Gli antichi parenti dell'uomo -...

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proscimmie, le meno evolute delle due principali divisioni dell'ordine primati, esso è un membro del genere Notharetus e appartiene a una sottofamiglia, un tempo abbondante, di primati arboricoli. Pur presentando caratteri di grande primiti- vità, questi ultimi avevano aspetto assai simile a quello dei lemu- ridi attuali. Tuttavia possiamo affermare che non diedero origi- ne a nessuna delle proscimmie oggi viventi e si estinsero comple- tamente prima della fine dell'Eocene, circa 36 milioni di anni fa. U n importante aspetto dell'evolu- zione biologica durante gli ulti- mi 70 milioni di anni è stata la rapida ascesa, fino a una posizione di predominio tra i vertebrati terrestri, dei mammiferi placentali. Un ulteriore passo avanti nel corso dell'evoluzio- nei dei mammiferi placentali è stata la comparsa dei primati, l'ordine dei mammiferi che include l'uomo, le scim- mie antropomorfe e le scimmie pro- priamente dette. E un evento impor- tante, nell'evoluzione dei primati, è stata la comparsa — fra 12 e 14 milio- ni di anni fa — di animali distinti dalle scimmie antropomorfe loro contempo- ranee, che diedero chiaramente origi- ne all'uomo. Buona parte delle testimonianze re- lative all'origine dell'uomo, ma non tutte, sono recenti. Per molti anni gli studiosi dell'evoluzione umana sono stati quasi generalmente concordi nel- l'affermare che il più antico antenato dell'uomo si sarebbe trovato tra i pri- mati di tipo antropomorfo che prospe- rarono durante il Miocene e il primo Pliocene, grosso modo da 24 a 12 mi- lioni di anni fa (si veda la figura a pa- gina 55). Fin dagli anni venti, William K. Gregory dell'American Museum of Natural History, dopo aver studiato il numero limitato di frammenti di man- dibola e di denti allora a disposizione, affermò recisamente che l'uomo era « una derivazione apparsa nel tardo Terziario, del gruppo Dryopithecus-Si- vapithecus o perlomeno di antropo- morfi che assomigliavano profonda- mente a questi generi nella costruzio- ne della mandibola e nella dentatura ». Fino a poco tempo fa, gli studiosi dell'evoluzione dei primati hanno avu- to a disposizione ben poche testimo- nianze in più rispetto a Gregory e ai suoi contemporanei. Però, negli ultimi quindici anni, si è avuto un certo nu- mero di altri ritrovamenti significativi — alcuni anche nelle collezioni di fossi- li già esistenti. I primi primati sono oggi rappresentati da molti crani com- pleti o pressoché completi, da alcuni scheletri quasi completi, da un certo numero di ossa di arti e perfino da os- sa delle zampe anteriori e posteriori. Come età, questi esemplari si estendo- no praticamente a tutto il Cenozoico, dal suo inizio nel Paleocene, circa 53 milioni di anni fa, fino al Pliocene che, grosso modo, si concluse due milioni di anni fa. Talvolta un'unica mandibola può narrare con notevoli particolari una storia evolutiva, ma non esistono teso- ri paleontologici più importanti dei crani e degli scheletri che siano ragio- nevolmente completi. Molti di questi esemplari si sono resi disponibili in an- ni recenti, ma essi non si trovano esat- tamente lungo la linea filetica dell'uo- mo; cionondimeno hanno importanza per la storia evolutiva di tutti i prima- ti. Sia per la loro relativa completezza, sia per la loro ampia distribuzione nel tempo, rivelano, infatti, nuovi partico- lari sui principali stadi da essi proba- bilmente attraversati durante la loro evoluzione. Un arboricolo del Paleocene L'era dei mammiferi fu preceduta circa 63 milioni di anni fa da una bre- ve epoca geologica, il Paleocene. Du- rato forse 5 milioni di anni, il Paleo- cene fu seguito dall'Eocene, un'epoca molto più lunga, che occupò' grosso modo i successivi 22 milioni di anni. Ambedue i periodi sembra fossero ca- ratterizzati da temperature calde che permisero alle foreste tropicali e sub- tropicali di estendersi molto più a nord e molto più a sud dell'Equatore di quanto non avvenga oggi. Queste fo- reste erano abitate da una popolazione diversa e abbondante di primati (si ve- da la figura in queste pagine). La do- cumentazione fossile mostra che, nel Paleocene e nell'Eocene, specie appar- tenenti a una sessantina di generi di Un antico primate, all'incirca della mo- le di un gatto, fu scoperto nel depo- sito fossile dello Wyoming, risalente al- la metà dell'Eocene. Appartenente alle proscimmie, raggruppati per la mag- gior parte in otto famiglie, abitavano l'emisfero settentrionale. Tre di queste otto famiglie di pro- scimmie sono caratterizzate da incisivi allungati, presumibilmente adattati per scalfire e per rosicchiare, alla stessa stregua dei denti piuttosto simili dei roditori e dei conigli attuali. Sembra logico supporre che questi antichi pri- mati abbiano iniziato la loro carriera evolutiva in competizione con roditori. Non ebbero però successo e, prima della metà dell'Eocene, tutte e tre le famiglie di proscimmie con denti a scalpello si erano estinte. Forse furono messe fuori gioco dai roditori che di- venivano sempre più abbondanti men- tre esse si estinguevano. I resti fossili di un componente di una di queste famiglie estinte fu tro- vato recentemente da D. E. Russell del Museo nazionale francese di Sto- ria naturale in strati del tardo Paleo- cene vicino a Cernav-les-Reims in Francia. Questo antico primate fossile appartiene al genere Plesiadapis e il ri- trovamento di Cernay include un cra- nio notevolmente completo e una se- rie relativamente completa di ossa di arti e di zampe posteriori. Uno schele- tro incompleto di Plesiadapis è stato trovato anche nei depositi paleocenici del Colorado mentre in numerosi altri scavi nordamericani sono apparsi nu- merose mandibole, frammenti di man- dibole e denti. Incidentalmente, queste scoperte in opposti emisferi fanno si che Plesiadapis sia il solo genere di primati, a parte l'uomo, che sia vissu- to sia nel Vecchio sia nel Nuovo Mondo. Le specie di Plesiadapis variano co- me dimensioni all'incirca da quelle di uno scoiattolo a quelle di un gatto do- mestico. Da vive probabilmente assomi- gliavano ai roditori nella stessa misura in cui erano simili ai primati (si veda la figura a pagina 56). Tuttavia il di- segno delle corone dei molari richia- ma quello di primati fossili dell'Eo- cene, tipo lemuridi, mentre la strut- tura dell'arto collega Plesiadapis al- le proscimmie attuali dell'isola di Ma- dagascar. Plesiadapis è, tuttavia, ben distinto. Il suo cranio ha una piccola scatola cranica e muso lungo. I suoi grossi in- cisivi, inclinati in avanti, sono ampia- mente separati dai molari. Questa di- sposizione è caratteristica dei roditori e, quantunque il genere sembri troppo tardivo per essere un loro antenato, al- cuni ricercatori hanno avanzato l'ipo- tesi che l'ordine dei roditori possa es- sere derivato da animali non molto di- versi da Plesiadapis. Plesiadapis possiede altri due carat- teri che lo distinguono da quasi tutti i primati successivi. Innanzitutto la mag- gior parte delle dita, se non tutte, sia dell'arto anteriore sia dell'arto poste- riore, terminavano con lunghi artigli appiattiti sui lati. Tra i primati viven- ti solo le tupaie hanno un artiglio per dito; tutte le altre specie hanno o un- ghie e artigli insieme o esclusivamente unghie. Inoltre gli artigli dei primati Gli antichi parenti dell'uomo Testimonianze fossili del periodo compreso tra 60 e 12 milioni di anni fa chiariscono i principali stadi dell'evoluzione dei primati e distinguono il ceppo degli antropomorfi da cui è derivata la linea filetica umana di Elwin L. Simons 52 53

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proscimmie, le meno evolute delle due principali divisionidell'ordine primati, esso è un membro del genere Notharetuse appartiene a una sottofamiglia, un tempo abbondante, diprimati arboricoli. Pur presentando caratteri di grande primiti-

vità, questi ultimi avevano aspetto assai simile a quello dei lemu-ridi attuali. Tuttavia possiamo affermare che non diedero origi-ne a nessuna delle proscimmie oggi viventi e si estinsero comple-tamente prima della fine dell'Eocene, circa 36 milioni di anni fa.

