Glottologia 1
-
Upload
marco-vinicio-bazzotti -
Category
Documents
-
view
232 -
download
1
description
Transcript of Glottologia 1
1
Anno accademico 2015-2016
Glottologia
(triennale c.d.l.Lingue e Letterature straniere, A-L)
(60 ore, 9 CFU)
Introduzione alle scienze del linguaggio
prof.ssa Laura Biondi ([email protected])
Unità didattica A: (20 ore) Istituzioni di linguistica teorica. Elementi di fonetica e di fonologia.
Unità didattica B: (20 ore) Fondamenti di morfologia, sintassi e semantica.
Unità didattica C: (20 ore) Il mutamento linguistico. L’approccio tipologico allo studio delle lingue.
Il corso di Glottologia si propone di fornire una formazione di base in linguistica ed è propedeutico sia ad
ulteriori approfondimenti nel settore delle scienze del linguaggio, sia alla riflessione sulle strutture delle
singole lingue storico-naturali. In questa prospettiva, il corso è prettamente istituzionale ed è costituito da tre
unità didattiche indivisibili.
Il programma è così articolato:
- G. Berruto - M. Cerruti, La linguistica. Un corso introduttivo, Novara, UTET Università, 2011.
- G. Soravia, Le lingue del mondo, Bologna, il Mulino, 2014.
- E. Banfi - N. Grandi, Lingue d’Europa. Elementi di storia e di tipologia linguistica, Roma, Carocci, 2003. - R. Lazzeroni (a cura di), Linguistica storica, Roma, Carocci, 2002, capp. I (R. Lazzeroni, Il mutamento
linguistico) e III (R. Gusmani, Interlinguistica).
- R. H. Robins, La linguistica moderna, Bologna, il Mulino, 2005.
- materiali predisposti dal docente.
Al programma per frequentanti, gli studenti che per seri e documentati motivi scelgono di non frequentare le
lezioni dovranno aggiungere la lettura integrale del volume:
A. Nocentini, L’Europa linguistica: profilo storico e tipologico, Firenze, Le Monnier, 2002.
Orario di ricevimento:
I semestre: martedì h. 10.30-12.30, 14.30-15.30, c/o Dipartimento di Studi Letterari, Filologici e Linguistici -
‘Glottologia e Orientalistica’ (I piano), v. Festa del Perdono, 7.
________________________________________________________________________________
MODALITÀ DELLA PROVA D’ESAME
scritto + orale: “L’esame di Glottologia consiste in una prova scritta non obbligatoria, da effettuarsi entro la
fine del corso, e in una prova orale obbligatoria, entrambe valutate in trentesimi. La prova scritta è volta a
verificare le nozioni offerte nell’unità didattica A e comprende anche una prova di trascrizione IPA. La prova
orale consisterà nella verifica delle conoscenze relative agli argomenti delle unità didattiche B e C del corso
e, per i frequentanti, anche dei contenuti, dei materiali di lavoro e degli approfondimenti proposti nelle
lezioni. Il voto dell’esame sarà comunque unico e, per chi sostenga sia la prova scritta sia quella orale, esso
terrà conto della votazione riportata in ciascuna di queste. Eventuali informazioni aggiuntive sulle modalità
di valutazione saranno illustrate durante il corso e in occasione del ricevimento studenti”.
2
I materiali qui proposti sono stati concepiti come ausilio e sussidio didattico alla
preparazione dell’esame di Glottologia (A-L) per gli studenti del corso triennale di
Lingue e Letterature straniere della Facoltà di Studi Umanistici. Questi materiali hanno
carattere sintetico e offrono unicamente puntualizzazioni relative ad alcuni dei temi
affrontati durante le lezioni; pertanto, essi non sostituiscono i contenuti presenti nei testi
indicati nel programma per l’a.a. 2015-2016. Si diffida chiunque a farne un uso diverso
da quello indicato.
3
LINGUAGGIO, SEGNO, CODICE
Linguaggio: ogni meccanismo atto a comunicare, a trasmettere informazioni.
Segno: entità che fa da supporto ad ogni forma di comunicazione. Per propria
natura, il segno è biplanare; è costituito infatti dall’associazione indissolubile tra
il piano dell’espressione (o significante, signifiant), percepibile ai sensi, e il piano
del contenuto (o significato, signifié), di per sé non esprimibile perché astratto,
mentale, non percepibile tramite i sensi.
I segni possono essere classificati in base ad un criterio di motivatezza, che valuta
il rapporto esistente tra i due piani che li costituiscono, e in base al criterio
dell’intenzionalità che accompagna il loro utilizzo.
