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Gruppo Archeologico Polcenigo Piazza Plebiscito, 24 - C.F. 91052120931 BOLLETTINO - ANNO III , Gennaio 2006, n. 3 I n ogni situazione umana, storica, politica, filoso- fica, economica, niente è irreversibile, tuttavia credo se in un popolo viene meno la coscienza di appartenenza e di tradizione questa trasformazio- ne acceleri il cambiamento. La scommessa che il direttivo del GR.A.PO. ha fatto circa quattro anni fa era di portare alla luce la storia e la tradizione di questo nostro amato paese, usando mezzi e metodi più appropriati. Polcenigo non è certamente l'ombelico del mondo, ma nel suo piccolo nasconde sicuramente delle realtà storiche che per alcuni versi si riallacciano alla “grande” storia, ma per altri si rifanno alla realtà soggettiva del luogo. Gli indizi che mi fanno pensare a questo li pos- siamo riscontrare nei diversi reperti che sono venuti alla luce nello scavo della necropoli di San Giovanni ed ampiamente descritti nel notiziario della Sovrintendenza "Aquileia Nostra" uscito l'anno scorso. Non solo, ma rifacendomi alla mia poca esperienza di appas- sionato di archeologia, posso sicu- ramente dire che sul nostro territorio sono passati fin dalla preistoria popoli e civiltà che hanno lasciato il segno. Lo scavo, la ricerca eti- mologica delle parole, la ricerca di archivio, le testimonianze storiche e paesaggistiche sono gli strumenti che il gruppo usa per tramandare alle future generazioni la conoscenza di quanto è esi- stito per non dimenticare che ciò che siamo oggi non è sempre stato così, ma è il frutto di una evoluzione durata millenni. L'anno appena trascorso va visto da parte mia e del direttivo come un anno di transizione in quanto abbiamo dovuto causa di forza maggiore sospendere lo scavo della necropoli di San Giovanni, comunque, grazie a nuovi sviluppi, posso dire con certezza che a primavera inizierà la terza campagna di scavo. L'impeto ci è stato dato da un cospicuo finanziamen- to (diecimila euro) elargito dalla fondazione CRUP che ci gratifica per il nostro operato e ci consente questa nuova campagna di scavo. Il 2005 ha visto il gruppo partecipe a variegate manifestazioni in collaborazione con enti e persone: con la biblioteca civica del Comune abbiamo organizzato nei mesi di febbraio e marzo cinque conferenze, un gruppo di lavoro in col- laborazione con il C.A.I. di Sacile e con il corpo SOMMARIO Introduzione del presidente pag. 1 È ora di cambiarlo! pag. 2 I Castellieri pag. 2 Il carbone bianco pag. 4 La collina del castello pag. 6 Il Castello di Polcenigo di Elena Bellavitis pag. 7 Elena Bellavitis pag. 8 Le fornaci di Polcenigo pag. 8 Nelle prealpi carniche sulle tracce di un sentiero preromano pag. 10 Le “conterminazioni” del Cansiglio pag. 13 Forestale Regionale ha iniziato la ricerca e la mappa- tura dei cippi di confine durante la Repubblica della Serenissima nel bosco del Cansiglio, a luglio e ago- sto Veneto Agricoltura ci ha contattato per fare da guida a tre passeggiate sul Cansiglio a proposito, tra l’altro, del motore alpino dell'ing. Galvani e del per- corso della Risena, a giugno è stata fatta l'ormai con- sueta escursione culturale alla volta dell'Austria con la partecipazione di 50 soci, a settembre in occasione della sagra abbiamo collaborato con il Comune per la visita alla Risena di Coltura e abbiamo anche finito di mappare e pulire un altro sentiero della stessa, ad ottobre siamo stati chiamati dalla Sovrintendenza per lavorare all'apertura di una nuova campagna di scavo sul colle del castello di Polcenigo in occasio- ne del restauro dei muri medioe- vali, campagna che inizierà nelle prossime settimane. Sicuramente questo nuovo sito porterà alla luce interessanti sviluppi per quanto riguarda il primo insediamento sulla pendice del colle. Prima di concludere questa mia breve introduzione al nostro bollettino vorrei ricordare a tutti gli iscritti che il direttivo si riuni- sce il primo lunedì del mese presso la sede in piazza Plebiscito e tutti i soci possono partecipare, e vorrei anche invitare tutte le persone disponibili agli scavi di contattare il segretario Angelo Pusiol per lasciare i propri nomi. Il presidente Oscar Riet Disegno di Ersilio Celant

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GruppoArcheologico

PolcenigoPiazza Plebiscito, 24 - C.F. 91052120931

BOLLETTINO - ANNO III , Gennaio 2006, n. 3

I n ogni situazione umana, storica, politica, fi loso-fica, economica, niente è irreversibile, tuttaviacredo se in un popolo viene meno la coscienza diappartenenza e di tradizione questa trasformazio-

ne acceleri i l cambiamento.La scommessa che il direttivo del GR.A.PO. ha

fatto circa quattro anni fa era di portare alla luce lastoria e la tradizione di questo nostro amato paese,usando mezzi e metodi più appropriati.

Polcenigo non è certamente l 'ombel ico delmondo, ma nel suo piccolo nasconde sicuramentedelle realtà storiche che per alcuni versisi riallacciano alla “grande” storia,ma per altri si rifanno alla realtàsoggettiva del luogo. Gli indizi chemi fanno pensare a questo li pos-siamo r iscontrare nei diversireperti che sono venuti alla lucenello scavo della necropoli di SanGiovanni ed ampiamente descrittinel notiziario della Sovrintendenza"Aqui leia Nostra" uscito l 'annoscorso. Non solo, ma rifacendomialla mia poca esperienza di appas-sionato di archeologia, posso sicu-ramente dire che sul nostro territoriosono passati f in dalla preistoriapopoli e civiltà che hanno lasciatoil segno. Lo scavo, la ricerca eti-mologica delle parole, la ricerca diarchivio, le testimonianze storiche epaesaggistiche sono gli strumenti che ilgruppo usa per tramandare alle futuregenerazioni la conoscenza di quanto è esi-stito per non dimenticare che ciò che siamo oggi nonè sempre stato così, ma è il frutto di una evoluzionedurata millenni.

L'anno appena trascorso va visto da parte mia edel direttivo come un anno di transizione in quantoabbiamo dovuto causa di forza maggiore sospenderelo scavo della necropoli di San Giovanni, comunque,grazie a nuovi sviluppi, posso dire con certezza che aprimavera iniz ierà la terza campagna di scavo.L'impeto ci è stato dato da un cospicuo finanziamen-to (diecimila euro) elargito dalla fondazione CRUP checi gratifica per il nostro operato e ci consente questanuova campagna di scavo. Il 2005 ha visto il gruppopartecipe a variegate manifestazioni in collaborazionecon enti e persone: con la biblioteca civica delComune abbiamo organizzato nei mesi di febbraio emarzo cinque conferenze, un gruppo di lavoro in col-laborazione con il C.A.I. di Sacile e con il corpo

SOMMARIOIntroduzione del presidente pag. 1È ora di cambiarlo! pag. 2I Castellieri pag. 2Il carbone bianco pag. 4La collina del castello pag. 6Il Castello di Polcenigo di Elena Bellavitis pag. 7Elena Bellavitis pag. 8Le fornaci di Polcenigo pag. 8Nelle prealpi carniche sulle tracce di un sentiero preromano pag. 10Le “conterminazioni” del Cansiglio pag. 13

Forestale Regionale ha iniziato la ricerca e la mappa-tura dei cippi di confine durante la Repubblica dellaSerenissima nel bosco del Cansiglio, a luglio e ago-sto Veneto Agricoltura ci ha contattato per fare daguida a tre passeggiate sul Cansiglio a proposito, tral’altro, del motore alpino dell' ing. Galvani e del per-corso della Risena, a giugno è stata fatta l'ormai con-sueta escursione culturale alla volta dell'Austria con lapartecipazione di 50 soci, a settembre in occasionedella sagra abbiamo collaborato con il Comune per lavisita alla Risena di Coltura e abbiamo anche finito di

mappare e pulire un altro sentierodella stessa, ad ottobre siamo stati

chiamati dalla Sovrintendenza perlavorare all'apertura di una nuovacampagna di scavo sul colle delcastello di Polcenigo in occasio-

ne del restauro dei muri medioe-vali, campagna che inizierà nelle

prossime settimane.Sicuramente questo nuovo

sito porterà alla luce interessantisviluppi per quanto riguarda ilprimo insediamento sulla pendicedel colle.

Prima di concludere questamia breve introduzione al nostrobollettino vorrei ricordare a tuttigli iscritti che il direttivo si riuni-

sce i l pr imo lunedì del mesepresso la sede in piazza Plebiscito

e tutti i soci possono partecipare, evorrei anche invitare tutte le personedisponibil i agli scavi di contattare i l

segretario Angelo Pusiol per lasciare i propri nomi.

