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PRIMA GUERRA MONDIALE Storia illustrAT A

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PRIMA GUERRA

MONDIALEStoria illustrATA

Progetto e cura editoriale: Gianluca FormichiTesti: Antonella Astorri e Patrizia SalvatoriProgetto grafico e impaginazione: Enrico AlbisettiCartografia: Sergio Biagi Comunicazione Grafica

www.giunti.it

© 1999, 2017 Giunti Editore S.p.A.Via Bolognese 165 – 50139 Firenze – ItaliaPiazza Virgilio 4 – 20123 Milano – Italia

Prima edizione: marzo 1999Nuova edizione: settembre 2017

Stampato presso Lito Terrazzi srl, stabilimento di Iolo

PRESENTAZIONE 7

SULL’ORLO DEL BARATROIL MONDO PRIMA DELLA GUERRA 12

» UN EVENTO STORICO SENZA PRECEDENTI 14

L’ATTENTATO DI SARAJEVO 15

» UNA CONSAPEVOLEZZA MANCATA 17

» IL LUNGO REGNO DI FRANCESCO GIUSEPPE 19

FRANCESCO GIUSEPPE 21

» IL SOGNO DI UNA GRANDE GERMANIA 23

GUGLIELMO II 23

» REVANSCISMO E TERZA REPUBBLICA 26

LA RIVOLTA DEI BOXER 27GIORGIO V 28

» L’EREDITÀ DELLA REGINA VITTORIA 28

LA SPARTIZIONE DELL’AFRICA 30

» L’AUTOCRAZIA DEI ROMANOV 32

NICOLA II 33LA GUERRA RUSSO-GIAPPONESE 35

» IL MALATO DEL BOSFORO 37

LA QUESTIONE BALCANICA 38

» LE CONTRADDIZIONI ITALIANE 41

» UNA NAZIONE EMERGENTE 45

1914 I CANNONI D’AGOSTO » I DUE BLOCCHI

A CONFRONTO 51HELMUTH VON MOLTKE 51LA DREADNOUGHT 52

» LA CHIAMATA ALLE ARMI 54ERICH LUDENDORFF 56

» LA SCONFITTA DEL MOVIMENTO OPERAIO 56

» TERRORE SUL BELGIO 56JOHN D. FRENCH 58

» PARIGI SI SALVA SULLA MARNA 58

LA MARNA 60YPRES 62

» LA RIVINCITA DI HINDENBURG 64

» L’AUSTRIA-UNGHERIA IN DIFFICOLTÀ 64

TANNENBERG 65PAUL L. VON HINDENBURG 66

» L’INTERVENTO OTTOMANO 66

» BOTTA E RISPOSTA SUL MARE 68CORONEL E FALKLAND 69L’AEROPLANO 71

1915 LA GRANDE ILLUSIONE

FRANZ CONRAD VON HÖTZENDORF 74

» VECCHIE TATTICHE, GUERRA NUOVA 74

LA TRINCEA 76LETTERE DI GUERRA 78

» L’ORA DEI GAS 79PAUL VON LETTOW-VORBECK 80

Sommario

» SPEDIZIONI PUNITIVE E “SPALLATE” 118

» IL CONFLITTO SI ALLARGA 118

» IL VERO VOLTO DELLA GUERRA 120

» IL COINVOLGIMENTO DEI CIVILI 121

IL DIRIGIBILE 122

» SI APRONO CREPE SUI FRONTI INTERNI 124

DOUGLAS HAIG 125IL CARRO ARMATO 126

» L’ECONOMIA DI GUERRA 127HENRI PHILIPPE PÉTAIN 128

» LA PRIMA GUERRA INDUSTRIALE 130

L’INDUSTRIA BELLICA 131

» I SOLDATI AL FRONTE E IL MONDO CIVILE 132

L’ARTE E LA GUERRA 134IL VOLTO DELLE CITTÀ 136

» PERCHÉ CONTINUARE A MORIRE? 137

MANFRED VON RICHTHOFEN 139

1917 L’ANNO PIÙ LUNGO » SOTTO I MARI

E NEL DESERTO 142ROBERT GEORGES NIVELLE 143IL SOTTOMARINO 144

» L’INFERNO DELLO CHEMIN DES DAMES 146

» LA VOCE DI BENEDETTO XV 147CAPORETTO 148

» I CONTRASTI NEGLI IMPERI CENTRALI 81

GORLICE-TARNOW 82

» LA SERBIA FUORI GIOCO 84

» LO SCACCO DEI DARDANELLI 84

» LA GUERRA SUL MARE 85GALLIPOLI 86LE NAVI CORSARE 89L’INTERVENTISMO ITALIANO 90

» LE INCERTEZZE ITALIANE 91

» L’ITALIA IN GUERRA 92LUIGI CADORNA 93L’ISONZO 94

» LE PRIME VOCI CONTRO LA GUERRA 96

JOSEPH J. JOFFRE 97

» PROPAGANDA E FRONTE INTERNO 98

» IL PRIMATO DEI MILITARI 99HERBERT KITCHENER 101LA GUERRA NEL MONDO 102

1916 L’INUTILE STRAGE » LE MIRE SUL

MEDIO ORIENTE 107IL GENOCIDIO DEGLI ARMENI 108LAWRENCE D’ARABIA 110ERICH VON FALKENHAYN 112

» IL CROGIOLO DI VERDUN E DELLA SOMME 112

VERDUN 113LA SOMME 114REINHARD SCHEER 116LO JUTLAND 117JOHN RUSHWORTH JELLICOE 118

» LA PAGINA NERA DI CAPORETTO 149

» LA FINE DELL’AUTOCRAZIA ZARISTA 150

ARMANDO DIAZ 151NIKOLAJ LENIN 152ALEKSEJ BRUSILOV 153ALEKSANDR KERENSKIJ 154LA PACE DI BREST-LITOVSK 155

» L’ECO DELLA RIVOLUZIONE 156MATA HARI 157

» AMMUTINAMENTI E REPRESSIONE 158

FERDINAND FOCH 159GEORGES CLEMENCEAU 160

» UNA STRETTA AUTORITARIA 161

LA GUERRA DELLE DONNE 162JOHN PERSHING 164

» L’INTERVENTO DEGLI STATI UNITI 165

» LE RAGIONI DI WILSON 166WOODROW WILSON 167

» LA GUERRA DEI PRIGIONIERI 169

1918 GLI ULTIMI FUOCHI » I QUATTORDICI PUNTI

DI WILSON 174

» LA BATTAGLIA IMPERIALE 175I MEZZI D’ASSALTO 177

» L’INTESA TIENE DURO 178IL PIAVE 179

» L’OFFENSIVA FINALE 180AMIENS 182

» IL CROLLO DEGLI IMPERI CENTRALI 184

FRANCESCO BARACCA 186

» LA FINE DEGLI ASBURGO 186VITTORIO VENETO 187IL CIMITERO DI SCAPA FLOW 188

» L’ULTIMO ATTO 189LA LETTERATURA E LA GUERRA 190

I PROBLEMI DELLA PACE PERDUTA » I TRATTATI DI PACE 194

VITTORIO EMANUELE ORLANDO 195LA SOCIETÀ DELLE NAZIONI 196

» IL FALLIMENTO DI WILSON 198

» ILLUSIONI SVANITE 199FIUME E D’ANNUNZIO 200

