Guerre e Conflitti Nella Ex Jugoslavia

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    La crisi del sistema di TitoDopo che il partito iugoslavo era stato espulso dal Cominform (28 giugno 1948), Tito di-fese sempre con determinazione lautonomia della Iugoslavia da Mosca. Per circa trentan-ni, il Paese si trov in una posizione strana e dicile: in quanto repubblica comunista, eraguardato con sospetto dagli Stati Uniti; nel medesimo tempo, rifiutava di allinearsi, ciodi sottomettersi, alla potenza sovietica. Questa situazione permise a Tito di cementare lu-nit di un Paese diviso e poco omogeneo. Linsistenza sul marxismo (con il suo motto Pro-letari di tutto il mondo unitevi!) permetteva di dare scarsa rilevanza alle varie nazionalit pre-senti sul territorio iugoslavo e che spesso erano in contrasto tra loro da lungo tempo. In se-condo luogo, il pericolo di uno scontro armato (sia con le potenze capitalistiche sia con lurss)permetteva di insistere sullunione, sulla concordia interna, per la sopravvivenza comune.Tito, che era croato, conosceva bene il nazionalismo dei serbi: temendolo, prese una se-rie di misure nalizzate a contenerlo. Innanzi tutto, la nuova repubblica di Iugoslaviafu costruita su base federale e organizzata in sei repubbliche (slovenia, Croazia, Bo-snia-Erzegovina, Macedonia, serbia e Montenegro). La Serbia fu notevolmente indebolita,quanto a estensione territoriale, in quanto perse la Macedonia (costituita in repubblicaseparata) e il Kosovo (dichiarato nel 1974 provincia autonoma). Le cariche pubbliche edi partito, invece, furono distribuite in modo equo, senza privilegiare alcuna nazionalit.Le rivendicazioni serbe emersero subito dopo la morte di Tito (1980) e si fecero semprepi acute nel corso degli anni seguenti. Man mano che la situazione economica, in Iu-goslavia come in tutti gli altri Paesi comunisti, si faceva sempre pi critica, in Serbia ri-presero vigore le vecchie ambizioni egemoniche. Nel 1986, ad esempio, un gruppo diintellettuali dellAccademia delle scienze e delle arti di Belgrado stese un memorandum

    Guerre e conflittinella ex Iugoslavia

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    Albanesi

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    Macedoni

    Bosniaci

    Sloveni

    Croati

    Serbi

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    CROAZIAVOJVODINA

    BOSNIAERZEGOVINA

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    MONTENEGRO

    KOSSOVO

    MACEDONIAITALIA

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    Mar Adriat ico

    Il Kosovo

    IL GROVIGLIO ETNICODELLO STATOIUGOSLAVO

    POTERIE CONFLITTI

  • nel quale lamentava che per tutto il periodo comunista la serbia era stata penalizzata: anzi si diceva esposta a un genocidio strisciante. A nessun popolo della Iugoslavia scri-vevano gli intellettuali serbi viene negata in maniera massiccia la sua identit cultura-le e spirituale come a quello serbo.Il 28 giugno 1989, il leader nazionalista serbo Slobodan Miloevic annunci la revocadellautonomia del Kosovo. Per reazione, in slovenia e in Croazia regioni settentrio-nali, pi sviluppate dal punto di vista industriale si fece strada lidea di una secessionedalle pi arretrate repubbliche del sud (serbia, Montenegro, Bosnia, Macedonia). Il 25 giu-gno 1991, Slovenia e Croazia dichiararono la propria indipendenza dalla federazioneiugoslava. Le due regioni, per, erano molto diverse tra loro, in quanto la slovenia era piomogenea della Croazia sotto il prolo etnico: in pratica, ospitava solo una piccola minoranza(formata dai pochi italiani che non erano fuggiti nel 1947) entro i propri conni. In Croa-zia, invece, si trovavano moltissimi serbi, che furono quasi subito oggetto di discrimina-zione; costoro quindi (appoggiati e sostenuti dallesercito della repubblica di serbia) si or-ganizzarono in formazioni armate, per ottenere a loro volta lindipendenza dalla Croazia.