I l presidenteOscar Riet

Disegno di Ersilio Celant

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Il podestà di Polcenigo chiede (1) la concessione dellostemma seguente: di azzurro al castello di rosso torricel-lato d'un pezzo centrale merlato alla guelfa, aperto e fine-strato del campo, accompagnato in capo dalla parola"pulcella". Gonfalone: d'azzurro pieno.Il cenno illustrativo espone che fino dal secolo X i conti diPolcenigo avessero in quel territorio un castello e negodettero giurisdizione sino alla caduta del regime feuda-le. Il loro nome sarebbe derivato, secondo la leggendalocale, dal matrimonio d'amore fatto dal fondatore dellafamiglia con una leggiadra fanciulla del posto detta la"pulcella".In merito a questi elementi che servirono allo studio aral-dico padovano per formare lo stemma del comune, siosserva:

che non tenga a ricordarlinella propria insegna. Neconsegue una certa unifor-mità nei nuovi stemmi ditanti comuni che si trovanoin tale condizione e l'oppor-tunità di inserirvi qualcheelemento accessorio che licaratterizzi e li differenzil'uno dall'altro.

3° I castelli in Friuli veniva-no costruiti tutti di sasso emai in cotto e perciò il colorrosso assegnato al castellodi Polcenigo non corrispon-de alla tradizione.”(2)

(1) in esecuzione alla circolare mini-steriale 4.4.1942

(2) Citazione tratta da “Araldica civi-ca del Friuli” edito nel 1978 dallaCassa di Risparmio di Udine ePordenone

“1° La leggenda riguar-dante l'origine del nome delpaese è troppo ingenua einconsistente perchè meritidi essere ricordata nellostemma. La forma originaledel nome di Polcenigo chefigura in un diploma delnovecentosessantatre, èPancinicum, che nulla ha ache fare con pulcella. Inbase agli esposti riflessi sipronone di sopprimere laparola "Pulcella" e di carica-re il castello di muro su uncampo inquartato d'oro e dirosso, che era la insegnaoriginaria dei conti diPolcenigo. Per il gonfalonesi propone un inquartato dirosso e di giallo, riprodu-cente invertito il campo del-l'arma.

2° Non v'ha si può direcomune che abbia, odabbia avuto in passato, uncastello, od anche unasemplice torre di vedetta

Le sorgenti del Livenza sono da sempre luogo di grandesuggestione, di storica importanza sociale ed economica,conosciuto e frequentato sin dal Neolitico.

Si è già detto che durante la fase finale dell’Età del bronzo1000-700 a.C.) la nostra zona era densamente popolata eche praticamente ogni altura porta segni di antropizzazionepiù o meno evidenti. In quest’epoca "due sentinelle", come leha chiamate Don Antonio Moret, sorvegliavano le fonti delnostro fiume: i CASTELLIERI del "col di S. Martin" a S/O e di"S. Floriano" a N/E, accompagnati a poca distanza da quellosul "col del Ciastelat" a Dardago.

COSA SONO I "CASTELLIERI"?

Sono costruzioni preistoriche, situate solitamente su alture,formate da una o più cinte murarie (o aggeri in terra e sassi)alte anche 4-4,5 m. dentro le quali stanziavano gli animali e sitrovavano le abitazioni. Sono comuni a molte regioni d’Italia ed’Europa, ma nella nostra zona intorno al 1200-1000 a.C. fiorìuna vera e propria "Cultura dei Castellieri", soprattutto lungola costa, dalla Bassa Udinese a Trieste, fino alle IsoleDalmate. Le popolazioni di questa cultura avevano una eco-nomia agricolo-pastorale; usarono dapprima la sepoltura perinumazione entro cisti litiche sormontate da tumuli in pietra epoi introdussero l’uso della cremazione. Ebbero rapporti conle popolazioni della penisola italiana e con quelle dell’EuropaCentrale.

E’ molto probabile che alla sua formazione abbiano contri-buito genti provenienti dal sud del Mediterraneo, in seguitoalla caduta di Micene. Insomma I Castellieri sembrano espri-mere una tendenza generale nell’Europa del II e I millennioa.C., con una particolare specializzazione e sviluppo versol’anno Mille. In effetti a quel tempo vi fu un grande incremen-

to dell’uso di armi ed armamenti rispetto alle epoche prece-denti, con quindi un probabile aumento dell’importanza edelle dimensioni delle guerre. La nascita e lo sviluppo dei sitifortificati fu quasi certamente causato da una maggior rapiditànello sviluppo socio-economico e le tensioni che si venneroa creare sfociarono nel bisogno di più forti difese.

Oltre a ciò, l’aumento demografico causò in molti luoghi undeterioramento ambientale che portò ad una forte competi-zione per l’accaparramento di risorse vitali, con il conseguen-te processo di organizzazione urbana e sociale.

FATTORI DI DISTRIBUZIONE.

-Topografia:il più importante fattore nella scelta della localizzazione di

questi siti è la topografia, la ricerca di alture di altezza (di soli-

I CASTELLIERI

Castelliere di Monte Kosten (TS) - San Floriano

È ora di cambiarlo!Si propone lo stemma della casa di via Coltura, 28(vedi anche pag. 4 del n.1° GRAPO gennaio 2004)

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to 50-200 m.s.l.m.) e conformazione adatte per ospitarli, conparticolare attenzione alla cima: una volta scelta, la collinapoteva venire anche parzialmente livellata per aumentare lospazio utilizzabile.

-Disponibilità di terreno da pascolo:sembra che le genti di quest’epoca non praticassero molto

l’agricoltura, di conseguenza l’allevamento di bestiame era diprimaria importanza.

-Acqua:il terzo fattore per la scelta era la vicinanza

dell’acqua. Quando possibile venivano scelti luoghi vicini acorsi d’acqua permanenti od occasionali.

-Comunicazioni:altra frequente localizzazione avveniva ai margini di alte cate-

ne montuose, lungo valli e vie di comunicazione. Spessoquesti criteri di scelta portarono a dei raggruppamenti diCastellieri, senza però dover interpretare questi "agglomerati"come unità amministrative o politiche e senza ricercare dellegerarchie tra di loro. Anzi, anche se molto vicini, questi"accampamenti" avevano ciascuno lapropria giurisdizione che doveva comprendere le immediatepertinenze, senza necessariamente essere in conflitto gli universo gli altri.

Per quello che riguarda i riti funebri, è interessante notareche con l’introduzione della cremazione (intorno al 1.000a.C.) si vennero a formare le prime necropoli che potevanoessere posizionate ai piedi del colle dove si trovava l’abitato(vedi alcuni esempi in Istria), e contenevano un ustrinum, cheera il luogo dove il defunto veniva bruciato insieme alle offer-te ed ai regali.

I"NOSTRI" CASTELLIERI

Sul "col di S.Martin" vi è una bella pubblicazione curata daDon Antonio Moret, a cui senz’altro rimando. Per quello chemi riguarda è lampante che il colle sopra Sarone ospitasse un

Castelliere di Brestovec (GO)

Castelliere di San Primo (TS)

Due ipotesi per il Ciastelat

castelliere: si trovano molti cocci di vasellame, evidenze dimuri e resti di un aggere in terra e sassi che probabilmentefortificava la cima; vi è un ampia area che poteva esseredestinata al pascolo e procurarsi l’acqua non era sicuramen-te un grande problema. Diverso il discorso per S.Floriano.Non vi sono evidenze che dimostrino in assoluto la presenzadi un castelliere, ma ciò non significa granchè: anche in altriluoghi le mura non esistono più (p.e.Palse e Cattinara – TS)perché distrutte dai lavori agricoli o le pietre utilizzate per altriscopi.

Diciamo che il colle è topograficamente adatto alla localiz-zazione di un castelliere, l’acqua è facilmente reperibile elungo le sue pendici i nostri soci Ersilio Celant ed Oscar Rietqualche mese fa hanno ritrovato molti resti di vasellame data-bili VIII-VII secolo a.C. E poi possiamo aggiungere che sulbordo del pianoro retrostante la chiesa si notano pietrame e

rocce anche piuttosto grandi che possono far pensare aduna muraglia collassata.

La necropoli ai piedi della collina è un ulteriore indizio, maper fugare ogni dubbio sarebbe opportuno almeno un saggiodi scavo, che mai si è potuto fare.

Anche il "Ciastelat" a Dardago non è mai stato indagatoarcheologicamente. Il sito, vista la dimensione piuttosto pic-cola dell’area, dà la sensazione di un arroccamento tempora-neo, posto magari a guardia dell’antica strada che, scenden-do dalla montagna, attraversava l’abitato e proseguiva versoPolcenigo. Il doppio fossato, i resti di mura ed il baratro sullaValle di San Tomè che lo protegge a Nord, evocano un luogodi avvistamento e di controllo, anche se il colle degrada versosud in maniera piuttosto dolce e forse adeguata ad uno stan-ziamento.

