie (es. chinino, nicotina, caffeina -in elevate quantità-). Quindi il sapore amaro è una caratteristica di protezione dell'organismo nei confronti di composti potenzialmente molto dannosi. E' per questo motivo che alcuni composti organici danno origine alla sensazione di amaro.

Da questo deriva anche che la concentrazione soglia oltre alla quale si avverte uno dei sapori è diversa a seconda del tipo di composto:- acido: pH 3- salato: 0.01 M NaCl- dolce: 0.01 M saccarosio - amaro: 8 10-5 moli/l chinino (sostanza molto amara)

Per avere una netta sensazione di ACIDO il pH deve scendere a 3, quindi si inizia a sentire il sapore di acido quando il pH della soluzione che viene a contatto con i bottoni gustativi scende attorno al valore di 3.Per quanto riguarda il SALATO la soglia è più elevata, sono 10 millimoli/l di NaCl.Il DOLCE più o meno ha la stessa soglia del salato.L’AMARO invece è quello che ha la soglia più bassa di tutte: bastano 8 10-5 moli/l di chinino per dare origine alla sensazione di amaro. Questo ha senso se ricordiamo quello che abbiamo appena detto: siccome l’amaro è dovuto a composti organici potenzialmente dannosi, la soglia per avvertire l’amaro è molto bassa, in modo tale che non appena vengano presentate delle piccolissime concentrazioni di questi composti potenzialmente tossici, ecco che il sapore amaro è riscontrabile e avverte che potenzialmente c’è qualcosa di pericoloso (es. le neuro-tossine agiscono a concentrazioni molto basse sui canali ionici).

Page 3: Gusto, olfatto e vista

Oltre a questi 4 gusti recentemente se ne è aggiunto un quinto: l’UMAMI (dal nome giapponese di un tipo di pietanza) ed è dovuto al glutammato monosodico. Questo (anche neuro-trasmettitore del SNC e amminoacido) produce un sapore caratteristico dovuto alla presenza di un particolare tipo di recettore metabotropico per il glutammato presente in alcune cellule dei bottoni gustativi. In più, oltre al suo sapore caratteristico, il glutammato monosodico esalta il sapore delle altre 4 classi.

Il bottone gustativo

Le papille gustative sono morfologicamente diverse, ma tutte ospitano l’unità fondamentale e funzionale per la trasduzione dei gusti che è il bottone gustativo. Questo, a seconda del tipo di papilla, è posto in diverse regioni: ma la caratteristica comune è che possiede un punto in cui è aperto verso l’esterno, perché le sostanze chimiche devono poter arrivare alle cellule che lo compongono.Di quali cellule è composto? Innanzitutto è composto da una serie di cellule epiteliali modificate, che posseggono un patrimonio di canali ionici (canali Na e voltaggio dipendenti e Ca voltaggio dipendenti) che di fatto fanno sì che queste cellule epiteliali possano essere in grado di dare origine a dei potenziali d’azione. Non sono cellule nervose! Ma cellule epiteliali modificate, polarizzate, che da una parte ospitano delle strutture che devono trasdurre la sostanza che arriva a contatto in questa regione e dall’altra possiedono delle vescicole piene di neuro-trasmettitore che viene rilasciato perché queste cellule, in seguito alla trasduzione dello stimolo gustativo, danno origine ad un potenziale d’azione.

Ci sono 4 tipi diversi di cellule all’interno del bottone gustativo. La teoria più accreditata è che questi 4 tipi di cellule in realtà siano lo stesso tipo cellulare a diversi stadi di maturazione. Questo perché la vita media di queste cellule è breve e quindi devono essere rimpiazzate di continuo. Quindi tutte le cellule ospitate nel bottone gustativo sarebbero lo stesso tipo cellulare, maturo, però visto in diversi punti

del suo sviluppo da cellula non differenziata a cellula epiteliale differenziata. Queste cellule sono polarizzate, perché all’apice, che sbocca direttamente all’esterno, possiedono delle ciglia, nella regione chiamata poro gustativo, e sulle ciglia sono presenti le strutture proteiche che sono in grado di trasdurre i vari sapori. Mentre al polo opposto abbiamo tutto uno scenario proteico che è necessario per il rilascio del neuro-trasmettitore. Queste cellule prendono poi contatto sinaptico con il nervo gustativo afferente che poi porterà ai centri superiori.Hanno una vita di circa 10 giorni, perciò sono rinnovate molto di frequente.Non sono solamente sulla lingua ma le troviamo anche sul palato, sui pilastri tonsillari, sull’epiglottide, fino al primo tratto dell’esofago.Nonostante il diverso numero di cellule che compongono il bottone gustativo, ciascuno di essi risponde principalmente ad un solo tipo di stimolo; quindi tutte le cellule che lo compongono rispondono solamente ad uno degli stimoli gustativi che danno origine alle sensazioni primarie. Altra proprietà di queste cellule è che si adattano alla presenza continua del sapore e hanno un adattamento abbastanza rapido, circa 2 sec. Quindi se la stessa sostanza viene mantenuta a contatto delle cellule per un tempo prolungato, il recettore si adatta e non trasduce più la presenza del composto. Questo adattamento sensoriale iniziale non è totale, c’è anche un adattamento centrale, una sorta di feedback negativo da parte dei centri superiori, che “spegne” l’informazione

Page 4: Gusto, olfatto e vista

se questa continua ad essere costante. Quindi la trasduzione è molto efficace non appena vengono presentati degli stimoli gustativi nuovi, però poi si adatta al perdurare dello stesso stimolo, in modo tale da informare immediatamente l’organismo della composizione della sostanza ingerita, però poi il recettore si adatta e se poi viene presentata una nuova sostanza allora ritrasmette l’informazione, altrimenti No.