    La guerra tra serbi, croati e musulmani bosniaciLa guerra serbo-croata esplose ben presto in tutta la sua violenza. A livello inter-nazionale, lunione Europea si mostr debole e priva di una comune strategia dazio-ne; ci la rese del tutto incapace di impedire lo scoppio di un gravissimo conflitto nelcuore del continente, mentre in Iugoslavia, con il passar del tempo, le violenze si fe-cero sempre pi acute. Poich il lungo regime di Tito aveva facilitato in ogni modo gliintrecci, i matrimoni misti e la mescolanza tra i diversi gruppi, in tutte le regioni del-la Iugoslava le etnie erano ormai mescolate in maniera inestricabile. scoppiata la guer-ra, da entrambe le parti si fece allora ricorso in modo feroce e sistematico alla puliziaetnica. Al fine di rendere una regione del tutto omogenea sotto il profilo nazionale, siprocedette alleliminazione fisica o allespulsione con la violenza di tutte le minoranze(seguendo una procedura simile a quella adottata dai serbi in Kosovo, nel 1912, e da-gli ustascia croati negli anni 1941-1945).Nel 1992, il conflitto si estese anche alla Bosnia-Erzegovina, la regione che pro-prio al centro del Paese era caratterizzata dalla maggiore variet etnica, complicataper di pi dalla presenza dei musulmani (slavi convertitisi allislam, al tempo della do-minazione turca). Intorno a sarajevo e nel resto della Bosnia, infuri una lotta bru-tale tra serbi, croati e musulmani, mentre lintervento delle Nazioni unite non sortnessun effetto moderatore. Pertanto, un compromesso capace di porre fine (almenotemporaneamente) alla guerra di Bosnia fu raggiunto solo dopo tre anni di violenze,

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    28 GIUGNO: GIORNO DI SAN VITOLa storia della Serbia e delle regioni circostanti ha una propria peculiarit: un numero elevatissimo dieventi molto importanti si vericono il 28 giugno (San Vito). Non si tratta di coincidenze, ma discelte precise. Poich la disfatta subita nel 1389, in Kosovo, a opera dei turchi, alla ne dellOttocentofu scelta dai nazionalisti serbi come evento simbolico negativo, di cui cancellare le conseguenze, ognivolta che vollero lanciare un messaggio politico forte alla nazione, i leader serbi scelsero il 28 giugno,sicuri del fatto che avrebbero suscitato una formidabile ondata di emozione.

    NEL GIORNO DI SAN VITO

    Data Evento

    1389 Sconfitta serba a Kosovopolje, per opera dei turchi

    1914 Assassinio dellarciduca Francesco Ferdinando dAsburgo a Sarajevo

    1948 Espulsione del PC iugoslavo dal Cominform: rottura tra Tito e Stalin

    1989 Revoca del lautonomia del Kosovo da parte del leader serbo Slobodan Miloevi

    Riferimentostoriograficopag. 5

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    Debolezza dellaUnione Europea

    Riferimentostoriografico

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    nel dicembre 1995. Laccordo fu firmato a Dayton, negli stati uniti: prevedeva unosmembramento di fatto della Bosnia in due stati distinti, uno serbo e uno croato-musulmano. dicile fare un bilancio delle vittime della serie di guerre che hanno devastato la ex Iu-goslavia negli anni Novanta: il pi lungo e sanguinoso conitto europeo del Novecento,escluse le guerre mondiali. solamente in Bosnia, linsieme delle violenze ha provocato pidi 250 000 morti. Lepisodio pi feroce (il pi grande massacro di civili in Europa, dopoil 1945) si veric a srebrenica, tra il 13 e il 15 luglio 1995, allorch le milizie serbe uc-cisero circa 7000 musulmani bosniaci, mentre le truppe delloNu (soldati olandesi) pre-senti nei dintorni scelsero di non intervenire.rispetto ad altre guerre, in Bosnia assunse dimensioni e caratteristiche estreme la violen-za nei confronti delle donne del nemico. Innanzi tutto, lo stupro fu praticato in manierasistematica, cio fu ordinato e diretto dallalto, e non solo tollerato dalle autorit militari(come invece avvenne in Germania, dove gli uciali russi facevano nta di non vedere).La violenza di massa sulle donne venne organizzata e pianicata soprattutto dai serbi e, inBosnia, fu parte integrante di una precisa strategia di occupazione del territorio. In primoluogo, serviva a diondere il panico: il timore della violenza estrema spingeva gli abitan-ti di interi villaggi a fuggire terrorizzati, realizzando la pulizia etnica desiderata dai serbi.Violentare chi restava signicava, invece, conquistare a pieno titolo il territorio, umilia-re il nemico in quanto aveva di pi caro e prezioso, mostrando chi deteneva a tutti glieetti il potere. Lo stupro di massa, pertanto, spesso andava di pari passo con la distru-zione dei cimiteri, dei monumenti e pi in generale del patrimonio culturale del nemico,trattato come spazzatura da incenerire e cancellare.secondo una commissione dellunione Europea, le donne bosniache violentate sono sta-te circa 20 000, ma le stime del governo bosniaco parlano di 50 000, in quanto moltis-sime di loro non hanno trovato il coraggio di testimoniare e di denunciare pubblicamentele violenze subite.