Codice: è un sistema di segni, che contempla le regole di corrispondenza fra unità
del piano del contenuto e unità del piano dell’espressione; è un insieme di
potenzialità ed è astratto, è fissato per convenzione ed è regolato dalla comunità
che lo condivide e ne fa uso. Tutti i linguaggi, in quanto sistemi di
comunicazione, dal linguaggio della matematica alla danza delle api da miele
europee, fino alle lingue verbali umane, sono codici.
Classificazione dei segni
Secondo la formulazione del filosofo statunitense Charles Saunders Peirce
(1839-1914) i segni sono classificabili nei seguenti tipi:
.Icona (o segno iconico): segno intenzionale in cui il rapporto tra espressione e
contenuto è motivato da somiglianze di forma o di struttura e, perciò, è
immediatamente interpretabile (foto, carte geografiche, diagrammi ecc.);
4
.Indice (o segno indessicale o sintomo): segno non intenzionale in cui il rapporto
tra espressione e contenuto è di contiguità materiale, fattuale, del tipo causa o
condizione scatenante > effetto (lo starnuto involontario come indice di
raffreddore; la traccia lasciata sul terreno da un animale come indice del suo
passaggio);
.Segnale: il rapporto tra espressione e contenuto è il medesimo che si osserva in
un indice, ma si caratterizza per l’intenzionalità (il segnale di fumo prodotto
volutamente da un emittente);
.Simbolo: segno intenzionale e motivato su base culturale (la colomba o l’ulivo
come simboli della pace, colori, gesti legati a specifiche consuetudini sociali e
culturali);
.Segno in senso stretto: segno intenzionale in cui il rapporto tra espressione e
contenuto è massimamente arbitrario, non motivato (i segni delle lingue verbali).
Che cosa è una lingua storico-naturale
- Livelli di analisi: ogni lingua storico-naturale è un sistema complesso, articolato
su più livelli, gerarchicamente e sistematicamente ordinati; come è naturale,
esistono numerosi fenomeni di interfaccia tra i diversi livelli. In ogni caso,
possiamo utilmente affidarci alla seguente partizione:
.livello dei suoni (fonetica e fonologia: studiano i suoni del linguaggio e le loro
combinazioni, nonché i rapporti che i suoni hanno tra loro nei sistemi fonologici delle
diverse lingue),
5
.livello delle parole (morfologia: studia le parole, il modo in cui sono strutturate e il
loro modificarsi in rapporto all’espressione di specifici valori funzionali),
.livello delle frasi (sintassi: studia la struttura delle frasi e gli schemi di collegamento
tra parole e sintagmi),
.livello dei significati (semantica: studia il significato e i rapporti di designazione).
- Per ogni livello arbitrariamente individuato esistono unità minime, non
ulteriormente scomponibili: fono/fonema, morfema, sintagma, lessema.
- Gerarchia dei livelli: ogni livello è formato dagli elementi del livello inferiore e,
con le proprie unità, costituisce il livello superiore; ciò grazie ai principî della
economicità e della combinatorietà delle unità linguistiche.
La lingua è un codice che organizza un sistema di segni dal significante primariamente
fonico-acustico, fondamentalmente arbitrari ad ogni loro livello e doppiamente
articolati, capaci di esprimere ogni esperienza esprimibile, posseduti come conoscenza
interiore che consente di produrre infinite frasi a partire da un numero finito di
elementi.
I segni delle lingue verbali e le loro caratteristiche:
A- Arbitrarietà:
Per Ferdinand de Saussure (1857-1913), il segno linguistico è un’entità
psichica a due facce, inscindibilmente unite e in grado di richiamarsi a vicenda:
6
il concetto e l’immagine acustica, che il linguista ginevrino propone di chiamare
rispettivamente ‘signifié’ e ‘signifiant’.
Ferdinand de Saussure, Corso di linguistica generale. Introduzione, traduzione e
commento di Tullio De Mauro, Bari, Laterza, 19853 (da ora in poi CLG; 1967
1
per la ‘Biblioteca di Cultura Moderna’; trad. it. di Cours de linguistique générale,
éd. par Charles Bally - Albert Sechehaye, Paris - Lausanne, Payot, 19161), pp. 83-
84:
“Il segno linguistico unisce non una cosa a un nome, ma un contenuto e
un’immagine acustica. Quest’ultima non è il suono materiale, cosa puramente
fisica, ma la traccia psichica di questo suono, la rappresentazione che ci viene
data dalla testimonianza dei nostri sensi: essa è sensoriale, e se ci capita di
chiamarla ‘materiale’, ciò avviene solo in tal senso e in opposizione all’altro
termine dell’associazione, il concetto, generalmente più astratto”.
