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IL MUSEO PROVINCIALE SIGISMONDO CASTROMEDIANO Guida breve brochure 10-01-2013 14:55 Pagina 1

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IL MUSEO PROVINCIALESIGISMONDO CASTROMEDIANO

Guida breve

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Appena un anno fa si concludevano le complesse operazioni di allestimento del MuseoProvinciale “Sigismondo Castromediano”, e oggi siamo qui a dare il via ad una serie di pub-blicazioni scientifiche e divulgative con le quali illustrare, ad un pubblico multiforme maesigente, le collezioni esposte. Il nuovo allestimento ha portato anche delle novità in termini di conoscenza di materialiarcheologici e storico-artistici che un tempo erano nei depositi del museo perché non facilida contestualizzare o perché appartenenti alla classe delle cosiddette arti minori. Essi trova-no ora una nuova dignità e consentono alla Provincia di Lecce di prospettare quanto primala realizzazione di una nuova sezione espositiva interamente dedicata alle ‘arti applicate’.La guida breve del museo ci è sembrata la scelta migliore per iniziare questo nuovo percor-so, sia per la sua semplicità di approccio ai materiali ed agli allestimenti espositivi, sia perla opportunità di dotarsi in tempi rapidi di un imprescindibile strumento di avvicinamentoalla visita museale. E sono già pronte anche le edizioni di cataloghi tematici e di una guidapiù complessa ed articolata per sezioni con l’obiettivo, per noi chiaro e vincolante, di ren-dere il museo un luogo di facile fruizione e di grande accoglienza, legato e collegato allacittà ed al territorio. Mi auguro che la scelta del Museo, di offrire una guida a carattere divulgativo ma che nonperde di vista la correttezza e la scientificità dei contenuti, sarà accolta con favore dal pub-blico dei visitatori, sempre più attento ed esigente.

Antonio GabellonePresidente della Provincia di Lecce

Non è stato facile fare questo primo passo, tanti sono stati gli ostacoli che si sono frapposti.Certo, non la scarsa considerazione dell’utilità di un agile strumento di accompagnamentoalla visita al nostro museo: non conosciamo, infatti, mezzo più utile di una “guida breve”perillustrare, in forma accessibile anche ai non addetti ai lavori, il nuovo allestimento espositi-vo realizzato di recente.Forse è stata l’esigenza di costruire una equilibrata relazione tra limiti di tempo, la solleci-tazione di attenzione da parte di fruitori bombardati giornalmente da una pioggia di novitàdisparate sui beni culturali, l’abbondanza di dati che il fare di anni inevitabilmente produ-ce, il desiderio di completezza e di chiarezza, che blocca la penna in questi casi. E si potrebbe aggiungere un’ulteriore remora: quella costituita dalla complessità degli ele-menti che condizionano le attività culturali e non solo esclusivamente archeologiche e sto-rico-artistiche di questo Servizio. Perché questo Museo non è fatto solo di oggetti esposti in vetrina in bell’ordine, ma è qual-cosa di vivo, di parlante, di reattivo. Un luogo aperto a tutti dove gli oggetti parlano e rac-contano di uomini e popoli che sono esistiti, hanno lavorato, prodotto, hanno sepolto i loromorti, adorato i loro dei, hanno scritto, dipinto, scolpito, hanno messo su una tela o nellacreta la loro anima.Il giro nel museo è un viaggio. E il viaggio è scoperta. È un viaggio nella storia, nella cultura, nell’arte. È la scoperta delle capacità, delle abilità,dell’ingegno, delle idee, del senso di appartenenza, degli ideali, delle credenze, delle aspira-zioni di uomini e donne che hanno vissuto questo territorio e lo hanno reso vivo e vitale. Una scoperta che speriamo, anche grazie a questo strumento, di rendervi il più possibile affa-scinante e coinvolgente. Buon viaggio

Simona MancaAssessore alla Cultura della Provincia di Lecce

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Vicende

La storia delle raccolte ha inizio nel 1868 quando la Provincia di Terra d’Otranto nominauna commissione con il compito di studiare e indagare le vicende storico-artistiche ditutto il territorio istituendo perciò un museo in cui depositare donazioni e acquisti. Leleggi del nuovo stato unitario infatti, abolendo gli ordini religiosi, avevano finito con losvuotare conventi e monasteri non solo delle persone ma anche delle biblioteche, deimobili e delle opere d’arte che alimentavano la crescente attività dell’antiquariato.Presidente della commissione fu nominato Sigismondo Castromediano, un aristocraticosalentino che aveva conosciuto a lungo le carceri per la sua attività antiborbonica che loqualificano perciò come eroe risorgimentale.L’attività del Castromediano fu intensa perché egli raccolse materiali di ogni tipo, da quel-li archeologici, proveniente da scavi fortuiti o da acquisti e donazioni, ai dipinti, alle cera-miche di fabbriche salentine o anche di altre realtà italiane, ai vetri, agli avori e, soprat-tutto, alle monete riuscendo a mettere in piedi un medagliere di notevole importanza inpochi decenni.Tra difficoltà, entusiasmo e stenti, in pochi anni il museo aprì al pubblico le prime sale inalcuni ambienti al pianoterra dell’ex monastero dei Celestini, dove rimase sino al 1979quando, con progetto di Franco Minissi, venne adattato a nuova sede di Museo eBiblioteca Provinciale l’ex Collegio Argento che i Gesuiti avevano fatto erigere sul finiredel XIX secolo e dove avevano tenuto scuola sino al 1965.

Antonio Cassiano

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Percorso A

La preistoria nel Salentodi Anna Lucia Tempesta

Per chi voglia avere un quadro riassuntivo della prei-storia nel Salento - a partire dal Paleolitico - lungo larampa di accesso al primo piano è ospitata una sezio-ne didattica, con pannelli introduttivi sulla storia evo-lutiva dell’Uomo, sulle tecniche di scheggiatura dellapietra, della lavorazione della ceramica e dei metalli econ riproduzioni sperimentali di manufatti.

