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1.1 STORIA DEL TRIAGE Il concetto di Triage ha origini dalla Medicina Militare del XVII secolo. In quel periodo si occupava dei problemi di salute un Chirurgo di Reggimento alle dirette dipendenze del Colonnello e nacque una forma di rudimentale Triage: un ufficiale, conosciuto come Baggage Master, era posto fuori della tenda del Chirurgo ed il suo compito era quello di valutare i feriti e consentire l'ingresso solo a quelli che potessero beneficiare dell'intervento del Chirurgo. Successivamente nel XIX° secolo un giovane Medico francese, Dominique Jean Larrey (1766-1842), introdusse dei criteri di priorità riguardo alle ferite e agli interventi sanitari necessari, scegliendo però di soccorrere per primi gli ufficiali e poi i soldati con lesioni meno gravi e perciò più rapidamente recuperabili per le battaglie successive e utilizzando criteri di priorità opposti agli attuali. Atterrito inoltre per i ritardi dei soccorsi verificatisi nella battaglia di Speycr, Dominique Jean Larrey allestì inoltre un affusto di cannone trascinato da due cavalli trasformandolo in un mezzo leggero di trasporto dei Feriti al Chirurgo e creando così la prima ambulanza e guadagnandosi il titolo di Barone. In epoca più recente ritroviamo il Triage nella Guerra di Corea e Vietnam con caratteristiche più evolute e perfezionate sia riguardo al metodo di applicazione sia alla sua organizzazione. I medici militari statunitensi ebbero modo di affinare le tecniche e l'organizzazione del soccorso ai soldati feriti, comprendendo l'importanza del ''fattore tempo'' ai fini del successo della cura.

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1.1 STORIA DEL TRIAGE

Il concetto di Triage ha origini dalla Medicina Militare del XVII secolo.

In quel periodo si occupava dei problemi di salute un Chirurgo di Reggimento alle

dirette dipendenze del Colonnello e nacque una forma di rudimentale Triage: un

ufficiale, conosciuto come Baggage Master, era posto fuori della tenda del

Chirurgo ed il suo compito era quello di valutare i feriti e consentire l'ingresso

solo a quelli che potessero beneficiare dell'intervento del Chirurgo.

Successivamente nel XIX° secolo un giovane Medico francese, Dominique

Jean Larrey (1766-1842), introdusse dei criteri di priorità riguardo alle ferite e

agli interventi sanitari necessari, scegliendo però di soccorrere per primi gli

ufficiali e poi i soldati con lesioni meno gravi e perciò più rapidamente

recuperabili per le battaglie successive e utilizzando criteri di priorità opposti agli

attuali.

Atterrito inoltre per i ritardi dei soccorsi verificatisi nella battaglia di

Speycr, Dominique Jean Larrey allestì inoltre un affusto di cannone trascinato da

due cavalli trasformandolo in un mezzo leggero di trasporto dei Feriti al Chirurgo

e creando così la prima ambulanza e guadagnandosi il titolo di Barone.

In epoca più recente ritroviamo il Triage nella Guerra di Corea e Vietnam

con caratteristiche più evolute e perfezionate sia riguardo al metodo di

applicazione sia alla sua organizzazione.

I medici militari statunitensi ebbero modo di affinare le tecniche e

l'organizzazione del soccorso ai soldati feriti, comprendendo l'importanza del

''fattore tempo'' ai fini del successo della cura.

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Parlarono per la prima volta della ''golden hour'', la preziosissima prima

ora dall'evento entro la quale il paziente bisognoso deve giungere

all'osservazione dei curanti.

Forti di questa esperienza i chirurghi militari reduci iniziarono a criticare

l'organizzazione dei soccorsi nella società civile in tempo di pace, giungendo a

proporre un sistema di filtro extra ed intra-ospedaliero dei pazienti, al fine di

ottimizzare gli interventi rendendoli veloci ed efficaci.

Nacque così, intorno ai primi anni Sessanta negli Stati Uniti d'America, il

primo sistema di Triage ospedaliero non militare, proposto e caldeggiato dai

medici militari in base all'inevitabile assimilazione del pronto soccorso ad un

campo di battaglia; infatti un'importante quota della popolazione non avendo una

copertura assicurativa sanitaria si rivolgeva al Pronto Soccorso poiché era l'unica

struttura tenuta per legge federale a prestare gratuitamente la prima assistenza.