Concludendo:la nostra fascia pedemontana è molto ricca di affascinanti

ipotesi su cui lavorare, e tra gli obbiettivi che il Gr.A.Po. si èprefisso vi sono anche quelli di stuzzicare la fantasia delle per-sone e catturare l’interesse delle istituzioni per non dimentica-re la nostra storia.

Ultima cosa:per chi fosse interessato a rendersi conto di cosa fosse un

castelliere, ve ne sono un paio non molto distanti daPolcenigo. Il primo è a Gradisca di Spilimbergo, sulla stradache da S.Giorgio della Richinvelda porta al ponte sulTagliamento, sull’argine del torrente Cosa. Il secondo, il cuimuraglione difensivo è conservato benissimo, si trova aGradisca di Sedegliano, vicino a Codroipo; nel suo interno èstato ricavato persino un campo da calcio!

Angelo Pusiol

Castelliere di Brestovizza (Slovenia)Molto simile a S. Martin

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Spesso percorriamo le strade della nostra provin-cia con la mente rapita dagl’impegni che la vita ditutti i giorni ci impone e così siamo distratti e non ciaccorgiamo dei piccoli tesori che il territorio nascon-de sia dal punto di vista naturalistico che da quellodel processo del antropizzazione.

Tra questi elementi straordinari, vi sono senzadubbio le centrali idroelettriche, veri e propri monu-menti di archeologia industriale e di storia, non solodel nostro territorio ma del paese intero. Mi riferiscosenz’altro alle opere maggiori – le centrali di Malnisioe di Stevenà - ma non solo. Infatti numerose sono leopere idroelettriche minori che non di rado – fatte ledebite proporzioni – hanno poco da invidiare pergenialità e audacia ai grandi impianti sopra menzio-nati. Ma perché proprio il nostro territorio è stato pio-niere nello sfruttamento di questa nuova fonte dienergia? La risposta può apparentemente sembraresemplice: perché era ricco di “carbone bianco” (cosìveniva chiamata l’acqua che faceva girare le turbi-ne). Ma ciò non è sufficiente a spiegare la profusio-ne di così tante energie umane e finanziarie; l’altroessenziale elemento era costituito dalla presenza,già dalla seconda metà dell’ottocento, di grandicomplessi manifatturieri. La ceramica Galvani, icotonifici Amman e Veneziano e successivamentealtre manifatture avevano fame di energia. E a que-

sto si lega un altroelemento peculiaredel territorio e delsuo sviluppo: lavocazione indu-striale diPordenone rispettoalla sorella maggio-re Udine.

Nel 1885 si eracostituito il consor-zio Ledra –Tagliamento perdare impulso, conl’irrigazione, allecampagne daprima della pianuraudinese – la bassafriulana – e poi delmedio Friuli, mentrePordenone simosse verso lo

sfruttamento idroelettrico. D’altra parte, per conver-so, fu proprio la creazione dei grandi impianti idroe-lettrici la via per lo sviluppo anche agricolo di quella“landa desolata” (così la definisce Giuseppe Griffoninella sua opera “Uomini e acque” scritta a quattromani con Luigino Zin) che allora era la pianura a norddi Pordenone. Infatti solo la fame di energia delleindustrie e i capitali di cui disponevano avrebberopotuto giustificare gli ingenti investimenti per la rea-lizzazione delle imponenti opere idrauliche, gallerie,strade, canali ecc. che avrebbero permesso l’accu-mulo d’acqua nei bacini montani e il successivosfruttamento a scopo irriguo. Fu proprio questo ilgrande progetto e successivamente l’opera svoltadal consorzio Cellina - Meduna sotto la guida diNapoleone Aprilis, che ebbe la luce a cavallo delledue guerre (quindi 50 anni dopo rispetto a Udine).

Già nel 1885 il cotonificio Amman e nel 1888 laceramica Galvani utilizzavano l’energia elettrica pro-dotta da piccoli gruppi a vapore o Diesel, mentre nelsettembre del 1888 Pordenone fu una delle primecittà italiane ad avere l’illuminazione pubblica elettri-ca. Nel 1894 il cotonificio Amman per aumentare lasua disponibilità di energia realizzò, su progetto diLuigi Salice, la centrale idroelettrica della Burida, conannesso bacino artificiale della capacità di 160.000mc le cui acque alimentavano una turbina da 300HP

IL CARBONE BIANCOARCHEOLOGIA INDUSTRIALE

Centrale Idroelettrica di Malnisio - 1905 Centrale Idroelettrica di Giais - 1908

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elettrica così lunga. Entrata in funzione nel 1905 lacentrale di Malnisio, il progetto si completò poi conla realizzazione della centrale di Giais entrata in fun-zione nel 1908 e poi con la realizzazione della cen-trale del Partidor, situata sulla sponda sinistra delCellina tra Montereale e S.Foca, entrata in funzionenel 1919; le tre centrali erano quindi collegate da uncanale idraulico lungo diversi chilometri formando lacosiddetta “asta”. La potenza complessiva era ora di16,5 MW. Furono contemporaneamente realizzate lelinee elettriche per Casarsa – Udine e Treviso –Padova con stazione principale di smistamento aPordenone (Porcia); l’asta si configurava come unodei pilastri dell’elettrificazione del paese e assieme alsistema del Piave – successivo a quello del Cellinama che con esso aveva in comune i progettisti – sirivelò fondamentale per la rinascita del paese al ter-mie della I° guerra mondiale.Visitare la centrale idroelettrica di Malnisio, significaentrare per un momento nella storia industriale - enon solo - del paese. Tutto o quasi, ancor oggi, èrimasto come allora. Le macchine sono le stesse,come anche la magnifica sala quadri di comando,così come i pavimenti in terrazzo veneziano, le lam-pade e balaustre in ferro battuto e i grandi portali inlegno con rilievi intagliati a mano. Il disegno architet-tonico imponente, le finiture, i serramenti le enormivolte dei portali stanno a testimoniare la grandeimportanza che l’opera rivestiva; vi era la coscienzada parte di Committenti e Tecnici che l’impiantoavrebbe dovuto testimoniare l’importanza che l’ener-gia idroelettrica avrebbe avuto per lo sviluppo delterritorio e di tutto il paese. Il cuore di questo moto-re di sviluppo doveva essere non solo potente edefficiente ma anche bello, maestoso e trasmetterefiducia verso il progresso (non va trascurato chesiamo ancora sotto la spinta positivista della secon-da metà dell’800; Eiffel in quegli stessi anni avevarealizzato la sua famosa torre a Parigi, simbolo delleraggiunte capacità dell’uomo). Ma forse oltre a ciò viera anche la volontà di coltivare il “culto del bello” edell’armonia anche in ambito industriale, consuetudi-ne che purtroppo si è persa forse per sempre a van-taggio dell’unico parametro oggi in “voga”, il “costo-beneficio”, dimenticando forse che anche il “bello”dovrebbe essere annoverato fra i benefici di cui tuttipotremmo godere.

Giampaolo Barcellona

(220kW). E’ questa un’opera importantissima inquanto risulta essere stata la 2° centrale in Italia rea-lizzata con sbarramento completo del corso d’ac-qua. Si intuì che il “carbone bianco” avrebbe potutocostituire la svolta energetica e quindi dello sviluppoindustriale.

Era il gennaio del 1897 quando si costituì laSocietà Promotrice per l’Utilizzo delle ForzeIdrauliche del Cellina per opera di alcuni illuminatiimprenditori e valenti professionisti locali, che lasciòsubito dopo il campo alla Società per laDistribuzione dell’Energia Elettrica che doveva repe-rire i capitali per la realizzazione di uno straordinarioprogetto. Infatti dal 1892 Aristide Zenari, tecnico delGenio Civile di Udine, si stava occupando propriodella val Cellina in questo senso. Entrò successiva-mente in contatto con Luigi Salice, che nel frattem-po aveva anch’egli elaborato un grande progetto disfruttamento idroelettrico della val Cellina. Unironoquindi le idee e le forze e chiamarono un terzo valen-te tecnico, Antonio Pitter, (al quale è intitolata la cen-trale di Malnisio), che aveva il compito di seguiretutta la parte elettromeccanica, mentre la parteidraulica dell’opera sarebbe stata seguita da Zenari eSalice.

