Gli impianti Post-estrattivi immediati

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INTERVISTA A Matteo Capelli ITALIAN ORAL SURGERY 2012;11(5):153-157 | 153 Esiste un’evidenza scientifica che possa determinare il tempo migliore d’inserimento implantare? Fino a ora non esiste un’evidenza scientifica che abbia determinato quale sia il tempo migliore d’inse- rimento implantare. Come evidenziato durante la ITI Conference del 2004, oltre ad aver posto maggior chiarezza in merito alla tempistica d’inserimento implantare sono state proposte delle raccomanda- zioni cliniche che presentano sia dei vantaggi che degli svantaggi. Gli impianti post-estrattivi possono essere immediati (Tipo 1) o dilazionati (Tipo 2). In quest’ultimo caso si attende la guarigione dei tes- suti molli i quali semplificano la gestione dei tessuti durante le procedure rigenerative. Dall’analisi della letteratura, tra gli impianti post-estrattivi tipo1 e 2, quale offre la miglior percentuale di successo? In questi ultimi anni sono stati pubblicati svariati lavori a conferma del progressivo interesse della comunità scientifica a questa procedura clinica. Non sempre i lavori pubblicati risultano facilmen- te confrontabili in termini di risultati in quanto pre- sentano spesso delle differenze di esecuzione dei protocolli di ricerca. Comunque, è possibile evi- denziare come sia gli impianti di tipo 1 che quelli di tipo 2, presentano percentuali di successo estre- mamente incoraggianti paragonandoli a quelle degli impianti inseriti in osso nativo. Gli impianti post-estrattivi possono essere inseriti in qualsiasi condizione clinica? Gli impianti post-estrattivi presentano le stesse controindicazioni generali della chirurgia implanta- re. Gli unici aspetti che possono limitarne l’utilizzo sono le condizioni locali anatomiche che possono precludere la possibilità di ottenere una stabili- tà primaria dell’impianto. In particolare, per po- ter garantire una stabilità primaria implantare è necessario inserire l’impianto oltre la dimensione apicale dell’alveolo. Qualora gli apici dentali fos- sero in intimo contatto con strutture anatomiche nobili, come quelle del nervo alveolare inferiore, può diventare rischioso il tentativo di ricercare una stabilità primaria. In questo caso, è preferibile utilizzare degli impianti di diametro maggiore e ricercare la stabilità prima- ria attraverso un contatto della superficie laterale implantare con le pareti ossee alveolari. Il tentativo di ridurre la variazione dei volumi alveolari in seguito all’avulsione dell’elemento dentale rappresenta uno degli aspetti e delle sfide più attuali in campo chirurgico implantare. In questi ultimi anni si sono affinate le tecniche chirurgiche degli impianti post-estrattivi e allo stesso tempo è stato pubblicato un nutrito numero di lavori scientifici, principalmente analitici, su osservazioni legate ai meccanismi di guarigione. L’obiettivo della ricerca clinica è anche quello di valutare le risposte biologiche in relazione al tipo di chirurgia eseguita. In questo modo infatti è possibile evidenziare la tecnica più indicata al fine di ottenere una riduzione delle variazioni del volume del processo alve- olare dopo l’estrazione. Si profila un futuro promettente sia nel ridurre la morbilità chirurgica per il paziente sia nell’offrire un risultato sempre più estetico. A tal proposito abbiamo rivolto alcune domande al dottor Matteo Capelli il quale da alcuni anni si dedica alla ricerca nell’ ambito degli impianti post-estrattivi. Matteo Capelli svolge la propria attività clinica e didattica presso il Dipartimento di Tecnologia per la Salute dell’Istituto Ortopedico Galeazzi IRCCS nel Reparto di Implantologia e Riabilitazione Orale. Si occupa principalmente di problematiche chirurgiche implantari con particolare riferimento alle tecniche rigenerative e agli impianti post-estrattivi. Autore di articoli di chirurgia implantare su riviste nazionali e internazionali, ha contribuito alla stesura di alcuni capitoli di libri sul carico immediato e sulla chirurgia del seno mascellare. Gli impianti post-estrattivi immediati 1827-2452/$ - see front matter © 2012 Elsevier Srl. Tutti i diritti riservati. http://dx.doi.org/10.1016/j.ios.2012.05.001