» ASSETTI INSTABILI 201

» L’OMBRA LUNGA DELLA GUERRA 202

L’INFLUENZA SPAGNOLA 203

» IL MONDO NUOVO 204I MONUMENTI AI CADUTI 205MUSTAFÀ KEMAL 208GUERRA E CINEMA 210

Tavole cronologiche 213

Indice dei nomi 221

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Presentazionedi Jacques Le Goff

Il grande ritorno della memoria sul XX secolo non si esaurisce con la seconda guerra mondiale, la shoah, le guerre di Corea e del Vietnam o an-che d’Algeria. Il ritorno più importante, il più significativo, quanto meno in Francia, è quello della guerra del 1914-1918. L’aveva ben compreso nel 1995 François Furet in Le passé d’une illusion in cui, al di là della Rivoluzione francese del 1789 e della passione rivoluzionaria che ne nacque, mostra come la prima guerra mondiale abbia rappresentato la vibrazione essenziale, origi-naria, da cui deriva anche lo straordinario – per questo illusorio – successo dell’idea comunista nel XX secolo. In tempi più recenti, in linea con gli studi e le riflessioni che hanno rinnovato la storia e l’immagine della Grande guerra, per impulso di Jena-Jacques Becker e della sua équipe di Scienze Politiche, all’Università di Paris X-Nanterre e al Centre de Recherche de l’Historial de la Grande Guerre (Péronne, Somme), Stéphane Audouin-Rou-zeau e Annette Becker hanno cercato di “ritrovare” questa guerra e di farla riscoprire ai nostri contemporanei che, pur non avendola vissuta, ne hanno avvertito spesso inconsciamente le ondate devastatrici per tutto il XX secolo.

La guerra del 1914-1918 ha rappresentato la disastrosa apertura di questo secolo tragico. Non solo a causa della terribile scia di morti e devastazioni che ha lasciato dietro di sé; non solo a causa delle ingiustizie, delle frustrazioni, dei germi di nuove guerre che, dopo l’insuccesso della pace di Versailles, essa ha lasciato in eredità agli europei e agli altri popoli – tutto questo si sapeva anche se la seconda guerra mondiale l’aveva nascosto abbastanza bene–; ma perché ha dato origine a una cultura del lutto, a una cultura della guerra, a una cultura dell’odio e della barbarie. La guerra del 1914-1918 ha prodotto e diffuso nel mondo gli orrori e le nevrosi distruttrici del XX secolo. Proprio essa – ed essa soltanto – è stata la Grande guerra.

Tutto questo è dimostrato in modo chiaro e sorprendente in questa storia illustrata della prima guerra mondiale, che esce al momento giusto. Alla sua funzione informativa ed esplicativa essa adempie anzitutto con un abbondante quanto sensato e ricco apparato illustrativo. Oggi è risaputo che le immagini sono un documento storico fondamentale, e che non si accontentano di illustrare quel che i testi dicono, ma sono il fermento stesso di quella componente della storia che si è imposta ormai in primo piano: l’immaginario storico. Le immagini di questo libro presentano anzitutto gli

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elementi reali: eventi, cerimonie, luoghi, protagonisti, sia sul piano indivi-duale che su quello collettivo. Ben sintetizzate e valorizzate da “finestre” sui capi politici e militari, e sulle battaglie, esse sono inserite in una narrazione in cui appaiono gli uomini, le folle, i contesti collettivi – a dimostrazione che la storia è fatta dei rapporti fra tutti questi elementi e che non è bene isolare se non per chiarezza espositiva.

Di più, grazie a un libro come questo, scopriamo che la guerra del 1914-1918 ha potuto beneficiare di una grande novità documentaria. È il primo grande evento storico “coperto” dalla fotografia. Ma la bella resa iconografica del volume va ben oltre. Esso raccoglie infatti altre immagini che hanno avuto un ruolo di primo piano nella Grande guerra: i manifesti – che mo-bilitano, al servizio della propaganda, la sensibilità collettiva a livelli mai raggiunti prima –, ma anche gli emblemi, le bandiere, le medaglie che hanno una loro parte importante nella simbologia in campo storico.

Di più l’illustrazione non deve accontentarsi di riprodurre le realtà e i supporti concreti dell’immaginario: deve trovare i modi per mostrare la realtà facendone affiorare i significati nascosti e le conseguenze implicite. Di qui il numero e l’interesse delle tabelle, dei diagrammi e soprattutto delle carte. Non esistono buone pubblicazioni di storia prive di carte, perché la storia si fa nello spazio e sarebbe incompleta e astratta senza la geografia.