I lavori iniziarono nel marzo del 1900 dalla realiz-zazione dello sbarramento del Cellina in localitàMedata – una traversa alta 18mt e larga 37mt allasommità – quante volte ci siamo passati sopra conl’automobile percorrendo la vecchia SP 51 della valCellina, costruita proprio per tale scopo – un canaledi derivazione di 6,5km che dopo aver percorsodiversi ponti canale e gallerie si attestava sul vasco-ne di carico posto sopra la centrale a Malnisio fuorila valle dopo aver percorso la galleria dellaMngiaduda lunga circa 1 km – da cui quattro con-dotte forzate della lunghezza di 100mt convogliava-no l’acqua alla centrale per muovere 4 turbineFrancis da 2640 Hp (1,94MW) della Riva – Monnerete di conseguenza i 4 alternatori Tecnomasio Italiano– Brown Boveri di 2600 Hp.

Da qui derivava una linea elettrica, lunghissimaper l’epoca, che giungeva a Venezia dopo aver per-corso 87 km e affrontato salti a campata unica maivisti fino ad allora. Fu grazie all’applicazione dei prin-cipi messi a punto a Torino da Galileo Ferrarsi che sipoté produrre – fra le prime centrali – la correntealternata ed elevare la tensione a 30 KV e quindiaffrontare una distanza di trasmissione dell’ energia

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LA COLLINA DELCASTELLOEnigma - Speranza - Sogno

Del castello di Polcenigo si è detto molto e scrittodi più, ma vero è che sappiamo tutto di quello cherimane di un palazzo eretto nel 1700 e che è sem-pre stato chiamato impropriamente "castello" ma lastoria ci viene tramandata da narrazioni basate sudocumenti non sempre attendibili perché un’indagi-ne ispettiva eseguita con criteri archeologici non èmai stata fatta ed è sufficiente dare un’occhiatinalungo lo scavo effettuato di recente per il restaurodelle prime mura perimetrali per accorgersi dellacarenza di documentazione.

Sono venute alla luce delle mura medievali riutiliz-zate in epoche successive, se ne distinguono altrerinascimentali, ne spicca un altro di diversa struttu-ra e imponenza eseguito con blocchi molto grossi elargo due metri, il tutto mai documentato: sono staterinvenute delle ceramiche della stessa foggia ecomposizione di quelle trovate sotto il "letto" dellanecropoli di S. Floriano che ci riportano indietro neltempo di trentacinque secoli; un salto repentinonella protostoria cioè in quella parte più antica dellastoria della civiltà di un popolo comprendente l’etàdel bronzo e del ferro (2° millennio a.C.).

Alcune domande vengono allora spontanee: lacollina del castello era un primordiale luogo abitato?Una postazione di vedetta? Oppure un luogo sacrodedicato al culto.

Sappiamo soltanto che quel ammasso di detriti diprobabile natura morenica è stato da subito utilizza-to dall’uomo per la sua naturale posizione rivelatasidi straordinaria importanza strategica (anche duran-te gli ultimi conflitti mondiali sono state praticatenelle mura delle aperture per postazioni di mitraglie-re).

Così l’ultimo ghiacciaio, ritirandosi, ci ha lasciatoin eredità un rompicapo la cui soluzione può esseredata solo da coloro che sanno leggere gli strati delterreno che il tempo e gli eventi hanno sovrapposto.L’auspicio è che la Sovrintendenza trovi le motiva-zioni per aprire uno scavo archeologico sia all’inter-no che all’esterno delle mura e definire così la verastoria del castello. Il sogno è di consegnare, in unfuturo non molto lontano alle generazioni che ver-ranno, l’antica struttura riabilitata nella storia, risortae rilucente come un Caravaggio restaurato dopoessere stato considerato ormai perduto.

Ersilio Celant

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Per sentieri erti e un pò difficili ascendiamo verso il castello;circa a metà del colle, da uno scavo fatto, osserviamo lostretto passaggio che scendeva al piano. Dalla sua costruzio-ne in solida muratura, si capisce che nei tempi antichi bur-rascosi servì d’asilo, di fuga, di segreto soccorso ai castellanidi Polcenigo.Se quel passaggio scavato chi sa con quanta spesa e qualistenti nel terreno, quando non si aveva idea che la polverepotesse sventrare i monti, quando anzi non si conoscevaquesta terribile nemica dell’umanità; se, dico, quella via sot-terranea potesse parlare, chi sa quante storie ci raccontereb-be di fughe angosciose dai sotterranei del castello, di delittinascosti. Ruderi più meschini di questi risposero lunghe sto-rie commoventi a poeti e pensatori che ne studiavano ilmistero.Ma non ci fermiamo per via. Giunti sul colle, in un sorrisodel cielo e della natura, potrebbe dirci ben altro il castelloelegante e massiccio, quasi moderno, rifabbricato sull’anti-co. Da ogni parte si guardi, ai monti, ai colli, alla pianura,tutto sembra un paradiso. Non vi fu, nè vi sarà mai pennel-lo o penna d’artista che possa riprodurre o descrivere al vero,uno solo degli infiniti quadri di bellezza che si stendono din-nanzi allo sguardo commosso.In questo giardino, in cui solo una mano soprannaturalepoteva segnare le aiuole, qua e là velare d’ombra, farrisplendere di viva luce i colli, i boschetti, le strade, i corsid’acqua, si posava l’occhio fortunato delle dame di Polcenigoe non si sa concepire come i conti potessero abbandonarequesti luoghi incantati per correre in cerca d’avvenure, diguerre e di dolori.Fin da bambina questa dimora di fate mi colpìl’immaginazione; fin da quando mi venne il ghiribizzo discrivere le prime righe, il castello di Polcenigo nella sua vitagloriosa, mi stette fisso come un dolce incubo, quasi un tri-buto che dovessi ai miei antichi parenti.(2) Più volte m’ac-cinsi all’opera e mi parve troppo difficile: temetti di non tro-vare tratti di penna abbastanza larghi e poetici per ravvolge-re il potente e il ridente di questa scena. Anni fa ebbi unromanzo che tratta dei castellani di Polcenigo ne’ tempiandati: debbo confessarlo? Ne cominciai la lettura di malu-more, gelosa che altri avesse saputo cogliere e far suo questofiore smagliante che volevo mio. Non discuto il merito diquelle pagine; ma non trovai i luoghi, la storia da me sogna-ti: era tutt’altro. La vera poesia della natura e la fantasticaleggenda restano ancora inedite e forse non potrò mai soddi-sfare questo vivissimo, fra i tanti miei desideri.La stupenda discesa di trecentosessantasei gradini che con-duceva in paese, i gradini, le balaustrate, la chiesa che eradedicata a S. Pietro, tutto è in completa rovina; ma il castel-lo s’erge ancora solido e bellissimo.Dalle imposte divelte entra il sole sullo scalone, nelle sale,nelle stanze, in tutta la dimora regale. Il tetto comincia acadere e forse in breve trascinerà nella sua rovina altre bel-lezze; ma le mura staranno ancora salde molti anni e forsepasserà un altro secolo prima che fin l’ultime vestigia sianotravolte dal tempo inesorabile. E pensare che quelle mura

costarono duecentomila ducati, pari ad un milione di lire epensare che un qualche ricco desideroso di vivere lassù, nonlontano dal mondo, ma superiore ad esso fra le bellezze delcielo e della terra, (potrebbe ancora ridare la vita a quelloscheletro d’un’età svanita. Le sue mura bianche di pietrad’Istria mi fanno ricordare uno di quei crani di S.Francesco, che qui s’incontrano ad ogni passo: i vani senzaimposte mi sembrano le occhiaie vuote; mi pare che il tettoforato qua e là ghigni come le mascelle sdentate; craniosenza cervello, senza pensiero; mura senza adornamenti,senza padroni. Non lo posso guardare a lungo, misero sche-letro principesco: mi commuove troppo!Scendiamo per la strada larga e sassosa fino alla chiesa di S.Giacomo, ora parrocchiale di Polcenigo. E’ grande e bella;mi sembrano degni di nota gli ultimi altari; quello a sinistraper il dipinto: La natività di M. V.; quello a destra con duecolonne a spirale di marmo nero e intarsi di madreperla.Anticamente, era invece parrocchiale la chiesa di S. Roccogiù in paese e qui v’era un convento di Francescani. Lo dicela lapide che trovasi nell’atrio presso la chiesa e devo ringra-ziare la distinta cortesia dell’arciprete di Polcenigo se possotrascriverla esattamente quale si trova scolpita sulla pietra:

Perché l’anno 1482 s’abbruggiò questo convento di — SanGiacomo nel 1483 sino il 1492 dal P. Giovanni Alemanno— rifabbricato. Però non può certificarsi del tempo della —fondatione del medemo solo si ritrova in un libro — anticodi lettere gottiche che l’anno 1295 - 12 maggio — D.Hengerada moglie di D. Gerardo per suo test. nod. —Zamboni lascia lire cento per riparar la chiesa e —Convento. Dunque fu fondato molt’anni avanti e si crede —per certo ai tempi del serafico S. Francesco — che visse sinol’anno 1226.Il P. Bac. Francesco Mainardi da — Polcenigo che ritrovòqueste antichità fece porre — questa lapide ad perpetuam reimemoriam — anno MDCCXIII.Nell’atrio stesso vi sono le tombe dei conti di Polcenigo.Dalle sale fastose venivano portati in quella specie di bassocorridoio a trovare la pace eterna nel breve spazio; ben pochedelle persone che scalpicciando continuamente su quei sepol-cri, li hanno corrosi, rifletteranno su ciò che resta d’unafamiglia che occupò un posto distinto per ricchezza e famanel turbinare dei tempi. Io non posso fare a meno di volger-mi intorno con un senso di tristezza, pensando all’ultimoviaggio da lassù a queste povere pietre; guardo fuori il cam-posanto di Polcenigo adagiato nel sorriso dei colli, guardoqueste mura nude, la mente spazia in un mondo infinito,ritorno a queste tombe con rispetto, con un triste salutoall’ultima contessa di Polcenigo che ci venne deposta, la miapovera nonna materna.

