Glottologia 1

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1 Anno accademico 2015-2016 Glottologia (triennale c.d.l.Lingue e Letterature straniere, A-L) (60 ore, 9 CFU) Introduzione alle scienze del linguaggio prof.ssa Laura Biondi ([email protected]) Unità didattica A: (20 ore) Istituzioni di linguistica teorica. Elementi di fonetica e di fonologia. Unità didattica B: (20 ore) Fondamenti di morfologia, sintassi e semantica. Unità didattica C: (20 ore) Il mutamento linguistico. L’approccio tipologico allo studio delle lingue. Il corso di Glottologia si propone di fornire una formazione di base in linguistica ed è propedeutico sia ad ulteriori approfondimenti nel settore delle scienze del linguaggio, sia alla riflessione sulle strutture delle singole lingue storico-naturali. In questa prospettiva, il corso è prettamente istituzionale ed è costituito da tre unità didattiche indivisibili. Il programma è così articolato: - G. Berruto - M. Cerruti, La linguistica. Un corso introduttivo, Novara, UTET Università, 2011. - G. Soravia, Le lingue del mondo, Bologna, il Mulino, 2014. - E. Banfi - N. Grandi, Lingue d’Europa. Elementi di storia e di tipologia linguistica, Roma, Carocci, 2003. - R. Lazzeroni (a cura di), Linguistica storica, Roma, Carocci, 2002, capp. I (R. Lazzeroni, Il mutamento linguistico) e III (R. Gusmani, Interlinguistica). - R. H. Robins, La linguistica moderna, Bologna, il Mulino, 2005. - materiali predisposti dal docente. Al programma per frequentanti, gli studenti che per seri e documentati motivi scelgono di non frequentare le lezioni dovranno aggiungere la lettura integrale del volume: A. Nocentini, L’Europa linguistica: profilo storico e tipologico, Firenze, Le Monnier, 2002. Orario di ricevimento: I semestre: martedì h. 10.30-12.30, 14.30-15.30, c/o Dipartimento di Studi Letterari, Filologici e Linguistici - ‘Glottologia e Orientalistica’ (I piano), v. Festa del Perdono, 7. ________________________________________________________________________________ MODALITÀ DELLA PROVA D’ESAME scritto + orale: “L’esame di Glottologia consiste in una prova scritta non obbligatoria, da effettuarsi entro la fine del corso, e in una prova orale obbligatoria, entrambe valutate in trentesimi. La prova scritta è volta a verificare le nozioni offerte nell’unità didattica A e comprende anche una prova di trascrizione IPA. La prova orale consisterà nella verifica delle conoscenze relative agli argomenti delle unità didattiche B e C del corso e, per i frequentanti, anche dei contenuti, dei materiali di lavoro e degli approfondimenti proposti nelle lezioni. Il voto dell’esame sarà comunque unico e, per chi sostenga sia la prova scritta sia quella orale, esso terrà conto della votazione riportata in ciascuna di queste. Eventuali informazioni aggiuntive sulle modalità di valutazione saranno illustrate durante il corso e in occasione del ricevimento studenti”.

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Anno accademico 2015-2016

Glottologia

(triennale c.d.l.Lingue e Letterature straniere, A-L)

(60 ore, 9 CFU)

Introduzione alle scienze del linguaggio

prof.ssa Laura Biondi ([email protected])

Unità didattica A: (20 ore) Istituzioni di linguistica teorica. Elementi di fonetica e di fonologia.

Unità didattica B: (20 ore) Fondamenti di morfologia, sintassi e semantica.

Unità didattica C: (20 ore) Il mutamento linguistico. L’approccio tipologico allo studio delle lingue.

Il corso di Glottologia si propone di fornire una formazione di base in linguistica ed è propedeutico sia ad

ulteriori approfondimenti nel settore delle scienze del linguaggio, sia alla riflessione sulle strutture delle

singole lingue storico-naturali. In questa prospettiva, il corso è prettamente istituzionale ed è costituito da tre

unità didattiche indivisibili.

Il programma è così articolato:

- G. Berruto - M. Cerruti, La linguistica. Un corso introduttivo, Novara, UTET Università, 2011.

- G. Soravia, Le lingue del mondo, Bologna, il Mulino, 2014.

- E. Banfi - N. Grandi, Lingue d’Europa. Elementi di storia e di tipologia linguistica, Roma, Carocci, 2003. - R. Lazzeroni (a cura di), Linguistica storica, Roma, Carocci, 2002, capp. I (R. Lazzeroni, Il mutamento

linguistico) e III (R. Gusmani, Interlinguistica).

- R. H. Robins, La linguistica moderna, Bologna, il Mulino, 2005.

- materiali predisposti dal docente.

Al programma per frequentanti, gli studenti che per seri e documentati motivi scelgono di non frequentare le

lezioni dovranno aggiungere la lettura integrale del volume:

A. Nocentini, L’Europa linguistica: profilo storico e tipologico, Firenze, Le Monnier, 2002.

Orario di ricevimento:

I semestre: martedì h. 10.30-12.30, 14.30-15.30, c/o Dipartimento di Studi Letterari, Filologici e Linguistici -

‘Glottologia e Orientalistica’ (I piano), v. Festa del Perdono, 7.

