Giustizia per i migranti - osservatoreromano.va · quali avrebbero dovuto obbedire tutti i robot....

23
L’Osservatore Romano il Settimanale Città del Vaticano, giovedì 8 novembre 2018 anno LXXI, numero 45 (3.968) Giustizia per i migranti

Transcript of Giustizia per i migranti - osservatoreromano.va · quali avrebbero dovuto obbedire tutti i robot....

L’Osservatore Romanoil SettimanaleCittà del Vaticano, giovedì 8 novembre 2018anno LXXI, numero 45 (3.968)

Giustiziaper i migranti

L’Osservatore Romanogiovedì 8 novembre 2018il Settimanale

2

L’OS S E R VAT O R E ROMANO

Unicuique suum Non praevalebunt

Edizione settimanale in lingua italiana

Città del Vaticanoo r n e t @ o s s ro m .v a

w w w. o s s e r v a t o re ro m a n o .v a

GI O VA N N I MARIA VIAND irettore

GIANLUCA BICCINICo ordinatore

PIERO DI DOMENICANTONIOProgetto grafico

Redazionevia del Pellegrino, 00120 Città del Vaticano

fax +39 06 6988 3675

Servizio fotograficotelefono 06 6988 4797 fax 06 6988 4998

[email protected] w w w. p h o t o .v a

TIPO GRAFIA VAT I C A N A EDITRICEL’OS S E R VAT O R E ROMANO

Abb onamentiItalia, Vaticano: € 58,00 (6 mesi € 29,00).

telefono 06 6989 9480fax 06 6988 5164i n f o @ o s s ro m .v a

«Game of Thrones» è il titolo di una fortunataserie televisiva prodotta dalla Hbo. Ambienta-ta in un tempo e in uno spazio immaginari, laserie, trasmessa in italiano come «Il trono dispade», descrive con toni decisamente shake-speariani la miope lotta per il potere diun’umanità incapace di unirsi per fronteggiareuna minaccia comune che mette a repentagliola sua stessa sopravvivenza. Un’umanità sospe-sa tra una lunga estate ormai al tramonto e uneterno inverno sempre più incombente: «Win-ter is coming» è infatti una delle frasi più cita-te di «Game of Thrones». E anche una dellepiù copiate se è vero che lo scorso 2 novembreil presidente statunitense Donald Trump, percomunicare la reintroduzione delle sanzionicontro l’Iran, ha twittato la sua immagine ac-compagnata dall’annuncio: «Sanctions are co-ming, november 5».

L’adozione delle misure che hanno sancitol’uscita unilaterale di Washington dal trattatointernazionale sul nucleare iraniano sono statequindi presentate da Trump come se si trattas-se dell’uscita di un film, usando cioè strumenticomunicativi molto popolari, ma anche parec-chio aggressivi. Ma in fondo questo è stato iltono dell’intera campagna elettorale per il votodi medio termine che martedì 6 novembre harinnovato l’intera camera dei rappresentanti eun terzo del senato statunitensi oltre a elegge-re trentasei governatori.

Gli osservatori sono infatti concordi nel rite-nere che l’annuncio delle sanzioni all’Iran e al-tre iniziative intraprese dal presidente in que-ste settimane vadano lette come un tentativodi ricompattare l’elettorato che due anni fa hagarantito l’inaspettata ascesa del tycoon allaCasa Bianca. Evidentemente i successi rag-giunti dall’amministrazione in campo econo-mico, con un tasso di disoccupazione bassissi-mo intorno al 3,7 per cento, non sono stati ri-tenuti sufficienti ad assicurare la vittoria deirepubblicani, che, come previsto dai sondaggihanno perso la maggioranza nella camera bas-sa. È ancora presto per affermare con certezza

che questo risultato riduca il presidente a unalame duck (anatra zoppa), anche perché i re-pubblicani hanno rafforzato la loro maggio-ranza in senato. Ma la capogruppo dei demo-cratici alla camera dei rappresentanti, NancyPelosi, ha già affermato che il suo partito haintenzione di ripristinare i controlli costituzio-nali sull’amministrazione Trump. Con gli equi-libri scaturiti dal voto di medio termine, iprossimi due anni si preannunciano quindi co-

me una lunga campagna elettorale per la corsaalla Casa Bianca.

Il rischio che Trump vedesse fortemente li-mitato il suo campo d’azione, spiega l’attivi-smo dell’inquilino della Casa Bianca nelle set-timane precedenti alla consultazione e spiegaanche i suoi toni particolarmente accesi. Perchiamare a raccolta l’elettorato repubblicanoTrump ha quindi usato l’arma della politicaestera, indicando agli Stati Uniti le minacceche giungerebbero da oltre confine, siano que-ste costituite dai migranti provenientidall’America centrale o dall’accordo interna-zionale faticosamente raggiunto con l’Iran. Eanche la decisione di uscire dal trattato suimissili a corto e a medio raggio è stata letta damolti in chiave elettorale, come il tentativo dismarcarsi da Putin dopo le grane giudiziarieper la presunta ingerenza russa nelle elezionipresidenziali del 2016.

La strategia messa in campo dal presidenteha in parte pagato. L’onda blu (dal colore chesimbolegga il partito democratico) prevista damolti non c’è stata. E nonostante la sconfittaalla camera dei rappresentati, Trump ha diffu-so un messaggio via Twitter in cui ringrazia ilsuo elettorato «per l’enorme successo ottenu-to». Più amaro, ma anche più realista, lo spea-ker repubblicano uscente, Paul Ryan. «Nonserve un’elezione — ha dichiarato dopo la dif-

Tru m pe il trono di spade

#editoriale

di GIUSEPPEFIORENTINO

Le elezionidi medio terminenegli Stati Uniti

fusione dei risultati — per sapereche siamo una nazione divisa, chee ora abbiamo una Washington di-visa. Come paese e come governodobbiamo cercare un terreno co-mune».

La divisione e la difficoltà di in-dividuare un comune terreno diazione sembrano ormai essere unarealtà negli Stati Uniti. Una realtàforse amplificata dal tipo di comu-nicazione scelta dall’amministrazio-ne e che ha trovato espressione nel-le singole competizioni elettoralidel voto di medio termine. Come

quella che in Georgia ha visto contrappostiper la carica di governatore il repubblicanoBrian Kemp e la democratica Stacey Abrams.Se avesse vinto Abrams sarebbe stata la primadonna nera a essere eletta governatore. Ma,seppur di poco e tra mille polemiche, le urnele hanno dato torto. Altre 99 donne sono stateinvece elette alla camera dei rappresentanti. Sitratta di un numero record e di un evidentesegno di cambiamento.

L’Osservatore Romanogiovedì 8 novembre 2018il Settimanale

3

di LUCIANOVIOLANTE

Isaac Asimov, forse il più grande scienziatoscrittore di fantascienza, agli inizi degli anniquaranta del Novecento fissò tre leggi allequali avrebbero dovuto obbedire tutti i robot.Eccole: un robot non deve arrecare danni a unessere umano né, attraverso omissioni, permet-tere che un essere umano riporti danni; un ro-bot deve obbedire agli ordini che impartisceun essere umano, eccetto quelli che entrino inconflitto con la prima legge; un robot deveproteggere se stesso, ma sino a quando la pro-tezione non entri in conflitto con la prima ocon la seconda legge. Successivamente si poseun problema: se la eliminazione di un essereumano potesse salvare l’intera umanità, il ro-bot potrebbe violare la prima legge?

A quel tempo sembrava trattarsi di problemiastratti. Oggi quei problemi sono divenuticoncreti e rientrano nella categoria che vienedefinita come etica dei robot. Di questa sistanno occupando governi, grandi università,centri di ricerca. Ultimamente, il 16 ottobre, sene è discusso presso la New York Universitydove opera l’AI Now Institute, fondato nel2017 con il patrocinio dell’Ufficio per le politi-che relative alla scienza e alla tecnologia, cheopera presso la Casa Bianca.

Nell’incontro newyorkese si è parlato ap-punto di etica dei robot, in relazione agli scan-dali che hanno interessato le maggiori aziendedi alta tecnologia: da quello di CambridgeAnalytica, che ha mostrato la potenza dei bigdata (cioè dell’elaborazione di immensi archivielettronici) per costruire consenso politico, allaviolazione dei dati su Facebook, che ha co-stretto Mark Zuckerberg a dare spiegazioni,non tutte convincenti, davanti alla camera deirappresentanti statunitense e al parlamento eu-ropeo. E il convegno si è sviluppato attorno atre temi oggetto di altrettanti gruppi di lavoro:le implicazioni etiche dei nuovi sistemi di rico-noscimento facciale, gli effetti sociali della in-telligenza artificiale, l’uso di quest’ultima neisistemi d’arma.

Le considerazioni più preoccupanti sono ve-nute dal primo gruppo di lavoro. Amazon hainfatti sviluppato un complesso programma diriconoscimento facciale per fornire alle forzedi polizia gli elementi per identificare gli ap-partenenti a bande criminali. Ma il sistema hadimostrato un alto grado di pregiudizio neiconfronti di afroamericani e latini, al puntoche sono stati identificati come potenziali cri-minali addirittura ventotto membri del con-

gresso. L’algoritmo di per sé non ha pregiudi-zi. Ma se la sua applicazione appare irricevibi-le in quanto viziata da pregiudizio, il difettonon è nell’algoritmo bensì nella testa di chi loha costruito.

Questa vicenda dimostra che l’e s p re s s i o n e“etica dei robot” può trarre in inganno perchéè viziata da ipocrisia. Un’etica delle macchineinfatti non esiste; le scelte che le macchinecompiono sono invece conseguenza delle scel-te degli uomini. I vincoli etici devono esserescritti per l’uomo, non per la macchina. L’ideache la vita buona sia costituita dal dominio diuna razionalità estrema, la cui qualità sta pro-prio nell’essere estrema, ha davanti a sé unmoderno Leviatano. Con una differenza: aquello antico gli uomini consegnavano volon-tariamente le loro libertà per avere sicurezza;questo nuovo le libertà degli uomini se leprende, regalando un’ebete sensazione di mo-dernità. La transizione verso la civiltà della in-telligenza artificiale dev’essere dunque accom-pagnata da una cura assidua della democraziae dei suoi valori. Altrimenti potremmo precipi-tare nell’accogliente burrone di un suadentedisp otismo.

Il nuovoLeviatano

#ilpunto

A New Yorkuna conferenzasull’eticadei robot

L’Osservatore Romanogiovedì 8 novembre 2018il Settimanale

4

Cento anni fa, l’11 novembre 1918, con la firmatedesca all’armistizio imposto dall’Intesa, siconcludeva la prima guerra mondiale. La piùrilevante conseguenza politica del conflitto erala dissoluzione dei quattro imperi dell’E u ro p acentro-orientale — lo zarista, il guglielmino,l’asburgico, l’ottomano — sostituiti da numero-si Stati successori. Tra questi, e non certo fra iminori, era la Polonia, che di quel fatidico 11novembre avrebbe fatto il suo giorno di festanazionale, quest’anno con giubilare valenzacentenaria. Condannata per 123 anni all’inesi-stenza storica dalle tre spartizioni settecente-sche operate da russi, prussiani e austriaci, afine 1918 la Polonia veniva ricostituita nellasua sovranità. Il dominio straniero era finito.

L’indipendenza veniva dopo continue lottee sofferenze, specie di quella parte maggiorita-ria della Polonia, con Varsavia stessa, compre-sa nell’impero zarista. Basti ricordare le insur-rezioni del 1831 e del 1863, tragicamente finite

danti militari polacchi, si erano trovati su fron-ti opposti ma nel cuore avevano un comune ir-riducibile sentimento patriottico: la morte inguerra dei loro combattenti doveva servire allaresurrezione della loro nazione, non ad altruicause come la germanica o l’intesista. Non acaso Piłsudski venne infine imprigionato daitedeschi per i limiti che poneva alla collabora-zione con loro in assenza di adeguato contrac-cambio.

I Diari di monsignor Achille Ratti, che rap-presentava la Santa Sede a Varsavia, descrivo-no con vividezza i momenti della ritrovata in-dipendenza: «10 novembre (...) è arrivatoPiłsudski dalla detenzione di Magdeburgo.Una specie di Garibaldi polacco, idolo del po-polo e specialmente dei soldati polacchi (...) 11novembre (...) Subbuglio e fermento della po-polazione. Disarmo dei Tedeschi nelle strade(...) tra ieri e questa notte, la città è passatadai Tedeschi ai Polacchi. Occupazione di po-

Un complesso mosaicochiamato Polonia

Nel centenariodell’indipendenza

#culture

di ROBERTOMOROZZO DELLA RO CCA

Józef Piłsudski giovanissimoin una foto d’epoca(il terzo da sinistra)

nel sangue. Anche nella prima guerra mondia-le i polacchi si erano non poco sacrificati perottenere l’indipendenza. Forze armate polac-che avevano combattuto in tutti gli esercitidelle potenze dominatrici, versando il lorosangue per le bandiere tedesche, austro-unga-riche, russe, francesi, nella speranza di ricevereun giusto compenso per la loro patria una vol-ta concluse le ostilità. Józef Piłsudski e JózefHaller, per nominare i due maggiori coman-

sti, istituti, residenze. Nethe coi cadetti si so-stiene in Castello. Piłsudski lo parlamenta: sonlasciati uscire con le armi. Anche la cittadelladopo qualche resistenza. Automobili e carroz-ze levate strada facendo a’ Te d e s c h i » .