Ora, non c’è fenomeno che più di una grande guerra esiga una maggiore considerazione dello spazio: ampi spazi di operazione, estesi dalla Mani-ca ai Dardanelli, dall’Arabia all’Estremo Oriente, dallo Jutland alle isole Falkland, sui mari e in tutti i continenti, giacché gli imperi coloniali dei paesi belligeranti furono forzatamente presenti sui campi di battaglia con i numerosi contingenti africani e asiatici, canadesi e australiani, per non parlare di quelli americani degli Stati Uniti.

Gli autori non hanno dimenticato di mostrare – e di sviluppare nel te-sto – i luoghi della guerra, sul fronte e nelle retrovie, sulla terra, sul mare e nell’aria, nel cuore delle officine (l’economia, l’industria di guerra – il primo conflitto mondiale fu la prima guerra industriale – sono ben presenti) e in quel luogo mitico per i suoi angoscianti quanto concreti aspetti della socialità privata, che a quella guerra ha fornito una cornice dei suoi aspetti simbolici: la trincea, realtà materiale e psicologica intimamente legata alla storia e all’immagine della Grande guerra. Attraverso il testo e l’immagine, assisterete alla terribile e sconfortante avventura secondo la formula tradizio-nale: “come se ci foste”. E scoprirete anche le armi utilizzate, in particolare quelle che hanno segnato una forte novità, anche in questo caso tecnologica e simbolica insieme: il carro armato, il dirigibile, la corazzata, i mezzi d’as-salto e soprattutto i due grandi protagonisti che nel 1914-1918 fanno un clamoroso ingresso nella storia, l’aereo e il sottomarino.

Guerra di uomini, il primo conflitto mondiale coinvolse in modo altret-tanto profondo donne e bambini, assai presenti nel volume. Altrettanto pre-

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senti sono la religione attraverso il Vaticano, il clero, le cerimonie religiose, i sentimenti e le esperienze degli uomini, la letteratura e l’arte attraverso gli artisti combattenti – e, più di uno di essi, vittime – e le opere, rarissime in pittura, che la guerra ha ispirato. Per finire, è ricordata l’immagine della guerra al cinema, da Charlie Chaplin a Bertrand Tavernier, passando attra-verso la cinepresa critica di Stanley Kubrick, il cui film Sentieri di gloria è stato a lungo vietato dalla censura francese. E per coronare, se così si può dire, l’espressione della memoria simbolica della guerra e l’irruzione del lutto nei paesaggi urbani e rurali, la fioritura dei cimiteri e dei monumenti ai caduti.

Sarebbe vano ogni mio tentativo di riassumere in questa sede il contenuto del libro. Perché si tratta anche di una narrazione degli eventi con l’atten-zione necessaria e precisa alla cronologia e con una pertinente successione di periodi ben caratterizzati con le loro febbri e i loro ristagni, le loro illusioni e le loro delusioni, e l’affrettata conclusione che tutti conosciamo.

Vorrei concludere con due notazioni. Ricordavo all’inizio l’attuale rico-noscimento della Grande guerra come iniziatrice di una cultura dell’odio e della barbarie. È un aspetto è ben presente nel libro e non solo attraverso la descrizione dell’“inutile strage” o del genocidio degli armeni. L’uso del gas è un segno ben preciso e l’accusa di “barbarie” che i belligeranti si ri-volgono reciprocamente attesta una presa di coscienza di questo elemento a contrario. Il grande storico Marc Bloch, che combatté strenuamente nella Grande guerra e morì da partigiano, fucilato dai tedeschi nel 1944, aveva trovato e studiato un elemento originale e significativo di questa cultura di guerra: la produzione e la diffusione di false notizie. Nel volume troveremo ricordato un fenomeno sussidiario di questo stato d’animo: lo spionaggio – soprattutto attraverso il contestato e mitizzato personaggio di Mata Hari. Ma penso soprattutto, a tutti i corpi feriti, mutilati, morti o agonizzanti, disseminati in questa storia di una guerra a proposito della quale si è potuto scrivere: “la storia della guerra è anzitutto la storia del corpo”.

Infine, gli storici sanno che un evento, per quanto grande possa essere (e forse in misura proporzionale alla sua grandezza), non nasce né muore di colpo: viene da lontano e si prolunga nel tempo. Nel primo e nell’ulti-mo capitolo, gli storici che hanno scritto e concepito questo libro hanno mostrato perfettamente come, pur trattandosi di “un evento storico senza precedenti”, la Grande guerra è venuta da lontano e ha proiettato davanti a sé “un’ombra lunga”.

Storia di un evento totale, questo libro è un libro di storia totale. Per quelli che vogliono “ritrovare” la Grande guerra che illumina – tragicamente – il nostro presente, questo libro sarà una guida indispensabile.

Sull’orlo del baratro

inglesifrancesiolandesiitalianispagnoliportoghesi

ProtettoratiDominion

statunitensigiapponesitedeschidanesibelgi

Possedimenti coloniali e dipendenze territoriali

I M P E R O R U S S O

I M P E R OC I N E S E

C A N A D A

U S A

Groenlandia

Islanda

REGNOUNITO

FRANCIA

SPAGNAPORTOGALLO

ITALIA

AUSTRIAUNGHERIA

IMPEROOTTOMANO

LibiaEgitto

Algeria

Marocco

Rio de Oro

Africa OccidentaleFrancese

SudanGambiaGuinea Port.Sierra Leone

LIBERIACostad’Oro

Togo

Nigeria

Camerun

Congo

Eritrea

Somalia Br.

SomaliaItaliana

MESSICO

GUATEMALA

SAN SALVADORCOSTA RICA

PANAMA

HONDURASNICARAGUA

COLOMBIA

CUBAHAITI

REP. DOMINICANA

VENEZUELA

ECUADOR

BRASILE

PE

BOLIVIA

CI

LE

PARAGUAY

URUGUAY

ARGENTINA

ETIOPIA

Gibuti Socotra

AfricaOrientale

Brit.