CGL, pp. 85-87 De Mauro:
“Il legame che unisce il significante al significato è arbitrario, o ancora, poiché
intendiamo con segno il totale risultante dall’associazione di un significante a un
significato, possiamo dire più semplicemente: il segno linguistico è arbitrario.
Così, l’idea di ‘sorella’ non è legata da alcun rapporto interno alla sequenza dei
suoni s-ö-r che le serve in francese da significante; potrebbe anche essere
rappresentata da una qualunque altra sequenza: lo provano le differenze tra le
lingue e l’esistenza stessa di lingue differenti: il significato ‘bue’ ha per
significante b-ö-f da un lato ed o-k-s (Ochs) dall’altro lato della frontiera …
La parola arbitrarietà richiede anche un’osservazione. Essa non deve dare l’idea
che il significante dipenda dalla libera scelta del soggetto parlante … noi
7
vogliamo dire che è immotivato, vale a dire arbitrario in rapporto al significato,
col quale non ha nella realtà alcun aggancio naturale”.
A.1- Limitazioni dell’arbitrarietà:
Possono onomatopee e ideofoni (di cui fanno parte anche le esclamazioni), che
sono esempi di motivazione semantica, rappresentare una limitazione sostanziale
al riconoscimento dell’arbitrarietà come uno dei principî strutturali, costitutivi
del segno linguistico e delle lingue verbali?
CLG, p. 88 De Mauro: “le onomatopee e le esclamazioni sono d’importanza
secondaria e la loro origine simbolica è in parte contestabile”.
Più in dettaglio:
CLG, p. 87 De Mauro: “Segnaliamo … concludendo, due obiezioni che
potrebbero esser fatte alla statuizione di questo principio.
1.Ci si potrebbe basare sulle onomatopee per dire che la scelta del significante non
è sempre arbitraria. Ma esse non sono mai elementi organici di un sistema
linguistico. Il loro numero è d’altra parte assai meno grande di quanto si creda.
Delle parole come, in francese, fouet ‘frusta’ o glas ‘rintocco’ possono colpire
l’orecchio di qualcuno con una sonorità suggestiva: ma basta risalire alle loro
origini latine (fouet deriva da fāgus ‘faggio’ e glas da classicum ‘segnale di
tromba’) per vedere che non hanno carattere onomatopeico all’origine; la qualità
dei loro attuali suoni, o piuttosto la qualità che a tali suoni si attribuisce, è un
risultato fortuito dell’evoluzione fonetica.
8
Quanto alle onomatopee autentiche … non soltanto sono poco numerose, ma la
loro scelta è già in qualche misura arbitraria, poiché non sono altro che
l’imitazione approssimativa e già a metà convenzionale di certi rumori … Inoltre,
una volta introdotte nella lingua, esse sono più o meno trascinate nella evoluzione
fonetica, morfologica ecc. subita dalle altre parole (cfr. il franc. pigeon ‘piccione’
dal latino volgare pīpīo, che derivava per parte sua da un’onomatopea): prova
evidente che esse hanno perduto qualche cosa del loro carattere primo per
assumere quello del segno linguistico in generale, che è immotivato.
2.Le esclamazioni, molto vicine alle onomatopee, danno luogo ad osservazioni
analoghe”.
Le lingue verbali sono dunque sistemi comunicativi totalmente arbitrari? Oppure
esse accolgono e contemplano anche una componente di motivatezza, un
principio di iconicità, che non viola peraltro quello dell’arbitrarietà radicale?
Dove risiede, allora, e in che cosa è possibile ravvisare tale componente, che
diremo ‘relativamente arbitraria’?
A.2- Arbitrarietà assoluta ed arbitrarietà relativa:
CLG, p. 158 De Mauro: “Il principio fondamentale dell’arbitrarietà del segno non
impedisce di distinguere in ciascuna lingua ciò che è radicalmente arbitrario, cioè
a dire immotivato, da ciò che lo è solo relativamente. Solo una parte dei segni è
assolutamente arbitraria; presso altri interviene un fenomeno che permette di
riconoscere dei gradi nell’arbitrarietà senza però eliminarla: il segno può essere
relativamente arbitrario”.
e prosegue facendo riferimento ad una motivatezza morfologica (ibidem):
9
“Così vingt è immotivato, ma dix-neuf non lo è in egual grado, perché evoca i
termini di cui si compone e altri che gli sono associati, per esempio dix, neuf,
vingt-neuf, dix-huit … Lo stesso avviene per poirier, che richiama la parola
semplice poire ed il cui suffisso -ier fa pensare a cerisier, pommier ecc. … Il
plurale inglese ships ‘navi’ richiama per la sua formazione tutta la serie flags,
birds, books ecc., mentre men ‘uomini’, sheep ‘pecore’ non richiamano niente”.