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n importante aspetto dell'evolu-zione biologica durante gli ulti-mi 70 milioni di anni è stata la

rapida ascesa, fino a una posizione dipredominio tra i vertebrati terrestri,dei mammiferi placentali. Un ulteriorepasso avanti nel corso dell'evoluzio-nei dei mammiferi placentali è statala comparsa dei primati, l'ordine deimammiferi che include l'uomo, le scim-mie antropomorfe e le scimmie pro-priamente dette. E un evento impor-tante, nell'evoluzione dei primati, èstata la comparsa — fra 12 e 14 milio-ni di anni fa — di animali distinti dallescimmie antropomorfe loro contempo-ranee, che diedero chiaramente origi-ne all'uomo.

Buona parte delle testimonianze re-lative all'origine dell'uomo, ma nontutte, sono recenti. Per molti anni glistudiosi dell'evoluzione umana sonostati quasi generalmente concordi nel-l'affermare che il più antico antenatodell'uomo si sarebbe trovato tra i pri-mati di tipo antropomorfo che prospe-rarono durante il Miocene e il primoPliocene, grosso modo da 24 a 12 mi-lioni di anni fa (si veda la figura a pa-gina 55). Fin dagli anni venti, WilliamK. Gregory dell'American Museum ofNatural History, dopo aver studiato ilnumero limitato di frammenti di man-dibola e di denti allora a disposizione,affermò recisamente che l'uomo era« una derivazione apparsa nel tardoTerziario, del gruppo Dryopithecus-Si-vapithecus o perlomeno di antropo-morfi che assomigliavano profonda-mente a questi generi nella costruzio-ne della mandibola e nella dentatura ».

Fino a poco tempo fa, gli studiosidell'evoluzione dei primati hanno avu-to a disposizione ben poche testimo-nianze in più rispetto a Gregory e aisuoi contemporanei. Però, negli ultimiquindici anni, si è avuto un certo nu-

mero di altri ritrovamenti significativi— alcuni anche nelle collezioni di fossi-li già esistenti. I primi primati sonooggi rappresentati da molti crani com-pleti o pressoché completi, da alcunischeletri quasi completi, da un certonumero di ossa di arti e perfino da os-sa delle zampe anteriori e posteriori.Come età, questi esemplari si estendo-no praticamente a tutto il Cenozoico,dal suo inizio nel Paleocene, circa 53milioni di anni fa, fino al Pliocene che,grosso modo, si concluse due milionidi anni fa.

Talvolta un'unica mandibola puònarrare con notevoli particolari unastoria evolutiva, ma non esistono teso-ri paleontologici più importanti deicrani e degli scheletri che siano ragio-nevolmente completi. Molti di questiesemplari si sono resi disponibili in an-ni recenti, ma essi non si trovano esat-tamente lungo la linea filetica dell'uo-mo; cionondimeno hanno importanzaper la storia evolutiva di tutti i prima-ti. Sia per la loro relativa completezza,sia per la loro ampia distribuzione neltempo, rivelano, infatti, nuovi partico-lari sui principali stadi da essi proba-bilmente attraversati durante la loroevoluzione.

Un arboricolo del Paleocene

L'era dei mammiferi fu precedutacirca 63 milioni di anni fa da una bre-ve epoca geologica, il Paleocene. Du-rato forse 5 milioni di anni, il Paleo-cene fu seguito dall'Eocene, un'epocamolto più lunga, che occupò' grossomodo i successivi 22 milioni di anni.Ambedue i periodi sembra fossero ca-ratterizzati da temperature calde chepermisero alle foreste tropicali e sub-tropicali di estendersi molto più a norde molto più a sud dell'Equatore diquanto non avvenga oggi. Queste fo-

reste erano abitate da una popolazionediversa e abbondante di primati (si ve-da la figura in queste pagine). La do-cumentazione fossile mostra che, nelPaleocene e nell'Eocene, specie appar-tenenti a una sessantina di generi di

Un antico primate, all'incirca della mo-le di un gatto, fu scoperto nel depo-sito fossile dello Wyoming, risalente al-la metà dell'Eocene. Appartenente alle

proscimmie, raggruppati per la mag-gior parte in otto famiglie, abitavanol'emisfero settentrionale.

Tre di queste otto famiglie di pro-scimmie sono caratterizzate da incisiviallungati, presumibilmente adattati perscalfire e per rosicchiare, alla stessastregua dei denti piuttosto simili deiroditori e dei conigli attuali. Sembralogico supporre che questi antichi pri-mati abbiano iniziato la loro carrieraevolutiva in competizione con roditori.Non ebbero però successo e, primadella metà dell'Eocene, tutte e tre lefamiglie di proscimmie con denti ascalpello si erano estinte. Forse furonomesse fuori gioco dai roditori che di-venivano sempre più abbondanti men-tre esse si estinguevano.

I resti fossili di un componente diuna di queste famiglie estinte fu tro-vato recentemente da D. E. Russelldel Museo nazionale francese di Sto-ria naturale in strati del tardo Paleo-cene vicino a Cernav-les-Reims inFrancia. Questo antico primate fossile

appartiene al genere Plesiadapis e il ri-trovamento di Cernay include un cra-nio notevolmente completo e una se-rie relativamente completa di ossa diarti e di zampe posteriori. Uno schele-tro incompleto di Plesiadapis è statotrovato anche nei depositi paleocenicidel Colorado mentre in numerosi altriscavi nordamericani sono apparsi nu-merose mandibole, frammenti di man-dibole e denti. Incidentalmente, questescoperte in opposti emisferi fanno siche Plesiadapis sia il solo genere diprimati, a parte l'uomo, che sia vissu-to sia nel Vecchio sia nel NuovoMondo.

Le specie di Plesiadapis variano co-me dimensioni all'incirca da quelle diuno scoiattolo a quelle di un gatto do-mestico. Da vive probabilmente assomi-gliavano ai roditori nella stessa misurain cui erano simili ai primati (si vedala figura a pagina 56). Tuttavia il di-segno delle corone dei molari richia-ma quello di primati fossili dell'Eo-cene, tipo lemuridi, mentre la strut-

tura dell'arto collega Plesiadapis al-le proscimmie attuali dell'isola di Ma-dagascar.

Plesiadapis è, tuttavia, ben distinto.Il suo cranio ha una piccola scatolacranica e muso lungo. I suoi grossi in-cisivi, inclinati in avanti, sono ampia-mente separati dai molari. Questa di-sposizione è caratteristica dei roditorie, quantunque il genere sembri troppotardivo per essere un loro antenato, al-cuni ricercatori hanno avanzato l'ipo-tesi che l'ordine dei roditori possa es-sere derivato da animali non molto di-versi da Plesiadapis.