Naturalmente il criterio base, su cui ancora oggi è fondato il sistema di

Triage, fu l'esatto contrario di quello napoleonico: l'urgenza del trattamento

deriva dalla gravità delle condizioni cliniche.

Nell'ultimo decennio si sono moltiplicati i documenti teorici riguardo il

Triage, elaborati sia da paesi europei quali Gran Bretagna, Francia e Italia, sia

dagli Stati Uniti.

Il Triage è stato definito come ''l'arte di decidere le priorità di trattamento

e d'evacuazione di più feriti dopo una rapida valutazione iniziale; il suo scopo è di

salvare il maggior numero di pazienti in relazione ai mezzi a disposizione e alle

circostanze dell'evento''.

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Oggi il termine Triage è utilizzato in campo sanitario per definire un

''Percorso decisionale dinamico, basato sull'attuazione di un processo

metodologico scientifico, capace di stabilire il grado di presunta gravità clinica

presente in un soggetto, identificabile mediante l'utilizzo di un sistema di codifica

indicante la priorità assistenziale''.

Nel caso del Pronto Soccorso i pazienti vengono quindi selezionati e

classificati in base all'urgenza delle loro condizioni cliniche, non in base all'ordine

di arrivo.

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1.2 TRIAGE IN ITALIA

Il Triage in Italia nasce alla fine degli anni „80 in maniera

pionieristica ed in assenza di riferimenti normativi specifici, guardando ad

esperienze già consolidate negli USA ed in Gran Bretagna.

La necessità di attivare in Pronto Soccorso la funzione di triage,

selezionando gli utenti che vi affluiscono per attribuire priorità di accesso a

quelli in condizioni cliniche a maggior rischio evolutivo, origina

essenzialmente dalla constatazione di una situazione di sempre maggiore

affollamento di queste strutture.

Questa situazione di sovraffollamento continua a

persistere e rischia seriamente di compromettere l‟efficienza e

l‟efficacia dell‟intero sistema dell‟emergenza; nel 2001 in Italia ci

sono stati circa 4 accessi in Pronto Soccorso ogni 10 abitanti; di questi il

21,4% è stato seguito da ricovero.

Anche nel nostro Paese, come negli USA, la

maggior parte dei pazienti non necessita di prestazioni urgenti.

Secondo alcuni autori le principali cause di sovraffollamento dei

Pronto Soccorso italiani sono riferibili a:

- la concezione dell‟ospedale, come luogo dotato di diagnostica

strumentale;

- la crescente mancanza di fiducia nei confronti del medico di

famiglia;

- i tempi di attesa troppo lunghi per ottenere prestazioni

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specialistiche ambulatoriali ed esami diagnostici;

- l‟incremento della parte di popolazione non inserita nel Servizio

Sanitario Nazionale;

- l‟evoluzione organizzativa del Pronto Soccorso, da zona di transito e

smistamento a vera e propria Unità di Diagnosi e Cura;

- la soppressione degli ospedali di piccole dimensioni con la

conseguente riduzione del numero dei Pronto Soccorso sul territorio.

Considerata la tendenza dei cittadini a ricorrere sempre più spesso

alle prestazioni di Pronto Soccorso anche per problematiche minori ed a

basso contenuto di urgenza, l‟attenzione maggiore è rivolta alla necessità

di salvaguardare la capacità della struttura di svolgere il suo compito

istituzionale: dare risposta nel più breve tempo possibile alle

emergenze.

Il Triage è così risultato lo strumento più idoneo per

perseguire questo obiettivo, in quanto consente di ridistribuire i tempi

di attesa a favore di chi è in condizione di maggiore urgenza e da

questa attesa può subire un danno.

Agli inizi degli anni ‟90 gli ospedali di alcune città (Reggio Emilia,

Bologna, Modena, Udine) “proposero” per primi l‟attività di triage, che a

poco a poco iniziò a diffondersi in numerose realtà italiane sensibili al

problema della gestione dell‟attesa in Pronto Soccorso.

Una rivoluzione legislativa molto importante si ebbe nel maggio

1996 con la pubblicazione delle Linee Guida sul sistema di

emergenza-urgenza sanitaria in, in cui è prevista, per la

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prima volta in Italia, la funzione di triage.