________________________________________________________________________________

MODALITÀ DELLA PROVA D’ESAME

scritto + orale: “L’esame di Glottologia consiste in una prova scritta non obbligatoria, da effettuarsi entro la

fine del corso, e in una prova orale obbligatoria, entrambe valutate in trentesimi. La prova scritta è volta a

verificare le nozioni offerte nell’unità didattica A e comprende anche una prova di trascrizione IPA. La prova

orale consisterà nella verifica delle conoscenze relative agli argomenti delle unità didattiche B e C del corso

e, per i frequentanti, anche dei contenuti, dei materiali di lavoro e degli approfondimenti proposti nelle

lezioni. Il voto dell’esame sarà comunque unico e, per chi sostenga sia la prova scritta sia quella orale, esso

terrà conto della votazione riportata in ciascuna di queste. Eventuali informazioni aggiuntive sulle modalità

di valutazione saranno illustrate durante il corso e in occasione del ricevimento studenti”.

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I materiali qui proposti sono stati concepiti come ausilio e sussidio didattico alla

preparazione dell’esame di Glottologia (A-L) per gli studenti del corso triennale di

Lingue e Letterature straniere della Facoltà di Studi Umanistici. Questi materiali hanno

carattere sintetico e offrono unicamente puntualizzazioni relative ad alcuni dei temi

affrontati durante le lezioni; pertanto, essi non sostituiscono i contenuti presenti nei testi

indicati nel programma per l’a.a. 2015-2016. Si diffida chiunque a farne un uso diverso

da quello indicato.

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LINGUAGGIO, SEGNO, CODICE

Linguaggio: ogni meccanismo atto a comunicare, a trasmettere informazioni.

Segno: entità che fa da supporto ad ogni forma di comunicazione. Per propria

natura, il segno è biplanare; è costituito infatti dall’associazione indissolubile tra

il piano dell’espressione (o significante, signifiant), percepibile ai sensi, e il piano

del contenuto (o significato, signifié), di per sé non esprimibile perché astratto,

mentale, non percepibile tramite i sensi.

I segni possono essere classificati in base ad un criterio di motivatezza, che valuta

il rapporto esistente tra i due piani che li costituiscono, e in base al criterio

dell’intenzionalità che accompagna il loro utilizzo.

Codice: è un sistema di segni, che contempla le regole di corrispondenza fra unità

del piano del contenuto e unità del piano dell’espressione; è un insieme di

potenzialità ed è astratto, è fissato per convenzione ed è regolato dalla comunità

che lo condivide e ne fa uso. Tutti i linguaggi, in quanto sistemi di

comunicazione, dal linguaggio della matematica alla danza delle api da miele

europee, fino alle lingue verbali umane, sono codici.

Classificazione dei segni

Secondo la formulazione del filosofo statunitense Charles Saunders Peirce

(1839-1914) i segni sono classificabili nei seguenti tipi:

.Icona (o segno iconico): segno intenzionale in cui il rapporto tra espressione e

contenuto è motivato da somiglianze di forma o di struttura e, perciò, è

immediatamente interpretabile (foto, carte geografiche, diagrammi ecc.);

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.Indice (o segno indessicale o sintomo): segno non intenzionale in cui il rapporto

tra espressione e contenuto è di contiguità materiale, fattuale, del tipo causa o

condizione scatenante > effetto (lo starnuto involontario come indice di

raffreddore; la traccia lasciata sul terreno da un animale come indice del suo

passaggio);

.Segnale: il rapporto tra espressione e contenuto è il medesimo che si osserva in

un indice, ma si caratterizza per l’intenzionalità (il segnale di fumo prodotto

volutamente da un emittente);

.Simbolo: segno intenzionale e motivato su base culturale (la colomba o l’ulivo

come simboli della pace, colori, gesti legati a specifiche consuetudini sociali e

culturali);

.Segno in senso stretto: segno intenzionale in cui il rapporto tra espressione e

contenuto è massimamente arbitrario, non motivato (i segni delle lingue verbali).

Che cosa è una lingua storico-naturale

- Livelli di analisi: ogni lingua storico-naturale è un sistema complesso, articolato

su più livelli, gerarchicamente e sistematicamente ordinati; come è naturale,

esistono numerosi fenomeni di interfaccia tra i diversi livelli. In ogni caso,

possiamo utilmente affidarci alla seguente partizione:

.livello dei suoni (fonetica e fonologia: studiano i suoni del linguaggio e le loro

combinazioni, nonché i rapporti che i suoni hanno tra loro nei sistemi fonologici delle

diverse lingue),

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.livello delle parole (morfologia: studia le parole, il modo in cui sono strutturate e il

loro modificarsi in rapporto all’espressione di specifici valori funzionali),

.livello delle frasi (sintassi: studia la struttura delle frasi e gli schemi di collegamento

tra parole e sintagmi),

.livello dei significati (semantica: studia il significato e i rapporti di designazione).