Elena Fabris Bellavitis

Il CASTELLODI POLCENIGO(1)

(1) Pubbl. sul Giornale di Udine, 24 ottobre 1894; citato dall’Occioni-Bonaffons, in Bibl. st. friul. III, Udine, 1899, n. 2157(2) Tanto l’ava paterna, quanto l’ava materna dell’A. nascevano contesse diPolcenigo, Elisabetta l’una sposata al nob. Luigi Fabris, Laura l’altra sposata

al bar Riccardo del Mestri: figlie entrambe del co. Francesco Antonio diPolcenigo e della co. Angusta Fullini.

D.O.M

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Tra i tipici e più conosciuti mestieri praticatinella storia a Polcenigo, ricoprendo una partico-lare importanza per l’economia del territorio: fale-gnami, scalpellini, boscaioli, commercianti, arti-giani....di alcuni si è persa memoria.

Ancor oggi, lungo il torrente Ruals, sull’Artugna,ed in alcune zone della Fontaniva, è facile trova-re i resti di fornaci per la produzione di calce olaterizi. Questi manufatti venivano appositamentecostruiti nelle vicinanze di torrenti, nei pressi dizone boschive, dove era più facile reperire lematerie prime necessarie per la lavorazione:legname, sassi, acqua, terra creta.

In pianura, sul Ruals, e sull’Artugna, i sassi di

LE FORNACIDI POLCENIGO

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ElenaFabris

Bellavitis

Elena Laura Eleonora Anna Fabris nacque il 25giugno 1861 a Lestizza, settima figlia del nobiledott. Nicolò Francesco (1818-1908), che fu depu-tato al parlamento del Regno d’Italia, e della baro-nessa Felicita del Mestri di Schönberg (1822-1902). Quando venne al mondo Elena, erano giànati i fratelli Elisabetta (1851-1882), Luigi(1852, fu giudice conciliatore), Riccardo (1853-1911, irredentista nel movimento di Oberdan,progettò per il porto di Marano Lagunare),Francesco (1855, combattè in Eritrea), Carlo(1858-1920, scrisse di argomenti sociali); altri trefratelli morirono in fasce, come allora di frequenteaccadeva.Poichè la baronessa Felicita del Mestri era figlia delbarone Riccardo e della contessa Laura diPolcenigo e Fanna, sorella della contessaElisabetta di Polcenigo e Fanna moglie del nobileLuigi Fabris, i genitori di Elena erano cugini diprimo grado.Elena Fabris studiò presso il collegio Uccellis diUdine, la cui storia si trova descritta nel romanzoBrutta(1889).Il 9 ottobre 1883, a 22 anni, Elena sposò il terzo-genito del conte Mario Bellavitis e della contessaAnna Elena Sartori, conte Antonio Pio Bellavitis,cui il secondo nome era stato dato in onore di PioIX, il che suggerisce quali fossero i sentimenti poli-tici della famiglia.L’unione fra Antonio ed Elena fu allietata dallanascita di 3 figli: Felicita Anna ElisabettaFrancesca (sposò l’ingegner Gino Canor), MarioNicolò Riccardo (1885-1936, dottore in legge,pubblicò parecchi scritti nel settore) ed EgleBenvenuta (sposò il cav. Gio Batta Salice).Entrambe le figlie di Elena e Antonio dopo ilmatrimonio risiedettero in quel di Pordenone.La contessa Elena Fabris Bellavitis fu moglie emadre amorosissima; con il marito, che svolgevaun incarico di rilievo nell’amministrazione statale,ed i figli divise la sua breve vita tra la casa diUdine e le amate villeggiature di Lestizza e Sarone,dove era ospite della zia, contessa Luigia nata

Zeffiri.Accanto agli affetti familiari Elena Fabris Bellavitis col-tivò la passione per le lettere, rivelandosi scrittrice dota-ta di sensibilità dolce e meditativa e raccogliendo l’ereditàdi Caterina Percoto, sia pur con risultato artistico piùmodesto. Fra il 1884 e il 1904, anno della morte, pub-blicò i romanzi “Un genio” (1887), “Brutta” (1889) e“Zia Lavinia” (1891), inoltre molte novelle, documentòusi e costumi friulani, scrisse articoli di cronaca, di criti-ca letteraria ed artistica, ospitati sul “Giornale di Udine”e in “Pagine Friulane”. Una raccolta dei suoi scritti furipubblicata postuma nel 1927 col titolo di Novelle e boz-zetti a cura del figlio mario Bellavitis; altra raccolta è Proparvulis del 1899. Dobbiamo la sopravvivenza diSpecchio a’successori, diario della nobile famiglia deiFabris di Lestizza, alla pazienza e alla sensibilità storicadi Elena Fabris Bellavitis, che ricopiò, con una scritturachiara e regolare, il diario dei suoi avi, o meglio quantoera rimasto delle carte di famiglia dopo le razzie napoleo-niche. Nel 1904, mentre era con la famiglia a Bolognaper quello che avrebbe dovuto essere un breve e lieto sog-giorno, fu colta da un’improvvisa malattia che in brevis-simo tempo la condusse a morte, il 25 febbraio; nonaveva ancora 43 anni. Le ceneri di Elena FabrisBellavitis riposano nel cimitero di Lestizza. Al nome diElena Fabris Bellavitis sono state dedicate una scuolamedia a Udine (nel 1961, in occasione del centenariodella nascita dell’autrice) e la biblioteca comunale diLestizza.

Estratto dalla pubblicazione dell’agosto 2004 a cura di Paola BeltrameUrli su iniziativa dei nipoti Salice e Bellavitis con il patrocinio deicomuni di Polcenigo e Lestizza - Litografia ponte di Talmasson (UD)

Vita e opere

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calcare purissimo non mancavano. Il combustibi-le, invece, era appena sufficiente a causa deigrandi disboscamenti in epoca medievale cheavevano spogliato l’alta pianura pordenonese.Bisogna ricordare che ancora all’inizio del '500 lamaggior parte delle case era costruita completa-mente o in maggior parte in legno e la calce, pro-dotta nel territorio, serviva solo in alcune opere difondazione degli edifici o per disinfettare strutturein legno o nel campo agricolo.

Poi, il modo di costruire cambiò. Il legnamedivenne un prodotto molto importante per il mer-cato veneziano e quindi da non sprecare per lecostruzioni.

Prese piede, così, una nuova strategia costrut-tiva, promuovendo nuove e originali tipologie edi-lizie.

Gli edifici vennero costruiti in pietra e primaria-mente la calce era usata come collante dei sassi.

Pertanto alcune borgate si costruivano la pro-pria fornace per avere a portata di mano l’indi-spensabile materiale nei lavori di edilizia.

Possiamo ritenere che la cultura della calce sisia sviluppata attorno il '400 ed i primi anni del'500 per uso locale ed avere un impulso più fortetra il '600 ed il '700 con la richiesta di calcesoprattutto dalle città più grosse.

Considerazioni simili possiamo farle per le for-naci di coppi. Da sempre le coperture degli edifi-ci erano leggere e poco durevoli.

Le case erano coperte con scandole in legno oper le abitazioni più povere con della pagliacreando anche seri problemi per il borgo in casodi incendio, in quel periodo molto frequenti.Conl’andar del tempo divenne conveniente eliminareil legno dalle coperture per sostituirlo con ele-menti in laterizio. Devo dire, però, analizzandoalcuni cocci ritrovati presso i luoghi di queste for-naci e i numerosi embrici di epoca romana venu-ti alla luce, la lavorazione del cotto è da datarsi inuna epoca assai più remota.Volutamente vogliosoffermarmi sulla lavorazione della calce perché,prima di tutto, ci sono ancora siti visibili sulnostro territorio comunale e intenzione del nostrogruppo archeologico è restaurare ciò che rimane.

