Giursita Del Lavoro Numero Promo Aprile 2011

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2011

1aprile 2011

EDITORE E PROPRIETARIO Gruppo Euroconference Spa Via E. Fermi, 11/a 37135 Verona

DIRETTORE RESPONSABILE Gian Paolo Ranocchi

COMITATO SCIENTIFICO DI REDAZIONE Evangelista Basile Marco Frisoni Luca Vannoni Luca Caratti Elena Valcarenghi Cristian Valsiglio ABBONAMENTO ANNUALE Euro 140 Iva esclusa

STAMPA Autorizzazione del Tribunale di Verona n.878 del 21 novembre 2003 SERVIZIO CLIENTI Per informazioni su abbonamenti, argomenti trattati, numeri arretrati, cambi di indirizzo: 045/8201828 fax 045/502430. E_mail: [email protected] Eventuali numeri non pervenuti devono essere reclamati via mail al servizio clienti non appena ricevuto il numero successivo.

RESPONSABILE REDAZIONALE Sara Cunego

PERIODICIT E DISTRIBUZIONE Mensile ISSN 2039 6716

2aprile 2011

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Approfondimenti4 Obblighi normativi e contrattuali per l'occupazione nei cambi appaltodi Evangelista Basile

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Retrocessione dazienda: applicabilit dellart.2112 ed effetti sui rapporti di lavorodi Edoardo Frigerio

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Gli ultimi orientamenti giurisprudenziali in materia di licenziamento per il superamento del periodo di comportodi Carlo Galli

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Cessione di credito, pignoramento e Tfr ceduto in garanzia: limiti e obblighi nel rapporto di lavorodi Riccardo Girotto

28

Le problematiche sulla conversione del contratto a tempo determinato nel pubblico impiegodi Gesuele Bellini

Clausole e accordi nei contratti di lavoro34 Il lavoro intermittente: un valido strumento per le esigenze discontinuedi Luca Vannoni e Luca Caratti

La gestione delle controversie di lavoro42 Demansionamento e rifiuto di eseguire la prestazione lavorativa: lautotutela del lavoratoredi Gabriele Fava e Daniele Colombo

Losservatorio giurisprudenziale49 LOsservatorio giurisprudenziale di aprilea cura di Evangelista Basile