- Per ogni livello arbitrariamente individuato esistono unità minime, non

ulteriormente scomponibili: fono/fonema, morfema, sintagma, lessema.

- Gerarchia dei livelli: ogni livello è formato dagli elementi del livello inferiore e,

con le proprie unità, costituisce il livello superiore; ciò grazie ai principî della

economicità e della combinatorietà delle unità linguistiche.

La lingua è un codice che organizza un sistema di segni dal significante primariamente

fonico-acustico, fondamentalmente arbitrari ad ogni loro livello e doppiamente

articolati, capaci di esprimere ogni esperienza esprimibile, posseduti come conoscenza

interiore che consente di produrre infinite frasi a partire da un numero finito di

elementi.

I segni delle lingue verbali e le loro caratteristiche:

A- Arbitrarietà:

Per Ferdinand de Saussure (1857-1913), il segno linguistico è un’entità

psichica a due facce, inscindibilmente unite e in grado di richiamarsi a vicenda:

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il concetto e l’immagine acustica, che il linguista ginevrino propone di chiamare

rispettivamente ‘signifié’ e ‘signifiant’.

Ferdinand de Saussure, Corso di linguistica generale. Introduzione, traduzione e

commento di Tullio De Mauro, Bari, Laterza, 19853 (da ora in poi CLG; 1967

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per la ‘Biblioteca di Cultura Moderna’; trad. it. di Cours de linguistique générale,

éd. par Charles Bally - Albert Sechehaye, Paris - Lausanne, Payot, 19161), pp. 83-

84:

“Il segno linguistico unisce non una cosa a un nome, ma un contenuto e

un’immagine acustica. Quest’ultima non è il suono materiale, cosa puramente

fisica, ma la traccia psichica di questo suono, la rappresentazione che ci viene

data dalla testimonianza dei nostri sensi: essa è sensoriale, e se ci capita di

chiamarla ‘materiale’, ciò avviene solo in tal senso e in opposizione all’altro

termine dell’associazione, il concetto, generalmente più astratto”.

CGL, pp. 85-87 De Mauro:

“Il legame che unisce il significante al significato è arbitrario, o ancora, poiché

intendiamo con segno il totale risultante dall’associazione di un significante a un

significato, possiamo dire più semplicemente: il segno linguistico è arbitrario.

Così, l’idea di ‘sorella’ non è legata da alcun rapporto interno alla sequenza dei

suoni s-ö-r che le serve in francese da significante; potrebbe anche essere

rappresentata da una qualunque altra sequenza: lo provano le differenze tra le

lingue e l’esistenza stessa di lingue differenti: il significato ‘bue’ ha per

significante b-ö-f da un lato ed o-k-s (Ochs) dall’altro lato della frontiera …

La parola arbitrarietà richiede anche un’osservazione. Essa non deve dare l’idea

che il significante dipenda dalla libera scelta del soggetto parlante … noi

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vogliamo dire che è immotivato, vale a dire arbitrario in rapporto al significato,

col quale non ha nella realtà alcun aggancio naturale”.

A.1- Limitazioni dell’arbitrarietà:

Possono onomatopee e ideofoni (di cui fanno parte anche le esclamazioni), che

sono esempi di motivazione semantica, rappresentare una limitazione sostanziale

al riconoscimento dell’arbitrarietà come uno dei principî strutturali, costitutivi

del segno linguistico e delle lingue verbali?

CLG, p. 88 De Mauro: “le onomatopee e le esclamazioni sono d’importanza

secondaria e la loro origine simbolica è in parte contestabile”.

Più in dettaglio:

CLG, p. 87 De Mauro: “Segnaliamo … concludendo, due obiezioni che

potrebbero esser fatte alla statuizione di questo principio.

1.Ci si potrebbe basare sulle onomatopee per dire che la scelta del significante non

è sempre arbitraria. Ma esse non sono mai elementi organici di un sistema

linguistico. Il loro numero è d’altra parte assai meno grande di quanto si creda.

Delle parole come, in francese, fouet ‘frusta’ o glas ‘rintocco’ possono colpire

l’orecchio di qualcuno con una sonorità suggestiva: ma basta risalire alle loro

origini latine (fouet deriva da fāgus ‘faggio’ e glas da classicum ‘segnale di

tromba’) per vedere che non hanno carattere onomatopeico all’origine; la qualità

dei loro attuali suoni, o piuttosto la qualità che a tali suoni si attribuisce, è un

risultato fortuito dell’evoluzione fonetica.

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Quanto alle onomatopee autentiche … non soltanto sono poco numerose, ma la

loro scelta è già in qualche misura arbitraria, poiché non sono altro che

l’imitazione approssimativa e già a metà convenzionale di certi rumori … Inoltre,

una volta introdotte nella lingua, esse sono più o meno trascinate nella evoluzione

fonetica, morfologica ecc. subita dalle altre parole (cfr. il franc. pigeon ‘piccione’

dal latino volgare pīpīo, che derivava per parte sua da un’onomatopea): prova

evidente che esse hanno perduto qualche cosa del loro carattere primo per

assumere quello del segno linguistico in generale, che è immotivato.