Plesiadapis possiede altri due carat-teri che lo distinguono da quasi tutti iprimati successivi. Innanzitutto la mag-gior parte delle dita, se non tutte, siadell'arto anteriore sia dell'arto poste-riore, terminavano con lunghi artigliappiattiti sui lati. Tra i primati viven-ti solo le tupaie hanno un artiglio perdito; tutte le altre specie hanno o un-ghie e artigli insieme o esclusivamenteunghie. Inoltre gli artigli dei primati

Gli antichi parenti dell'uomo

Testimonianze fossili del periodo compreso tra 60 e 12 milioni di anni fachiariscono i principali stadi dell'evoluzione dei primati e distinguonoil ceppo degli antropomorfi da cui è derivata la linea filetica umana

di Elwin L. Simons

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La seconda caratteristica, probabil-mente di minor significato, è la rasso-miglianza della struttura dell'orecchiomedio di Plesiadapis con quella di unnon primate, il galeopiteco o lemurevolante, che vive ancora nel sudestasiatico. La prima cosa da dirsi dei ga-leopiteci, come ha sottolineato GeorgeGaylord Simpson, è che « non sono le-muri e non possono volare ». I galeo-piteci sono cosí strani che i tassonomi-sti si sono trovati nella necessità diistituire per loro un nuovo ordine dimammiferi: i dermotteri. Avente ledimensioni di uno scoiattolo o pocopiù, con ampie duplicature cutanee perpoter planare, decorrenti dagli arti an-teriori all'estremità della coda, il ga-leopiteco mostra una scarsa rassomi-glianza esterna con gli altri mammife-ri viventi. Si è persino supposto chequest'animale sia imparentato, in ulti-ma analisi, sia con i primati sia con ichirotteri. La rassomiglianza dellastruttura dell'orecchio non è l'unica si-militudine tra i galeopiteci viventi e ilPlesiadapis da lungo tempo estinto: ledita del galeopiteco hanno esse pureartigli prensili. Tuttavia, ambedue que-ste similitudini potrebbero essere stateacquisite indipendentemente piuttostoche ereditate da un antenato comune.

Pur essendo antico come età e co-smopolita come distribuzione, Plesia-dapis è chiaramente un primate trop-po specializzato per essere l'antenatodi proscimmie più tardive. Questo ste-rile ramo dell'albero genealqgico deiprimati è significativo, sotto altri aspet-ti, per la loro storia. Innanzitutto, larelativa completezza dei suoi resti lorende il primate del Paleocene più este-samente noto. In secondo luogo, mol-ti particolari della sua forma schele-trica servono a collegare l'ordine a cuiappartiene con quello degli ancor piùantichi mammiferi placentali, gli inset-tivori, da cui presero origine i primati.

Progressi evolutivi dell'Eocene

I successivi primati fossili di cui esi-stono resti pressoché completi proven-gono dagli strati nordamericani del-l'Eocene medio. Gli esempi più notisono varie specie di due generi affini,che ricordano i lemuri: Notharctus eSmilodectes. La maggiore specializza-zione raggiunta da queste proscimmie

rispetto a Plesiadapis dimostra la rapi-da evoluzione dei primati avvenuta 50milioni di anni fa. Molti esemplari in-completi di Notharctus sono stati esau-rientemente studiati negli anni ventida Gregory. In seguito uno scheletroancora più completo di una specie -probabilmente Notharctus tenebrosus- è stato scoperto in mezzo alla colle-zione paleontologica della Yale Uni-versity. Pur senza cranio, tale schele-tro rappresenta uno dei due primatipiù completi e più antichi finora ritro-vati. C. Lewis Gazin della SmithsonianInstitution ha recuperato di recente,nello Wyoming sudoccidentale, parec-chi crani completi e molte altre ossadi Smilodectes gracilis. L'abbondanzadi questa nuova documentazione hapermesso di mettere insieme uno sche-letro e di ricostruire il probabile aspet-to di Smilodectes (si veda la figura apagina 58).

Questi primati del Nuovo Mondo as-somigliano ai lemuridi viventi sia perle proporzioni sia per la loro strutturagenerale. In contrapposizione a Plesia-dapis, animale dal piccolo encefalo,dotato di muso con occhi laterali, ilcranio di Smilodectes mostra un'in-grossamento della porzione frontaledell'encefalo e uno scivolamento dellaposizione degli occhi in avanti, cosic-ché i due campi visivi possano sovrap-porsi. Questi caratteri della testa, con-siderati assieme agli arti posteriori piut-tosto lunghi, suggeriscono che, da vi-vo, lo Smilodectes assomigliasse piut-tosto a uno degli attuali lemuridi mal-gasci, il sifaka o propiteco.

È assai improbabile, tuttavia, che loSmilodectes e il Notharctus siano sta-ti gli antenati dei lemuridi attuali. Èpiù verosimile che essi derivino daqualche membro di un genere euro-peo quale Protoadapis o Adapis, sem-pre dell'Eocene, ammesso che, davve-ro, gli antenati dei moderni lemuridinon fossero già in Africa a quell'epo-ca. Adapis ha la particolarità di esse-re stato il primo genere descritto di pri-mate fossile. Infatti il paleontologofrancese Cuvier lo descrisse nel 1822,pur pensando in origine che fosse unmammifero ungulato o un piccolo pa-chiderma e non un primate. Sfortuna-tamente nessuno di questi possibili pre-cursori del Vecchio Mondo degli at-tuali lemuridi è rappresentato in mi-sura adeguata da fossili, in modo dapoter fornire il tipo di informazioneparticolareggiata sullo scheletro di cuidisponiamo per i loro contemporaneidel Nuovo Mondo.

È questo il caso di una proscimmiaeuropea più o meno contemporanea, ilNecrolemur, nota in base al ritrova-

mento di crani e di ossa di arti nei de-positi di Quercy in Francia e in basea un'estrapolazione da parti di unaspecie affine ritrovata in Germania.Nel Necrolemur i progressi evolutiviriscontrati in Notharcus e Smilodectessono ancora più notevoli: si può nota-re un ingrossamento del proencefalo eun ulteriore accorciamento del muso.Uno spostamento in avanti della posi-zione degli occhi - con conseguentesovrapposizione dei campi visivi e unpotenziamento della percezione dellaprofondità - devono aver permesso alNecrolemur di svolgere una vita arbo\-ricola attiva nelle foreste dell'Eocene.In realtà, questo antico primate - an-che se probabilmente non è l'antenatodi nessuna proscimmia vivente - mo-stra una affinità molto più strettanei riguardi del tarsio dell'Asia sud-orientale, relativamente evoluto, piut-tosto che per i lemuridi malgasci, piùprimitivi.

I progressi evolutivi compiuti dalleproscimmie dell'Eocene, sia nell'Ame-rica settentrionale sia in Europa, so-no evidenti. Eppure non un singoloprimate fossile dell'Eocene nell'uno onell'altro continente sembra essere unantenato accettabile per il grande in-fraordine catarrini, che comprendetutti gli attuali primati superiori delVecchio Mondo, uomo incluso. Non sipuò fare a meno di chiedersi quali svi-luppi possano essersi verificati in Afri-ca e in Asia durante l'arco di tempodi più di 22 milioni di anni che costi-tuisce l'Eocene. In ambedue le regionila documentazione fossile non dicepraticamente nulla. In Asia gli unicifossili di primati noti, risalenti a que-st'epoca, sono pochi frammenti e pez-zi ambigui provenienti dalla Cina e al-cuni frammenti trovati in una forma-zione del tardo Eocene a Burma. Dal-l'Eocene africano non abbiamo ottenu-to non soltanto primati, ma neppurepiccoli mammiferi di qualunque tipo.

La filogenesi di tutti i primati ripercorrel'evoluzione dell'ordine dai suoi inizi, unpoco prima della metà del Paleocene (Siveda la scala cronologica nell'illustrazio-ne a fronte). Dapprima apparvero famigliedi proscimmie che si distaccarono da unceppo di base di mammiferi piccoli e tal.volta arboricoli, chiamati insettivori (lacui stirpe include le tupaie e le talpe.).Sullo schema le linee tratteggiate indica.no rapporti evolutivi ipotetici. Nell'inter.vallo tra l'Eocene e il Miocene questi rap-porti sono particolarmente incerti. Le li.nee continue (in colore) mostrano i perio-di (in neretto) in cui è noto che hannoprosperato specie dei gruppi citati. Appa-iono in colore i nomi di due generi diproscimmie e di due generi di antropoi-dei. Specie di ciascuno sono descritte e il-lustrate nei particolari in questo articolo.