Uganda

AfricaOrientaleTedesca

Comore

Seychelles

Agalena

Madagascar Rodriguez

MaurizioRiunione

Ascensione

S. Elena

1

2345

6 7 89

10

11 12 PERSIA AFGHA-NISTAN

KuwaitCanarie

Madera

Capo Verde

AngolaRhodesia

BeciuaniaAfrica

Tedescadel

Sud-Ovest

UnioneSudafricana

Maldive

Diu

Goa

Mahé Karikal

Pondichéry

Chandernagor MacaoHongKong

ButhanIn

di

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Mongolia

Tuva

Corea

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IMPEROGIAPPONESE

Filippine

Indie Orientali Olandesi

Malesia Sarawak

NuovaGuinea Salom

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Australia

NuovaZelanda

Timor

Marianne

Guam

Volcano

Bonin

SIAM

Alaska

Gibilterra

Ifni

Annobon

1 DANIMARCA2 PAESI BASSI3 BELGIO4 LUSSEMBURGO5 SVIZZERA6 MONTENEGRO7 SERBIA

GRECIA

8 ROMANIA9 BULGARIA10 ALBANIA11 Dodecaneso12 CIPRO

Al euti ne

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IndocinaFr.

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Porto RicoGuadalupeMartinica

TrinidadGuayana Br.

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GERMANIA

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SULL’ORLO DEL BARATRO12

IL MONDO PRIMA DELLA GUERRANel 1914 gli equilibri euro-pei sono già da tempo in mo-vimento. La crescente rivalità navale tra Gran Bretagna e Germania ha messo in discus-sione il primato economico e militare britannico, che ha costituito per lungo tempo un fattore di stabilità. Le que-stioni coloniali in particolare sono divenute il terreno dove più apertamente si gioca la competizione tra le potenze europee. Così per esempio in Afghanistan, dove si gioca una partita insidiosa fra Gran Bretagna e Russia. Così in Africa, dove ai tradizionali insediamenti inglesi e francesi si affiancano, nuovi arrivati,

Germania e Italia. Così, infine, nei Balcani, dove la decadenza dell’Impero ottomano ha cre-ato un vuoto di potere gravido di conseguenze.È in questo scacchiere che agi-scono infatti le rivendicazioni d’indipendenza delle popo-lazioni cristiane (e lo zar di Russia si proclama difensore di tutte le popolazioni cristiane sottoposte all’Impero ottoma-no), l’aspirazione della Serbia a divenire la guida dell’irre-dentismo slavo e a estendere il proprio dominio fino all’A-driatico, i disegni italiani diretti alla medesima area, le contrastanti mire egemoniche di Russia e Austria, i tentativi di espansione di Bulgaria, Grecia e Montenegro.

L’accentuarsi dei nazionali-smi (revanscismo francese, pangermanesimo tedesco, irredentismo slavo), gli an-tagonismi tra gruppi etnici in seno all’Impero austroun-garico, le contrapposizioni di classe in Russia, Gran Bretagna, Francia contribui-scono a creare un’atmosfera di insicurezza collettiva che con-diziona l’Europa. Insicurezza di cui un esito e un segno sono la corsa agli armamenti e la costruzione di blocchi di alleanze: nel 1882 la Triplice alleanza che unisce Germania, Austria-Ungheria e Italia; nel 1904 l’Entente cordiale tra Gran Bretagna e Francia e poi, nel 1907, la Triplice intesa tra questi due paesi e la Russia.

SULL’ORLO DEL BARATRO 13

L’arciduca Francesco Ferdinando e la moglie Sofia salgono sull’auto decappottabile per continuare la visita a Sarajevo.

In apertura, truppe dell’esercito russo. Quando la Russia entrò in guerra, il suo esercito era il più esteso d’Europa, ma anche il meno moderno.

I1 28 giugno 1914 l’erede al trono austro-ungarico, Francesco Ferdi-nando d’Asburgo, cade sotto i colpi di un irredentista slavo a Sarajevo, capitale della Bosnia-Erzegovina, provincia recentemente annessa all’Im-pero. L’episodio, il casus belli che determina lo scoppio della prima guerra mondiale, non è di per sé più grave di altri regicidi o attentati a esponenti delle casate regnanti di cui l’Europa è stata testimone dalla fine dell’Ot-tocento. Ma Vienna attribuisce alla vicina Serbia, che da tempo alimenta l’opposizione anti-austriaca delle popolazioni slave sottomesse agli Asbur-go, la responsabilità dell’assassinio. L’accusa è pretestuosa: l’attentato ha avuto luogo nel territorio dell’Impero, gli autori materiali sono sudditi austriaci e le prove di un effettivo coinvolgimento della Serbia si avranno solo a guerra conclusa. Tuttavia per l’Austria questa è l’occasione per giungere a una soluzione radicale – sia essa politica oppure militare – del problema serbo: fare i conti una volta per tutte con quel nido rivoluzio-nario che dal confine orientale minaccia l’unità dell’Impero. E se Vienna manifesta ancora una certa esitazione nel compiere i passi che possono condurre alla guerra, c’è comunque l’alleata Berlino che non sembra a-spettare altro che di lanciarsi in una simile avventura.

Così l’Austria-Ungheria del vecchio Francesco Giuseppe si lascia tra-scinare dalla Germania del giovane Guglielmo II nel braccio di ferro. Dopo un primo momento di incertezza, il 23 luglio 1914 Vienna presenta alla Serbia un ultimatum dalle condizioni inaccettabili per uno Stato so-vrano. Si pretende da Belgrado lo scioglimento di tutte le organizzazioni politiche e patriottiche, il divieto di ogni forma di propaganda anti-au-

SULL’ORLO DEL BARATRO14

striaca, la partecipazione di funzionari asburgici alle indagini governative in territorio serbo sulle responsabilità dell’atto terroristico. Forte dell’ap-poggio russo, la Serbia respinge parte delle richieste e ordina la mobilita-zione generale. Spronata dalla Germania, l’Austria-Ungheria risponde con la dichiarazione di guerra. È il 28 luglio. Il meccanismo delle alleanze so-spinge Berlino, Mosca, Londra e Parigi negli opposti schieramenti: entro la prima settimana di agosto l’Europa è precipitata nella guerra generale.