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Approfondimenti

Obblighi normativi e contrattuali per l'occupazione nei cambi appaltoa cura di Evangelista Basile Avvocato in Milano Partner Studio Legale Ichino BrugnatelliLe opere o i servizi esternalizzati dalle aziende spesso registrano successioni di diversi appaltatori nei rapporti con il committente, con importanti riflessi occupazionali, atteso che per definizione la disdetta di un appalto e lassegnazione dellattivit ad altra impresa subentrante comporta, per la prima, una perdita di lavoro, per la seconda, unopportunit dincremento occupazionale. Da un punto di vita giuridico, la prima valutazione riguarda la possibile configurabilit di un trasferimento dazienda, partendo dal dato che nella successione dappalto il mero trapasso di lavoratori non configura un trasferimento dazienda ex art.2112 c.c., per cui a maggior ragione non ci sar trasferimento dazienda nel caso in cui limpresa subentrante neppure acquisisca il personale della ditta uscente. In secondo luogo, si dovr prendere in considerazione la presenza di norme a tutela delloccupazione prevista dalla contrattazione collettiva, con la precisazione che i vincoli di assunzione previsti da vari contratti collettivi nei casi di successione di appalti operano solo allorch tutte le imprese coinvolte siano tenute allapplicazione dei contratti stessi. Da ultimo, si evidenzia come le clausole collettive che prevedano lobbligo per la impresa subentrante di assumere, con passaggio diretto, il personale in organico dellimpresa uscente impiegato sullappalto potrebbero essere ritenute nulle per contrariet ai principi comunitari in materia di liber di concorrenza e di parit di condizioni tra imprese e tra lavoratori nel mercato. Come noto, le imprese fanno ricorso sempre pi frequente a processi di esternalizzazione, affidando a soggetti terzi attivit prima gestite in via diretta. Volendo semplificare un fenomeno che in realt molto complesso e variegato, si pu dire che la decisione imprenditoriale di assegnare in outsourcing una determinata attivit pu ricondursi di norma a due esigenze: 1. concentrare gli sforzi sul core business dellazienda, acquistando fuori tutto ci che accessorio (si pensi ai servizi di pulizia, reception, centralino, trasporto, facchinaggio etc), 2. affidare servizi anche molto importanti e strategici a soggetti altamente specializzati (si pensi, in tal senso, allappalto dei servizi di sicurezza informatica o allaffidamento a una software house dello sviluppo e della manutenzione di un particolare programma gestionale). Laffidamento a terzi di opere o servizi avviene, di norma, attraverso contratti di appalto, disciplinati dagli artt.1655 e ss c.c., integrati quanto agli aspetti giuslavoristici dallart.29 del D.Lgs. n.276/03. Accade poi di sovente che le opere o i servizi esternalizzati vengano affidati dal committente a nuovi appaltatori e tale successione ha importanti riflessi occupazionali, atteso che, per definizione, la disdetta di un appalto e lassegnazione dellattivit ad altra impresa subentrante comporta per la prima una perdita di lavoro (e spesso la necessit di licenziare il personale in esubero), per la seconda unopportunit dincremento occupazionale. I lavoratori impiegati nellappalto, solitamente, sono interessati a mantenere il lavoro nello stesso luogo e alle stesse condizioni precedenti e, dunque, a transitare alle dipendenze dellimpresa subentrante, senza perdere i diritti precedentemente acquisiti. Vediamo in quali casi la legge o la contrattazione collettiva tutelano i livelli occupazionali nei cambi di appalto, concentrando la nostra attenzione su tre aspetti: A. se e a quali condizioni configurabile nel cambio di appalto un trasferimento dazienda o di suo ramo, con conseguente applicazione delle tutele di cui allart.2112 c.c.; B. esistenza di clausole contrattuali collettive che impongono alle imprese subentranti nellappalto di assorbire il personale dellimpresa uscente; C. legittimit di tali clausole rispetto alla normativa comunitaria in tema di concorrenza.

A.Non raro che in caso di cambio di appalto limpresa subentrante decida di eseguire lopera o il servizio assegnatole dalla committente con i propri dipendenti in organico o con personale neoassunto ad hoc, senza assorbire il personale dellimpresa uscente. Ci pu accedere per svariate ragioni: vuoi perch il committente stesso a richiedere discontinuit nellimpiego del personale assegnato allesecuzione del servizio oggetto dellappalto, vuoi perch limpresa subentrante ha necessit di impiegare personale in quel momento sottoutilizzato o magari sospeso dal lavoro per assenza di commesse. In questi casi, i lavoratori dellimpresa uscente non assunti dal nuovo appaltatore rischiano nella migliore delle ipotesi di essere spostati dal proprio datore di lavoro su nuove e diverse commesse (se ne ha), oppure di essere licenziati per giustificato motivo