La trasduzione degli stimoli

SALATO: è il più semplice e più immediato. Il salato è dovuto alla presenza di sali in forma ionizzata, in particolar modo il NaCl. La trasduzione è dovuta al fatto che sulla membrana delle ciglia delle cellule che compongono il bottone gustativo, esistono dei canali ionici che lasciano passare il Na e che rimangono aperti. Sono dei canali link selettivi per il Na. Se noi ingeriamo qualcosa di salato, la concentrazione esterna del Na, localmente, aumenta; per un gradiente elettrochimico entrerà una quantità maggiore di Na nella cellula. Questo porta ad una corrente entrante maggiore che depolarizza la cellula e quindi dà origine ad un potenziale d’azione che poi trasmette l’informazione.

ACIDO/ASPRO: la sua trasduzione potrebbe avvenire tramite lo stesso canale di prima, che lascia passare il Na ma anche i protoni. La sensazione di acido si ha quando il pH è intorno a 3, quindi quando la concentrazione di protoni all’esterno aumenta considerevolmente rispetto al normale; anche qui il protone ha una carica positiva, la cellula ha un potenziale di membrana di riposo negativo, un aumento della concentrazione di protoni all’esterno fa sì che i protoni siano più invogliati ad entrare in cellula. Siccome il protone porta con sé una carica positiva anche questo si traduce in un aumento della corrente ionica entrante e quindi in una depolarizzazione della cellula. Questo potrebbe avvenire o sullo stesso canale attraverso cui entra il Na (questo è evidente perché se si dà una sostanza acida e, senza cambiare pH, si dà una sostanza acida, di fatto non si percepisce il gusto di salato; questo perché il canale è saturato di protoni e non lascia entrare il Na), oppure attraverso un altro canale specifico per i protoni, che aumentano la corrente entrante e depolarizzano la cellula.

AMARO: è trasdotto sicuramente attraverso almeno 2 meccanismi diversi. Perché sicuramente vengono percepite come amare sostanze che possono attraversare la membrana cellulare (lipofiliche) e sostanze che non possono attraversarla (di origine

Page 5: Gusto, olfatto e vista

proteica). Per le sostanze lipofiliche il gusto dell’amaro sarebbe dovuto ad un blocco che la sostanza amara opera nei confronti dei canali K: normalmente, a riposo il K esce dalla cellula, se noi blocchiamo i canali K, questo si accumula all’interno della cellula (il potenziale di membrana diventa più positivo), di nuovo stiamo depolarizzando la cellula e portandola a soglia. Un secondo meccanismo, che giustifica la bassa soglia dell’amaro, prevede l’esistenza di un recettore di membrana, che appartiene alla famiglia delle 7 eliche (=i recettori che hanno 7 eliche transmembrana), accoppiato ad una G proteina. Perché questo meccanismo giustifica la bassa soglia? Perché un meccanismo di questo tipo amplifica il segnale, quindi bastano poche molecole di composto che attivano pochi recettori per avere un’enorme amplificazione all’interno della cellula del segnale ricevuto. Accoppiata a questo recettore, alle eliche transmembrana e alle proteine G ci sono 2 diversi effettori: una è la fosfodiesterasi (PDE), che linearizza sia l’AMPc sia il GMPc (a seconda del tipo di cellula), e l’altra è la fosfolipasi C, che induce un aumento della concentrazione interna di Ca. Entrambi questi meccanismi vanno a far chiudere dei canali K, abbiamo quindi di nuovo un accumulo di K all’interno della cellula e una depolarizzazione della membrana.

DOLCE: mediato pare esclusivamente da un sistema a secondo messaggero, in cui abbiamo ancora un recettore a 7 domini transmembrana accoppiato ad una proteina G e all’adenilatociclasi, quindi produce come secondo messaggero l’AMPc. Questo va ad aprire dei canali ionici selettivi cationici specifici, fa depolarizzare il potenziale di membrana e di nuovo abbiamo l’eccitazione della cellula che fa parte del bottone gustativo.

Ricapitolando: la trasduzione per il salato e l’aspro è di tipo ionotropico, cioè attraverso canali ionici che direttamente trasducono il segnale. Mentre quello per l’amaro e il dolce è di tipo metabotropico, a secondo messaggero.