Al primo piano è il “grande racconto della preistoria”del Salento con una selezione degli strumenti da lavo-ro in pietra (industria litica) realizzati nelle diverse tec-niche di scheggiatura dall’uomo e rinvenuti nellenumerosissime stazioni in grotta e nelle cavità carsichedel Salento, a cominciare dal Paleolitico medio.

Di particolare rilievo sono le Veneri di Parabita (01)(02), statuette femminili in osso riferibili alla faciesgravettiana (Paleolitico superiore), rinvenute nellaomonima grotta di Parabita; la statuetta maschiledall’area dei Laghi Alimini (03), riferibile ad un oriz-zonte cronologico di poco successivo (Mesolitico ini-ziale) e la serie di pietre e ciottoli decorati da incisio-ni lineari (04) che coprono un arco cronologico tra lafine del Paleolitico e gli inizi del Neolitico, rinvenutianch’essi nella grotta delle Veneri.

Uno spazio a sé occupala grotta dei Cervi diPorto Badisco (Otranto),vero e proprio “santua-rio” neolitico, con il suostraordinario complessodi pitture rupestri, dellaquale si propone unaricostruzione virtuale.

Le testimonianze funerarie del Neolitico sono docu-mentate dai ritrovamenti effettuati sul pianoro diSerra Cicoria (Nardò), tra i quali spiccano i calchi diuna capanna in miniatura con i resti di una sepoltu-ra all’interno (05) - un unicum per il quale di propo-ne una funzione riturale legata alla sfera funeraria -,e di un circolo funerario megalitico (06) con pareti di

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PALEOLITICO E MESOLITICONEOLITICOETÀ DEI METALLI

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pietre a secco, conte-nente un inumato inposizione rannicchiataal centro e resti di altriindividui accantonatilungo le pareti. Lesepolture sono datatealla metà del V millen-nio a.C.

La sezione continua conl’illustrazione dello strumentario necessario allenuove pratiche diffuse nel Neolitico: falcetti per mie-tere il grano, asce e accette per abbattere gli alberi,contenitori ceramici per conservare e cuocere i cibi(07), macine per sminuzzare i cereali (08), ami per lapesca (09). Concludono questa sezione i materiali dell’età deimetalli (III-II millennio a.C.): tra questi, le ceramichedi Grotta del Fico (Nardò) e i ritrovamenti di GrottaCappuccini (Galatone) che, oltre a un ricco corredo divasi (10), ha restituito oggetti di prestigio, comepugnali in rame e bottoni in osso (11), e un’asta inarenaria interpretata come bastone di comando (12).06

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Percorso B

Le collezioni antichedi Anna Lucia Tempesta

Al primo piano (con passaggio diretto dalla sezionepreistorica o dalla rampa di accesso all’ingresso) èl’antiquarium, che raccoglie i materiali delle collezio-ni più antiche, generalmente privi di dati di contestoed ordinati per classi di appartenenza e per granditemi: il sacro, l’ideologia funeraria, la guerra, la casa,gli ornamenti, la musica, ecc.

Importanti le raccolte di vasi attici a figure nere erosse, lucani e apuli. Tra i vasi attici spiccano unakylix (tazza) (01) della fine del VI a.C., attribuita alGruppo del Louvre G 99, conla raffigurazione di un atletainginocchiato in atto di solle-vare i pesi (halteres); unalekythos a fondo bianco (02)del 490 a.C. con figura fem-minile impegnata in unadanza e lunga asta in equili-brio nella mano destra; e unapelike (03) con la rappresen-tazione di Polinice che donala collana di Armonia adErifile, perché convinca ilmarito Anfiarao a entrare inguerra contro Tebe, operamagistrale del pittore diChicago che illustra l’episodioche da origine alla trentenna-

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PRODOTTI DI IMPORTAZIONEPRODUZIONI APULE

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le guerra dei Sette contro Tebe. Degna di nota è anchela serie dei crateri, tra i quali quello a colonnette delpittore di Leningrado con tre sileni intenti a pigiarel’uva (04); quello a calice con Edipo che interroga laSfinge (05), tra le ultime importazioni dall’attica.

I vasi figurati lucani appartengono alle prime produ-zioni delle officine della colonia di Metaponto, e sonoopera di ceramografi come Amykos, Creusa e Pisticci:si espongono qui alcuni crateri a campana con scenegeneriche di offerte al guerriero (06), all’atleta (07) oall’erma della fine del V sec. a.C.

Seguono i prodotti del primo stile apulo a figure rosse,sui cui crateri si conservano le scene forse più interes-santi, come quelle dipinte dai pittori di Hearst e diHoppin, entrambi attivi nei primi decenni del IV a.C.

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Al primo appartengono i crateri con Eracle che affer-ra per i capelli il centauro Nesso e Deianira che fuggespaventata (08), e quello con la curiosa raffigurazionedi una fanciulla intenta alla toilette mentre Hermes leruba mantello e scarpe (09). Al secondo sono attribui-ti i crateri con raffigurazione di una Menade danzan-te al suono del tamburello (10) e quello di una fan-ciulla impegnata in un rito di purificazione per la pro-babile celebrazione di misteri (11). Questa fase dellostile apulo si conclude con le numerose opere dei pit-tori di Lecce 686 e 614 (che prendono il nome dalnumero di inventario di crateri qui conservati) e dellaloro officina, e del pittore del Bucranio, così chiama-to per la presenza assidua di protomi di bue sullosfondo delle sue scene, attivi nel secondo quarto delIV a.C.; e con quelle, più modeste e con scene ripeti-tive, dei Pittori di Truro e del Tirso, operanti ormai del

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terzo quarto del secolo.Particolarmente consistente è anche la raccolta dellaceramica dello stile cosiddetto di gnathia (dalla loca-lità dove venne rinvenuta per la prima volta,Egnathia). Si tratta di una produzione locale che ini-zia intorno al 360 a.C. e prosegue fino alla fine del IIsec. a.C. con motivi vegetali, antropomorfi e geome-trici nei colori rosso, giallo e bianco aggiunti sulfondo a vernice nera, e che si pregia di oggetti comeil cratere con raffigurazione di Dioniso ebbro (12), oquello con la Menade danzante con fiaccola e tambu-rello (13) di estrema eleganza.