Il sangue versato in guerra ottenne rispettointernazionale per i polacchi. Tuttavia nonsembrerebbe essere stato l’elemento decisivoper ottenere l’indipendenza. Questa venne in

L’Osservatore Romanogiovedì 8 novembre 2018il Settimanale

5

definitiva, senza troppa pena, per l’implosionepolitico-militare dei tre imperi in possesso del-le terre polacche. A consentire la rinascita del-la Polonia furono il collasso dell’impero zari-sta nel febbraio 1917 (cui fece seguito un go-verno provvisorio che dichiarò indipendente laPolonia già russa, per far danno a chi la occu-pava militarmente dal 1915, ossia tedeschi e au-striaci), e poi la repentina scomparsa degli im-peri centrali additati dalla propaganda dell’In-tesa come prigioni di popoli cui procurare lalib ertà.

Col tacere delle armi e la rovina delle po-tenze spartitrici, la Polonia si ricostituiva comefosse quanto di più naturale dovesse accadere.Del resto durante gli anni del conflitto il suodiritto all’esistenza sovrana e alla riparazionedi un’ingiustizia storica era stato riconosciutoda tutte le potenze, sia pure con accenti cali-brati sui rispettivi interessi strategici. Due vociin particolare, dotate di grande autorità mora-le, avevano difeso la causa polacca senza riser-

lista nazionale, le cui capacità politiche nonerano inferiori a quelle militari. Dopo alternevicende belliche e diplomatiche, si ebbe unaPolonia in parte piastica in parte jagellonica,più estesa di quanto immaginasse Dmowskima meno estesa di quanto desiderasse Piłsud-ski. Era una Polonia abitata per due terzi dapolacchi e per un terzo da minoranze alloge-ne, mentre limitate minoranze polacche rima-nevano in terre tedesche e russe.

Ciò che tuttavia maggiormente importava,al di là delle contese di nazionalità di quell’in-fuocato momento storico, era il risorgimentopatrio. Per tanti anni, la Polonia era stata il«Cristo delle nazioni», come Adam Mickie-wicz l’aveva definita, o, se si preferisce evocareAndrzej Towiański, la Polonia era stata «mar-tire come Cristo, crocifissa come Cristo, desti-nata alla resurrezione come Cristo». Ormai, iltempo dei grandi poeti romantici era finito. LaPolonia campeggiava di nuovo nella storia, suforti basi, e ben convinta di sé.

sivo di molte terre polacche. Nei loro confron-ti Piłsudski ottenne la vittoria decisiva alleporte di Varsavia assediata nell’agosto 1920.

Tre anni sarebbero occorsi per definire icontorni della rinata Polonia, con il risultatofinale di uno Stato intermedio tra le due op-zioni geopolitiche tradizionali polacche, quellapiastica e quella jagellonica, corrispondentil’una alla Polonia medievale dei Piast, tra X eXIV secolo, etnicamente raccolta e omogenea,estesa solo fin dove vi fosse una chiara preva-lenza della civiltà polacca, e l’altra al grandeStato polacco-lituano degli Jagelloni, multiet-nico e multireligioso, che fra XIV e XVIII secoloaveva visto la creazione, sotto Varsavia, di unasorta di pacifico e tollerante Commonwealthdi popoli diversi fra Mar Baltico e Mar Nero.Nella Polonia ricostituita del 1918, le due op-zioni corrispondevano ai programmi dei dueillustri statisti di cui il paese disponeva, il con-servatore Roman Dmowski e per l’appunto Jó-zef Piłsudski, d’ispirazione per così dire socia-

#culture

ve e incertezze, quelle del presidente Wilson edi papa Benedetto X V.

Leader della nuova Polonia veniva acclama-to il maresciallo Piłsudski, figura carismatica eavventurosa che non si lasciava illudere dallafacilità con cui intorno all’11 novembre lo Sta-to polacco s’era d’improvviso ricostituito. Nona caso la prima cura di Piłsudski era per l’eser-cito. Un conto era il riconosciuto dirittoall’esistenza della Polonia e un altro la defini-zione delle sue frontiere, lasciate impregiudica-te e vaghe a nord come a sud, ad est come adovest, stante anche la mescolanza etnica esi-stente ai margini del nucleo storico delle terrepolacche. Sarà compito di Piłsudski regolaredurissimi contenziosi territoriali con tedeschi,russi, ucraini, lituani, cechi, tra guerre, colpi dimano militari, referendum territoriali, e senzapoter contare su alcun sostanziale aiuto ester-no. Un grosso pericolo veniva dai bolscevichiche ambivano a ricostituire sotto la loro egidail defunto complesso imperiale russo compren-

L’eroe nazionalegenerale Józef Haller

L’Osservatore Romanogiovedì 8 novembre 2018il Settimanale

6

di DARIOFERTILIO

Ci sarà una ragione se la corsaall’«inutile strage» del primoconflitto mondiale (1914-1918) —per ricordare la celebre e presagadefinizione di Benedetto XV — rispose alrichiamo di un diabolico pifferaio di Hamelin.Deve infatti esserci una spiegazione per quelprecipitare collettivo nell’imbuto della Grandeguerra, con i suoi sedici milioni di morti el’Europa in ginocchio. Sicché articoli e conve-gni nel centenario della fine del conflitto si ri-trovano ad affrontare pressappoco la medesi-ma questione: come sia stato possibile che tan-ti politici, intellettuali, artisti, parrucchieri,operai, carrettieri e uomini di Chiesa si sianoritrovati a fianco a fianco nell’esigere che siandasse alle armi il prima possibile, in nomedi un nazionalismo revanscista e irrazionale. Ecome mai in Italia le solide ragioni umanitariedel pacifismo, gli indubbi interessi politici le-gati al neutralismo, e la sofferta imparzialitàdella Santa Sede nulla abbiano potuto nell’ar-ginare l’onda montante.

Su questo apparente mistero si è ora dibat-tuto in tre importanti occasioni: a Vicoforte, inPiemonte, per iniziativa della Fondazione Gio-litti («L’età vittorioemanuelina-giolittiana»); aMilano sotto l’egida della Fondazione Kuli-scioff (con l’apertura contemporanea della mo-stra sul «Pacifismo sconfitto»); e a Venezia do-

sione dell’internazionalismo proletario, già cor-roso dalle varie mobilitazioni patriottiche otto-centesche e rivelatosi, alla resa dei conti, unareligione laica troppo astratta per reggereall’urto delle passioni di piazza. Quanto ai li-berali, non riuscirono a evolvere dalla loro tra-dizione risorgimentale — legata alla destra e al-la sinistra storiche — in moderna classe politicariformatrice, finendo con il porsi al seguito,come il direttore del «Corriere della Sera»Luigi Albertini, delle nuove ideologie irreden-tistiche e imperiali.

Ed è proprio qui, in singolare consonanza,che molte analisi convergono: il nazionalismodivenne irresistibile perché agì come un virusinfettivo sulle menti di governanti e governati.Mentre in Russia si preparava il totalitarismocomunista (secondo la definizione di Lenin,somma di soviet ed elettrificazione industriale)e nell’Europa centrale maturavano le condizio-ni per l’avvento del nazionalsocialismo (con

l’incrocio fra mitologia ariana ed evoluzioni-smo darwiniano), il contagio nazionalista met-teva in campo la sua potenza espansiva, fon-dendo mito delle origini e controllo centraliz-zato dei mezzi di produzione e dell’opinionepubblica. L’Italia, come gli altri, si ritrovò cosìa scivolare lungo un piano inclinato dal quale— e il monito che se ne trae è più che mai at-tuale — diventò alla fine impossibile tornarei n d i e t ro .

Nell’imbutodella Grande guerra

Tre convegnie una mostra

in Italia

La locandinadell’esposizione milanese

#scaffale

di tempo eccezionalmente breve risucchiatedall’interventismo nazionalistico.

Sulle ragioni della frattura all’interno delmondo cattolico, e dell’isolamento di Benedet-to X V, si è scritto non poco e anche di recente.Se in quel caso un ruolo importante fu giocatodalle diverse Chiese nazionali, incapaci di co-gliere l’importanza della scelta di imparzialitàdel Papa, fra i socialisti mancò invece la coe-

ve la facoltà di dirittocanonico San Pio X haorganizzato i lavori in-torno a «La fine dellaGrande guerra e laChiesa nella Mitteleuro-pa». Non a caso, con-vegni concepiti rispetti-vamente in ambito libe-rale, socialista e cattoli-co, quasi a richiamare letre forze politico-cultu-rali inizialmente immu-ni dal contagio bellici-sta, ma in un periodo

L’Osservatore Romanogiovedì 8 novembre 2018il Settimanale

7

di LU C E T TA SCARAFFIA

In una cittadina del Maine, dove si è installatauna comunità di somali fuggiti dalle atrocitàdel loro paese, un ragazzo problematico gettauna testa di maiale all’interno di un garagetrasformato in moschea, durante il Ramadan,contaminando così un tappeto di preghieracon il sangue dell’animale.

L’episodio provoca un terremoto politico esociale che si allarga a tutto il paese, se neparla anche all’estero: in una situazione di ten-sione fra occidente e islam ogni incidente di-venta occasione per discutere, schierarsi, cerca-re di manipolare l’opinione pubblica.

Ma la grande scrittrice americana ElizabethStrout (I ragazzi Burgess, Roma, Fazi Editore,2013, pagine 447, euro 18,50) ci fa entrare nellacomplessa atmosfera di quel momento attra-verso gli occhi dei componenti di una famigliadel luogo, complicata e dissestata come tuttele famiglie di oggi. Il ragazzo che getta la te-sta di maiale, in realtà, non lo fa per razzismo,come i media denunciano e come le parti, proo contro, interpretano. È solo un povero ra-gazzo difficile, figlio di una madre frustrata eabbandonata dal marito, che compie quel ge-sto per attirare su di sé l’attenzione dei fami-liari, dei due zii fratelli della madre e soprat-tutto del padre.

Mentre il dibattito pubblico rimane impa-niato nell’ideologia, vediamo snodarsi le vicen-de dei due zii che accorrono da New York alloro paese natale, e cercano di aiutare nipote esorella, portando l’uno il fardello di una vitadifficile e irrisolta, l’altro la luce di un succes-so professionale e di una ricchezza che pensalo rendano invincibile. Anch’essi, in realtàcoinvolti profondamente dall’avvenimento edal ritorno nelle atmosfere della loro gioventù,sono travolti dalla vicenda, che fa uscire alloscoperto i loro punti deboli, e fa scoppiare cri-si di trasformazione nelle loro vite. Generandoun rovesciamento: il fratello forte, vincente,quello a cui tutti guardano come il possibilesalvatore, con la sua superbia e la sua eccessi-va abilità innervosisce le autorità locali, espinge il processo nella direzione opposta aquella auspicata. Invece di considerare il fattoun reato minore, il giudice infatti passa — p erragioni di opportunità politica miste a gelosiepersonali — a classificare l’episodio come de-litto contro il primo emendamento, quelloche garantisce la libertà religiosa. Un delittocontro la costituzione, un delitto grave.

Questa sconfitta mette in moto due processiopposti: il crollo del fratello vincente, e il ri-sveglio del ragazzo che trova finalmente il co-raggio di scappare da casa per raggiungere ilpadre emigrato in Svezia e ricostruire un lega-me con lui. Mentre il giovane riprende corag-gio, ricomincia a parlare, a pensare a come co-struirsi un futuro uscendo dall’abulia chel’aveva caratterizzato fino a quel momento, an-che la madre abbandonata, dopo avere toccato

il fondo, si risolleva e comincia a spezzare ilsuo isolamento riallacciando rapporti umani.Ma anche il fratello di mezzo, quello che erasempre vissuto all’ombra dell’altro, reagisce,cambia casa, e nei soggiorni che trascorre nelpaese natale troverà perfino l’amore. Insieme, idue fratelli all’origine sfortunati aiuteranno in-fine il primogenito, colpito da un fallimentoche sembra totale, a rialzarsi e a riallacciare ilegami spezzati con la famiglia.

La crisi innestata dall’episodio del maialefunge quindi da catalizzatore di un drammafamiliare che si era fossilizzato nel tempo, delquale il giovane era diventato il capro espiato-rio. Alla fine del racconto tutti i rapporti sonodi nuovo dinamici, portatori di novità positi-ve.

È il momento del ritorno del giovane a casa,non per affrontare un nuovo e duro giudizio,ma per festeggiare lo scioglimento da ogni ac-cusa. A mettere in moto il processo che portaalla soluzione favorevole della questione è sta-to un somalo, povero e solo, un testimonedell’attentato alla moschea, uno di quelli chene erano rimasti più colpiti. Lui, ancora piùdegli altri, davanti a questo atto aggressivo erarimasto terrorizzato, sentendo come se, anchelì, il suo popolo continuasse a essere in perico-lo e perseguitato. Il dolore dell’esilio, le diffi-coltà dell’inserimento in un luogo diversissimodal suo paese, che già gli rendevano così diffi-cile la sopravvivenza, si erano di colpo molti-plicati per mille: il lettore cominciava a temereche sarebbe arrivato a un atto di violenza, chedolore si sarebbe aggiunto a dolore. Ma ilgiorno del processo, vedendo quel ragazzinomagro che quasi non parlava, disperato, il so-malo aveva pensato a suo figlio morto in unattentato e il suo dolore l’aveva reso sensibileal dolore e alla solitudine che stavano dietro aquesto apparente atto di razzismo. Capisceche si tratta solo di un ragazzo solo, senza pa-dre, così come lui è senza figlio. E sarà pro-prio lui, con un paziente lavoro di riappacifi-cazione, che riuscirà a convincere i connazio-nali a ritirare l’accusa e a perdonare. Ed è co-me se questo perdono irradiasse effetti positivisu tutti i protagonisti della vicenda.