Alla voce “Funzioni di triage”, le linee guida in questione

stabiliscono,infatti,che: “All‟interno dei DEA deve essere prevista la

funzione di triage, come primo momento di accoglienza e valutazione dei

pazienti in base a criteri definiti che consentano di stabilire le priorità di

intervento.

Tale funzione è svolta da personale infermieristico adeguatamente

formato, che opera secondo protocolli prestabiliti dal dirigente di servizio”.

Questo ed altri provvedimenti di legge, ha favorito il processo di

diffusione ed “evoluzione” del triage infermieristico in Pronto Soccorso che

da allora ad oggi sempre più entra a far parte delle normali attività dei

Pronto Soccorso italiani.

Alla realizzazione di questo modello ha del tutto recentemente

fornito un contributo determinante l‟approvazione della

legge n.42/1999, abrogativa del mansionario e, relativamente alle

professioni sanitarie, della tradizionale distinzione tra principali ed

ausiliarie.

La legge n.42/1999 individua nella definizione delle attribuzioni di

competenza infermieristica tre criteri-guida

costituiti dai:

1) contenuti del già citato Decreto del Ministero della Sanità istitutivo del

profilo professionale dell‟infermiere e del relativo ordinamento didattico;

2) contenuti dei cosiddetti corsi di formazione post-base;

3) contenuti del codice deontologico.

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Si tratta nel complesso di criteri che non consentono una definizione

esaustiva del campo proprio di attività e responsabilità della professione

infermieristica, tanto che già si profila la necessità di un ulteriore

intervento normativo, volto a definire una sorta di “regolamento di

esercizio” in materia, che, consenta una più precisa attribuzione di compiti

e responsabilità.

Il Triage rappresenta una procedura fondamentale

nell‟organizzazione delle Aree Critiche e nello specifico attuale

nell‟operatività dei Dipartimenti di Emergenza e Accettazione

(DEA) e nell‟Emergenza territoriale.

La funzione del Triage diventa chiara se si analizza brevemente il

fenomeno degli accessi al Pronto Soccorso. Il processo di ridefinizione del

S.S.N. in un sistema tripolare prevedeva che il cittadino dovesse compiere

un percorso che, in un ordine scalare di consultazioni, coinvolgesse

dapprima il medico di famiglia poi i poli ambulatori extra-ospedalieri,

quindi gli ospedali.

Il sistema, sulla carta, avrebbe dovuto favorire il

decentramento dell‟attività sanitaria, sostenendo una distribuzione

capillare dei servizi e convogliando nelle strutture ospedaliere

patologie impegnative o con i caratteri dell‟urgenza.

La teoria ha dovuto scontrarsi con una realtà ben diversa: un

censimento degli afflussi al Pronto Soccorso nel 1985 si assestava su cifre

intorno ai 16 milioni di accessi.

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Nel 1997 il numero di accessi è salito a circa 40 milioni, con

un incremento annuo pari a circa il 5-6%.

Questo abnorme afflusso verso l‟ospedale è certamente espressione di una

grave sofferenza di un sistema sanitario inadeguato rispetto ai grandi

processi di trasformazione della cultura medica, da un lato, e in relazione

alle gravi carenze organizzative dall‟altro.

Da ciò la considerazione che, per quanto grandi possano essere le

risorse di un sistema di emergenza, queste rimangono sempre costanti nel

tempo a differenza della richiesta, che varia nella tipologia e nel numero

istante per istante, non potendosi così ipotizzare un sistema di emergenza

che sia in grado di rispondere nel tempo a tutte le contemporanee e

variegate tipologie di criticità, non sempre elevate, che ad esso si

rivolgono.

Così il Triage in Pronto Soccorso configura quell‟insieme di procedure

codificate che permettono la valutazione delle priorità assistenziali delle

persone che si presentano, stabilendo un ordine di accesso alla visita

medica, ragionato e ponderato alla gravità dei sintomi, assicurando la

tempestività della prestazione medica ai pazienti che ne hanno bisogno

rispetto ad altri con problematiche di più basso profilo.

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1.3 TRIAGE NELL’A.S.L. TO 5

I modelli organizzativi applicati al Triage sono molto diversi e

dipendono da numerose variabili. In primo luogo le dimensioni degli

ospedali ed il loro bacino d‟utenza: si ritiene generalmente che una

funzione stabile di Triage, 24 ore su 24, sia indispensabile se gli

accessi al Pronto Soccorso superano i 25000/anno, mentre sotto questa soglia

l‟attività possa essere svolta su chiamata, almeno nelle ore notturne.

