Gnosis

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  SERVIZIO PER LE INFORMAZIONI E LA SICUREZZA DEMOCRATICA  PER ASPERA AD VERITATEM RIVISTA DI INTELLIGENCE E DI CULTURA PROFESSIONALE N.2 maggio-agosto 1995  ------------------------------ © Servizio per le informazioni e la Sicurezza Democratica ------------------------------

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Rivista italiana di Intelligence, volume 2

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  • SERVIZIO PER LE INFORMAZIONI E LA SICUREZZA DEMOCRATICA

    PER ASPERA AD VERITATEM

    RIVISTA DI INTELLIGENCE E

    DI CULTURA PROFESSIONALE

    N.2 maggio-agosto 1995

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  • Anche per l'albero c' speranza: se viene tagliato, ancora ributta

    e i suoi germogli non cessano di crescere; se sotto terra invecchia la sua radice

    e al suolo muore il suo tronco al sentore dell'acqua rigermoglia e mette rami come nuova pianta.

    (Giobbe 14, 7-9)

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  • INDICE

    Saggi e articoli

    Gaetano MARINO - L'azione terroristica della mafia Sergio SIRACUSA - La multinazionale del crimine Pio MARCONI - Rischio sociale e sicurezza nazionale: un metodo per l'identificazione delle minacce R. Valery ROVER - Il radicalismo islamico. Analisi della sua origine, teorizzazioni e possibili riflessi sulla sicurezza nazionale Aldo Maria SANDULLI - Note minime in tema di segreto di Stato Francesco SIDOTI - I servizi di informazione e di sicurezza : prospettive per una cultura al servizio del Paese

    Documentazione di interesse

    Primo rapporto sul sistema di informazione e sicurezza (parte seconda) Camera dei Deputati, XII Legislatura, Relazione sulla politica informativa e della sicurezza (secondo semestre 1994) (articolo 11, primo comma, della legge 24 ottobre 1977, n. 801) presentata dal Presidente del Consiglio dei Ministri Dini Relazione generale sulla situazione economica del Paese (1994) - L'evoluzione dell'economia nel 1994 Camera dei Deputati, XII Legislatura, Proposta di legge n. 723 "Modifica dell'articolo 204 del codice di procedura penale in materia di esclusione del segreto" presentata dai deputati SELVA, MAZZONE, NESPOLI Senato della Repubblica, XII Legislatura, Disegno di Legge n. 142 - Modifiche alla legge 24 ottobre 1977 n. 801, recante "Istituzioni e ordinamento dei Servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato" presentato dai Senatori IMPOSIMATO, CORVINO, CARELLA, DI BELLA Senato della Repubblica, XII Legislatura, Disegno di Legge n. 197 recante "Norme in materia di informazione e sicurezza dello Stato, di segreto di Stato, di informazioni classificate", presentato dai Senatori SALVATO, TRIPODI, DIONISI, FAGNI

    Normativa e giurisprudenza di interesse

    Legge n. 241 del 7 agosto 1990 Corte Costituzionale: Sentenza n. 86 del 24 maggio 1977

    I Servizi di informazione e sicurezza degli altri Paesi

    Francia: l'Organizzazione centrale di Intelligence

    Recensioni e segnalazioni bibliografiche

    Glauco GIOSTRA e Gaetano INSOLERA - Lotta alla criminalit organizzata: gli strumenti normativi - Recensione Sergio ROMANO - Cinquant'anni di storia mondiale (la pace e le guerre da Yalta ai giorni nostri) - Recensione Claude SILBERZAHN e Jean GUISNEL - Au coeur du secret - Recensione Luigi MAGISTRO - Banche ed altri intermediari finanziari: tecniche investigative. Giorgio SANTACROCE - Usura, riciclaggio e sistema bancario: linee di una strategia composita di contrasto. Giacomo TRAVAGLINO - Il sequestro e la confisca antimafia, incostituzionalit dell'art. 12 quienquies D.L. 306.92 Giovanni FIANCADA - La mafia come ordinamento giuridico. Utilit e limiti di un paradigma Gabriele VERRINA - Il concorso esterno e l'associazione per delinquere di stampo mafioso

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  • Notizie sui collaboratori

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  • CONTENTS

    Essays and articles

    Gaetano MARINO - Mafia's terrorist activity Sergio SIRACUSA - The criminal multinational Pio MARCONI - Social risk and national security: a method to identify threats R. Valery ROVER - Islamic radicalism. An analysis of its origins, theories and possible impact on national security. Aldo Maria SANDULLI - Few observations on State secrecy. Francesco SIDOTI - The Intelligence and Security Services: prospects for a public service cultural approach.

    Documents of interest

    Parliamentary Oversight Committee on the Intelligence and Security Services. - First report on the Intelligence and Security System. (Part II) Chamber of Deputies, XIIth Parliament, Report on the Government Intelligence and Security policy for the period July-December 1994. (Sec.11, par.1 of Law n. 801, of 24.10.1977) presented by Prime Minister Lamberto DINI Report on the Country's economic situation in 1994. Economic development in 1994. Chamber of Deputies - XIIth Parliament - Bill n.723 "Modification of art.204 of c.p.c. on the inapplicability of secrecy" by Deputies SELVA, MAZZONE, NESPOLI Senate - XIIth Parliament - Bill n.142 "Modification of Law n.801 of 24.10.1977, on the establishment and regulations of the Intelligence and Security Services and the discipline of State secrecy", by Senators IMPOSIMATO, CORVINO, CARELLA, DI BELLA Senate - XIIth Parliament - Bill n.197 "Provisions on national intelligence and security, State secrecy and classified information" by Senators SALVATO, TRIPODI, DIONISI, FAGNI

    Legislation and jurisprudence

    Law n.241 of 7.8.1990. Constitutional Court: Judgement n.86 of 24.5.1977

    Other Countries' Intelligence and Security Services

    France: the Intelligence Central Organisation

    Reviews and bibliographic recommendations

    Calude SILBERZAHN and Jean GUISNEL - Au coeur du secret Luigi MAGISTRO - Banche ed altri intermediari finanziari: tecniche investigative. Giorgio SANTACROCE - Usura, riciclaggio e sistema bancario: linee di una strategia composita di contrasto. Giacomo TRAVAGLINO - Il sequestro e la confisca antimafia, incostituzionalit dell'art. 12 quienquies D.L. 306.92 Giovanni FIANCADA - La mafia come ordinamento giuridico. Utilit e limiti di un paradigma Gabriele VERRINA - Il concorso esterno e l'associazione per delinquere di stampo mafioso

    News on our collaborators

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  • Prefetto 1a cl. Gaetano MARINO - Direttore del SISDe - L'azione terroristica della mafia (*)

    Premessa Nel 1991 il Legislatore italiano riconosceva formalmente che i gruppi criminali organizzati, minacciando le istituzioni e lo sviluppo civile della convivenza, costituiscono un pericolo per la sicurezza dello Stato e un fattore di eversione dell'ordinamento democratico costituzionale. Contestualmente, ai Servizi di informazione per la sicurezza veniva affidato il compito di estendere, ciascuno per la propria area di competenza, il SISMi all'estero e il SISDe all'interno del territorio nazionale, l'attivit informativa anche nei confronti del crimine organizzato: ne scaturito un grande progresso qualitativo dell'azione di contrasto. La comunit di intelligence internazionale, al contrario, ha rifiutato per anni l'idea di doversi impegnare contro il crimine organizzato. In questo senso i servizi italiani sono stati trainanti ed oggi possono vantare un vero primato organizzativo nel condurre questa lotta. Il passaggio storico stato significativo poich esso ha segnato una svolta nella percezione, sul piano istituzionale, della minaccia mafiosa. Un momento importante che ha visto il potenziamento dell'azione di contrasto con l'ulteriore istituzione della Direzione Investigativa Antimafia prima e dalla Procura Nazionale poi, nonch con l'introduzione di incisive misure sul piano amministrativo e del diritto penale, sostanziale e processuale. Tutti questi provvedimenti convergevano verso il consolidamento di un disegno strategico iniziato qualche anno prima e teso ad adeguare strutture e strumenti a disposizione dello Stato per combattere l'eversione criminale. Era quella una fase delicata del Paese al quale purtroppo il destino avesse riservato momenti di tensione ancora pi gravi con le stragi di Capaci e di via D'Amelio, dalle cui ferite deriv un rinnovato sforzo di ulteriore potenziamento dei mezzi di contrasto. Lo Stato ha in sostanza fatto tesoro dell'esperienza e, di fronte alle organizzazioni criminali che adottavano rapidamente le proprie contromisure, non si limitato a difendersi ma ha insistito con vigore nella sua offensiva. Ci spiega finalmente i tanti successi delle Istituzioni e dello Stato. Valutando, pi specificamente, gli aspetti che riguardano il coinvolgimento degli organismi di intelligence nell'azione di contrasto del fenomeno di tipo mafioso, non vi dubbio che l'impiego del dispositivo costituito dalla Comunit di intelligence ha rappresentato e rappresenta il livello inequivocabile della situazione d'allarme, nonch la misura della risposta. I cittadini hanno del resto imparato a riconoscere la pericolosit delle attivit mafiose e l'enorme potenziale offensivo e destabilizzante delle associazioni criminali. quindi errata l'impostazione di chi, in Italia e all'estero, ritiene sproporzionato il coinvolgimento dei Servizi di sicurezza per il danno che recherebbe all'immagine internazionale del Paese. In una recente riunione dei Direttori dei Servizi di sicurezza europei stata evidenziata l'esigenza di una partecipazione intensa dell'intelligence internazionale alla lotta alla criminalit. Vi da ritenere che l'immagine del Paese si tuteli prendendo contezza dei problemi, traendone le necessarie conseguenze, evitando di minimizzare la minaccia e non abbassando mai il livello di attenzione, nemmeno quando il silenzio e le pause potrebbero far pensare ad un abbandono del campo da parte del nemico. Un nemico che stato e resta forte, tatticamente e strategicamente dotato, e per questo da non sottovalutare neppure inattivo. Vi da dire che anche prima del 1991 sarebbe stato possibile attribuire a singoli episodi criminali potenzialit destabilizzanti. Ma i concetti di eversione e di pericolo per la sicurezza dello Stato contengono un quid pluris, significando precisamente l'idea di una criminalit organizzata ormai strutturata nella contrapposizione illegale, nella ricerca del contropotere, del condizionamento pressante e pesante portato avanti con la razionale violenza e con l'aggressione terroristica, allo scopo di piegare comunque il potere legale.