Una grande scrittrice, come la Strout, fa ca-pire come il problema dell’emigrazione non siasolo politico o culturale, ma attraversi diretta-mente le nostre vite, le nostre contraddizioni ei nostri problemi esistenziali, come ormai fac-cia parte di noi.

L’emigrazionenelle nostre vite

Edward Hopper, «Genteal sole» (1960, particolare;dalla copertina italiana del libro)

In un romanzodi Elizabeth Strout

#culture

L’Osservatore Romanogiovedì 8 novembre 2018il Settimanale

8

Nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1938 in Ger-mania e in Austria vennero distrutte quasi tut-te le sinagoghe, le case e i negozi degli ebreifurono violati, molti ebrei furono assassinati emolti di più condotti nei campi di concentra-mento. Le strade dove vivevano o dove si tro-vavano le loro istituzioni si riempirono dei cri-stalli rotti delle finestre degli edifici danneg-giati; perciò quel pogrom è rimasto nella storiacome la notte dei cristalli rotti.

Fu l’inizio della Shoah, il genocidio in cui,in modo sistematico, si cercò di eliminare tuttoil popolo ebreo. Neonati e anziani, adolescentie adulti, tutti furono condotti a una spietatamorte per la loro condizione di ebrei. Le lapi-di dei cimiteri ebraici furono distrutte, le se-polture profanate, il piano mostruoso era eli-minare ogni traccia dell’esistenza e della storiadi quel pop olo.

In definitiva, quello che volevano eliminareera il messaggio che attraverso Mosè era giun-to al popolo ebraico e attraverso Gesù a granparte dell’umanità.

Nel campo di concentramento di Majdanekè stato eretto un monumento che sovrasta unacollina formata dalle ceneri di quanti furonoannientati lì. Sul monumento è stata incisauna frase molto significativa: «Sia il nostro de-stino un monito per voi». A che monito allu-de? Sicuramente si riferisce ai molteplici mes-saggi concentrati in un solo grido.

Il primo senza dubbio è: quello che è acca-duto nella Shoah può risuccedere tra gli uomi-ni. Solo attraverso un’educazione profonda euna trasmissione dell’impegno con i valori chenobilitano la condizione umana e la elevano aldi sopra di ciò che è puramente animale, pos-sono formarsi leader e società che aborrisconogli “ideali” del nazismo.

La Shoah non fu la conseguenza di una de-cisione presa da un giorno all’altro; ciò che fustabilito nella conferenza di Wannsee il 20gennaio 1942 fu la conseguenza di un processodi stigmatizzazione e di demonizzazione degliebrei iniziato il 30 agosto 1933, quando Hitlerfu nominato cancelliere della Germania; si

Il gridoinascoltatodi Maritainstrutturò e legalizzò il 15 settembre 1935 quan-do furono promulgate le leggi di Norimberga,e proseguì attraverso la loro spietata e orribileapplicazione.

E il mondo tacque. Le nazioni chiusero lefrontiere agli ebrei che tentavano disperata-mente di emigrare. La conferenza di Evian delluglio 1938, che cercò di trovare una soluzionealla “questione ebrea”, fu un completo falli-mento. L’indifferenza, l’apatia e il miserabileatteggiamento dei diversi governi di allora fe-cero precipitare non solo la tragedia ebrea maanche la seconda guerra mondiale. In quelmomento il grande filosofo cattolico franceseJacques Maritain tenne una commossa confe-renza sulla drammatica situazione degli ebreiin Europa.

Predisse quale sarebbe stato il loro destinoin Europa se non fossero state prese misureimmediate. Esortò le Chiese ad agire in frettaper riscattare gli ebrei. La lettura di tale confe-renza sugli ebrei tra le nazioni, del 5 febbraio1938, risulta oggi straziante e incredibilmenteistruttiva alla luce del destino che ebbero que-gli ebrei per i quali Maritain aveva levato lasua voce.

C’è un filo sottile che lega il monito di Ma-ritain a quello inciso sul monumento di Maj-danek. Sebbene da allora la realtà umana siacambiata e i media rendano difficile nasconde-re i crimini, l’odio, i pregiudizi, il disprezzoper la propria vita, e ancor più per quella al-trui, continuano a essere piaghe incistate in se-no all’umanità.

Il monito di Maritain si trasformò in un’or-ribile realtà in gran parte del mondo, e i restidei campi di concentramento sono i testimonidi ciò che non deve mai essere dimenticato: fi-no a dove può giungere la pulsione distruttivadell’essere umano se non le si pone un freno.

Le memorie di Elie Wiesel, in cui descrive ilmondo di tenebre in cui fu portato con la suafamiglia, e che presero forma dopo che Fran-çois Mauriac lo convinse a scriverle, furonopubblicate in yiddish a Buenos Aires nel 1956,con il titolo ….Y el mundo callaba. Una stra-ziante espressione di uno dei sentimenti piùangoscianti provati da quell’adolescente nellaterribile “notte” che subì ad Auschwitz.

La sua testimonianza è anche un monito peri posteri: a non tacere più dinanzi al crimine, anon essere più indifferenti dinanzi al doloredel prossimo, a non abbandonare nessuno alsuo destino, a impegnarsi nella sfida di pla-smare un’umanità i cui membri si riconoscanocome fratelli. Ottant’anni sono trascorsi daquella tragica notte, ma il bagliore emanatodai cristalli rotti continua a interpellarci co-stantemente.

Ottant’annidalla Kristallnacht

di ABRAHAM SKO R KA

#culture

David Lee Guss, «Notte dei cristalli»(2016, foto d’epoca rielaborata graficamente)

L’Osservatore Romanogiovedì 8 novembre 2018il Settimanale

9

CB a n d i rel’antisemitismo

ari amici,do il mio caloroso benvenuto a tutti voi, dele-gati del World Congress of Mountain Jews, pro-venienti da diversi Paesi. È la prima volta chefratelli ebrei appartenenti alla vostra antica tra-dizione si recano insieme in visita al Papa, eanche per questo l’incontro odierno è motivodi gioia.

L’ultima volta che ho incontrato una comu-nità ebraica è stata in Lituania lo scorso 23 set-tembre. Era una giornata dedicata alla comme-morazione della Shoah, settantacinque annidopo la distruzione del ghetto di Vilnius el’uccisione di migliaia di ebrei. Ho pregato da-vanti al monumento delle vittime dell’olo cau-sto e ho chiesto all’Altissimo di consolare ilsuo popolo. Commemorare l’olocausto è ne-cessario, perché del passato resti una memoriaviva. Senza una memoria viva non ci sarà fu-turo perché, se non impariamo dalle paginepiù nere della storia a non ricadere nei medesi-mi errori, la dignità umana rimarrà letteramorta.

Pensando alla Shoah, vorrei commemorareancora due tragici eventi. Lo scorso 16 ottobrericorreva un altro drammatico settantacinquesi-mo: quello del rastrellamento del ghetto diRoma. E tra pochi giorni, il 9 novembre, sa-ranno ottant’anni dalla cosiddetta “Kristallna-cht”, quando vennero distrutti molti luoghi diculto ebraici, anche con l’intento di sradicareciò che nel cuore dell’uomo e di un popolo è

assolutamente inviolabile: la presenza delCreatore. Quando si è voluto sostituire ilBuon Dio con l’idolatria del potere e l’ideolo-gia dell’odio, si è arrivati alla follia di stermi-nare le creature. Perciò la libertà religiosa è unbene sommo da tutelare, un diritto umanofondamentale, baluardo contro le pretese tota-litariste.

Ancora oggi, purtroppo, atteggiamenti anti-semiti sono presenti. Come più volte ho ricor-dato, un cristiano non può essere antisemita.Le nostre radici sono comuni. Sarebbe unacontraddizione della fede e della vita. Insiemesiamo invece chiamati a impegnarci perchél’antisemitismo sia bandito dalla comunitàumana.

Ho sempre tenuto a sottolineare l’imp ortan-za dell’amicizia tra ebrei e cattolici. Essa, fon-data su una fraternità che si radica nella storiadella salvezza, si concretizza nell’attenzione re-ciproca. Con voi vorrei rendere grazie al Dato-re di ogni bene per il dono della nostra amici-zia, impulso e motore del dialogo tra noi. Èun dialogo che in questo tempo siamo chiama-ti a promuovere e ad ampliare a livello interre-ligioso, per il bene dell’umanità.

In proposito, mi piace ricordare con voi ilb ell’incontro interreligioso di due anni fa inAzerbaigian, dove notavo l’armonia che le reli-gioni possono creare «a partire dai rapportipersonali e dalla buona volontà dei responsa-bili». Ecco la via. «Dialogare con gli altri epregare per tutti: questi sono i nostri mezziper mutare le lance in falci (cfr. Is 2, 4), perfar sorgere amore dove c’è odio e perdono do-ve c’è offesa, per non stancarci di implorare epercorrere vie di pace». Sì, perché oggi «non ètempo di soluzioni violente e brusche, mal’ora urgente di intraprendere processi pazientidi riconciliazione» (2 ottobre 2016). È un com-pito fondamentale a cui siamo chiamati.

Chiedo all’Onnipotente di benedire il no-stro cammino di amicizia e di fiducia, affinchéviviamo sempre nella pace e, dovunque ci tro-viamo, possiamo essere artigiani e costruttoridi pace. Shalom alechem!

Il Papa ribadiscel’importanzadell’amiciziatra ebrei e cattolici

Lunedì mattina, 5 novembre,il Pontefice ha ricevutonella Sala dei Papi i delegatidel World Congress of MountainJews provenienti da diversi paesidel Caucaso(Nella foto: Judith Dazzio«La notte dei cristalli»)

#francesco

L’Osservatore Romanogiovedì 8 novembre 2018il Settimanale

10

LFe s t adi famiglia

a prima Lettura di oggi, dal Libro dell’Ap o ca-lisse, ci parla del cielo e ci pone davanti a«una moltitudine immensa», incalcolabile, «diogni nazione, tribù, popolo e lingua» (Ap 7,9). Sono i santi. Che cosa fanno “lassù”? Can-tano insieme, lodano Dio con gioia. Sarebbebello ascoltare il loro canto... Ma possiamoimmaginarlo: sapete quando? Durante la Mes-sa, quando cantiamo «Santo, santo, santo il Si-gnore Dio dell’u n i v e rs o ...». È un inno — dice laBibbia — che viene dal cielo, che si canta là(cfr. Is 6, 3; Ap 4, 8), un inno di lode. Allora,cantando il “Santo”, non solo pensiamo aisanti, ma facciamo quello che fanno loro: inquel momento, nella Messa, siamo uniti a loropiù che mai.

E siamo uniti a tutti i santi: non solo a quel-li più noti, del calendario, ma anche a quelli«della porta accanto», ai nostri familiari e co-noscenti che ora fanno parte di quella moltitu-dine immensa. Oggi allora è festa di famiglia. Isanti sono vicini a noi, anzi sono i nostri fra-telli e sorelle più veri. Ci capiscono, ci voglio-no bene, sanno qual è il nostro vero bene, ciaiutano e ci attendono. Sono felici e ci voglio-no felici con loro in paradiso.

Per questo ci invitano sulla via della felicità,indicata nel Vangelo odierno, tanto bello e co-nosciuto: «Beati i poveri in spirito [...] Beati imiti [...] Beati i puri di cuore…» (cfr. Mt 5, 3-8). Ma come? Il Vangelo dice beati i poveri,mentre il mondo dice beati i ricchi. Il Vangelodice beati i miti, mentre il mondo dice beati iprepotenti. Il Vangelo dice beati i puri, mentreil mondo dice beati i furbi e i gaudenti. Que-sta via della beatitudine, della santità, sembraportare alla sconfitta. Eppure — ci ricorda an-cora la prima Lettura — i santi tengono «ramidi palma nelle mani» (v. 9), cioè i simboli del-la vittoria. Hanno vinto loro, non il mondo. Eci esortano a scegliere la loro parte, quella diDio che è Santo.

Chiediamoci da che parte stiamo: quella delcielo o quella della terra? Viviamo per il Si-gnore o per noi stessi, per la felicità eterna oper qualche appagamento ora? Domandiamo-

mo nati: siamo nati per non morire mai più,siamo nati per godere la felicità di Dio! Il Si-gnore ci incoraggia e a chi imbocca la via del-le Beatitudini dice: «Rallegratevi ed esultate,perché grande è la vostra ricompensa nei cieli»(Mt 5, 12). La Santa Madre di Dio, Regina deisanti, ci aiuti a percorrere con decisione lastrada della santità; lei, che è la Porta del cie-lo, introduca i nostri cari defunti nella famigliaceleste.

ci: vogliamo davvero la santità? O ci acconten-tiamo di essere cristiani senza infamia e senzalode, che credono in Dio e stimano il prossi-mo ma senza esagerare? Il Signore «chiedetutto, e quello che offre è la vera vita — o f f retutto — la felicità per la quale siamo stati crea-ti» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 1). Insom-ma, o santità o niente! Ci fa bene lasciarciprovocare dai santi, che qua non hanno avutomezze misure e da là “tifano” per noi, perchéscegliamo Dio, l’umiltà, la mitezza, la miseri-cordia, la purezza, perché ci appassioniamo alcielo piuttosto che alla terra.