Vie gustative centrali

Le vie afferenti sono a carico di 3 nervi cranici:- i 2/3 anteriori della lingua sono innervati da una parte del VII nervo cranico- il 1/3 posteriore della lingua e l’esofago dal IX nervo cranico (ramo sensoriale)- il retrofaringe e il primo terzo dell’esofago dal X nervo cranico

Indipendentemente dal nervo che fa afferire le informazioni, tutti e 3 i nervi proiettano ad un’unica regione che è il nucleo del tratto solitario, da qui la via si porta al nucleo ventrale posteriore mediale del talamo e poi alla corteccia gustativa primaria dove vengono decifrate le informazioni gustative.Un particolare: l’area corticale che si occupa di ricevere le afferenze gustative è posta subito rostralmente all’area corticale che si occupa delle sensazioni tattili della lingua. Andando a testare i singoli bottoni sinaptici di lingua, faringe, palato ed esofago, tutti quanti rispondono in tutte le zone a tutti e 4 i tipi di sapori. Quindi questa segregazione del salato sulla punta, del dolce di lato, dell’amaro in fondo, non deriva dalle proprietà dei bottoni gustativi. Questa segregazione pare derivi dalla vicinanza della mappa gustativa della lingua e la mappa somatotopica della lingua: sarebbe a questo livello nella mappa gustativa della lingua che i neuroni che ricevono afferenze dai bottoni gustativi che trasducono il gusto dell’amaro sono localizzati tutti in una stessa zona corticale che è prossima alla regione somestetica (? 28.14) che mappa nel fondo della lingua.

Il senso dell’OLFATTO

L’organo dell’olfatto è situato nelle cavità nasali posteriori e nell’uomo ormai è ridotto ad una zona di circa 5 cm2 (negli animali occupa una zona molto più grande!).

Page 6: Gusto, olfatto e vista

Le cellule deputate alla trasduzione degli odoranti si trovano al di sotto della placca cribrosa dell’etmoide. Queste cellule sono dei neuroni veri e propri che hanno un dendrite che si affaccia sul tetto della fossa nasale e ognuno dà origine a circa 6 ciglia (200 m), che escono dal pavimento di muco che ricopre la cavità nasale. L’assone di questi neuroni entra nei fori della placca cribrosa dell’etmoide e prende contatto sinaptico con i glomeruli olfattivi a livello dei 2 bulbi olfattivi, che sono 2 espansioni dirette dell‘encefalo. Le ciglia sono ricoperte da uno strato di muco, funzionale alla trasduzione degli odoranti, perché questo muco lega le sostanze odoranti e le trasporta fino alle ciglia.

La Trasduzione

La trasduzione degli odoranti risiede nelle ciglia e fa unicamente capo a sistemi a secondo messaggero. Questo perchè in genere la concentrazione degli odoranti è bassa: l’odorante deve arrivare indenne fino alla cavità nasale, sciogliersi nel muco, complessarsi con delle proteine di trasporto ed essere trasportato alle ciglia. Quindi la concentrazione di odorante che riesce a raggiungere le ciglia è molto scarsa; da qui la necessità di avere un sistema di trasduzione del segnale che amplifichi il segnale.

Sulle ciglia di queste cellule esistono una serie di recettori a 7 domini transmembrana, che sono le proteine che devono legare l’odorante e quindi trasdurre la sua presenza.A differenza del gusto, le migliaia di odori che esistono non sono stati

riportati a delle categorie fondamentali. Quello che invece si è notato è che la variabilità della regione extracellulare, che è quella che prende contatto con gli odoranti, è superiore alla variabilità del locus genico che codifica per la regione variabile delle Ig.Come vengono trasmessi gli odori? L’ipotesi più accreditata per la trasduzione degli odori è che non venga trasdotto il singolo odorante, ma delle molecola che viene legata vengono riconosciute delle caratteristiche strutturali, un po’ come l’anticorpo fa nei confronti dell’antigene. Quindi ciascun odore è trasdotto e riconosciuto in base alla sua struttura: ciascun recettore individuerà un particolare diverso dell’odorante. Mettendo insieme tutte queste informazioni si ha l’informazione finale di quale è l’odorante e quindi la sensazione soggettiva dell’odore stesso.Allora, le cellule di senso primario trasducono il segnale, con i sistemi a secondo messaggero, e inviano le informazioni a livello dei 2 bulbi olfattivi, in regioni particolari chiamate glomeruli.

Page 7: Gusto, olfatto e vista

Vediamo, nell’ingrandimento del glomerulo, da un lato l’assone della cellula di senso primaria, che ha trasdotto lo stimolo e il cui dendrite si trova nel muco della cavità nasale. Dall’altro, ci sono i dendriti di 2 tipi di cellule diverse, che sono le cellule mitrali e le cellule a pennacchio; inoltre ci sono contatti sinaptici con la cellula periglomerulare ed esternamente ai glomeruli abbiamo le cellule dei granuli (in totale sono 5 tipi di cellule che compongono queste unità del bulbo olfattivo: mitrali, a pennacchio, cellula nervosa primaria, periglomerulari e dei granuli).Ogni cellula di senso primaria proietta ad un solo glomerulo e in questo prende contatto sia con le cellule mitrali sia con le cellule a pennacchio: l’assone di queste 3 cellule costituisce poi il nervo afferente che porta l’informazione ai centri superiori. Le cellule periglomerulari invece sono degli interneuroni inibitori, il cui significato non è del tutto chiaro, ma di fatto sono implicati nel riconoscimento degli odoranti. In più abbiamo le cellule dei granuli, che prendono contatto sia con le cellule mitrali sia con quelle a pennacchio,