Dalle ricerche fatte sui resti delle fornaci pos-siamo constatare che venivano costruite vicino aqualche grosso masso o adiacenti ad un pendionaturale per sfruttare la maggior stabilità offertada rocce e declivi ed anche per permettere unamaggior tenuta di calore. I manufatti erano disezione circolare alti c/a tre metri e con la basedi diametro di tre-quattro metri ed il foro superio-re più piccolo. Il materiale usato per la costruzio-ne era composto da sassi scalpellati a cuneo inmodo da incastrarsi uno con l’altro formando un

tronco di cono, tipo un igloo senza tetto.Eventuali fessure o crepe erano tappate con

argilla o calcina. Nella parte anteriore era colloca-ta una porta per permettere l’introduzione dellegname da ardere. Potevano esserci anche altrifori a livello di terreno per permettere di togliere lacenere o dare aria alla combustione.

La parte più difficile, ove necessitava di artigia-ni veramente specialisti, era la volta da costruirsiall’interno della fornace per sostenere la quantitàdi sassi che venivano alloggiati sapientementeper essere cotti. Altra specifica esperienza chedovevano conoscere questi artigiani era sapereche tipo di sassi raccogliere perché non tutti sitrasformano in calce. La temperatura nella forna-ce doveva raggiungere i 900 gradi ed il fuoco nondoveva mai calare di intensità. Il personale addet-to doveva sempre caricare la bocca del forno confascine o pezzi di tronco, si facevano dei turni permantenere sempre vivo il fuoco. A cottura ese-guita,e anche qui necessitava l’esperienza delcalcinaio per sapere il momento giusto, si lascia-va raffreddare la fornace e dopo sei sette giorni siprelevavano i sassi. L’acqua era indispensabileper la conversione da calce viva in spenta. Laquantità di acqua usata per questa trasformazio-ne era assai rilevante, perciò, averla vicina erasicuramente un gran vantaggio. Ecco perché nelnostro territorio sono state edificate le fornaci neipressi del Livenza e dell’Artugna. La tecnica perla cottura dei sassi si è tramandata nel tempo.Non bisognava solo far fuoco, era necessarioconoscere i materiali necessari per tale operazio-ne e soprattutto i tempi ed il grado di cottura. Labuona riuscita della calce diventava fonte di red-dito per chi la faceva, per chi la commerciava.Ma, con l’avvento del carbon fossile, e quindi confornaci molto più grosse, vedi quel la sitasull’Artugna a Dardago, chiusa anche lei unadecina di anni fa, si è perso questo anticomestiere. Oggi sono poche le persone in grado diricordare esattamente le tecniche per l’accensio-ne di una fornace, se da un lato il progresso ha -prodotto un certo tipo di benessere, dall’altro sisono perse quasi del tutto le radici della nostraterra.

I l restaurare queste antiche testimonianze,prima che l’incuria dell’uomo civilizzato le spazzivia definitivamente, è un dovere che il gruppoarcheologico assumerà in modo di farle conosce-re ai nostri ragazzi e renderli più consapevoli edorgogliosi di vivere su un territorio dove la storianon viene cancellata ma conservata per nonessere dimenticata.

Bel Angelo

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Le Prealpi Carniche occupano una posizione geo-grafica defilata rispetto alle grandi vie di comunica-zione che uniscono l’Adriatico ai paesi dell’Europacentrale. Tuttavia, esse furono frequentate fin dal-l’antichità perché offrivano percorsi più diretti perraggiungere dall’alta pianura le valli del Piave e delTagliamento. Inoltre, i versantiesterni che dominano il piano,da cui si innalzano quasiall’improvviso, non furono mairicoperti dal ghiaccio e quindianche nelle ere più freddeessi costituirono delle prezio-se zone di rifugio per uomini,animali e piante. Finora le piùantiche testimonianze antropi-che scoperte in questi territo-ri r isalgono al Paleolit icosuperiore e sono costituite daipiccoli manufatti litici trovatisul Piano del Cavallo e nellegrotte di Pradis, in Val Cosa.Segni della presenza dell’uo-mo del Neolitico sono staterinvenute in molte localitàprealpine, in particolare nellavalle della Stua, a San Tomèdi Dardago, in Valcellina, aBarcis e a Claut, e in unagrotta del monte SanLorenzo, all’imbocco della ValColvera. Fin dall’età del Bronzo (1500-1800 annia.C.) la Val Tramontina era attraversata da una viache da Meduno raggiungeva la Carnia passando perla Forca del Monte Rest, a 1000 m di altitudine.Anche le leggende delle aganas della Val d’Arzino edella Val Colvera, mitiche frequentatrici di caverne edi acque (agana deriva da aga, che in friulano signi-fica acqua) possono configurarsi come un ancestra-le ricordo dei primi abitatori trogloditi. I villaggi prei-storici ubicati alla base delle alture erano collegatidalla “via pedemontana”, una pista che dal Venetoraggiungeva le comunità palafitticole del Palù di

Polcenigo e proseguiva lungo la fascia collinare chesi estende quasi ininterrottamente fino a Pinzano alTagliamento e a Forgaria nel Friuli. Ed è proprio inquesta località che inizieremo un viaggio idealeverso la Carnia, lungo la valle dell’Arzino, seguendol’antichissimo sentiero detto il Troi di Cjargna.L’escursione rappresenterà un interessante ritorno aun passato, anche molto remoto, poiché si potran-no visitare ambienti e situazioni di varie età, dallapreistoria all’epoca moderna. Ma il visitatore avràpure la possibilità di fare conoscenza con alcunepeculiarità geologiche e morfologiche della valle,come le profonde incisioni tettoniche e tra queste lapiù grande faglia della nostra regione, il sovrascorri-mento periadriatico. E pure con una variegata mol-teplicità di formazioni rocciose, di macroforme carsi-che superficiali, come doline, campi solcati, inghiot-titoi, nonché del raro esempio di paleofrana dimassa del dosso del Planêt.

Da Forgaria, il Troi diCjargna conduce innanzi-tutto sullo ZucSchiaramont, il medievaleColle di Castelraimondo,una panoramica altura di438 m s.m., dove si trovaun’interessante zonaarcheologica. Dalla cima sigode un’ampia veduta siaverso la valle dell’Arzino,come verso il Tagliamentoe la pianura friulana: un’i-deale punto di guardia,che giustifica la presenzain questo sito di costruzio-ni di diverse epoche.L’esistenza del Troi diCjargna è legata infatti agliinsediamenti gallo-celticidel IV secolo a.C. scopertiqualche anno fa nel corsodelle campagne di scavidirette dai proff. Marco

Cavalieri dell’Università diPerugia e Sara Santoro dell’Università di Parma, chedefinirono i reperti relativi ai primi insediamenti “uninteressante miscuglio di elementi retici, celtici evenetici”. Oltre che alla pastorizia, in quei tempi gliabitanti erano dediti alle attività artigianali collegatecon l’estrazione e la lavorazione di materiale ferroso.In epoca romana (II e I secolo a.C.) l’insediamento fupotenziato con la costruzione di una torre di avvista-mento e di segnalazione, e il sito divenne un oppi-dum, un piccolo fortino. Nel XIII secolo il patriarcaRaimondo della Torre, da cui prese nome il colle,fece costruire un castello che però ebbe una vita

NELLE PREALPICARNICHE SULLETRACCE DI UNSENTIERO PRERO-MANOdi Tito Pasqualis

Cartina schematica con il percorso del Troi di Cjargna.

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relativamente breve perché fu abbandonato nean-che due secoli dopo, probabilmente a seguito deidanni subiti con il disastroso terremoto del gennaiodel 1348.

Dell’originario nucleo abitato dello Schiaramontsono visibili le fondazioni di un possente muro galli-co di tipo celtico e la casa di uno sciamano, carat-teristica figura di stregone-guaritore delle antichereligioni nordiche. La sua residenza, la GrandeCasa, consiste in un edificio rettangolare con un latodi 15 m e l’altro di 7 m, diviso in alcuni vani. La Casafu per molti secoli il centro della vita sociale e reli-giosa del villaggio e la sua sacralità trascese quelladegli stessi sciamani che l’abitarono. Forse, non èdel tutto fuori luogo ricordare che la residenza sacradei primi re egizi diede il titolo agli stessi sovrani chesi chiamarono Faraoni dal nome per-aa, che signifi-ca grande casa, dell’edificio in cui essi vivevano.

Sopra la zona archeologica, il Troi di Cjargnapassa sullo scosceso versante sud del monte Prât,lambito al piede dalle tumultuose acque dell’Arzino.Quindi raggiunge il ripiano del Planêt, a circa 500 ms.m., generato dalla frana di massa scivolata dalmonte Prât stesso durante le epoche glaciali. È que-sto un suggestivo ambiente naturale, che per la fittavegetazione che lo ricopre e per alcuni grandi massicon strie quasi regolari, che lasciano immaginareantiche presenze umane. D’altra parte, è da ricorda-re che proprio in questi luoghi fu trovato un fram-mento di ciottolo con i segni dell’alfabeto retico.