2.Le esclamazioni, molto vicine alle onomatopee, danno luogo ad osservazioni

analoghe”.

Le lingue verbali sono dunque sistemi comunicativi totalmente arbitrari? Oppure

esse accolgono e contemplano anche una componente di motivatezza, un

principio di iconicità, che non viola peraltro quello dell’arbitrarietà radicale?

Dove risiede, allora, e in che cosa è possibile ravvisare tale componente, che

diremo ‘relativamente arbitraria’?

A.2- Arbitrarietà assoluta ed arbitrarietà relativa:

CLG, p. 158 De Mauro: “Il principio fondamentale dell’arbitrarietà del segno non

impedisce di distinguere in ciascuna lingua ciò che è radicalmente arbitrario, cioè

a dire immotivato, da ciò che lo è solo relativamente. Solo una parte dei segni è

assolutamente arbitraria; presso altri interviene un fenomeno che permette di

riconoscere dei gradi nell’arbitrarietà senza però eliminarla: il segno può essere

relativamente arbitrario”.

e prosegue facendo riferimento ad una motivatezza morfologica (ibidem):

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“Così vingt è immotivato, ma dix-neuf non lo è in egual grado, perché evoca i

termini di cui si compone e altri che gli sono associati, per esempio dix, neuf,

vingt-neuf, dix-huit … Lo stesso avviene per poirier, che richiama la parola

semplice poire ed il cui suffisso -ier fa pensare a cerisier, pommier ecc. … Il

plurale inglese ships ‘navi’ richiama per la sua formazione tutta la serie flags,

birds, books ecc., mentre men ‘uomini’, sheep ‘pecore’ non richiamano niente”.

A.3- Le solidarietà:

CLG, p. 159 De Mauro: “… la nozione del relativamente motivato implica: 1.

l’analisi del termine dato, dunque un rapporto sintagmatico; 2. il richiamo a uno o

più altri termini, dunque un rapporto associativo. … Finora le unità ci sono

apparse come valori, vale a dire come elementi di un sistema, e le abbiamo

considerate soprattutto nelle loro opposizioni; adesso riconosciamo le solidarietà

che sono d’ordine associativo e di ordine sintagmatico, e che, appunto, limitano

l’arbitrarietà. Dix-neuf è solidale associativamente con dix-huit, soixante-dix ecc.

e sintagmaticamente con i suoi elementi dix e neuf”.

A.4- Rapporti sintagmatici e rapporti associativi nell’architettura delle

lingue verbali:

A Ferdinand de Saussure dobbiamo aver individuato nelle relazioni di ordine

sintagmatico e in quelle di ordine associativo due modalità diverse in cui le unità

linguistiche entrano costantemente in rapporto e il cui operare ‘costituisce e

presiede al funzionamento’ della lingua.

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La linguistica strutturalista successiva ha recepito e applicato entrambe le

nozioni; ad esse il linguista danese Louis Hjelmslev (1899-1965), esponente

della Scuola di Copenhagen, si riallaccia parlando di rapporti sintagmatici e di

rapporti paradigmatici alla base del funzionamento del linguaggio verbale.

Peraltro, già in F. de Saussure l’uso metalinguistico di ‘paradigmatico’ era

implicito nel ricorso ai paradigmi flessionali come esempio di rapporto

associativo.

CLG, pp. 149-150 De Mauro: “Il rapporto sintagmatico è in praesentia; esso si

basa su due o più termini egualmente presenti in una serie effettiva. Al contrario

il rapporto associativo unisce dei termini in absentia in una serie mnemonica

virtuale.

Da questo duplice punto di vista, una unità linguistica è comparabile a una parte

determinata di un edificio, ad esempio una colonna; questa si trova da un canto in

un certo rapporto con l’architrave che sorregge; tale organizzazione delle due

unità egualmente presenti nello spazio fa pensare al rapporto sintagmatico; d’altra

parte, se questa colonna è d’ordine dorico, essa evoca il confronto mentale con

altri ordini (ionico, corinzio, ecc.), che sono elementi non presenti nello spazio: il

rapporto è associativo”.

Ogni unità linguistica (segnica o subsegnica) viene selezionata dal parlante

entro il repertorio virtuale, potenziale, astratto, mnemonico, ‘verticale’ di cui

fanno parte gli elementi posti sull’asse associativo (o paradigmatico, ‘in

absentia’, ‘asse delle scelte’ ↑), e viene poi disposta sull’asse sintagmatico,

concreto, ‘orizzontale’ e lineare (o ‘in praesentia’, ‘asse delle combinazioni’ →)

insieme ad altre unità dello stesso livello, altrettanto effettive, con cui si

combina.