Una attenzione speciale merita la collezione di cera-miche messapiche, crateri (14), kalathoi e trozzelle(15) decorate con semplici motivi lineari o vegetali neicolori bruno e rosso, prodotte tra il VI e la fine del IIIsec. a.C. che, insieme alle iscrizioni esposte nel tondocentrale (16), costituiscono le produzioni maggior-mente caratterizzanti nonché i tratti distintivi dellaciviltà dei Messapi, fiorita nell’estremo lembo dellaPuglia tra il VII ed il II a.C.

La triplice antica divisione della regione in Daunia,Peucezia e Messapia, rispettivamente a nord, centro esud, raccontata dalle fonti antiche e confermata dallaricerca archeologica, è qui testimoniata dai materialiprovenienti da Canosa (17) (Daunia), Ruvo di Puglia(18) (Peucezia) e da Egnathia (19) (Messapia).

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Alcuni reperti illustrano i grandi temi della civiltàmessapica, da sempre in rapporto vivo e stretto conquella greca e magnogreca prima e con quella roma-na poi: il simposio, con gli straordinari vasi in bron-zo (ciste, lebeti, paterae, hydriai (20), oinochoai) e lostrumentario (spiedi, colini (21), mestoli, grattugie)per mescere il vino e arrostire le carni; la musica -intesa come unione di suoni, canti e danze -, presen-te in tutte le occasioni pubbliche e private, civili e

religiose, come dimostrano le immagini sulle cerami-che (22, 23); la vita quotidiana, con gli oggetti di usopersonale che rimandano all’ornamento e alla toilet-te (specchi (24), fibule (25), pinzette, ecc.), alla pale-stra (strigili), all’arte della tessitura (26) o al mondodell’infanzia (27, 28). E, ancora, la guerra con armi daoffesa e da difesa (punte di lancia e di giavellotto,cinturoni (29), elmi, e il sacro con gli ex-voto dedica-ti alle tante divinità che facevano parte del pantheon

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messapico (30, 31), a imitazione e parziale assimila-zione di quello greco, e le immagini dei miti e dei ritiraccontate con incredibile maestria e capacità di sin-

tesi sui vasi importati dalla Grecia o prodotti nelleofficine locali nelle tecnica delle figure rosse (32) edella sovradipintura.

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Percorso C

Il museo topograficodi Anna Lucia Tempesta

Una rampa scende al piano terra dove ha inizio unlungo percorso a ellissi che introduce al Museo topo-grafico. Qui sono esposti i materiali rinvenuti nel corsodi scavi fortuiti, di emergenza o – più spesso – pro-grammati e scientificamente organizzati, effettuati neidiversi siti archeologici salentini.Una sorta di ideale passeggiata archeologica nelSalento che conferma le antiche tradizioni ed i raccon-ti mitologici che vogliono le città iapigie fondate da ree condottieri provenienti dalla Grecia, da eroi di ritor-no da lunghe ed estenuanti guerre o alla ricerca disempre nuovi confini.

Prendendo le mosse dallo straordinario sito diRocavecchia (01) sull’Adriatico, i reperti esposti all’in-terno del primo vasto emiciclo, venuti alla luce inscavi ancora in corso (02, 03, 04), confermano l’anti-chità di queste tradizioni e dimostrano che i contattitra il mondo egeo ed il Salento risalgono all’età mice-nea e perdurano durante l’età del Ferro, tra la fine delX e l’VIII a.C. Le lunghe ed alterne frequentazioni degli approdisull’Adriatico e sullo Ionio, i contatti e gli scambi coni siti dell’interno, favoriti dall’aspetto peninsulare e

dalla natura pianeggiante dei luoghi, lasciano segnievidenti e continuativi, favorendo ed accelerando ilprocesso di formazione dei tratti caratteristici dellegenti iapigie (05).

L’ultima fase della protostoria salentina, caratterizzatada incredibili cambiamenti economici e culturali e danuovi assetti politici e sociali che si identificano nellaciviltà iapigia (IX-VIII sec. a.C.), è illustrata dai mate-riali rinvenuti a Cavallino, 5 km a sud di Lecce, dovesotto i resti della città arcaica, nelle parte settentriona-le dell’abitato, è un villaggio di capanne del Bronzo

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DAI MICENI AI MESSAPIDAI MESSAPI AI ROMANI

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medio (XVI-XV sec. a.C.). Tra i materiali, accanto aivasi ad impasto prodotti localmente in piccoli forniall’aperto, sono sempre più frequenti le produzioni altornio riferibili ad un artigianato specializzato che traeorigine e vitalità dal proficuo e duraturo contatto conla grande civiltà greca, e gli oggetti in metallo per l’or-namento personale e l’abbigliamento (06) o per laguerra (07), estremamente rari nelle fasi precedenti.

All’interno di questa produzione ceramica decorata amotivi geometrici in bruno su fondo chiaro, si distin-gue, a partire dall’VIII secolo, la ceramica messapicache, grazie al mare, principale tramite delle influenzeelleniche ed illirico-balcaniche, si arricchisce di forme

e di motivi e di segni:svastiche, losanghe,meandri, raggi pendentie reticoli. Attorno alla metà del VIIa.C., nella decorazionedei vasi si introduce labicromia, mentre, nelsecolo successivo con larivoluzionaria introdu-zione del tornio veloce, siaggiungono due nuoveclassi ceramiche, quella afasce e quella acroma,che continueranno adessere prodotte finoall’arrivo dei Romani(08).

Ma le forme di gran lunga più caratteristiche delladecorazione geometrica messapica, presenti in nume-rosi esemplari nelle collezioni del museo, sono da unlato il cratere (vaso per mescere il vino) con anse afungo (09), poi soppiantato nel corso del V secolo dallaforma a colonnette (10) di derivazione greca, dall’altrola lekythos ariballica (11) (per contenere unguenti pro-fumati) e la trozzella (12), che sopravvive, con varian-ti e modifiche nella morfologia e nelle decorazioni,

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fino alla metà del III a.C.Così chiamata dallo studioso tedesco M. Mayer agliinizi del ’900, la trozzella si impone come la formadistintiva dei corredi funerari femminili.È caratterizzata da due anse a nastro ornate alle estre-mità da rotelle plastiche in argilla, che ricordano lecarrucole dei pozzi: “trozza” nel dialetto locale signifi-ca ’ruota’. Negli esemplari più tardi, ai motivi lineari geometricisi sostituiscono gli elementi vegetali - rami di edera oulivo, rosette, fiori di loto, palmette -, secondo ungusto comune e diffuso non solo nella officine deivasai messapici ma anche in quelle tarantine, attiche,alessandrine, greco-orientali. Rarissima nella ceramica messapica è la raffigurazionedella figura umana: nel museo si conservano due soliesemplari, tra cui l’eccezionale trozzella con Eracle nelgiardino delle Esperidi (13).