Oggi i nostri fratelli e sorelle non ci chiedo-no di sentire un’altra volta un bel Vangelo, madi metterlo in pratica, di incamminarci sullavia delle Beatitudini. Non si tratta di fare cosestraordinarie, ma di seguire ogni giorno questavia che ci porta in cielo, ci porta in famiglia,ci porta a casa. Oggi quindi intravediamo ilnostro futuro e festeggiamo quello per cui sia-

La solennitàdi Ognissanti

Elizabeth Wang, «Chiamataalla santità» (particolare)

#francesco

«Un saluto speciale ri-volgo ai partecipanti allaCorsa dei Santi, promos-sa dalla Fondazione“Missioni Don Bosco”per vivere in una dimen-sione di festa popolare laricorrenza di Tutti i San-ti»

(Dopo Angelus1° novembre)

L’Osservatore Romanogiovedì 8 novembre 2018il Settimanale

11

GIOVEDÌ 1° NOVEMBRE

«Desidero celebrare insieme a voi questa festadell’incontro, incontro di persone: ognuno divoi è persona. Incontro di differenti credi,paesi, lingue, realtà; incontro di differentiidentità, perché per incontrarsi bisogna esseresicuri della propria identità». Lo ha sottolinea-to il Papa in un videomessaggio in spagnolo,trasmesso durante il terzo incontro mondialedei giovani — organizzato dalla fondazioneScholas occurrentes insieme all’istituzione edu-cativa ebraica World Ort — svoltosi a BuenosAires, dal 29 ottobre al 1° novembre.

DOMENICA 4Dolore per l’attentato terroristico che ha

colpito la Chiesa copta ortodossa in Egitto èstato espresso dal Papa al termine dell’Angelus

in piazza San Pietro. In precedenza il Pontefi-ce aveva dedicato la sua riflessione al brano li-turgico di Marco (12, 28b-34) incentrato sulcomandamento dell’amore. A conclusione del-la preghiera mariana, il Pontefice ha ricordatola beatificazione a Roma di Clelia Merloni.

LUNEDÌ 5«Un cordiale saluto, dal cuore, a tutti gli

abitanti» e «ai popoli dell’Amazzonia» è statorivolto dal Papa attraverso un video registratonella Biblioteca privata del Palazzo apostolicoin occasione dell’udienza al vescovo di Óbi-dos, nello stato brasiliano di Pará, monsignorBernardo Bahlmann. In spagnolo il Ponteficeesprime l’«affetto molto grande» che lo legaalle popolazioni indigene: «voi — dice rivol-gendosi a loro — che vi preoccupate della ter-ra, amate la terra, amate la natura e amateDio». Da qui l’esortazione ad «andare avanti»e un particolare «saluto a tutti quelli che lavo-reranno nella barca-ospedale, che farà tantobene nei mille chilometri di percorso, a cosìtanti popoli». Durante l’udienza, infatti, ilpresule francescano — insieme ai frati Franci-

Impegniamoci, con la preghiera e con l’azionead allontanare dal cuore, dalle parole e dai gesti ogni

violenza, per prenderci cura della casa comune

@Pontifex, 6 novembre, Giornata per la prevenzionedello sfruttamento dell’ambiente in tempo di guerra”Il messaggio ai giovani

di Scholas

Angelus domenicalein piazza San Pietro

sco Belotti e Afonso Lamberti Obici — gli hapresentato con un breve video l’iniziativa del“battello ospedale Papa Francesco”, mostran-dogli anche un modellino dell’i m b a rc a z i o n e .Si tratta, ha spiegato, di un progetto destinatoa coprire un migliaio di chilometri offrendoassistenza medica alle comunità che vivonolungo i fiumi Amazonas, Trobetas, Nhamun-dá, Tapajós e a 12 comuni, per un totale di cir-ca settecentomila persone servite.

Nello stesso giorno ha ricevuto nel Palazzoapostolico vaticano, il presidente della Repub-blica del Paraguay, Mario Abdo Benítez, esuccessivamente il nuovo ambasciatore del Li-bano, Farid Elias El-Khazen, in occasione del-la presentazione delle lettere con cui è statoaccreditato presso la Santa Sede.

MARTEDÌ 6Due uomini, uno di colore e uno bianco, li-

tigano davanti a un muro che li divide da unacittà devastata dai combattimenti. Ai loro pie-di bossoli di arma da fuoco. All’improvviso, idue fissano il muro crivellato di colpi. Il loroatteggiamento cambia. Raccolgono da terradue bombolette spray di vernice azzurra e ini-ziano a unire con il colore i vari fori prodottidai proiettili sul muro. Inaspettatamente si de-linea la sagoma di una colomba con in boccaun ramoscello di olivo. È la suggestiva imma-gine contenuta nel video «Al servizio della pa-ce» che accompagna l’intenzione del Papa peril mese di novembre, affidata alla Rete mon-diale di preghiera (www.thepopevideo.org). Ilfilo conduttore è la necessità di cambiare icuori per giungere alla pace: «Preghiamo in-sieme — esorta il Papa — perché il linguaggiodel cuore e del dialogo prevalgano sempre sullinguaggio delle armi». D’altronde, aggiunge,«tutti vogliamo la pace. E più di chiunque al-tro la vuole chi ne patisce la mancanza».L’analisi della situazione è segnata da un velodi amarezza: «Possiamo pronunciare parolesplendide, ma se nel nostro cuore non c’è pacenon ci sarà neanche nel mondo». La ricettaper raggiungerla è chiara: «Con zero violenzae cento per cento di tenerezza, costruiamo lapace evangelica che non esclude nessuno».

#7giorniconilpapa

il Settimanale L’Osservatore Romanogiovedì 8 novembre 2018

12/13

SL’interventodi padre Czerny

Nel suo intervento ai lavori,il 2 novembre, il gesuitaMichael Czerny, sotto-segretario della Sezionemigranti e rifugiati delDicastero per il serviziodello sviluppo umanointegrale, ha invocato un«cambio di mentalità» nella«responsabilità dellagestione globale e condivisanella migrazioneinternazionale»,riaffermando la volontà dicollaborazione da partedella Santa Sede perl’attuazione dei Patti globalipromossi dalle NazioniUnite.Dopo aver riproposto ilvideo di tre minuti e mezzoche fu presentato daldicastero per la prima voltanel dicembre 2017 a PuertoVallarta, sempre in Messico,il relatore ha ribadito comele migrazioni siano unamanifestazione delladisperazione, della crisi diun modello economico epolitico che costringemigliaia di esseri umani afuggire dalla loro terra,assumendo la vulnerabilitàche implica l’e s s e remigrante. Perciò, haaffermato «per la Chiesa, imigranti vulnerabili sonouna priorità» ed «èimportante privilegiare lasicurezza e i diritti umanicontro i sistemi dicriminalizzazionedominante».Rilanciando i quattro verbidi Papa Francesco,«accogliere, proteggere,promuovere e integrare»,Czerny ha sottolineato che a«tutti i migranti deve esseregarantito un trattamentodignitoso, evitando qualsiasiuso ideologico-politico deibisogni dei poveri cheemigrano».

i è svolto a Città del Messico, dal 2 al 4 novem-bre, l’ottavo forum sociale mondiale delle migra-zioni. Di seguito una traduzione italiana del mes-saggio in spagnolo inviato dal Papa ai parteci-panti.

Al Forum Sociale Mondialesulle Migrazioni

Città del Messico

Cari fratelli e sorelle,Ringrazio per l’invito estesomi dagli organiz-zatori del Forum Sociale Mondiale sulle Mi-grazioni a rivolgervi alcune parole d’incorag-giamento all’inizio delle sessioni di lavoro.

Il programma di azione dell’ottava edizionedel Forum Sociale Mondiale sulle Migrazioniricorda il mandato del profeta Geremia, invia-to da Dio «per sradicare e demolire, per di-struggere e abbattere, per edificare e piantare»(Ger 1, 10). Come al tempo del profeta, oggi cisono cattiverie da estirpare, ingiustizie da de-molire, discriminazioni da distruggere, privile-gi da abbattere, dignità da edificare e valori dap i a n t a re .

La trasformazione positiva delle nostre so-cietà inizia dal rifiuto di tutte le ingiustizie,che oggi cercano la loro giustificazione nella“cultura dello scarto”, una malattia “pandemi-ca” del mondo contemporaneo. Questo oppor-si si pone come una prima attuazione di giu-stizia, soprattutto quando riesce a dare voce ai“senza voce”. E tra questi ultimi ci sono i mi-granti, i rifugiati e gli sfollati, che vengonoignorati, sfruttati, violati e abusati nel silenziocolpevole di molti.

L’azione trasformatrice non si limita però adenunciare le ingiustizie. È necessario indivi-duare modelli di soluzione concreti e fattibili,chiarendo ruoli e responsabilità di tutti gli at-tori. Nell’ambito migratorio (m i g ra re ), la tra-sformazione (t ra s f o r m a re ) si alimenta della resi-lienza (re s i s t e re ) dei migranti, rifugiati e sfolla-ti, e si avvale delle loro capacità e aspirazioniper la costruzione (c o s t r u i re ) di «società inclu-sive, giuste e solidali, capaci di restituire digni-tà a quanti vivono in grande incertezza e nonriescono a sognare un mondo migliore» (Me s -saggio al Presidente esecutivo del Forum Econo-mico Mondiale, 23-26 gennaio 2018).

Questo forum si propone di affrontare setteassi tematiche direttamente legati alle migra-zioni contemporanee: diritti umani, frontiere,incidenza politica, capitalismo, genere, cam-biamento climatico e dinamiche transnazionali.Si tratta di temi molto importanti, che merita-no una riflessione attenta e condivisa tra tuttigli attori, una riflessione che cerca l’integrazio-ne delle diverse prospettive, riconoscendo lacomplessità del fenomeno migratorio.

Ed è proprio a motivo di questa complessitàche da un paio di anni la comunità internazio-nale si è impegnata nello sviluppo di due pro-cessi di consultazioni e negoziazioni, che han-no come obiettivo l’adozione di due pattimondiali, uno per una migrazione sicura, ordi-

ter contare sulla collaborazione di tutti voi edelle organizzazioni che rappresentate in que-sto forum.

La stessa collaborazione è richiesta per mi-gliorare gli accordi bilaterali e multilateralinell’ambito migratorio, e che questi siano sem-pre a maggiore beneficio di tutti: migranti, ri-fugiati, sfollati, le loro famiglie, le loro comu-nità di origine e le società che li accolgono.Ciò si può ottenere solo in un dialogo traspa-rente, sincero e costruttivo tra tutti gli attori,nel rispetto dei ruoli e delle responsabilità diognuno.

Vorrei cogliere questa occasione per incorag-giare le organizzazioni della società civile e imovimenti popolari a collaborare alla diffusio-ne massiva di quei punti dei Patti Globali chemirano alla promozione umana integrale deimigranti e dei rifugiati — come pure delle co-munità che li accolgono —, evidenziando lebuone iniziative proposte. Le stesse organizza-zioni e movimenti sono invitati a impegnarsiper promuovere una ripartizione di responsa-bilità più equa nell’assistenza ai richiedenti asi-lo e ai rifugiati. La loro azione è inoltre deter-minante per individuare prontamente le vitti-me della tratta, compiendo tutti gli sforzi ne-cessari per liberarle e riabilitarle.

Chiedo infine l’intercessione della VergineMaria, con il titolo di Nostra Signora di Gua-dalupe, affinché vi custodisca e vi sostengacon il suo aiuto materno nelle vostre attività afavore dei migranti, rifugiati e sfollati.

Dio benedica il vostro lavoro nei prossimigiorni.

Vaticano, 26 ottobre 2018

FRANCESCO

Rifiutare tutte le ingiustizie

Me s s a g g i oal forum sociale

di Cittàdel Messico

sulle migrazioni

Ildiko Decsei Csegoldi« M i g ra z i o n e »

#copertina

nata e regolare, e l’altro sui rifugiati. Comecontributo a questi processi, la Sezione Mi-granti e Rifugiati, sotto la mia direzione, hapreparato un documento, intitolato 20 Puntidi azione per i Patti Globali, che sostiene unaserie di misure efficaci e accreditate che, nelloro insieme, costituiscono una risposta coe-rente alle sfide che attualmente si pongono. I20 Punti si articolano attorno a quattro verbi— accogliere, proteggere, promuovere e inte-grare — che sintetizzano la risposta alle «sfideposte alla comunità politica, alla società civilee alla Chiesa» (Discorso ai partecipanti al Fo-rum Internazionale «Migrazioni e Pace», 21 feb-braio 2017), dal fenomeno migratorio oggi.