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Uno dei frammenti di Burma è unasezione di mandibola contenente trepremolari e un molare, descritta nel1938 da Edwin H. Colbert dell'Ame-rican Museum of Natural History, chedenominò la nuova specie Amphipithe-cus mogaungensis. Una breve disgres-sione sui denti dei primati è necessa-ria per capirne il significato. Non èdifficile: basta contare. Il fatto è que-sto: indipendentemente dalle dimensio-ni o dalla forma dei denti, tutti i ca-tarrini adulti — le scimmie del Vec-chio Mondo, le scimmie antropomorfe

e l'uomo — hanno la stessa formuladentaria. In ogni mezza mascella omandibola si trovano dall'avanti all'in-dietro due incisivi, un canino, due pre-molari e tre molari. Nella grafia ana-tomica il fatto si esprime cosí:

2 : 1 : 2 : 3 X 2 = 322 : 1 : 2 : 3

Amphipithecus, per la presenza ditre premolari, è più primitivo — dalpunto di vista della dentatura — di unqualunque catarrino fossile o attuale.

La sua formula dentaria potrebbe es-sere stata la seguente:

2 : 1 : 3 : 3x 2 = 36

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Essa è tipica di alcuni lemuridi at-tuali e di molti platirrini — i tamarrinie le scimmie del Nuovo Mondo. Ep-pure, per altri caratteri, la mandiboladi Amphipithecus è più evoluta cheprimitiva. Il ramo orizzontale — quellaporzione su cui sono impiantati i den-ti — è alta e massiccia, come si verifica

Lo scheletro di Plesiadapis, una proscimmia del Paleocene, èstato ricostruito sulla base di ritrovamenti fossili francesi enordamericani e l'animale è stato disegnato per analogia con leattuali tupaie. Il caratteristico ampio diastema tra i molari di

questo animale e gli incisivi sporgenti sono evidenti nel parti.colare del cranio. Le specie di Plesiadapis variavano dalle di.mensioni di uno scoiattolo a quelle di un gatto. Esse appar.tengono a una famiglia che si estinse 50 milioni di anni fa.

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Smilodectes, una proscimmia dell'Eocene, è di parecchi milionidi anni più giovane di Plesiodapis e molto più evoluto. Il musoè più corto, la porzione frontale dell'encefalo è più grande,e gli occhi hanno una posizione tale che i due campi visivi si

possono sovrapporre. Anche se la sottofamiglia notarctini a cuiappartiene questo genere non fu ancestrale per nessuno dei pri-mati viventi, la relativa lunghezza degli arti posteriori rendeSmilodectes simile al sifaka. un lemuride attuale del Madagascar.

anche in molte scimmie antropomorfefossili e viventi. I premolari fossili, co-me pure i molari, sono simili ai denticorrispondenti che si trovano in Oligo-pithecus, un catarrino dell'Oligocened'Egitto scoperto di recente.

L'altro fossile di Burma comprendeambedue le porzioni posteriori di unamandibola, scoperta assieme a un seg-mento di mascella con due molari. Nel1927, G. E. Pilgrim della Indian Geo-logical Survey ha dato a questo ritro-vamento il nome di Pondaungia cot-teri. I due molari assomigliano, prati-camente in egual misura, a quelli del-

le proscimmie da una parte e a quellidi alcuni primati superiori del VecchioMondo dall'altra. Tuttavia il materia-le è cosí frammentario che alcuni stu-diosi hanno addirittura contestato l'in-clusione del genere suddetto nell'ordi-ne primati. Se non si conoscessero néAmphipithecus né Pondaungia, sem-brerebbe pressoché certo che gli antro-poidei del Vecchio Mondo abbianoavuto origine in Africa. È necessarioeffettuare ulteriori raccolte nella for-mazione dell'Eocene di Burma, conte-nente i fossili sia di Pilgrim sia di Col-bert, prima di poter formulare un

giudizio definitivo sul loro significato.Alla fine dell'Eocene, i primati si

differenziarono nell'arco di tempo diquasi 30 milioni di anni. È questo unlungo periodo eppure si conosce concertezza un solo risultato. Un certonumero di primati, simili ai lemuridi eai tarsii, andarono evolvendosi nelVecchio Mondo e alcuni devono avercontribuito all'origine dei primati in-feriori attuali, le proscimmie. Alcunimisteriosi frammenti fossili, trovati aBurma, non offrono fino alla fine del-l'Eocene alcun indizio di quello chedeve essere stato un importante, anche

se finora non documentato, sviluppoevolutivo nelle regioni tropicali delVecchio Mondo. Un simile progressopuò essere postulato con certezza mal-grado la scarsità delle prove, dato chegià all'inizio dell'epoca successiva —l'Oligocene — gli antropoidei fossili ap-paiono in numero e in varietà consi-stenti. È estremamente improbabileche questi primati dell'Oligocene sisiano evoluti — in termini di tempogeologico — in una sola notte. Finorale nostre cognizioni sulla loro distribu-zione geografica sono estremamente li-mitate: tutti i resti scoperti fino a og-gi provengono da un'unica formazio-ne nelle badlands desertiche della pro-vincia egiziana di Fayum.

La comparsa delle scimmie catarrine

Un centinaio di miglia nell'entroter-ra rispetto alla costa del Mediterraneoe a circa 60 miglia a sudovest del Cai-ro, al margine di una serie di scarpa-te e di banchi desertici, praticamenteprivi di vita animale e vegetale, si tro-va un lago salmastro. Alla fine dell'Eo-cene, la costa del Mediterraneo siestendeva molto in questo entroterrae i fiumi si riversavano in un mare po-co profondo dopo aver attraversatodense foreste tropicali. La regressionee l'avanzamento del mare o della ter-raferma sono chiaramente messi in lu-ce dall'alternarsi di strati di depositialluvionali e di strati di calcare mari-no. Al centro di queste scarpate, de-correnti da sudovest verso nordest trail lago e una cresta incappucciata di la-va, chiamata Gebel el Quatrani, si tro-va uno strato ricco di fossili costituitoda sedimenti sabbiosi del primo Oligo-cene, strato che, agli inizi del '900, hafornito per primo resti di primati.

I primati non erano i soli abitanti diquesta zona costiera e forestale del-l'Oligocene. Coccodrilli e gaviali nuo-tavano nei lenti corsi d'acqua. Nel sot-tobosco vivevano minuscoli roditori evarie specie affini all'attuale irace, as-sieme a cugini del moderno elefante,simili a maiali o a buoi. Il più grossocomponente di quella fauna era un er-bivoro con quattro corna, avente le di-mensioni e la forma dell'attuale rino-ceronte bianco. Fino alla recente spe-dizione paleontologica dell'Universitàdi Yale, l'inventario dei primati diFayum totalizzava sette frammenti diossa fossilizzate, un frammento di cra-nio (trovato da un collezionista profes-sionista nel 1908 e inviato al Museoamericano di Storia naturale), un os-so di calcagno, tre porzioni frammen-tarie della mascella e due mandibolequasi complete. Questa raccolta può

non sembrare particolarmente ricca,ma studi effettuati nel corso degli an-ni hanno dimostrato che i sette fossilirappresentano perlomeno quattro ge-neri e specie distinti dei primati del-l'Oligocene.