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Risultato straordinario del precoce e profondo influssodella cultura greca sull’estremo lembo meridionaledella Puglia, è la nascita della scrittura già nel VI sec.a.C. (in Peucezia e Daunia bisognerà attendere altri duesecoli), con l’adozione dell’alfabeto tarantino per indi-care la quantità delle merci scambiate, per incidere inomi dei defunti sulle tombe, per segnare la proprietàdi un oggetto e per ringraziare e propiziarsi gli dei.Non solo, gli apporti greci sui Messapi si notano anchenella adozione precoce di nuove tecniche edilizie. Lecase di muri a secco e tetti di tegole soppiantano gra-dualmente le capanne ovali con pareti in incannuccia-ta e copertura di paglia, e capitelli in carparo locale erivestimenti di terracotta (14) e cominciano ad abbelli-re edifici religiosi e civili. A Cavallino, per esempio, attorno alla metà del VIa.C., compare un insediamento di tipo urbano con stra-de e case, delimitato da un grande muro di fortificazio-ne, lungo più di 3 km, dotato di un fossato esterno edi grandi porte di accesso, che racchiude un’area com-plessiva di 69 ettari.

Tutto questo è il riflesso di una società complessa edorganizzata, con una ordinata ed efficiente divisionedei ruoli ed una funzionale ripartizione dei compiti.Piccoli oggetti di tutti i giorni (15, 16), e più rari ogget-ti di prestigio (17), strumenti di lavoro, ornamenti e lestraordinarie immagini sui vasi a figure rosse (18, 19,20, 21) ci restituiscono preziose testimonianze degliusi, dei costumi e dei rituali dei Messapi.

Il rituale funerario prevede l’inumazione entro fosse

rettangolari, scavate nella terra o nel banco roccioso, oentro sarcofagi litici, come nel resto del mondo italico.Elementi fondanti ed identificativi del corredo diaccompagno del defunto sono il cratere, decorato damotivi geometrici in rosso e bruno, e la coppa per beredi tipo greco-orientale, importata dalla Grecia o dallecolonie magnogreche della costa ionica (22), in segui-to sostituita dalla coppa a fasce di produzione locale.A personaggi eminenti sono riservate le tombe più ric-che, isolate o collocate in posizione enfatica all’inter-no delle necropoli, caratterizzata a volte dalla presen-za di un tumulo sovrastante. A queste sepolture è col-

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legato, inoltre, l’uso delle stelai in pietra leccese (23),con figure e motivi geometrici incisi, collocate comesegnacoli sulle sommità dei tumuli.

Successivamente, l’identità del defunto sarà affidataalla presenza, tra gli elementi del corredo, delle cerami-che figurate, dei bronzi, dei monili, importati diretta-mente dalla Grecia, preziosi anche perché carichi divalori simbolici.Così le tombe delle èlites aristocratiche messapicherestituiscono in gran numero vasi figurati nella tecni-ca delle figure nere prima (24) e delle figure rosse poi(25). Pregiati per fattura e perfezione tecnica, ma anco-ra di più per la ricchezza delle rappresentazioni: scene

di vita quotidiana, imma-gini di dei ed eroi, vicen-de del mito, racconti distoria.E queste immagini aiuta-no a sedimentare le storiedi popoli diversi, a rinno-vare alleanze, sigillareamicizie, costituire abitu-dini, acquisire e fare pro-pri stili di vita e usi ecostumi, e non sentirsiesclusi da quella grandekoinè culturale che, da uncerto momento in poi,accomuna tutto ilMediterraneo, da unasponda all’altra.E la vivacità di questiscambi continua nei seco-li successivi, quando alleimportazioni dallaLaconia e dall’Attica sisostituiscono le produ-

zioni lucane e apule (26).

E giungono anche nuovi modelli insediativi che supe-rano l’antica dispersione in villaggi e nuclei rurali eportano alla riorganizzazione in senso urbano. I centrimessapici, come Vaste ad esempio, acquistano la fisio-nomia di vere e proprie città, articolate in spazi ad usoprivato ed aree destinate ad uso pubblico. Le variecinte murarie cingono in questo momento tutti i sitiindigeni, piccoli, medi o grandi che siano, racchiuden-do al loro interno anche ampi spazi destinati all’agri-coltura e al pascolo. È per questo che, spesso, presen-tano estensioni incredibili, come quella di Ugento peresempio.Certo, la loro realizzazione simultanea o quasi è damettere in relazione con i numerosi scontri traTarantini da un lato e Messapi e Peuceti dall’altro, e lealterne e complesse vicende militari che caratterizzanoil corso del III secolo, quando sul territorio apulo si

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aggirano eserciti greciguidati di volta in voltada generali spartani, re eprincipi epiroti (27), e poitruppe lucane e miliziebruzie e infine le legionidi Roma, sempre piùaggressive e determinatea conquistare queste terrericche di storia e generosedi risorse.