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    17 settembre 1995:familiari e amicipartecipano al funeraledi una bambinabosniaca uccisaa Sarajevo dal fuocoserbo.

    Stupri di massa

  • La guerra del KosovoNel 1998, il presidente serbo Miloevic decise di procedere alla pulizia etnica del Ko-sovo. Per lui e per tutti gli altri nazionalisti serbi, gli albanesi residenti in questa terra era-no usurpatori che occupavano abusivamente una terra sacra, considerata la vera culla del-la cultura serba. Per tutto il 1998, gli albanesi furono oggetto di violenze simili a quellesubite dai musulmani di Bosnia: almeno 300 villaggi furono distrutti, mentre circa 250 000profughi furono costretti ad abbandonare le loro case. Il 20 marzo 1999, lesercito serbointensic la propria attivit, con lobiettivo di costringere tutti i kosovari albanesi a fug-gire in direzione della Macedonia e dellAlbania.una politica cos brutale e violenta spinse allazione gli Stati Uniti e i Paesi aderenti allaNATo. A partire dal 24 marzo, Belgrado e le altre citt della Serbia furono oggetto di vio-lenti bombardamenti. In un primo tempo, queste azioni non ottennero nessun risulta-to: anzi, i militari serbi si fecero ancora pi spietati, uccidendo 100 000 persone e spin-gendone oltre frontiera almeno 600 000. I bombardamenti si fecero allora sempre pi in-tensi, al punto che la serbia rischi di trasformarsi in una terra priva di qualsiasi infra-struttura moderna (centrali elettriche, ponti, ferrovie, industrie, stazioni televisive ecc.).Inne, Miloevic accett di interrompere le violenze e di ritirare le truppe serbe dalKosovo, che venne presidiato da truppe della NATo.Lintervento americano in Kosovo ha suscitato una violenta discussione e, per vari moti-vi, ha costituito unimportante novit storica. Tutti coloro che erano contrari allattaccorilevarono che esso era, dal punto di vista del diritto internazione, un atto di aggressio-ne, nel momento in cui lorganizzazione delle Nazioni unite non aveva emesso alcunarichiesta di intervento militare, paragonabile alle risoluzioni che avevano dato una pati-na di legittimit alla guerra di Corea (1950) e alla prima guerra del Golfo (nel 1991, dopolinvasione del Kuwait da parte dellIraq). sul versante opposto, si fece notare che lau-torizzazione oNu era tecnicamente impossibile, in quanto il Kosovo gurava come unaregione che, a tutti gli eetti, era sotto la sovranit serba; le violenze contro i kosovari al-banesi, a rigor di termini, erano una faccenda puramente interna alla Serbia, una que-stione sulla quale la comunit internazionale non aveva alcuna competenza. Proprio que-sto argomento, per, era stato a suo tempo avanzato in modo ipocrita per chiudere gliocchi di fronte a quanto era accaduto in urss contro i kulaki e in Germania contro gliebrei: anzi, si pu dire che linsistenza sulle competenze ben delimitate delloNu fosse sta-

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    13 aprile 1999: lediciodi Belgrado che ospitavail ministero dellinterno

    in amme.I bombardamenti della

    NatO sulle citt serbeindussero Miloevi

    a ritirare le sue truppedal Kosovo.

    Interventoumanitario

    o aggressione?