Con un esempio saussuriano, il lat. ‘quadruplex’ manifesta una relazione

sintagmatica (→) nella propria struttura morfologica (quadru- + -plex), oltre

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che nel combinarsi sequenziale dei singoli foni che ne costituiscono linearmente

il significante, ma manifesta anche una relazione associativa (↑) laddove si

considerino le unità potenziali associabili rispettivamente ai suoi costituenti

quadru- e a -plex: ‘quadrupes’, ‘quadrifrons’, ‘quadraginta’ da un lato,

‘simplex’, ‘triplex’, ‘centuplex’ ecc. dall’altro.

L’asse delle combinazioni è, per così dire, attivo: è qui infatti che le unità

linguistiche possono subire dei mutamenti che danno luogo ad una loro forma

determinata. Si considerino gli esempi seguenti:

a)

Il contoide nasale del prefisso negativo italiano {in-} nel suo combinarsi

sintagmatico con altri suoni vocalici o consonantici iniziali delle basi a cui si

combina, prefissandole:

[n, contoide nasale alveolare]: in-adatto (e con tutte le altre vocali), in-sicuro, in-

naturale; [n, contoide nasale dentale]: in-tollerante, in-dubitabile; [n, contoide

nasale alveolare con tratto di palatalità]: in-censurato, in-gestibile; [m, contoide

nasale bilabiale]: im-possibile, im-battuto, im-maturo; [l, contoide laterale]: il-

logico; [r, contoide plurivibrante]: ir-razionale; [ŋ, contoide nasale velare]: in-

grato, in-credibile; [ɱ, contoide nasale labiodentale]: in-felice, in-vivibile.

b)

Il bambino corre

Lo spinone corre

La bambina corre

Il bambino sbuffa

Lo spinone ringhia

La bambina sorride.

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A.5- Lingue lessicologiche e lingue grammaticali:

CLG, pp. 160-161 De Mauro: “I diversi idiomi contengono sempre elementi dei

due ordini - radicalmente arbitrari e relativamente motivati - ma in proporzioni

molto variabili, e vi è in ciò un carattere importante, che può entrare in conto

nella loro classificazione.

In un certo senso … si potrebbe dire che le lingue in cui l’immotivato raggiunge

il massimo sono più lessicologiche, e quelle in cui si abbassa al minimo sono più

grammaticali. Non che ‘lessico’ e ‘arbitrarietà’ da un lato, ‘grammatica’ e

‘motivazione relativa’ dall’altro siano sempre sinonimi; ma vi è qualche cosa di

comune nel fondamento. Sono come i due poli tra i quali si muove tutto il

sistema, due correnti opposte che si contendono il moto della lingua: la tendenza

a impiegare lo strumento lessicologico, il segno immotivato, e la preferenza

accordata allo strumento grammaticale, vale a dire alla regola di costruzione.

Si può vedere per esempio che l’inglese dà all’immotivato un posto ben più

considerevole del tedesco; ma il tipo ultralessicologico è il cinese, mentre

l’indoeuropeo e il sanscrito sono esemplari del tipo ultragrammaticale.

All’interno di una stessa lingua, tutto il movimento evolutivo può essere

contrassegnato da un continuo passaggio del motivato all’arbitrario e

dell’arbitrario al motivato; questo va e vieni ha spesso il risultato di spostare

sensibilmente le proporzioni delle due categorie di segni”.

A.6- Forma e sostanza secondo Louis Hjelmslev:

Nel solco della riflessione saussuriana relativa all’arbitrarietà delle lingue

verbali, il danese Louis Hjelmslev (Copenhagen 1899-1965) propone di

considerare i parametri di sostanza e di forma in rapporto sia alla dimensione

dell’espressione sia alla dimensione del contenuto:

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ESPRESSIONE CONTENUTO

SOSTANZA

FORMA

Con riferimento all’espressione, la sostanza è tutto il repertorio dei suoni (foni)

che l’apparato fonatorio umano è in grado di produrre e l’apparato uditivo

riesce a percepire.

Tale sostanza dell’espressione riceve ‘forma’ diversa nelle diverse lingue

storico-naturali. La forma dell’espressione è infatti l’inventario dei suoni

distintivi (fonemi) che ogni lingua stabilisce come pertinenti, arbitrariamente e

secondo regole proprie.

Ad esempio, diversamente dal latino, dal tedesco o dall’inglese, l’italiano non

prevede il ricorso alla lunghezza vocalica a fine distintivo (o fonologico), cioè

per individuare parole di significato diverso:

.lat. nom. sing. m. pŏpulus “popolo” con /ŏ/ ~ nom. sing. f. pōpulus “pioppo”

con /ō/

.lat. nom./voc. sing. puellă con /ă/ ~ abl. sing. puellā con /ā/

.ted. (die) Stadt “città” con /ă/ ~ (der) Staat “stato” con /ā/

.ingl. meat “carne” e (to) meet “incontrare” con /ī/ [mi:t] ~ mitt “manopola,

guanto (da baseball o da boxeur)” con /ĭ/ [mit]; analogamente ingl. (to) beat [bi:t]

“battere, percuotere” ~ bit [bit] “pezzetto”.