Sull’altro lato della valle si intravedono i dirupi delMasarach di Anduins e del Clapèt con le galleriedella strada provinciale e i resti dell’ardita carrozza-bile costruita alla fine dell’Ottocento dal conteGiacomo Ceconi (1833-1910), benemerita figura diemigrante e imprenditore di Pielungo. Il sentiero pro-

segue serpeggiando a mezza-costa, fiancheggiato da muridi età incerta che precedonola diruta borgata di Buccina,abitata fino alla metà delloscorso secolo e ora romanti-camente invasa dalla vegeta-zione. In breve si raggiungonoi prati di Pert, 400 m circa,borgata del Comune di Vitod’Asio, interamente ricostruitadopo il terremoto del 6 maggio1976; un cippo ricorda le vitti-me di quel tragico evento.

Il Troi ora sale verso le ripidependici del monte Cuar finoall’ampia sella prativa diSaètola dove oggi c’è un’a-zienda agricola. Qui una voltasorgevano alcuni casolari e

proprio in questo luogo vennero alla luce dei repertidi età romana. Saètola fu una delle prime borgatedella Val d’Arzino ad essere citata in un documento,nella fattispecie un atto del 1327, che la ricordaquale proprietà dei nobili feudali di Savorgnan, iquali dal castello di Osoppo dominarono questeterre fino all’arrivo dei Francesi nel 1797. Da Saètolain giù il vecchio sentiero, ora carrareccia, passasotto le rocciose pareti del Cuar e del Flagel, attra-verso aree franose, manifestazioni superficiali delgrande sovrascorrimento. Il percorso si concludesulla strada provinciale, nel pianoro del Plan dal Latche il Ceconi aveva attrezzato a campo di tiro asegno.

La seconda parte del cammino inizia a SanFrancesco, a 480 m s.m. Sulla sponda destradell’Arzino si raggiunge il rio Spìssol che scorre nel-l’incisione di una faglia, in cui versa la sua acqua daun’altezza di oltre 80 metri, e che, d’inverno, si tra-sforma in una suggestiva cascata di ghiaccio. Si vaavanti per tracce con qualche saliscendi in corri-spondenza dei numerosi rii quasi sempre asciutti; lavalle si restringe trasformandosi in una forra con pit-toreschi scorci panoramici con pozze d’acqua ecascatelle. Dopo la borgata di Pozzis, che sorge suun terrazzo alluvionale della riva sinistra del torrente,si giunge al piede delle cascate dell’Arzino, che pre-cipitano per un centinaio di metri con una serie disalti. Sopra di esse si estende un pianoro con i restidi una stua, un piccolo bacino d’invaso utilizzato perla fluitazione del legname, pratica esercitata nellavalle fino alla fine dell’Ottocento. Si arriva quindi suiprati della sella dei Piani di Chiampon, a 800 mcirca, non lontano dalla sorgente carsica delFontanone, dalla quale scaturisce l’Arzino. Dai Pianiuna stradina scende nell’angusta valle del rio

I l Tagliamento e l’Arzino visti da Vito d’Asio; a sinistra, le case di Forgaria nel Friuli.

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Seazza e raggiunge Preone, dove il Troi diCjargna aveva termine, e dove si conclude anchequesta gita. È alquanto significativo che nei din-torni di Preone, tre località, Forgjàrie, Curnìn eFiluvigna, abbiano in pratica lo stesso nome deipaesi ubicati all’ingresso della Val d’Arzino, cioè

all’ imbocco del Troi: Forgaria, Cornino eFlagogna. Questa circostanza è un segno deglistretti legami esistenti una volta fra comunità che,pur molto lontane nello spazio, erano spiritual-mente vicine grazie all ’antichissima via cheabbiamo idealmente percorso.

La zona archeologica dello Zuc Schiaramont all’inizio del Troi di Cjargna.

L’ampia sella prativa dei Piani di Chiampon dove nasce l’Arzino.

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I l termine stà ad indicare leoperazioni di confinazione ese-guite in Cansigl io durante i lperiodo veneziano (1548-1797).

L'incameramento della selva edella sua conseguente trasfor-mazione in "bosco pubblico" adisposizione del la Casadel l 'Arsenale, i l "BOSCO DAREMI di San Marco", costrinseinfatti i vari Podestà e "Capitanidel bosco" di Belluno, a ciò pre-posti dal "Consiglio di dieci", acontinue opere di rifissazione diconfini al fine di salvaguardare laproprietà pubblica dai reiteratitentativi di "usurpo" delle terreboscate messi in atto daiComuni e dai privati. La parteboscata del Cansiglio ha, grossomodo, la forma di una coronacircolare e quindi con due cir-conferenze, una esterna e l'altrainterna: quella esterna "insidiata"dalle Comunità, e dai rispettiviabitanti, di Polcenigo (il "feudo"di Polcenigo, compreso l'attualeComune diBudoia, formatosicome entità indi-pendente nel1810) e Canevaper la parteFriulana e dagl ial lora (1548)Comuni diSerravalle e Pieved'Alpago per laparte Veneta;quella interna, adelimitazione deiconfini dei pasco-li dei fondovalle di"Valmenera,Cansejo, Code diCansejo eCornesega", tuttidi proprietà priva-ta o della MensaVescovi le di

Belluno.Le conterminazioni furono o

general i , r iguardanti gl i inter iperimetri esterni ed interni, oparziali, per risolvere specifichesituazioni di conflitto.

La prima conterminazionegenerale fu eseguita da Antonioda Canal, Patrono della Casadell'Arsenale, in ottemperanza aquanto previsto dalla Parte (2)15 gennaio 1548 m.v. (1549m.c.) (1) essendo DogeFrancesco Donà, in data 26maggio 1550 dette inizio alleoperazioni di "poner li termini alliBoschi d'Alpago (termine usatoallora n.d.r.) situati sotto diverseGiurisdizioni essenti sotto laProtezione di esso Ecc.moConsiglio". Egli,per primo,feceincidere sui cippi le sue inizialiA.C.,il millesimo (1550) ed unnumero progressivo in cifreromane e croce;sistema cheverrà imitato anche per le suc-cessive conterminazioni.

Ultimato il suo impegno, il daCanal fece pubblicamente pro-clamare, nella piazza di Belluno(28 maggio 1550), quanto da luidisposto e copia del suddettoproclama fu trasmesso con scrit-tura al Podestà e Capitanato diSerraval le, al Podestà eCapitanato di Caneva, al Contedi Polcenigo, ai Deputati dellaPieve d'Alpago, affinché fossenoto a chiunque interessatoquanto da lui disposto in meritoalla "general conterminazione".

Questa meticolosa confinazio-ne non riuscì ad eliminare, senon in parte, la indeterminatezzadei confini e riconfinazioni par-ziali seguirono tra il 1575 ed il1576 da parte di AndreaPasqualigo, Podestà e Capitanodi Belluno e dai suoi successorinel la carica Giovanni Dolf in(1576) e Federico Contarini(1589) mentre una generaleseguì nel 1622 da parte diFederico Cornaro, pure lui

Le “CONTERMINAZIONI”del Cansiglio

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come il "mezzo miglio", che risul-tava esterno al l 'area bandita,potesse essere usato per i lpascolo ma non per il taglio dellegname presente, senza licen-za.

In tal modo la foresta "bandita"veniva ad essere circondata dauna fascia di rispetto e per diver-sificare le due realtà, quella sta-tale e quel la comunale, i lCornaro suggerì di aprire unostradone che "dal la parte difuori" delimitasse inequivocabil-mente le due proprietà.

Nella carica lo sostituì AngeloGiustinian che, incaricato dalSenato, con Parte 2 dicembre1622, appose nuovi cippi lapideilà dove la distanza tra un cippo el'altro risultava eccessiva, loca-l i tà tutte r icadenti sotto laGiurisdizione dei Comuni di

Polcenigo (Polcenigo, Coltura,S.Giovanni, Budoia, Dardago,S.Lucia n.d.r.) che "per naturadei suoi abitanti, risultava esserela zona ove venivano perpetrati imaggiori abusi in nome di unanon ben precisata determinazio-ne dei confini".