Ma il IV secolo e la primametà del III a.C. sono per

la Messapia un momento di grande crescita economi-ca e demografica, dovuta verosimilmente all’acquisi-zione e alla circolazione di più evolute tecniche disfruttamento agricolo da un lato, ad una maggiore epiù facile circolazione di risorse dall’altro. Il surplusagricolo porta all’incremento degli scambi e questoalla crescita esponenziale della presenza di anforecommerciali, allo sviluppo della attività artigianali chesi specializzano nella estrazione della pietra locale enella produzione di ceramiche (28).Le strutture sociali vanno articolandosi: e la più chia-ra e leggibile attestazione è nelle tipologie funerarie enei corredi d’accompagno. I grandi ipogei ornati dasculture e rilievi, come quello delle Cariatidi a Vaste(29) (i cui materiali sono conservati nel MuseoNazionale di Taranto) o quello cd. delle porte monu-mentali di Rudiae, o ancora il più famoso ipogeoPalmieri di Lecce (del cui fregio nel Museo si conser-vano i calchi) sono i luoghi di sepoltura delle aristocra-zie messapiche, luoghi della loro autorappresentazioneideale.Di contro, la presenza numerosa nei corredi funebridelle ceramiche sovradipinte (30), vale a dire decoratenello stile di gnathia, racconta del consolidarsi di unclasse media indissolubilmente legata alle attività agri-cole (31, 32).

Nel II sec. a.C. si colgono i primi segni di un mutamen-

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to economico e culturale (33, 34) che va sotto il nomedi romanizzazione, dovuto verosimilmente a un inten-sificarsi dei rapporti con altri centri pugliesi già roma-nizzati, come Canosa e Brindisi. Quest’ultimo centrodiventa, d’ora in avanti, il porto di riferimento per l’in-tero meridione d’Italia. All’interno, si assiste alla rapida destrutturazione dellaforma urbana di molti degli abitati messapici o allaloro trasformazione in municipia romani, come accadeper Ugento. Ma il territorio non viene abbandonato. Al posto deicentri abitati si impiantano fattorie dedite allo sfrutta-mento agricolo prima e piccoli insediamenti bizantinipoi, come nel caso di Muro Leccese.

La testimonianza più eloquente di questa trasformazio-ne è l’introduzione della lingua latina nell’onomasticalocale (35). Ma altri segni indicano l’inizio di un lungo e gradualeprocesso di trasformazione urbanistica che si conclu-derà con la formazione di una nuova città, la Lecceromana. Tra la fine del II e gli inizi del I a.C. tutte le aree fune-rarie all’interno del percorso murario della città messa-pica vengono abbandonate, e alla metà del I sec. a.C.,forse con il passaggio nel 44 a.C. di Ottaviano, futuroAugusto, nasce il municipium di Lupiae.

Due in particolare sono i segni della sua grandezza: ilteatro e l’anfiteatro, riportati in luce nel primo trenten-nio del XX secolo. Il teatro, incastonato tra i vicoli del centro storico ed ilseicentesco convento di S. Chiara, pur conservandosoltanto la parte inferiore con 12 file di gradini, è unodegli edifici teatrali di maggiori dimensioni in Italiameridionale, con una capienza di 6000 spettatori. Dalladecorazione dell’orchestra semicircolare e della scena,tagliata nel banco di roccia, provengono molte dellestatue di marmo bianco insulare esposte nel Museo.Queste seguono un programma iconografico legatoall’ideologia del Principato di Augusto, del quale è pre-senta un torso loricato riconducibile al tipo cd. diPrima Porta, e sono spesso copie di famosi originaligreci, come l’Eracle del tipo Copenhagen-Dresda el’Artemide tipo Gabii entrambi da originali del IV a.C.,o il torso del Doriforo di Policleto (36), l’Ares tipoBorghese (37) e l’Amazzone tipo Lansdowne-Sciarra

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(38) da originali del V a.C. Dall’anfiteatro, ristrutturato in età adrianea per ospita-re fino a 14.000 persone (II d.C.) e inserito nel cuoremoderno della città, la grande piazza che ospita - sullasommità di una delle colonne terminali della via Appia- la statua di Sant’Oronzo, proviene invece la statua diAtena replica del tipo di Cherchel o Hephaisteia, da unoriginale greco di fine V a.C.

Regio Secunda è la denominazione del territorio corri-spondente all’attuale Puglia e a parte di Molise,Campania e Basilicata, nella nuova organizzazionedata da Augusto all’Italia. Ma la formazione di unavera e propria identità territoriale ed amministrativa èfenomeno recente, e si conclude non prima del VI d.C. Completamente dissolta, ormai, la precedente riparti-zione in Daunia, Peucezia e Messapia che caratterizzala regione in età preromana, resta inalterato il sistemadella autonomie cittadine, cioè delle coloniae latine(Benevento, Lucera, Venosa), di quelle romane (Siponto

e Taranto) e dei municipia istituiti nel I a.C., a seguitodella guerra sociale e della concessione della cittadi-nanza romana agli Italici.

Tra il I ed il III d.C., nel quadro di profonde trasforma-zioni che comportano la crescita di importanza dialcune città e la crisi o la sparizione di altre, si vaaffermando la denominazione di Apulia et Calabria,coincidente quest’ultima all’incirca con il Salento.Tutto ciò registra le effettive specificità e articolazionidella geografia economica, culturale ed etnica dellaregione, come dimostra l’istituzione della provinciaApulia et Calabria alla fine del III secolo, ad opera del-l’imperatore Diocleziano.Un territorio dotato di importanti assi viari - in parti-colare la via Appia Traiana -, e di un articolato siste-ma portuale, e caratterizzato da una solida e vivaceorganizzazione economica e produttiva (39, 40, 41, 42,43), ha in Canosa, il suo capoluogo. Una posizione dipreminenza che la città ofantina manterrà per alcunisecoli, fino a quando, in pieno Medioevo, tale ruolo leverrà strappato da Bari.

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Percorso DIl medioevo e l’età barocca

di Antonio Cassiano

Alla fine del percorso archeologico ha inizio un itine-rario in cui si mescolano materiali di vario genere,sculture provenienti dalle demolizioni ottocentesche,iscrizioni, icone, dipinti depositati da chiese e conven-ti di tutto il Salento, nonché ceramiche medioevali emoderne e oggetti di arte applicata che, usciti daldeposito, costituiscono oggi il nucleo iniziale di unanuova sezione del museo. Attestano la volontà delfondatore di formare una collezione di tutte le testi-monianze storico-artistiche che rischiavano la disper-sione.

