La Jugoslavia durante la guerra di Corea

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La Jugoslavia durante la guerra di Corea Il 25 Giugno 1950 nella penisola Coreana irruppe una sanguinosissima guerra che sarebbe passata alla storia per aver determinato una delle fasi più acute del conflitto dei blocchi contrapposti, quello orientale e quello atlantico. Da un lato la Repubblica Popolare Cinese e Unione Sovietica come rappresentanti della prima compagine, e, dall’altro, le forze dell’ONU guidate dagli Stati Uniti d’America. In questo scenario emergeva la Jugoslavia. Espulsa dal Cominform nel 1948, i titoisti contrapponevano il socialismo centralizzato sovietico alla propria via al socialismo; il “burocratico” PCUS alla Lega dei comunisti jugoslavi. Dunque è essoterico il perché, anche alla vigilia dello scoppio della guerra in Corea, Tito assunse una posizione eterodossa rispetto alla linea seguita degli altri paesi socialisti. La Jugoslavia, infatti, seguì, nei primi mesi del conflitto, la via dell’astensionismo ad eccezione - come vedremo successivamente - di alcune importanti occasioni. E proprio nelle astensioni si celava il bandolo della matassa: cosa c’era dietro di esse? Quale parte traeva, eventualmente, vantaggio da questa politica dei titini? Quando irruppe il conflitto armato, il 25 giugno, venne convocata una sessione di emergenza del Consiglio di sicurezza. La risoluzione dichiarava la Corea del Nord colpevole dell’aggressione e intimava le truppe del generale Kim Il Sung alla ritirata. L’Unione Sovietica non era presente volutamente al Consiglio. Dal gennaio 1950 infatti, Yakov Malik boicottava le sedute del Consiglio dopo che gli altri membri si rifiutarono di invitare un rappresentante della Repubblica Popolare Cinese al tavolo dell’ONU, lasciando il posto ai nazionalisti cinesi, fantocci agli ordini dell'imperialismo. Alla fine, la risoluzione venne approvata con 9 voti a favore e 1 astensione: la Jugoslavia. Questa posizione aveva un significato ben preciso: il Partito comunista titino non ammetteva né la colpevolezza, né l’incolpevolezza della Corea del Nord. Tutto questo almeno di fronte all’opinione pubblica. Ma dunque, quale sarebbe stata la prossima mossa di Tito? Secondo gli jugoslavi erano state le rappresaglie della Corea del Sud a provocare lo scontro armato, o il contrario, come sostenevano gli imperialisti? I volumi del FRUS (Foreign Relations of the United States) riguardo la guerra coreana raccolgono i telegrammi dei principali attori politici che si fronteggiarono nella penisola di Koryo. Le conversazioni, lungi ovviamente dal rivelare particolari sensazionali, ci agevolano nella nostra ricerca dal punto di vista cronologico, e ci consentono di approfondire le reali motivazioni dietro la politica intrapresa da Tito. Il primo telegramma risale al 26 giugno 1950, il giorno successivo alla riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza. Fu inviato da Dean Acheson all’ambasciata statunitense a Belgrado. (Le note numerate tra parentesi quadre sono mie. Le altre note, sempre tra parentesi quadre, ma non numerate, sono originali del FRUS. Lo stesso vale per i successivi telegrammi.) “L’ambasciatore jugoslavo [Vladimir Popovic] ha chiamato oggi per discutere riguardo la situazione coreana. Ne abbiamo approfittato per esprimere la nostra sorpresa di fronte all’astensione della Jugoslavia nella maggior parte delle risoluzioni adottate ieri dal consiglio di sicurezza dell’ONU. L’ambasciatore, mostrandosi chiaramente sulla difensiva, ha cercato di spiegarmi che l’azione deriva dal fatto che (1) la Jugoslavia ha riconosciuto il governo nord coreano un anno fa; (2) che la jugoslavia non ha riconosciuto il comando coreano delle Nazioni Unite; (3) che i fatti riportati ieri non hanno permesso di chiarire esattamente quale parte fosse responsabile dell’attacco; e infine (4) deriva dal fatto che gli jugoslavi credevano che la loro risoluzione[1], che richiamava entrambe le parti alla cessazione delle ostilità e al ritiro dietro la frontiera, fosse adeguata fino al momento di un ulteriore chiarimento della situazione. 1

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L'articolo ripercorre brevemente alcune delle tappe fondamentali del primo anno di guerra in Corea e descrive l'atteggiamento e le posizioni assunte dalla Jugoslavia dinanzi al nuovo conflitto in Asia.

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La Jugoslavia durante la guerra di Corea

Il 25 Giugno 1950 nella penisola Coreana irruppe una sanguinosissima guerra che sarebbe passata alla storia per aver determinato una delle fasi più acute del conflitto dei blocchi contrapposti, quello orientale e quello atlantico. Da un lato la Repubblica Popolare Cinese e Unione Sovietica come rappresentanti della prima compagine, e, dall’altro, le forze dell’ONU guidate dagli Stati Uniti d’America. In questo scenario emergeva la Jugoslavia. Espulsa dal Cominform nel 1948, i titoisti contrapponevano il socialismo centralizzato sovietico alla propria via al socialismo; il “burocratico” PCUS alla Lega dei comunisti jugoslavi. Dunque è essoterico il perché, anche alla vigilia dello scoppio della guerra in Corea, Tito assunse una posizione eterodossa rispetto alla linea seguita degli altri paesi socialisti. La Jugoslavia, infatti, seguì, nei primi mesi del conflitto, la via dell’astensionismo ad eccezione - come vedremo successivamente - di alcune importanti occasioni. E proprio nelle astensioni si celava il bandolo della matassa: cosa c’era dietro di esse? Quale parte traeva, eventualmente, vantaggio da questa politica dei titini? Quando irruppe il conflitto armato, il 25 giugno, venne convocata una sessione di emergenza del Consiglio di sicurezza. La risoluzione dichiarava la Corea del Nord colpevole dell’aggressione e intimava le truppe del generale Kim Il Sung alla ritirata. L’Unione Sovietica non era presente volutamente al Consiglio. Dal gennaio 1950 infatti, Yakov Malik boicottava le sedute del Consiglio dopo che gli altri membri si rifiutarono di invitare un rappresentante della Repubblica Popolare Cinese al tavolo dell’ONU, lasciando il posto ai nazionalisti cinesi, fantocci agli ordini dell'imperialismo. Alla fine, la risoluzione venne approvata con 9 voti a favore e 1 astensione: la Jugoslavia. Questa posizione aveva un significato ben preciso: il Partito comunista titino non ammetteva né la colpevolezza, né l’incolpevolezza della Corea del Nord. Tutto questo almeno di fronte all’opinione pubblica. Ma dunque, quale sarebbe stata la prossima mossa di Tito? Secondo gli jugoslavi erano state le rappresaglie della Corea del Sud a provocare lo scontro armato, o il contrario, come sostenevano gli imperialisti? I volumi del FRUS (Foreign Relations of the United States) riguardo la guerra coreana raccolgono i telegrammi dei principali attori politici che si fronteggiarono nella penisola di Koryo. Le conversazioni, lungi ovviamente dal rivelare particolari sensazionali, ci agevolano nella nostra ricerca dal punto di vista cronologico, e ci consentono di approfondire le reali motivazioni dietro la politica intrapresa da Tito. Il primo telegramma risale al 26 giugno 1950, il giorno successivo alla riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza. Fu inviato da Dean Acheson all’ambasciata statunitense a Belgrado.

(Le note numerate tra parentesi quadre sono mie. Le altre note, sempre tra parentesi quadre, ma non numerate, sono originali del FRUS. Lo stesso vale per i successivi telegrammi.)