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Approfondimentioggettivo, ossia per la soppressione delle posizioni lavorative conseguente alla disdetta dellappalto. Pertanto, assai frequente che, in questi casi, i lavoratori interessati sostengano la configurabilit nel cambio di appalto di un trasferimento di azienda o ramo dazienda, con conseguente loro diritto a passare alle dipendenze dellimpresa subentrante ex art.2112 c.c.. Partiamo come sempre dal dato normativo: lart.29, co.3 del D.Lgs. n.276/03 dispone che Lacquisizione del personale gi impiegato nellappalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto, non costituisce trasferimento dazienda o di parte dazienda. La disposizione ha chiarito, in altre parole, che nel caso di successione nellappalto il mero trapasso di lavoratori non configura un trasferimento dazienda ex art.2112 c.c., per cui a maggior ragione non ci sar trasferimento dazienda nel caso in cui limpresa subentrante neppure acquisisca il personale della ditta uscente. Del resto, lart.29, co.3, non sembra avere una portata particolarmente innovativa, in quanto gi la giurisprudenza formatasi sulla vecchia disciplina1 aveva comunque escluso la possibilit di inquadrare la successione di un imprenditore a un altro nella gestione di un servizio concesso in appalto nella fattispecie del trasferimento dazienda ex art.2112 c.c.. In tal senso, la giurisprudenza insegna che: La successione di una impresa ad unaltra, a seguito di una nuova gara, nella gestione con propria organizzazione di un servizio affidato in appalto non costituisce trasferimento dazienda ex art.2112 c.c.2. Non configurabile un'ipotesi di trasferimento d'azienda nel caso di esaurimento di un contratto d'appalto di servizi di pulizia e di successione cronologica nell'espletamento del servizio da parte di altra impresa aggiudicatrice del nuovo contratto, in quanto nella fattispecie difetta il requisito del passaggio ad un diverso titolare, in tutto o in parte, di un complesso di beni organizzato che preservi la sua identit obiettiva3. Ovviamente, dal caso esaminato va tenuta distinta lipotesi in cui il cambio di appalto comporti anche il passaggio di un complesso di beni organizzati tra il vecchio e il nuovo appaltatore. In tal caso, evidentemente, non si tratter pi di una mera successione di imprenditori in un servizio e neppure di un semplice trapasso di dipendenti, ma ci troviamo di fronte al trasferimento di unarticolazione funzionalmente autonoma di unattivit economica organizzata in quanto tale, soggetto alla disciplina di cui allart.2112 c.c.. In tal senso si espressa la giurisprudenza, affermando: Per trasferimento dazienda ai sensi dell'art. 2112 c.c., ai fini della conservazione dei rapporti di lavoro e dei diritti dei lavoratori, deve intendersi ogni cambiamento della titolarit dellazienda, con qualsiasi strumento giuridico avvenga il relativo passaggio, a prescindere da un rapporto contrattuale diretto tra imprenditore uscente e imprenditore subentrante nella gestione. (). Nella fattispecie concreta, si verificato il passaggio di tutto il personale in carico e di beni di non trascurabile entit, tali da consentire l'esercizio della medesima attivit d'impresa senza soluzione di continuit4. Alle stesse conclusioni pervenuta anche la dottrina, che anche in epoca precedente alla novella del legislatore del 2003 aveva affermato che per la configurabilit del trasferimento dazienda occorreva pur sempre che lappaltatore subentrante utilizzasse il complesso dei beni organizzati dallimprenditore uscente, nonch la parte quantitativamente e qualitativamente pi rilevante della mano dopera gi utilizzata in precedenza5.Trib. Napoli, 21 giugno 2000 Dir. lav. 2001, II, 39; Cass. 2 ottobre 2006, Dir. & Giust. 2006, 42, 20; Consiglio di Stato, sez. VI, 21 novembre 2002 n.6415, Foro Amm. CDS 2002, 2962. 4 Tribunale Asti, 27 febbraio 2007, Giur. piemontese 2007, 3, 470;Tribunale Firenze, 15 ottobre 2005, D.L. Riv. critica dir. lav. 2006, 3, 832. 5 Per tutti, A. Vallebona, Successione nellappalto e tutela dei posti di lavoro, in RIDL, 1999, II, 217; cos anche R. De Luca Tamajo. La3

A tal proposito, si rammenta che se il vecchio co.5 dellart 2112 c.c. aveva ampliato la fattispecie del trasferimento dazienda in modo da ricomprendervi anche la successione di un nuovo soggetto al vecchio nella gestione di unattivit, occorreva pur sempre che il nuovo gestore utilizzasse per lesercizio di detta attivit una qualche entit economica che dopo il trasferimento conservasse la propria identit: il trasferimento di azienda si verifica ogni volta che venga ceduto un insieme di elementi costituenti un complesso organico e funzionalmente adeguati conseguire lo scopo in vista del quale il loro coordinamento stato posto in essere; necessario e sufficiente, cio, che sia stata ceduta unentit economica ancora esistente, la cui gestione sia stata effettivamente proseguita o ripresa dal nuovo titolare con le stesse o analoghe attivit economiche (Trib. Milano 6 marzo 2002, OGL, 2002, p.78; tra le altre, ultimamente v. anche Cass. 7 luglio 2002 n. 10348 e 12 luglio 2002, n.10193, per quel che consta entrambe ancora inedite). 2 Corte di Appello di Lecce, 19 gennaio 2008, Dir. Relaz. Ind. 2008, 3, 759.