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INTERVISTA A Matteo Capelli

ITALIAN ORAL SURGERY 2012;11(5):153-157 | 153

Esiste un’evidenza scientifi ca che possa determinare il tempo migliore d’inserimento implantare? Fino a ora non esiste un’evidenza scientifi ca che

abbia determinato quale sia il tempo migliore d’inse-

rimento implantare. Come evidenziato durante la ITI

Conference del 2004, oltre ad aver posto maggior

chiarezza in merito alla tempistica d’inserimento

implantare sono state proposte delle raccomanda-

zioni cliniche che presentano sia dei vantaggi che

degli svantaggi. Gli impianti post-estrattivi possono

essere immediati (Tipo 1) o dilazionati (Tipo 2). In

quest’ultimo caso si attende la guarigione dei tes-

suti molli i quali semplifi cano la gestione dei tessuti

durante le procedure rigenerative.

Dall’analisi della letteratura, tra gli impianti post-estrattivi tipo1 e 2, quale offre la miglior percentuale di successo? In questi ultimi anni sono stati pubblicati svariati

lavori a conferma del progressivo interesse della

comunità scientifi ca a questa procedura clinica.

Non sempre i lavori pubblicati risultano facilmen-

te confrontabili in termini di risultati in quanto pre-

sentano spesso delle differenze di esecuzione dei

protocolli di ricerca. Comunque, è possibile evi-

denziare come sia gli impianti di tipo 1 che quelli di

tipo 2, presentano percentuali di successo estre-

mamente incoraggianti paragonandoli a quelle degli

impianti inseriti in osso nativo.

Gli impianti post-estrattivi possono essere inseriti in qualsiasi condizione clinica? Gli impianti post-estrattivi presentano le stesse

controindicazioni generali della chirurgia implanta-

re. Gli unici aspetti che possono limitarne l’utilizzo

sono le condizioni locali anatomiche che possono

precludere la possibilità di ottenere una stabili-

tà primaria dell’impianto. In particolare, per po-

ter garantire una stabilità primaria implantare è

necessario inserire l’impianto oltre la dimensione

apicale dell’alveolo. Qualora gli apici dentali fos-

sero in intimo contatto con strutture anatomiche

nobili, come quelle del nervo alveolare inferiore,

può diventare rischioso il tentativo di ricercare una

stabilità primaria.

In questo caso, è preferibile utilizzare degli impianti

di diametro maggiore e ricercare la stabilità prima-

ria attraverso un contatto della superfi cie laterale

implantare con le pareti ossee alveolari.

Il tentativo di ridurre la variazione dei volumi alveolari in seguito all’avulsione dell’elemento dentale rappresenta uno degli aspetti e delle sfi de più attuali in campo chirurgico implantare. In questi ultimi anni si sono affi nate le tecniche chirurgiche degli impianti post-estrattivi e allo stesso tempo è stato pubblicato un nutrito numero di lavori scientifi ci, principalmente analitici, su osservazioni legate ai meccanismi di guarigione. L’obiettivo della ricerca clinica è anche quello di valutare le risposte biologiche in relazione al tipo di chirurgia eseguita. In questo modo infatti è possibile evidenziare la tecnica più indicata al fi ne di ottenere una riduzione delle variazioni del volume del processo alve-olare dopo l’estrazione. Si profi la un futuro promettente sia nel ridurre la morbilità chirurgica per il paziente sia nell’offrire un risultato sempre più estetico. A tal proposito abbiamo rivolto alcune domande al dottor Matteo Capelli il quale da alcuni anni si dedica alla ricerca nell’ ambito degli impianti post-estrattivi. Matteo Capelli svolge la propria attività clinica e didattica presso il Dipartimento di Tecnologia per la Salute dell’Istituto Ortopedico Galeazzi IRCCS nel Reparto di Implantologia e Riabilitazione Orale. Si occupa principalmente di problematiche chirurgiche implantari con particolare riferimento alle tecniche rigenerative e agli impianti post-estrattivi. Autore di articoli di chirurgia implantare su riviste nazionali e internazionali, ha contribuito alla stesura di alcuni capitoli di libri sul carico immediato e sulla chirurgia del seno mascellare.