Con riferimento al contenuto, la sostanza del contenuto è tutta la gamma dei fatti

concettualizzabili, rispetto alla quale, arbitrariamente, le lingue operano una

selezione che dà luogo ad una peculiare forma del contenuto. Le lingue

articolano diversamente i significati, così che raramente vi è corrispondenza

nelle ‘suddivisioni’ semantiche.

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Ad esempio, l’area concettuale che il latino ritaglia (‘forma’) tramite le coppie

ater/niger e albus/candidus, rispettivamente “nero opaco” e “nero lucido”,

“bianco opaco” e “bianco brillante”, è diversamente strutturata in italiano,

attraverso la coppia ‘nero/bianco’.

Ancora:

.it. ‘nipote’ rispetto ad ingl. grandchild “nipote di nonno e di nonna” e

nephew/niece “nipote di zio e di zia”,

.it. sposare rispetto al lat. nubere (detto della donna) e uxorem ducere (detto

dell’uomo),

.it. andare rispetto al ted. fahren “andare con un mezzo meccanico” e gehen

“andare a piedi”,

.it. dita rispetto all’ingl. fingers (della mano) e toes (del piede).

Per F. de Saussure, in effetti (CLG, pp. 147-148 De Mauro), “la lingua è una

forma e non una sostanza”.

B- La linearità: un’altra proprietà delle lingue verbali

Con l’arbitrarietà, Ferdinand de Saussure considera il carattere lineare del

significante un altro principio fondamentale del segno linguistico e delle lingue

verbali. La linearità, in effetti, è riconosciuta come proprietà del ‘signifiant’,

nella misura in cui esso tende a disporsi in una successione temporale (e

monodimensionale), poiché viene prodotto, si realizza e si sviluppa in modo

sequenziale nel tempo (e se scritto anche nello spazio).

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CLG, p. 88 De Mauro: “Il significante, essendo di natura auditiva, si svolge

soltanto nel tempo ed ha caratteri che trae dal tempo: a) rappresenta una

estensione, e b) tale estensione è misurabile in una sola dimensione: è una linea”.

C- Altre proprietà distintive delle lingue verbali:

Oltre all’arbitrarietà e alla linearità, le lingue verbali si distinguono dagli altri

sistemi comunicativi perché esibiscono una serie di proprietà specifiche, tra le

quali segnaliamo:

- Fonoacusticità

- Doppia articolazione

- Economicità

- Combinatorietà

- Discretezza

- Ricorsività

- Riflessività o proprietà metalinguistica.

C.1 Fonoacusticità

Le lingue verbali esibiscono la proprietà della fonoacusticità in quanto si

compongono di suoni (foni), prodotti dall’apparato articolatorio umano e

percepiti dall’apparato uditivo. La fonoacusticità è tanto distintiva del

linguaggio verbale rispetto agli altri tipi di linguaggio che in alcuni idiomi il

sostantivo per uno degli organi della fonazione, la lingua (gr. glōssa; lat.

‘lingua’), designa al contempo anche il codice.

Il parlato ha una priorità ontogenetica rispetto alla scrittura, nel senso che

ciascun individuo impara prima e spontaneamente a parlare, grazie

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all’interazione con i propri simili, e poi, dopo un addestramento specifico,

impara a scrivere.

Il parlato ha anche una priorità filogenetica rispetto alla scrittura, poiché per la

specie umana quest’ultima costituisce un’opzione socio-culturale indotta da

specifiche circostanze della storia di ciascuna civiltà, ma da cui è anche

possibile prescindere; migliaia di idiomi in effetti, soprattutto in Africa e in

Oceania, si tramandano ancora oggi oralmente e non sono codificati dalla

scrittura).

CLG, p. 36 De Mauro: “Lingua e scrittura sono due distinti sistemi di segni;

l’unica ragion d’essere del secondo è la rappresentazione del primo; l’oggetto

linguistico non è definito dalla combinazione della forma scritta e parlata;

quest’ultima costituisce da sola l’oggetto della linguistica”.

C.2- Doppia articolazione

La riflessione sul linguaggio e sulle lingue ha riconosciuto fin dai propri inizi la

natura articolata delle lingue (gr. diárthrōsis, lat. ‘articulatio’; si noti l’istanza

metaforica che fa riferimento alle articolazioni del corpo umano). Però, il

linguaggio verbale è doppiamente, non semplicemente articolato, e la DOPPIA

ARTICOLAZIONE (o dualità di strutturazione) è la proprietà che riconosce le

lingue verbali organizzate su due piani distinti.

Secondo André Martinet (1908-1999), allievo di Antoine Meillet e autore di “La

double articulation linguistique” (nei “Travaux du Cercle Linguistique de

Copenhagen”, V, 1949, pp. 30-37), uno tra i massimi esponenti dello

strutturalismo europeo e del funzionalismo praghese, questi due livelli strutturali

sono individuabili a partire da una scomposizione del significante del segno

linguistico in segmenti più piccoli:

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. livello segnico - livello della prima articolazione - caratterizzato da unità che,

seguendo l’uso dello strutturalismo statunitense, chiamiamo MORFEMI

(MONEMI nella terminologia di Martinet, che li distingue ulteriormente in

MORFEMI se recano significato grammaticale e in SEMANTEMI se recano

significato lessicale).