Durante l'inverno del 1963, alla fi-ne della quarta spedizione, più di 100esemplari di primati erano stati ag-giunti all'inventario di Fayum. Moltidi questi ritrovamenti sono rappresen-tati da denti singoli, tuttavia si hannoanche più di due dozzine di mandibo-le, un frammento di cranio e alcuneossa di arti. Finora i sedimenti di Fa-yum non hanno messo in luce crani oaltri resti fossili del tipo di quelli chefornirono informazioni tanto partico-lareggiate sulle proscimmie del Palco-cene e dell'Eocene. Tutto quanto è sta-to trovato rivela, tuttavia, molte cose.Per citare un esempio, una mandibolaincompleta è stata scoperta nel 1961da un membro della spedizione, Do-nald E. Savage dell'Università dellaCalifornia a Berkeley. Tale frammentopermette di istituire un nuovo generedi primati, che ho chiamato Oligopi-thecus: i molari della specie tipo indi-cano che esso può benissimo esseresulla linea evolutiva, o vicino alla li-nea evolutiva, che ha dato origine al-la superfamiglia delle attuali scimmiedel Vecchio Mondo: i cercopitecoidei.

L'altra superfamiglia di primati delVecchio Mondo gli ominoidei, sembrapure ben rappresentata tra i fossili diFayum. Sono presenti probabili ante-nati di una famiglia di ominoidei vi-venti — i gibboni e i siamanghi: la man-dibola ben conservata di un animaletipo gibbone, non ancora descritto, futrovata nel 1963 dalla spedizione. Intale contesto si dovrebbe notare che lostudio di tutti i fossili di Fayum appar-tenenti al genere Propliopithecus — permolti anni considerato come un ante-nato del gibbone — indica che esso, in-vece, rappresenta più genericamenteun antenato degli ominoidei.

Gli ominoidei del Miocene

Nell'intero arco di 11 milioni di an-ni dell'Oligocene, la fauna fossile eu-ropea non include un solo primate.Nell'epoca successiva, il Miocene, cheebbe inizio all'incirca 24-26 milioni dianni fa, i primati compaiono di nuovonella documentazione fossile d'Europa.Pochi anni dopo che Cuvier aveva bat-tezzato l'Adapis, l'antiquario paleon-tologo Edouard Lartet riportò unamandibola di primate dagli strati risa-lenti al Miocene, che si trovano aSansan in Francia. Questo ritrovamen-to costituí la base per poter istituire il

genere Pliopithecus. Da allora dozzinedi altri esemplari di Pliopithecus sonostate scoperte in formazioni del Mio-cene e del Pliocene, sia in Europa, siain Africa.

Più giovane di molti milioni di annirispetto agli ominoidei di Fayum, simi-li a gibboni, il Pliopithecus rappresen-ta presumibilmente un ulteriore pro-gresso nella linea filetica che conduceagli attuali gibboni. Eppure questoominoideo del Miocene mostra carat-teri generici. Gli arti anteriori dei gib-boni attuali sono considerevolmentepiù lunghi degli arti posteriori; Pliopi-thecus, invece, ha arti anteriori e po-steriori all'incirca della stessa lunghez-za. In realtà, dove è possibile fare deiconfronti, il Pliopithecus non è radical-mente diverso dagli altri ominoidei delMiocene più o meno contemporanei,ma non altrettanto ben conservati. Lostudio del suo scheletro ci dice moltosulla natura degli antichi ominoidei.

Un quasi temporaneo del Pliopithe-cus è il Dryopithecus, l'animale ricor-dato da Gregory come uno dei candi-dati a un ruolo ancestrale nei riguardidell'uomo. Il Dryopithecus fu pure bat-tezzato da Lartet che ne descrisse unamandibola nel 1856, quasi vent'annidopo aver scoperto il Pliopithecus. Daallora molti altri frammenti fossili diDryopithecus — ma nessun cranio oscheletro completo — sono stati trovatinegli strati del Miocene e perfino delPliocene in Europa. Alla fine degli an-ni cinquanta, denti fossili attribuibilial Dryopithecus sono stati scoperti indepositi di lignite nella Cina sudocci-dentale, indicando cosí che l'ambito didiffusione di questi ominoidei si esten-deva attraverso l'Europa fino all'Estre-mo Oriente.

Dato che l'inventario di fossili delDryopithecus consiste principalmentedi singoli denti e di denti infissi in ma-scelle o mandibole incomplete, il let-tore troverà utile conoscere altre carat-teristiche della dentatura dei primati.Queste riguardano piuttosto la formache il numero dei denti. Innanzitut-to, anche se le corone o superfici ma-sticatorie dei molari di qualsiasi pri-mate possono essere rese piatte da unausura che si prolunga per anni, ognicorona mostra normalmente parecchiesporgenze chiamate cuspidi: esistonotipicamente quattro cuspidi per coro-na, una a ogni angolo del dente. In se-condo luogo, tutti i membri di una del-le due superfamiglie di primati del Vec-chio Mondo — i cercopitecoidei — esibi-scono superfici masticatorie con unacuspide per angolo. Sul primo e se-condo molare superiore e inferiore,rilievi dello smalto si proiettano l'uno

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ANAGALE

CEBO CAPPUCCINO

GIBBONE

3:1 4 : 3

2 : 1 : 3 : 3

2 : 1 : 2 : 3x 2 = 44

x 2 = 36 x 2 =- 32

3 : 1 : 4 : 3

2 : 1 : 3 : 3

2 : 1 : 2 : 3

2 INCISIVI

1 CANINI

PRE-MOLARI

MOLARI

2

3

4

2

3

I primati superiori hanno meno denti del numero totale originale di 44 nei placentali(si veda la mandibola di Anagale a sinistra). I platirrini hanno perduto un incisivoe un premolare per parte sulla mascella e sulla mandibola e alcuni hanno perdutopersino dei molari. Pertanto i cebidi del Nuovo Mondo hanno 36 denti (Cebo cappuc-cino al centro). Tutti i catarrini hanno perduto un molare in più per parte cosicchéle scimmie del Vecchio Mondo, gli antropomorfi e l'uomo hanno soltanto 32 denti.

111,

-

L'Oreopithecus, una scimmia antropomorfa del Pliocene. Datoche la massima parte degli antropoidei fossili sono piccoli ele loro facce si prolungano in un muso, la sua scoperta non

mancò di destare notevole sensazione. Il suo profilo piatto, lasua altezza di 1,20 m e la capacità di camminare in posizioneeretta ne fecero un possibile « anello mancante » degli ominidi.

verso l'altro dalle due cuspidi delpaio anteriore; rilievi simili esistonotra le cuspidi del paio posteriore. Pri-ma che la corona si sia usurata, si no-ta spesso una lacuna a metà del rilie-vo; comunque, consumati o no, questimolari sono sempre inconfondibili.

D'altra parte, gli ominoidei presen-tano una loro particolare disposizionedelle cuspidi. I molari inferiori hannonormalmente cinque cuspidi al postodi quattro e la disposizione degli avval-lamenti che separano queste protube-ranze di smalto fa venire in mente in

una certa misura la lettera Y, con labase rivolta in avanti. Questa disposi-zione viene chiamata Y-5. Il suo signi-ficato evolutivo sta nel fatto che i mo-lari inferiori di Dryopithecus e dei pri-mi uomini mostrano tipicamente taleidentica disposizione. Pertanto que-st'ultima è un carattere ereditario chesi è conservato tra gli ominoidei peralmeno 24 milioni di anni.

Dato che i resti fossili del Dryopi-thecus in Europa e in Estremo Orien-te sono frammentari, essi non rivela-no quasi nulla circa il cranio e lo sche-

letro di questo ominoideo. Fortunata-mente scoperte effettuate in Africahanno modificato la situazione. Qui èstata accumulata, grazie all'instanca-bile opera di L. S. B. Leakey e deisuoi colleghi, una sostanziosa raccol-ta di resti fossili di primati del Mio-cene, in massima parte provenientidall'isola Rusinga nel lago Vittoria edalle coste circostanti il lago. Comerisultato, sono state descritte parecchiespecie di proto-antropomorfi africani,chiaramente compresi tra le dimensio-ni di un gibbone e quelle di un gorilla.

Malgrado questa varietà nella mole,tutte le specie suddette sono assegnatea un unico genere: Proconsul.