UN EVENTO STORICO SENZA PRECEDENTIIl conflitto innescato dall’attentato di Sarajevo sarà un evento storico

senza precedenti per estensione (circa 20 i paesi coinvolti), imponenza dello sforzo militare e della mobilitazione di uomini e risorse (70 milioni di soldati), dimensione del sacrificio (9 milioni i morti tra i militari, più un altro milione tra i civili). Rispetto ai conflitti dell’Ottocento la prima guerra di massa si presenterà, sotto molti aspetti, con un volto nuovo. Non è più solo una minoranza delle popolazioni a essere chiamata a par-tecipare attivamente alla lotta: fra il 1914 e il 1918 i paesi belligeranti dovranno ricorrere per la prima volta all’arruolamento di tutti gli uomini idonei, l’enorme sviluppo degli eserciti si accompagnerà alla crescita del peso politico dei generali e a profondi mutamenti delle strutture sociali ed economiche.

La tavola di Beltrame racconta ai lettori della

“Domenica del Corriere” l’attentato di Gavrilo

Princip. Ma l’illustratore non sa ancora quali

saranno le conseguenze.

Nella pagina a fianco, l’arresto di Gavrilo

Princip, assassino dell’Arciduca austriaco Francesco Ferdinando,

erede al trono di Austria-Ungheria.

SULL’ORLO DEL BARATRO 15

unite le diverse parti dell’Im-pero. Inoltre, Francesco Ferdi-nando è più aperto alle riforme rispetto all’imperatore, ma è fermamente avverso ai nazionalismi che minano l’unità del dominio degli Asburgo.E con il suo progetto di ri-organizzazione della duplice monarchia su basi trialistiche, austriaca, ungherese e slava, è colui che può in futuro riuscire a ricondurre le tendenze cen-trifughe slave nell’ambito della fedeltà all’Impero: per questo rappresenta una minaccia.Princip, condannato a vent’anni, morirà nel 1918 di tubercolosi; il colonnello Dimitrijevic, protagonista dell’ennesima congiura contro il re di Serbia Pietro Karagjeorgjevic, verrà invece fucilato a Salonicco nel 1917.

L’ATTENTATO DI SARAJEVOSarajevo, le dieci del mattino del 28 giugno 1914. L’auto, una Graf Stift quattro cilindri scoperta con a bordo l’arciduca Francesco Ferdinando e la mo-glie Sofia, percorre il lungofiu-me Appel tra due ali di folla. L’erede al trono degli Asburgo è in visita alla città per raffor-zare i legami con la Bosnia, provincia a maggioranza ser-ba, incorporata dall’Impero nel 1908. All’improvviso una bomba viene scagliata contro il corteo imperiale: il detonatore salta ferendo Sofia di striscio e l’ordigno esplode sotto l’auto di scorta. L’attentatore, lo stu-dente Nedjelko ̌Cabrinovic, è arrestato, l’arciduca è illeso. E se dopo il fallito attentato l’arciduca decidesse di tornare a Vienna? Uno spunto perfetto per una storia di fantapolitica. Invece Francesco Ferdinando si avvia incontro al destino nel più coerente stile austriaco: il municipio, la visita ai feriti dell’esplosione, un nuovo, lento corteo sull’Appelkai; e poi, nemmeno un’ora dopo, il fatale secondo attentato. I colpi di pistola di Gavrilo Princip spezzano la vita dell’arciduca e della moglie. Gli attentatori (un commando di sette o otto uomini) sono sudditi austriaci di nazionalità serbo-bosniaca, aderenti alla società Mlada Bosna (Giovane Bosnia). Ma si sospetta subito

un coinvolgimento diretto della Serbia nell’organizzazione del complotto. In effetti i fili della trama conducono al capo del servizio informazioni dello stato maggiore serbo, il colon-nello “Apis”, alias Dragutin Dimitrijevic, un nazionalista fanatico, e agli altri ufficiali estremisti coinvolti nell’asso-ciazione segreta “Mano nera”, che si propone di creare con ogni mezzo, anche terroristico, la “Grande Serbia”, una vasta nazione che raccolga insieme le popolazioni slave meridionali. “Apis” del resto è già stato l’ispiratore di alcune azioni clamorose, come l’assassinio del re di Serbia Milan Obrenovic (1903). Con l’assassinio dell’e-rede al trono si intende colpire la monarchia stessa: il legame – reale e simbolico – che tiene

SULL’ORLO DEL BARATRO16

Il progresso – quello stesso progresso celebrato nel crepuscolo della Belle Époque – ha reso la tecnologia più distruttiva: lo scontro si porta nei cieli e sul fondo del mare, gli eserciti sono affiancati dai primi carri armati, da navi da guerra corazzate spinte dal vapore, da cannoni pesanti, da gas venefici, mentre le ferrovie consentono la rapida concentrazione di grossi contingenti di truppe.

La fisionomia di molte delle potenze che si fronteggiano risulterà profondamente mutata alla fine del conflitto. Economie ancora preva-lentemente agricole all’apertura delle ostilità ne usciranno, per quanto stremate, trasformate dalla creazione di grandi apparati militari indu-striali. Importanti trasformazioni interverranno anche nelle strutture i-stituzionali delle nazioni e in molti casi si indebolirà il tessuto sociale delle popolazioni.

Stati monarchici diverranno repubbliche, si consumerà l’esperienza della rivoluzione bolscevica, imperi sovra-nazionali verranno cancellati dalla carta europea, nei paesi dove è più recente l’unificazione nazionale prenderanno forma i movimenti che saranno alla base dei successivi regi-mi reazionari (fascismo in Italia e nazismo in Germania), nuovi soggetti sociali – le donne innanzi tutto – si affacceranno nella lotta per l’eman-cipazione.