“L’ambasciatore jugoslavo [Vladimir Popovic] ha chiamato oggi per discutere riguardo la situazione coreana. Ne abbiamo approfittato per esprimere la nostra sorpresa di fronte all’astensione della Jugoslavia nella maggior parte delle risoluzioni adottate ieri dal consiglio di sicurezza dell’ONU. L’ambasciatore, mostrandosi chiaramente sulla difensiva, ha cercato di spiegarmi che l’azione deriva dal fatto che (1) la Jugoslavia ha riconosciuto il governo nord coreano un anno fa; (2) che la jugoslavia non ha riconosciuto il comando coreano delle Nazioni Unite; (3) che i fatti riportati ieri non hanno permesso di chiarire esattamente quale parte fosse responsabile dell’attacco; e infine (4) deriva dal fatto che gli jugoslavi credevano che la loro risoluzione[1], che richiamava entrambe le parti alla cessazione delle ostilità e al ritiro dietro la frontiera, fosse adeguata fino al momento di un ulteriore chiarimento della situazione.

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Abbiamo risposto che non c’era alcun dubbio sul fatto che i nord coreani avessero invaso la Corea del Sud, senza alcuna provocazione da parte della Repubblica di Corea, la quale è stata completamente colta di sorpresa. Abbiamo aggiunto che era chiaro che la Corea non avrebbe mai compiuto un’azione simile senza l’ispirazione dei sovietici. Abbiamo sottolineato la vitale importanza della prontezza e dell’efficacia delle azioni del Consiglio di Sicurezza in caso di aggressioni armate contro paesi indipendenti a abbiamo espresso il parere che deve essere certamente negli interessi diretti della Jugoslavia il fatto che ci siano tutte le basi che permettano al Consiglio di Sicurezza di agire in questa maniera. In virtù del fatto che al Consiglio di Sicurezza verrà presumibilmente richiesto di prendere ulteriori decisioni sulla questione coreana e [verrà richiesto] preferibilmente che questi provvedimenti abbiano un supporto unanime, sei pregato di ribadire le questioni agli alti funzionari jugoslavi.”[2]

A questo punto, la posizione della Jugoslavia, o per meglio dire, l'utilità di questa posizione, non appariva chiara, nemmeno al segretario Acheson. Tuttavia, qualche lettore potrebbe meravigliarsi dello stupore mostrato dal Segretario di Stato statunitense nel vedere una nazione socialista, come si dichiarava la Jugoslavia, non allinearsi alle decisioni prese dalle democrazie occidentali. La Jugoslavia al tempo aveva assunto già un atteggiamento completamente divergente dalle politiche di Mosca e si era quindi completamente estraniata dal blocco socialista. Già denunciati dal Cominform nel ‘48 per l’allontanamento dal marxismo-leninismo, i titini vennero condannati categoricamente nell’anno successivo dal blocco socialista come quinte colonne dell’imperialismo atlantico. “Combattere la cricca di Tito, cricca di spie e di assassini venduti, è il dovere internazionale di tutti i partiti comunisti e operai”[3], diceva Gheorghe Gheorghiu-Dej nel 1949.

Il Partito comunista jugoslavo denunciava, assimilandosi di fatto alla critica trotskista, la “burocratizzazione” e la “degenerazione” del socialismo sovietico, mentre nello stesso istante nelle campagne jugoslave il piano di collettivizzazione si avviava al totale fallimento, con i kulaki liberi di esercitare la propria egemonia nel settore rurale dell’economia. Il tutto senza che i dirigenti jugoslavi prendessero delle decisioni categoriche per eliminare il grave fenomeno. C’è da considerare, inoltre, che la proposta di risoluzione jugoslava citata da Tito nel telegramma precedente invitava esclusivamente Pyongyang a dichiarare le sue motivazioni dello scoppio del conflitto. Lo stesso 25 Giugno, infatti, senza nessuna obiezione - e quindi, con il consenso jugoslavo - il Consiglio di Sicurezza permise ad un rappresentante della Corea del Sud di prendere parte al tavolo del Consiglio.

Il 27 giugno rappresentò un’altra tappa importante nell’ambito del conflitto coreano. Venne approvata in quel giorno una nuova risoluzione che invitava le nazioni che si opponevano alla fantomatica “aggressione” del nord a fornire alla parte “lesa”, la Repubblica di Corea, l’assistenza “necessaria a respingere l’invasione armata e a riportare la pace internazionale e la sicurezza nell’area."[4]. Iniziò così, in modo “legale”, la seconda aggressione dei predoni statunitensi in Corea, questa volta supportati dagli altri paesi occidentali, i quali ritrovarono nella menzogna dell'aggressione il via libera all'assalto della penisola asiatica. In Consiglio, lo scenario precedente si ripropose in modo similare: di nuovo la Jugoslavia disattese le aspettative degli USA, votando contro la risoluzione[5]. Anche questa volta, però, si trattò di un voto ininfluente e la proposta venne approvata senza intoppi. Il 28 giugno George Allen[6] ricevette Tito per ottenere ulteriori informazioni circa la posizione assunta dal suo rappresentate il giorno della votazione. Di tale incontro fece rapporto con un telegramma al Segretario di Stato.

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“Durante una conversazione con Tito oggi, sul tardi [tarda mattinata?], egli ha dato un’ampia spiegazione del punto di vista jugoslavo sul problema della Corea in Consiglio di Sicurezza. Ha detto che i suoi obiettivi principali erano quello di mostrare chiaramente la condanna jugoslava dell’aggressione e il supporto della Jugoslavia all’ONU, ma allo stesso tempo quello di convincere l’opinione pubblica mondiale che la Jugoslavia fosse indipendente da qualsiasi blocco. Successivamente, in un’altra considerazione, ha detto che deve costantemente tenere in mente che se il Cominform attaccasse improvvisamente la Jugoslavia, Mosca farebbe di tutto per dipingere la Jugoslavia come uno strumento dell’aggressione occidentale diretta contro il Cominform e cercherebbe di giustificare l’attacco come una necessaria misura difensiva. Ha dichiarato che deve far capire perfettamente all'“opinione progressista” che queste asserzioni non hanno alcun fondamento. Tito ha ammesso, dopo qualche esitazione, che egli dovrebbe tener conto anche di eventuali quinte colonne del Cominform in Jugoslavia, così come negli altri paesi. Io ho risposto che, nonostante apprezzassi la sua spiegazione alcune volte sorgono delle situazioni in cui una nazione, all’unisono, deve essere desiderosa di levarsi e di essere annoverata dalla parte di quelle forze che si oppongono all’aggressione, senza alcun equivoco o rimandi. Ho detto di credere che quest’occasione si sia presentata nel caso della Corea. Tito mi ha risposto dicendo di essere al corrente che la posizione presa dal rappresentante della Jugoslavia in Consiglio di Sicurezza non avrebbe alterato la decisione di quell’organo e ha aggiunto che Bebler ha presentato la risoluzione senza istruzioni. Non mi ha fatto intendere di voler prendere le distanze da Bebler e nemmeno che gli avrebbe inviato nuove istruzioni ma ha implicato che il governo Jugoslavo avrebbe rispettato qualsiasi decisione presa dal Consiglio di Sicurezza in accordo con la Carta. Tito ha detto di non aspettarsi che la situazione coreana o il movimento di truppe nei Balcani avrebbero interrotto i suoi piani di lasciare Belgrado alla fine della settimana e ha concluso dicendo che avrebbe aspettato di vedermi a Bled il 4 luglio.”[7]

Da questo colloquio la situazione incominciò a farsi decisamente più chiara. Tito paventava che i dissidi ideologici con l’URSS avrebbero portato i sovietici addirittura ad attaccare la Jugoslavia. Gli jugoslavi inoltre si trovavano nelle condizioni, secondo il Maresciallo, di dover fronteggiare delle spie inviate dal Cominform per destabilizzare dall’interno lo Stato balcanico. Un supporto diplomatico sarebbe stato "rischioso", per i titoisti. Ma secondo quanto riportava Allen non c’era niente da temere per gli Stati Uniti: la Jugoslavia appoggiava privatamente, ma pienamente, le operazioni imperialiste capeggiate dagli Stati Uniti contro i comunisti della Corea del Nord. I titini volevano semplicemente mantenere la nomea di Stato completamente indipendente da qualsiasi sfera d’influenza, sia da quella socialista di tipo sovietico - come erano soliti dire nella Lega dei comunisti - sia da quella del mondo occidentale. In realtà a quest’ultimi paesi, a quanto si legge, si aggregavano segretamente i dirigenti jugoslavi dai quali, diplomaticamente, se ne distaccavano. Un telegramma interno inviato da Acheson, il 29 giugno 1950, sottolinea la posizione, ormai chiarissima, degli jugoslavi, di fronte alla crisi coreana ed in particolare nei confronti della risoluzione del 27 giugno.