A.3- Le solidarietà:
CLG, p. 159 De Mauro: “… la nozione del relativamente motivato implica: 1.
l’analisi del termine dato, dunque un rapporto sintagmatico; 2. il richiamo a uno o
più altri termini, dunque un rapporto associativo. … Finora le unità ci sono
apparse come valori, vale a dire come elementi di un sistema, e le abbiamo
considerate soprattutto nelle loro opposizioni; adesso riconosciamo le solidarietà
che sono d’ordine associativo e di ordine sintagmatico, e che, appunto, limitano
l’arbitrarietà. Dix-neuf è solidale associativamente con dix-huit, soixante-dix ecc.
e sintagmaticamente con i suoi elementi dix e neuf”.
A.4- Rapporti sintagmatici e rapporti associativi nell’architettura delle
lingue verbali:
A Ferdinand de Saussure dobbiamo aver individuato nelle relazioni di ordine
sintagmatico e in quelle di ordine associativo due modalità diverse in cui le unità
linguistiche entrano costantemente in rapporto e il cui operare ‘costituisce e
presiede al funzionamento’ della lingua.
10
La linguistica strutturalista successiva ha recepito e applicato entrambe le
nozioni; ad esse il linguista danese Louis Hjelmslev (1899-1965), esponente
della Scuola di Copenhagen, si riallaccia parlando di rapporti sintagmatici e di
rapporti paradigmatici alla base del funzionamento del linguaggio verbale.
Peraltro, già in F. de Saussure l’uso metalinguistico di ‘paradigmatico’ era
implicito nel ricorso ai paradigmi flessionali come esempio di rapporto
associativo.
CLG, pp. 149-150 De Mauro: “Il rapporto sintagmatico è in praesentia; esso si
basa su due o più termini egualmente presenti in una serie effettiva. Al contrario
il rapporto associativo unisce dei termini in absentia in una serie mnemonica
virtuale.
Da questo duplice punto di vista, una unità linguistica è comparabile a una parte
determinata di un edificio, ad esempio una colonna; questa si trova da un canto in
un certo rapporto con l’architrave che sorregge; tale organizzazione delle due
unità egualmente presenti nello spazio fa pensare al rapporto sintagmatico; d’altra
parte, se questa colonna è d’ordine dorico, essa evoca il confronto mentale con
altri ordini (ionico, corinzio, ecc.), che sono elementi non presenti nello spazio: il
rapporto è associativo”.
Ogni unità linguistica (segnica o subsegnica) viene selezionata dal parlante
entro il repertorio virtuale, potenziale, astratto, mnemonico, ‘verticale’ di cui
fanno parte gli elementi posti sull’asse associativo (o paradigmatico, ‘in
absentia’, ‘asse delle scelte’ ↑), e viene poi disposta sull’asse sintagmatico,
concreto, ‘orizzontale’ e lineare (o ‘in praesentia’, ‘asse delle combinazioni’ →)
insieme ad altre unità dello stesso livello, altrettanto effettive, con cui si
combina.
Con un esempio saussuriano, il lat. ‘quadruplex’ manifesta una relazione
sintagmatica (→) nella propria struttura morfologica (quadru- + -plex), oltre
11
che nel combinarsi sequenziale dei singoli foni che ne costituiscono linearmente
il significante, ma manifesta anche una relazione associativa (↑) laddove si
considerino le unità potenziali associabili rispettivamente ai suoi costituenti
quadru- e a -plex: ‘quadrupes’, ‘quadrifrons’, ‘quadraginta’ da un lato,
‘simplex’, ‘triplex’, ‘centuplex’ ecc. dall’altro.
L’asse delle combinazioni è, per così dire, attivo: è qui infatti che le unità
linguistiche possono subire dei mutamenti che danno luogo ad una loro forma
determinata. Si considerino gli esempi seguenti:
a)
Il contoide nasale del prefisso negativo italiano {in-} nel suo combinarsi
sintagmatico con altri suoni vocalici o consonantici iniziali delle basi a cui si
combina, prefissandole:
[n, contoide nasale alveolare]: in-adatto (e con tutte le altre vocali), in-sicuro, in-
naturale; [n, contoide nasale dentale]: in-tollerante, in-dubitabile; [n, contoide
nasale alveolare con tratto di palatalità]: in-censurato, in-gestibile; [m, contoide
nasale bilabiale]: im-possibile, im-battuto, im-maturo; [l, contoide laterale]: il-
logico; [r, contoide plurivibrante]: ir-razionale; [ŋ, contoide nasale velare]: in-
grato, in-credibile; [ɱ, contoide nasale labiodentale]: in-felice, in-vivibile.
b)
Il bambino corre
Lo spinone corre
La bambina corre
Il bambino sbuffa
Lo spinone ringhia
La bambina sorride.