Ma la “Grande guerra”, come sarà in seguito ricordata, sarà anche un evento sostanzialmente irrisolto, destinato, con il carico di contraddizio-ni che lascerà in eredità all’Europa, ad aprire la strada allo scoppio di un secondo e ancor più terribile conflitto di portata mondiale.

Alla fine del secolo Amburgo è il primo

porto della Germania, il volume dei suoi traffici continua ad aumentare

ed è lo specchio del dinamismo commerciale

tedesco. Nel 1913 la flotta mercantile tedesca rappresenta ormai l’11

per cento del totale mondiale.

UNA CONSAPEVOLEZZA MANCATADurante gli anni di belligeranza, e soprattutto dopo la sconfitta degli

Imperi centrali, i vincitori faranno di tutto per addossare alla sola Ger-mania, con il suo militarismo e la sua inarrestabile Weltpolitik, la re-sponsabilità di aver scatenato la guerra. Oggi, superata l’interpretazione essenzialmente politica di uno Stato “aggressore”, si riconosce come i germi del conflitto siano maturati nel corso degli ultimi pur pacifici decenni del XIX secolo e nei primi anni del Novecento e come le cause reali e profonde siano ben più complesse e debbano essere ricercate in una serie di elementi diversi, tanto economici quanto politici, che interagiscono tra di loro.

Tra il 1908 e il 1914 l’annessione della Bosnia-Erzegovina da parte dell’Impero austro-ungarico, le due guerre balcaniche per la spartizione dell’eredità ottomana, la concorrenza navale anglo-tedesca, la seconda crisi marocchina tra Francia e Germania sono tutti elementi di attrito inter-nazionale che pongono le premesse del successivo conflitto. Nessuno dei singoli contrasti è in sé così grave da non poter essere composto attraverso conferenze e trattati, come tante volte è accaduto nell’Ottocento quando, dopo l’esperienza devastante delle guerre napoleoniche, la politica degli Stati si è volta al mantenimento dell’equilibrio. Ma se nell’Europa del Novecento ciascuno teme l’affermazione dei paesi confinanti, nessuno ha più paura della guerra. Tutti sono pronti a gettarsi nella contesa, troppo a lungo rimandata, per il potere mondiale.

Una cartolina postale colorata, rappresenta dei commercianti di Sarajevo che vendono le loro merci intorno a una fontana (1910).

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Nei discorsi degli statisti si percepisce infatti una sorta di disponi-bilità culturale alla guerra, a cui sul piano ideologico offre legittimazio-ne l’applicazione ai rapporti internazionali della teoria darwiniana della selezione naturale (“darwinismo sociale”). Gli industriali, per i quali la guerra rappresenta un’occasione di profitto; i ceti dirigenti, che vi vedono un antidoto alla lotta di classe; i vertici militari e i partiti politici: troppe sono le componenti delle società europee che pensano di poter sfruttare lo scontro a proprio vantaggio.

Ma alla base c’è anche una quasi totale inconsapevolezza delle conse-guenze connesse ai mutamenti tecnologici e sociali in atto. Non soltanto infatti la guerra è più distruttiva che un tempo, ma a causa del rafforza-mento delle capacità difensive contro il potenziale offensivo è in concreto molto difficile ottenere una soluzione militare sul campo di battaglia, almeno in tempi rapidi.

È una tragica illusione quella che nel luglio del 1914 riecheggia nei palazzi governativi e nelle piazze d’Europa: questa guerra che nessuno ha voluto evitare sarà breve, poche settimane o al massimo qualche mese, e soprattutto sarà l’ultima.

Il cancelliere tedesco Theobald Von Bethmann

Hollweg si rivolge al Reichstag durante la crisi

di luglio 1914, prima dell’entrata in guerra.

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IL LUNGO REGNO DI FRANCESCO GIUSEPPEDurante la prima parte del lungo regno di Francesco Giuseppe, le

sconfitte subite dall’Austria ad opera della Francia prima (1859) e della Prussia poi (1866), hanno di fatto spento ogni speranza di egemonia de-gli Asburgo sui territori di lingua tedesca e posto fine alla loro influenza sull’Italia. Il centro di gravità dell’Impero si è spostato a oriente, rendendo sempre più pressanti le questioni poste dalla difficile convivenza in un’u-nica entità politica di popolazioni, etnie e culture diverse, il cui crescente nazionalismo, primo tra tutti quello magiaro, minaccia in maniera sempre più allarmante le strutture stesse dello Stato. Nel 1867 Francesco Giusep-pe, nel tentativo di imprimere una riforma allo Stato, si risolve a optare per un compromesso (Ausgleich) e concede all’Ungheria l’indipendenza e un parlamento bicamerale. L’unione con l’Austria si mantiene nella persona del sovrano, che assume su di sé i titoli di imperatore d’Austria e di re di Ungheria. Si sancisce in questo modo il predominio dell’elemen-to magiaro, accanto a quello austro-tedesco, sugli altri gruppi etnici, in particolare gli slavi, che costituiscono la popolazione più numerosa tra quelle che abitano l’Impero.

Il Prater, con la sua celebre ruota di 70 metri, è il luogo di divertimento e svago preferito dai viennesi nelle loro pigre domeniche. Alla fine del XIX secolo Vienna non è solo una delle più maestose capitali d’Europa, ma anche la sede cosmopolita di una vita culturale, intellettuale e mondana di eccezionale ricchezza.

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La soluzione che dà vita al dominio bipartito degli Asburgo non può tuttavia sanare gli squilibri economici tra le regioni occidentali, che ve-dono la formazione di un proletariato urbano organizzato dai movimenti socialisti, e quelle orientali, agricole e più soggette alle crisi economiche e dove la struttura sociale si fonda su un’aristocrazia terriera priva di qua-lunque dinamismo e incapace di aprirsi all’ammodernamento.