Tali unità sono minime, cioè non ulteriormente scomponibili (se non ‘a prezzo’ di

perdere la loro natura di segni), sono dotate non solo di significante, ma anche

di significato, che può essere di natura lessicale (MORFEMI LESSICALI) o

grammaticale (MORFEMI GRAMMATICALI); sono i segni minimi:

‘libro’ {libr-}{-o}, ‘libretto’ {libr-}{-ett-}{-o}, ‘librone’ {libr-}{-on-}{-e}.

. livello subsegnico - livello della seconda articolazione - caratterizzato da unità

che chiamiamo FONEMI (FONEMI anche per A. Martinet). Tali unità non sono

ulteriormente scomponibili, sono singolarmente prive di significato e dotate di

solo significante. Dal loro combinarsi hanno origine le entità di prima

articolazione, i morfemi:

‘libro’ /l/ /i/ /b/ /r/, /o/.

C.3- Economicità

Al principio della doppia articolazione consegue la proprietà dell’economicità

delle lingue verbali. Le lingue verbali sono intrinsecamente ‘economiche’, poiché

fanno uso di un numero limitato di risorse che, combinandosi tra loro, danno

luogo ad un numero potenzialmente infinito di esiti. Dunque, con un repertorio

ristretto di elementi e di regole di partenza, ogni lingua verbale ottiene un

numero illimitato di realizzazioni possibili.

C.4- Combinatorietà

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Il principio della doppia articolazione è alla base anche della proprietà della

combinatorietà (o combinabilità). Dal combinarsi di un inventario finito e

ridotto di unità di seconda articolazione (i fonemi), è possibile ottenere un

numero finito ma estremamente ampio di unità di prima articolazione (i

morfemi), che a loro volta possono combinarsi tra loro dando luogo ad un

numero teoricamente illimitato e sempre più complesso di esiti. Da questo punto

di vista, le lingue verbali sono intrinsecamente sintattiche (gr. syntássein

“disporre insieme”).

C.5- Discretezza

Il linguaggio verbale è discreto dal punto di vista dell’espressione, in quanto le

entità che lo compongono si distinguono reciprocamente in modo netto e

assoluto, sono dunque identificabili nel loro differenziarsi da altre unità, e sono

discontinue e numerabili. Tale proprietà, che è collegata all’arbitrarietà, rende

le lingue verbali dei codici digitali, non continui e quindi non analogici (una

lingua analogica sarebbe almeno parzialmente iconica).

Ad esempio, sono discreti i singoli foni (o suoni): esiste un limite preciso a

differenziare [p] da [b] quanto a proprietà fonicoacustiche e non esistono unità

intermedie collocabili tra [p] e [b]. Tale limite vale anche nella (relativa)

variabilità delle realizzazioni dei singoli parlanti.

C.6- Ricorsività

Si dice ricorsiva una regola che può essere applicata all’esito di una precedente

applicazione di se stessa, in un numero teoricamente illimitato di volte. Ad

esempio, è ricorsiva la regola che genera la serie dei numeri interi: n → n + 1

“riscrivi ogni numero sommando 1 al numero che lo precede”.

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Nelle lingue verbali è un esempio di ricorsività la “regola della relativa”: N →

N + Frel, per cui un nome può essere sostituito da se stesso + una frase relativa

che gli sia collegata:

.Maria scrive

.Maria che pensa a Luigi scrive

.Maria che dice che pensa a Luigi scrive

e così via, stanti i limiti posti dalla natura umana alla ‘gestione’ di parole molto

lunghe e complesse, e alla memorizzazione, elaborazione e processazione di

messaggi.

C.7- Riflessività o proprietà metalinguistica

La riflessività riconosce alle lingue verbali la proprietà di usare se stesse per

descrivere il proprio funzionamento. Ogni lingua verbale è una metalingua

poiché consente di avere se stessa come oggetto da descrivere. La linguistica non

fa che ‘formalizzare’ questa proprietà costitutiva delle lingue verbali.

D-Altro

L’elenco può comprendere altre proprietà delle lingue verbali, quali la

produttività (o apertura, creatività, non finitezza, poiché è possibile creare un

numero infinito di frasi e interpretare messaggi mai sentiti prima), trasponibilità

di mezzo (cioè la possibilità di realizzare il significante attraverso la

fonoacusticità o attraverso la scrittura), la trasmissibilità culturale (una lingua

viene trasmessa come ‘bene’ culturale di generazione in generazione entro una

certa società), il distanziamento (la possibilità di parlare di fatti lontani nel

tempo e nello spazio indipendentemente dalla localizzazione spazio-temporale

dell’evento comunicativo), la libertà da stimoli esterni (cioè l’indipendenza da

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condizionamenti esterni alla situazione comunicativa), l’onnipotenza semantica

(cioè la possibilità per le lingue verbali di esprimere qualsiasi contenuto).