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    ta difesa a oltranza da stalin, al momento della nascita dellorganizzazione. Poich la gra-vit di quanto accadeva in Kosovo era lampante ed evidente dicevano i sostenitori del-lattacco alla serbia , occorreva superare lapproccio tradizionale e introdurre un nuovoprincipio, quello dellintervento militare a scopo umanitario, in regioni i cui governiviolassero in modo clamoroso i diritti umani. A distanza di anni, la questione tuttal-tro che risolta, in quanto i rischi che si corrono accogliendo il nuovo principio sono di-versi e pericolosi: mentre loNu si troverebbe sempre pi emarginata, perdendo qualsia-si potere decisionale, questo passerebbe a forze che potrebbero calpestare la sovranit diqualsiasi soggetto, usando lintervento umanitario come pretesto.Nellautunno 2000 Miloevic fu costretto ad abbandonare il potere in Serbia. Arre-stato, fu condotto di fronte al Tribunale internazionale dellAja, incaricato di processar-lo per crimini contro lumanit, ma nel 2005 morto in carcere.sicuramente, Miloevi va considerato come il principale responsabile delle violenze ve-ricatesi nella ex Iugoslavia. Il veleno del nazionalismo, per, tuttaltro che spento: Bo-snia e Kosovo (che ha proclamato la propria indipendenza nel marzo 2008) restano ter-re dellodio, vere polveriere pronte a esplodere di nuovo.

    Riferimenti storiograficiPropaganda, paura e potere: le radici

    della violenza serbaSecondo Jacques Semelin, la forza vera di Miloevic stava nel fatto che un numero enorme di ser-

    bi si identific nella sua politica di costruzione di una Grande Serbia. La propaganda aliment delibe-ratamente il malessere e i timori della popolazione, che si convinse di essere minacciata di estinzione,se non avesse provveduto a ribaltare gli equilibri demografici del territorio iugoslavo. Giunto al potere,Miloevic pass allazione.

    I serbi hanno storicamente nutrito nei confronti delle popolazioni albanesi sentimenti di av-versione, talvolta aggressivi. Nel corso degli anni Ottanta questostilit si acu visibilmente,come dimostra lanalisi di Muhamedin Kullashi. Nei giornali serbi vengono pubblicati articoliche mettono in guardia dalla diabolica proliferazione degli albanesi. E invero questa pauradella crescita demografica, da lungo tempo radicata nella mentalit serba, non appareinfondata, giacch gli albanesi costituiscono oggi circa il 90% della popolazione kosovara.Alcuni serbi, sia in Serbia che in Kosovo, cercano di disinnescare questa psicosi collettiva ci-tando episodi che testimoniano lesistenza di rapporti abbastanza buoni tra albanesi e serbi;qualcuno riesce poi ad apparire in televisione. In pochi anni per la propaganda si rive-lata terribilmente efficiente, sfruttando sempre pi il canale dei media e scatenando la de-monizzazione degli albanesi etnici che ha travolto la sobriet, il senso comune e lobiettivit(M. Kullashi). Ma per essere efficace la propaganda non pu affidarsi esclusivamente allim-patto dei suoi messaggi. Fa assegnamento anche, e forse soprattutto, sulla ricettivit dei de-stinatari e sulla loro disponibilit ad accettare i suoi contenuti come veritieri. Anche se linfor-mazione non credibile, viene considerata attendibile. Paura e propaganda si intreccianodialetticamente. Sentimenti di paura storicamente sedimentati offrono un terreno fertile su cuigettare il seme della propaganda. Il timore di essere distrutti trasforma un discorso irrazio-nale in un discorso credibile. Daltro canto, la propaganda, con il ritmo martellante di mes-saggi ansiogeni, accresce la fobia di una popolazione allarmata. La propaganda polarizza ilgruppo minacciato e fomenta lodio contro il nemico che rappresenta un pericolo mortale.

    Nel 1986 un memorandum sulla situazione iugoslava dellAccademia delle Scienze di Bel-grado contribu in parte ad avallare intellettualmente i contenuti propagandistici. Ispirato daDobrica Cosic, uno scrittore nazionalista, il rapporto un atto di accusa contro il sistematitino, e nel secondo paragrafo si denuncia il genocidio fisico, politico, giuridico e culturaledei serbi in Kosovo. Attacca la Slovenia e la Croazia, che afferma dominano politica-mente la Serbia, e addita nel sistema federale iugoslavo la causa della discriminazione con-tro i serbi allinterno della Federazione. Il rapporto, fatto circolare in un primo tempo clan-

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    Morte di Miloevic

  • destinamente, giustificava talmente le paure della popolazione che fu prontamente accet-tato ci che era oggetto di voci, di cui si era talvolta scritto sui giornali, era ora compendiatonel rapporto di una prestigiosa istituzione. Mentre a Est cominciavano a soffiare venti rifor-matori, il rapporto offr un approccio nuovo, innegabilmente diversissimo dalla glasnost gor-bacioviana, perfetto per adescare i serbi. Insistendo sul punto che la pi grande sciaguradei serbi che non hanno uno Stato come tutti gli altri popoli, il documento invitava espli-citamente a difendersi.