Tra le cose più interessanti da notare, oltre ad alcunipiccoli crocifissi in avorio di manifattura francesedella seconda metà del XVIII secolo (01), un graziosoorologio solare dittico (02). È un orologio di direzioneformato da due tavolette d’avorio unite da cerniera,che si chiudono a libro. Sullo stesso piano si puòammirare una scatola astronomica in avorio con bus-sola e la raffigurazione di San Giovanni Battista sulquadrante, mentre sul coperchio, internamente, reca

incisa la data 1622. Del Seicento è anche la fiasca portapolvere da sparoin corno con decorazioni incise e uno stemma congiglio di Francia in ogni campo. Proviene dalla chie-sa di Santa Maria della Porta il turibolo in argento dimanifattura napoletana punzonato NAP 1742 (03).

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MEDIOEVOBAROCCO

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Altre curiosità sono alcuni frammenti scultorali pro-venienti dalle facciate di palazzi leccesi. Tra tuttivanno segnalati l’antico stemma della città, raffigu-rante il campanile e un leone di San Marco, datato1704, che era sulla facciata del demolito palazzo delGovernatore in piazza Sant’Oronzo (04).

Interessante è la formella con Caino e Abele (05),ritrovata durante gli scavi in piazza Duomo di Lecce,databile al XIV secolo. Era invece sulla facciatadell’Ospizio dei Templari, edificio demolito lungo lastrada che dalla piazza S. Oronzo portava ai Celestini,un David che scrive i salmi (06), riconosciuta e raffi-nata opera di Gabriele Riccardi, l’architetto e scultoredel Rinascimento a Lecce, autore della chiesa di SantaCroce. A lui è riconducibile anche l’archivolto prove-niente dalla cappella di Santa Maria del Gaviglio,anch’essa andata distrutta.

In questa sezione vanno ammirate anche le statue diSant’Irene e Sant’Elena, recentemente ritrovate sullaterrazza del convento dei Celestini insieme ad una sta-tua acefala di Santa Scolastica. Si tratta, con tutta evi-denza, di statue che decoravano il complesso monasti-co e rimosse durante i grandi rifacimenti ottocente-schi. Sant’Elena è infatti colei che scoprì la SantaCroce; Santa Scolastica è la fondatrice dell’ordinedelle Benedettine, cui appartenevano i Celestini; SantaIrene era la protettrice di Lecce, che infatti è raffigu-rata scolpita ai suoi piedi. Stilisticamente affini allesculture di Francesco Antonio Zimbalo, si possonodatare alla metà del XVII secolo.Un misterioso capitello stiloforo (07) del XIII secolocon draghi e animali fantastici di cui è ignota la pro-venienza, introduce alle sale dei polittici. Uno di fronte all’altro, i due polittici evidenziano ilpassaggio dal gotico internazionale di Lorenzo

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Veneziano (08) al più plastico e concreto spazio diBartolomeo e Alvise Vivarini (09). Entrambi, insiemealla Madonna dell’umiltà attribuita da alcuni al vene-ziano maestro della Madonna Giovannelli e da altri aJacobello del Fiore, testimoniano la consistente com-mittenza pugliese ad artisti veneti tra Trecento eQuattrocento.Proviene dal monastero delle Benedettine di SanGiovanni Evangelista quello attribuito a LorenzoVeneziano, entrato nel museo nel 1870. L’àncona centrale è una delicata fusione tra la goticaMadonna dell’umiltà e la bizantina Madonna allat-tante. A sinistra i tre santi della gerarchia ecclesiasti-ca, il Battista, Pietro e Paolo; a destra i santi dell’af-fetto, San Giovanni Evangelista, titolare della chiesa,San Benedetto, fondatore dell’ordine, San Nicola, ilsanto più amato della regione. Chiudono i lati delpolittico due sante, Maria Maddalena e Margheritache rappresentano la forza e la virtù femminile.

Proviene invece dalla chiesa francescana di SantaCaterina d’Alessandria a Galatina il più grande polit-tico con una bella Madonna con Bambino in trono euna Trinità tra San Domenico e San Francesco nellaparte centrale attribuibile ad Alvise Vivarini. ABartolomeo e bottega, i santi nei due ordini.Nella sala un gruppo di icone, provenienti dalla chie-sa dei Santi Niccolo e Cataldo, databili tra XVI eXVIII secolo, testimoniano l’attivismo della comunitàgreco-ortodossa presente a Lecce. Tra le più interes-santi quelle raffiguranti il Mandylion (vero volto diGesù), San Giovanni Elemosiniere (10), San GiovanniEvangelista (11). Al mondo bizantino appartieneanche una croce d’altare in legno intagliato con sto-rie della vita di Cristo del XVI secolo (12).

Quattro leoni stilofori, provenienti dai portali delDuomo e della chiesa di San Francesco della Scarparaccontano un frammento della storia medievale di

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Lecce. È in rame dorato e smalti champlevè di Limoges lacopertura di evangelario (13) della seconda metà delXIII secolo raffigurante Cristo pantocratore nella man-dorla con i simboli degli evangelisti ai quattro lati.La sezione si completa con le ceramiche medioevali emoderne di varie fabbriche pugliesi e altri oggettiesposti nelle vetrine.

L’ultima sala è la cappella che i Gesuiti (14) avevanoallestito alla fine dell’Ottocento in stile neogotico contempere al soffitto realizzate da Realino Sambati e unavia Crucis in cartapesta di Raffaele Caretta, autoreanche del grande bassorilievo raffigurante la SacraFamiglia.