Molti dei principi dichiarati e delle misuresuggerite nei 20 Punti di Azione coincidonocon le dichiarazioni che organizzazioni dellasocietà civile hanno sottoscritto con l’intentodi contribuire al processo avviato dalle Nazio-ni Unite in vista dei Patti Globali. Sono inol-tre notevoli le coincidenze di principio e dimisure tra i 20 Punti e i testi finali degli stessiPa t t i .

Al di là dei loro limiti, che la Santa Sedenon ha mancato di segnalare, e della loro na-tura non vincolante, i Patti Globali costituisco-no «un quadro di riferimento per proposte po-litiche e misure pratiche» (Messaggio per laGiornata Mondiale della Pace 2018, 13 novem-bre 2017). Come per qualunque azione di por-tata mondiale, l’attuazione delle raccomanda-zioni e dei suggerimenti contenuti nei PattiGlobali richiede il coordinamento degli «sforzidi tutti gli attori, tra i quali, potete starne cer-ti, ci sarà sempre la Chiesa» (Discorso ai parte-cipanti del Forum Internazionale su “Migrazioni ePace”, 21 febbraio 2017). A tal fine spero di po-

L’Osservatore Romanogiovedì 8 novembre 2018il Settimanale

14

Giorno di memoria e di speranza, ma anche giornoper riflettere sulla strada da percorrere nelpresente: è questo per Papa Francesco il sensodella commemorazione dei fedeli defunti, celebratavenerdì 2 novembre con la messa nel cimiteroLaurentino a Roma. Di seguito l’omeliapronunciata a braccio dal Pontefice durante ilrito.

La liturgia di oggi è realistica, è concreta. Ciinquadra nelle tre dimensioni della vita, di-mensioni che anche i bambini capiscono: ilpassato, il futuro, il presente.

Oggi è un giorno di memoria del passato, ungiorno per ricordare coloro che hanno cammi-nato prima di noi, che ci hanno anche accom-pagnato, ci hanno dato la vita. Ricordare, farememoria. La memoria è ciò che fa forte unpopolo, perché si sente radicato in un cammi-no, radicato in una storia, radicato in un po-polo. La memoria ci fa capire che non siamo

radici: alle mie radici, alle radici del mio po-p olo.

E oggi è anche un giorno di s p e ra n z a : la se-conda Lettura ci ha fatto vedere cosa ci aspet-ta. Un cielo nuovo, una terra nuova e la santacittà di Gerusalemme, nuova. Bella l’immagineche usa per farci capire quello che ci aspetta:“L’ho vista scendere dal cielo, scendere daDio, pronta come una sposa adorna per il suosp oso” (cfr. Ap 21, 2). Ci aspetta la bellezza...Memoria e speranza, speranza di incontrarci,speranza di arrivare dove c’è l’Amore che ci hacreati, dove c’è l’Amore che ci aspetta: l’a m o redi Padre.

E fra memoria e speranza c’è la terza di-mensione, quella della strada che noi dobbia-mo fare e che noi facciamo. E come fare lastrada senza sbagliare? Quali sono le luci chemi aiuteranno a non sbagliare la strada? Qualè il “n a v i g a t o re ” che lo stesso Dio ci ha dato,per non sbagliare la strada? Sono le Beatitudi-ni che nel Vangelo Gesù ci ha insegnato. Que-ste Beatitudini — la mitezza, la povertà di spi-rito, la giustizia, la misericordia, la purezza dicuore — sono le luci che ci accompagnano pernon sbagliare strada: questo è il nostro p re s e n -te.

In questo cimitero ci sono le tre dimensionidella vita: la memoria, possiamo vederla lì [in-dica le tombe]; la speranza, la celebreremoadesso nella fede, non nella visione; e le luciper guidarci nel cammino per non sbagliarestrada, le abbiamo sentite nel Vangelo: sono leBeatitudini.

Chiediamo oggi al Signore che ci dia la gra-zia di mai perdere la memoria, mai nasconderela memoria — memoria di persona, memoria difamiglia, memoria di popolo —; e che ci dia lagrazia della speranza, perché la speranza è undono suo: saper sperare, guardare l’orizzonte,non rimanere chiusi davanti a un muro. Guar-dare sempre l’orizzonte e la speranza. E ci diala grazia di capire quali sono le luci che ci ac-compagneranno sulla strada per non sbagliare,e così arrivare dove ci aspettano con tantoa m o re .

soli, siamo un popolo: un popolo che ha sto-ria, che ha passato, che ha vita. Memoria ditanti che hanno condiviso con noi un cammi-no, e sono qui [indica le tombe intorno]. Nonè facile fare memoria. Noi, tante volte, faccia-mo fatica a tornare indietro col pensiero aquello che è successo nella mia vita, nella miafamiglia, nel mio popolo... Ma oggi è un gior-no di memoria, la memoria che ci porta alle

Tra memoriae speranza

Al cimiteroL a u re n t i n o

#francesco

Nel giardinodegli angeli

Piccole girandole cheruotano al vento,orsacchiotti e pupazzetticolorati a fare capolino fra imazzolini di fiori: sono iparticolari struggenti delletombe dell’angolo piùamato del cimiteroLaurentino a Roma, quellodedicato ai bambini e inparticolare ai bambini nonnati. Lo chiamano il“giardino degli angeli”,custodito al suo ingressodalle statue di dueangioletti. Qui, nelpomeriggio di venerdì 2novembre, si è fermato PapaFrancesco, in un momentodi intensa e commoventepreghiera silenziosa, primadi celebrare la messa nelgiorno dellacommemorazione di tutti ifedeli defunti. Nel cimiteroche sorge nel cuore dell’a g roromano, a Trigoria, ilPontefice è stato accolto damonsignor Sapienza,reggente della Prefetturadella Casa pontificia, e haattraversato da solo il prato,soffermandosi tra le croci ele lapidi, deponendo duemazzi di rose bianche. Poi,dopo aver lasciato unomaggio floreale anchedavanti alle sepolture postesull’altro lato del viottolo, siè intrattenuto qualcheistante con alcuni genitori,anche loro giunti perpregare sulle tombe dei lorofigli. Il Papa ha poiraggiunto la cappella delGesù Risorto, davanti allaquale era stato allestitol’altare e dove è statosalutato dal sindaco diRoma, Virginia Raggi.Francesco ha quindi salutatoil cardinale vicario DeDonatis, il vescovo ausiliareLojudice, il cappellanomonsignor Claudio Palma edon Riccardo Viel, parrocodi Santa Maria Assunta eSan Michele a CastelRomano e prefetto di zona,che lo hanno affiancatonella concelebrazioneeucaristica.Dopo aver salutato iseminaristi romani addetti alservizio liturgico, il Papa haindossato i paramenti per ilrito diretto dal maestro dellecelebrazioni liturgichepontificie Marini,coadiuvato dal cerimoniereDubina. Monsignor Frisinaha diretto il coro delladiocesi di Roma. Altermine, dopo aver salutatouna trentina di dipendentidell’Ama addetti alcontrollo e allamanutenzione del cimitero,il Pontefice è rientrato inmacchina in Vaticano.

L’Osservatore Romanogiovedì 8 novembre 2018il Settimanale

15

Abbiamo ascoltato nella parabola del Vangeloche le vergini «uscirono incontro allo sposo»(Mt 25, 1), tutte e dieci. Per tutti la vita è unachiamata continua ad u s c i re : dal grembo dellamadre, dalla casa dove si è nati, dall’infanziaalla gioventù e dalla gioventù all’età adulta, fi-no all’uscita da questo mondo. Anche per iministri del Vangelo la vita è in continua usci-ta: dalla casa di famiglia a quella dove laChiesa ci manda, da un servizio all’altro; sia-mo sempre di passaggio, fino al passaggio fi-nale. Il Vangelo ricorda il senso di questa usci-ta continua che è la vita: andare incontro allosposo. Ecco per che cosa vivere: per quell’an-nuncio che nel Vangelo risuona nella notte eche potremo accogliere pienamente nel mo-mento della morte: «Ecco lo sposo, andategliincontro!» (v. 6). L’incontro con Gesù, Sposoche «ha amato la Chiesa e ha dato se stessoper lei» (Ef 5, 25), dà senso e orientamento al-la vita. Non altro. È il finale che illumina ciòche precede. E come la semina si giudica dalraccolto, così il cammino della vita si impostaa partire dalla meta.

Allora la vita, se è un cammino in uscitaverso lo sposo, è il tempo donatoci per c re s c e renell’a m o re . Vivere è una quotidiana preparazio-ne alle nozze, un grande fidanzamento. Chie-diamoci: vivo come uno che prepara l’i n c o n t rocon lo sposo? Nel ministero, dietro a tutti gliincontri, le attività da organizzare e le praticheda trattare, non va scordato il filo che uniscetutta la trama: l’attesa dello sposo. Il centronon può che essere un cuore che ama il Signo-re. Solo così il corpo visibile del nostro mini-stero sarà sorretto da un’anima invisibile.Comprendiamo allora quanto dice l’Ap ostoloPaolo nella seconda Lettura: «Noi non fissia-mo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelleinvisibili, perché le cose visibili sono di unmomento, quelle invisibili invece sono eterne»(2 Cor 4, 18). Non fissiamoci sulle dinamicheterrene, guardiamo oltre. È vera quella celebreespressione: «l’essenziale è invisibile agli oc-chi». L’essenziale nella vita è ascoltare la vocedello sposo. (...)

Ce lo ricorda l’elemento che nel Vangelo èessenziale per le vergini in attesa delle nozze:non l’abito, nemmeno le lampade, ma l’olio,custodito in piccoli vasi. Emerge una primacaratteristica di quest’olio: non è vistoso. Restanascosto, non appare, ma senza di esso nonc’è luce. (...) Quello che il mondo cerca eostenta — gli onori, la potenza, le apparenze,la gloria — passa, senza lasciare nulla. Prende-re le distanze dalle apparenze mondane è indi-spensabile per prepararsi al cielo. Occorre dire

no alla “cultura del trucco”, che insegna a cu-rare le apparenze. Va invece purificato e custo-dito il cuore, l’interno dell’uomo, prezioso agliocchi di Dio; non l’esterno, che svanisce.

Dopo questa prima caratteristica — non es-sere vistoso ma essenziale — c’è un secondoaspetto dell’olio: esiste per farsi consumare. So-lo bruciandosi illumina. Così la vita: diffondeluce solo se si consuma, se si spende nel servi-zio. Il segreto per vivere è vivere per servire. Ilservizio è il biglietto da esibire all’ingresso del-le nozze eterne. Ciò che della vita resta, da-vanti alla soglia dell’eternità, non è quanto ab-biamo guadagnato, ma quanto abbiamo dona-to (cfr. Mt 6, 19-21; 1 Cor 13, 8). Il senso delvivere è dare risposta alla proposta d’amore diDio. E la risposta passa attraverso l’amore ve-ro, il dono di sé, il servizio. Servire costa, per-ché significa spendersi, consumarsi, ma nel no-stro ministero non serve per vivere chi non vi-ve per servire. Chi custodisce troppo la pro-pria vita, la perde.

Una terza caratteristica dell’olio emerge inmodo rilevante nel Vangelo: la preparazione.L’olio va preparato per tempo e portato con sé(cfr. vv. 4.7). L’amore, certo, è spontaneo, manon si improvvisa. Proprio nella mancanza dipreparazione sta la stoltezza delle vergini cherestano fuori dalle nozze. Adesso è il tempodei preparativi: nel momento presente, giornodopo giorno, va alimentato l’amore. Chiedia-mo la grazia di rinnovare ogni giorno il primoamore col Signore (cfr. Ap 2, 4), di non la-sciarlo spegnere. La grande tentazione è ap-piattirsi in una vita senza amore, che è comeun vaso vuoto, come una lampada spenta. Senon si investe nell’amore, la vita si spegne. Ichiamati alle nozze con Dio non possono ada-giarsi in una vita sedentaria, piatta e orizzon-tale, che va avanti senza slancio, cercando pic-cole soddisfazioni e inseguendo riconoscimentieffimeri. Una vita scialba, abitudinaria, che siaccontenta di fare i propri doveri senza donar-si, non è degna dello Sposo.

Mentre preghiamo per i Cardinali e i Vesco-vi defunti nel corso dell’anno, domandiamol’intercessione di chi ha vissuto senza voler ap-parire, di chi ha servito di cuore, di chi si èpreparato giorno per giorno all’incontro colSignore. Sull’esempio di questi testimoni, chegrazie a Dio ci sono, e sono tanti, non accon-tentiamoci di una vista breve sull’oggi; deside-riamo invece uno sguardo che va oltre, allenozze che ci attendono. Una vita attraversatadal desiderio di Dio e allenata all’amore saràpronta a entrare nella dimora dello Sposo, equesto per sempre.