Analogamente incidono la complessità strutturale e funzionale (Pronto

Soccorso o DEA di I-II livello, eventuale suddivisione per specialità) l‟esistenza

o meno di un organico medico dedicato, chiamato a svolgere una

prima valutazione clinica di tutti i pazienti.

L‟A.S.L. TO 5 è costituita da quattro Distretti, nei quali sono presenti un

Pronto Soccorso (Distretto di Carmagnola), e due D.E.A. di I livello (Chieri,

Moncalieri).

Nel D.E.A. di I primo livello dell‟Ospedale di Chieri, struttura presso cui io

opero, si hanno all‟incirca una media di passaggio annua di circa 35000 utenti.

Il modello di Triage applicato è quello definito “ di bancone”, primo

momento di accoglienza delle persone che giungono in Pronto Soccorso ed è una

funzione Infermieristica volta alla definizione delle priorità assistenziali attraverso

la valutazione dei sintomi denunciati e dei segni vitali rilevati in modo tale da

garantire la presa in carico degli utenti e definire l‟ordine di accesso alla visita

medica attraverso supporto informatico.

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Gli obiettivi fondamentali del Triage in Pronto Soccorso sono:

- Identificare rapidamente le persone che necessitano di cure immediate

e garantirne il tempestivo trattamento;

- Attribuire a tutti gli utenti un codice di priorità che regoli l‟accesso alle

cure mediche in relazione alla criticità delle loro condizioni e del loro

rischio evolutivo;

- Stabilire, per tutti gli utenti, la sede di trattamento più appropriata;

- Sorvegliare le persone in attesa e rivalutarne periodicamente le

condizioni;

- Fornire informazioni pertinenti e comprensibili ad utenti e famigliari

riducendo l‟ansia e garantendone una adeguata e costante presa in

carico;

L‟inizio del Triage è garantito entro cinque minuti dall‟arrivo in Pronto

Soccorso a tutti gli utenti.

La valutazione della persona tiene conto delle condizioni della

stessa e l‟intervista è mirata a raccogliere il maggior numero di informazioni

necessarie alla definizione del problema prioritario di salute della

persona.

Attraverso un‟anamnesi rapida ma accurata, l‟individuazione dei fattori di

rischio, terapie assunte, patologie presenti, interventi pregressi ed allergie note,

una valutazione oggettiva con rilevazione dei segni e sintomi specifici, e ove se

necessario, la rilevazione dei parametri vitali ritenuti significativi, si attribuisce il

codice di priorità e la competenza specialistica.

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L‟Infermiere di Triage effettua da subito alcuni interventi assistenziali

indispensabili per supportare il paziente in attesa e diminuire lo stress emotivo e

doloroso, come ad esempio la sistemazione posturale idonea o l‟immobilizzazione

temporanea di lesioni traumatiche minori, medicazioni di ferite applicazione del

ghiaccio ecc..

Nella mia realtà operativa la funzione di Triage è svolta da tutti i colleghi

che hanno i requisiti specifici, e attraverso una programmazione settimanale si

stabilisce la rotazione delle attività da conseguire nel turno.

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1.4 RESPONSABILITA’ DELL’INFERMIERE

Il Triage rappresenta una procedura fondamentale

nell‟organizzazione delle Aree Critiche e nello specifico attuale

nell‟operatività dei Dipartimenti di Emergenza e Accettazione

(DEA) e nell‟Emergenza territoriale.

La sua utilizzazione coinvolge personale infermieristico in

compartecipazione col personale medico, in una collaborazione integrata

con le risorse esterne ed interne al DEA.

L‟istituzione della funzione di Triage si inserisce in un contesto

legislativo in continua evoluzione di cui una tappa fondamentale è

rappresentata dalla legge sul “Riordino della disciplina in materia sanitaria”

D.L. 502 del 1992 e successive modifiche ed integrazioni che, oltre a

porre le basi per una riorganizzazione globale della rete ospedaliera, con

notevoli ricadute sulla pianificazione della articolazione territoriale dei

sistemi di servizi per l‟emergenza-urgenza, introduce il concetto di

“aziendalizzazione”, di organizzazione dipartimentale e di

promozione dell‟attività sanitaria informata a criteri di efficienza ed

efficacia.