Gli impianti post-estrattivi immediati

1827-2452/$ - see front matter © 2012 Elsevier Srl. Tutti i diritti riservati.

http://dx.doi.org/10.1016/j.ios.2012.05.001

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Dal punto di vista operativo, gli impianti post-estrattivi sono una procedura chirurgica semplice anche per chi ha poca esperienza in ambito implantare? Gli impianti post-estrattivi rappresentano una proce-

dura chirurgica sicuramente più complessa dell’inse-

rimento implantare in osso nativo. In particolar modo,

l’inserimento degli impianti post-estrattivi nei settori

posteriori mascellari o mandibolare può risultare una

procedura chirugica indaginosa dovuta all’anatomia

residua del processo alveolare. Per questo motivo,

ritengo che gli impianti post-estrattivi siano una pro-

cedura chirugica da riservare a operatori che abbia-

no maturato una discreta esperienza operativa.

Quindi, per chi volesse avvicinarsi a questa procedura chirurgica, con quale elemento dentale consiglieresti di iniziare? Sicuramente consiglierei di cominciare a cimentarsi con

denti monoradicolati in aree con una bassa o media

valenza estetica. In particolar modo suggerirei di iniziare

con un secondo premolare mascellare o mandibolare

in presenza di un adeguato quantitativo osseo.

Nella tua pratica clinica, come ti comporti di fronte a una situazione di estrazione dentale? Preferisci eseguire sempre l’impianto post-estrattivo oppure ci sono situazioni cliniche in cui preferiresti attendere la guarigione dei tessuti molli e poi inserire l’impianto? Nella mia pratica clinica di tutti i giorni tendo ad ese-

guire sempre di più impianti post-estrattivi. Possono

esserci situazioni dove è preferibile eseguire prima

l’estrazione associata a una tecnica di preservazione

dell’alveolo e successivamente eseguire l’inserimen-

to implantare a guarigione dei tessuti duri e molli. In

particolare, preferisco ridurre i rischi ed eseguire un

approccio più graduale, quando mi trovo in situazioni

estetiche in pazienti con biotipo parodontale fi ne

e quando mi trovo di fronte a una estrazione non

programmata e quindi non c’è il tempo per poter

eseguire anche l’inserimento implantare.

Con gli impianti post-estrattivi, è possibile eseguire una procedura protesica di inserimento di un provvisorio immediato? L’utilizzo di un provvisorio immediato rappresenta

una possibile opzione terapeutica anche per gli

impianti post-estrattivi. L’aspetto determinante è

quello della stabilità primaria dell’impianto. Nella

mia pratica clinica, non garantisco mai la certezza

assoluta di poter eseguire un carico immediato in

quanto è diffi cile a priori sapere il grado di stabilità

primaria implantare. Inoltre, riserviamo questa pro-

cedura solo per casi selezionati dove abbiamo una

valenza estetica e non c’è la possibilità di inserire

un provvisorio fi sso.

Quando esegui degli impianti post-estrattivi è consigliato eseguire una procedura in un tempo oppure in due tempi chirurgici? Il mio criterio di valutazione si basa sul grado di sta-

bilità primaria implantare e sulla quantità di mucosa

cheratinizzata vestibolare. In presenza di un ridotto

quantitativo di mucosa cheratinizzata vestibolare o

di una modesta stabilità primaria preferisco applica-

re un pilastro di copertura ed eseguire la procedura

in due tempi.

Ritieni che l’utilizzo di un innesto nello spazio residuo peri-implantare sia importante per la sopravvivenza implantare? Dai pochi lavori presenti in letteratura l’utilizzo di un

innesto è importante per favorire una più rapida for-

mazione di tessuto osseo all’interno dell’alveolo. Si-

curamente, l’utilizzo di un innesto non è importante

nel garantire una maggior sopravvivenza implantare

nè per consentire l’osteointegrazione dell’impianto.

È stato ampiamente dimostrato istologicamente,

sia su modello animale sia su modello umano, co-

me sia suffi ciente la presenza del coagulo ematico

intra-alveolare per consentire la formazione di osso

intorno all’impianto.