Però il successore, il Rettore diBelluno Leonardo Dolfin, segna-lava un "grave disordine esisten-te nella nostra foresta..." ed ilSenato, con propria Ducale 9agosto 1653, cercò di porrerimedio, incaricando dettoRettore di "r ipristinare l'anticodiritto". Il Dolfin distrusse i cippiinterni della precedente e nesistemò 6 di nuovi, per gli ester-ni, ritoccò i cippi della preceden-te c., ne aggiunse di nuovi e dialtri venne modificato il numeroprogressivo, onde evitare dop-

Podestà e Capitano di Belluno,che fissò anche la delimitazionedel "mezzo miglio", fonte di ver-tenze anche giudiziarie secolari(si pensi che la vertenza tra loStato Italiano - subentrato allaRepubblica Serenissima - ed ilComune di Polcenigo si chiusecon sentenza il 4 agosto 1898!).I l 12 giugno di quel l 'anno i lCornaro emanava un proclama incui si proibiva "alcuno chi siavoglia non possa far fratte (taglioraso), o pojatte di carbone, percinquecento passa lontano daiconfini nei medesimi boschi ban-diti, né tener o fabbricar casere,se non lontano da detti confiniper passa(3) cinquecento...". Taleprovvedimento venne approvatoe fatto proprio con Parte(2) delConsiglio di Dieci 17 novembre1622, ove all'art. 4 si evidenzia

Gruppo di ricerca da sinistra: il Sindaco Toppani, Gabriella Masutti, Patrizia Valent, capo spedizione Vittorio Toffolo, Giorgio Modolo,Antonio Pegolo (Cai di Sacile), Claudio Bravin, Giuseppe Bravin (Guida), Angelo Bel.-Foto di Mario Cosmo.

1)Abbreviazioni: 15 gennaio 1548 m.v. ovem.v. stà per more veneto; siccome laRepubblica Serenissima cominciava l'annocon il 1° di marzo siamo nel 1549 m.c. cioè

more communis.2) Parte: legge o disposizione amministrativapassata al vaglio del voto in Maggior Consiglio,Senato o Consiglio di Dieci.

3) Passo: unità di misura lineare veneta, suddi-visa in 5 piedi e variabile da località; passoveneziano 174 cm, circa, passo travisano 220cm.

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pioni, per numero 45 cippi percui i cippi "che ora circondanotutti i Boschi della SerenissimaRepubblica sono n° 51" comeattesta la relazione Dolfin. Lostesso Rettore, constatando chela causa prima di detti abusidoveva essere imputata al lascarsa visibilità dei cippi di con-fine, spesso confusi con altrepietre e ricoperte da muschi elicheni fu "rissoluto di dar ordineche siano fabbricate tante crocidi ferro lunghe un braccio, quan-ti sono li termini, le quali crocidebbono sopra i medesimi termi-ni essere impiombate", disposi-zione questa che avrebbe per-messo ai confinanti di individua-re senza ombra di dubbio la lineadi confine.

Nel 1656 il Podestà e Capitanodi Belluno Francesco Morosiniprovvide all 'aggiunta di alcuninuovi cippi in località Candaglianel feudo di Polcenigo per diri-mere alcune questioni di confinesorte in area friulana.

Nel 1660 nuova confinazionegenerale a cura del l 'al loraRettore di Bel luno FrancescoMarino Zorzi. "Egli non va ricor-dato per il massimo zelo e levalide intenzioni con cui si accin-se all'opera, quanto per la gros-solana ingenuità nel calcolare ilmezzo miglio. Come riferisceegli stesso egli pensò di far cosagrata al le misere popolazionilocal i lasciando i l pascolo dimezzo miglio entro

i l imit i del la foresta stessa,nelle zone meno boscate e nellechiarie "fino all'orlo del boscofolto" che divenne, di fatto, ilnuovo confine della foresta. Asua parziale discolpa vi è daaggiungere che egli fu subdola-mente ingannato dagl i scaltr irappresentanti comunali che loaccompagnarono nel la visitagenerale del bosco" (4).

Dal 1660 al 1797 furono ese-guite ben 25 revisioni di confineche si limitarono a ricalcare i ter-mini dello Zorzi.

Da segnalare quella del 1748perché oggetto di una pubblica-zione (5).

L'ultima vera conterminazionevenne eseguita dal l 'al loraRettore di Bel luno AntonioBarbarico che, a seguito dellaDucale dell'Ecc.mo Senato 30maggio 1795, compì l ' interaoperazione in sedici giorni, apartire dal 16 giugno: venneroapposti 116 cippi per la confina-zione esterna e 70 per l'interna.

In seguito, dopo la caduta dellaSerenissima Repubblica, nume-rosi Comuni contermini accam-parono diritti ed anche i cippiprecedentemente posti furonoper la maggior parte asportati odistrutti.

LA RICERCA DEL GR.A.PO.

Attratti da queste testimonian-ze del passato vissuto della fore-sta, alcuni motivati Soci (foto)del Gruppo ArcheologicoPolcenigo hanno iniziato la ricer-ca dei cippi sul terreno; per ilmomento sul la montagna diPolcenigo ne sono stati trovati 5con varie iscrizioni che, vernicia-te con vernice lavabile rossa perfaci l i tarne la lettura, sono incorso di decifrazione. (2 foto). Laricerca viene fatta in collabora-zione con il Cai di Sacile ed ilCorpo Forestale della Regione-Stazione di Aviono che provve-derà ad una esatta mappaturacon i sofisticati strumenti a suadisposizione.

La carta di lavoro di partenza èstato il documento "La forestascritta" del l 'Architetto MorenoBacicchet che ha riportato inmappa in scala 1:15.000 i cippicensiti nel catasto austriaco del

1842. Anche lo Stato Italianodopo il subentro, nel 1866, alleprecedenti sovranità franceseprima e austriaca poi, confinò laforesta e, tra il 1874 ed il 1875,appose per la confinazioneesterna n° 300 cippi numeratidal 1 al 300 partendo dal ColGrande in Comune di Polcenigoe ruotando in senso orario talchèsul Col Grande si trovano sia ilcippo n° 1 che il 300. (1 o 2foto).

Questi cippi ricalcano le prece-denti confinazioni ed infatt i icippi veneziani sono stati rintrac-ciati poco distante, ma il loronumero diverso rende la coinci-denza una probabilità non unacertezza; sono tutt'altro che faci-li da reperire e da decifrare enon c'è da meravigliarsene aven-do presenti le vicissitudini che lihanno interessati.

Questa attività del gruppo diricerca del Gr.A.Po. proseguirà,tempo permettendo, quest'inver-no ed ha come obiettivo di indi-viduare uno o più percorsi chepermettano agl i appassionatiescursionisti di trovare nel boscoi “segni della storia”.

Mario Cosmo

4) "IL GRAN BOSCO DA REMI DEL CANSI-GLIO NEI PROVVEDIMENTI DELLA REPUB-BLICA VENETA" del Dott. Guido Spada, editonel 1995 nella "collana verde" col n° 97 a cura

del Ministero delle risorse agricole alimentarie forestali-corpo forestale dello Stato: è illibro dal quale sono state tratte la gran partedelle informazioni di questo articolo.

5) "La general conterminazione del 1748" acura di Giorgio Zoccoletto - Collana Quadernidel Consiglio n° l - Tipse 1995

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Lista partecipanti all’escursione in Austria del 19 giugno 2005:CASTELLO DI HOCHOSTERWITZ MAGDALENSBERG MARIASAAL

Foto Alida Lucà Cosmo - Mariasaal 19 giugno 2005

RIET OSCARBRAVIN CLAUDIOANGELIN SILVANABONGIORNO ENNIOANGELIN MARIA RITABRAVIN DENISESIST MARCOSCIARRA GIUSEPPESCIARRA SILVIADEL PUPPO ERALDADEL PUPPO EVAGUSSNIG CARMENTOFFOLO VITTORIOFAVRET MARIO ANTONIOCOSMO MARIOLUCA’ ALIDAVALENT PATRIZIADEL PUPPO LORENACARLET MICHELASCARPAT MICHELASCARPAT STEFANIA

BRAVIN TARCISIOZANCHET ANGELOONGARO MARIA ANGELACARONE GIUSEPPETREVISAN MONICATALON NICOLETTADAL MAS ILARIOBATTISTON MAURODORIGO ANNABATTISTON DANIELEBATTISTON MONICAPUSIOL ANGELOBRAVIN TATIANACELANT ERSILIODORIGO ALESSANDROMODOLO MARIA ROSADELLA VALENTINA ANTONIOMASARIN GIANFRANCOMASARIN RICCARDOBOSSER VALERIAMASARIN DAVIDE

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NOTA:il Presidente del GRAPO Vi invita alle riu-nioni del gruppo ogni 1° lunedì del mesepresso la sede in Piazza Plebiscito alleore 20.30

MULARA ROCCOVENDRUSCOLO ANNA VICOLOCELANT AGOSTINOZAMBON MARIALUIGINARIET PATRIZIAMODOLO MARIALUISATOPPANI ANTONIOTOPPANI VALENTINO MASOTIZIANEL DANTEMODOLO CARMENGOBBO GIOVANNIPIVETTA LUCIAGROS ANGELA

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