12
A.5- Lingue lessicologiche e lingue grammaticali:
CLG, pp. 160-161 De Mauro: “I diversi idiomi contengono sempre elementi dei
due ordini - radicalmente arbitrari e relativamente motivati - ma in proporzioni
molto variabili, e vi è in ciò un carattere importante, che può entrare in conto
nella loro classificazione.
In un certo senso … si potrebbe dire che le lingue in cui l’immotivato raggiunge
il massimo sono più lessicologiche, e quelle in cui si abbassa al minimo sono più
grammaticali. Non che ‘lessico’ e ‘arbitrarietà’ da un lato, ‘grammatica’ e
‘motivazione relativa’ dall’altro siano sempre sinonimi; ma vi è qualche cosa di
comune nel fondamento. Sono come i due poli tra i quali si muove tutto il
sistema, due correnti opposte che si contendono il moto della lingua: la tendenza
a impiegare lo strumento lessicologico, il segno immotivato, e la preferenza
accordata allo strumento grammaticale, vale a dire alla regola di costruzione.
Si può vedere per esempio che l’inglese dà all’immotivato un posto ben più
considerevole del tedesco; ma il tipo ultralessicologico è il cinese, mentre
l’indoeuropeo e il sanscrito sono esemplari del tipo ultragrammaticale.
All’interno di una stessa lingua, tutto il movimento evolutivo può essere
contrassegnato da un continuo passaggio del motivato all’arbitrario e
dell’arbitrario al motivato; questo va e vieni ha spesso il risultato di spostare
sensibilmente le proporzioni delle due categorie di segni”.
A.6- Forma e sostanza secondo Louis Hjelmslev:
Nel solco della riflessione saussuriana relativa all’arbitrarietà delle lingue
verbali, il danese Louis Hjelmslev (Copenhagen 1899-1965) propone di
considerare i parametri di sostanza e di forma in rapporto sia alla dimensione
dell’espressione sia alla dimensione del contenuto:
13
ESPRESSIONE CONTENUTO
SOSTANZA
FORMA
Con riferimento all’espressione, la sostanza è tutto il repertorio dei suoni (foni)
che l’apparato fonatorio umano è in grado di produrre e l’apparato uditivo
riesce a percepire.
Tale sostanza dell’espressione riceve ‘forma’ diversa nelle diverse lingue
storico-naturali. La forma dell’espressione è infatti l’inventario dei suoni
distintivi (fonemi) che ogni lingua stabilisce come pertinenti, arbitrariamente e
secondo regole proprie.
Ad esempio, diversamente dal latino, dal tedesco o dall’inglese, l’italiano non
prevede il ricorso alla lunghezza vocalica a fine distintivo (o fonologico), cioè
per individuare parole di significato diverso:
.lat. nom. sing. m. pŏpulus “popolo” con /ŏ/ ~ nom. sing. f. pōpulus “pioppo”
con /ō/
.lat. nom./voc. sing. puellă con /ă/ ~ abl. sing. puellā con /ā/
.ted. (die) Stadt “città” con /ă/ ~ (der) Staat “stato” con /ā/
.ingl. meat “carne” e (to) meet “incontrare” con /ī/ [mi:t] ~ mitt “manopola,
guanto (da baseball o da boxeur)” con /ĭ/ [mit]; analogamente ingl. (to) beat [bi:t]
“battere, percuotere” ~ bit [bit] “pezzetto”.
Con riferimento al contenuto, la sostanza del contenuto è tutta la gamma dei fatti
concettualizzabili, rispetto alla quale, arbitrariamente, le lingue operano una
selezione che dà luogo ad una peculiare forma del contenuto. Le lingue
articolano diversamente i significati, così che raramente vi è corrispondenza
nelle ‘suddivisioni’ semantiche.
14
Ad esempio, l’area concettuale che il latino ritaglia (‘forma’) tramite le coppie
ater/niger e albus/candidus, rispettivamente “nero opaco” e “nero lucido”,
“bianco opaco” e “bianco brillante”, è diversamente strutturata in italiano,
attraverso la coppia ‘nero/bianco’.
Ancora:
.it. ‘nipote’ rispetto ad ingl. grandchild “nipote di nonno e di nonna” e
nephew/niece “nipote di zio e di zia”,
.it. sposare rispetto al lat. nubere (detto della donna) e uxorem ducere (detto
dell’uomo),
.it. andare rispetto al ted. fahren “andare con un mezzo meccanico” e gehen
“andare a piedi”,
.it. dita rispetto all’ingl. fingers (della mano) e toes (del piede).