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ApprofondimentiQuesto orientamento della dottrina e della giurisprudenza rispecchia i criteri interpretativi della Corte di Giustizia Europea, che a partire dalla nota sentenza Suzen ha chiarito lestraneit della mera successione in un appalto (di pulizie, in quel caso) rispetto alla fattispecie del trasferimento di azienda: Lart. 1, n. 1, della direttiva Cee del consiglio 77/187 devessere interpretato nel senso che la direttiva non trova applicazione in una fattispecie in cui il committente, che abbia affidato i lavori di pulizia dei propri locali ad un primo imprenditore, risolva il contratto con questo stipulato e concluda, ai fini dellesecuzione di lavori analoghi, un nuovo contratto con un secondo imprenditore, quando loperazione non sia accompagnata n da una cessione, tra luno e laltro imprenditore, di elementi patrimoniali, materiali o immateriali, significativi, n dallassunzione, ad opera del nuovo imprenditore, di una parte essenziale in termini di numero e di competenze, del personale gi destinato dal predecessore allesecuzione del contratto () La semplice perdita di un appalto di servizi a vantaggio di un concorrente non pu quindi rivelare, di per s, lesistenza di un trasferimento ai sensi della direttiva. In una siffatta situazione, limpresa di servizi precedentemente affidataria dellappalto, ove perda un cliente, continua tuttavia a sopravvivere integralmente, senza che si possa ritenere che uno dei suoi stabilimenti o parti di stabilimento siano stati ceduti al nuovo appaltatore (Punto 16)6.

B.Come abbiamo detto, lart.2112 c.c. non consente la prosecuzione dei rapporti di lavoro in capo allimprenditore subentrante, a meno che nelloperazione di cambio dappalto questi non si renda cessionario di una vera e propria attivit economica organizzata. Pertanto, alcuni contratti collettivi relativi ai settori merceologici in cui maggiormente sentita tale esigenza hanno previsto delle specifiche tutele contrattuali a favore dei lavoratori interessati dal cambio dappalto (o meglio: a favore dei lavoratori gi impiegati dellappaltatore uscente, perch, a onor del vero, anche i lavoratori dellimpresa subentrante o i potenziali suoi candidati allassunzione sono interessati dal cambio dappalto). Taluni prevedono espressamente lobbligo per limpresa subentrante di assumere, con passaggio diretto, il personale in organico dellimpresa uscente impiegato sullappalto o almeno coloro che possono vantare una certa anzianit minima alle medesime condizioni contrattuali precedenti (in questo senso, si vedano Ccnl Multiservizi; Ccnl Turismo; Ccnl Vigilanza Privata, Ccnl Cooperative Sociali). Altri non si spingono fino a prevedere un vero e proprio obbligo a contrarre, ma si limitano a prevedere lesperimento di una procedura di consultazione sindacale per verificare la possibilit di salvaguardare i livelli occupazionali (in questo senso, si veda Ccnl Trasporto, merci e logistica). In tale seconda ipotesi, laddove le imprese interessate disattendano le previsioni contrattuali, le organizzazioni sindacali potranno agire ex art.28 St. Lav. per condotta antisindacale, ma ci pare di poter escludere che i lavoratori possano ottenere dal giudice del lavoro la costituzione del rapporto in capo allimpresa subentrante, stante linesistenza di un obbligo allassunzione. Lesistenza di un obbligo a contrarre in capo allimpresa subentrante o, pi semplicemente, di consultare i sindacati, dipende dallinterpretazione delle clausole contrattuali collettive. Non mancano peraltro delle sfumature. Per esempio, lart.4 del Ccnl Multiservizi pur imponendo lobbligo dellimpresa subentrante di assorbire il personale della ditta uscente lo condiziona, tra le altre cose, alla circostanza che il nuovo appalto abbia le medesime condizioni precedenti, prevedendo che in difetto ossia in caso di modifica delle condizioni contrattuali dellappalto (per esempio, riduzione del servizio richiesto al nuovo appaltatore rispetto allappalto precedente) limpresa subentrante sia obbligata soltanto ad avviare una consultazione sindacale. Infatti, detta ipotesi ricadrebbe non gi nella