“Le reazioni al discorso del presidente [del 27 giugno] continuano ad essere per la maggior parte favorevoli: [...] Il delegato jugoslavo ha informato il delegato statunitense che la Jugoslavia privatamente supportava e comprendeva l’azione degli Stati Uniti in Corea ma non avrebbe potuto supportare pubblicamente la risoluzione in Consiglio di Sicurezza a causa della sua guerra ideologica con l’URSS.”[8]

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Un nuovo scambio di telegrammi avvenne il primo luglio 1950. Il messaggio inviato da Belgrado riportava la firma di Allen che riportava il suo colloquio con Edvard Kardelj al Segretario di Stato:

“Kardelj ha iniziato la conversazione esprimendo la speranza che gli Stati Uniti avrebbero compreso la posizione sulla Corea assunta dalla Jugoslavia in Consiglio di Sicurezza. Ha continuato dicendo di voler far sapere agli Stati Uniti che gli jugoslavi hanno compreso perfettamente e approvano l’azione degli USA. Ha aggiunto con convinzione che l’intervento degli Stati Uniti ripristinerebbe rapidamente la situazione in Corea e ha affermato che il risultato avrebbe determinato la più grande e possibile “spinta verso la pace”. Kardelj è andato avanti dicendo che noi dovremmo capire che una perdita di prestigio di tale importanza, spingerà i Russi a rifarsi altrove. Egli non crede che i Russi siano pronti ad accettare una sfida in Corea. Reams ha espresso apprezzamento per le parole di comprensione e supporto di Kardelj.” [9]

Riguardo alle parole di Reams, in una nota del FRUS si legge:

“Il telegramma 2, 3 luglio, a Belgrado, non stampato, ha espresso gratificazione verso le indicazioni Jugoslave di comprensione e approvazione dell’azione degli Stati Uniti in Corea e conclude: “Noi crediamo di dover essere soddisfatti in questo momento della benevolente neutralità della parte Jugoslava e non dovremmo pressare il Governo Jugoslavo per ottenere una aperta manifestazione di supporto.”

Queste dichiarazioni, che ricalcano la falsa riga delle precedenti osservazioni Tito, sembrano confermare la convergenza di interessi tra Washington e Belgrado riguardo la questione coreana. Kardelj, con tutta probabilità, accenna alla possibilità che i Sovietici possano puntare alla Jugoslavia come obiettivo delle proprie mire espansionistiche, in virtù della perdita di prestigio in Asia. Non era la prima volta che i dirigenti jugoslavi si lasciavano andare a simili e non tanto implicite richieste di aiuto - principalmente bellico - verso l’occidente. Alla fine, gli jugoslavi, riuscirono a smuovere gli Stati Uniti. Proprio nel 1950, infatti, incominciarono le trattative ufficiali per estendere gli aiuti di Washington, regolati dal Mutual Defense Assistance Act del 1949, anche alla Repubblica Federale di Tito.

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Tratto dal Bollettino del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Vol. XXVII, No. 693, 6 ottobre 1952.

(Ovviamente questa immagine elenca gli “aiuti” ufficiali da parte degli USA. I paesi del Cominform sostenevano che la Jugoslavia ricevette numerose volte aiuti clandestini.)

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La guerra di Corea quindi avrebbe potuto, almeno in potenza, apportare agli imperialisti un duplice beneficio. Gli statunitensi, con il supporto di altri “paesi liberi”, avrebbero soddisfatto la propria sete imperialistica conquistando tutta la Corea, facendo breccia in modo considerevole nell’Asia orientale, potendosi dedicare magari con tutte le proprie forze alla questione di Taiwan, per poi passare alla destabilizzazione del nuovo governo popolare in Cina. Di conseguenza, avrebbero continuato a fomentare la militarizzazione dei paesi asiatici assoggettati ai propri interessi. Dall’altro lato, sul versante europeo, i paesi occidentali approfittarono delle suppliche di Tito sulle false accuse contro l'Unione Sovietica per affondare le proprie zanne sulla Jugoslavia. I prestiti e gli “aiuti” furono ingenti e la Jugoslavia si ritrovò completamente sommersa dai debiti e, di conseguenza, dipendente dai paesi dell’ovest. Nel 1950 gli USA stanziarono celermente per la Jugoslavia 76 milioni di dollari. La seconda ondata di generosi aiuti fu sancita dall’incontro organizzato a Londra nel 1951 tra Inghilterra, Francia e Stati Uniti, i quali si accordarono per fornire alla Jugoslavia 120 milioni di dollari - gli States parteciparono destinando 75 milioni - tra il '51 e il '52. Ed ovviamente i dollari e le sterline che invasero Belgrado arrivarono numerose altre volte e in diverse maniere e quantità. Non si parla, però, come già accennato in precedenza, di semplici aiuti alimentari. Il supporto principalmente anglo-americano - con la stretta collaborazione di Germania Ovest, Italia, Belgio, Francia, Austria - mirava ad un completo riarmo della Jugoslavia, che si ritrovava con un comparto militare non appropriato a mettere pressione ai paesi del Cominform confinanti (Romania, Bulgaria, Ungheria, ecc.) e tecnicamente non disponeva dei mezzi adeguati per ricoprire il ruolo di base per la tecnologia in uso dalle forze americane. Iniziò, proprio in quel 1950 una militarizzazione senza precedenti che aveva come obiettivo principale il rafforzamento delle truppe statunitensi-jugoslave lungo i confini dei paesi socialisti adiacenti. In questi termini ne parlava l’Unità del giugno di quell’anno:

“Notizie provenienti dall’interno della Jugoslavia danno un quadro dei progetti di armamento, straordinariamente accelerati in questi ultimi tempi, che la cricca di Belgrado sta compiendo in tutto il paese. Considerata una dei settori chiave del sistema atlantico, la Jugoslavia si appresta a divenire una fra le più importanti piazze d’armi dal mondo. Dalla politica dei rifornimenti alla spicciolata e semiclandestini, lo S.M. USA è passato in questi ultimi mesi a quella del riarmo su vasta scala. Un piano segreto, elaborato nell’ultima riunione dello S.M. atlantico, ha assegnato alla cricca di Belgrado il compito di costruire nei Balcani un apparato militare aggressivo superiore, quantitativamente, alle forze armate di tutte le democrazie popolari confinanti. In base a tale piano la chiamata alle armi di alcune classi ha portato il numero degli effettivi dell’esercito jugoslavo alla cifra di un milione di uomini. Aggiungendo a questi i 600 mila poliziotti (300 mila della polizia segreta e 300 mila comuni) si ha che più del 10% della popolazione è oggi militarizzato. [...] La direzione tecnica dell’esercito jugoslavo è passata direttamente nelle mani di centinaia di esperti americani e specialisti tedeschi già della “Wehrmacht”, giunti ultimamente nel paese. Costoro organizzano corsi di specializzazione per ufficiali ed aviatori titini a cui insegnano l’uso delle armi americane e tedesche. Sul processo di militarizzazione va orientandosi tutta l’economia del paese. Secondo le statistiche ufficiali, inferiori alla realtà, nel 1949 il 33% dell’intero bilancio è stato dedicato alle spese militari e nell’anno in corso si raggiungerà la percentuale del 51%.”[10]