Col DPR 27/3/‟92 “Atto di indirizzo e coordinamento

delle regioni per la determinazione dei livelli di assistenza sanitaria

di emergenza” e successiva approvazione nella Conferenza Stato Regioni

pubblicata con Decreto del Ministero della Sanità su G.U.

del 17/5/96, vengono individuati, oltre agli obiettivi del DEA, le

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“Funzioni di Triage”.

Tale passo recita: “All‟interno dei DEA deve essere prevista la

funzione di Triage, come primo momento di accoglienza e valutazione dei

pazienti in base a criteri definiti che consentano di stabilire le priorità di

intervento.

Tale funzione è svolta da personale infermieristico adeguatamente

formato che opera secondo protocolli prestabiliti dal dirigente del servizio”.

L‟importanza della funzione di Triage viene ulteriormente

affermata dalla Legge della Regione Piemonte 12/12/97 n. 61

“Norme per la programmazione sanitaria e per il Piano Sanitario

Regionale per il triennio 1997 - 1999”, dove si legge: “In tutti i

pronto soccorso ed i DEA viene realizzata l‟organizzazione di un

primo filtro infermieristico che seleziona gli accessi agli ambulatori

utilizzando come priorità un codice di gravità (…) gli accessi agli

ambulatori del pronto soccorso non dovranno più avvenire “per

ordine di arrivo ma per gravità del caso”.

Già da questi atti legislativi emergono due concetti che poi

diverranno in maniera più estensiva due capisaldi dei principi guida per la

definizione dei livelli essenziali di assistenza individuati dal “Piano

Sanitario Nazionale 1998- 2000” quali:

- il principio della Salvaguardia, in base al quale lo stato di salute

della persona va tutelato prima che possa essere pregiudicato;

- il principio dell‟Efficacia e dell‟Appropriatezza degli interventi,

in base al quale le risorse devono essere indirizzate verso le

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prestazioni la cui efficacia è riconosciuta in base alle evidenze

scientifiche e verso i soggetti che maggiormente possono trarne

benefici.

Così la funzione di Triage assume una notevole valenza

organizzativa e legale nell‟ambito di un processo decisionale che

sancisce la piena autonomia del ruolo del Triagista, così come

prevede la ridefinizione della professione infermieristica, introdotta

con la definitiva approvazione del D.L. 4216 da parte delle

commissioni parlamentari, che segna un passo decisivo verso una

trasformazione dell‟assistenza infermieristica intesa non più come

componente ausiliaria nel processo clinico, ma che assurge a dignità

di ruolo di assistenza sanitaria integrata in una logica di approccio

multi professionale al problema sanitario.

Infatti, dopo l‟abolizione del D.P.R. 14/3/74 n. 225 (c.d.

“mansionario”) con la legge n. 42 del 2/2/99 (in G.U. n. 50 del 2/3/99), e

l‟introduzione del profilo professionale (D.M. N. 739, del 1994) il ruolo

dell‟infermiere trova una collocazione all‟interno di un sistema quali –

quantitativamente proporzionato al suo curriculum formativo.

“l‟infermiere:

a. partecipa all‟identificazione dei bisogni di assistenza

infermieristica alla persona e della collettività;

b. identifica i bisogni di assistenza infermieristica della persona e

della collettività e formula i relativi obiettivi;

c. pianifica, gestisce e valuta l‟intervento assistenziale infermieristico”

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Nell‟ambito del Triage di Pronto Soccorso il nuovo assetto giuridico

dell‟infermiere, lo legittima a porre in essere gli atti operativi

essenziali nella funzione di Triage quali:

1. raccolta dei dati anamnestici, con particolare riguardo ai

problemi riferiti dall‟assistito;

2. effettuazione di un rapido accertamento delle condizioni del

paziente;

3. formulazione di un conciso giudizio clinico;

4. assegnazione di un codice di gravità.

In conformità con la tendenza attuale a conferire all‟infermiere un

maggior numero di obblighi di registrazione, si è stabilito che anche

l‟attività di Triage debba essere adeguatamente documentata da chi la

svolge.

La scheda infermieristica di Triage è considerata “atto

pubblico” e come tale è soggetta alle norme del codice penale sulla

falsità documentale.

Sono indispensabili la segnalazione dell‟ora

d‟inizio e fine del Triage; deve rispondere ai fondamentali requisiti di

chiarezza, veridicità e completezza.