Tra le specie di Proconsul, i resti fos-sili più completi appartengono al Pro-consul africanus, avente le dimensionidi un gibbone. Essi includono parti didue crani — pressoché completi per laparte della faccia — e alcune ossa diarti tra cui parti di un piede e unavambraccio con una mano. L'imma-gine che emerge dallo studio di questomateriale è quello di un catarrino pro-gredito che mostra alcuni caratteri dascimmia nella mano, nel cranio e nel-l'encefalo, ma caratteristiche da omi-noideo e perfino parzialmente da omi-nide nella faccia, nelle mascelle e nel-la dentatura. Il piede e l'avambracciorichiamano alla mente alcuni adatta-menti da scimmia antropomorfa — tracui un'incipiente capacità a lasciarsidondolare con le braccia di ramo inramo — più che richiamare le scimmiearboricole o terragnole del VecchioMondo.

Recenti indagini tassonomiche mo-strano che specie del genere Procon-sul, con la loro abbondanza relativa diresti di scheletri dovrebbero quasi cer-tamente essere riunite al genere Dryo-pithecus.

Il mistero dell'Oreopithecus

In qualsiasi elenco che comprendagli antichi primati più completi non sipuò omettere la specie italiana Oreo-pithecus bambolii. I primi frammentidi questo primate furono scoper-ti un centinaio di anni fa. Da allo-ra, resti di Oreopithecus sono stati tro-vati in abbondanza nei depositi di li-gnite dell'Italia centrale, una forma-zione che viene variamente assegnataal tardo Miocene o al primo Pliocene.Nel 1956, Johannes Hiirzeler del Mu-seo di Storia naturale di Basilea haraccolto un certo numero di nuoviesemplari di Oreopithecus e, nel 1958,ha contribuito al ritrovamento di unoscheletro pressoché completo in unaminiera di carbone a Grosseto. Questomagnifico fossile è ancora sotto esa-me da parte degli specialisti di varienazioni.

Questi primati del Miocene-Plioce-ne avevano chiaramente una mole no-tevole: alcuni erano alti 1,20 m e pe-savano probabilmente più di 45 kg.Tra i primati attuali il più vicino co-me dimensioni sarebbe una femminadi scimpanzé. Dato che la sua faccia ècorta e piatta invece di essere un musoallungato e dato che gli studi sul ba-cino e sulle ossa degli arti suggerisco-no la possibilità di un'andatura eretta,

l'Oreopithecus ha goduto di una certanotorietà come possibile precursore di-retto della famiglia ominidi. Tuttavia,uno studio approfondito sull'esempla-re del 1958 ha condotto un certo nu-mero di ricercatori a conclusioni piut-tosto diverse.

Una delle cose sorprendenti del-l'Oreopithecus fu notata per la primavolta da Gregory negli anni venti: i mo-lari della mandibola assomigliano net-tamente ai corrispondenti denti di Api-dium, uno dei quattro primati facentiparte, all'inizio del Novecento, dei ri-trovamenti originali di Fayum e cosibattezzato. La cosa sorprendente è cheApidium risale all'Oligocene, cioè acirca 20-25 milioni di anni prima del-l'Oreopithecus. Questa notevole coinci-denza riguardo alla dentatura sarebbeprobabilmente rimasta una semplicecuriosità se la spedizione dell'Univer-sità di Yale non avesse ricuperato uncerto numero di altri denti di Apidium— questa volta molari superiori. Il lorostudio non è ancora stato completato,ma è già chiaro che i nuovi denti su-periori corrispondono agli equivalentidenti superiori di Oreopithecus, cosícome gli inferiori agli inferiori. Unasimile rassomiglianza avvalora l'ipote-si che, malgrado la separazione neltempo, l'antico Apidium e il relativa-mente moderno Oreopithecus appar-tengano a un unico gruppo di primatisuperiori del Vecchio Mondo, oggiestinto. Tuttavia Apidium non puòtrovarsi sulla linea ancestrale direttadi Oreopithecus, in quanto manca diun paio di incisivi, ancora presenti nel-l'Oreopithecus. Pur non essendo que-sto gruppo molto lontano in senso evo-lutivo dal filone pongidi-ominidi, sem-bra che esso abbia sviluppato le pro-

prie caratteristiche distintive fin dal-l'inizio dell'Oligocene.

Un driopitecino indiano

Giunti alla fine del Miocene, ci so-no rimasti appena 12-14 milioni di an-ni in cui scoprire un antenato dell'uo-mo; dobbiamo quindi riesaminare l'af-fermazione di Gregory. Si è dimostra-to che uno dei suoi candidati, il Dryo-pithecus, è un genere cosmopolita eche ha avuto una lunga vita: un ge-nere che appartiene a un gruppo ab-bondante di driopitecine a cui, contutta probabilità, appartiene anche laspecie africana di Proconsul. Che diredi Sivapithecus, l'altro candidato pro-posto da Gregory per un ruolo nellagenealogia degli ominidi?

La zona dei monti Siwalik dell'In-dia nordoccidentale e il Pakistan aessi adiacente furono noti ai paleonto-logi fin dalla prima metà del XIX se-colo per i loro depositi ricchi di fossilidel Miocene e del Pliocene. In questistrati Pilgrim, che descrisse Pondaun-gia, il primate di Burma, scopri nel1910 il Sivapithecus. In seguito, neglianni trenta, G. Edward Lewis collezio-nò da questi stessi strati dei fossili inuna spedizione organizzata dalle Uni-versità di Yale e Cambridge e scopriun certo numero di frammenti di man-dibola e di denti di primati. A tempodebito essi vennero assegnati a parec-chi generi separati, comprendenti al-cuni ulteriori esempi del Sivapithecusdi Pilgrim.

Un recente riesame delle specie diSivapithecus fa pensare che esse nonsiano cosí marcatamente diverse dalDryopithecus. Come il Proconsul, essepossono benissimo meritare nulla più

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RAMAPITHECUS

0 DIK KENY ITHECUS

di un ruolo di subgenere tra i cosmo-politi driopitecini. Ciò significherebbeche durante il Miocene e i primissimitempi del Pliocene — un arco di perlo-meno 15 milioni di anni — non soltan-to l'Africa e l'Eurasia, ma anche l'In-dia ebbe popolazioni separate di ununico genere di ominoidei. Per quantoconfuse e disorientanti siano la tasso-nomia e i rapporti evolutivi delle drio-pitecine, rimane il fatto inevitabile chelungo tutto il suddetto arco di tempoè questo il solo gruppo di primati, no-to nei vari continenti del Vecchio Mon-do, che possa essere considerato vici-no all'origine della linea filetica degliominidi.

A causa dell'amplissima distribuzio-ne dei driopitecini in tutto il VecchioMondo, può darsi che rimarranno sem-pre incerti il momento preciso e la lo-calizzazione del processo evolutivo chesegue il passaggio dagli ominoidei agliominidi. Eppure si può avanzare unapossibile ipotesi.

Un altro primate fossile che Lewisraccolse nei monti Siwalik fu il Ra-mapithecus. La specie tipo di Ramapi-thecus si basa su una porzione di unamascella destra e si chiama Ramapi-thecus brevirostris. Questo fossile in-clude i primi due molari, ambedue ipremolari, la cavità del canino, la ra-dice dell'incisivo laterale e la cavitàdell'incisivo mediano. Quando assiemead altri fossili di Ramapithecus vieneusato per ricostruire un'intera mascel-

la, completa di palato, il risultato è sor-prendentemente umano.

Le proporzioni di tale mascella indi-cano una faccia poco sporgente. Il rap-porto dimensionale tra gli incisivi e imolari è all'incirca lo stesso che nel-l'uomo (mentre gli incisivi delle scim-mie antropomorfe attuali sono relati-vamente grossi). In base alla dimensio-ne della cavità, il canino non dovevaessere molto più grande del primo pre-molare — un'altra caratteristica da orni-nide, contrapposta ai canini più gros-si dei pongidi. L'arco formato dai den-ti è curvo, come nell'uomo, e non pa-rabolico o a U, come nelle scimmieantropomorfe.