Il finale illuminaciò che precede

Per i cardinalie i vescovi defunti

#francesco

Papa Francesco ha ricordatoi cardinali, gli arcivescovi ei vescovi deceduti nel corsodell’anno, durante la celebrazionedi suffragio presieduta sabatomattina, 3 novembre, all’a l t a redella Cattedra della basilicavaticana. Dall’ottobre 2017al mese scorso sono morti ottocardinali (Panafieu, CorderoLanza di Montezemolo, Law,Lehmann, O’Brien, CastrillónHoyos, Obando Bravo, Tauran),il patriarca Ignace Pierre VIII

Abdel-Ahad e 154 presuli.Con il Pontefice hannoconcelebrato 29 porporati — f raloro il segretario di Stato,Parolin, e il decano, Sodano —oltre a 13 tra arcivescovi e vescovie a numerosi prelati della Curiaromana. Con il corpo diplomaticoaccreditato presso la Santa Sedeerano gli arcivescovi Peña Parra,sostituto della Segreteria di Stato,e i monsignori Camilleri,sotto-segretario per i Rapporticon gli Stati, e Murphy, capo delProtocollo. Hanno animato il ritoi cantori della Cappella Sistina.La sera precedente, al ritornodal Cimitero Laurentinodi Roma, accompagnatodal cardinale Comastri, arcipretedella basilica di San Pietro, ilPapa si era recato nelle Grottevaticane per un momentodi preghiera in suffragiodei Pontefici defunti.

L’Osservatore Romanogiovedì 8 novembre 2018il Settimanale

16

LUNEDÌ 5I bambini affamati dello Yemen

La violenta tragedia nello Yemen, dove un in-tero popolo è sull’orlo del baratro, e le tantepiccole «guerre» in famiglia, in parrocchia osul posto di lavoro hanno le stesse radici e di-vampano se l’egoismo e il tornaconto selettivodella «rivalità e della «vanagloria» prevalgonosu «unanimità e concordia». È un forte appel-lo per la pace, nelle piccole e grandi questionidella vita, quello che Francesco ha rilanciatodurante la messa del mattino.

«Gesù consiglia di non essere selettivi nellanostra vita, di non farci un’atmosfera di amicie dimenticare tutti gli altri» ha fatto subitopresente il Papa, riferendosi al passo liturgicodi Luca (14, 12-14) ed evidenziando che «ilsenso di questo brano del Vangelo è chiaro:non fare le cose per interesse». C’è gente — haaffermato il Pontefice — «che è selettiva e sol-tanto ha dei rapporti sociali con coloro chepossono servirli, ricambiare loro i favori: agi-scono pensando al loro tornaconto e gli altrisono esclusi». Ma questa, ha avvertito, «è unaforma di egoismo, di segregazione e di interes-se». Invece, ha spiegato Francesco, «il messag-gio di Gesù, di Gesù stesso, è il contrario: èquello della gratuità». Infatti «Gesù è venutoda noi non per raccogliere cose o fare un eser-cito: no, no. È venuto per servirci, per darcitutto gratuitamente». Ecco che, ha rilanciato ilPapa, «il messaggio di Gesù è: “tu agisci gra-tuitamente con gli altri, senza pensare al ri-cambio, al tornaconto, al tuo interesse”». Equesto stile «allarga: allarga la vita, allarga ilcammino della vita, allunga l’orizzonte, perchéè universale». Dunque «la gratuità che Gesùci porta è per tutti: non è selettiva».

Il Pontefice ha proseguito facendo notareche «Gesù su questo, ai dottori della legge chesi credevano i giusti del tempo e che erano se-lettivi nelle amicizie», dice «una cosa moltoforte: “Voi che pensate sempre al vostro inte-resse, voi che vi credete perfetti, aspettate: nelregno dei cieli saranno i pubblicani — cioè itraditori della patria — e le prostitute a entrareprima di voi”». E «contro questo egoismodell’interesse Gesù è forte e propone questomodo di agire della gratuità, che è propria-mente quello che ha portato lui».

«Con lo stesso spirito, con la stessa ispira-zione — ha affermato il Papa — Paolo parla aiFilippesi nella prima lettura, e dà loro un con-siglio: avete un medesimo sentire, “rimanendounanimi e concordi” (2, 1-4). Perché, ha dettoFrancesco, «il selettivo, quello che sceglie se-condo il proprio interesse le amicizie o la gen-te con la quale va avanti nella vita, non è“unanime”, fa divisione sempre: “questi sono imiei, gli altri no”». Sempre «i selettivi sonofattori di divisione». Per questa ragione «Pao-lo ci consiglia di diventare “unanimi”, anzi“c o n c o rd i ”, cioè con un cuore, tutti: lo stessoc u o re » .

«Ci sono due cose che vanno contro l’unità,contro questo essere “unanimi” e “c o n c o rd i ”:la rivalità e la vanagloria» ha affermato il Pon-tefice. E così «se io voglio esaminarmi e vede-

re se io sono selettivo, devo interrogarmi sullamia rivalità e sulla mia vanagloria». Per af-frontare la questione della «rivalità», France-sco ha voluto far riferimento, come «esem-pio», alle esperienze in parrocchia. In proposi-to ha ricordato che alla messa era presente unacomunità parrocchiale romana, quella di No-stra Signora di Bonaria, con una rappresentan-za soprattutto di giovani. La rivalità, ha spie-gato allora il Papa, può subentrare quando «ilparroco deve fare qualche cosa, cambiare gen-te e la rivalità nasce: “ha scelto questo e nonquell’a l t ro ”, “ha fatto questo e non quell’al-t ro ”». Ecco come nascono «le lotte di rivali-tà». Spesso è inutile rammentare a queste per-sone che sono tutte lì «per servire il Signore»,perché la risposta è: «sì, sì, ma io sono pri-mo!». Proprio questa «è la rivalità e anche ilchiacchiericcio nasce dalla rivalità, perché tan-ta gente si sente che non può crescere, ma perdiventare più alto dell’altro diminuisce l’a l t rocon il chiacchiericcio». La rivalità diventa cosìanche «un modo di distruggere le persone».

Le omeliedel Pontefice

Gaby Esteves, «Hunger Series.Poverty»

#santamarta

Gesù ci ha amato gratuitamenteLa vita cristiana è imitare l’a m o re

gratuito di Gesù

(@Pontifex_it)

A questo proposito Paolo dice: «No, nellacomunità non ci siano rivalità». Perché «la ri-valità è una lotta per schiacciare l’altro. Èbrutta la rivalità: si può fare in modo aperto,diretto, o si può fare con i guanti bianchi; masempre per distruggere l’altro e innalzare sestessi». Il ragionamento è questo: «Siccome ionon posso essere così virtuoso, così buono, di-minuisco l’altro, così io rimango sempre alto».Dunque «la rivalità è una via a questo agireper interesse». Poi, ha aggiunto Francesco, c’èanche «la vanagloria: io mi vanto di» qualco-sa. Come a dire: «Sono stato eletto io, nonl’altro, io che sono più importante, io mi credomigliore degli altri». Ma «questo distruggeuna comunità, distrugge una famiglia pure:pensate alla rivalità tra i fratelli per l’e re d i t àdel padre, per esempio, questa è cosa di tutti igiorni». E ancora: «Pensate alla vanagloria, acoloro che si vantano di essere migliori deglialtri: come Gesù li redarguiva questi, perchédistruggono la unanimità, distruggono la con-cordia e fanno le cose per interesse pensandoal tornaconto, alla propria utilità».

«La vita cristiana nasce dalla gratuità di Ge-sù e deve andare avanti sempre su questa re-gola di gratuità» ha insistito il Papa, specifi-cando: «Io faccio il bene e non mi preoccupose gli altri lo fanno o no; io non sono migliore

L’Osservatore Romanogiovedì 8 novembre 2018il Settimanale

17

degli altri, no: io faccio quello che devo fare, enon mi preoccupo di andare più alto per riva-lità o vanagloria». Ecco «l’unanimità e la con-cordia, quello che chiede Paolo».

Francesco, a questo punto, ha voluto far ri-ferimento all’attualità, ricordano una grave cri-si umanitaria in corso: «Quando noi leggiamole notizie delle guerre, pensiamo alle notiziedella fame dei bambini nello Yemen, fruttodella guerra: è lontano, poveri bambini, maperché non hanno da mangiare?». Però, hadetto il Papa, «la stessa guerra si fa a casa no-

stra, nelle nostre istituzioni con questa rivalità:incomincia lì, la guerra». E anche «la pace de-ve farsi lì: nella famiglia, nella parrocchia, nel-le istituzioni, nel posto di lavoro, cercandosempre la unanimità e la concordia e non ilproprio interesse».

«Chiediamo questa grazia per la nostra co-munità parrocchiale, per la nostra famiglia —ha suggerito il Pontefice — e quando mi vienein mente di distruggere in qualsiasi modo o fe-rire questa unanimità e concordia, fermarmi intempo e dire: no, questo no». E, ha concluso,«questa è una cosa bella, questa è una cosagrande, questa è la pace e facendo nel nostropiccolo questo, aiuteremo la pace del mondo,di tutta la gente».

MARTEDÌ 6Chi rifiuta l’invito alla festa

«Ho il mal di testa, oggi non posso, ho dafare...»: è il modo, apparentemente educato,con cui spesso si rifiuta Gesù che, per ogniuomo, ha pagato con la sua vita la festa eternanel regno dei cieli. È con espressioni incisiveche Papa Francesco nella messa del mattino hainvitato chi dice “no” a superare la durezzadel cuore e a non accampare scuse per chiude-re la porta in faccia al Signore.

«Il brano del Vangelo che abbiamo ascolta-to è dal capitolo quattordicesimo di Luca» haspiegato il Papa, facendo notare che «quasitutto il capitolo, meno un pezzo alla fine, è in-torno a un pranzo, è a tavola, e tutte le coseche accadono lì accadono a tavola». Ecco per-ciò «l’idea del banchetto alla fine del capito-lo», nella parabola raccontata da Gesù in par-ticolare nei versetti 15-24 proposti dalla liturgiadel giorno.

Riferendosi all’inizio del capitolo, il Pontefi-ce ha fatto presente che «Gesù si recò a pran-zo a casa di un capo dei farisei che lo avevainvitato: Gesù accettava sempre». Ma, «appe-na entrato, vide un ammalato di idropisìa esubito va a guarirlo: Gesù sempre vuole gua-rirci, a tutti noi». Però, ha ricordato il Papa,«era sabato, c’erano tutti i dottori della leggelì e chiede il permesso: “Si può guarire il saba-to?”». E «questi che mai, mai dicevano quelloche pensavano — erano ipocriti — hanno taciu-to». Gesù guarì quell’uomo malato, ha prose-guito Francesco, «e poi, nel momento di co-minciare il pranzo, vide come la gente, gli in-vitati, cercavano di occupare i primi posti perfarsi vedere, per farsi più importanti». In real-tà, ha affermato il Pontefice, «anche in chiesasuccede questo tante volte: persino ho saputoche in qualche posto c’è l’abitudine di “affitta-re ” i primi posti per le persone importanti eper le loro famiglie. Non so se sia vero, cosìmi hanno detto. Se lo fosse, è vergognoso».

Ritornando alla meditazione sul vangelo diLuca, il Papa ha fatto notare che «Gesù ap-profitta dell’opportunità per dire a questa gen-te: “non fate così perché farete il ridicolo: seviene uno più importante, vi manderanno in-d i e t ro ”». E proprio al fariseo capo della casa,colui che lo aveva invitato, Gesù raccomandadi invitare gente che non cerca di farsi vedere,che non cerca il profitto, altrimenti sembra chesi miri solo al contraccambio. E questo passo,ha ricordato Francesco, lo «abbiamo letto ieri:“invita i poveri, gli zoppi, i malati...”».

«A questo punto incomincia il brano di og-gi che è il brano del doppio rifiuto» ha rilan-ciato il Pontefice. Infatti «uno dei commensa-li, che ha sentito Gesù dire questo insegna-mento di non occupare i primi posti, dice:“Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!”.Sì, beato sarà quello che arriverà a quel granbanchetto che è il regno di Dio». E così eccoche «il regno di Dio si immagina come unbanchetto, una grande festa» ha spiegato ilPapa. A quelle parole Gesù «rispose con que-sta parabola dell’uomo che diede una grandecena e fece molti inviti. Allora invia i suoi ser-

Nikola Saric, «Gli invitatial grande banchetto»

#santamarta

L’Osservatore Romanogiovedì 8 novembre 2018il Settimanale

18

vi a dire agli invitati: “Venite, è pronto! Venite,presto! Tutto è pronto”. Ma tutti incomincianoa scusarsi, rifiutano di andare: “No, tu sai, hocomprato un campo, devo andare lì; ho com-prato cinque paia di buoi, devo andare lì; misono sposato, devo fare festa a casa...”».

Insomma, ha aggiunto Francesco, «semprescuse: si scusano». Ma «scusarsi è la parolaeducata per non dire “rifiuto”». Dunque «ri-fiutano, ma educatamente, e il padrone — vistoche la festa era già pronta — dice: “Vai all’in-crocio dei cammini e fai entrare tutti i poveri,

tutti i malati, gli zoppi, i ciechi, tutti”». E vi-sto che «ancora c’era posto, manda i suoi ser-vi: “Fai venire, costringi a entrare, convinci ae n t r a re ! ”». E «così si è celebrata la festa».