È bene prevedere la conservazione delle schede di Triage per il periodo

massimo previsto per una causa civile di risarcimento danni.

Dato il crescente sovraffollamento, nei Pronto Soccorso si è reso

necessario discriminare i tempi di accesso per priorità clinica, prima

informalmente poi con modalità standardizzate di “triage” (dal francese

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“trier”, selezionare), rese obbligatorie dal 2001 su tutto il territorio

nazionale.

La presa di coscienza del background culturale e professionale raggiunto

dall‟infermiere, già di per sé garanzia per la sicurezza di una sua operatività

garantita dall‟efficacia e l‟efficienza delle sue prestazioni, rappresenta, a

tutt‟oggi, una realtà positiva dovendo anche costituire lo stimolo per una futura

normativa favorevole a promuovere una completa autonomia.

A questo proposito vale la pena ricordare che le competenze professionali

infermieristiche che si sono affinate, perfezionate, e consolidate negli ultimi dieci

anni hanno espresso una realtà operativa già di fatto autonoma nelle terapie

intensive ed in emergenza-urgenza.

Proprio nell‟assistenza in emergenza-urgenza sono riconosciute e validate

per legge competenze autonome professionali che consentono all‟infermiere una

gestione indipendente nei riguardi di attività assistenziali fondamentali quali, ad

esempio, il triage.

Le norme che regolano l‟attività infermieristica identificano tre criteri guida

e due criteri limite.

I criteri guida sono:

- il contenuto dei decreti ministeriali istitutivi dei profili professionali (il

riferimento attuale è il DM 14 settembre 1994, n. 739),

- la “formazione ricevuta” dall‟infermiere che viene determinata dall‟analisi

degli ordinamenti didattici dei corsi di diploma universitario (oggi di laurea) e dai

corsi di formazione “post base”,

- e le indicazioni contenute all‟interno del codice deontologico della

Federazione nazionale dei Collegi IPASVI.

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I criteri limite sono ben espressi in un‟altra norma di riferimento per

l‟esercizio professionale infermieristico, la legge 42/1999, dove all‟art. 1 si

legge:

Il campo proprio di attività e di responsabilità delle professioni sanitarie di

cui all'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e

successive modificazioni e integrazioni, è determinato dai contenuti dei decreti

ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici

dei rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione post-base nonché

degli specifici codici deontologici, fatte salve le competenze previste per le

professioni mediche e per le altre professioni del ruolo sanitario per l'accesso alle

quali è richiesto il possesso del diploma di laurea, nel rispetto reciproco delle

specifiche competenze professionali.

La legge sottolinea l‟esistenza di un “campo proprio”, quindi esclusivo,

dell‟infermiere che determina anche un campo di “responsabilità”.

I due criteri limite previsti dalla legge 42/1999 sono determinati dalle

“competenze previste per le professioni mediche” e per le altre figure sanitarie

laureate.

Concentreremo la nostra attenzione sul limite delle competenze previste

dalla professione medica.

La migliore dottrina giuridica e medico legale ha analizzato il termine

competenza che, come è noto, non ha un significato univoco nella lingua italiana.

Competenza può infatti significare compito, attività che si è tenuti a

svolgere oppure può significare “capacità”, “abilità”, “conoscenza”.

Nel primo caso un‟attività è medica solo quando viene attribuita da

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apposita fonte normativa, legislativa o regolamentare, al medico.

Nel secondo caso un‟attività è medica quando solo le capacità, le

conoscenze, il curriculum, la formazione di un medico sono in grado di porla in

essere o è medica quell‟attività tesa a risolvere i problemi di salute di una

persona solo con l‟intervento medico.

Ben più rispondente alle finalità della legge 42/1999 è invece la

declinazione di attività come capacità. Tra l‟altro non sempre

l‟attribuzione contenuta all‟interno della normativa di una attività a una data

figura professionale ne comporta la esclusiva attribuzione. Può essere utile

ricordare che molte attività sanitarie nascono come mediche, si trasformano per

l‟acquisizione delle maggiori conoscenze in attività sanitarie professionali non

esclusivamente mediche e successivamente, talvolta, subiscono l‟ulteriore

trasformazione in attività sanitarie non più strettamente professionali ed

eseguibili potenzialmente da tutta la popolazione.