Tito, come si può vedere, non fece assolutamente nulla per non legare mani e piedi del proprio paese all’imperialismo. Anzi, continuò a perseguire la propria politica aggressiva nei confronti dei paesi del Cominform; politica funzionale agli interessi imperialistici atlantici, che erano pronti ad invadere quanto prima i paesi cominformisti, tutto, ovviamente, in nome della lotta al comunismo. Gli Stati

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Uniti, perciò, avevano ben compreso l’utilità di una Jugoslavia completamente asservita al proprio blocco imperialistico. Alla luce di questo progetto, non fu difficile accontentare le suppliche dei Tito, il quale, accantonando totalmente l’internazionalismo proletario, richiedeva insistentemente armamenti occidentali, sia per via legale che non. La spiccata virata in senso nazionalistico della politica estera di Tito si ritrovò a convergere con gli interessi atlantici dell’accerchiamento dell’URSS. Il socialismo di tipo jugoslavo, che poco spaventava la politica imperialista, aveva inoltre diviso non solo il mondo comunista ma anche l’opinione pubblica, a cui veniva presentato un socialismo di tipo diverso; come dicevano gli jugoslavi, un socialismo non burocratico, non rigido come quello dell’URSS e, come propagandavano anche gli USA, non espansionistico come quello sovietico. Tutti questi precedenti autorizzavano gli aggressori della NATO a focalizzare le proprie attenzioni anche sul punto di vista strategico dello scenario in Europa orientale dopo la rottura di Tito. Gli imperialisti consideravano la Jugoslavia un territorio strategicamente essenziale, da rifornire di armamenti e munizioni, preferibilmente made in USA. In una lettera inviata il 16 Aprile 1951 al Presidente del Senato, al Presidente della commissione degli affari esteri e al Presidente della commissione delle forze armate del senato, è lo stesso Presidente Truman, a ribadirlo:

“Come sapete, gli Stati Uniti hanno fornito un’assistenza alimentare d’emergenza alla Jugoslavia negli ultimi mesi per far fronte alla situazione a rischio di sicurezza nel paese causata dalla recente siccità: inizialmente attraverso i rifornimenti del Atto di Mutua Assistenza Difensiva, l'Atto di Cooperazione Economica, e attraverso i prestiti fatti della Eximbank; successivamente attraverso le provviste dell'Atto degli aiuti d'Emergenza jugoslavo. La siccità che ha scaturito la situazione d’emergenza, comunque, non ha soltanto causato una insufficienza di cibo per la consumazione in Jugoslavia, ma ha anche reso impossibile per la Jugoslavia esportare i prodotti agricoli da cui normalmente ottiene i fondi per pagare le importazioni di materie prime di estrema necessità. La conseguente carenza di materie prime, incluse quelle di base necessarie alle forze armate jugoslave, è così acuta da mettere a repentaglio l’efficacia militare dell’esercito jugoslavo ed è così grave da affievolire le capacità difensive della Jugoslavia contro una aggressione. Come vi ho spiegato in una mia lettera il 24 novembre 1950, e per le ragioni ivi presentate, ho riscontrato che la Jugoslavia è una nazione la cui posizione strategica la rende di importanza diretta alla difesa dell’area Nord Atlantica, e che un immediato rafforzamento delle sue abilità difensive, rispetto a quelle di cui può usufruire la Jugoslavia senza assistenza, contribuirà alla preservazione della pace e della sicurezza dell’area Nord Atlantica. Ho stabilito, perciò, dopo una consultazione con gli altri governi della altre nazioni facenti parte della NATO, che per realizzare efficacemente gli obiettivi dell'Atto di Mutua Assistenza Difensiva del 1949, come rettificato, è essenziale utilizzare come misura immediata non più di 29 milioni di dollari dei fondi stanziati ai fini del Titolo I di quell’Atto, in modo da fornire materie prime e rifornimenti simili alla Jugoslavia di tipo e in quantità atti a soddisfare determinate necessità di consumo per il supporto delle sue forze armate.”[11]

Allo stesso modo, in un articolo di George Allen risalente al 10 Marzo 1952, anch’egli mette in chiaro l’importanza del territorio jugoslavo: “L’abilita della Jugoslavia di resistere è importante al mantenimento della pace e della sicurezza in tutte l’area Nord Atlantica, e, di conseguenza, alla conservazione degli Stati Uniti.”[12]

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Date queste premesse, non è difficile ipotizzare quale sarebbe stata la tattica degli imperialisti atlantici nella penisola Balcanica: fomentare il riarmo della Jugoslavia, militarizzare i confini con i paesi del Cominform, condurre a conflitti diplomatici, creare incidenti di frontiera per poi, finalmente, ricreare una nuova guerra di Corea che avrebbe coinvolto i paesi dell'Europa orientale. Dopo l'accelerato riarmo, gli effettivi movimenti di truppe jugoslave sui confini - come contro la Bulgaria, nel '50 -, l'interruzione di rapporti diplomatici - nel caso dell'Albania, nel novembre dello stesso anno - i dirigenti dei paesi cominformisti non potevano che identificare le azioni di Tito come mosse atte a scatenare un conflitto in Europa. "La cricca di Tito esercita la funzione di fautrice di guerra nei Balcani.", diceva Chișinevschi.[13]

Tornando alle relazioni diplomatiche, il telegramma non stampato citato sopra, e cioè le dichiarazioni di apprezzamento del console americano Reams, puntualizzavano che la - benevolent - neutralità jugoslava in sede di Consiglio di Sicurezza non poteva che essere di aiuto agli scopi imperialistici americani, almeno in quel momento. Le motivazioni di una posizione così cauta da parte jugoslava sono ribadite da un terzo telegramma, questa volta risalente al 6 Luglio 1950, partito da Belgrado alle 10 di mattina. Vengono riferite al Segretario di Stato le parole di un colloquio tra lo stesso ambasciatore americano George Allen e Edvard Kardelj:

“Kardelj mi ha confermato la scorsa notte a Bled le osservazioni che fece a Reams a Belgrado. Ha ripetuto che l’equivoca posizione del governo Jugoslavo sulla questione Coreana deriva principalmente dalle considerazioni sull’immediata sicurezza della Jugoslavia. Il Governo Jugoslavo non desidera dare ai Sovietici nessuna motivazione per creare “una seconda Corea qui”. Ha aggiunto che la Jugoslavia, essendo un paese comunista, riscontra delle difficoltà ad allinearsi ora con Stati Uniti, perché alcuni quotidiani Americani e alcuni uomini di stato stanno invocando alla “crociata contro il Comunismo”. Egli ha detto che se l’azione delle truppe Nord Coreane fosse designata come aggressione da parte del “Comunismo di tipo Sovietico”, la Jugoslavia troverebbe molte meno difficoltà a schierarsi apertamente dalla nostra parte. Comunque, egli ha detto che nonostante queste ed altre considerazioni la Jugoslavia riconosce tuttavia il fatto schiacciante che i Nord Coreani sono stati gli aggressori e che la suprema necessità della Jugoslavia è quella di punire l’aggressione. Di conseguenza, la Jugoslavia è soddisfatta dalla decisione presa dal Consiglio di Sicurezza, che la Jugoslavia ritiene pienamente legittima. Il rifiuto da parte della Corea del Nord di accettare questa decisione ha lasciato libertà di azione alla Jugoslavia.Io ho risposto che molte persone consideravano il Comunismo, insieme al Fascismo e ad altre dittature esercitate da un gruppo o da una classe, come sinonimo di aggressione e l’unico modo per la Jugoslavia di convincere queste persone che il Comunismo Jugoslavo è diverso è quello che il Governo Jugoslavo si pronunci pubblicamente e categoricamente contro l’aggressione da parte della Corea del Nord e in supporto dell’azione delle Nazioni Unite per fermarla. Ho fatto notare che nel caso si verificasse agli Stati Uniti l’occasione di chiedere al Consiglio di Sicurezza un’azione in supporto della Jugoslavia, sarebbe difficile suscitare l’entusiasmo tra la popolazione Americana se la Jugoslavia mantenesse una posizione neutrale sul caso Coreano.Kardelj, che mi stava chiaramente informando della ferma decisione presa dal Politburo Jugoslavo, ha detto che il Governo della Jugoslavia avrebbe cercato presto il momento appropriato per “scendere in campo” e fare una dichiarazione in favore della risoluzione del Consiglio di Sicurezza. Mi ha detto che i recenti movimenti di truppe in Bulgaria hanno reso per il momento la situazione Jugoslava molto delicata ma hanno pensato che il momento