    1. L'intelligence internazionale

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  • Percepiscono oggi chiaramente tale pericolo anche quei Paesi dove il fenomeno criminale, non di rado importato, muove i primi passi e dove mai fino a ieri lo Stato si aspettava di essere minacciato dalla presenza organizzata del crimine. Nel seminario internazionale - organizzato a Roma dal SISDe nello scorso mese di aprile per i rappresentanti di 15 Servizi di intelligence europei - sono state raccolte preoccupazioni corali per il pericolo eversivo rappresentato dal crimine organizzato che, in virt del nuovo contesto geopolitico, della velocizzazione degli scambi e delle comunicazioni, della crescente mobilit di persone e soprattutto di capitali, tende sempre maggiormente a svincolarsi dal legame territoriale e ad assumere connotati transnazionali. La minaccia alla sicurezza dello Stato costituita dalla contaminazione del circuito legale dell'economia e, talvolta, della rappresentanza politica, dal deliberato proposito di mettere in discussione il monopolio statuale della legge, espressione della sovranit popolare, dal tentativo di accreditare un peso contrattuale e politico dinanzi alla comunit dei cittadini. Lo scenario interno ed internazionale deve rendersi sensibile rispetto ai nuovi soggetti che irrompono sul campo e che rivelano alleanze e connubi criminali di forza, di valenza eversiva. Le risultanze investigative delle Forze dell'ordine hanno gi fornito riscontri in questo senso, ed analoghi segnali scaturiscono dal lavoro informativo e di intelligence. Il circuito dei traffici illegali assai preoccupante e vede le organizzazioni mafiose in prima linea accanto ad altri tipi di referenti talvolta operanti per fini di natura non sempre coincidente. Non facile al momento ipotizzare una alleanza eversiva tra varie componenti, che vada al di l dei reciproci interessi economici criminali. Purtuttavia la natura dei traffici desta grave allarme, cos come il riciclaggio dei capitali minaccia l'affidabilit e la tenuta delle regole dell'intero sistema economico. A fronte di tale situazione sembra quindi retorico chiedersi se la scelta di impegnare gli organismi di intelligence possa essere considerata valida. L'attivit informativa, infatti, un momento centrale dell'azione preventiva, che a sua volta assume un ruolo fondamentale nella lotta al grande crimine organizzato. Gli strumenti dell'intelligence consentono di interpretare i fatti e i fenomeni, di prevedere l'incidenza e l'evoluzione di essi a breve e medio termine, di individuare ove maggiori siano le possibilit di penetrare gli ambienti tradizionalmente omertosi dell'organizzazione mafiosa, i soggetti che operano all'interno degli aggregati criminali, i reticoli di relazione all'interno e all'esterno del territorio nazionale, di avvertire infine gli organi di polizia in tempo utile per un intervento pi specifico di tipo preventivo e poi repressivo. In proposito stato ripetutamente riconosciuto come significativo il contributo fornito dal SISDe all'azione di contrasto.

    2. L'eversione criminale Il dovere della riservatezza e l'aridit dei fatti non fa apprezzare la grande mobilitazione di energia e di sacrificio che vi dietro a ogni attivit di intelligence, ma ogni cittadino deve sapere che l'impegno massimo. Nel 1994 l'attivit del servizio ha consentito di arrestare nel settore dell'eversione criminale ben 547 soggetti, di cui 49 latitanti, e di denunciare 299 persone. Nel primo quadrimestre dell'anno in corso le puntuali informazioni del SISDe hanno attivato indagini delle forze di polizia che hanno gi portato all'arresto di 162 soggetti, di cui 16 latitanti, e alla denuncia di 135 persone. Questi dati essenziali sono citati - ma nel contesto delle periodiche relazioni del Servizio sono forniti in forma pi analitica - per evidenziare che la nuova prospettiva dell'attivit di intelligence, il salto di qualit che la distingue, non mette in secondo piano i precisi riscontri dell'attivit operativa in merito alla quale esiste, e va rafforzato, uno stretto rapporto con gli organi di Polizia giudiziaria. Ancora il caso di sottolineare che l'utilizzazione dei mezzi di intelligence ha il grande pregio di invertire un tradizionale squilibrio che ha sempre visto lo Stato inseguire i fenomeni piuttosto che anticiparli e prevederli. sufficiente rileggere le recenti vicende del Paese per riscontrare come spesso gli interventi delle Istituzioni, sia a livello normativo che di coordinamento operativo, abbiano seguito lo scandire dei tempi in qualche modo imposto dall'organizzazione mafiosa. L'impiego delle potenzialit dei Servizi di intelligence consente, o dovrebbe consentire, di colmare questo scarto temporale, abbreviando la percezione della realt. Ma c' ovviamente di pi, v' un ritorno di efficacia assai pi ampio: le modalit di acquisizione delle informazioni, la loro elaborazione e gestione, secondo i criteri dell'intelligence, sono utili per definire una strategia mirata a riconoscere gli spazi nei quali la criminalit organizzata esercita la sua influenza ed indirizza le sue mire di espansione, nonch i suoi canali di intervento ed il suo modus operandi.

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  • Da qualcuno, pi volte, stata rivolta questa domanda: sono in grado oggi i Servizi di svolgere e sostenere al massimo un'azione cos delicata ed impegnativa? Ovvero, quali sono i limiti che incontra il dispiegamento di un'attivit cos complessa? La risposta un'occasione propizia per ribadire che proprio la storia della lotta al crimine organizzato ha insegnato che i risultati si ottengono quando si ha il coraggio di affrontare i problemi riconoscendone la rilevanza. Dianzi si cercato di illustrare che l'impegno dei Servizi motivato dalla minaccia recata alla sicurezza dello Stato e che esso indispensabile poich consente la elaborazione di una strategia di contrasto in tempi utili. Purtuttavia, per essere pi efficace, l'attivit di informazione deve differenziarsi rispetto a quella che le forze dell'ordine possono gi autonomamente realizzare. un punto sul quale necessario richiamare energicamente l'attenzione, anche in questa sede cos qualificata. L'obiettivo della prevenzione, in altri termini, per essere realistico e attendibile, deve andare al di l dell'immagine ed esplorare fenomeni e fatti che accadono nella realt quotidiana. Il punctum dolens che si propone per una comune riflessione che l'attuale quadro normativo non fornisce adeguati mezzi di garanzia funzionale agli operatori di Servizi: strumenti che consentirebbero un intervento pi incisivo, in un quadro di legittimit dei fini ed in un contesto garantito da un'ampia gamma di controlli.

    3. Gli strumenti di tutela La carenza di strumenti di tutela genera, infatti, una situazione di incertezza che non giova alla qualit dell'attivit svolta. Con viva soddisfazione, si constatato che il tema delle garanzie funzionali e dei controlli stato oggetto di attenzione da parte del Comitato parlamentare per il controllo sui Servizi di informazione e sicurezza, nella sua recente relazione. del tutto evidente come non sia possibile relegare i Servizi di intelligence ad un ruolo di mera ausiliarit degli organi di polizia giudiziaria che, in determinate circostanze, chiedono il supporto dei mezzi tecnici e delle specifiche professionalit del Servizio e che, nell'ottica della massima cooperazione, vengono sempre coadiuvati. L'autonomia operativa che pure faticosamente il Servizio si sforza di concretizzare , infatti, indispensabile per alimentare il circuito virtuoso che parte dall'informazione, procede con l'elaborazione e l'analisi e promuove una nuova fase della ricerca informativa, selezionata e mirata. Ma alquanto paradossale che una raffinata cultura giuridica come quella italiana non si sia posto, in termini adeguati, il problema di distinguere tra legalit dei mezzi e legittimit dei fini, questione che, in paesi di alta democrazia come l'Inghilterra e la Germania, stata affrontata e risolta in quanto rappresentativa di uno snodo cruciale. Dalla relazione del Comitato parlamentare si evince la consapevolezza che i Servizi, talvolta, hanno l'esigenza di superare la barriera della legge comune, concetto del resto in linea con quanto autorevolmente affermato dalla Corte Costituzionale nella ormai famosa sentenza 86/1977. Si tratta, in altri termini, di consentire agli operatori dei Servizi di avvalersi di strumenti analoghi a quelli gi riconosciuti alla Polizia giudiziaria, seppure in contesti e confini diversi e in un quadro senz'altro gradito agli operatori del servizio: essi vogliono lavorare ed essere controllati, con il riconoscimento di piena legalit della loro azione. Potrebbe allo scopo essere individuata un'alta istanza amministrativa o uno speciale Foro giurisdizionale. Al potenziamento del sistema dei controlli deve, in sostanza, corrispondere un adeguamento delle possibilit operative in un quadro di trasparenza che, superando la cultura del sospetto e i diffusi pregiudizi sui cosiddetti Servizi Segreti, renda comprensibile l'utilit del lavoro di intelligence. In altri termini, pare necessario che i grandi progressi e i successi realizzati, dagli organi investigativi o dal comparto sicurezza, siano assistiti e rafforzati da un pi adeguato prodotto dell'intelligence. Ci ineluttabile ove si pensi al livello dell'aggressione mafiosa: gli attentati di Roma, Firenze e Milano del 1993 provano il crescendo e la valenza eversivi della mafia. Il potere destabilizzante del terrorismo mafioso va combattuto con ogni mezzo possibile. Soltanto un'attivit coordinata consentir di sviluppare al massimo l'azione di prevenzione, in un'ottica moderna che veda la struttura della sicurezza e dell'intelligence accanto alle forze della magistratura in una lotta, senza quartiere, ad ogni forma del crimine. Da "Capaci - Quanto tempo fa" supplemento a cronache Parlamentari Siciliane n. 7 luglio 1995. testo tratto dall'intervento del Prefetto 1a cl. Gaetano Marino al congresso "Capaci - Quanto tempo fa?", svoltosi a Palermo il 19, 20 e 21 maggio 1995.