sono una via efferente di feedback da parte della corteccia verso il bulbo olfattivo. Sono cellule a carattere inibitorio e la loro presenza starebbe ad indicare un controllo da parte dei centri superiori di quella che deve essere l’informazione che poi deve pervenire loro: una sorta di feedback negativo. Infatti si sa che ci si adatta velocemente alla presenza di un odore, dopo un po’ non lo si percepisce più, ma basta, ad esempio, uscire e rientrare dalla stanza che lo si risente, quindi c’è un adattamento sensoriale abbastanza pronunciato. L’adattamento non è tutto a carico della cellula di senso primaria che trasduce l’odorante, circa il 50% di questo adattamento arriva attraverso le cellule dei granuli. Quindi è un feedback negativo che proviene dalla corteccia che inibisce l’attività delle cellule mitrali e a pennacchio, che sono quelle che portano l’informazione alla corteccia; perciò fintanto che la presenza dell’odorante rimane costante, non c’è bisogno di essere informati della sua presenza, ma di quando la situazione cambia. Allora attraverso le cellule dei granuli arriverebbe un’inibizione ai bulbi olfattivi, tale per cui, anche se continua il rilascio di neuro-trasmettitore, questa inibizione impedisce che i potenziali d’azione partano per queste 2 vie e arrivino ai centri superiori.

Le vie olfattive

Page 8: Gusto, olfatto e vista

Sono importanti perché il loro arrangiamento e la loro costruzione rispecchia, 1) la filogenesi dei sensi chimici, come l’olfatto; 2) l’esperienza comune che tra tutte le modalità sensoriali l’odore è quello che evoca le risposte emozionali e viscerali più intense. Questo è dovuto al fatto che le vie olfattive hanno delle connessioni particolari ed uniche rispetto alle altre modalità sensoriali.Eccezione delle vie olfattive è che NON passano dal talamo e vanno direttamente in regioni dell’encefalo ben precise.L’olfatto, come senso chimico, è stato il primo senso ad essere filogeneticamente sviluppato (a partire da animali unicellulari) quindi ha connessioni con le strutture più antiche dell’encefalo. Nell’uomo esistono 2 vie di comunicazione tra il bulbo olfattivo e l’encefalo: sono il tratto mediale e il tratto laterale della via olfattiva.Il TRATTO MEDIALE è quello filogeneticamente più antico e proietta verso le aree filogeneticamente più antiche dell’encefalo, che sono le aree deputate al controllo delle risposte viscerali, che servono a mantenere l‘omeostasi dell‘organismo.Il TRATTO LATERALE invece è quello più evoluto ed è associato alle aree corticali più evolute. Le informazioni che scorrono nel tratto laterale mediano a risposte comportamentali degli odoranti, quindi qualcosa che è successivo al mantenimento dell’omeostasi. Queste risposte comportamentali, di relazione implicano parti del cervello più evolute con livelli di astrazione più alti e che mediano le risposte relazionali tra l’individuo e quello che lo circonda.Esiste poi un TRATTO RECENTE che non inizia nel bulbo olfattivo, ma parte dal talamo (a cui arrivano alcune delle vie) ed è un tratto talamo-corticale: dal talamo va verso la corteccia orbito-frontale. Questa sarebbe la via attraverso cui noi abbiamo la sensazione cosciente degli odori. Le altre 2 non danno direttamente coscienza degli odori, mentre questo dà anche l’aspetto cosciente della presenza degli odori.

Quali sono queste connessioni che le vie olfattive hanno con le regioni meno evolute dell’encefalo? Sono quelle con la corteccia piriforme, l’amigdala e la corteccia entorinale, in particolar modo con le ultime due. L’amigdala presiede a tutta la parte emozionale dell’analisi dell’informazione dell’encefalo, presiede alle risposte di carattere emozionale. Mentre la corteccia entorinale è la via d’ingresso all’ippocampo che ha a che fare con l’apprendimento e con la memoria. Sono entrambe evolutivamente molto antiche, che controllano i comportamenti di base dell‘individuo. In più l’amigdala proietta a sua volta verso l’ipotalamo, che controlla le omeostasi del corpo. La corteccia piriforme è una regione

Page 9: Gusto, olfatto e vista

evolutivamente antica e media gli aspetti viscerali. Il tubercolo olfattivo è una struttura interposta tra il bulbo olfattivo e la corteccia vera e propria ed ha un’origine molto antica. Queste (corteccia piriforme, tubercolo e amigdala) poi proiettano al talamo e alla corteccia orbito-frontale e questa via è proprio il tratto recente. Quindi la via olfattiva, il bulbo olfattivo, è l’unica modalità sensoriale tra tutte che proietta direttamente a strutture come l’amigdala e la corteccia entorinale, che di solito non sono collegate direttamente al “nucleo periferico” che produce la sensazione, ma lo sono sempre attraverso il talamo. Per quanto riguarda la via olfattiva il tratto mediale proietta direttamente all’amigdala e alla corteccia entorinale, che sono 2 regioni sottocorticali che in genere non ricevono questo tipo di innervazione. La spiegazione del fatto che l’olfatto è la modalità sensoriale più evocativa dei ricordi sta nel fatto che l’informazione non è filtrata dal talamo, ma arriva direttamente all’amigdala e all’ippocampo, che presiedono il controllo delle emozioni e della memoria (ippocampo).