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appropriato per la dichiarazione della Jugoslavia sarebbe giunto quando i combattimenti sarebbero ritornati al 38esimo parallelo, se non prima.Nonostante io abbia seguito una dura linea nei confronti del governo Jugoslavo fin dall’inizio del caso Coreano, sollecitandoli ad un aperto supporto alla nostra posizione nelle Nazioni Unite, riconosco che ci potrebbero essere molte valide motivazioni che provano che la posizione neutrale della Jugoslavia sia vantaggiosa per noi al momento, e accoglierei ogni istruzione o pensiero che il Dipartimento avesse sul caso. Altrimenti continuerò a premere per una prossima e categorica dichiarazione. Mi sembra che, allo stato attuale, il desiderio di una chiara posizione della Jugoslava contro l’aggressione sia più importante di qualsiasi altra considerazione, anche se ci potrebbero essere delle pressanti condizioni a sfavore.”[14]

Una linea, quella che in base a questi telegrammi dimostrava di perseguire la Jugoslavia, ovviamente completamente divergente da quella di Mosca, che fin dall’inizio della crisi del 38° parallelo accusò la Corea del Sud di Syngman Rhee di essere l’unica responsabile della guerra. In questo senso, non lasciano spazio all’immaginazione le dichiarazioni di condanna dell’allora vice ministro degli Esteri Andrej Gromyko:

“Gli eventi che stanno avvenendo in Corea sono divampati il 25 Giugno, come risultato di un attacco provocatorio da parte delle truppe Sud Coreane nell’area di confine con la Repubblica Popolare Democratica di Corea. Questo attacco è stato l’esito di un piano premeditato.Molto spesso lo stesso Syngman Rhee ed altri rappresentanti delle autorità Sud Coreane hanno proclamato che la cricca sud coreana di Syngman Rhee avesse tale piano. Il 7 Ottobre 1949, Syngman Rhee, vantandosi dei successi raggiunti dal suo esercito nelle esercitazioni, disse apertamente, in una intervista concessa a un corrispondente americano dello United Press, che l’esercito della Corea del Sud avrebbe potuto conquistare Pyongyang in tre giorni. Il 31 Ottobre 1949, Sin Sen Mo, Ministro della Difesa del governo Syngman Rhee, disse anch’egli ai corrispondenti dei quotidiani che le truppe Sud Coreane erano talmente forti da poter prendere Pyongyang nel giro di pochi giorni. Solo poche settimane prima dell’attacco provocatorio da parte delle truppe della Corea del Sud sul confine della Repubblica Popolare Democratica di Corea, Syngman Rhee disse, il 19 Giugno, in un discorso tenuto alla cosiddetta “Assemblea Nazionale” dove era presente Dulles, consigliere del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, queste parole: “Se non riusciremo a proteggere la democrazia nella guerra fredda, vinceremo in un conflitto armato.” [...] La risoluzione illegale del 27 Giugno, approvata dal Consiglio di Sicurezza sotto la pressione del governo degli Stati Uniti, dimostra che il Consiglio di Sicurezza sta agendo, non come un organo che è incaricato della principale responsabilità del mantenimento della pace, ma come uno strumento utilizzato dalla cerchia capeggiata dagli Stati Uniti per scatenare la guerra.”[15] (4 Giugno 1950)

E ancora, in un telegramma inviato l’11 Luglio, dall’ambasciatore statunitense in URSS Alan Kirk, si parla di un incontro tra l’ambasciatore britannico David Kelly e Gromyko:

“Kelly si è visto con Gromyko questo pomeriggio. [...] Gromyko, una volta ascoltato, e dopo alcuni chiarimenti sulla traduzioni, si è soffermato solamente su tre punti. Prima di tutto, non si è trovato d’accordo con l’affermazione di Kelly riguardante l’attacco Nord Coreano, ribadendo l’opinione Sovietica che l’attacco sarebbe stato “provocato” dalla Corea del Sud.”[16]

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Nelle votazioni di molte altre risoluzioni si verificò lo stesso scenario: il blocco atlantico dettava legge in Consiglio, la Jugoslavia si asteneva. Ma alla fine dell'estate del 1950 la situazione mutò definitivamente e i titoisti incominciarono a definire il proprio ruolo diplomatico nello scenario della crisi coreana. È assolutamente errato circoscrivere, in modo semplicistico, la politica di Tito sul caso Corea solamente al suo periodo "astensionista". Innanzitutto, già dopo poche settimane dal fatidico 25 Giugno, la Jugoslavia si era già schierata, e questa volta "alla luce del sole", insieme a quella formazione di paesi che identificavano le truppe nordcoreane negli “aggressori” e quindi nei responsabili della guerra.

“La battaglia del popolo coreano per l’unificazione e l’indipendenza sarebbe incondizionatamente giusta, a patto che i coreani stiano cercando una soluzione da soli. Ma quali sono le ragioni della guerra oggi? Questa guerra dei nord coreani contro [il corsivo è mio] i sud coreani porterà all’indipendenza? Ne dubito. Il popolo coreano, ovviamente, ha il diritto di trovare da solo la soluzione ai propri problemi.[17]

E d'altrone, come spiegare le dure critiche comparse nel famoso editoriale “La Jugoslavia è un paese socialista?"[18] del 1963? Nel corsivo in questione i cinesi non ebbero dubbi nell'attaccare le proditorie azioni dei dirigenti jugoslavi:

“Giudicando dal ruolo controrivoluzionario giocato dalla cricca di Tito nelle relazioni internazionali, come pure dalla politica estera reazionaria applicata da essa, si può affermare che la Jugoslavia è ben lungi dall’essere un paese socialista. La cricca di Tito è, sull’arena internazionale, un distaccamento speciale dell’imperialismo USA per il sabotaggio della rivoluzione mondiale. [...] Nel corso dei numerosi importanti avvenimenti internazionali sopravvenuti nel mondo durante questi ultimi dieci e più anni, la cricca di Tito ha invariabilmente giocato il ruolo di lacchè dell’imperialismo USA. [...] 2. Guerra di Corea. Il 6 settembre 1950 Kardelj, allora ministro degli Affari Esteri di Jugoslavia, fece una dichiarazione nella quale calunniò apertamente la giusta guerra di resistenza del popolo coreano contro l’aggressione e prese la difesa dell’imperialismo USA. Il 1° dicembre, nel suo intervento al Consiglio di sicurezza dell’ONU il delegato della cricca di Tito accusò la Cina “d’immischiarsi attivamente nella guerra di Corea”. Inoltre, la cricca di Tito votò all’ONU per l’applicazione dell’“embargo” contro la Cina e la Corea."[19]

Soffermiamoci sulla prima parte dell’articolo citato, quella riferita al 6 settembre. In effetti proprio quel giorno il Ministro Kardelj affermò, come riportato da un articolo del Borba, quotidiano ufficiale della Lega dei Comunisti Jugoslavi, che “coloro che hanno la responsabilità di aver scatenato una guerra in Corea devono sapere che una simile guerra metterà a rischio la pace mondiale, risveglierà le Grandi Potenze, e, su tutti i fronti, inasprirà il conflitto mondiale.”[20] In quella stessa dichiarazione, il ministro degli Esteri jugoslavo paragonò la guerra di Corea alla guerra attuata dal Cominform contro Tito. Entrambi questi conflitti - scatenati, secondo i titini, direttamente o indirettamente dai cominformisti - non rappresentavano “alcuna conquista nell'interesse del progresso umano”.