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  • Gen. C.A. Sergio SIRACUSA - Direttore del SISMi - La multinazionale del crimine (*)

    Premessa La legge n. 410 del 1991, nel riconoscere alla criminalit organizzata il ruolo di minaccia delle istituzioni dello Stato, ha affidato ai Servizi di intelligence il compito di fornire il quadro informativo (all'interno e all'estero) agli organi di Polizia. In tale quadro al SISMi affidato il ruolo e la responsabilit di fornire agli organi di Polizia giudiziaria il quadro informativo estero e dei collegamenti della criminalit organizzata nazionale con le criminalit organizzate degli altri paesi. Di seguito saranno prese in esame le pi recenti sfide della criminalit organizzata negli spazi internazionali, alla ricerca di nuove e remunerative forme di delitto. Il fenomeno del crimine organizzato ha superato da tempo i confini dei singoli Stati, acquisendo connotazioni internazionali e capacit di agire in qualsiasi punto del globo, sino ad assumere la forma di un'autentica minaccia per la societ. Ci che caratterizza l'attivit macro-criminale infatti il rapido accumulo di risorse dovuto alla abnorme sproporzione tra i bassi costi di gestione e gli altissimi redditi. Ne deriva la necessit di reimpiego dei capitali accumulati che inevitabilmente conduce ad una infiltrazione sempre pi consistente del crimine associato nel tessuto finanziario ed economico della societ. Questa accentuata contiguit tra il crimine e gli ambienti economico-finanziari non resta per confinata ai paesi pi vulnerabili. Le attivit che costituiscono la base pi solida dell'azienda del crimine: il traffico di droga, il commercio clandestino di armi, spesso in commistione tra loro e in vario modo interconnessi con i terrorismi locali ed internazionali, per la loro stessa natura acquistano peso e rilevanza se attuati in mbito interstatale. L'espansione dei gruppi criminali diviene cos una scelta operativa forzata, con un raggio di azione che comprende l'intera comunit degli Stati. Non sono, tuttavia, solo la ormai acquisita e consolidata dimensione transnazionale e la capacit di mimetizzazione e di infiltrazione a caratterizzare la grande criminalit organizzata. Essa si pone come fine prioritario il profitto finanziario e si giova di una accentuata flessibilit sia nella scelta degli obiettivi e delle zone di espansione della sua attivit, sia nel modus operandi. Questa attitudine a porre in essere attivit criminose, che si presentano del tutto innovative rispetto a quelle tradizionali, quali l'eco-criminalit, il traffico di materiale sensibile, o che costituiscono una forma pi complessa o pi raffinata delle stesse, ad esempio le droghe sintetiche o lo sfruttamento dei grandi flussi migratori, rappresenta la sfida pi recente della criminalit negli spazi internazionali. Il termine Ecomafie ha una accezione duale, in quanto individua il ruolo della criminalit organizzata nei fenomeni di degrado e di illegalit ambientale e inoltre l'attitudine, palesata da tutte le varie organizzazioni mafiose, ad inserirsi come ideologie imprenditoriali nel business di carattere ambientale a cominciare da quello dei rifiuti. Le Ecomafie, insomma, si presentano sempre con lo stesso volto: quello di una imprenditoria che penetra a fondo il tessuto economico e si garantisce, in virt degli affari realizzati, una sostanziale impunit. I risultati per la collettivit e l'ambiente sono devastanti. Al degrado civile si somma il saccheggio delle risorse ambientali. Nell'humus di risorse economiche rilevanti, destinate ad attivare le opere pubbliche necessarie a colmare i deficit infrastrutturali di intere regioni, cresciuta una illegalit diffusa e articolata con ramificazioni ed evoluzioni direttamente proporzionali ai vari sodalizi della criminalit organizzata.

    1. Le ecomafie Quanto emerge in Italia trova crescenti riscontri in analoghe situazioni presenti nei vari Paesi dell'Est europeo, nei Paesi africani in via di sviluppo, nel centro e nel sud America, ove gli appalti diventano spesso appannaggio di imprese macrocriminali con l'uso spregiudicato della corruzione o con il racket dell'estorsione. La raccolta e lo smaltimento di rifiuti urbani e, soprattutto, di quelli di origine industriale, rappresentano ormai uno dei settori privilegiati dalle organizzazioni criminali per le loro attivit di

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  • riciclaggio di denaro sporco e, soprattutto, di acquisizione di nuovi settori di economia legale. Si tratta di una duplice presenza criminale con devastanti conseguenze di carattere ambientale. I clan mafiosi, infatti, si occupano, in forma pressoch monopolistica, dei servizi di raccolta e smistamento di rifiuti industriali, tossici, nocivi in molti Paesi, a livello globale, dai Paesi industrializzati verso i Paesi in via di sviluppo. Due sono gli aspetti specifici caratterizzanti le cosiddette Ecomafie: un elevato livello di imprenditorialit criminale, che ne fa uno degli anelli di congiunzione tra economia legale ed economia illegale; e la sostanziale impunit di cui godono per il combinarsi di controlli amministrativi a volte inesistenti e della spesso scarsa efficacia delle sanzioni previste. Insomma, la criminalit organizzata ha individuato nella tutela del territorio l'anello pi debole della normativa internazionale e dei singoli Paesi ed in questo buco nero - fatto di case abusive, di discariche per rifiuti solidi urbani e per rifiuti ospedalieri, di case e quartieri costruiti al di fuori di qualsiasi regolamento urbanistico - si inserita per sfruttare al meglio l'incapacit mostrata dagli Stati nel difendere il patrimonio naturale e l'ecosistema. Al fine di contrastare questo circolo criminale rappresentato dalla sinergica combinazione tra degrado ambientale e degrado sociale e civile, occorrer il potenziamento delle strutture di controllo sull'ambiente, la rigorosa applicazione delle sanzioni a chi viola le norme in materia e, soprattutto, un monitoraggio, ad ampio spettro internazionale, delle attivit criminali in questo settore, raccordato ad un concreto impegno normativo, finanziario, sempre - si ribadisce - su scala internazionale. Un accenno al traffico di materiale sensibile. Il recente sequestro in una cittadina ungherese di 18 chili di uranio - materiale altamente radioattivo - con la conseguente disarticolazione di una rete di trafficanti internazionali operanti in Italia, Slovacchia ed Ungheria, ha riportato ancora una volta l'attenzione dei mass media sulla pericolosit di tale minaccia incombente a livello mondiale. Il materiale strategico infatti un pericolo non solo per la sua eventuale utilizzazione da parte di Paesi considerati a rischio - solo ad esempio: l'Iran -, ma anche perch la sola casuale o incontrollata dispersione nell'ambiente o lo stesso incauto uso possono costituire un danno enorme per la salute pubblica e la sicurezza ambientale.

    2. I prodotti nucleari Ancora maggiore appare la minaccia ove si consideri possibile l'utilizzo di materiale sensibile da parte di organizzazioni criminali con connotazioni terroristiche o razzistiche o religiose o fanatiche, come dimostrano i recenti episodi accaduti in Giappone. Sin dal 1989 si sono diffuse, sempre pi intensamente, voci su un vero e proprio traffico di prodotti nucleari in Russia, iniziato dopo il crollo del muro di Berlino. A questo business sarebbero interessati gruppi terroristici e criminali europei e di alcuni Paesi del Terzo Mondo i quali, aggirando l'embargo sul materiale fissile, avrebbero trovato una nuova strada di riciclaggio di denaro sporco che consente l'investimento di ingenti capitali. A fronte di poche azioni giudiziarie in corso nel mondo per il traffico di materiale radioattivo, va rilevato che, oggettivamente, anche il lento ritiro delle truppe russe di stanza in Germania, iniziato nel 1991, ha aperto nuovi orizzonti ai professionisti dell'economia sommersa, alla criminalit organizzata, alle consorterie criminali necessitate a reperire sempre nuovi spazi per investire gli ingenti capitali e le risorse finanziarie extralegali realizzate. Nell'attuale situazione strategica internazionale, non esistendo pi il rigido sistema bipolare, tipico della guerra fredda, va emergendo un nuovo mondo internazionale di tipo multipolare, che induce i Paesi medi a preoccuparsi pi direttamente e al di l di ogni ragionevole dire della propria sicurezza. In questa zona grigia si incuneano le organizzazioni criminali in grado, attraverso operazioni di ingegneria societaria, di investire capitali per l'acquisizione di materiale e di fornire una rete di intermediari per la distribuzione dello stesso e, altres, per immagazzinare quantitativi di componentistica di armamento e di materiale sensibile in quelle aree caratterizzate da particolari situazioni di instabilit regionale, quali alcune parti dell'Europa, Africa o Medio Oriente. Le grandi organizzazioni criminali sono in grado di infiltrare gli intermediari finanziari operanti nel settore dell'acquisto di armi e di materiale sensibile. In questo settore, in definitiva, in cui si intrecciano traffici internazionali, operazioni finanziarie sospette ed ingenti interessi economici, i casi sempre pi ricorrenti di implicazioni mafiose devono suscitare allarme e preoccupazione perch sono sintomatici di un vero e proprio trend adottato dalle organizzazioni criminali, sempre alla ricerca di penetrare inesplorati ma lucrosi

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  • mercati.

    3. Narcoterrorismo Con questo termine si intende l'utilizzo da parte di trafficanti internazionali di stupefacenti di militanti gi impegnati in organizzazioni armate e l'attivit, su scala internazionale, di smercio di droga da parte di formazioni combattenti. L'uccisione del giornalista Miguel Dodias Uname, celebre per il suo reportage sul narcotraffico latino-americano, la battaglia tra l'esercito cinese e le truppe di narcotrafficanti del triangolo d'oro, le bombe fatte esplodere a Nizza, nella zona del nuovo Caia, nel marzo del 1993, e quelle della primavera-estate dello stesso anno in Italia sono, come molti altri, episodi esemplificativi di questo nuovo volto della criminalit organizzata internazionale. Tali episodi rivelano la mutazione ormai in atto nella maggior parte delle organizzazioni mafiose operanti su scala transnazionale e soprattutto nel cosiddetto Terzo Mondo. Questa mutazione implica importanti conseguenze economiche e strategiche per il mondo sviluppato, ove si consideri che numerosi ed inquietanti sintomi si manifestano, in modo evidente, nelle grandi metropoli, con i cartelli criminali che hanno i mezzi per far assassinare i rari giornalisti disposti a denunziare traffici e crimini. Nelle aree confinanti con il triangolo d'oro e con la mezzaluna d'oro gli Stati impegnati a contrastare i narcotrafficanti devono ingaggiare vere e proprie battaglie militari contro i signori della droga. Nel mondo esistono, ormai, estensioni geografiche in cui nessuno Stato riesce, di fatto, ad imporre alcuna legge. Le sostanze stupefacenti prodotte in queste zone procurano ogni anno enormi mezzi finanziari ai trafficanti, con cifre dell'ordine di centinaia ed a volte di migliaia di miliardi. Queste somme hanno trasformato talune bande in superpotenze criminali, da Cosa Nostra italo-americana ai cartelli colombiani, alle cosiddette mafie russe e alle triadi cinesi, in grado di realizzare veri e propri atti di guerra, potenti al punto da proporsi come anti-Stato. Tale criminalit, in effetti, si colloca su un nuovo piano, ai limiti della guerriglia, mescolando traffico di narcotici, terrorismo, macrocriminalit mafiosa e finanziaria. La distinzione tradizionale tra la criminalit politica e quella comune si va affievolendo. Paradossalmente, come si gi detto, era un potente asettico stabilizzatore dell'ordine internazionale interstatale. Il rapido dissolvimento di forzate relazioni di interdipendenza, il venir meno delle strette regole stabilite per assicurare un equilibrio nella conseguente instabilit delle relazioni internazionali, sono all'origine delle mutazioni che subiscono le guerriglie e le organizzazioni criminali. In tale contesto sembra attirare la riflessione degli addetti ai lavori un fattore, per molti aspetti paradossale, quale quello presente nei processi di democratizzazione. L'aggravamento dei fenomeni di corruzione e di narcotraffico per la liberazione selvaggia dei mercati, che stimola necessit finanziarie valicanti le fonti lecite dei finanziamenti, e il cambiamento dell'ordine mondiale pongono, inoltre, gravi problemi di adattamento agli apparati di sicurezza e di difesa di alcuni Paesi, privati dei punti di riferimento usuali negli ultimi quarant'anni. Le nuove minacce non sono pi strettamente militari.