La VISTA

La vista è un senso molto complesso, gli aspetti più fini della trasduzione degli stimoli luminosi e quindi della costruzione dell’immagine visiva non sono del tutto chiari.Per capire come funziona la vista, dobbiamo fare un passo indietro alla fisica con due nozioni di ottica: la legge della rifrazione, che è la legge su cui si basa la funzione del cristallino. Questa legge dice che: se un raggio di luce passa da un ambiente con un certo indice di rifrazione ad un altro con un indice di rifrazione diverso, non continua in linea retta ma viene deviato. L’entità di questa deviazione è data dalla legge di Snell:

n1/n2 = sinθ2/sinθ1 Dove n1 e n2 sono i due indici di rifrazione e θ1 e θ2 sono gli angoli di incidenza e di uscita del raggio luminoso rispetto alla normale (l’interfaccia tra i 2 ambienti). Attenzione che numeratore e denominatore sono invertiti!Quindi se un ambiente è vuoto con n=1 e l’altro è acqua con n=1.33, θ1 e θ2 non saranno uguali, ma diversi. Questo è il principio su cui si basa la rifrazione ed il funzionamento delle lenti, anche

del cristallino. Perché avviene questo fenomeno? Perché passando dall’aria, che ha un indice di rifrazione praticamente uguale a 1, ai liquidi che compongono le strutture dell’occhio che sono assimilabili all’acqua, che hanno un indice di rifrazione pari a 1.33, il raggio luminoso si piega e si porta più vicino alla normale del piano? Ce lo spiega questo grafico:

v = c / n

La velocità di propagazione di un’onda elettromagnetica, e quindi della luce, è uguale alla velocità della luce nel vuoto (c), diviso l’indice di rifrazione del mezzo. Siccome l’indice di rifrazione del mezzo nel caso dell’interfaccia, ad esempio, tra l’aria e il liquido, che può

essere l’acqua, è superiore a 1, la velocità dell’onda in un qualsiasi mezzo che non sia l’aria è più lenta di quello che è nell’aria, perché n invece di essere 1 è “1,qualcosa“. Quindi la luce rallenta quando attraversa una sostanza che ha un indice di rifrazione maggiore di quello dell’aria.Allora come mai il fatto che rallenti ci può spiegare perché si piega il raggio luminoso?

Page 10: Gusto, olfatto e vista

Perché il raggio luminoso che va a colpire una superficie con un certo angolo, θ, le onde che formano questo raggio luminoso rappresentano determinati fronti, allineati, che si muovono tutti insieme con una certa velocità che è v. Non appena la parte del fronte tocca la superficie con angolo di rifrazione più alto, rallenta. Però tutto il resto dello stesso fronte non ha ancora toccato la superficie e va ancora alla velocità di prima, succede quindi che i fronti si piegano. Ecco spiegato perché tutto il raggio luminoso alla fine entra con un angolo rispetto alla normale che è più piccolo rispetto a quello di incidenza.Un altro fenomeno che ci serve per capire altri aspetti della fisiologia della retina è legato a questa formula:

n (λ)

L’indice di rifrazione dipende dalla lunghezza d’onda della luce incidente. Ad esempio non è formalmente corretto dire che l’indice di rifrazione dell’acqua è 1.33, perché bisognerebbe specificare a quale lunghezza d’onda si fa riferimento. 1.33 è un indice di rifrazione medio per la luce bianca (che è la somma di tutte le varie componenti). Di fatto l’indice di rifrazione dell’acqua e di ogni mezzo è diverso a seconda della lunghezza d’onda della radiazione che stiamo considerando. L’effetto più evidente di questo è la formazione dell’arcobaleno da parte ad esempio di un prisma: questo perché l’indice di rifrazione aumenta man mano che diminuisce la lunghezza d’onda, quindi i raggi rossi (le lunghezze d’onda lunghe, 600/700 nM) avranno un indice di rifrazione apparente inferiore a quello della luce blu (che ha una lunghezza d’onda intorno ai 350/360 nM). Questo significa che il seno di θ2 sarà diverso per ciascuna lunghezza d’onda, ecco perché la luce bianca viene scomposta. I raggi rossi saranno quelli riflessi di meno, perché il loro indice di rifrazione sarà inferiore rispetto a quelli blu, che saranno quelli rifratti di più. Quindi maggiore è l’indice di rifrazione, minore è l’angolo θ2.

