Global Mente Le Risorse Immateriali Nella Competizione Globale Rullani 2008
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GLOBAL-MENTE
LE RISORSE IMMATERIALI NELLA COMPETIZIONE GLOBALE
Enzo Rullani
Venice International University
T.Lab, CFMT Milano
Facoltà di Economia, Università La Sapienza, Roma Roma, 7 maggio2008
Master Universitario in Marketing Management
BRAND E COMUNICAZIONE
NELL’ECONOMIA GLOBALE DELLA CONOSCENZA
La parola viene dal titolo italiano di un libro di GANNON
Gannon M.J. (1994), Understanding Global Cultures. Metaphorical Journeys Through 17 Countries, Sage Publications, trad. it.
Global-Mente. Metafore culturali per capire 17 paesi,
Baldini&Castoldi, Milano, 1997
GLOBAL-MENTE = mente globale
L’IDEA E’ CHE OGNI PAESE APPORTI LA SUA CULTURA (DIFFERENZIATA) AD UN CIRCUITO DI CONOSCENZE DIVENTATO
GLOBALE
GLOBAL-MENTE = mente globale
La globalizzazione è la condivisione delle differenze presenti nel mondo
non riguarda chi opera all’estero, ma tutti (i competitors sono globali, ossia i prezzi, i margini di profitto, i salari, i brevetti)
passa attraverso i prodotti che usiamo e i loro significati (il brand globale accompagna i prodotti tecnologici, alimentari, della moda …)
passa attraverso le filiere produttive (ogni prodotto contiene componenti, lavorazioni, servizi, ricerca di una global supply chain fatta in molti paesi del mondo)
GLOBALE = siamo tutti nodi di una rete mondiale di produzione e di vita
La globalizzazione nasce da una condizione:
politica = crollo del muro di Berlino: il capitalismo diventa globale
economica = la Cina entra nel WTO: il mercato diventa globale
cognitiva = crisi del fordismo e nascita del capitalismo delle reti: la conoscenza che in precedenza si accumulava nei confini aziendali e nazionali, comincia a propagarsi nelle reti mondiali
LA MENTE CHE GENERA LE CONOSCENZE PRODUTTIVE DIVENTA GLOBALE
MENTE = l’economia della conoscenza è globale
Si dice che la globalizzazione sia ormai in CRISI:
crisi politica = ritorno all’interventismo degli Stati nazionali (Tremonti: La paura e la speranza)
economica = i mercati non si sanno auto-regolare (cambi, finanza, contraffazioni, differenze enormi nelle regole e nelle tasse)
ma la globalizzazione cognitiva non è in crisi e sostiene le altre due, perché il paese che si isola rispetto al resto, chiudendo il proprio circuito nazionale finisce per rimanere indietro sul fronte delle innovazioni
LE CONOSCENZE CONTINUANO A FLUIRE DA UN PAESE ALL’ALTRO IN
FUNZIONE DELLA CAPACITA’ DI ASSORBIMENTO DEI RICEVENTI
La globalizzazione cognitiva sarà il driver del cambiamento nel nostro
secolo
La modernità ha messo in moto, due secoli e mezzo fa, l’economia della conoscenza riproducibile = scienza, macchine, mercato, calcolo, norme astratte
La conoscenza è una risorsa sui generis: non si consuma con l’uso e può essere riprodotta a costo zero o quasi
Di conseguenza, la conoscenza che si separa dal contesto (unico) in cui è stata prodotta e diventa conoscenza astratta ha dalla sua il vantaggio formidabile delle economie di scala se si riesce a moltiplicarne gli usi
LA GLOBALIZZAZIONE NON E’ UN CASO, MA IL COMPIMENTO DI QUESTO
PROCESSO: dunque continuerà ancora a lungo
La globalizzazione non è un incidente di percorso, ma il portato della
modernità
l’intelligenza tecnica che la incorpora nella scienza, nelle macchine, in algoritmi codificati, nel software, in procedure organizzative, in soluzioni replicabili, in norme giuridiche astratte e impersonali
l’intelligenza fluida della mente umana che rende ri-utilizzabile le conoscenze generali applicandole al caso unico o al nuovo attraverso l’interpretazione che re-inventa la realtà e i codici di lettura (Eco: “opera aperta”, “lector in fabula”)
LE ECONOMIE DI SCALA SI POSSONO FARE CODIFICANDO LE CONOSCENZE (TECNICA) O
TRASFORMANDOLE IN SIGNIFICATI DI LINGUAGGI CHE LE POSSONO USARE IN MODO RIFLESSIVO
(COMUNICAZIONE)
Due sono i modi con cui la conoscenza riproducibile fa
economie di scala
l’intelligenza tecnica è un mediatore auto-distruttivo che azzera i costi e dunque il valore (valgono solo le cose nuove, poi il valore tende nel tempo a zero) (oppure bisogna rendere artificialmente scarsa la conoscenza limitandone la circolazione, ma è sempre più difficile)
l’intelligenza fluida invece è un mediatore che va continuamente rinnovato nell’uso (i linguaggi e i significati si ri-creano continuamente): la propagazione costa di più ma dura nel tempo
IL VALORE DEL BRAND CORRISPONDE AL VALORE GENERATO DAI LINGUAGGI E DAI
SIGNIFICATI CHE LA GENTE HA IMPARATO E CHE RI-USA AGGIORNANDOLI NEL CORSO DEL TEMPO
Quanto valgono i mediatori della conoscenza riproducibile?