Per F. de Saussure, in effetti (CLG, pp. 147-148 De Mauro), “la lingua è una
forma e non una sostanza”.
B- La linearità: un’altra proprietà delle lingue verbali
Con l’arbitrarietà, Ferdinand de Saussure considera il carattere lineare del
significante un altro principio fondamentale del segno linguistico e delle lingue
verbali. La linearità, in effetti, è riconosciuta come proprietà del ‘signifiant’,
nella misura in cui esso tende a disporsi in una successione temporale (e
monodimensionale), poiché viene prodotto, si realizza e si sviluppa in modo
sequenziale nel tempo (e se scritto anche nello spazio).
15
CLG, p. 88 De Mauro: “Il significante, essendo di natura auditiva, si svolge
soltanto nel tempo ed ha caratteri che trae dal tempo: a) rappresenta una
estensione, e b) tale estensione è misurabile in una sola dimensione: è una linea”.
C- Altre proprietà distintive delle lingue verbali:
Oltre all’arbitrarietà e alla linearità, le lingue verbali si distinguono dagli altri
sistemi comunicativi perché esibiscono una serie di proprietà specifiche, tra le
quali segnaliamo:
- Fonoacusticità
- Doppia articolazione
- Economicità
- Combinatorietà
- Discretezza
- Ricorsività
- Riflessività o proprietà metalinguistica.
C.1 Fonoacusticità
Le lingue verbali esibiscono la proprietà della fonoacusticità in quanto si
compongono di suoni (foni), prodotti dall’apparato articolatorio umano e
percepiti dall’apparato uditivo. La fonoacusticità è tanto distintiva del
linguaggio verbale rispetto agli altri tipi di linguaggio che in alcuni idiomi il
sostantivo per uno degli organi della fonazione, la lingua (gr. glōssa; lat.
‘lingua’), designa al contempo anche il codice.
Il parlato ha una priorità ontogenetica rispetto alla scrittura, nel senso che
ciascun individuo impara prima e spontaneamente a parlare, grazie
16
all’interazione con i propri simili, e poi, dopo un addestramento specifico,
impara a scrivere.
Il parlato ha anche una priorità filogenetica rispetto alla scrittura, poiché per la
specie umana quest’ultima costituisce un’opzione socio-culturale indotta da
specifiche circostanze della storia di ciascuna civiltà, ma da cui è anche
possibile prescindere; migliaia di idiomi in effetti, soprattutto in Africa e in
Oceania, si tramandano ancora oggi oralmente e non sono codificati dalla
scrittura).
CLG, p. 36 De Mauro: “Lingua e scrittura sono due distinti sistemi di segni;
l’unica ragion d’essere del secondo è la rappresentazione del primo; l’oggetto
linguistico non è definito dalla combinazione della forma scritta e parlata;
quest’ultima costituisce da sola l’oggetto della linguistica”.
C.2- Doppia articolazione
La riflessione sul linguaggio e sulle lingue ha riconosciuto fin dai propri inizi la
natura articolata delle lingue (gr. diárthrōsis, lat. ‘articulatio’; si noti l’istanza
metaforica che fa riferimento alle articolazioni del corpo umano). Però, il
linguaggio verbale è doppiamente, non semplicemente articolato, e la DOPPIA
ARTICOLAZIONE (o dualità di strutturazione) è la proprietà che riconosce le
lingue verbali organizzate su due piani distinti.
Secondo André Martinet (1908-1999), allievo di Antoine Meillet e autore di “La
double articulation linguistique” (nei “Travaux du Cercle Linguistique de
Copenhagen”, V, 1949, pp. 30-37), uno tra i massimi esponenti dello
strutturalismo europeo e del funzionalismo praghese, questi due livelli strutturali
sono individuabili a partire da una scomposizione del significante del segno
linguistico in segmenti più piccoli:
17
. livello segnico - livello della prima articolazione - caratterizzato da unità che,
seguendo l’uso dello strutturalismo statunitense, chiamiamo MORFEMI
(MONEMI nella terminologia di Martinet, che li distingue ulteriormente in
MORFEMI se recano significato grammaticale e in SEMANTEMI se recano
significato lessicale).
Tali unità sono minime, cioè non ulteriormente scomponibili (se non ‘a prezzo’ di
perdere la loro natura di segni), sono dotate non solo di significante, ma anche
di significato, che può essere di natura lessicale (MORFEMI LESSICALI) o
grammaticale (MORFEMI GRAMMATICALI); sono i segni minimi:
‘libro’ {libr-}{-o}, ‘libretto’ {libr-}{-ett-}{-o}, ‘librone’ {libr-}{-on-}{-e}.