nuova disciplina del trasferimento dazienda nel quadro dei processi di esternalizzazione produttiva, in Forme e regole del decentramento produttivo, atti del seminario dellAgens svoltosi a Roma il 9 luglio 2001. 6 Si veda in proposito C. Giust. 14 aprile 1994 nella causa n.392/92, Christel Schmidt c. Spar und Leihkasse, RIDL, 1995, II, p.608, con nota di P. Lambertucci, Sulla nozione di trasferimento di azienda nel diritto comunitario; C. Giust. 11 marzo 1997, nella causa n.13/95, Suzen c. Zehnacker (dalla quale tratta la citazione sopra riportata), FI, 1998, IV, c. 437, con nota di R. Cosio, RIDL, 1998, II, p.651, con nota di C. Faleri, I giudici comunitari rivedono la nozione di trasferimento di azienda, MGL, 1997, p.241; C. Giust. 10 dicembre 1998, nelle cause Sachez e Zieman (in riferimento a un trasferimento di appalto di servizio di assistenza domiciliare a persone disabili e di un appalto di servizi di sorveglianza: qui la Corte indica come oggetto del trasferimento rilevante un complesso organizzato di persone ed elementi); C. Giust. 10 dicembre 1998, nelle cause Hernandez Vidal n.127/96, Santer n.229/96 e Gomez Montana n.74/97, MGL, 1999, p.98 (in relazione a trasferimenti di appalti di pulizie; C. Giust 7 marzo 1996, nelle cause n.171 e n.172/94, Merckx e Neubuys c. Ford, LG, 1996, p.717, con nota di L. Corazza, Il trasferimento di attivit costituisce trasferimento dimpresa ai sensi della direttiva 77/187 (in riferimento a un caso in cui la successione tra le due imprese aveva avuto per oggetto unattivit di vendita in concessione).

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Approfondimentifattispecie di cui alla lett.a), ma in quella di cui alla lett.b) del citato art.4 Ccnl Multiservizi, che concerne la cessazione di appalto con modificazione di termini, modalit e prestazioni contrattuali e non prevede in alcun modo un obbligo di assunzione dei lavoratori della ditta uscente, ma solo limpegno a esaminare la situazione con le Organizzazioni sindacali competenti7. Ci detto, occorre fare un paio di precisazioni peraltro collegate tra loro in ordine allambito di applicabilit di tali clausole contrattuali collettive e alla loro incidenza sulla disciplina dei licenziamenti per ragioni oggettive. Anzitutto, va chiarito che i vincoli di assunzione previsti da vari contratti collettivi nei casi di successione di appalti operano solo allorch tutte le imprese coinvolte siano tenute allapplicazione dei contratti stessi8. Sul punto, la giurisprudenza di merito ha pi volte affermato che il rispetto delle clausole collettive (si trattava dellart.4 del Ccnl pulizie) non pu imporsi a quelle aziende che non applichino detta normativa collettiva, n a tal fine rileva il criterio oggettivo di cui allart.2070 c.c., ormai abbandonato per il suo contrasto col principio costituzionale di libert sindacale (art.39 Cost.): A parere del giudicante la pretesa del sindacato di applicare alla fattispecie lart.4 CCNL imprese di pulimento infondata. Come si detto tutte le cooperative uscenti hanno dichiarato di applicare ai propri soci lavoratori CCNL differenti da quello azionato dal sindacato ricorrente e dette allegazioni risultano confermate dalle previsioni dei vari regolamenti prodotti in giudizio. Ci posto deve ritenersi, conformemente allindirizzo giurisprudenziale prevalente che nel vigente ordinamento del rapporto di lavoro subordinato,7