Si pensi agli esempi della rilevazione della pressione arteriosa, della

rianimazione cardiopolmonare e della defibrillazione con defibrillatori

semiautomatici.

Questa modalità operativa costituirà la base cognitiva per proporre

ulteriori avanzamenti in senso normativo per garantire la completa autonomia

operativa dell‟infermiere.

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1.5 See & Treat

Per cercare di arginare il problema delle lunghe attese nei Pronto Soccorso

e conciliare i criteri di efficacia efficienza, pur in carenza di risorse,sono state

adottate strategie variabili di gestione dei pazienti con lesioni e/o malattie

minori, per accelerarne i percorsi diagnostico-terapeutici,senza penalizzare la

qualità dell‟assistenza.

In letteratura sono comparsi termini come See and Treat, Fast Track, e

Minor Injuries Stream (o Unit) MIU, per indicare sistemi e percorsi indipendenti

per l‟inquadramento rapido e la gestione dei codici minori, con effetto di

abbattere le liste di attesa al triage dei dipartimenti di emergenza.

Il See and Treat è un processo presente nella sanità inglese sin dagli anni

„80, a dispetto invece della nascita più recente del triage di Pronto Soccorso.

Ufficialmente il See and Treat diventa visibile con l‟esperienza del

dipartimento di emergenza dell‟ospedale di Kettering,quando con le sale visita

piene di pazienti in attesa di posto letto, il personale medico e infermieristico più

esperto libero prende in carico gli utenti con problemi minori, che possono

essere visitati e dimessi.

Questo modello ha avuto rapida diffusione a livello nazionale, anche grazie

alla cassa di risonanza dei mass media, creando un certo grado di aspettativa

nell‟opinione pubblica rispetto alla riduzione dei tempi di attesa per le visite.

Alcuni autori, in assenza di evidenze su questo metodo,sono critici sia sulla

sua utilità che sull‟insistenza con cui il dipartimento della salute inglese ne chiede

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l‟adozione nei dipartimenti di emergenza.

In particolare gli aspetti negativi sono:

• Assenza di analisi critica del See and Treat.

• Inappropriatezza dell‟utilizzo del personale medico ed infermieristico più

esperto per la presa in carico dei pazienti meno urgenti e impegnativi.

• Trattamento dei pazienti come numeri da smaltire e scarsa umanizzazione

dell‟assistenza.

• Difficile sostenibilità prolungata del sistema a causa della scarsità di risorse

professionali.

• Possibile utilizzo di risorse professionali non sempre all‟altezza.

Gli aspetti del See and Treat considerati positivi sono:

• La percezione da parte di medici ed infermieri della sua utilità nel ridurre i

tempi di attesa e migliorare i percorsi dei pazienti.

• I vantaggi quando effettuato da personale esperto.

• L‟aumento della soddisfazione del personale.

Il See and Treat dovrebbe essere adattato alle caratteristiche specifiche

delle singole realtà.

“See & Treat” significa “Vedi e tratta”: la sperimentazione in Italia è partita

dalla Regione Toscana ed Emili-Romagna.

Si tratta di una nuova modalità organizzativa per affrontare i problemi

clinici “minori”.

Infermieri esperti, opportunamente formati, affiancati per i 6

mesi di sperimentazione da un medico tutor, gestiranno e daranno risposta a una

serie di problematiche minori, definite ed approvate dal Consiglio Sanitario

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Regionale: per esempio, piccole ferite e abrasioni, contusioni minori, ustioni

solari, punture di insetti, rinite, congiuntivite, ecc.

Gli infermieri che lavoreranno negli ambulatori “See & Treat” hanno

seguito un corso di formazione regionale di 180 ore per la certificazione delle

competenze esperte ed opereranno in base a protocolli elaborati da un gruppo di

professionisti (medici e infermieri) individuati dal Consiglio Sanitario Regionale,

che ha proposto questa modalità di lavoro.

Questo nuovo approccio, oltre a valorizzare la professione infermieristica,

potrà offrire in prospettiva molti vantaggi: ridurre le attese e la permanenza di

tutti i cittadini che si recano al pronto soccorso per quei problemi clinici minori,

che possono essere gestiti da personale qualificato, anche se non medico;

destinare il personale medico prevalentemente alle vere urgenze e assicurare

così un trattamento più tempestivo e adeguato anche per le urgenze maggiori.

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