. livello subsegnico - livello della seconda articolazione - caratterizzato da unità
che chiamiamo FONEMI (FONEMI anche per A. Martinet). Tali unità non sono
ulteriormente scomponibili, sono singolarmente prive di significato e dotate di
solo significante. Dal loro combinarsi hanno origine le entità di prima
articolazione, i morfemi:
‘libro’ /l/ /i/ /b/ /r/, /o/.
C.3- Economicità
Al principio della doppia articolazione consegue la proprietà dell’economicità
delle lingue verbali. Le lingue verbali sono intrinsecamente ‘economiche’, poiché
fanno uso di un numero limitato di risorse che, combinandosi tra loro, danno
luogo ad un numero potenzialmente infinito di esiti. Dunque, con un repertorio
ristretto di elementi e di regole di partenza, ogni lingua verbale ottiene un
numero illimitato di realizzazioni possibili.
C.4- Combinatorietà
18
Il principio della doppia articolazione è alla base anche della proprietà della
combinatorietà (o combinabilità). Dal combinarsi di un inventario finito e
ridotto di unità di seconda articolazione (i fonemi), è possibile ottenere un
numero finito ma estremamente ampio di unità di prima articolazione (i
morfemi), che a loro volta possono combinarsi tra loro dando luogo ad un
numero teoricamente illimitato e sempre più complesso di esiti. Da questo punto
di vista, le lingue verbali sono intrinsecamente sintattiche (gr. syntássein
“disporre insieme”).
C.5- Discretezza
Il linguaggio verbale è discreto dal punto di vista dell’espressione, in quanto le
entità che lo compongono si distinguono reciprocamente in modo netto e
assoluto, sono dunque identificabili nel loro differenziarsi da altre unità, e sono
discontinue e numerabili. Tale proprietà, che è collegata all’arbitrarietà, rende
le lingue verbali dei codici digitali, non continui e quindi non analogici (una
lingua analogica sarebbe almeno parzialmente iconica).
Ad esempio, sono discreti i singoli foni (o suoni): esiste un limite preciso a
differenziare [p] da [b] quanto a proprietà fonicoacustiche e non esistono unità
intermedie collocabili tra [p] e [b]. Tale limite vale anche nella (relativa)
variabilità delle realizzazioni dei singoli parlanti.
C.6- Ricorsività
Si dice ricorsiva una regola che può essere applicata all’esito di una precedente
applicazione di se stessa, in un numero teoricamente illimitato di volte. Ad
esempio, è ricorsiva la regola che genera la serie dei numeri interi: n → n + 1
“riscrivi ogni numero sommando 1 al numero che lo precede”.
19
Nelle lingue verbali è un esempio di ricorsività la “regola della relativa”: N →
N + Frel, per cui un nome può essere sostituito da se stesso + una frase relativa
che gli sia collegata:
.Maria scrive
.Maria che pensa a Luigi scrive
.Maria che dice che pensa a Luigi scrive
e così via, stanti i limiti posti dalla natura umana alla ‘gestione’ di parole molto
lunghe e complesse, e alla memorizzazione, elaborazione e processazione di
messaggi.
C.7- Riflessività o proprietà metalinguistica
La riflessività riconosce alle lingue verbali la proprietà di usare se stesse per
descrivere il proprio funzionamento. Ogni lingua verbale è una metalingua
poiché consente di avere se stessa come oggetto da descrivere. La linguistica non
fa che ‘formalizzare’ questa proprietà costitutiva delle lingue verbali.
D-Altro
L’elenco può comprendere altre proprietà delle lingue verbali, quali la
produttività (o apertura, creatività, non finitezza, poiché è possibile creare un
numero infinito di frasi e interpretare messaggi mai sentiti prima), trasponibilità
di mezzo (cioè la possibilità di realizzare il significante attraverso la
fonoacusticità o attraverso la scrittura), la trasmissibilità culturale (una lingua
viene trasmessa come ‘bene’ culturale di generazione in generazione entro una
certa società), il distanziamento (la possibilità di parlare di fatti lontani nel
tempo e nello spazio indipendentemente dalla localizzazione spazio-temporale
dell’evento comunicativo), la libertà da stimoli esterni (cioè l’indipendenza da
20
condizionamenti esterni alla situazione comunicativa), l’onnipotenza semantica
(cioè la possibilità per le lingue verbali di esprimere qualsiasi contenuto).
Altre nozioni saussuriane:
1. Langue e parole - codice e messaggio
Ferdinand de Saussure ha introdotto la distinzione tra langage, inteso come
facoltà propria della specie umana, langue e parole.
La parole è l’atto linguistico individuale, concreto e sempre diverso al variare
delle condizioni in cui il parlante può trovarsi; è anche soggettiva e (solo) in essa
si attuano e si realizzano le risorse costitutive della langue.