    Dopo il 1987 Slobodan Miloevic trasform le prospettive del memorandum in una con-creta strategia politica. Fu uno dei pochi membri dellapparato comunista a non criticareapertamente il rapporto. Tim Judah [giornalista esperto di Balcani, n.d.r.] lo ha dipintocome un leader opportunista, un oratore trasformista in grado di assecondare luditore.Ex apparatcik [funzionario dellapparato comunista, n.d.r.], Miloevic fu lesto a trasformarsiin un leader nazionalista di primordine; nel 1989, proprio mentre a Praga e a Varsavia iregimi comunisti crollavano, imbocc, per uscire dal comunismo, la strada del nazionali-smo. [] Miloevic stato spesso descritto, a ragione, come un abilissimo tattico e un

    eccellente propagandista. Raramente stato sottolineato che, se raggiunse la pre-sidenza manovrando con sufficiente de-strezza da conquistare il controllo dellin-tero apparato politico, oltre ai mass media,Miloevic rappresent il prodotto dellevo-luzione della societ serba nel corso deglianni Ottanta. La paura e la propaganda, cuisi aggiunse il potere conquistato ricorrendointelligentemente ora alluna ora allaltra,erano parte quindi del lungo corso dellastoria. Lo svolgimento per la prima volta dilibere elezioni nel dicembre 1989 ricom-pens Miloevic per la strategia politicaadottata nei tre anni precedenti. Il suo par-tito stravinse, e gli obiettivi del nuovo pre-sidente della repubblica serba acquisironouna nuova legittimit.

    Che fosse nazionalcomunista [fino al1989, n.d.r.] o etnonazionalista [dopo il1989, n.d.r.], la nuova autorit serba guar-dava sempre allo stesso obiettivo: la difesadellidentit serba, ovunque fossero pre-senti dei serbi, contro i pericoli che lafflig-gono. In altre parole, la creazione di unanazione serba, la Grande Serbia. Il nuovopotere si alimentava della propria aggressi-vit: era necessario distruggere tutto ciche non era serbo. Naturalmente questoproposito non fu dichiarato apertamente.Su questo punto il memorandum taceva.

    Coloro che praticarono la pulizia etnica nei Balcani (si trattasse di serbi, croati o altri ancora)non ne facevano riferimento. Si limitavano ad agire. Non avevano dimenticato i massacri per-petrati contro il loro popolo; quanto a quelli che avevano invece compiuto, ne tacevano, eancor pi tacevano sui massacri che si accingevano a perpetrare. Lautorit di Miloevic eraparte integrante di questa tradizione. Vera e propria incarnazione della psicosi collettiva chelaveva portato alla ribalta, il leader serbo annient quella che prima ancora della sua nascitaera stata definita laminaccia. Ecco perch, non appena giunto al potere, Miloevic era prontoal crimine.

    J. sEMELIN, Analisi di un crimine di massa. La pulizia etnica nellex Jugoslavia (1991-1999),in r. GELLATELy, B. KIErNAN (a cura di), Il secolo del genocidio, Longanesi, Milano 2006,

    pp. 450-453, trad. it. B. GENTILINI

    Spiega laffermazione Paura e propaganda si intrecciano dialetticamente.Qual era lobiettivo del nazionalismo serbo? Qual era la sua meta ultima?In che senso, per tutti coloro che praticarono una politica di pulizia etnica, si pu affermare che

    attivarono una memoria selettiva?

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    Un uomo bacia ilritratto di Miloevidurante una marcia

    di protesta organizzataa Belgrado contro

    i bombardamenti dellaNatO sulle citt serbe.