    4. La nuova alleanza Proprio l'intelligence costretta a considerare come soggetti strategici attori non statuali, violenti che, fino a poco tempo fa, venivano considerati oggetto di interesse delle sole forze di Polizia. Contestualmente organizzazioni dotate di capacit stragiste di grande potenza finanziaria conquistano sempre nuovi terreni, gruppi politico-militari di tipo guerrigliero o milizie o signori della guerra tessono inedite alleanze, tentano nuovi pericolosi legami con il crimine organizzato in Asia centrale, in America Latina, in Medio Oriente. Questi gruppi, grazie alla convergenza dei fattori socio-culturali, alla domanda del mercato illecito e alla riduzione dei dogmi ideologici, finanziano la loro lotta con il narcotraffico: finita la guerra fredda, gli attori politico-militari del vecchio ordine hanno dovuto adattarsi o sparire. In conclusione, superpotenze criminali di oggi (mafia italo-americana, cartelli colombiani) e di domani (cartelli dell'Asia centrale e bande metropolitane) e, alla periferia del mondo, guerriglie in fase di decomposizione - tutte entit diverse come origine e come obiettivi - hanno un comune denominatore. Tutte hanno subto l'effetto violento dell'enorme flusso dei narco-dollari e vivono in dipendenza del danaro ricavabile dalla droga. Nell'ultimo decennio numerosi Paesi hanno intensificato i controlli sul traffico di sostanze chimiche, ossia

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  • di quelle materie di larghissimo impiego in molteplici lavorazioni industriali lecite che sono indispensabili come reagenti o come solventi nei processi di trasformazione o raffinazione delle droghe. La collaborazione internazionale stata ampliata per tentare di frenare il flusso di tali sostanze verso le organizzazioni criminali transnazionali che dispongono di attrezzati e numerosi laboratori clandestini. I trafficanti di stupefacenti hanno nel contempo modificato le procedure per contrabbandare le sostanze chimiche di base. Nel quadro delle dinamiche evolutive del traffico internazionale di stupefacenti dobbiamo constatare che le droghe naturali costituiscono adesso solo una parte del panorama mondiale degli stupefacenti. Si sta diffondendo infatti in modo allarmante il consumo delle cosiddette droghe chimiche o sintetiche. Negli ultimi cinque anni i paesi occidentali hanno potuto registrare un trend positivo di tossicodipendenti consumatori regolari di "ecstasy" o della gemella eve. Tali sostanze stimolanti dalle propriet allucinogene stanno infatti invadendo la Spagna, la Germania, l'Olanda e in parte anche l'Italia. Tra le cause della trasformazione dei consumi di stupefacenti appare determinante l'ingresso dell'ex blocco sovietico all'inizio degli anni '80 nel mercato internazionale delle droghe. Le organizzazioni criminali di questi paesi, infatti, valutarono l'alternativa tra incentivare la coltivazione di piante, quindi droghe naturali, o approfittare dell'obsoleto apparato chimico-industriale per produrre droghe di sintesi. La seconda soluzione apparve pi vantaggiosa, anche perch i singoli componenti chimici non erano sottoposti a nessun reale controllo e, d'altro canto, numerosissimi qualificati professionisti privi di occupazione erano disposti a prestare la loro opera.

    5. L'immigrazione clandestina Alla luce di quanto sopra, si pu affermare che, mentre da un lato il problema della dispersione chimica ha registrato un aumento dell'attenzione internazionale a livello politico ed operativo, pur se permangono gravi lacune nel sistema di controllo, dall'altro lato, verso tale settore altamente remunerativo per i bassissimi costi di produzione si sono diretti e si vanno dirigendo sempre maggiori investimenti da parte della criminalit nazionale che ha individuato in esso una nuova e pi proficua fonte di reddito. In questo quadro meritano qualche cenno l'immigrazione clandestina e il traffico delle persone. Si ritiene che dalle 250 mila alle 350 mila persone provenienti dall'Asia e dall'Europa dell'Est emigrino irregolarmente verso l'Europa occidentale; oltre la met degli immigrati viene gestita da organizzazioni criminali transnazionali che da qualche tempo, dato il basso costo ed il cospicuo profitto, hanno inserito nel proprio campo d'azione l'organizzazione e lo sfruttamento del bisogno di migrazione e l'ulteriore indotto derivante dalle successive attivit illecite, in particolare prostituzione, droga, mercato illegale del lavoro. In Italia, le presenze clandestine sono stimate attorno alle 300 mila unit, una stima forse per difetto, anche se quasi impossibile conoscere la reale entit degli immigrati irregolari, proprio perch entrati clandestinamente o scivolati in questa condizione a causa della scadenza del permesso di soggiorno. In Europa e nel mondo la minaccia di un indiscriminato spostamento di masse provenienti dai Paesi poveri appare di significativa valenza, sia per la sua entit, sia per le ormai comprovate connessioni tra le comunit di immigrati e le strutture criminali, spesso a connotazione interetnica e transnazionale, talora tipica espressione della criminalit organizzata locale. Efficienti e ramificate organizzazioni di vario tipo, facendo leva sulla disperazione e sulla spinta ad emigrare di larghi strati di popolazioni sottosviluppate, lucrano cifre esorbitanti per agevolare l'ingresso nei paesi considerati di facile accoglienza o di proficuo inserimento. La gestione dell'immigrazione clandestina rappresenta, inoltre, il mezzo attraverso cui si esercita, da parte delle organizzazioni criminali, uno stretto controllo delle comunit insediatesi illegalmente, sfruttate quale fertile terreno di reclutamento di forze-lavoro a costi irrisori e di manovalanza criminale. Reiterati e significativi risultano i coinvolgimenti dei cittadini dell'ex Jugoslavia, albanesi, cinesi, dell'area maghrebina, curdi, pakistani, dell'area sub sahariana, in traffici illeciti di sostanze stupefacenti, armi, sfruttamento della prostituzione, nella organizzazione della stessa immigrazione clandestina. In concreto le organizzazioni criminali, presenti anche nei paesi di transito, provvedono a reperire passaporti falsi, falsificare i passaporti autentici rubati, contraffare i visti di ingresso, organizzare il viaggio e inserire e gestire i clandestini in attivit spesso illecite. In conclusione, il fenomeno dei movimenti di popolazione determinato da cause demografiche, economiche, politiche e sociali. I paesi sviluppati, che stanno quasi per esaurire le opzioni politiche e

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  • legislative praticabili - nell'ambito della propria sovranit - per contenere l'afflusso dei cittadini stranieri, dovranno in prospettiva orientarsi ad una modifica del proprio assetto legislativo per curare la impenetrabilit giuridica, almeno, dei propri confini. Resta il fatto che, qualunque misura venga adottata, ci che urge spezzare il legame con i sodalizi criminali che utilizzano gli immigrati in guisa di un nuovo, inesauribile vivaio di manodopera da usare, all'occorrenza, come emissaria nei paesi d'origine e fonte di guadagno facilmente gestibile. (*) Da "Capaci - Quanto tempo fa" supplemento a cronache Parlamentari Siciliane n. 7 luglio 1995. testo tratto dall'intervento del Generale C.A. Sergio Siracusa al congresso "Capaci - Quanto tempo fa?", svoltosi a Palermo il 19, 20 e 21 maggio 1995.

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  • Pio MARCONI - Rischio sociale e sicurezza nazionale: un metodo per l'identificazione delle minacce

    1. Il pi conosciuto e, forse, il pi profondo dei sociologi moderni, Max Weber, ci ha tramandato una immagine della societ industriale caratterizzata dalla prevedibilit dei comportamenti, degli eventi e, quindi, della sicurezza. Secondo Weber, la situazione dell'uomo civilizzato si caratterizza per: a) la fede generalmente acquisita nel fatto che le condizioni della sua vita quotidiana - tram, ascensore, denaro, tribunale, esercito, medicina ecc.- siano fondamentalmente di carattere razionale, cio prodotti umani accessibili alla conoscenza, alla creazione e al controllo; b) la fiducia nel loro funzionamento razionale, cio conforme a regole note, e quindi nella possibilit, almeno in linea di principio, di "fare i conti" con esse, di "calcolare" il loro atteggiamento, di orientare il proprio agire in base ad aspettative precise, create per il loro mezzo. Ed in ci consiste "l'interesse specifico dell'impresa capitalistica razionale in vista di ordinamenti razionali, il cui funzionamento pratico egli pu prevedere al pari del funzionamento di una macchina" (Weber, 1913, p. 302). La scienza ed un sistema di relazioni interpersonali caratterizzate dalla certezza rendono, nel quadro dipinto da Weber, l'uomo civilizzato, vivente in una societ razionale-capitalistica, dotato di forti sicurezze e della possibilit di prevedere, attraverso procedimenti relativamente semplici, le conseguenze dell'agire privato e collettivo. Si sente, nelle pagine di Weber, l'ottimismo e forse il trionfalismo di chi analizza un'epoca definita da Polanyi come la "pace dei cento anni" (1944), che garant all'Europa uscita dalle guerre napoleoniche un secolo di competizione mercantile e di emarginazione dello scontro militare generalizzato. Nell'arco che va dal 1814 al 1914 non mancano certo le guerre ma esse sono locali e non globali. La competizione tra le nazioni si sviluppa viceversa, in quel periodo, attraverso la concorrenza, l'innovazione, la conquista dei mercati. Un altro dei padri della sociologia, Spencer, aveva caratterizzato la moderna societ industriale per l'indole pacifica dei popoli e per l'orientamento del conflitto alla pacifica competizione pi che alla brutalit della conquista, della rapina, della guerra. Il passo di Weber prima citato del 1913, e Weber stesso si dimostra "profeta tradito", molto rapidamente. Un anno dopo la pubblicazione di "alcune categorie della sociologia comprendente", l'Europa travolta dal conflitto mondiale al quale succede un secondo conflitto seguito a sua volta da un cinquantennio di pace, fondata per sul bilanciamento delle armi e sulla reciproca minaccia di un calcolato rischio scientifico, quello nucleare. Contro la descrizione-profezia di Weber, la societ sviluppata contemporanea si configura come societ della insicurezza e del rischio. Cos la descrive Luhmann: "Col crescere della complessit dei sistemi sociali senza dubbio inevitabile che si corrano dei rischi maggiori: dei rischi che non pi possibile evitare al livello del comportamento elementare faccia a faccia e neppure collegandoli a pericoli definiti in modo univoco a livello sociale, ma che rendono invece problematica e in termini estremamente vaghi la questione della sicurezza" (1970, p. 196). 2. Lontana dalla previsione-descrizione di Weber, la societ contemporanea si manifesta come societ che garantisce un gran numero di sicurezze e che, nel contempo, vede moltiplicarsi le insicurezze e i rischi. La moderna tecnologia garantisce l'uomo, nelle societ sviluppate, da classiche minacce: il freddo, la fame, la malattia. La societ tecnologica purtuttavia portatrice di nuove minacce. Innanzi tutto, quelle che derivano dalla sfida dell'uomo alla natura (l'incidente nella centrale nucleare o nella fabbrica di fertilizzanti chimici, il crollo del grattacielo, l'uso incontrollato o perverso della tecnologia a fini di distruzione o di manipolazione). In secondo luogo, quelle che derivano da una crisi nella alimentazione del sistema tecnologico; la crisi petrolifera degli anni settanta deve essere considerata una sorta di monito permanente alla societ tecnologica: una variabile umana e politica (il prezzo di una fonte di energia) pu condizionare lo sviluppo di un intero sistema sociale. La vita sociale stessa si manifesta solo in apparenza pi sicura. La vita umana appare certo pi tutelata da aggressioni dirette. Le societ sviluppate vedono costantemente calare il numero degli omicidi. Ma il sistema delle relazioni si fa spesso molto incerto. Lo sviluppo degli strumenti di comunicazione favorisce