Tale soluzione non risolve neppure, anzi semmai acuisce, i problemi di un Impero multietnico nell’era dei nazionalismi, suscitando il risenti-mento delle componenti escluse dal compromesso (cechi, slovacchi, cro-ati), che puntano a un ordinamento compiutamente federale, e di quelle minoranze (italiani e serbi) più chiaramente irredentiste. Tutto questo mentre fra i sudditi di lingua tedesca vanno crescendo sentimenti e idee di stampo pangermanistico e di conseguenza filotedesche.

Lo scontro delle nazionalità si riverbera nel parlamento di Vienna, pa-ralizzando lo svolgimento della vita politica. Nel 1907 l’introduzione del suffragio universale maschile dà al parlamento austriaco una maggioranza dell’elemento slavo, a sua volta tuttavia troppo diviso per poter esprimere una politica di governo unanime: dal 1909 il paese è amministrato at-traverso ordinanze imperiali. Sul versante ungherese intanto l’egemonia magiara si traduce progressivamente in una vera e propria persecuzione delle minoranze etniche.

In politica estera, a partire dal congresso di Berlino che nel 1878 le affida l’amministrazione della Bosnia-Erzegovina (provincia turca abitata preva-lentemente da popolazione serba), l’Austria-Ungheria appare sempre più coinvolta nei Balcani. Se da un lato tale tendenza è conseguenza della perdi-ta di potere in Italia e in Germania, dall’altro essa è indice della progressiva subordinazione della politica estera di Vienna alle esigenze di Berlino, cui nel 1882 l’Impero asburgico si lega insieme all’Italia nella Triplice alleanza.

FRANCESCO GIUSEPPENasce a Vienna nel 1830 e riceve

un’educazione severa e religiosa.

Presta servizio militare in Italia

durante i moti del 1848 e viene

proclamato imperatore alla

fine dello stesso anno in seguito

all’abdicazione dello zio Ferdi-

nando e alla rinuncia al trono

del padre, l’arciduca Francesco

Carlo. Espressione degli ambienti

militari, inizia un programma

di restaurazione dell’autorità

imperiale su basi centralistiche.

Ma le sconfitte militari subite da

parte delle forze franco-piemon-

tesi e prussiane ridimensionano,

fra 1859 e 1866, le ambizioni

austriache.

Dopo la morte del fratello Massi-

miliano (fucilato in Messico nel

1867), gli anni della maturità

sono segnati da tragedie che

incupiscono il suo carattere già

rigido: il figlio Rodolfo si suicida

a Mayerling nel 1889; la moglie

Elisabetta – che si era da tempo

allontanata dalla corte e dal ma-

rito – viene uccisa nel 1889;

il fratello Francesco Ferdinando

è assassinato a Sarajevo.

L’uomo che affronta la guerra

è un gigante stanco, ancorato

a un mondo che non esiste più

e che rinuncia a interferire

nella conduzione della guerra.

Muore nel 1916, prima di

assistere al crollo dell’Impero.

Nella pagina a fianco, la famiglia reale austriaca. La vita familiare di Francesco Giuseppe, al centro nell’immagine, è segnata dall’infelicità: la moglie Elisabetta, seduta al suo fianco, viene uccisa da un anarchico nel 1898; il figlio Rodolfo, qui in basso a destra insieme all’arciduca Francesco Carlo, si uccide a Mayerling nel 1889.

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Fino ai primi del Novecento la penetrazione nei Balcani è essenzial-mente economica. Nel 1908, in contemporanea con la rivoluzione dei Giovani turchi all’interno dell’Impero ottomano, si giunge però all’an-nessione della Bosnia-Erzegovina: dietro alla decisione ci sono le speranze di rivincita dei militari austriaci, ma anche la diplomazia di Berlino che intende intralciare i progetti russi di penetrazione nei Balcani. La mossa inasprisce i rapporti tra slavi e tedeschi all’interno dell’Impero, mentre all’esterno riesce a urtare contemporaneamente i serbi, lo zar (che si pro-clama difensore degli slavi ortodossi nei Balcani), e l’Italia (che non vede di buon occhio la politica adriatica di Vienna).

Ad ergersi in funzione anti-austriaca è soprattutto la Serbia, dove pren-dono piede movimenti irredentisti che mirano a liberare le popolazioni slave della Bosnia. Dalle guerre balcaniche degli anni 1912-1913 la Serbia esce militarmente rafforzata, ma al tavolo della pace l’Austria-Ungheria ottiene che, con la creazione dell’Albania, l’ostile vicino si veda sottrarre lo sbocco al Mare Adriatico conquistato durante il conflitto. I rapporti tra i due paesi si fanno sempre più aspri: l’impennata del sentimento nazio-nale in Serbia rafforza l’impressione che il confronto diretto fra Belgrado e Vienna non sia più rimandabile.

Un’immagine della fanteria dell’esercito

austro-ungarico intorno al 1910.

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IL SOGNO DI UNA GRANDE GERMANIALa Germania che si lancia nell’avventura bellica nel 1914 è uno Stato

giovane, potente e aggressivo. È al 1871 che risale infatti l’unificazione dei singoli Stati tedeschi in un Impero a carattere federativo (Reich) con a capo il re di Prussia, assurto al ruolo di imperatore (Kaiser).

Nei primi venti anni l’Impero è guidato dall’artefice dell’unificazione e della vittoria sulla Francia nel 1870, con la conseguente annessione dell’Alsazia-Lorena: il cancelliere Otto von Bismarck. Tesa al rafforza-mento dello Stato appena creato, la politica di Bismarck si appoggia alle forze della destra, sostanziandosi in un energico programma di accen-tramento condotto attraverso una lunga e, in ultima istanza, vana lotta contro l’autonomismo cattolico e contro l’affermarsi del nuovo partito so-cialdemocratico, mentre il consenso presso l’opinione pubblica è ricercato mediante il varo di un ardito piano di riforme sociali. In politica estera Bismarck persegue due obiettivi: garantire la sicurezza dello Stato, in particolare con l’isolamento della Francia animata dall’aspirazione alla ri-vincita, e presentare all’Europa un Impero rapidamente consolidato come grande potenza militare e industriale. Il congresso di Berlino del 1878, in chiusura dell’ennesima guerra russo-turca, sancisce il ruolo internazionale del Reich che, con la mediazione messa in atto a favore degli sconfitti e nel gioco della spartizione dei territori balcanici, si conquista la riconoscenza di Vienna e di Istanbul. Nel 1882 viene siglata la Triplice alleanza che lega la Germania all’Austria e all’Italia; nel 1887, con il trattato di “con-troassicurazione” stipulato con la Russia, le due potenze si garantiscono la reciproca neutralità in caso di conflitto.