Le risorse immateriali sono forme di conoscenza che non sono incorporate nelle macchine e nei prodotti materiali
Hanno un elevato grado di rischio perché il valore d’uso della conoscenza riproducibile si moltiplica con l’aumento del bacino di ri-uso, ma il suo valore di scambio sul mercato, se lasciato a sé stesso, tende a ridursi (e va a zero per la conoscenza perfettamente codificata: ad es. un CD)
La forbice tra le due cose si può chiudere con la tutela statica della proprietà
intellettuale, che impedisce di piratare o copiare, o con il continuo rinnovamento dinamico dei prodotti, dei linguaggi e dei
significati
Economia delle risorse immateriali
La disponibilità dei consumatori finali a pagare la qualità è oggi una condizione fondamentale per rendere l’offerta innovativa e capace di competere nel mercato globale (l’industria del vino italiano è rinata con la crisi del metanolo)
La qualità del prodotto non è più quella intriseca (prestazioni materiali), ma quella semantica (significato, esperienza) (un paio di jeans di marca valgono al consumo 150 euro quando il prodotto materiale vale 15 euro)
La qualità semantica dei prodotti nasce dal significato (impegni, promesse, reputazione) trasmessi dal brand e dalla comunicazione
SI FA FATICA A CREARLA E SI PUO’ DISTRUGGERE FACILMENTE SE SI DIVENTA
POCO CREDIBILI
Il brand è un investimento nei linguaggi e nei significati del
consumo
Ogni linguaggio crea un ponte tra l’unicità degli oggetti designati e della situazione in cui sono immersi e i significati di tipo generale che vengono loro attribuiti
Comunicazione e brand acquistano valore se riescono a fare la spola tra il locale che è unico e il globale che rimanda a significati generali
In questa relazione, il brand può differenziarsi legandosi al significato attribuito dal consumatore al territorio o ad altro (prestazioni, appartenenza a una tribù, stili di vita, codici estetici, comunità epistemiche)
I TERRITORI HANNO ANCORA UN SIGNIFICATO CHE CONTA NELL’ECONOMIA
GLOBALE DELLA CONOSCENZA?
COMUNICAZIONE E BRAND TRA LOCALE E GLOBALE
Il global brand assegna lo stesso significato al prodotto o servizio offerto in tutti i paesi = economie di scala nel progetto, nell’advertising, nella riconoscibilità
I suoi presupposti sono:imprese internazionalizzate che vedono
il mondo come il loro mercatoconsumatori di mentalità aperta che si
muovono nel mondo o sono ricettivi a significati trans-nazionali
teams di progettazione e agenzie di comunicazione che abbiamo esperienza delle diverse culture tra cui fare sintesi
un brand manager autorevole che medi tra le diverse visioni nazionali e abbia voce nella definizione della strategia complessiva
GLOBAL BRANDING: UNA RISORSA CHIAVE MA NON PER TUTTI
Il brand globale è coerente con le caratteristiche dei mercati dell’high tech, nell’automotive e nello sport (settori codificati internazionalmente),
nei trasporti, turismo e ristorazione (la gente si muove e vuole usare ovunque gli stessi metodi e linguaggi che impara una volta sola)
Nell’alimentare il brand globale può vendere a scala mondiale il significato legato al territorio di origine
Ma ci possono essere anche brand che si differenziano nel nome o nei contenuti per entrare meglio in contatto con i significati differenziati assegnati al vivere, al lavorare, allo stare insieme nei diversi paesi o aree locali