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Successivamente, in un discorso pronunciato prima dell’assemblea generale dell’ONU il 25 settembre, Kardelj disse, circa la crisi Coreana, che il governo di Tito “considera che l’attuale condotta del governo della Corea del Nord, non serve la causa di reale indipendenza ed unità del popolo coreano”. Ancora, riferendosi indirettamente all’Unione Sovietica e alla Cina Popolare: “coloro che stanno ispirando la condotta e le attività del governo nord coreano si sono imbarcati verso una rotta aggressiva le cui conseguenze saranno subite dai popoli di tutto il mondo”[21].

Anche L'Unità riportava le prese di posizione del gruppo jugoslavo alla fine di settembre:

“L’assemblea generale dell’ONU ha tenuto oggi due riunioni. In quella antimeridiana ha parlato il ministro degli Esteri titino, Kardelj il quale ha pronunciato un panegirico dell’aggressione americana contro il popolo coreano: al termine del suo discorso il rappresentante di Belgrado ha annunciato che presenterà una mozione tendente a far fermare le forze di invasione al 38° parallelo.”[22]

Allo stesso modo, i titini non negarono le proprie ingiurie alla Cina Popolare intervenuta nel conflitto, la cui avanzata si fece più sentire alla fine di novembre. Agli inizi dello stesso mese, il quotidiano del Partito comunista italiano riferiva di un'intervista concessa da Tito ad un corrispondende del New York Times, nel quale il Maresciallo era concorde con gli imperialisti nell'affibiare il titolo di "aggressori" ai combattenti cinesi.

“L’intervista che è commentata dal redattore diplomatico della United Press come una “ulteriore prova che Tito si avvicina all’Occidente” consta di sette punti. Il primo afferma che la Jugoslavia accetterà ogni decisione prenda l’ONU nel caso che la Cina sia dichiarata “aggressore”; questa dichiarazione fatta nel momento in cui MacArthur intensifica ed aggravava le sue provocazioni contro la Cina ed alla vigilia dell’invito rivolto dal Consiglio di Sicurezza a Pechino per l’invio di un delegato a deporre sulla questione, dimostra chiaramente il punto di soggezione agli americani raggiunto dalla cricca di Belgrado, della quale si può ben dire che ha firmato al Dipartimento di Stato una carta in bianco per l’utilizzazione in qualsiasi impresa provocatoria contro popoli liberi che lottano in difesa della pace e per la salvaguardia della propria indipendenza. E questo è confermato dal secondo punto il quale afferma che «la Jugoslavia non è molto entusiasta dell’aiuto simbolico perché questa è una politica debole che non ha praticamente effetto alcuno, e la Jugoslavia sta pensando a contribuire con forze armate alla guardia dell’ONU.»”[23]

La seconda parte dello scritto della redazione del Quotidiano del Popolo riferiva invece del collaborazionismo jugoslavo al momento dell'imposizione dell'embargo alla Cina. Anche queste accuse trovano riscontro nelle votazioni avvenute nella Commissione per le sanzioni:

“New York, 17 - il Comitato politico dell’Assemblea Generale dell’ONU si è riunito questa mattina per discutere la decisione presa dalla Commissione per le sanzioni, sotto la pressione americana, di vietare le esportazioni di cosiddetti «materiali strategici» alla Cina Popolare. All’inizio della seduta il delegato sovietico Malik ha preso la parola ed ha invalidato la competenza del Comitato di discutere la questione: egli ha sottolineato che qualsiasi problema il quale interessi la pace e la sicurezza internazionale, com’è appunto l’embargo proposto, deve essere preso in esame del Consiglio di Sicurezza, unico organo qualificato in proposito.

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«In considerazione dell’incompetenza dell’Assemblea Generale su questo argomento - ha dichiarato Malik - l’Unione Sovietica non parteciperà alla discussione di tale problema». Il delegato sovietico ha aggiunto, ammonendo il Comitato a non prendere una decisione illegale, che «è evidente che la risoluzione americana per l’embargo contro la Cina è stata redatta allo scopo di prolungare ed allargare il conflitto». [...] Il delegato indiano, Sir Benegal Rau, ha affermato dal canto suo che l’approvazione da parte del Comitato politico dell’embargo a carico della Cina non farà che aggravare la situazione e creare ulteriori ostacoli al raggiungimento della pace in Corea. Rau ha ricordato che l’India, per la stessa ragione, aveva votato contro la risoluzione americana del 1. febbraio nella quale si dichiarava la Cina «Stato aggressore». «Di conseguenza - ha detto Rau - noi non possiamo approvare oggi una raccomandazione che è conseguenza della risoluzione del 1. febbraio.». Dopo un intervento nel quale il delegato americano ha sostenuto la risoluzione aggressiva, il Comitato è passato alla votazione sulla mozione. Hanno votato a favore 45 delegazioni: Arabia Saudita, Argentina, Australia, Belgio, Bolivia, Brasile, Canada, Cile, Cina, Colombia, Costa Rica, Cuba, Danimarca, El Salvador, Etiopia, Filippine, Francia, Grecia, Guatemala, Haiti, Honduras, Inghilterra, Iran, Iraq, Islanda, Israele, Jugoslavia, Libano, Liberia, Messico, Olanda, Nicaragua, Norvegia, Nuova Zelanda, Panama, Paraguay, Perù, Repubblica Dominicana, Stati Uniti, Thailandia, Turchia, Unione del Sudafrica, Uruguay, Venezuela, Yemen. Si sono astenute 9 delegazioni: Afghanistan, Birmania, Ecuador, Egitto, India, Indonesia, Pakistan, Siria, Svezia. Non hanno partecipato al voto: Cecoslovacchia, Polonia, Bielorussia, Ucraina, Unione Sovietica. Dopo la votazione, il delegato sovietico Malik ha dichiarato che il Comitato politico ha commesso con il voto odierno una flagrante violazione della Carta dell’ONU ed ha definito la risoluzione approvata «un atto vergognoso, conforme ai disegni aggressivi negli ambienti dirigenti degli Stati Uniti.”[24]

Si dimostravano quindi veritiere le accuse riportate dai corsivisti cinesi. Altre risoluzioni dal marcato carattere imperialista trovarono il consenso della Jugoslavia. Il 10 novembre 1950 si tenne un altro incontro del CDS dell'ONU. In quel giorno venne presentata una proposta di risoluzione (S/1894) redatta da sei potenze: Cuba, Ecuador, Francia, Norvegia, Regno Unito e Stati Uniti. Il testo constava dei seguenti punti:

"Il Consiglio di Sicurezza,

Richiamando la sua risoluzione del 25 giugno 1950, che asseriva che le forze nord coreane avevano commesso una violazione della pace e che invocava tutti i Membri delle Nazioni Unite ad astenersi dal dare assistenza alle autorità nord coreane,

Richiamando la risoluzione adottata dall'Assemblea Generale nel 7 ottobre 1950, che stabiliva le politiche delle Nazioni Unite riguardo la Corea,

Preso atto dai rapporti speciali del Comando delle Nazioni Unite in Corea datati 5 novembre 1950 che unità militari dei comunisti cinesi erano state schierate per un'azione contro le forze delle Nazioni Unite in Corea,

Affermando che le forze delle Nazioni Unite non dovrebbero rimanere in nessuna parte della Corea a differenza di questo momento necessario per raggiungere gli obiettivi di stabilità in tutta la Corea e per la costituzione di un governo unificato indipendente e democratico nello

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Stato sovrano di Corea, come stabilito nella risoluzione dell'Assemblea Generale del 7 ottobre 1950,