Il complesso sistema di rapporti internazionali creato dalla diplomazia di Bismarck è destinato però a sgretolarsi rapidamente dopo l’ascesa al trono di Guglielmo II nel 1888. Non ancora trentenne, di temperamento

GUGLIELMO IINato nel 1859, di formazione calvinista, studia diritto pub-blico all’università di Bonn e apprende la disciplina militare a Potsdam, ma l’handicap al braccio dovuto alla poliomielite lascia un segno profondo sul suo carattere. Sale al trono nel 1888. È un convinto assertore della necessità per la Germania di ristabilire un regime interno autoritario tramite il recupero

dell’autorità regale, nonché di una maggior forza militare e navale. Per la sua concezione dell’autorità come potere asso-luto di origine divina si scontra con il cancelliere Bismarck, e lo costringe alle dimissioni nel 1890. Il Kaiser vuole occuparsi personalmente di politica estera: il risultato è l’isolamento politi-co della Germania nei confronti di Gran Bretagna e Russia. Durante il conflitto le sue deci-

sioni in campo militare si limi-tano alla scelta dei comandanti supremi, ai quali – come nel caso di Ludendorff – concede ampi margini politici. Al mo-mento del crollo militare della Germania, la sua abdicazione viene posta come condizione per l’armistizio. Nel novembre del 1918 si rifugia a Doorm, in Olanda, dove vivrà ancora a lungo in un appartato esilio. Morirà infatti nel 1941.

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risoluto e impulsivo, il nuovo imperatore si fa interprete delle aspirazioni imperialiste che si vanno affermando in ambienti intellettuali e tra gli ufficiali dell’esercito. Prende forma l’idea del dominio sull’intera Europa centrale: una Grande Germania, che dovrebbe riunire tutti i popoli di lingua tedesca considerati, sulla base della teoria darwiniana, l’espressione più pura della superiore razza ariana.

La nuova politica mondiale avviata dal giovane sovrano – da subito sbarazzatosi dell’ingombrante presenza di Bismarck – si concretizza in una serie di sfide lanciate sullo scenario internazionale: nei confronti della Russia, non rinnovando il trattato di controassicurazione, inserendosi nel “grande gioco” balcanico e appoggiando il Giappone nella guerra del 1905; nei confronti della Francia, con le visite al sultano di Damasco e in Marocco ancora nel 1905; nei confronti della Gran Bretagna, solidarizzando con la rivolta dei boeri e soprattutto avviando il poderoso programma di costru-zione di una flotta da guerra in grado di incrinare la supremazia britannica.

Lo spericolato imperialismo di Guglielmo II non può non mettere in allarme le altre potenze europee: il risultato è la vanificazione degli sforzi di Bismarck per evitare l’avvicinamento tra Francia, Russia e Inghilterra. Nel 1911 nel porto di Agadir entra la cannoniera tedesca Panther, inviata dal governo di Berlino nelle acque marocchine come monito contro le pressioni francesi su quel paese. La crisi (che vede la mobilitazione della flotta inglese a sostegno degli interessi francesi) rientra: la Germania si accontenta di un pezzetto di Congo, lasciando mano libera ai francesi in Marocco. Ma l’episodio resta uno dei più significativi momenti di attrito che anticipano la guerra.

Sul piano interno l’età guglielmina segna per il Reich una stagione di intenso sviluppo industriale, favorito dal rigido protezionismo e caratte-rizzato dalla concentrazione delle imprese, con la formazione di importanti cartelli soprattutto nel settore del carbone e della metallurgia. La corsa agli armamenti risponde alle richieste dei quadri militari, reclutati prevalente-mente tra gli Junker, i grandi proprietari terrieri che costituiscono la base del partito nazionalista e conservatore.

Se l’aristocrazia terriera ha visto ridurre progressivamente il suo peso economico, di contro, attraverso la presenza nell’esercito, ha saputo accre-scere il proprio valore politico. Con i cancellierati successivi a Bismarck (Caprivi, Hohenlohe, Bülow e dal 1909 Bethmann-Hollweg) i militari tedeschi fanno politica, consigliando l’emarginazione delle forze parlamen-tari estreme e suggellando la creazione di un blocco agrario-industriale. E tutto ciò nonostante un parlamento in cui è rappresentato il più forte partito socialista europeo.

Il fatto è che la socialdemocrazia tedesca, irretita nel gioco parlamen-tare fin dai tempi di Bismarck, ha abbandonato le posizioni rivoluzionarie mirando ad amministrare il relativo benessere della classe operaia tedesca.

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Parata militare alla presenza di Guglielmo II nel 1905. La Germania del giovane Kaiser è una potenza dinamica e aggressiva: le continue provocazioni militari e diplomatiche hanno l’obiettivo di rimettere in discussione gli assetti europei.

E quando nel 1912 conquista la maggioranza relativa in parlamento (34% dei voti), si impantana nel problema della collaborazione con i liberali e con il centro cattolico (Zentrum). Nel 1913 i militari chiedono un aumen-to di spesa al parlamento attraverso un’imposta diretta e i socialdemocra-tici cadono nella trappola: timorosi di perdere il treno del nazionalismo, contrari per formazione a qualunque imposta indiretta (che si ripercuote nella stessa misura su tutte le classi), essi votano i crediti all’esercito, segnando così la loro adesione alla politica di potenza.