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  • solo in apparenza la trasparenza dei mercati e la conoscenza dei contraenti. Ma le relazioni di tipo privatistico sono ipotecate da forti elementi di insicurezza per la moltiplicazione dei soggetti operanti e per le interconnessioni tra di essi. Un contratto in materia societaria ha oggi una forte dose di aleatoriet e di rischio in conseguenza anche della complessa rete di soggetti operante nell'ambiente dell'impresa. La sicurezza del cittadino dall'aggressione criminale al patrimonio dovrebbe essere rafforzata da tecnologie di polizia sofisticate, da forze "pubbliche" professionalizzate, da una magistratura imparziale. Ma il sovraccarico di popolazione e di relazioni rende il patrimonio pi vulnerabile al rischio criminale e rende spesso il criminale un soggetto difficile da reperire in conseguenza della densit omologante della popolazione. La persona, pi sicura per alcuni versi, meno soggetta al "rischio prevedibile" (malattia, brigantaggio extraurbano, ecc.), tuttavia sottoposta a numerosissime aggressioni di tipo imprevedibile e a volte irrazionale (la violenza del tossicodipendente, l'incidente per colpa grave da alcolismo, l'esplosione di violenza, l'azione devastante immotivata, ecc.). 3. Nelle societ contemporanee l'aumento della insicurezza riguarda non soltanto il "privato" ma anche i sistemi politici. Questi ultimi, pur dotati di consenso e di enormi strumenti operativi, appaiono soggetti ad una vulnerabilit moltiplicata. Come ricorda il passo di Luhmann prima citato, le societ contemporanee sono soggette a rischi "che non pi possibile evitare al livello del comportamento elementare faccia a faccia". Nelle visioni tradizionali, il rischio per la sicurezza di uno Stato pu provenire dall'attivit palese od occulta di un avversario definibile, il quale pu operare con soggettivit identificabili "faccia a faccia". Ai tempi nei quali scriveva Max Weber il rischio era rappresentato da un antagonista e da minacce alla sicurezza operate da soggetti determinabili (Mata Hari) e dotati di comportamenti occulti ma ricostruibili con elementari criteri logici. Gli Stati contemporanei sono viceversa resi vulnerabili in conseguenza di alcune caratteristiche da essi assunte, in conseguenza della complessit del moderno agire politico e delle relazioni sempre pi strette che si registrano nel circuito Stato-mercato-Stato. Vi innanzi tutto una vulnerabilit derivata dalla stretta interconnessione dei sottosistemi. La "forza" e il "prestigio" dello Stato contemporaneo sono dovuti alla "ricchezza della nazione" (prendendo a prestito la terminologia di Adam Smith), cio della produzione, dell'appetibilit del prodotto, dalla innovazione, dalle risorse finanziarie, dalla propensione della finanza al rischio. La decisione politica quindi in parte sottoposta alle fluttuanti logiche del mercato. Questo purtuttavia dipendente dalla scelta pubblica: sia essa interna, sia essa internazionale. Un sistema di sottosistemi strettamente interdipendenti vede moltiplicarsi i luoghi della vulnerabilit. Un colpo inferto ad una azienda o ad un settore merceologico pu tradursi in forma di destabilizzazione politica. Viceversa l'induzione di una decisione pubblica pu produrre conseguenze rilevantissime nel campo economico. In secondo luogo, vi una vulnerabilit derivata dalla diffusione delle funzioni pubbliche. Lo Stato contemporaneo vede moltiplicarsi le proprie funzioni. Quasi tutti gli aspetti della vita sociale, relazionale, economica sono soggetti a regolamentazioni riportabili all'autorit pubblica. Ci moltiplica i settori nei quali possa essere portato un attacco e inferta una lesione. In terzo luogo, vi una vulnerabilit dovuta alla comunicazione. La societ contemporanea convive con strumenti di comunicazione che consentono a tutti i suoi componenti di immagazzinare ed elaborare in tempo reale una massa sconfinata di informazioni. La diffusione della comunicazione in tempo reale pone ulteriori problemi alla sicurezza. Di fronte ad una aggressione o ad una minaccia si pone un duplice problema: a) quello della risposta o della prevenzione, b) quello della gestione degli effetti comunicativi della lesione. Soprattutto la diffusione della comunicazione rende estremamente vulnerabili le societ a ci che Merton ha definito come "la profezia che si autoadempie". Merton prende le mosse dal c.d. teorema di W. I. Thomas: "se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze". Gli uomini non rispondono quindi solo agli elementi oggettivi di una situazione, ma anche, ed a volte in primo luogo, "al significato che questa situazione ha per loro" (Merton, 1957, p. 678). Il "caso" sul quale Merton lavora quello della insolvibilit della Last National Bank nel "mercoled nero" del 1932. Nonostante la situazione di relativa liquidit della banca, una voce di insolvenza accolta da un certo numero

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  • di clienti si risolve effettivamente in una insolvenza della banca. "La salda struttura della banca - scrive Merton - dipendeva da una serie di definizioni della situazione: la fiducia nella validit del sistema di promesse economiche reciproche in cui gli uomini vivono. Una volta che i clienti avevano definito la situazione in altro modo, una volta messa in dubbio la possibilit che queste promesse fossero adempiute, le conseguenze di questa definizione irreale furono anche troppo reali" (1957, p. 679). In quarto luogo, vi una vulnerabilit dovuta ad una difficile definizione del rischio dovuto alla opacit degli antagonisti di un sistema. Una macchina fatta di interconnessioni tra Stato e mercato, caratterizzata dalla diffusione di funzioni pubbliche, non spesso in grado di identificare l'antagonista con i criteri con i quali lo identificava lo Stato europeo dell'800. Sia ben chiaro che le nuove vulnerabilit dei sistemi contemporanei non sostituiscono le vulnerabilit classiche dello Stato. Esse consistevano nel difetto di legittimazione, cio nell'assenza di un grado di consenso verso i governanti tale da minimizzare una eventuale lesione, nonch dal deficit protettivo e di intelligence, cio dalla debole presenza di un apparato di contrasto e dalla insufficienza di un sistema conoscitivo adeguato alla comprensione dei rischi. 4. La societ moderna insomma un aggregato che vede moltiplicate le occasioni di ricevere lesioni. Alla vulnerabilit classica unisce infatti nuove vulnerabilit derivate dal sistema moderno delle relazioni, delle interconnessioni, della trasmissione dell'informazione e dell'opinione. Cambia nella societ moderna il "rischio" per l'aggregato politico-sociale. Nello Stato moderno il rischio era riducibile alla coppia guerra-rivoluzione, con le variabili e le correlate figure attenuate. Nello Stato contemporaneo il corpo politico-sociale pu venire ferito in una vastissima pluralit di metodi non riducibili n allo schema bellico n a quello rivoluzionario. Cambiano, in modo correlato, anche le metodiche di identificazione del rischio. Lo Stato moderno poteva orientare le proprie risorse a ben delimitati settori di pericolo. Nei sistemi contemporanei viceversa ogni area del sociale, dell'economico, del politico portatrice di rischi. Come ottimizzare, nel mondo contemporaneo, gli interventi orientati alla prevenzione del rischio per la sicurezza? Occorre, preliminarmente, riflettere sui modelli di interpretazione e di conoscenza del rischio elaborati dalle moderne scienze sociali. In linea di massima abbiamo due modelli di approccio al rischio. Il primo la risk analysis, che oggettivizza il rischio e lo rende passibile di una analisi ricollegabile a quella "dei costi e dei benefici" tipica della scienza economica. La risk analysis affonda le sue radici "nel concetto di utilit della economia politica classica" (Marinelli, 1993). Tale analisi "si sostiene sulla pretesa di derivare delle asserzioni che prescrivono la realt oggettiva (analitico-probabilistica) dei fenomeni, prescrizioni su ci che necessario fare - su ci che razionale dal punto di vista della particolare condizione decisionale" (Marinelli 1993, p. 72). Il secondo modello rappresentato dalla cultural theory of risk perception. Questa non pone l'accento sulla obiettivit naturalistica del rischio bens anche sulla cultura e sugli atteggiamenti di coloro (siano istituzioni, siano i cittadini) che percepiscono il rischio. "Nella percezione del rischio - scrivono Douglas e Wildavsky - gli esseri umani agiscono non tanto come individui isolati, ma come esseri sociali, che hanno interiorizzato pressioni sociali e che hanno delegato i processi di decision making alle istituzioni" (1982, p. 80). L'approccio della cultural theory significativamente diverso da quello della risk analysis. Nel secondo modello di analisi si parte da un dato (essere) per ricavarne una prescrizione (dover essere). Nel primo caso ci si muove soprattutto nella dimensione del dover essere. Il rimedio al rischio non correlato ad un essere (ad un rischio oggettivo) bens ad un sistema di dover essere, alla "percezione di tutto ci che considerato come socialmente accettabile nella situazione data" (Marinelli, 1993, p. 73). La risk analysis pu apparire come uno strumento adeguato a fronteggiare i rischi in una condizione nella quale essi siano di numero limitato e localizzabili in modo certo. L'analisi culturale del rischio appare sicuramente pi adeguata alla comprensione del rischio nei modelli sociali complessi caratterizzati da numerosissime interconnessioni (che rendono difficilmente prevedibile il luogo del pericolo) e da un sistema di informazioni globali portatore a sua volta di concreti effetti sociali. Le societ complesse dovrebbero investire una quantit illimitata di risorse alla conoscenza del rischio condotta con il criterio ingegneristico dell'analisi costi/benefici. L'osservazione e la predisposizione di misure preventive dovrebbe riguardare - a tappeto - tutte le congiunture sociali dalle quali potrebbe enuclearsi una minaccia per la sicurezza della compagine sociale o dello Stato.