ci possono essere prodotti locali che restano tali
ISTRUZIONI PER L’USO: MANEGGIARE CON CURA
Se il brand fa parte del processo di comunicazione che mette in rete le intelligenze fluide dei produttori e dei consumatori situati in contesti diversi, esso deve essere continuamente re-inventato attraverso l’interazione tra i diretti interessati (opera aperta, lector in fabula)
L’impresa globale può gestire globalmente una strategia di differenziazione dei significati nei diversi mercati e nei diversi usi
L’impresa locale può invece sviluppare brand e significati che puntano allo sviluppo di una nicchia globale, cercando un segmento limitato di clienti attraverso i confini
Brand trasversali possono nascere dallo sviluppo del networking che ri-usa la stessa idea o di comunità di consumatori
IL GLOBAL BRANDING E’ UN PROCESSO, NON UNA RICETTA DAL CONTENUTO
PREFISSATO
TRA LOCALE E GLOBALE
In Italia abbiamo una economia della conoscenza specifica
All’inizio c’era l’INTER-nazionalizzazione (commercio tra diversi) = scambi di mercato tra sistemi diversi
Poi è arrivata la MULTI-nazionalizzazione (espansione di una impresa sull’estero e di un paese leader su altri paesi) = unità dell’organizzazione e del comando manageriale
Alla fine arriva la GLOBALIZZAZIONE (anni ottanta) con l’idea del prodotto globale e del consumatore universale
= superamento delle differenze nazionali, economie di scala del brand globale
Tante idee di internazionalizzazione
Le imprese hanno imparato a sfruttare i territori per le loro differenze
nel mercato globale le differenze acquistano più valore perché fanno emergere delle vocazioni specializzate con clienti in molti paesi
le differenze possono essere tra imprese ma anche tra territori ossia tra imprese localizzare in contesti di esperienza diversi (specializzazione dei luoghi, distretti industriali, prodotti doc)
Le differenze legate al significato e alla qualità del territorio sono originali e difficilmente imitabili altrove: ma il problema è come fissarle nelle identità territoriali e comunicarle
Ma la storia reale è più complessa
prevalenza assoluta delle piccole imprese (9 addetti nella manifattura, 4 nei servizi), che lavorano in filiere (medie imprese capofiliera = 81% di outsourcing)
legame col territorio nei distretti industriali che sfruttano un capitale sociale localizzato (conoscenze, lavoro qualificato, servizi specializzati)
Made in Italy che esporta in settori particolari (beni per la persona, per la casa, meccanica leggera) ad alto valore semantico
NONOSTANTE IL VALORE SEMANTICO DEI PRODOTTI DEL MADE IN ITALY E’ ANCORA
SCARSO L’INVESTIMENTO IN CAPITALE INTELLETTUALE E RELAZIONALE
L’Italia ha sviluppato un capitalismo specifico
L’Italia delle piccole imprese e dei distretti è stata da sempre legata ad una forte proiezione sull’export
Ma oggi questa non è più sufficiente, serve il presidio delle filiere e dei mercati a scala internazionale
Le multinazionali ce l’hannoE noi? Facciamo pochi investimenti diretti
all’estero (IDE) e pochi ne riceviamoDunque siamo disallineati rispetto alle
nuove esigenze. Ma è proprio vero?I DATI NON CI FANNO VEDERE QUELLO CHE LE IMPRESE HANNO FATTO DI NUOVO SU
QUESTO VERSANTEL’internazionalizzazione italiana
avviene allargando le reti locali aprendole a monte e a valle a clienti,
fornitori, alleati a scala globale
Internazionalizzarsi? Ma come?