regolato dai contratti collettivi di diritto comune, lindividuazione del contratto collettivo che regola il rapporto di lavoro va fatta unicamente attraverso lindagine della volont delle parti, risultante, oltre che dallespressa pattuizione, anche implicitamente dalla eventuale protratta e non contestata applicazione di contratto collettivo determinato, il ricorso al criterio della categoria economica di appartenenza del datore di lavoro, fissato dallart. 2070 c.c., consentito al solo fine di individuare il parametro della retribuzione adeguata ex art. 36 cost., quando non risulti applicato alcun contratto collettivo, e sia dedotta linadeguatezza della retribuzione contrattuale ex art. 36 Cost. rispetto alla effettiva attivit lavorativa esercitata. Nella fattispecie le parti hanno espressamente previsto lapplicazione di contratti collettivi diversi da quello invocato dal sindacato ricorrente, che risulta conseguentemente inapplicabile. Legittimo appare quindi il rifiuto delle cooperativa a dare applicazione allart. 4 CCNL imprese di pulimento9. In tutti i casi in cui limpresa subentrante non assuma il personale dellazienda uscente occorrer che questultima, se vuole licenziare i propri dipendenti per perdita di appalto e se questi sono almeno cinque, avvii la procedura di licenziamento collettivo ex artt.4 e 24, L. n.223/91. A tal proposito, infatti, la giurisprudenza ha pi volte affermato, anche nei settori esposti a continui cambi di appalto, lobbligatoriet della suddetta procedura ai fini dellefficacia dei recessi10. N le imprese potranno far troppo affidamento sullart.2, co.4 bis, della L. n.248/07, il quale esclude lapplicazione delle disposizioni di cui allart. 24 della legge 23 luglio 1991 n.223 esclusivamente in relazione ai lavoratori riassunti dallazienda subentrante a parit di condizioni economiche e normative previste daiTrib. Milano, 6 dicembre 2005, est. Dott.ssa Ravazzoni; Trib. Roma, 6 novembre 2007, Est. Dott. Giovanni Mimmo; Trib. Napoli, 18 luglio 2003, est. Dott.ssa Santulli. 10 Cfr. per tutte: Sono inefficaci i licenziamenti intimati da un'impresa di pulizia per la cessazione di un appalto senza il preventivo ricorso alle procedure di cui agli art. 4 e 24 l. 23 luglio 1991 n.223 (Tribunale Milano, 16 marzo 2001, in D.L. Riv. critica dir. lav. 2001, 751; Tribunale Milano, 16 dicembre 1995, in Lavoro nella giur. (Il) 1996, 410 (s.m.), Lavoro nella giur. (Il) 1996, 410 (s.m.), Orient. giur. lav. 1995, I,1024, Dir. pen. e processo 1996, 59, Cass. pen. 1996, 31, D.L. Riv. critica dir. lav. 1996, 391; Tribunale Torre Annunziata sez. lav., 25 giugno 2007, n.2329, in Guida al diritto 2007, 29, 80 (s.m.); Cassazione civile sez. lav., 22 aprile 2002, n.5828, in Giust. civ. Mass. 2002, 695; Cassazione civile sez. lav., 21 maggio 1998, n.5104, in Giust. civ. Mass. 1998, 1101, Foro it. 1998, I,2108, Lavoro nella giur. (Il) 1998, 761, Mass. giur. lav. 1998, 702, Orient. giur. lav. 1998, I, 732, D.L. Riv. critica dir. lav. 1998, 942, Riv. it. dir. lav. 1999, II, 206 (nota di Vallebona).9

Lart.4 recita infatti cos: a) in caso di cessazione di appalto a parit di termini, modalit e prestazioni contrattuali limpresa subentrante si impegna a garantire lassunzione senza periodo di prova degli addetti esistenti in organico sullappalto risultanti da documentazione probante che lo determini almeno 4 mesi prima della cessazione stessa, salvo casi particolari quali dimissioni, pensionamenti e decessi; b) in caso di cessazione di appalto con modificazioni di termini, modalit e prestazioni contrattuali, limpresa subentrante ancorch sia la stessa che gi gestiva il servizio sar convocata presso lAssociazione territoriale cui conferisce mandato, o in assenza presso la DPL, ove possibile nei 15 giorni precedenti con la rappresentanza sindacale aziendale e le organizzazioni sindacali stipulanti territorialmente competenti per un esame della situazione, al fine di armonizzare le mutate esigenze tecnico organizzative dellappalto con il mantenimento dei livelli occupazionali, tenuto conto delle condizioni professionali e di utilizzo del personale impiegato, anche facendo ricorso a processi di mobilit da posto di lavoro a posto di lavoro nellambito dellattivit dellimpresa ovvero a strumenti quali il part time, riduzione orario di lavoro, flessibilit delle giornate lavorative, mobilit. 8 Cfr. A. Vallebona, Successione nellappalto e tutela dei posti di lavoro, Riv. it. dir. lav., 1999, II, p.217.