Da parente ad antenato

Proprio caratteri come questi, inter-medi tra i driopitecini e gli ominidi,hanno indotto Lewis, nel 1934, a sug-gerire che Ramapithecus poteva be-nissimo appartenere agli ominidi. Que-seipotesi fu messa in dubbio negli anniimmediatamente successivi. Secondo lamia opinione, tuttavia, il riesame del-la specie tipo e l'identificazione di nuo-vo materiale non fanno che rafforza-re la conclusione originale di Lewis.Decisioni tassonomiche di questo tiponon si possono prendere alla leggera,ed è sempre scomodo trarre importan-ti conclusioni da limitate testimonian-ze fossili. Pertanto è stato particolar-mente piacevole sapere nel 1962, che

Leakey aveva scoperto delle mascelledi un ominide simile, vicino a FortTernan, nel Kenya sudoccidentale.Leakey ha assegnato questo fossile al-la specie Kenyapithecus wickeri. Allastessa stregua dei resti del Ramapithe-cus brevirostris di Lewis, tale fossileconserva buona parte della dentaturasuperiore. Sono inclusi in essa i primidue molari per ogni parte, un secondopremolare intatto e il moncone di unprimo premolare. La cavità di un ca-nino è intatta. Separatamente sono sta-ti trovati un canino e un incisivo me-diano. La datazione dell'esemplare conil potassio-argo porta a un'età assolu-ta di 14 milioni di anni, un'età quasial limite tra il Miocene e il Pliocene.

Il significato del ritrovamento diFort Ternan sta nel fatto che Kenya-pithecus non solo ha legami anatomi-ci molto stretti con Ramapithecus maanche non mostra differenze significa-tive. In questo nuovo esemplare, sepa-rato da Ramapithecus dello spazio diun continente, si trovano la stessa fac-cia accorciata anteriormente, la stessacurva della dentatura e un piccolo ca-nino — tutti caratteri da ominide. Laconclusione è ora pressoché inevitabi-le: nel tardo Miocene, fino all'iniziodel Pliocene, in Africa e in India unaspecie progredita di ominoidei si stavadifferenziando da un ceppo di pongidipiù conservatore e stava sviluppando,in questo processo, importanti caratte-ristiche da ominide.

diAribuzione dei driopiteeini durante il Miocene e l'iniziodel Pliocene si estendeva attraverso l'Eurasia dalla Francia allaCina occidentale e includeva anche l'Africa Orientale e l'India

nordoccidentale. Nessun altro primate di quell'epoca aveva unadiffusione rosi ampia. Le croci mostrano dove sono stati tro-vati il Ramapithecus e l'apparentemente uguale Kenyapithecus.

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informazioni ENEL

Impianto idroelettricodi generazionee di pompaggiotra il Lago Delioe il Lago Maggiore

Nelle nazioni come l'Italia, nelle quali il contri-buto delle centrali termiche e nucleari al soddisfa-cimento del fabbisogno di energia elettrica, già og-gi rilevante, è destinato ad aumentare notevolmente— si legge in una memoria presentata nel 1969 dalProf. Arnaldo M. Angelini al Convegno dell'Accade-mia dei Lincei sulle "Tecnologie avanzate e loro ri-flessi economici, sociali e politici" — vi è da temponell'impostazione di nuovi impianti idroelettrici, enel rifacimento di quelli vecchi, una sempre piùmarcata tendenza a valorizzare le caratteristiche diflessibilità e di elasticità di servizio degli impiantiidraulici ed affidare ad essi sempre più compiti diregolazione, di integrazione e di riserva rotante ».

Questa evoluzione nell'impiego delle centrali idro-elettriche valorizza in modo particolare gli impian-ti di produzione-pompaggio a serbatoio che, oltread avere tutte le caratteristiche tecniche favorevoliai servizi di regolazione, integrazione e di riservarotante, esplicano il massimo del loro vantaggio tec-nico ed economico nel servizio di punta, quando inragione dell'intensificarsi della richiesta di energiaelettrica da parte dell'utenza, maggiore è la richie-sta di potenza nel sistema.

Un impianto idroelettrico di produzione-pompag-gio a serbatoio non è altro infatti che un mezzo pertrasferire della potenza da un momento all'altro del-la giornata; esso non dà alcun contributo alla co-pertura del fabbisogno di energia, anzi consuma piùenergia di quanta ne produca, ma consuma in com-penso energia in un momento in cui questa è po-co costosa, per restituirla durante le punte del cari-co e quindi in un momento in cui il suo pregio è no-tevolmente aumentato, realizzando un bilancio eco-nomico largamente attivo.

Nel suo schema tipico un impianto di produzione--pompaggio comprende due serbatoi naturali o ar-

tificiali a livelli diversi e una stazione generatrice edi pompaggio. Nei periodi di disponibilità di poten-za, ad esempio nelle ore notturne, l'acqua viene sol-levata, a mezzo delle pompe, dal serbatoio inferioree convogliata, a mezzo di una condotta forzata, inquello superiore. Nel periodo di fabbisogno di po-tenza, attraverso la stessa condotta e mediante l'ac-qua erogata dal serbatoio superiore e scaricata inquello inferiore, viene prodotta energia per il ser-vizio di punta.

L'accumulazione di energia mediante sollevamen-to di acqua con stazioni di pompaggio, viene prati-cata da oltre mezzo secolo, ma solamente in questiultimi anni essa ha assunto importanza crescenteovunque, ed in particolare in Italia, ove l'orografia el'idrologia di vari bacini imbriferi offrono condizioniparticolarmente favorevoli. Inoltre la tecnologia delmacchinario per stazioni di pompaggio, specie conl'introduzione delle turbine reversibili » che com-prendono in una unica unità le due funzioni del pom-paggio e della produzione elettrica, consente oggisemplificazioni ed economie di installazione e digestione.

Varrà la pena di notare, a questo proposito, cheil più grande impianto reversibile è in corso di com-pletamento, e parzialmente in servizio, proprio inItalia. Si tratta dell'impianto dell'ENEL del lago De-lio, che prende il nome dal suo serbatoio superioree che utilizza come serbatoio inferiore, il lagoMaggiore.

Il fatto che il nostro paese sia in posizione diavanguardia in questo particolare settore dell'indu-stria elettromeccanica pesante e dell'utilizzazionedei suoi prodotti non è rimasto estraneo alla sceltadi Roma quale sede del 6° Symposium dell'Associa-zione Internazionale per le Ricerche Idrauliche (no-ta come IAHR dalle iniziali della dizione inglese)che è stato ospitato in settembre presso la sedecentrale dell'ENEL per trattare il tema dei Proble-mi attuali relativi alle macchine idrauliche negli im-pianti idroelettrici di pompaggio ». La qualità e ilnumero dei partecipanti al Symposium, articolato insei sessioni, di cui la prima dedicata ad alcuni tra ipiù importanti schemi di produzione-pompaggio og-gi esistenti, ha dimostrato che quanto resta da farenel settore supera di molto ciò che è stato fatto, in-

dicando cosí un tema di sviluppo tecnologico nelquale l'Italia può esercitare un ruolo non secondario.