Ribadendo che non deve essere intrapresa nessuna azione che possa condurre il conflitto coreano a diffondersi nelle altre aree e con ciò mettere a repentaglio ulteriormente la pace e la sicurezza internazionale,

Richiama tutti gli Stati e le autorità, ed in particolare quelli responsabili delle azioni menzionate sopra, di astenersi dall'assistere o dall'incoraggiare le autorità nord coreane, a impedire ai propri cittadini, individui o unità delle proprie forze armate, di fornire assistenza alle forze nord coreane, e [richiama] ad indurre l'immediata ritirata di ogni cittadino, individuo o forza armata che si troverebbe in questo momento in Corea;

Dichiara che la politica delle Nazioni Unite è quella di mantenere inviolati i confini cinesi con la Corea ed è quella di proteggere pienamente i legittimi interessi cinesi e coreani nella zona di frontiera;

Richiama l'attenzione sul grave pericolo che un continuato intervento delle forze cinesi in Corea comporterebbe per il mantenimento di tale politica;

Richiede che il Comitato di Transizione sulla Corea e la Commissione delle Nazioni Uniti per la Riabilitazione della Corea considerino urgentemente e di contribuire alla soluzione di qualsiasi problema relativo alle condizioni sul confine Coreano in cui gli Stati o le autorità dall'altra parte della frontiera hanno interesse, e suggerisce alla Commissione delle Nazioni Unite per l'Unificazione e la Riabilitazione della Corea di procedere nell'area il prima possibile, e, nell'attesa del suo arrivo, suggerisce di utilizzare l'assistenza di quegli Stati membri della Commissione che in questo momento hanno sul luogo dei rappresentanti per questo scopo."[25]

La votazione di questa risoluzione avvenne al 530esimo meeting del Consiglio di Sicurezza, il 30 novembre. L'Unione Sovietica pose il veto e la proposta venne respinta per 9 voti a favore (compresa la Jugoslavia), 1 contrario (veto dell'URSS) e 1 membro non partecipante alla votazione (India). Anche in questa nuova votazione, la Jugoslavia continuò a mettere in pratica la nuova linea di aperto ricongiungimento diplomatico con il blocco atlantico dopo il periodo precedente contrassegnato delle astensioni. In particolare, con questa votazione, i titini concordarono di fatto nel dichiarare i nord coreani “aggressori", rendendo praticamente senza più alcun significato l'astensione del 25 giugno. Nello stesso giorno avvennero altre due votazioni di altrettante proposte formulate precedentemente. La prima era una proposta del delegato della Repubblica Popolare Cinese - sponsorizzata dall'Unione Sovietica - che condannava l'aggressione degli Stati Uniti contro Taiwan e contro la Corea:

“Il Consiglio di Sicurezza,

Riconosciuto che l'invasione e l'occupazione di Taiwan da parte delle forze del Governo degli Stati Uniti d'America costituisce un'aperta e diretta aggressione contro il territorio cinese;

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Riconosciuto che l'aggressione armata contro il territorio cinese e l'intervento armato in Corea da parte del Governo degli Stati Uniti d'America ha sconvolto la pace e la sicurezza in Asia e costituisce una violazione della Carta delle Nazioni Unite e degli accordi internazionali,

Condanna il Governo degli Stati Uniti d'America per i suoi atti criminali di aggressione armata contro il territorio cinese di Taiwan e di intervento armato in Corea;

Risolve di richiedere la ritirata dalla Corea delle forze armate degli Stati Uniti d'America e di tutti gli altri paesi e di lasciare ai popoli della Corea del Nord e quella del Sud di risolvere gli affari nazionali della Corea da soli, così che possa essere raggiunta una soluzione pacifica della questione coreana.”[26]

La risoluzione venne respinta con 1 voto a favore (URSS), 9 contrari (inclusa la Jugoslavia) ed un membro non partecipò alla votazione (India). Lo stesso identico scenario si ripresentò durante la votazione della proposta di risoluzione sovietica (S/1757) presentata il 2 settembre, che condannava l'aggressione degli Stati Uniti contro Taiwan.

Per quanto concerneva la proposta di risoluzione non approvata dopo il veto dell'URSS, George Allen ebbe nuovamente una conversazione con il ministro Kardelj. Il rapporto, inviato il 5 dicembre 1950 via telegramma al Segretario di Stato Acheson, riportava:

“Kardelj mi ha assicurato che oggi Bebler è stato incaricato di cercare il passaggio attraverso l'Assemblea Generale della risoluzione riguardo l'intervento cinese in Corea su cui avevano posto il veto i sovietici in Consiglio di Sicurezza. Kardelj ha espresso la speranza riguardo la possibilità di trovare una onorevole soluzione alla situazione coreana che possa prevenire un'estensione delle ostilità, ma ha detto che egli non ha ricevuto alcun indizio sul fatto che i comunisti cinesi siano diventati responsabili o che le conversazioni con Rau-Wu possano essere fruttuose. In risposta alla mia domanda, Kardelj ha dichiarato che egli attribuiva l'intervento cinese in Corea prima di tutto alle tendenze espansionistiche del regime di Pechino e al desidero di quel regime di deviare le attenzioni dei cinesi dalle difficoltà interne. Egli pensa che l'intervento, nonostante il supporto dell'URSS, sia stato principalmente una iniziativa di Pechino. Ha il sospetto che i cinesi siano andati in Corea con più truppe di quante ne volesse Mosca. Kardelj ha espresso la preoccupazione che se la Cina dovesse vincere in Corea, l'Unione Sovietica potrebbe sentirsi incoraggiata a cercare una "vittoria di compensazione" in Europa. Io ho commentato che il popolo americano non è avvezzo alla resa, una volta che abbiamo iniziato, e che noi siamo convinti che l'ONU, che abbiamo supportato con molto entusiasmo, non dovrebbe perdere la sua prima battaglia. Kardelj ha mostrato apprezzamento per questa caratteristica degli americani ma ha risposto che, da europeo, egli sperava solamente che noi non ci saremmo immessi in delle situazioni che ci avrebbero portato a rivolgere l'attenzione quasi esclusivamente verso l'estremo Oriente. Egli ha manifestato la fiducia che lei e il Presidente Truman stiate facendo tutto il possibile per evitare una guerra con la Cina e egli spera, per il bene dell'Europa, che voi ci riusciate.”[27]

Di nuovo, anche in questo scambio di battute, il ministro degli Esteri jugoslavo reiterava la questione della possibile aggressione da parte dell’Unione Sovietica ai danni della Jugoslavia e di conseguenza altro non faceva che mandare nuovi messaggi d’aiuto alle democrazie atlantiche. In definitiva, della

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linea seguita dai titini - che non ostacolava ma al contrario favoriva oggettivamente l'imperialismo - non potevano che essere ben lieti gli statunitensi. “La politica internazionale di Tito sta aderendo al concetto dell’ONU di sicurezza collettiva in Europa. Nelle sessioni delle Nazioni Unite, i delegati jugoslavi hanno preso una dura posizione nel denunciare l’imperialismo sovietico e le sue aggressioni.”[28] scriveva gaudio l'ambasciatore Allen a due anni dall’inizio del conflitto.

Terminata la guerra di Corea nel 1953 e dopo la morte di Stalin nello stesso anno, i rapporti tra Jugoslavia e Unione Sovietica seguirono la via del miglioramento. Un cambiamento, questo, sancito dall'invito che Krusciov ricevette da Tito per recarsi in visita a Belgrado. Le divergenze però non sparirono affatto e il PCUS non smise di criticare, soprattutto dal punto di vista economico, le politiche errate seguite dagli jugoslavi. Inoltre, nemmeno si abbassò lo sguardo dei titini rivolto all'occidente. Lo stesso Atto di Mutua Sicurezza del 1954 avrebbe consentito agli Stati Uniti di "aiutare" la Jugoslavia solamente qualora essa fosse stata indipendente dal comunismo internazionale.