Come funziona l’occhio? L’occhio è formato da diverse strutture poste in serie che la luce deve attraversare prima di arrivare sulla retina, che ospita i fotorecettori che trasducono il segnale luminoso. Ognuna di queste superfici ha un indice di rifrazione diverso, quindi ogni volta che la luce passa da uno all’altro subisce una rifrazione come abbiamo appena visto. Per semplificare la cosa si riducono queste 6 lenti in un’unica lente e si costruisce il così detto “occhio ridotto”, unica lente che racchiude in sé tutte le caratteristiche di queste 6 interfacce e costituisce la base per capire la messa a fuoco dei raggi di luce all’interno dell’occhio. L’occhio ridotto è quindi formato da una lente biconvessa con un certo raggio di curvatura e da una distanza focale di 17 mm tra il centro della lente biconvessa e un punto chiamato fuoco principale. La lente biconvessa ha la proprietà di far convergere tutti i raggi di luce che l’attraversano in un punto chiamato fuoco: questo deriva dal fatto che le sue 2 superfici sono 2 segmenti di circonferenza, con un certo raggio uguale per entrambi, e da

quello che abbiamo visto prima essere la proprietà dei raggi di luce che attraversano le strutture con indici di rifrazione diversi. La situazione è diversa a seconda che i raggi

Page 11: Gusto, olfatto e vista

che arrivano sulla lente biconvessa siano paralleli oppure No.

Esempio 1: fuoco principale = fuoco coniugato all’infinito. Una sorgente puntiforme di luce posta all’infinito produce dei raggi che alla fine diventano paralleli. Ad esempio i raggi che arrivano da una stella sono paralleli, tutti questi raggi vengono fatti convergere in un unico punto detto fuoco. Quindi tutta l’immagine della stella diventa un unico puntino (ecco perché le stelle ci appaiono come dei puntini, perché i loro raggi paralleli convergono tutti in un unico punto). La distanza dal centro della lente a questo punto è chiamata fuoco principale e si chiama così solo quando i raggi sono paralleli. Il reciproco di questa distanza, 1/F, dà quello che si chiama potere diottrico della lente, che ci fa capire qual è l’attitudine della lente a far convergere i raggi. Maggiore è il potere diottrico della lente minore è la distanza dal centro della lente al fuoco principale. Minore è il potere diottrico della lente, maggiore è la distanza focale.

Facendo i conti per l’occhio ridotto emmetrope (occhio normale) la distanza tra il fondo della lente e il fondo dell’occhio, cioè la retina, è di 17mm. Allora 1/F diventa 1/17mm (F viene sempre espresso in metri) perciò 1/F = 1/0.017m = 59 diottrie. Quindi nell’occhio emmetrope il cristallino accomodato per la visione all’infinito dà un potere diottrico del sistema occhio di 59 diottrie. I ¾ di queste 59 diottrie non sono a carico del cristallino (a carico suo è solo ¼, in condizioni di riposo), ma sono a carico della cornea, perché questa è la prima struttura che la luce incontra quando entra dall’aria. L’interfaccia tra aria e cornea è quella che ha la maggiore differenza di indice di rifrazione ed è quindi quella che maggiormente fa piegare i raggi di luce.

Esempio 2: le cose cambiano se il punto luminoso si trova ad una distanza finita. In questo caso i raggi proveniente dal punto non sono più paralleli, ma divergenti ed arrivano sulla lente biconvessa dell’occhio ridotto divergenti. Qui vengono piegati in maniera più accentuata spostandoci verso l’esterno della lente, perché la curvatura cambia e vengono tutti fatti coniugare in un unico punto chiamato fuoco coniugato. Precisamente quello che si trova oltre la lente è il fuoco coniugato posteriore, mentre la sorgente di luce si trova in un punto chiamato fuoco coniugato anteriore. Quali sono le differenze rispetto a prima? La sorgente di luce non è più all’infinito, i raggi non sono più paralleli ma divergenti e la sorgente di luce si trova ad una certa distanza dalla lente chiamata fuoco coniugato anteriore o distanza focale anteriore. C’è una relazione che lega queste 2 lunghezze, f1 ed f2 con F: 1/F = 1/f1 + 1/f2. Quindi 1/0.017m = 1/f1 + 1/f2, perciò le distanze dei 2 fuochi coniugati sono in relazione tra di loro e con questa relazione la somma dei loro reciproci deve sempre dare il numero di diottrie della lente. Questo vuol dire che essendoci adesso 1/f1, la distanza f2 è più lunga di F; adesso il punto in cui vengono fatti convergere tutti i tratti luminosi non è più a 17mm, ma è spostato più indietro.