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    ToI crimini serbi in Bosnia

    Il monumentale studio di Joze Pirjeve una delle pi complete ricostruzioni delle complesse vicendepolitiche e militari che travolsero la ex Iugoslavia tra il 1991 e il 1999. Su quel vasto territorio, nellar-co di una decina danni, si sono susseguiti numerosi scontri, tra soggetti diversi che a volte si combattevanotra loro, mentre in altri casi si alleavano contro un terzo. Il punto massimo della violenza stato toc-cato in Bosnia-Erzegovina negli anni 1992-1995.

    Sarajevo, posta a unaltezza fra i 530 e i 750 metri sopra il livello del mare nella vallatadel fiume Miljacka, circondata su tre versanti da montagne che superano i 1500 metri. Nelsecondo dopoguerra aveva conosciuto una vera e propria esplosione demografica, consi-derato che nel 1948 non raggiungeva i 10000 abitanti, mentre nel 1991 ne contava ben526000. Si era cos costituito un agglomerato urbano etnicamente assai misto, in cui nes-suna delle tre principali nazionalit della Bosnia-Erzegovina aveva la maggioranza assoluta:il 49% della popolazione era infatti musulmana, il 30% serba e il 7% croata. Oltre alla pic-cola, ma influente comunit ebraica, Sarajevo contava anche un numero insolitamente altodi iugoslavi (11%) che rifiutavano di associarsi a un tradizionale gruppo nazionale, preferendosottolineare la loro adesione allo Stato piuttosto che a una delle sue tante etnie. Durante glianni della sua crescita impetuosa, la citt aveva inglobato nel suo perimetro una serie di vil-laggi vicini [], divenuti per lo pi sobborghi industriali, con importanti fabbriche belliche.Si tratt di una precisa scelta del regime titoista, dettata non solo da ragioni ideologiche (ciodalla necessit di creare un proletariato urbano), ma anche da considerazioni strategiche,data la barriera naturale che la difendeva. Nel 1992 questa favorevole realt geografica sirivel fonte di sventura: la citt fu stretta infatti dallArmata popolare [serba, n.d.r.] in unamorsa dacciaio, presa dassedio e bombardata dalle alture circostanti, con la solita scusache bisognava difendere i serbi locali, dato che secondo i giornali di Belgrado sarebberostati espulsi in massa dalle loro case e addirittura massacrati. []

    Limperativo era di scacciare dalla Grande Serbia tutti i turchi, per impedirne la possibilerimonta, data la loro notoria prolificit. Era chiaro infatti che nello Stato prossimo futuro i serbisarebbero stati costantemente in pericolo di essere sommersi dai non serbi se la pulizia et-nica non fosse stata veramente efficace. [] Dopo aver circondato le citt e i villaggi presidi mira, le truppe serbe, spesso vestite di uniformi raffazzonate, andavano di porta in portaestorcendo a ogni famiglia una dichiarazione di lealt. In seguito gli uomini validi venivanoradunati, alcuni soprattutto i rappresentanti delllite politica, economica e culturale mas-sacrati sul posto, altri inviati nei campi di concentramento, organizzati in fretta e furia. Qui

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    Sarajevo, 1992,unimmagineemblematica:un gruppo di personecorre in strada persfuggire il fuocodelle truppe serbesempre in agguato.

  • erano costretti a rinunciare, con tanto di documento scritto, ad ogni propriet e a chiedere,se fortunati, il permesso di emigrare. Le donne, i vecchi e i bambini, se non venivano a lorovolta internati, erano brutalmente dispersi e deportati, speso con laiuto della locale CroceRossa, fuori dalla terra serba. Intanto erano gi pronti dei camion, su cui i cetnici [milizianiserbi, n.d.r.] e i riservisti, i cosiddetti cani di guerra, sporchi e puzzolenti, per citare un te-stimone, caricavano tutto ci che era possibile asportare da negozi, fabbriche, abitazioni pri-vate. Era poi la volta degli sciacalli indigeni, magari vicini di casa o amici di famiglia; alla fine,qualora non si trattasse di immobili di qualche valore, tutto veniva dato alle fiamme.