“[...] la sezione 143 dell'Atto di Mutua Sicurezza del 1954, la quale è stata ribadita dall'Atto di Assistenza Estera del 1961, esige che il Presidente, nel fornire assistenza alla Jugoslavia, si assicuri ripetutamente, dalle parole dell'atto, "che la Jugoslavia continui a mantenere la sua posizione di indipendenza, e che la Jugoslavia non partecipi in alcuna politica o programma a favore della conquista del mondo da parte del comunismo.”[29]

Nel 1962 ancora circa il 75% degli scambi commerciali della Jugoslavia avveniva con i paesi occidentali, e meno del 20% con i paesi del blocco socialista.

In ogni caso, non compete a questo documento il ruolo di approfondire i rapporti economici degli jugoslavi, tantomeno quelli intrattenuti dopo la Guerra di Corea, punto focale di questo articolo; ne è stato dato un accenno, anche precedentemente, al fine di delineare il quadro storico e diplomatico della RSFJ negli anni dell'aggressione del 1950 da parte dell’imperialismo atlantico, con a capo gli Stati Uniti. Mi premeva molto scrivere questo approfondimento, soprattutto dopo aver pubblicato un mio articolo[30] in cui non ho avuto modo di ampliare e sviluppare il tema dei rapporti tra RPDC e Jugoslavia durante la guerra nella penisola asiatica. Questa esigua raccolta di documenti, telegrammi e risoluzioni dovrebbe, almeno in parte, aver esaurito la questione principale dell’articolo, e cioè dare una lettura delle posizioni assunte dai titini sulla Corea, che, come abbiamo visto furono allineate per la maggior parte delle volte alle decisioni dei paesi liberi occidentali. Le relazioni tra Kim Il Sung e Tito durante tutti gli anni ‘60 rimasero per lo più fredde. Nel 1966 il Generale considerava i dirigenti titoisti come un gruppo che aveva “tradito il marxismo-leninismo” e riteneva impossibile considerare la Jugoslavia “come membro del campo socialista e collocare la “Lega dei comunisti Jugoslavi” nella stessa categoria dei partito comunisti e operai”[31]. Durante la metà degli anni ‘70 la situazione cominciò progressivamente a cambiare in positivo e i due paesi iniziarono a riavvicinarsi per portare avanti una collaborazione di amicizia segnata dalla comune lotta antimperialista. Più precisamente, l’effettivo disgelo avvenne al momento della visita di Kim Il Sung a Belgrado del 1975, invitato da Tito, il quale venne a sua volta ospitato due anni dopo a Pyongyang. Il Maresciallo venne accolto festosamente dai coreani, che organizzarono una celebrazione degna di nota, simbolo di un nuovo periodo di collaborazione e amicizia tra le due nazioni.

Enrico Trotta

Ringrazio Leonardo Olivetti per l’aiuto nelle traduzione dei documenti.

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Note

[1] Il testo della proposta di risoluzione: “Il Consiglio di Sicurezza, Osservando con grande preoccupazione l’inizio delle ostilità in Corea, e ansioso di ottenere tutte le informazioni necessarie che possano permettere di esprimere un giudizio sul caso, Richiama all’immediata cessazione delle ostilità e al ritiro delle forze, Invita il governo della Corea del Nord a esporre le proprie motivazioni prima del Consiglio di Sicurezza.”. La proposta di risoluzione venne respinta con 6 voti contrari (inclusi gli Stati Uniti), 1 a favore (Jugoslavia), 3 astensioni (Egitto, India, Norvegia) e un membro assente (URSS).

[2] Foreign relations of the United States, 1950. Korea, Volume VII, pg. 177, United States Department of State.

[3] Gheorghe Gheorghiu-Dej, Rapporto tenuto alla conferenza dell’Ufficio di Informazione dei Partiti comunisti, novembre 1949.

[4] Cfr. http :// www . refworld . org / cgi - bin / texis / vtx / rwmain ? docid =3 b 00 f 20 a 2 c

[5] La risoluzione venne approvata con 7 voti a favore, 1 contrario (Jugoslavia), 2 membri parteciparono alla sessione ma non votarono (India, Egitto), 1 membro assente (URSS).

[6] George Venable Allen, all’epoca ambasciatore statunitense a Belgrado.

[7] Foreign relations of the United States, 1950. Korea, Volume VII, pg. 215, United States Department of State.

[8] Ibidem, pg. 232.

[9] Ibidem, pg. 280.

[10] L’Unità, Domenica 18 giugno 1950, pg. 5.

[11] Letter from the President to Senate and House Committes, The Department of State bulletin, Vol. XXIV, No. 613, April 30, 1951, pp. 718-719.

[12] George V. Allen, Yugoslavia: Four Years’ Resistance to Soviet Aggression, The Department of State bullettin, Vol. XXVI, No. 663, March 10, 1952, pg. 380.

[13] Iosif Chișinevschi, citato in Per una pace stabile, per una democrazia popolare!, 1950.

[14] Foreign relations of the United States, 1950. Korea, Volume VII, pg. 319, United States Department of State.

[15] Cfr. http :// www . fordham . edu / halsall / mod /1950- gromyko - korea . html

[16] Foreign relations of the United States, 1950. Korea, Volume VII, pg. 360, United States Department of State.

[17] Kalamesh Banerji, Intervista al Maresciallo Tito, avvenuta il 15 Luglio 1950, pubblicata da Quarta Internazionale, Vol.11 No.6, novembre-dicembre 1950, pp.188-192. Cfr. http :// www . marxists . org / history / etol / newspape / fi / vol 11/ no 06/ banerji . html

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[18] La Jugoslavia è un paese socialista?, consultabile qui: http :// www . bibliotecamarxista . org / Mao / libro _20/ la _ yug _ paes _ soc . pdf

[19] Ibidem, pg. 195.

[20] Cfr. Izjava druga Edvarda Kardelja o stavu FNRJ prema ratu u Koreji, Borba, 6 settembre 1950, pg. 1. Tra i quotidiani consultabili direttamente online che riportarono la notizia delle accuse di Kardelj troviamo due giornali australiani: The Advertiser, 7 settembre 1950, pg. 1 (http :// nla . gov . au / nla . news - article 45674934 ) e The Daily News, 7 settembre 1950, pg. 5 (http :// nla . gov . au / nla . news - article 84481156 ).

[21] Anche di questo discorso molti quotidiani online ne riportano degli estratti. Segnalo il The Desert News, 25 settembre 1950, consultabile qui: (http :// news . google . com / newspapers ? id = mKlSAAAAIBAJ & sjid = nH 8 DAAAAIBAJ & hl = it & pg =5594%2 C 5543289 ).

[22] L’Unità (Edizione piemontese) 26 settembre 1950, pg. 5.

[23] L’Unità (Edizione piemontese) 10 novembre 1950.

[24] L’Unità, 18 Maggio 1951.

[25] Foreign relations of the United States, 1950. Korea, Volume VII, pp. 1126-1127, United States Department of State.

[26] Ibidem, pg. 1249.

[27] Ibidem, pp. 1419-1420.

[28] George V. Allen, Yugoslavia: Four Years’ Resistance to Soviet Aggression, The Department of State bullettin, Vol. XXVI, No. 663, March 10, 1952, pg. 381.

[29] The Department of State bullettin, Vol. XLVI, No. 1183, February 26, 1962, p. 347.

[30] Kim Il Sung. I rapporti con Tito, Stalin e Kruscev., consultabile qui: http :// rpdccommunity . forumcommunity . net /? t =54013440 (segue un interessante dibattito) e qui: http :// zdanov . blogfree . net /? t =4479197 .

[31] Cfr. Kim Il Sung, La situazione attuale e i compiti del nostro partito, Rapporto presentato alla conferenza del Partito del Lavoro di Corea, 5 Ottobre 1966, Op. Scelte Vol. IV.

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