Page 12: Gusto, olfatto e vista

Considerando ciò, bisogna fare in modo che la distanza tra il centro della lente ed il fuoco coniugato posteriore rimanga costante, altrimenti il punto di luce non è più messo a fuoco sulla retina, ma va a finire oltre (da qui nasce l‘esigenza di avere un sistema che controlli la curvatura del cristallino). Quindi ciò che deve fare il sistema visivo è continuamente aggiustare delle proprietà del sistema ottico, agendo sul cristallino, per far sì che indipendentemente dalla distanza del fuoco coniugato anteriore, il fuoco coniugato posteriore rimanga sempre a 17mm dal centro della lente (altrimenti non vediamo a fuoco). Per fare ciò bisogna agire sul potere diottrico del sistema di lenti dell’occhio, quindi del cristallino, andandone a modificare la curvatura. Se al posto di avere questa curvatura noi avessimo una curvatura più spinta, i raggi di luce verrebbero rifratti in modo molto più consistente e il fuoco principale sarebbe più vicino: questo vuol dire che avremmo un potere diottrico superiore. Questo è esattamente quello che succede nell’accomodazione della vista: il cristallino è tenuto legato al suo equatore da tutta una serie di filamenti che, grazie al fatto che esiste una pressione endo-oculare di 20 mmHg, lo tirano e lo mantengono in questo stato di semi appiattito. Attorno a questi filamenti c’è una muscolatura liscia, sotto il controllo del muscolo ciliare (del parasimpatico) e che quando viene contratto detende i filamenti e fa sì che il cristallino assuma una forma più sferica, quindi aumenta il raggio di curvatura del cristallino.Quando siamo in queste condizioni e vogliamo vedere un punto posto all’infinito (oltre i 6m., perché non varia più la curvatura del cristallino) il muscolo ciliare è rilasciato perciò il cristallino è tenuto disteso in forma semi appiattita da tutti i legamenti della regione equatoriale. Al massimo dell’accomodazione, per vedere il punto più vicino possibile (punto prossimo), il muscolo ciliare è massimamente contratto quindi il cristallino torna ad avere un aspetto più sferico: questo fa aumentare la curvatura e il potere diottrico: infatti quello che si va a misurare è che il sistema dell’occhio non ha più 59 diottrie ma ne ha 73. Aumenta il suo potere diottrico.In questo modo si fa sì che il fuoco coniugato posteriore, se aumenta il potere diottrico di questa lente, si sposta in avanti in modo tale che rimanga sempre a 17mm dalla lente man mano che questo punto si sposta più vicino. Se noi vogliamo vedere oggetti sempre più vicini dobbiamo aumentare il potere diottrico dell’occhio, perché questo punto sarà sempre più lontano e va mantenuta la distanza di 17mm.Due considerazioni su questo fenomeno: i neonati hanno l’occhio più piccolo dell’adulto, perciò la loro distanza focale è di 14-15mm. Questo significa che per mettere a fuoco loro devono avere un potere diottrico molto superiore al nostro e infatti così è. Il loro cristallino può arrivare anche ad 80 diottrie. Lo sviluppo della camera posteriore dell’occhio va di pari passo con la perdita di potere diottrico da parte del cristallino.

Situazione dell’occhio miope: di solito questo ha un potere diottrico superiore all’occhio emmetrope o meglio, nella maggior parte dei casi il suo potere diottrico è uguale a quello dell’occhio normale, ma la sua camera posteriore è più grande. Quindi la distanza viene ad essere più grande, di conseguenza il fuoco principale non cade sulla retina ma davanti a questa (per questo si dice che ha un potere diottrico superiore). Questo fa sì che il punto remoto non sia all’infinito come l’occhio emmetrope ma sia posto più vicino. Questo svantaggio è compensato dal fatto che il punto prossimo, dato che ha un potere diottrico superiore, è più vicino. Quindi le persone miopi possono mettere a fuoco un punto prossimo più vicino di quello delle persone non miopi.

Situazione (opposta) dell’occhio ipermetrope: il suo potere diottrico è inferiore al normale, quindi il fuoco principale

Page 13: Gusto, olfatto e vista

non cade a 17mm ma più in là e così i punti vengono messi a fuoco oltre la retina. Questo perciò vede perfettamente il punto all’infinito, ma il suo punto prossimo è più distante rispetto al normale. Quindi, per quanto riguarda le correzioni degli occhiali, per l’occhio miope le lenti devono far divergere i raggi luminosi in modo tale da abbassare il potere diottrico complessivo; per l’occhio ipermetrope è il contrario, le lenti devono far convergere i raggi luminosi per aggiungere quelle diottrie che gli mancano.

Trasduzione dell’immagine

La luce entra nell’occhio, attraversa tutto il sistema ottico e produce l’immagine che copre tutta la retina, non tutta la retina però è disponibile per trasdurre la luce. Esistono 2 regioni con delle caratteristiche diametralmente opposte: la regione del disco, dove non si trovano fotorecettori perché in questa regione si trovano tutti gli assoni delle cellule nervose (ganglionari) che danno origine al nervo ottico. Per contro c’è una regione sull’asse visivo dell‘occhio, che si chiama fovea, che è quella dove noi possiamo ottenere la miglior risoluzione spaziale possibile. Quindi sul fondo dell’occhio abbiamo una regione cieca, dove le immagini provenienti dal mondo esterno non possono essere trasdotte (regione del disco) e una che dà invece un’immagine molto precisa (fovea).

Tutto il resto della retina dà invece un’informazione che, vedremo, non è proprio aderente alla realtà.

Come si presenta il fondo dell’occhio? Questo è il fondo di un occhio normale umano visto con l’oftalmoscopio. La regione in chiaro è la zona cieca (dove si inseriscono anche tutti i vasi), c’è poi la fovea circondata dalla macula lutea.La retina ha una regione piuttosto grande come organo recettoriale perché i suoi 1094 mm2 sono tappezzati di cellule sensoriali!