Pensi che l’osso autologo rappresenti ancora “il gold standard” anche per questa procedura chirurgica o pensi che sia stato soppiantato dai biomateriali? Anche se l’osso autologo rappresenta ancora il

nostro “punto fermo” in chirurgia rigenerativa, ri-

tengo che, quando il nostro obiettivo è quello di

contrastare il riassorbimento fi siologico dell’os-

so alveolare mantenendo il volume dell’alveolo

post-estrattivo stabile nel tempo, i biomateriali

a lento riassorbimento siano diventati i materiali

d’elezione.

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INTERVISTA A Matteo Capelli

ITALIAN ORAL SURGERY 5/2012 | 157

Quali sono le complicanze più frequenti degli impianti post-estrattivi? Le complicanze in grado di compromettere il suc-

cesso di questa tecnica chirurgica sono estrema-

mente poche, infatti si parla di un successo implan-

tare di circa il 96%. La complicanza più temuta è

senza dubbio una recessione vestibolare che può

variare da 0,5-1 mm. Puoi immaginare come una

così piccola variazione dimensionale sia in grado

di compromettere il risultato estetico.

Svolgendo anche la tua attività presso un dipartimento universitario di parodontologia, state facendo studi particolari relativi agli impianti post-estrattivi ? Attualmente, stiamo valutando la variazione del vo-

lume tissutale in seguito all’inserimento implantare.

In particolar modo, stiamo valutando, in collabora-

zione con l’ingegner Motroni, le variazioni volume-

triche computerizzate in relazione alla procedura

chirurgica eseguita. L’analisi viene eseguita me-

diante la sovrapposizione dei modelli pre chirurgici

e post-protesici a un anno dal carico protesico e

ha un livello di accuratezza quasi assoluto. Il nostro

obiettivo è quello di fornire dei dati oggettivi di quale

tecnica chirurgica risulta più indicata nella preserva-

zione del volume del processo alveolare.

Ritieni che gli studi presenti in letteratura dove vengono eseguite misurazioni tissutali mediante sonda parodontale siano in grado di fornire dei dati realmente precisi? Quale tecnica di misurazione avete utilizzato per le vostre misurazioni? Non volendo fare polemica, ritengo comunque

che le misurazioni eseguite con la sonda parodon-

tale siano un metodo impreciso e poco ripetibile

in quanto diventa estremamente diffi cile eseguire

misurazioni precise al di sotto del millimetro. Mi

viene da sorridere quando vengono riportati valori

dello 0,25 mm utilizzando come unità di misura una

sonda, appunto, millimetrata come quella paro-

dontale. Per ovviare a questo limite, nei nostri studi

abbiamo utilizzato delle misurazioni attraverso softer

particolari i quali sfruttano non un punto o una linea,

ma bensì una superfi cie la quale viene evidenziata

mediante una scala colorimetrica. Questa variazione

cromatica è in grado di mettere in evidenza varia-

zioni volumetriche anche di pochi decimi. Quindi,

mediante questa metodica di sovrapposizione, sia-

mo in grado di fornire delle misurazioni oggettive,

ripetibili e molto precise.

Ora immagina di essere un paziente che necessita di un’estrazione dentale: quale procedura chirurgica sceglieresti ? Oltre a scegliere un operatore esperto, opterei per

la procedura più rapida e con la minor morbilità.

Ritengo che gli impianti post-estrattivi, malgrado

presentino delle complicanze post-operatorie, co-

me tutte le procedure chirurgiche, abbiano il van-

taggio di unire la procedura chirugica più rapida con

un grado di morbilità molto bassa per il paziente.

In conclusione, direi che mi farei sottoporre a un

impianto post-estrattivo di tipo 1 nei settori poste-

riori e di tipo 2 in quelli anteriori avendo un biotipo

parodontale fi ne e molto festonato.

Tiziano Testori Responsabile del Reparto di Implantologia e

Riabilitazione Orale presso la Clinica Odontoiatrica.

(Direttore Prof. R.L. Weinstein),

IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi,

Università degli Studi di Milano

e-mail: [email protected]