L’INTERNAZIONALIZZAZIONE
INVISIBILE
UNA SPECIALITA’ ITALIANA
La costruzione delle reti internazionali da parte delle
IMPRESE LEADER
L’Osservatorio TeDIS imprese medie distrettuali
nelle diverse aree italiane e nei diversi settori
nei processi di internazionalizzazione
nei processi di innovazione tecnologica
I 41 distretti presi in esame
AbruzzoAbbigliamento Nord Abruzzese; Abbigliamento Sud AbruzzesePugliaImbottito Murge; Calzatura - Salento;Abbigliamento – Salento; Calzatura -
BarlettaCampaniaCalzatura e Abbigliamento – Napoli;Concia –Solofra; Pasta - Gragnano;Conserve - Nocera
LombardiaMobile- Brianza; Calze - Castelgoffredo;Tessile – Como; Meccanica - Lecco;Metalli – LumezzanePiemonteTessile/abbigliamento - Biella;Oreficeria - Valenza Po; Casalinghi - Cusio;Meccanica - Pianezza Pinerolo
Veneto Vetro – Murano; Calzature - Brenta;Sportsystem – Montebelluna; Concia - Arzignano;Occhiali – Belluno; Mobile - Q. del Piave;Tessile - Schio, Thiene, Valdagno;Meccanica - Schio, Thiene- MontecchioFriuli VGSedie – Manzano; Mobile - Livenza;Prosciutto - San DanieleEmilia RomagnaCeramica – Sassuolo; Tessile - Carpi Macchine agricole - Reggio Emilia;Oleodinamica; Meccanica alimentare
ToscanaTessile - Prato; Marmo - Carrara;Concia - S. Croce sull’ArnoMarche Mobile – Pesaro; Calzatura - Fermo;Agro-alimentare San BenedettoLazio Ceramica -Civita Castellana
L’EMERGERE DI UN NUOVO MODELLO DI IMPRESA
Impresa apertaa monte11,3%
Impresa a reteaperta12,4%
Impresa conapertura
commerciale27,9%
Impresa localetradizionale
48,4%
Presidio dei mercati finali
Proiezioneinternazionale
produzione
Basso Alto
Bassa
Alta
IN PASSATO: l’economia della conoscenza che c’è stata in Italia
ACCESSO
Macchine,
Lavoro specializzato,
Copia e imitazione
MOLTIPLICAZIONE
Distretti,
catene di subfornitura
CREATIVITA’
Flessibilità rispetto al cliente
Organizzazione informale
Creatività personale
OGGI: serve un’economia della conoscenza diversa
ACCESSO
Linguaggi formali,
Ricerca, Reti lunghe
di fornitura
MOLTIPLICAZIONE
Produzione modulare,
Reti commerciali,
Marchi, Brevetti
CREATIVITA’
Ambiente metropolitano,
Esperienze multiculturali
Comunità epistemiche
La via italiana all’economia globale/immateriale: quattro
proposte per aggiornare i modelli di business
produrre e vendere significati (sense making)
mettersi nei panni del cliente (global service)
allargare la platea dei fruitori di una buona idea (networking)
fare economie di scala con la produzioine flessibile (modularizzazione)
Per fare questi passaggi bisogna INVESTIRE MOLTO in capitale
intellettuale e relazionale nell’ACCESSO: in istruzione e formazione, ricerca e internazionalizzazione della fornitura
nella CREATIVITA’: reti dello spazio metropolitano, interscambi di persone e di esperienze, generazione di “idee forti” intorno a cui costruire modi di vivere e comunità di esperienza
nella MOLTIPLICAZIONE DEGLI USI: moduli e standard per la produzione a rete, reti commerciali (agenti, retail, franchising), pubblicità e brand, servizi post-vendita, interazione col consumo finale e con la filiera intermedia
SERVONO INVESTIMENTI, ASSAI PIU’ RILEVANTI DI UNA VOLTA IN RISORSE IMMATERIALI
MA CHI LI FARA’?
NUOVI PROTAGONISTI
CERCASI
DISPERATAMENTE
I protagonisti di cui abbiamo bisogno
in parte saranno lo STATO e le ISTITUZIONI LOCALI: ma, visti i vincoli al gettito fiscale, questa parte non potrà crescere più di tanto
in parte consistente saranno le FAMIGLIE, incentivate a destinare una parte crescente del reddito per accrescere il livello di competenza del NUOVO LAVORO e qualità della vita nel NUOVO CONSUMO
ma per il resto c’è bisogno di NUOVI PIONIERI nel mondo imprenditoriale. Ossia
IMPRESE LEADER DELLE FILIERE DEL MADE IN ITALY
IMPRESE COMMERCIALI E TERZIARIE (TRA CUI BRAND, COMUNICAZIONE, LOGISTICA, BREVETTI)
NUOVE IMPRESE DA M&A, JOINT VENTURES, ADESIONE DI NUOVI SOCI (PRIVATE EQUITY, FONDI, CAPITAL VENTURING)
ALLEANZE TRANS-NAZIONALI CON PARTNERS ESTERI
RETI A PROGETTO CHE NASCONO DAL BASSO
INIZIATIVE DELLE ASSOCIAZIONI E DELLE ISTITUZIONI LOCALI
BANCHE ATTENTE AI TERRITORI E ALLE PICCOLE IMPRESE
Ma gli investimenti devono rendere
Investire in conoscenza, in relazioni, in innovazione
diventa
CONVENIENTE E SOSTENIBILE
solo se si estendono le reti in modo da moltiplicare il valore degli assets immateriali su
cui si è investito
QUESTO VALE PER LO STATO, PER I TERRITORI E PER LE FAMIGLIE
MA VALE SOPRATTUTTO PER LE IMPRESE
l’aumento dei moltiplicatori incrementando la specializzazione e l’ampiezza delle reti non è un optional che venga dopo l’innovazione: le
due cose vanno insieme
BRAND E COMUNICAZIONE CONTANO, ECCOME