«Il brano del Vangelo finisce con il secondorifiuto — ha spiegato il Papa — ma questo dal-la bocca di Gesù: “Perché io vi dico: nessunodi quelli che erano stati invitati gusterà la miacena”». Perché, ha insistito Francesco, «Gesùaspetta» chi lo rifiuta, «dà una seconda op-portunità, forse una terza, una quarta, unaquinta, ma alla fine rifiuta lui». E «questo ri-fiuto — ha aggiunto — ci deve far pensare allevolte che Gesù ci chiama a fare festa con lui, aessere vicino a lui, a cambiare vita: pensateche cerca i suoi amici più intimi e loro rifiuta-no!». Così «poi cerca gli ammalati» ed essi«vanno: forse qualcuno rifiuta». Ma «quantevolte noi sentiamo la chiamata di Gesù per an-dare da lui, per fare un’opera di carità, perpregare, per incontrarlo e noi diciamo: “ma,scusa Signore, sono indaffarato, non ho tem-po, sì, domani, non posso”. E Gesù rimane lì.“Scusa Signore, adesso non posso”».

«Quella parola “scusa” con Gesù la diciamonoi tante volte — ha riconosciuto il Pontefice— quando sentiamo nel cuore che il Signore cichiama a incontrarci, a parlare, a fare una bel-la chiacchiera con il Signore: “No, non hotemp o”». E magari, ha aggiunto, «forse haitempo di andare dall’amico, dall’amica a

chiacchierare e a sparlare degli altri: per que-sto hai tempo, ma per andare da Gesù, no».

«Anche a noi capita di rifiutare l’invito diGesù» ha detto ancora Francesco, suggerendoun vero e proprio esame di coscienza. «Ognu-no di noi pensi: nella mia vita, quante volteho sentito l’ispirazione dello Spirito Santo afare un’opera di carità, a incontrare Gesù inquell’opera di carità, ad andare a pregare, acambiare vita in questo, in questo che non vabene? E sempre ho trovato un motivo per scu-sarmi, per rifiutare».

«Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio»dice il commensale di Gesù, come riporta Lu-ca. «Ma entra nel regno di Dio — ha afferma-to il Papa — soltanto quello che mai ha rifiuta-to Gesù o di solito non rifiuta; quello che nonè rifiutato da Gesù». Certo, ha proseguito,«Gesù è buono, alla fine perdona tutto: sì, èbuono, è misericordioso ma è anche giusto». E«se tu chiudi la porta del tuo cuore da dentro,lui non può aprirla perché è molto rispettosodel nostro cuore: rifiutare Gesù è chiudere laporta da dentro e non permettergli di entra-re». Ma «nessuno di noi, nel momento che ri-fiuta Gesù, pensa a questo: “Io chiudo la por-ta a Gesù da dentro”». Anzi «sempre pensa:“Ma no, sono cose, oggi non posso, ho mal ditesta”. Tante cose, no? Ma invece la verità èquella: rifiuto Gesù. E la scusa è il mal di te-sta, è indaffarato, tante cose».

In conclusione, il Pontefice è ritornatosull’immagine evangelica del «banchetto» sug-gerendo questa riflessione: «Chi paga la festa?

#santamarta

Gesù ci chiama a fare festacon Lui, ad essere vicino a Lui

a cambiare vita

(@Pontifex_it)

Gesù!». E già «nella prima lettura — ha spie-gato riferendosi al passo della lettera ai Filip-pesi (2, 5-11) — Paolo ci fa vedere la fattura diquesta festa: “Gesù svuotò se stesso assumen-do una condizione di servo, diventando simileagli uomini. Dall’aspetto riconosciuto comeuomo, umiliò se stesso facendosi obbedientefino alla morte e a una morte di croce”».

Dunque proprio «con la sua vita Gesù hapagato la festa»; eppure «io dico “non posso”.Dico “non posso” a questo, al Signore che hapagato questa festa per me». In questa pro-spettiva, ha auspicato Francesco, «il Signore cidia la grazia di capire questo mistero di durez-za di cuore, di ostinazione, di rifiuto e la gra-zia di piangere: “Tu hai pagato così questa fe-sta e io non voglio andare?”».

L’Osservatore Romanogiovedì 8 novembre 2018il Settimanale

19

Continuando la spiegazione del Decalogo, oggiarriviamo alla Settima Parola: «Non rubare».

Ascoltando questo comandamento pensiamoal tema del furto e al rispetto della proprietàaltrui. Non esiste cultura in cui furto e prevari-cazione dei beni siano leciti; la sensibilitàumana, infatti, è molto suscettibile sulla difesadel possesso.

Ma vale la pena di aprirci a una lettura piùampia di questa Parola, focalizzando il temadella proprietà dei beni alla luce della sapien-za cristiana.

Nella dottrina sociale della Chiesa si parladi destinazione universale dei beni. Che cosa si-gnifica? Ascoltiamo che cosa dice il Catechi-smo: «All’inizio, Dio ha affidato la terra e lesue risorse alla gestione comune dell’umanità,affinché se ne prendesse cura, la dominassecon il suo lavoro e ne godesse i frutti. I benidella creazione sono destinati a tutto il genereumano» (n. 2402). E ancora: «La destinazioneuniversale dei beni rimane primaria, anche sela promozione del bene comune esige il rispet-to della proprietà privata, del diritto ad essa edel suo esercizio» (n. 2403).1

La Provvidenza, però, non ha disposto unmondo “in serie”, ci sono differenze, condizio-ni diverse, culture diverse, così si può vivereprovvedendo gli uni agli altri. Il mondo è ric-

che possano giovare non unicamente a lui, maanche agli altri» (n. 2404). Ogni ricchezza,per essere buona, deve avere una dimensioneso ciale.

In questa prospettiva appare il significatopositivo e ampio del comandamento «non ru-b a re ». «La proprietà di un bene fa di colui chelo possiede un amministratore della Provvi-denza» (ibid.). Nessuno è padrone assoluto deibeni: è un amministratore dei beni. Il possessoè una re s p o n s a b i l i t à : “Ma io sono ricco di tut-to…” — questa è una responsabilità che tu hai.E ogni bene sottratto alla logica della Provvi-denza di Dio è tradito, è tradito nel suo sensopiù profondo. Ciò che possiedo veramente èciò che so donare. Questa è la misura per va-lutare come io riesco a gestire le ricchezze, sebene o male; questa parola è importante: ciòche possiedo veramente è ciò che so donare.Se io so donare, sono aperto, allora sono ricconon solo in quello che io possiedo, ma anchenella generosità, generosità anche come un do-vere di dare la ricchezza, perché tutti vi parte-cipino. Infatti se non riesco a donare qualcosaè perché quella cosa mi possiede, ha potere sudi me e ne sono schiavo. Il possesso dei beni èun’occasione per moltiplicarli con creatività eusarli con generosità, e così crescere nella cari-tà e nella libertà.

Cristo stesso, pur essendo Dio, «non ritenneun privilegio l’essere come Dio, ma svuotò sestesso» (Fil 2, 6-7) e ci ha arricchiti con la suapovertà (cfr. 2 Cor 8, 9).

Mentre l’umanità si affanna per avere di più,Dio la redime facendosi povero: quell’UomoCrocifisso ha pagato per tutti un riscatto ine-stimabile da parte di Dio Padre, «ricco di mi-sericordia» (Ef 2, 4; cfr. Gc 5, 11). Quello che

Il possessoè una responsabilità

Al l ’udienzag e n e ra l e

il Papa parladella destinazione

universale dei beni

Conrad Felixmüller«Maendicante a Prachatice»

#catechesi

co di risorse per assicurarea tutti i beni primari. Ep-pure molti vivono in unascandalosa indigenza e lerisorse, usate senza crite-rio, si vanno deteriorando.Ma il mondo è uno solo!L’umanità è una sola!2 Laricchezza del mondo, oggi,è nelle mani della mino-ranza, di pochi, e la po-vertà, anzi la miseria e lasofferenza, di tanti, dellamaggioranza.

Se sulla terra c’è la famenon è perché manca il cibo! Anzi, per le esi-genze del mercato si arriva a volte a distrug-gerlo, si butta. Ciò che manca è una libera elungimirante imprenditoria, che assicuriun’adeguata produzione, e una impostazionesolidale, che assicuri un’equa distribuzione.Dice ancora il Catechismo: «L’uomo, usandodei beni creati, deve considerare le cose este-riori che legittimamente possiede, non solo co-me proprie, ma anche come comuni, nel senso

L’Osservatore Romanogiovedì 8 novembre 2018il Settimanale

20

Le voci dei popoli dell’Amazzonia che chiedonogiustizia e la lotta dei poveri per la terra inColombia nella prospettiva dell’enciclica Laudato si’:ecco il filo conduttore degli incontri del Papadurante l’udienza generale di mercoledì 7 novembre.A raccontare a Francesco le loro storie, le ingiustiziema anche le loro speranze sono venuti in piazzaSan Pietro i rappresentanti di due tribùdell’Amazzonia brasiliana che stanno viaggiandonelle “terre dei bianchi” per realizzare ildocumentario Amazonian cosmos, curato dal registasvizzero Daniel Schweizer.Dario e Davi Kopenawa, degli yanomami, conJaider Esbell per il popolo macuxi, spiegano divoler continuare «a denunciare la deforestazione ele azioni che, per ragioni di guadagno, mettono inpericolo la nostra gente». E sanno di poter contaresulla parola del Papa «perché sostiene con forza lacausa della salvaguardia della casa comune». Haconsegnato simbolicamente a Francesco il“Prophetic Economy Award” — appena ottenuto alconvegno internazionale sull’economia dicomunione svoltosi nel Centro Mariapoli a CastelGandolfo — Germán Graciano Posso, cherappresenta la comunità San José de Apartadó,costituita in Colombia nel 1997 «come tentativo perrimanere nella propria terra e opporsi alle violenze esoprusi». Tutti vi lavorano in comune per creare un

Grido dei poveri

ci fa ricchi non sono i beni ma l’amore. Tantevolte abbiamo sentito quello che il popolo diDio dice: “Il diavolo entra dalle tasche”. Si co-mincia con l’amore per il denaro, la fame dipossedere; poi viene la vanità: “Ah, io sonoricco e me ne vanto”; e, alla fine, l’orgoglio ela superbia. Questo è il modo di agire del dia-volo in noi. Ma la porta d’entrata sono le ta-sche.

Cari fratelli e sorelle, ancora una volta GesùCristo ci svela il senso pieno delle Scritture.«Non rubare» vuol dire: ama con i tuoi beni,approfitta dei tuoi mezzi per amare comepuoi. Allora la tua vita diventa buona e il pos-sesso diventa veramente un dono. Perché la vi-ta non è il tempo per possedere ma per amare.Grazie.

1 Cfr. Enc. Laudato si’, 67: «Ogni comunitàpuò prendere dalla bontà della terra ciò di cuiha bisogno per la propria sopravvivenza, ma

ha anche il dovere di tutelarla e garantire lacontinuità della sua fertilità per le generazionifuture. In definitiva, “del Signore è la terra”(Sal 24, 1), a Lui appartiene “la terra e quantoessa contiene” (Dt 10, 14). Perciò Dio negaogni pretesa di proprietà assoluta: “Le terrenon si potranno vendere per sempre, perché laterra è mia e voi siete presso di me come fore-stieri e ospiti” (Lv 25, 23)».

2 Cfr. S. PAOLO VI, Enc. Populorum progres-sio, 17: «Ma ogni uomo è membro della socie-tà: appartiene all’umanità intera. Non è soltan-to questo o quell’uomo, ma tutti gli uominisono chiamati a tale sviluppo plenario. […]Eredi delle generazioni passate e beneficiaridel lavoro dei nostri contemporanei, noi ab-biamo degli obblighi verso tutti, e non possia-mo disinteressarci di coloro che verranno dopodi noi ad ingrandire la cerchia della famigliaumana. La solidarietà universale, che è un fat-to e per noi un beneficio, è altresì un dovere».

sistema economico di auto-sostenibilità per cibo,energia ed educazione. Insieme al premio, Germánha donato al Papa una tavoletta di cacao biologicoprodotta a San José de Apartadó. Con lui Silvia DeMunari, impegnata in prima linea nei progettiinternazionali della comunità Giovanni XXIII,promotrice del convegno insieme a diverse realtàcome Nomadelfia e il movimento dei Focolari.Il presidente della fondazione Joseph Ratzinger -Benedetto XVI, il gesuita Federico Lombardi, hapresentato a Papa Francesco il volume che raccogliegli atti del simposio internazionale sulla Laudato si’,svoltosi lo scorso anno a San José, in Costa Rica,per iniziativa della fondazione stessa edell’università cattolica locale.Significativa, infine, la partecipazione all’udienzadei rappresentanti dell’Associazione maschereitaliane, «che si propone il recupero culturale diquesta particolare tradizione che va ben oltrel’aspetto ludico» fa presente il presidente MaurizioTrapelli. La maschera infatti «è festa di popolo,luogo di confronto culturale e riconciliazione,proprio perché frutto di intelligente ironia, sanodivertimento, gioco di conoscenza di se stessi edegli altri» spiegano i responsabili, ognuno conindosso coloratissimi costumi tradizionali di tuttaItalia.

#catechesi

L’Osservatore Romanogiovedì 8 novembre 2018il Settimanale

21

di MARCELOFIGUEROA

Nell’esteso e profondo documento finale del re-cente sinodo sui giovani, la fede e il discerni-mento vocazionale vi sono, accanto a diversispunti che si ritrovano nel testo sparsi qua elà, tre paragrafi che presentano il tema del dia-logo interreligioso ed ecumenico. Si tratta deinumeri 12, 155 e 156. Sull’importanza del lorocontenuto, è possibile e opportuno sottolinea-re due sfide e virtù speciali caratteristiche deigiovani e a loro rivolte: la natura di un rinno-vamento quotidiano e la genesi di una dinami-ca simbolica liberatrice.