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  • I criteri indicati dall'analisi culturale del rischio propongono, viceversa, di enucleare innanzi tutto i luoghi considerati portatori di rischio da una determinata cultura sociale e di orientare al monitoraggio dei medesimi le risorse conoscitive (o di intelligence) del sistema. La cultural analysis consente quindi di razionalizzare gli investimenti conoscitivi e di fornire risposte adeguate ai bisogni di un pubblico che, nel sistema comunicativo globale, il primo oggetto della lesione. Un lavoro di intelligence, condotto con i criteri della metodica prassi dello studio del rischio, non pu limitarsi a segnalare o ad ipotizzare le lesioni possibili ma deve preliminarmente riuscire ad enucleare gli ambiti del contesto sociale che la cultura sociale vuole intangibile e comunque protetti. L'attivit di intelligence si divide quindi in due. Innanzi tutto in un lavoro di analisi e valutazione delle zone della societ nelle quali una lesione avrebbe effetti di destabilizzazione. In secondo luogo una analisi delle potenzialit e della consistenza della entit che potrebbe produrre la aggressione. L'analisi culturale del rischio suggerisce anche una nuova dimensione della sicurezza. Le societ complesse, tecnologicamente avanzate e caratterizzate da una infinit di interconnessioni, non consentono il raggiungimento di una condizione di piena e assoluta sicurezza. Le trasformazioni sociali e tecnologiche rendono progressivamente aleatoria la vita sociale. La collettivit stessa, nelle societ complesse, per alcuni versi preparata al rischio e disponibile al rischio. Essa per richiede alle istituzioni ed al decision maker che l'evento lesivo sia per lo meno circoscritto e sia stato previsto con la predisposizione di un sistema di prevenzione anche se non assoluto per lo meno adeguato. 5. La cibernetica di secondo ordine (cfr. Marinelli 1993, p. 121 e ss.) suggerisce una distinzione utile alla comprensione della attivit dell'entit produttrice di una possibile minaccia o lesione al corpo sociale e allo Stato. Si tratta della distinzione tra trivial machine e non-trivial machine. La trivial machine la macchina banale caratterizzata da una relazione lineare tra il suo input e il suo output, una macchina quindi prevedibile e deterministica. La macchina non-banale si rifiuta viceversa di comportarsi in maniera corrispondente a come sarebbe lecito aspettarsi: in essa le relazioni input/output non sono invarianti ma sono determinate dal precedente output della macchina medesima. La distinzione qui suggerita serve a non cristallizzare l'indagine sul presupposto della razionalit della entit che produce il rischio. La macchina antagonista che agisce contro una societ ed uno Stato pu essere non-banale in molti sensi che qui di seguito vengono enumerati: a) essa pu agire al di fuori di ogni tipo di valutazione razionale (non-banale anche una macchina che si mette in moto da sola con le conseguenze pi imprevedibili); b) essa pu agire nella normalit in modo banale ma in alcuni casi muoversi con una logica "impazzita"; c) essa pu memorizzare le risposte sociali ed adeguare quindi il proprio comportamento a quello dell'entit aggredita, innovando quindi costantemente le modalit della propria espressione. La teoria della macchina non-banale serve anche a ricordare che la lesione della sicurezza pu venire anche da eventi fortuiti ed inseriti in logiche esterne al circuito rischio-sicurezza. 6. L'analisi del rischio offre alla riflessione sulla sicurezza un ulteriore motivo di meditazione. Esso relativo agli obiettivi che le istituzioni deputate alla sicurezza devono raggiungere. L'obiettivo "massimo" certo quello della prevenzione assoluta dell'evento dannoso. La complessit della societ moderna rende tale ipotesi di difficile perseguibilit. La societ degli spostamenti di massa, del divertimento di massa, delle innumerevoli relazioni impersonali un organismo difficilmente cristallizzabile e controllabile. Forme di controllo assoluto della societ sono certo progettabilli. Ma a discapito della mobilit sociale e umana e di valori considerati oggi irrinunciabili: la privacy, la libert. Oggi si assiste alla crisi di due strumenti classici di garanzia della sicurezza: il diritto e la forza. Il primo non sempre in grado di essere efficace. La seconda potrebbe garantire la sicurezza ma a costi non sostenibili da uno Stato di diritto e da una societ democratica. Vi poi un obiettivo intermedio: quello della controllabilit del rischio. La gravit della lesione alla sicurezza direttamente proporzionata alla imprevedibilit di essa. Le aspettative di sicurezza del corpo sociale non sono assolute. La cittadinanza delega alle istituzioni e al sistema delle decisioni politiche il compito di predisporre misure di prevenzione adeguate al rischio. L'evento dannoso ha sempre conseguenze devastanti e destabilizzanti. Ma la destabilizzazione sicuramente minore se esiste la certezza o la consapevolezza che il sistema difensivo di una societ stato attivo e che esso ha operato al massimo al fine

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  • della prevenzione. Nella societ moderna emerge quindi un nuovo strumento di prevenzione del rischio per la sicurezza. Esso consiste nella conoscenza. Conoscenza dell'ambiente sociale e degli snodi che la collettivit considera meritevoli della massima protezione. Conoscenza dell'entit antagonistica considerata nelle tre variabili: della machina banale, della macchina non-banale, della macchina impazzita. Bibliografia - M. Douglas, A. Wildavsky, Risk and Culture, Berkley, 1982. - N. Luhmann, Soziologische Aufklaerun, Westdeutscher Verlag 1970, trad. it. Milano, 1983. - A. Marinelli, La costruzione del rischio, Milano, 1993. - R. K. Merton, Social Theory and Social Structure, Glencoe III, 1957, trad. it. Bologna, 1959. - K. Polanyi, The Great Transformation, New York 1944, trad. it., Torino, 1974. - M. Weber, Gesammelte Aufsaetze zur Wissenschaftslehre, Tuebingen 1992, trad. it. Torino, 1958.

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  • R. Valery ROVER - Rischio sociale e sicurezza nazionale: il radicalismo islamico. Analisi della sua origine, teorizzazioni e possibili riflessi sulla sicurezza nazionale

    1. Definizioni e contenuti: l'Islam radicale e l'Islam delle origini Il 20 settembre 1955, presso il Centro di Cultura e Civilt della Fondazione Giorgio Cini nell'isola di S. Giorgio Maggiore a Venezia, ebbe luogo un incontro fra uomini di cultura di matrice occidentale sul tema "Il processo alla civilt occidentale da parte dell'Islam". Il tema era volutamente provocatorio, e l'incontro di Venezia sar il primo di una lunga serie di incontri analoghi, nel corso dei quali saranno esaminati i rapporti fra cultura e civilt islamiche e cultura e civilt occidentali. Questo incontro ha aperto formalmente un dibattito particolarmente animato, e una nuova fase di ripensamento e di produzione storica e storiografica da ambo le parti. Molti scritti e molti fatti ne sono seguiti; sul piano ideologico non si trattato sempre di un'analisi obiettiva e distaccata; anzi, spesso essa stata fin troppo passionale nei giudizi, e irruenta e violenta nelle conseguenze pratiche. E cos, nel Secondo Dopoguerra, mentre l'Islam (ri-)prendeva piena coscienza di s stesso, prendeva atto del fatto coloniale e della sua innegabile violenza, e invocava con scritti e con atti la fine di quel lungo e travagliato processo di decolonizzazione (ri-definito come "neocolonialismo), l'Occidente (ri-)prendeva a sua volta coscienza piena dell'Islam, si interrogava sulle proprie responsabilit-colpe-fardelli, e veniva proponendo etichette per designare questo nuovo fenomeno islamico, senza tuttavia interrogarsi a fondo sulla adeguatezza di queste sue definizioni ("Integrismo" - "integralismo" "Fondamentalismo" "Radicalismo" e oggi - forse la peggiore - "islamismo") e sui reali contenuti dei diversi movimenti speculativi e ideologici che cos venivano etichettati. Ma, come si detto, soltanto in epoca relativamente recente l'occidente e alcune lites islamiche, soprattutto gli establishments di quei paesi che si autodefiniscono islamici - si sono posti davanti a una seria riflessione e valutazione delle origini e delle caratteristiche di questo tipo di movimenti. Si tratta di una riflessione che stata un po' il risultato (I) del fallimento della decolonizzazione-modernizzazione; (II) della necessit di prendere atto della "opzione islamica" come la pi favorita e la pi favorevole fra quelle che si presentano per colmare un innegabile vuoto ideologico lasciato dalla disintegrazione dell'Impero Ottomano prima (nel bacino Mediterraneo) e dal fallimento di quel processo pi o meno indolore di ecolonizzazione-modernizzazione. Soltanto ripercorrendo sine ira et studio questi ultimi decenni, ricercandone le radici storico-culturali, ripensadoli e valutandoli con distacco, possibile delineare un quadro meno pessimistico e pi obiettivo. Il primo passo a una siffatta analisi rappresentato dalla puntualizzazione di una terminologia squisitamente occidentale a definizione di questi movimenti islamici pi estremisti e militanti, una terminologia che - in ultima analisi - risultata imprecisa, deviante per i contenuti che essa implica, e, cosa ancor pi grave, del tutto fuorviante per chi nella posizione di dover valutare e operare nella realt. Trovandosi a dover definire un fenomeno appartenente a un mondo poco conosciuto e che stava rapidamente guadagnando gli onori della cronaca, i mezzi di comunicazione occidentali sono ricorsi alla terminologia che essi meglio conoscevano. L'integralismo cattolico e il fondamentalismo protestante avevano alcuni punti di contatto con le teorie dell'Islam estremista e militante; e cos i loro nomi finirono con l'essere fatalmente utilizzati per designare quei movimenti speculativi e dottrinali - e le loro rispettive scelte politiche e istituzionali - che continuavano ad agitare il mondo islamico (e l'Occidente di riflesso) sotto la pressione di forze diverse. Oggi, il termine "fondamentalismo" prevale forse rispetto a quello di "integralismo"/"integrismo"; ci tuttavia non riflette la sua maggiore aderenza alla realt cui viene abbinato, e va addebitato molto pi semplicemente alla preponderanza della lingua inglese nel settore delle comunicazioni. Gli specialisti sono fortemente contrari a entrambi i termini, i quali - nei loro contenuti specifici - risultano difficilmente esportabili dal contesto storico-culturale che li ha visti nascere a un contesto storico-culturale cos profondamente diverso(1). La mancata storicizzazione delle sacre Scritture che caratterizza il fondamentalismo protestante, e il carattere totalizzante dell'integralismo cattolico non hanno assolutamente