La langue è il sistema astratto di conoscenze mentali e di regole interiorizzate
che i membri di una certa comunità possiedono in egual misura; per F. de
Saussure la langue è condivisa dai parlanti di una certa comunità perché
socialmente ereditata; in quanto sistema di riferimento collettivo,
sovraindividuale, storico e sociale, essa permette agli individui di compiere atti
di parole. Ogni mutamento linguistico ha sede in un atto di parole, e cessa di
essere ‘variabile’ soggettiva solo se ha successo, viene condiviso da altri parlanti
ed assurge ad elemento della langue.
Nel Cours leggiamo (CLG, pp. 118-119 De Mauro):
“… tutto quanto nella lingua è diacronico non lo è che per la parole. Nella
parole si trova il germe di tutti i cambiamenti: ciascuno è inizialmente lanciato da
un certo numero di persone prima di entrare nell’uso. Il tedesco moderno dice:
ich war, wir waren; il tedesco antico, fino al secolo XVI, diceva ich was, wir
waren (e l’inglese dice ancora oggi I was, we were). Come si è realizzata questa
21
sostituzione di war a was? Taluni, influenzati da waren, hanno creato war per
analogia; era un fatto di parole; questa forma, spesso ripetuta e accettata dalla
comunità, è diventata un fatto di lingua. … Un fatto di evoluzione è sempre
preceduto da un fatto, o piuttosto da una moltitudine di fatti similari nella sfera
della parole … nella storia di ogni innovazione si incontrano sempre due
momenti distinti: 1. il momento in cui sorge presso gli individui; 2. il momento in
cui è diventata un fatto di lingua, esteriormente identico, ma adottato dalla
collettività”.
Il linguista è interessato alla langue, ma non può prescindere dall’osservazione
degli atti di parole.
La distinzione saussuriana, che si avvale dei parametri di astrattezza e
concretezza, è riformulata nella coppia nozionale codice e messaggio, suggerita
dal linguista russo Roman Jakobson (Mosca 1896 - Boston MA 1982), che
parla di codice e di messaggio.
Il codice è un sistema di segni, che contempla le regole di corrispondenza fra
unità del piano del contenuto e unità del piano dell’espressione; è un insieme di
potenzialità ed è astratto, è fissato per convenzione ed è regolato dalla comunità
che lo condivide e ne fa uso. Tutti i linguaggi, in quanto sistemi di
comunicazione, dal linguaggio della matematica alla danza delle api da miele
europee, fino alle lingue verbali, sono codici.
Il messaggio, invece, è concreto e in esso trovano attuazione le possibilità date,
astrattamente, dal codice.
Il danese Louis Hjelmslev (1899-1965) usa la coppia terminologica sistema e
uso.
2. Sincronia e diacronia
22
Dobbiamo ancora alla riflessione di Ferdinand de Saussure l’aver posto
attenzione a due dimensioni dell’operare linguistico, due parametri attraverso i
quali il linguista può studiare la lingua-oggetto: sincronia e la diacronia.
Per sincronia si intende una prospettiva di analisi che coglie i fatti linguistici e
le relazioni che tra questi intercorrono in un determinato e preciso stadio
temporale (sýn “insieme, con” + khrónos “tempo”) più o meno breve,
indipendentemente da ciò che li ha prodotti o dai loro sviluppi in stadi successivi.
Sincronia designa “uno stadio di lingua”.
Per diacronia si intende una prospettiva di analisi che coglie uno o molteplici
fatti linguistici nel loro presentarsi lungo l’asse del tempo (diá “per, attraverso”
+ khrónos “tempo”) e li studia nel loro mutare da uno stadio A ad uno B
successivo.
Tali dimensioni non sono, e non appaiono neppure nella considerazione
saussuriana, in opposizione; sono piuttosto da intendersi come strumenti al
contempo autonomi e complementari a disposizione del linguista che può usarli
per descrivere e interpretare la lingua con riferimento all’”asse delle
simultaneità” e con riferimento all’”asse delle successioni”.
. CLG, p. 107 De Mauro:
“... se si taglia trasversalmente il tronco di un vegetale, si rileva sulla superficie
della sezione un disegno più o meno complicato; non è altro che la prospettiva
delle fibre longitudinali, che si potranno scorgere praticando una sezione
perpendicolare alla prima. Ancora una volta una delle prospettive dipende
dall’altra: la sezione longitudinale ci mostra le fibre stesse che costituiscono la
pianta, e la sezione trasversale ce ne mostra il raggruppamento su un piano
particolare; ma la seconda è distinta dalla prima perché fa constatare tra le fibre
certi rapporti che non si potrebbero mai percepire su un piano longitudinale”.