Altri numeri:Diametro retina = 32 mmArea retina = 1094 mm2Diametro fovea = 1.5 mmDiametro disco ottico = 1.8 mm

Page 14: Gusto, olfatto e vista

Ci sono poi circa 3-4 mm tra la fovea e la zona cieca dell’occhio, che ha quasi una dimensione di 2 x 2 mm: di fatto una buona parte della scena visiva non viene vista perché cade su questa regione della retina.

Le cellule della retina

Le cellule recettoriali presenti sulla retina sono coni e bastoncelli però non sono in egual numero e non sono disposti con la stessa densità. In particolare nella regione della fovea ci sono solamente coni (circa 17000 coni in media nella retina umana) e l’organizzazione della fovea è talmente complessa che di fatto non prima del quarto anno di età una persona riesca ad avere la stessa acuità visiva di un adulto. In questi 1094 mm2 di retina ci sono 6.400.000 coni, quasi tutti concentrati nella fovea e intorno ad essa e 125.000.000 di bastoncelli. Però essendoci nella fovea solo coni, la vista come noi la intendiamo è a carico solamente dei 6.400.000 coni.

Come è disposta la retina rispetto all’occhio? Un particolare che vi richiamo all’attenzione è la direzione di provenienza della luce, questa dall’esterno va a terminare sull’epitelio pigmentato che tappezza il fondo dell’occhio. Le uniche cellule in grado si trasdurre la luce sono i coni e i bastoncelli, cioè l’ultimo strato di cellule che la luce incontra. Quindi nell’occhio umano le cellule che sono deputate alla trasduzione dello stimolo visivo, cioè i fotorecettori, sono l’ultimo strato di cellule che la luce incontra attraversando la retina.

Quali sono le cellule che compongono la retina? La luce va ad esaurirsi sull’epitelio pigmentato, che è scuro perché contiene un pigmento nero che assorbe la luce che riceve, che blocca ogni riflessione della luce ed evita quindi le riflessioni (situazione opposta nel gatto).Il I strato di cellule che incontriamo è quello dei fotorecettori, coni e bastoncelli, che prendono contatto sinaptico con altri 2 tipi cellulari: questa zona di sinapsi si chiama strato plessiforme esterno. Le sinapsi avvengono con le cellule bipolari e le cellule orizzontali: le prime da una parte fanno sinapsi con i fotorecettori e con le cellule orizzontali e trasmettono le informazioni alle restanti cellule della retina; hanno quindi un altro polo dove fanno sinapsi, nello strato plessiforme interno, con le cellule amacrine e le cellule ganglionari. Gli assoni delle cellule ganglionari formano il nervo ottico. Le cellule orizzontali si chiamano così perché mediano dei contatti orizzontali tra i fotorecettori, le amacrine svolgono la stessa funzione tra le cellule ganglionari, mentre quelle bipolari trasportano l’informazione dai fotorecettori alle cellule ganglionari. E’ perciò tutto organizzato in maniera estremamente regolare:Strato dei coni e dei bastoncelliMembrana limitante esternaStrato dei granuli esterni (granuli di coni e bastoncelli)Strato plessiforme esternoStrato dei granuli interni (cell bipolari, orizzontali, amacrine)Strato plessiforme internoStrato delle cellule multipolariStrato delle fibre nervose (che formano il nervo ottico)Membrana limitante interna

Le cose cambiano se andiamo a vedere la regione della fovea: abbiamo detto che quello dei fotorecettori è l’ultimo strato che la luce incontra. Ogni volta che la luce attraversa questi strati, per la legge della rifrazione, il suo percorso viene deviato. Quindi è come se i fotorecettori vedessero il mondo esterno attraverso un vetro smerigliato, appannato. Questo fatto degrada la possibilità di vedere bene l’ambiente esterno in tutti i punti della retina tranne che nella fovea. Qui succede che tutti gli strati prima dei recettori si fanno da parte, per cui esiste nell’ambito della fovea una regione più grande centrale chiamata foveola dove non esistono gli altri strati cellulari

Page 15: Gusto, olfatto e vista

perché si sono spostati e quindi la luce colpisce direttamente i fotorecettori. In questo modo, in questa piccolissima regione (circa 20 m) della retina si ha la minor distorsione e rifrazione possibile dei raggi luminosi. Ecco perché noi vediamo grazie alla fovea.

Curva di densità di coni e bastoncelli

La densità di coni e bastoncelli non è costante: in ascissa abbiamo la distanza in gradi, chiamata eccentricità, a partire dalla fovea; in ordinata la densità di coni e bastoncelli. I coni sono tutti concentrati in un ambito di 20 gradi attorno alla fovea, con il picco massimo di densità nella fovea. In tutto il resto della retina la predominanza è dei bastoncelli e giacciono in punti della retina dove, data l’esistenza di tutti gli strati cellulari precedenti, la visione del mondo esterno è molto peggiorata da tutta la rifrazione della luce che attraversa questi altri strati. Poi a circa 15 gradi rispetto la fovea abbiamo il disco ottico, quindi la zona cieca dove non ci sono né coni né bastoncelli.