Per completare la visita del museo, bisogna salire alterzo piano dove nel 1979 una sezione pinacoteca èstata allestita con dipinti provenienti dai depositi, dagliuffici della Provincia, dalla donazione Panarese del1952, dalla collezione del Convitto Palmieri trasferitaal museo nel 1975 e da recenti acquisti.Anche se frammentariamente, si percepisce l’evoluzio-ne del gusto che tra Cinque e Settecento si sviluppa nelSalento. Il percorso si apre con un dipinto del pittore fiammin-go attivo a Napoli, Wenzel Cobergher raffigurante SanSilvestro papa tra San Basilio e San Giuliano, databi-le al 1595 e preveniente dalla distrutta cappella di SanGiuliano. Seguono un gruppo di opere accomunate dalla comu-ne matrice post-caravaggesca, tutte tra 1630 e 1650. Sisegnalano l’Uomo che legge del Maestro degli Annunciai Pastori (15), custodito nella chiesa del Rosario diLecce sino alla fine dell’Ottocento; Cristo e l’Adulteradi Paolo Finoglio (16); San Francesco da Paola diGiuseppe Ribera, il Martirio di San Biagio di Paceccode Rosa (17), l’Annuncio a Gioacchino di Agostino

Beltrano e, infine, il San Francesco Saverio appare albeato Mastrilli del leccese Antonio Verrio (18) cheapre verso modelli barocchi, come fa anche il gallipo-lino Giovanni Andrea Coppola di cui si ammira ilbozzetto per la pala del Duomo raffigurante San-t’Oronzo.È ancora la pittura napoletana dalla seconda metà delSeicento alla fine del Settecento a rappresentare lacommittenza elitaria e ad ispirare anche un cospicuonumero di pittori leccesi. Dall’ambito giordanescoprovengono un Mosè salvato dalle acque e Mosè fascaturire l’acqua dalla rupe; mentre mescola motivigiordaneschi con stilemi solimeneschi NicolaMalinconico presente con il bozzetto del Martirio di

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Sant’Agata per la cattedrale di Gallipoli. Costruiti per affrescare la cappella del Duomo diCesena sono i tre bozzetti di Corrado Giaquinto (19),mentre è di Francesco de Mura un Cristo e l’Adultera.

Nelle vetrine invece si sviluppa un’altra parte dellasezione di arti applicate (20), e si ammirano ancoraceramiche provenienti da varie fabbriche italianecome Castelli d’Abbruzzo, Cerreto Sannita, eCapodimonte con un bel gruppo raffigurante Dafnee Cloe. La manifattura Paladini, attiva a Lecce sulfinire dell’Ottocento, è rappresentata da due grandianfore con scene di paesaggio e di costume e ungrande piatto con Nettuno. Raffinati vetri venezianidel Settecento, monete, medaglie, costumi popolaridel Salento, alcuni argenti e parati liturgici, un inte-ressante nucleo di abiti dal Settecento al Novecentoe sculture in cartapesta completano il panoramadelle collezioni.

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Finito il percorso storico-archeologico, nell’ultimagrande sala al terzo piano incontriamo gli artisti dellacontemporaneità salentina (01). Fin dalla sua istituzione il Consiglio provinciale diTerra d’Otranto manifesta attenzione al contempora-neo sostenendo gli artisti non solo con committenzema anche con borse di studio per “alunni delle BelleArti” che vengono aiutati a completare la loro forma-zione a Napoli, Roma, Firenze, diventando questal’unica via per l’aggiornamento culturale. Oltre che daacquisti e donazioni alcune delle opere esposte proven-gono dalla Società Promotrice di Belle Arti “SalvatorRosa” di Napoli di cui la stessa Amministrazione pro-vinciale era socia.Lo scenario artistico dell’Ottocento in Terra d’Otrantocambia solo dopo l’Unità d’Italia, quando la riorganiz-zazione politica del territorio, la nascita di riviste sullequali si dibatte anche di arte, una committenza politi-ca che vede attivarsi comuni e Provincia per la forma-zione di scuole, esposizioni, creano un’effettiva apertu-ra culturale. Principale punto di riferimento per moltiartisti è la cultura figurativa partenopea. In pittura è Stanislao Sidoti (1837–1922) a dettare itermini di una svolta e lo fa attraverso una nuovavisione del paesaggio; non più sfondo ma esso stesso

protagonista, soggetto da indagare, interpretare attra-verso la presa diretta della pittura en plein air coniu-gata ad una coinvolgente adesione sentimentale eromantica. Un convincimento estetico che trae le pre-messe dalla sua prima formazione a Napoli conSmargiassi, Morelli, De Gregorio, Rossano e De Nittis.Sue sono Paesaggio al tramonto e Palazzo Donn’Annadi Napoli (02).La pittura salentina di paesaggio in chiave sentimenta-le e psicologica continua con Giuseppe Casciaro(1861–1941) che stabilitosi a Napoli con frequentiviaggi a Parigi, segue nella sua ricca e fortunata pro-duzione un’autonoma ricerca del tema le cui vedutedense di atmosfera, di toni grigi e cilestrini accolgonole suggestioni di De Nittis e Rossano suoi artisti di rife-rimento. Attratto dalle possibilità espressive del pastel-lo e degli acquerelli avrà una ricchissima produzione.Tra le sue opere si segnala una intensa Veduta marina(03). Suo continuatore e interprete della pittura di pae-saggio è il gallipolino Giulio Pagliano (1882–1932) chepartito dalla consueta formazione napoletana e passa-to attraverso varie esperienze a Venezia, Parigi fa ritor-no a Gallipoli assumendo una propria riconoscibiledimensione ispirata a soluzioni impressioniste come inBarche a Gallipoli (04) e Veduta di Capri. MichelePalumbo (1847–1949) prosegue la tradizione paesaggi-stica partenopea matu-rata con Casciaro alter-nata a soggetti con ani-mali, nature morte,fiori, ritratti di un’ac-centuata vena espressi-va e descrittiva nonpriva di un certo acca-demismo. Più senti-mentale invece apparela vena di LuigiScorrano (1849-1924)come in Gioie intime, ilquale sarà attivo anchenella pittura sacra. Di