Si osserva con realismo nel documento chequesto mondo multiculturale, globale, virtualee diverso è esattamente l’universo vissuto e ri-conosciuto dalle ultime generazioni con la fre-schezza della naturalezza e della genuinità.«Proprio i giovani, che vivono quotidianamen-te a contatto con i loro coetanei di altre con-fessioni cristiane, religioni, convinzioni e cul-ture, stimolano l’intera comunità cristiana a vi-vere l’ecumenismo e il dialogo interreligioso»(126) si legge nel testo.

Questo fatto costituisce un’occasione proba-bilmente unica di unire la facilità e la freschez-za giovanile nello stabilire rapporti sociali allafluidità e all’empatia nel proporre una formadi dialogo diretto, franco, e quindi costruttivo,su basi non artificiali. Per questo è importanteche si sottolinei la necessità di conciliare il co-raggio di parlare con l’umiltà di ascoltare. E viè espressa la speranza che i giovani vivano unrinnovamento attraverso il dialogo interreligio-so a partire dalla naturalezza del loro mondo edalla autenticità dei loro universi personali.

Inoltre, nell’incontro tra religioni è oggi ne-cessaria una dinamica che, senza smettere diconsiderarle come valide, vada al di là deicammini e dei modi già noti per aprirne altri

nuovi e rivoluzionari. È così pertinente l’osser-vazione che papa Francesco fa nel documentoal numero 156, quando afferma che sono pro-prio i giovani a sollecitare «passi in avanti ver-so la piena comunione. E ciò non perché essiignorino il significato delle differenze che an-cora ci separano, ma perché sanno vedere ol-tre, sono capaci di cogliere l’essenziale che giàci unisce».

Viviamo in un mondo che purtroppo sta co-struendo muri di pregiudizi di fronte e intornoa culture e religioni che provengono da popoliisolati, sofferenti e profughi. Allo stesso modospesso si percepiscono come minacce al nostrostile di vita alcune appartenenze sociali o vi-sioni del mondo diverse ma in realtà a noimolto vicine. Assistiamo con sgomento aun’involuzione culturale di esclusione, e que-sta sta fabbricando vere e proprie catene chealla fine ci rendono schiavi. In questo processosuicida dal punto di vista umano, culturale espirituale riemergono poi stigmatizzazioni, fo-bie e odi che credevamo superati da tempo.

È dunque profetico che nel documento ap-provato dal sinodo si menzionino i giovani co-me possibili protagonisti di una controculturaevangelica liberatrice. Proprio i giovani infatti«sono chiamati ad aprirsi ai giovani di altretradizioni religiose e spirituali, a mantenerecon loro rapporti autentici che favoriscano laconoscenza reciproca e guariscano dai pregiu-dizi e dagli stereotipi. Essi sono così i pionieridi una nuova forma di dialogo interreligioso einterculturale, che contribuisce a liberare lenostre società dall’esclusione, dall’e s t re m i s m o ,dal fondamentalismo e anche dalla manipola-zione della religione a fini settari o populisti»(n. 155). Per costruire un mondo più inclusivoe più umano.

Rinnovamentoe liberazione

Un momento della festaorganizzata dai giovani al sinodo

(26 ottobre)

#dialoghi

Dal documentofinaledel recente sinododedicato ai giovaniun impulsoal dialogoecumenicoe interreligioso

L’Osservatore Romanogiovedì 8 novembre 2018il Settimanale

22

di ENZOBIANCHI

L

La venutadel Figliodell’uomonella gloria

18 novembreXXXIII domenica

del tempoo rd i n a r i o

Marco 13, 24-32

«Allora vedranno il Figliodell’uomo venire sulle»(Stephen B. Whatley)

e parole di Gesù su cui oggi meditiamo, termi-nando la lettura del vangelo secondo Marcoascoltato nell’assemblea domenicale lungo tut-ta l’annata liturgica B, sono quelle da lui pro-nunciate negli ultimi giorni della sua vita, pri-ma della passione e morte; parole da lui rivol-te sul monte degli Ulivi ai quattro discepolidella prima ora (cfr. Ma rc o 1, 16-20), quelli alui più vicini: Pietro, Giacomo, Giovanni eAndrea (cfr. Ma rc o 13, 3). Il cosiddetto discor-so escatologico occupa tutto il capitolo 13 evuole essere una risposta alla domanda circa iltempo successivo alla vicenda terrena di Gesù:cosa accadrà? Servendosi di idee e immaginitratte dai libri profetici, Gesù annuncia che iltempio di Gerusalemme, che sorgeva maestosodavanti a lui e ai discepoli, andrà in rovina( c f r. Ma rc o 13, 2), che vi saranno eventi checauseranno grande sofferenza (cfr. Ma rc o 13, 5-23) e che alla fine — è il tema del nostro brano— il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria percompiere il giudizio ultimo e definitivo (cfr.Ma t t e o 25, 31-46). Questo discorso di Gesù èun messaggio in un linguaggio codificato, se-condo il genere apocalittico, un linguaggioche vuole essere rivelativo, profetico, pur risul-tando a volte oscuro, di difficile interpretazio-ne.

Noi ne leggiamo per l’appunto solo la partefinale, l’annuncio della venuta gloriosa delmessia, quando si sarà verificata la distruzionedel tempio e sarà passato il tempo della storia,nella quale guerre, calamità e persecuzioni sifaranno dolorosamente presenti nella vita diuomini e donne (come vediamo da che mondoè mondo). Dopo la terribile prova che investi-rà l’intera umanità, il popolo di Israele e laChiesa del Signore, ci sarà uno sconvolgimen-to di tutto l’assetto dell’universo creato. Nonlasciamoci spaventare dalle parole di Gesù, maintimorire sì, perché esse rivelano la verità diquesto mondo che Dio ha creato, voluto e so-stenuto, ma che avrà un termine, una fine: co-me c’è una fine personale, la morte, così ci sa-rà una fine di questo mondo. Gesù vuole par-lare di questi eventi, per rivelare una realtà dai

tratti indescrivibili. La creazione subirà unprocesso di de-creazione, potremmo dire un ri-torno all’in-principio (cfr. Genesi 1, 1-2), ma invista di una nuova creazione, di un mondonuovo, con cieli e terra nuovi (cfr. Isaia 65, 17;66, 22; 2 Pietro 3, 13; Ap o c a l i s s e 21, 1). Questeimmagini non vogliono significare distruzione,decomposizione, scomparsa della materia, mala fine degli attuali assetti della creazione, inpreda alla sofferenza, al male e alla morte, peruna ri-creazione, una trasfigurazione che nonriusciamo neppure a immaginare.

Ecco allora le immagini apocalittiche, ispira-te da fenomeni che l’uomo contempla, ma chesono transitori, dunque non distruttori dellavita: il sole che si eclissa definitivamente, la lu-na che perde la sua luce, le stelle che cadonodal cielo. Immagini evocatrici della fragilitàdell’assetto del nostro universo, che non èeterno, che — come ci assicurano anche lescienze — ha avuto un inizio e avrà una fine. Etuttavia questo universo, che agli occhi deicredenti nel Signore Gesù «geme e soffre ledoglie del parto» (Romani 8, 22), è un univer-so voluto da Dio e che Dio salverà, trasfigu-randolo in dimora del suo Regno.

Proprio in questa crisi cosmica si manifeste-rà il Figlio dell’uomo, farà la sua parusia in

#meditazione

L’Osservatore Romanogiovedì 8 novembre 2018il Settimanale

23

modo glorioso, venendo dai cieli, nella lucedefinitiva che vincerà per sempre le tenebre:«Allora vedranno il Figlio dell’uomo veniresulle nubi con grande potenza e gloria» (cfr.Daniele 7, 13-14). Lo ripeto: la venuta finale delSignore non nega la storia, ma vuole trasfigu-rare il nostro mondo. Ma in verità anche que-sto evento chi può descriverlo? I cristiani han-no dipinto o rappresentato in mosaici nelle ab-sidi delle chiese il veniente nella gloria, sedutosull’arcobaleno, giudice di tutto l’universo,

vono dunque chiedere «quando?» ma devonopiuttosto chiedersi se loro stessi saranno prontiad accogliere quell’evento della parusia comesalvezza, se saranno capaci di gioire davantialla venuta del Figlio dell’uomo, se avrannosaputo sperare con perseveranza in quell’ora:un’ora che è un segreto, perché neanche l’uo-mo Gesù la conosceva, e neppure gli angeli,ma solo il Padre. Per questo i credenti impari-no a osservare la storia con spirito di discerni-mento, leggendo i «segni dei tempi». Gesù,

pantokràtor (cfr. 2 Corinzi 6, 18; Ap o c a l i s s e 1, 8;4, 8, eccetera), cioè colui che tiene insieme tut-te le cose; ma nel farlo hanno dovuto ispirarsialla parusia, all’ingresso glorioso dei re e degliimperatori, rivestendo il Figlio di Dio e Figliodell’uomo dei tratti di una gloria umana.

In realtà, non sappiamo in che forma con-templeremo il Signore veniente; possiamo solodire che allora lo riconosceremo tutti, anchequelli che durante la loro vita non l’hanno mairiconosciuto nell’affamato, nell’assetato, nelmalato, nello straniero, nel carcerato, nel-l’ignudo (cfr. Ma t t e o 25, 31-46). Anche quelliche hanno trafitto Gesù o hanno trafitto il po-vero, la vittima, allora lo riconosceranno, sibatteranno il petto (cfr. Ap o c a l i s s e 1, 7) e capi-ranno che le trafitture inferte all’altro, al fratel-lo o alla sorella, erano trafitture che raggiun-gevano il Signore, il quale ora si mostra giudi-ce misericordioso ma temibile. Sarà quella an-che l’ora del raduno di tutti gli eletti, i giusti,quelli che hanno vissuto esercitando fiducianell’altro, sperando insieme agli altri, amandochi avevano accanto e, con il loro comporta-mento, rendevano prossimo, vicino. I figli diDio dispersi saranno finalmente una comunio-ne, che non conoscerà più né morte, né male,né peccato (cfr. Isaia 35, 10; Ap o c a l i s s e 21, 4).

Quando questo accadrà (cfr. Ma rc o 13, 4)?In un giorno che nessuno conosce, eppure èun giorno certo, è una promessa di Dio che sirealizzerà. Non è il quando che conta, bensì lafiduciosa certezza di un futuro orientato dallapromessa del Signore: «Io vengo presto!»(Ap o c a l i s s e 22, 20). I discepoli di Gesù non de-

del resto, lo aveva constatato, con un certostupore che è anche un’esortazione: «Sapeteinterpretare l’aspetto del cielo e non siete ca-paci di interpretare i segni dei tempi?» (Ma t t e o16, 3). Domanda che sempre ci intriga e accen-de la nostra responsabilità, chiamando in cau-sa il nostro discernimento.

La venuta del Figlio dell’uomo sarà comel’estate che i contadini sanno prevedere, guar-dando soprattutto la pianta di fico: quando ilfico, per il risalire della linfa, intenerisce i suoirami e si aprono le gemme rimaste chiuse pertutto l’inverno, allora sta per scoppiare l’estate.Così, se il credente sa leggere la storia, aderen-do alla realtà quotidiana della vita umana eascoltando la parola di Dio che sempre risuo-na nel suo «oggi» (cfr. Salmi 95, 7), allora saràpronto per l’ora della venuta temibile e miseri-cordiosa del Signore. Si tratta — come si leggenella conclusione del discorso (cfr. Ma rc o 13,33-37), quella con cui abbiamo aperto l’annoliturgico, nella prima domenica d’Avvento —di vegliare, di restare vigilanti, desti, capaci diesercitare l’intelligenza per discernere e non es-sere trovati addormentati o spiritualmente in-tontiti.

Sarà la fine? Sì, ma quella fine porta un no-me: è il Signore Gesù Cristo, Figlio dell’uomoe Figlio di Dio, uomo e Dio che è venuto nelmondo, da Dio qual era (cfr. Filippesi 2, 6),per farsi uomo, e verrà nella gloria perchél’uomo diventi Dio. Allora, finalmente, Dio sa-rà tutto in tutti (cfr. 1 Corinzi 15, 28): tuttal’umanità sarà in Dio e ognuno di noi sarà ilFiglio di Dio.

#meditazione

Nathan Greene, «Manifestazionegloriosa del Figlio dell’uomo»( p a r t i c o l a re )

«La buona politica è al servizio della pace»Questo è il titolo del messaggio per la cinquantaduesima giornata mondiale

della pace, che si celebra il 1° gennaio 2019La responsabilità politica appartiene a ogni cittadino, e in particolare a chi

ha ricevuto il mandato di proteggere e governareQuesta missione consiste nel salvaguardare il diritto e nell’incoraggiare il dialogo

tra gli attori della società, tra le generazioni e tra le cultureNon c’è pace senza fiducia reciproca. E la fiducia ha come prima condizione

il rispetto della parola data

(6 novembre)

#controcopertina

Particolari del ciclo di affreschidi Ambrogio Lorenzetti

In alto, allegoriadel buon governo

e, in basso, effetti in città(Siena, 1338-1339)