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  • corrispondenza n con le posizioni dell'Islam ufficiale n con le posizioni dottrinali dell'Islam "radicale". Quanto infatti viene messo in discussione da questi movimenti islamici - con il ritorno alle "origini" e alle "radici" dell'Islam - la possibilit che il religioso guidi e determini direttamente tutta la vita della societ, in tutti i suoi aspetti: politico, economico, sociale (2). Maggiore successo pare invece avere incontrato in Occidente il termine di "radicalismo". Esso appare abbastanza diffuso, anche fra gli specialisti; comodo da usare, e appropriato quando designa il ripensamento che questi movimenti fanno dell'Islam: un ritorno alle "radici", rilette, ristudiate e riscoperte nella loro purezza e forza primitiva, nell'autentico e genuino messaggio del Profeta, scevro da tutte quelle interpretazioni e sovrastrutture, spesso devianti, accumulatesi nel corso dei secoli o per ignoranza o per malafede dei governanti e dei loro consiglieri. Nello studio che segue ci si atterr a questa definizione per designare quei movimenti islamici che danno una interpretazione rigidamente teocratica e conservatrice dell'Islam e dei suoi modelli-valori-princpi politico-sociali-economici. Si tratta di una digressione terminologica che non va affatto sottovalutata; non un pezzo di virtuosismo fisiologico o lessicale. Essa intende porre l'accento su alcuni punti cruciali di un dibattito che sta coinvolgendo anche il mondo islamico, lacerandolo al suo interno in una pluralit di posizioni ideologico-speculative. infatti significativo - in questo contesto - il fatto che gli esponenti del radicalismo islamico abbiano adottato il nome di al-islamiyyn (*) (letteralmente: "gli islamici", tradotto dalla maggior parte della cultura e pubblicistica francese come "les islamistes" o "les islamisants") al posto del molto pi comune al-muslimm (letteralmente: "i musulmani"); ci sta a indicare e sottolineare l'importanza che essi attribuiscono all'aspetto istituzionale della religione. E qui opportuna un'ulteriore precisazione: si pu a ragione parlare di crisi all'interno dell'Islam; non per affatto appropriato configurare questa crisi come una crisi di fede. Non sono i princpi del credo n i precetti del culto (ossia la shari'ah, la Legge religiosa islamica) a essere messi in discussione; non l'esistenza di Dio n la sua unicit ed essenza metafisica ed etica a essere messi in dubbio. la religione intesa come sistema di vita, nella sua onnicomprensivit, che viene rimessa in discussione perch deve ritrovare la giusta dimensione, deve riconquistare quegli spazi che indubbiamente il processo di decolonizzazione e modernizzazione le ha tolto a tutto vantaggio di un modello di vita e societ ispirato a modelli occidentali. E la critica che il radicalismo islamico muove al modello di vita occidentale coinvolge con la stessa prepotenza e violenza sia il modello pluralistico-capitalista sia quello socialista-totalitario esportato a suo tempo dall'URSS. l'Islam che deve ritrovare la "sua" forza e la "sua" vitalit, una propria identit "culturale" da opporre all'Occidente e a tutti i suoi modelli. Ma proprio mentre l'Occidente si affanna a trovare etichette e definizioni per questi movimenti islamici, gli stessi "islamiyyn" finiscono con rifarsi a termini occidentali per definire quanto sta accadendo al loro interno. E ci dimostra quanto i conti con la modernit (e con l'Occidente) siano tutt'altro che chiusi. Anzi! Gli ultimi venti/trenta anni circa sembrano scandire un atto particolarmente drammatico - spesso violento e cruento - di un lungo confronto-scontro, che vede l'Islam impegnato sia contro l'Occidente sia al suo interno per emanciparsi da ogni influsso esterno in nome di una riappropriazione della propria identit culturale, del proprio modello, quello originario e delle radici nella sua forma pi pura e pi incontaminata. Di fatto per questa lotta non riesce ad eliminare completamente alcune forme e alcuni tratti tipici di quel mondo e di quella cultura che gli "islamiyyn" dicono di volere spazzare via e che pure ha iniettato loro gli stimoli intellettuali del risveglio e le energie dell'azione. innegabile che oggi un numero sempre maggiore di musulmani portato a guardare al proprio passato - o a quanto sentito come tale - per potere fare una critica e un'analisi dei propri problemi e dei mali attuali, e, quindi, per potere pianificare un futuro "ideale" e migliore. Il problema sociale ed economico ha acquistato una centralit senza precedenti. Il politico ha recuperato dimensioni globali. Ma anche innegabile che il passato cui questo mondo islamico si rif pur sempre un passato "rivisitato", visto con gli occhi dell'oggi e col sapere delle scienze dell'Occidente, forgiato con gli strumenti che la tecnologia dell'Occidente pu mettere a disposizione. Nei circoli radicali dell'Egitto, dell'Iran, del Sudan e di altri paesi sta attualmente imponendosi un linguaggio nuovo, un "linguaggio politico islamico" che - a ben guardare - per fortemente in debito con l'occidentalizzazione (non meno che con l'Islam profetico e delle origini) non solo nei termini e nelle definizioni ma anche nei contenuti (3). un processo che affonda le sue radici nella stessa Rivoluzione Francese e che non certamente ancora terminato. una nuova fase di quel

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  • "riformismo" islamico, che ha dato vita, nel primo dopoguerra, ai primi due grandi movimenti radicali: la Jam'at-i Islm di Mawdd e la Associazione dei Fratelli Musulmani di el-Bann'.

    2. Le radici storico-culturali del radicalismo islamico: il "risveglio" islamico e gli stimoli dell'Occidente Proprio nel secolo XIX matureranno nuove ideologie e correnti culturali che agiteranno, metteranno in crisi e trasformeranno l'intero sistema politico, istituzionale e sociale dell'Europa e di tutte quelle popolazioni con cui il Vecchio Mondo intratterr rapporti di varia natura: coloniali, commerciali e, lungo queste stesse vie, anche culturali. L'area Ottomana e quella islamica asiatica non saranno immuni n esenti da questi stimoli. E se da un lato il Grande Malato diventer sempre pi passivo oggetto di ambizioni e di interessi politici e strategici da parte dell'Europa fino alla sua disintegrazione; dall'altro lato, l'Europa - entrando culturalmente nel territorio del Turco - innescher quei meccanismi che metteranno in moto un processo irreversibile e non ancora compiuto: la riconquista della propria identit culturale da parte di quelle popolazioni locali ricche di tradizioni loro e di una storia loro fatta di glorie passate e passati splendori, civilt gi fiorenti e speculativamente brillanti, che il dominio del turco aveva emarginato in una situazione di insterilimento e stasi intellettuale e politica. Cosicch, sar proprio da questa Europa "barbara e infedele" che gli Arabi per primi - ma non soltanto loro - riceveranno quegli stimoli intellettuali che ne determineranno la rinascita culturale e politica. A partire dalla fine del secolo XVIII saranno infatti proprio le esperienze culturali europee a dare il primo impulso ad acquistare (o ri-acquistare) coscienza della propria identit. Della Rivoluzione Francese si pu dire brevemente che essa rappresent una rottura con il passato, mobilit uomini e cre "nazioni"; diede il potere a una nuova classe sociale, la borghesia; consegn al mondo di allora nuovi modelli ideologici e - al tempo stesso - politici e istituzionali, i quali rispondevano alle insopprimibili esigenze del mondo contemporaneo. "Libert" "Eguaglianza" e "Fratellanza" si tradussero in modelli politici, quali monarchia costituzionale, repubblica democratica radicale, repubblica moderata borghese, bonapartismo. Furono proposte nuove alternative politiche e sociali: il potere non era pi monopolio della sola classe aristocratica, bens, per la prima volta, esso entrava di fatto nelle mani di una nuova classe sociale: la borghesia delle professioni, la borghesia del capitale e dell'industria. E questa rivoluzione sar esportata dalla Francia, o meglio dalla borghesia francese, sulla punta delle baionette, e sar destinata ad acquistare significato e rilevanza internazionali. Non ne furono immuni neppure gli intellettuali e gli esponenti di una fragile borghesia a base prevalentemente urbana e mercantile medio-asiatica. Il Romanticismo, dal canto suo, definendo i suoi caratteri nello sforzo del superamento del mondo culturale e concettuale illuministico, metter in primo piano i valori del "sentimento", della "individualit" e, in genere, della tradizione storica considerata come rivelazione di disegni provvidenziali e divini: un patrimonio concettuale che, per canali diversi, penetrer anche nel mondo islamico e innescher una serie di meccanismi che troveranno terreno particolarmente fertile nella concezione statuale teocratica dell'Islam. In campo politico, il romanticismo si tradurr anche in rivendicazione dei diritti degli individui e delle "nazioni" alla libert di pensiero e di coscienza, in ribellione contro ogni forma di oppressione, di autocrazia, e di conservatorismo in nome del diritto delle nazionalit alla libert. In altri termini, il movimento romantico costitu la grande forza culturale che immetter nel mondo moderno l'idea di "nazione" e di "nazionalit", destinata a scuotere alle fondamenta i grandi imperi multinazionali dell'epoca, incluso l'Impero Ottomano e gli imperi coloniali dell'Occidente europeo. Nei circoli intellettuali di tutto il medio-asiatico prender vita un dibattito particolarmente vivace intorno a questo nuovo concetto di "nazione", e se questa "nazione" debba essere una e universale per tutto il mondo islamico (il concetto dottrinale della "Ummah" delle origini dell'Islam), ovverosia se debba condurre alla ricostituzione della unitariet della Comunit originaria, oppure se sia possibile conciliare l'unit e l'universalit (ideale) della nazione islamica con le particolarit culturali pur esistenti nel suo seno e con le frontiere/confini esistenti. Si tratta di un dibattito ancora aperto, e oggi particolarmente vivace nei circoli radicali, che continua a contrapporre particolarismi e individualismi a teorizzazioni di stampo "romantico", tendenze "secolari" e comunque ispirate a pragmatismo a interpretazioni dottrinali radicali e militanti (4). Gli insegnamenti positivistici completeranno la rivoluzione sociale e politica iniziata dalla rivoluzione francese; rappresenteranno una rottura radicale con il passato e regaleranno - anche nel mondo islamico -