Altre nozioni saussuriane:

1. Langue e parole - codice e messaggio

Ferdinand de Saussure ha introdotto la distinzione tra langage, inteso come

facoltà propria della specie umana, langue e parole.

La parole è l’atto linguistico individuale, concreto e sempre diverso al variare

delle condizioni in cui il parlante può trovarsi; è anche soggettiva e (solo) in essa

si attuano e si realizzano le risorse costitutive della langue.

La langue è il sistema astratto di conoscenze mentali e di regole interiorizzate

che i membri di una certa comunità possiedono in egual misura; per F. de

Saussure la langue è condivisa dai parlanti di una certa comunità perché

socialmente ereditata; in quanto sistema di riferimento collettivo,

sovraindividuale, storico e sociale, essa permette agli individui di compiere atti

di parole. Ogni mutamento linguistico ha sede in un atto di parole, e cessa di

essere ‘variabile’ soggettiva solo se ha successo, viene condiviso da altri parlanti

ed assurge ad elemento della langue.

Nel Cours leggiamo (CLG, pp. 118-119 De Mauro):

“… tutto quanto nella lingua è diacronico non lo è che per la parole. Nella

parole si trova il germe di tutti i cambiamenti: ciascuno è inizialmente lanciato da

un certo numero di persone prima di entrare nell’uso. Il tedesco moderno dice:

ich war, wir waren; il tedesco antico, fino al secolo XVI, diceva ich was, wir

waren (e l’inglese dice ancora oggi I was, we were). Come si è realizzata questa

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sostituzione di war a was? Taluni, influenzati da waren, hanno creato war per

analogia; era un fatto di parole; questa forma, spesso ripetuta e accettata dalla

comunità, è diventata un fatto di lingua. … Un fatto di evoluzione è sempre

preceduto da un fatto, o piuttosto da una moltitudine di fatti similari nella sfera

della parole … nella storia di ogni innovazione si incontrano sempre due

momenti distinti: 1. il momento in cui sorge presso gli individui; 2. il momento in

cui è diventata un fatto di lingua, esteriormente identico, ma adottato dalla

collettività”.

Il linguista è interessato alla langue, ma non può prescindere dall’osservazione

degli atti di parole.

La distinzione saussuriana, che si avvale dei parametri di astrattezza e

concretezza, è riformulata nella coppia nozionale codice e messaggio, suggerita

dal linguista russo Roman Jakobson (Mosca 1896 - Boston MA 1982), che

parla di codice e di messaggio.

Il codice è un sistema di segni, che contempla le regole di corrispondenza fra

unità del piano del contenuto e unità del piano dell’espressione; è un insieme di

potenzialità ed è astratto, è fissato per convenzione ed è regolato dalla comunità

che lo condivide e ne fa uso. Tutti i linguaggi, in quanto sistemi di

comunicazione, dal linguaggio della matematica alla danza delle api da miele

europee, fino alle lingue verbali, sono codici.

Il messaggio, invece, è concreto e in esso trovano attuazione le possibilità date,

astrattamente, dal codice.

Il danese Louis Hjelmslev (1899-1965) usa la coppia terminologica sistema e

uso.

2. Sincronia e diacronia

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Dobbiamo ancora alla riflessione di Ferdinand de Saussure l’aver posto

attenzione a due dimensioni dell’operare linguistico, due parametri attraverso i

quali il linguista può studiare la lingua-oggetto: sincronia e la diacronia.

Per sincronia si intende una prospettiva di analisi che coglie i fatti linguistici e

le relazioni che tra questi intercorrono in un determinato e preciso stadio

temporale (sýn “insieme, con” + khrónos “tempo”) più o meno breve,

indipendentemente da ciò che li ha prodotti o dai loro sviluppi in stadi successivi.

Sincronia designa “uno stadio di lingua”.

Per diacronia si intende una prospettiva di analisi che coglie uno o molteplici

fatti linguistici nel loro presentarsi lungo l’asse del tempo (diá “per, attraverso”

+ khrónos “tempo”) e li studia nel loro mutare da uno stadio A ad uno B

successivo.

Tali dimensioni non sono, e non appaiono neppure nella considerazione

saussuriana, in opposizione; sono piuttosto da intendersi come strumenti al

contempo autonomi e complementari a disposizione del linguista che può usarli

per descrivere e interpretare la lingua con riferimento all’”asse delle

simultaneità” e con riferimento all’”asse delle successioni”.

. CLG, p. 107 De Mauro:

“... se si taglia trasversalmente il tronco di un vegetale, si rileva sulla superficie

della sezione un disegno più o meno complicato; non è altro che la prospettiva

delle fibre longitudinali, che si potranno scorgere praticando una sezione

perpendicolare alla prima. Ancora una volta una delle prospettive dipende

dall’altra: la sezione longitudinale ci mostra le fibre stesse che costituiscono la

pianta, e la sezione trasversale ce ne mostra il raggruppamento su un piano

particolare; ma la seconda è distinta dalla prima perché fa constatare tra le fibre

certi rapporti che non si potrebbero mai percepire su un piano longitudinale”.