    La violenza contro i turchi, da distruggere nella loro dignit umana, non conobbe limiti,soprattutto nelle aree dove erano in forte maggioranza. Nella cittadina di Bratunac i musul-mani, fra cui anche limam [la guida spirituale della comunit, lequivalente del prete catto-lico, n.d.r.], furono radunati nel locale campo da calcio, dove i cetnici cercarono di costrin-gerlo a farsi il segno della croce. Al suo rifiuto lo riempirono di botte, gli versarono in boccaun misto di segatura e birra, e poi gli tagliarono la gola. Con sistematica brutalit furono vio-lentate le donne, nel tentativo di distruggere il tessuto sociale e familiare di una realt in cuila vittima dello stupro si sentiva spesso colpevole e come tale era trattata. Vogliamo pian-tare il seme dei serbi in Bosnia. E in un campo di concentramento, vicino a Sanski Most,

    15 bambini furono gettati vivi nel forno.Urlarono allinizio racconta un testimone ,poi tacquero.

    Si tratt, come gi in Croazia lestateprecedente, di uno strano connubio diguerra moderna, combattuta con armi so-fisticate, e guerra contadina, fatta da genteche per antica tradizione sapeva sgozzareagnelli e capretti. Un connubio pi che effi-cace: verso la met di agosto [1992, n.d.r.],la Commissione per gli Affari esteri del Se-nato degli Stati Uniti giunse alla conclu-sione che durante la campagna primaverileserba almeno 35 000 persone avevanoperso la vita. Nello stesso periodo, se-condo le stime dellalto commissariato peri rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR), pre-sente in Bosnia-Erzegovina quasi dalliniziodel conflitto, circa 420000 persone furono

    costrette a darsi alla fuga e duecento case venivano giornalmente distrutte.In tale contesto, lassedio di Sarajevo aveva una funzione chiaramente diversiva, per ri-

    chiamare lattenzione pubblica mondiale su ci che vi accadeva e svolgere il lavoro di puli-zia etnica nelle altre parti del paese lontano dalle telecamere e dalle macchine fotografichedi giornalisti ficcanaso. Nel settembre successivo il professor Nikola Koljevic, vicepresidentedella Repubblica serba, confess in un momento di candore a un inviato britannico: Era-vate cos preoccupati di Sarajevo, che nel resto della Bosnia potevamo fare quello che vo-levamo. [] [Nel luglio 1992,] la generale disapprovazione suscitata dal comportamentodei serbi a livello internazione crebbe ulteriormente dopo lattacco di franchi tiratori a un au-tobus che portava da Sarajevo un gruppo di bambini: un neonato e un ragazzino furono am-mazzati, e il giorno seguente, al funerale di uno dei due, una granata ne fer seriamente lanonna. Lepisodio, ampiamente documentato dalla televisione, ebbe uno straordinario im-patto emotivo sullopinione pubblica internazionale che, sensibilizzata da tali avvenimenti,reag con orrore quando Roy Gutman, corrispondente del Newsday, un foglio di Long Island,rese pubblica la sua scoperta dei campi di concentramento serbi nella Bosnia settentrionale.[] Le terribili immagini di prigionieri bosniaci, alcuni con le costole sporgenti e braccia sot-tili come bastoni scrisse lIndipendent of Sunday , ebbero sulla gente in Europa occi-dentale e negli Stati Uniti un impatto che un anno di assassinii, compiuti da franchi tiratorie da bombe a mortaio, non era riuscito a ottenere. Era successo, infatti, ci che sembravaimpossibile avvenisse una seconda volta dopo lesperienza dellOlocausto: nel bel mezzodellEuropa erano stati organizzati campi di sterminio e di morte, senza che la diplomazia ela politica mondiale sentissero la necessit di intervenire. [] In Bosnia-Erzegovina erano statiorganizzati, sfruttando a tal fine impianti industriali, depositi merci, miniere, caserme, stadi,scuole, centri di ricreazione, ben 94 campi di concentramento, attraverso i quali erano pas-sate almeno 400000 persone.

    J. PIrJEVEC, Le guerre jugoslave 1991-1999, Einaudi, Torino 2001, pp. 148-155, 185-187

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    UNITXIV

    ILTEMPODELDISORDINE

    F.M. Feltri, Chiaroscuro SEI, 2010

    Chi sono gli iugoslavidi Sarajevo?

    Che funzionestrategica svolse,per i serbi, lassediodi Sarajevo?

    Che cosa rendevastrana la guerradi Bosnia?

    Musulmani bosniacidetenuti in un campo

    di prigionia serbo,fotograa del 1992.