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  • quelle concezioni organicistiche della societ, che, rigenerate attraverso una lettura ed esegesi erudita del Corano, saranno alla base di molti "socialismi islamici" degli anni '50-'60. Ed infine, l'analisi dei mali legati alla nuova concezione sociale nata con lo sviluppo capitalistico in Europa, agli inizi del secolo XIX condurr alla nascita di nuove dottrine promotrici della fondazione di un nuovo ordine sociale attraverso una radicale trasformazione della vita umana: si tratta delle dottrine socialistiche, che cominceranno a circolare nell'Europa dei primi decenni del secolo XIX, e del marxismo. Le prime, portatrici di temi nuovi sociali, troveranno ampia diffusione in tutto il mondo islamico. La nuova concezione della storia espressa dal marxismo trover viceversa scarso seguito nel mondo islamico per la sua inconciliabilit con i princpi-base dell'Islam stesso, rigida teocrazia e negatore di ogni lotta di classe. Per di pi, la quasi inesistente industrializzazione ne limiter la diffusione a pochi elementi della intellighentia cittadina fortemente occidentalizzati anche culturalmente (5). E cos, arricchendosi di nuovi stimoli intellettuali e nuove aspirazioni politico-sociali ed economiche, di nuovi ideali fatti di "nazione", libert, democrazia, il mondo islamico avvi la sua "rinascita", e cominci a organizzarsi al suo interno. Per quanto riguarda obiettivi e strategie, questi primi movimenti si diedero perlopi contenuti culturali, di scoperta dell'Occidente e della sua indubbia superiorit tecnologica, e di rivisitazione delle proprie radici e tradizioni. Solo in un secondo momento le aspirazioni si tingeranno di connotazioni squisitamente politiche, e "autonomia" e "indipendenza" diverranno le tematiche dominanti. In questa prima fase, fermenti riformisti in senso liberal-costituzionale continueranno a prevalere. Per cui si pu dire che il secolo XIX - perlopi - il secolo del "risveglio" nazionale islamico, il secolo in cui l'Islam (ri-)prende coscienza di s stesso e della sua identit culturale - sia pur sempre a livello strettamente elitario - una identit culturale che si pone come momento di incontro-confronto con l'Occidente e le "sue" esperienze culturali. Ma non va dimenticato che il secolo XIX anche il secolo in cui sorsero e divamparono i vari "panismi": pangermanesimo, panslavismo, panturanesimo ecc. Essi infiammarono l'Europa sovvertendone e ricostruendone l'assetto territoriale e statual-nazionale. Anche il mondo islamico assapor questa ondata ideologica - di importazione squisitamente europea - la quale sub una rielaborazione squisitamente locale: si costituiscono un po' ovunque, diffondendosi con stupefacente veemenza, il pan-arabismo, il pan-turchismo, il pan-islamismo ecc. Saranno pi che altro movimenti ideologici, senza confini, spesso in aspro conflitto fra di loro. Ma - quanto qui preme sottolineare - tratto comune sar sempre l'aspro conflitto con l'Occidente che, per questi "fedeli", divenne sinonimo di "infedele", un Occidente "corrotto" e "corruttore", "autocratico" "oppressore" e "negatore di ogni libert", con il quale non vi pu essere - anzi, non vi deve essere - n intesa n dialogo (6). Si tratta di etichette che perdurano ancora oggi nel vocabolario di tutti i circoli e i movimenti estremisti islamici. E cos, al liberal-riformismo delle lites occidentalizzate - dai contenuti ancora molto generali e vaghi nei programmi e strategie - si oppose gi alla fine del secolo scorso questo nuovo riformismo che porta con s sia il peso e la suggestione della tradizione religiosa sia l'appoggio delle masse di milioni di affamati, umiliati e diseredati di tutta l'ecumene islamica. Sono le radici storico-culturali dell'estremismo religioso del secolo XX e dei suoi gruppi militanti.

    3. Il primo dopoguerra: il grande tradimento dell'Occidente e la rifondazione dello Stato su basi islamiche Sar soltanto la Prima Guerra Mondiale a rendere attuali le aspirazioni all'indipendenza. In particolare per il Vicino e Medio Oriente, sar proprio la Gran Bretagna a dar corpo alle aspirazioni degli Arabi soprattutto, fornendo loro armi, istruttori e mezzi come strumento di offesa all'Impero Ottomano alleato con le Potenze Centrali. Ne segu una serie di azioni militari, politiche e di propaganda, le quali fomenteranno il sentimento "nazionale" arabo e troveranno suggello negli accordi conclusi fra Sir McMahon, Alto Commissario di Sua Maest Britannica al Cairo, e lo Sharif della Mecca, Husein dei Ban Hshim, nel periodo luglio 1915 - marzo 1916. il primo riconoscimento ufficiale della esistenza di una Nazione Araba e del suo pieno diritto "a vivere, conseguire l'indipendenza assoluta e afferrare le redini della propria amministrazione": la grande rivolta del deserto! (7) Poi, il grande tradimento dell'Europa! L'Impero Ottomano - il Grande Malato - si sfascer definitivamente; dalle sue ceneri nascer il moderno stato turco kemalista; ma invece del promesso grande stato arabo -

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  • abbracciante tutti i popoli di lingua araba - si ebbero i Mandati, nuova ambigua figura giuridica internazionale, attraverso la quale le nuove realt statuali medio-orientali create a tavolino (e col righello) dalla diplomazia europea si sarebbero avviate gradualmente all'indipendenza. A questo punto si impongono alcune riflessioni: questo "grande tradimento", che oggi continua ad alimentare l'ideologico di quasi tutti i movimenti radicali islamici, fu realmente un grande tradimento dell'Europa? Oppure lo svolgersi degli eventi fu variamente interpretato e utilizzato da una storiografia di parte (e dagli uomini di cui essa fu espressione) fino a fornire quel lessico - simbolo di lotta e violenza - anti-occidentali? Certamente, la creazione di un grande, unico Stato Arabo era un'utopia, era stato il sogno di pochi idealisti Arabi (musulmani e non) e non Arabi. Certamente non fu mai una intenzione reale n da parte della stessa Gran Bretagna n da parte delle Cancellerie Europee (8). Non meno certamente, questo grande, unico Stato Arabo non fu mai una intenzione reale neppure da parte degli stessi Arabi, pi che mai divisi e dilaniati al loro interno da individualismi e interessi particolaristici (9). Comunque sia, fu sui particolarismi e sulle divisioni inter-arabe e inter-islamiche che l'Europa gioc ancora una volta per avere le mani libere e meglio tutelare i propri interessi nazionali. In realt, i Mandati non fecero che cristallizzare la presenza europea nel bacino Mediterraneo sudorientale, secondo quelle linee politico-culturali gi prefiguratesi nel secolo XIX e ribadite dagli accordi del Primo Conflitto Mondiale - con l'unica eccezione della Russia, uscita di scena con la Rivoluzione d'Ottobre. Comunque sia, se l'Europa gioc con estrema spregiudicatezza (e poca lungimiranza) le proprie carte, vero che anche gli Arabi non furono da meno. Non furono da meno gli Al-S'ud, che nel 1925 riuscirono a proclamare la propria sovranit su quello che divenne l'Arabia Saudita; non fu da meno lo Sharif della Mecca, il quale - cacciato dal Hijaz - rientr trionfalmente sulla scena islamica con ben due regni: quelli dei neonati stati di Transgiordania (che and ad 'Abdallh, figlio di Husein) e di 'Irak (che and a un altro figlio dello Sharif, Faisal). La Siria e il Libano furono Mandati Francesi e, su modello della potenza mandataria, scelsero come loro status istituzionale la repubblica costituzionale. L'Irak, sottoposto a Mandato Britannico, fu eretto a regno costituzionale. La Palestina - altro Mandato Britannico - si rivel ben presto uno dei nodi pi difficili di tutto il Medio Oriente: il mandato britannico si ritrov ben presto di fronte alla inconciliabilit fra le aspettative nazionali arabe e la costituzione di quel "focolare" (home) ebraico (Dichiarazione di Balfour del 1917), tendente a identificarsi nel giro di brevissimo tempo in uno stato ebraico indipendente: scoppia il problema del Sionismo! Per il controllo strategico di questa tormentata regione, la Gran Bretagna organizz separatamente il territorio transgiordanico, creando l'emirato satellite di Transgiordania - la futura Giordania - altro neo-stato, eretto a regno costituzionale su modello inglese. L'Egitto rest protettorato inglese fino al 1922; dopo di che seguiranno anni tormentati di monarchia costituzionale e tormentatissima vita parlamentare. La Francia vide riconosciuti i suoi "diritti" sul Maghreb: Tunisia e Marocco furono confermati come protettorato francese, mentre l'Algeria conservava il suo status privilegiato di territorio metropolitano. Mosca, proclamata l'Unione Sovietica nel 1922, passava a riconquistare con ferrea determinazione i propri territori asiatici. La pace mondiale dell'Europa consentiva il proseguimento di un ordine "coloniale" anche al di l del bacino Mediterraneo, nelle regioni dell'Asia meridionale e orientale, e nell'Africa sub-sahariana. Dalle ceneri dell'impero degli Ottomani, il genio politico e militare di Kemal Atatrk diede corpo al moderno stato turco della Penisola Anatolica, l'unica realt statuale compattamente (o quasi) nazionale turca, con istituzioni secolari su modello europeo, sorrette da una base militare, che di queste istituzioni sar tutore e garante nel rinnovarsi di una tradizionale continuit culturale. Le paci della Prima Guerra Mondiale imposero pertanto all'ecumene islamica un "ordine europeo". Dalle ceneri dell'Impero Ottomano, nel bacino Mediterraneo nacquero i moderno stati arabi, entit statuali decise a tavolino dalle Grandi Potenze vittoriose, entit forgiate su modelli statual-istituzionali europei grazie alla collaborazione di leaderships occidentalizzate, comunque legate all'Occidente da interessi ben precisi. Nacque cos un nuovo mondo, gravido di problemi irrisolti, di delusioni politiche e sociali, scosso da una ventata di rivendicazioni culturali. I 14 punti di Wilson, che avevano proclamato princpi come il diritto dei popoli alla autodeterminazione, e i socialismi, che agitavano appassionatamente temi di giustizia sociale, alimentarono l'irrequietezza degli "esclusi". L'inferiorit e la dipendenza tecnologica (soprattutto militare) dalla Europa non poterono che far s che questo nuovo ordine politico-territoriale continuasse a guardare

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  • all'Europa per la sua stessa sopravvivenza; ma la consapevolezza culturale cui questa Europa aveva avviatole popolazioni locali maturer i suoi frutti. L'obiettivo non pi quello della autonomia garantita da unalegge costituzionale; l'obiettivo diviene adesso quello della completa indipendenza. Movimenti a contenuto "nazionalistico" e "rivoluzionario" prenderanno piede in un po' tutta l'ecumeneislamica, mentre 'ulem, fuqah, qad e intellighentia si adopereranno per dare alla lotta politica una baseanche ideologica, che potesse coinvolgere e mobilitare la grande massa della popolazione - ancoralargamente analfabeta e relegata a miserabili condizioni di vita. Il simbolo di questa lotta diventa il Sionismo. E se l'obiettivo sar la rifondazione di queste nuove entitstatuali indipendenti su base islamica,