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Percorso E

Ottocento e Novecento di Brizia Minerva

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tutt’altra portata è la figura di Vincenzo Ciardo(1884–1970). Assimilata la lezione dei grandi maestridella scuola di Posillipo e soprattutto di GiacintoGigante ancora leggibile in opere come Marina e Golfodi Pozzuoli si evolve verso una pittura tonale e neo-purista di matrice novecentista, come in Torregaveta(05) fino alla potente espressività di dense e larghepennellate che restituiscono ormai del paesaggiosalentino una visione interiore e moderna dalle strettetangenze con Cezanne e Bonnard leggibili in operedegli anni ’50 e ‘60; Oliveto pugliese (06), Crepuscolo(07), Plenilunio.In scultura, tra Otto e Novecento prevalgono le figuredi Eugenio Maccagnani (1852–1930), formatosi aRoma, e Antonio Bortone (1844–1938) a Firenze. Puressendo impegnati in opere pubbliche e celebrative dicarattere accademico, lavorano entrambi al Vittoriano,ma continuano ad avere rapporti e commissioni nelSalento. Di Maccagnani una vena più ispirata e felicedi giovanile impronta verista si ritrova in opere di pic-colo formato eseguite per committenza privata: Putti-no imbrigliato sotto la rete, La pompeiana e Sassolino

che rivela sorprendenti rimandi a Degas. Un vivacenaturalismo in Bortone è ricontrabile in Sorriso (08).Alla stessa dimensione culturale appartiene FrancescoDe Matteis (1852–1917) che, dopo un primo apprendi-stato a Lecce, prosegue i suoi studi nel capoluogo cam-pano dove si stabilisce definitivamente. Un tipicoesempio della sua produzione è il piccolo bronzo raffi-gurante Il concerto dei bambini con strumenti musica-li e costumi popolari partenopei.A partire dagli anni Venti del Novecento il clima arti-stico e culturale in Terra d’Otranto vive una fase di rin-novamento ad opera di un gruppo di artisti che da quicerca il confronto con il resto d’Italia e d’Europa.Protagonisti di questo aggiornamento sono Ciardo,Re, Massari, De Vitis, Mario Palumbo in pittura eMartinez, D’Andrea, Giurgola in scultura. Alcuni si sta-biliscono definitivamente a Roma come Martinez, ifratelli Carlo e Francesco Barbieri e Delle Site. Gli esitimigliori di queste nuove ricerche sono negli scarnipaesaggi di Mario Palumbo (1905–1979) come Alberi,Casa colonica (09), pittura densa di suggestioni meta-fisiche, come pure nelle intimiste composizioni di

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Geremia Re (1849–1950) che riflettono le attive fre-quentazioni romane e d’oltralpe dell’artista evidenti inBimba al mare, Donna che legge sul terrazzo (10),Maternità.Analoga dimensione è nell’opera di Michele Massari(1902–1954), di cui si segnalano Ritratto di AnnaMaria e Santa Croce sotto la neve. Adesione alle istan-ze novecentiste è espressa anche da Temistocle De Vitis(1904–1973) con Alberi di pino e Chiesa delle Scalze.Tutti questi artisti erano soliti ritrovarsi nella bottegadi Antonio D’Andrea (1908–1955), artista del ferro efigura di spicco attivamente impegnato nel rinnova-mento dell’artigianato artistico locale. Della sua vastaproduzione sono in collezione una serie di sbalzi surame tra cui Leda e il cigno e un Torciere.Ad una differente corrente artistica fa riferimentoMino Delle Site (1914–1996) la cui attività partita daLecce agli inizi degli Anni Trenta, si svolge interamen-te a Roma nell’ambito dell’Aereopittura, espressionedel “secondo futurismo”. Tra le sue opere Passeggiata,Estate e Nevicata.Tutta romana ma in chiave antinovecentista è la breveesperienza di Carlo Barbieri (1910–1938) con rimandial clima evocativo della Scuola Romana (Scipione,Mafai, Raphael) e al filone espressionista della pittura

europea da Ensor aPicasso. Vedi I figli delsarto (11), un’intensa emalinconica veduta diPiazza del Popolo, Labambina di via Margut-ta e Ritratto di Rita.Interno alla scultura eal disegno è il percorsotanto di FrancescoBarbieri (1908–1973) inGiocatore di Morra (12),Donna seduta, ritratti diCaterina Lely e Gustavo

D’Arpe (13) che di Gaetano Martinez (1892–1951) lacui opera è caratterizzata da un naturalismo antiacca-demico e che interpreta senza retorica la poetica nove-centista di Donna seduta (14), Padrona di casa e Cro-cefissione.Certamente novecentista è invece Raffaele Giurgola(1898–1970), vedi il busto di Nuotatore (15). A testimo-niare in scultura gli esiti più aggiornati è l’opera di

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Aldo Calò (1910–1983)che, partito da unaricerca legata all’operadi Martini e Marini conAdolescenti e Nudodegli anni 1944–45,giunge in Figura, del1949, a soluzioni cheriflettono l’influenza diMoore, Arp e Brancusi.A questa generazioneappartengono ancheNino Della Notte(1910–1979) con Porta-trice d’acqua e Rifugiodi barche e Lino PaoloSuppressa (1915–1979),Putea. Entrambi espri-mono una figuralità primaria ed essenziale della realtàsalentina in affinità ideale con i poeti Bodini e Pagano. A partire dagli anni Cinquanta le scelte artisticheanche nel Salento si muovono tra realismo e astratti-smo. Su questo ultimo versante da segnalare gli esiti inpittura di Luigi Gabrieli (1904–1992), CosimoSponziello (1915–2005), Umberto Palamà (1915–2005)che con le sue creazioni polimateriche e l’idea di operaattraversata apre allo spazialismo di Fontana.

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Provincia di LecceAssessorato alla Cultura

Presidente Antonio Gabellone

Assessore alla CulturaSimona Manca

DirigenteAntonio Lepore

ConservatoriBrizia Minerva – Storico dell’ArteAnna Lucia Tempesta – Archeologo

Laboratorio di restauroNicola AnconaGiovanni RizzoMaria Francesca CoppolaAnna Addolorata Fedele

Testi di:Antonio CassianoBrizia MinervaAnna Lucia Tempesta

Foto di:Pierluigi BologniniRaffaele PuceArchivio Museo ProvincialeMinistero per i Beni e le Attività CulturaliSoprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia

È vietata l'ulteriore riproduzione o duplicazione delle stesse con qualsiasimezzo senza previa autorizzazione da parte della Soprintendenza

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Stampato a Lecce nell'anno 2012da Servizi Grafici - Strada Provinciale Tuglie-Collepasso km 4, Tuglie (LE)

Impaginazione e creatività di Bamakò S.r.l., Lecce - Bamako.it

© Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale di testi e illustrazionisenza autorizzazione scritta dei titolari dei diritti.

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Viale Gallipoli, 28 - 73100 Lecceinfo: 0832 307415

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