E non secondarie sono state le relazioni presen-tate dagli italiani al Symposium di Roma. Ricorde-remo tra le altre quella di Emilio Petrini dell'ENELche trattando il contributo dato alla sicurezza dellarete elettrica dell'impianto reversibile di Suviana--Brasimone in Emilia, ha toccato un ulteriore aspet-to delle funzioni degli impianti di pompaggio a ser-batoio. Il sistema di Suviana-Brasimone è dotato diun serbatoio superiore della capacità di 4 milioni dimetri cubi con un salto di 387 m ed è equipaggiatocon due pompe-turbine reversibili da 185 MW cia-scuna. Esso è l'unico impianto idroelettrico previstoper essere collegato alla rete da 400 kV italiana aSud del Po. Oltre svolgere la funzione di renderedisponibile della potenza nelle ore del massimo ca-rico esso è dotato di tutte le caratteristiche per svol-gere un ruolo importante riguardo alla sicurezza econtinuità del servizio elettrico. Sotto questo aspet-to è rilevante nell'impianto di Suviana-Brasimone,l'attitudine a immettere potenza nella rete quali chesiano le condizioni di perturbazione o di difetto ditensione, fino alla ipotesi estrema del « black-out »generale, in ragione della brevità dei tempi di avviodell'impianto e dalla indipendenza da fonti esternedi energia.

Tra le relazioni italiane segnaleremo quella delProf. Mario Medici dell'Università di Padova cheanalizza lo stato attuale e le prospettive delle mac-chine idrauliche reversibili, dopo aver fornito unarassegna storica degli sviluppi di tale tecnologiache prese le mosse quarant'anni or sono quandola Riva-Calzoni installò nel sistema idroelettrico aserbatoio di Baitone per la prima volta nel mondo,quattro pompe-turbina da 420/295 kW.

Numerose altre relazioni italiane hanno fornito, al

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informazioni ENEL

Symposium dell'IAHR un quadro dell'apporto datodai nostri tecnici e dalla nostra industria allo svi-luppo ed alla produzione degli impianti di pompag-gio ed in particolare delle macchine idrauliche e deirelativi componenti, nonché della esperienza gestio-nale derivante dal loro inserimento nel sistema elet-trico italiano.

Di non minore interesse sono i rilievi attinenti al-la economia dei sistemi di pompaggio fatti dal Prof.Arnaldo M. Angelini, nella relazione introduttiva te-nuta nella qualità di Presidente del Comitato pro-motore del Symposium.

La competitività economica degli impianti di pom-paggio, ha ricordato in sostanza il Prof. Angelini, ècaratterizzata da vari elementi, due dei quali assu-mono valore essenziale. Essi sono il costo capitaledell'impianto per ogni kW reso disponibile nelle oredi punta e il costo dell'energia elettrica impiegataper il pompaggio.

Per quanto riguarda il primo elemento gli impian-ti di pompaggio in costruzione, in progetto ed allostudio in Italia presentano un costo di impianto perkW reso disponibile, inferiore al costo corrisponden-te di una centrale termica tradizionale.

Quando i nuovi fabbisogni di energia elettrica sa-ranno soddisfatti in maniera prevalente dagli impian-ti nucleari, il termine di paragone rappresentato og-gi dal costo capitale delle centrali termiche tradizio-nali, subirà un notevole aumento, in quanto il costoper kW degli impianti nucleari è oggi all'incirca dop-pio di quello delle centrali a combustibili fossili enon appare probabile che il progresso tecnico pos-sa far scendere il costo specifico di una centralenucleare a valori prossimi a quelli degli impiantitradizionali.

Per quanto concerne il secondo elemento — haricordato ancora il Prof. Angelici — è noto che peril pompaggio viene impiegata l'energia che si ren-de disponibile nei periodi di basso carico e pertan-to il suo valore è molto prossimo al costo margina-le della produzione termica. In futuro, con il ricor-so sempre più ampio alla fonte nucleare, tale co-sto marginale si ridurrà in misura notevole: in Italiaesso è già inferiore alla metà dell'analogo costo re-lativo alla produzione tradizionale. Se nei prossimianni i reattori convertitori di tipo avanzato si affer-

meranno, tale costo marginale, secondo il Prof. An-gelini, scenderà ulteriormente e potrà pervenire, conimpianti con reattori ad acqua pesante, a valori pa-ri a circa la metà di quelli ottenuti nelle centrali conreattori di tipo sperimentato. In un futuro meno pros-simo, ma non lontano, l'avvento dei reattori autofer-tilizzanti dovrebbe comportare un ulteriore e sostan-ziale riduzione del costo marginale dell'energia elet-trica di origine nucleare.

In sintesi i due elementi essenziali che determi-nano l'economia degli impianti di pompaggio do-vrebbero in avvenire presentare un'evoluzione net-tamente favorevole al loro sviluppo. Se poi si ten-gono presenti le prestazioni tecniche difficilmenteeguagliabili degli impianti idroelettrici per quanto ri-guarda sicurezza e continuità di funzionamento, ra-pidità di risposta alle variazioni di carico, rapiditàdi messa in marcia ecc., risultano ancora più giusti-ficate le notevoli prospettive di impiego degli im-pianti di pompaggio in quei Paesi che, come l'Italia,dispongono di vari bacini imbriferi con caratteristi-che orografiche ed idrologiche favorevoli.

Per concludere ci soffermeremo sulle caratteristi-che del complesso del lago Delio che, come si èdetto, è il massimo impianto reversibile del mondo.

L'impianto è situato nei territorio del Comune diMaccagno, in provincia di Varese; la centrale — deltipo in caverna — si trova in località Roncovalgran-de, a circa 6 km di distanza dal confine italo--svizzero.

I due bacini dell'impianto sono rappresentati dallago Maggiore che viene a costituire il bacino infe-riore e dal lago Delio che dà il nome all'impianto eche forma il bacino superiore; tra di essi vi è un di-slivello massimo di circa 750 metri.

Tra le realizzazioni di maggior impegno è da ri-cordare l'esecuzione di due dighe in calcestruzzodel tipo a gravità massiccia, atte ad aumentare lacapacità del lago Delio — che allo stato attuale èassai modesta — fino a 11 milioni e 200 mila metricubi.

Carattere eccezionale riveste la colossale operadi scavo che ha consentito di realizzare nel cuoredella montagna una enorme caverna Prtificiale incui trovano posto tutte le macchine destinate allaproduzione ed alla trasformazione dell'energia elet-

trica, oltre alle colossali pompe destinate a reim-mettere le acque scaricate nel lago Maggiore, nelbacino del lago Delio.

La portata massima derivabile complessivamentedalle otto turbine Pelton è di 160 m 3 /s, quella dellepompe multistadio di circa 94 m 3/s sempre su 8unità, con potenza globale corrispondente a 1040MW in generazione e a 720 MW in pompaggio.

La considerevole capacità di accumulo, che am-monta ad oltre 9 milioni di m 3 di acqua equivalentia circa 15 milioni di kWh, consente a questo impian-to di svolgere sia funzione di punta che funzionedi « riserva calda » con interventi di emergenza del-la durata di alcune ore, in caso di guasti ad altrigrandi gruppi generatori della rete.

La produzione annua, stimando che la utilizzazio-ne della potenza sia di circa 1000 ore all'anno, sa-rà di 1 miliardo di kWh ottenuta praticamente perintero mediante l'accumulo per pompaggio: infattiil bacino imbrifero afferente al lago Delio è di so-li 4,85 km2.

Il macchinario dell'impianto del lago Delio è sta-to costruito interamente in Italia. Questo fatto richia-ma le grandi possibilità che restano ancora aperteall'industria italiana nel campo delle grandi attrez-zature idroelettriche anche con riferimento all'espor-tazione. Inoltre va tenuto presente che la capacitàproduttiva nel campo delle macchine idraulicheapre grandi occasioni di lavoro anche nel campodelle centrali termiche e nucleari. Basti pensare al-le pompe di alimento delle grandi caldaie che rag-giungono potenze dell'ordine delle decine di miglia-ia di kW per unità e alle pompe associate alle ope-re idrauliche delle stesse centrali.

In definitiva l'energia idroelettrica, giunta ormai inItalia vicino al limite massimo delle sue possibilitàdi sfruttamento si presenta ancora come occasionedi lavoro e di progresso tecnologico per la nostraindustria elettromeccanica.

Folco Simen

Centrale 1 fase.Vista sala macchine. (Dicembre 1970)