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Approfondimenticontratti collettivi nazionali di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente pi rappresentative o a seguito di accordi collettivi stipulati con le organizzazioni sindacali compa rativamente pi rappresentative. Ora, nella stragrande maggioranza dei casi, limpresa che vede disdettato il proprio appalto non sa se non in prossimit del cambio (o addirittura dopo che avvenuto) chi sia la nuova impresa subentrante, se questa sia disponibile ad assorbire il personale impiegato nellappalto, n sa se questa applica un contratto collettivo che prevede lobbligo di assunzione del personale interessato dal cambio dappalto. Di conseguenza, nellincertezza, consigliabile che, in vista della cessazione dellappalto, limpresa uscente avvii cautelativamente la procedura di licenziamento collettivo ex L. n.223/91, salvo poi chiuderla in breve tempo eventualmente con accordo sindacale (e con risoluzione consensuale dei rapporti di lavoro) nel caso in cui limpresa subentrante sia disponibile ad assorbire il personale in esubero e dunque a salvaguardare loccupazione. Al riguardo, segnaliamo che lart.32, co.4, lett.d), della L. n.183/10 (c.d. Collegato lavoro) prevede adesso lapplicazione del termine di decadenza di cui allart.6 della L. n.604/66 per il lavoratore che chieda la costituzione o laccertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto. Pertanto, nel caso in cui la contrattazione collettiva garantisca il passaggio diretto dei lavoratori coinvolti nel cambio di appalto, occorrer che il lavoratore interessato a passare alle dipendenze del nuovo appaltatore impugni leventuale sua mancata assunzione entro 60 giorni. In verit, per questa ipotesi, il legislatore ha omesso di determinare il dies a quo della decorrenza dei termini di decadenza, difficilmente colmabile data la delicatezza della materia solo in via interpretativa. Ad ogni modo, in attesa che la legge intervenga a sanare lomissione, si ritiene che il termine di decorrenza possa farsi coincidere con il momento del cambio di appalto. C. Da ultimo, si evidenzia come le clausole collettive che abbiamo esaminato quelle cio che impongono alle imprese appaltatrici subentranti negli appalti un obbligo a contrarre potrebbero essere ritenute nulle per contrariet ai principi in materia di libert di concorrenza e di parit di condizioni tra imprese e tra lavoratori nel mercato. Infatti, nelle attivit labour intensive come quelle di pulizia (di facchinaggio, di guardiania etc) loperativit di una clausola di assorbimento obbligatorio dei lavoratori da parte dellimpresa subentrante in uno stesso appalto impone ladozione di modelli organizzativi e produttivi precostituiti, senza alcun margine per la libert di organizzazione pi efficace o diversa dellunico fattore produttivo costituito appunto dalla manodopera; ci che, da un lato, inibisce di fatto totalmente la concorrenza tra imprese, dallaltro, crea posizioni surrettizie di monopolio a favore di determinate categorie di lavoratori. In proposito valga per tutte la vicenda dei servizi aeroportuali (handling), che ha visto lordinamento comunitario imporre lapertura al regime di mercato e alla concorrenza tra imprese dei servizi in questione in tutti gli aeroporti, inibendo clausole del tipo di quelle che si commentano11. Il problema del possibile contrasto fra contrattazione collettiva e tutela della concorrenza stato del resto affrontato, con risultati analoghi, dalla Corte di Giustizia Europea anche nel noto caso Albany, laddove un contratto prevedeva liscrizione obbligatoria di tutti i lavoratori di un settore a un fondo di previdenza integrativa12. Con specifico riferimento alla clausola contrattuale invocata ex adverso si espressa anche autorevole dottrina, affermando che produce una rilevantissima limitazione della concorrenza fra imprese anche la clausola, quale quella contenuta, ad esempio, nel nostro contratto collettivo per il settore delle imprese di pulizia e disinfezione, che, nel caso di perdita di un appalto da parte di unimpresa e di subentro di una nuova appaltatrice, impone alla seconda di assorbire il personale della prima: disposizione, questa, suscettibile di impedire a unimpresa del settore interessato di far valere leventuale propria capacit di una migliore selezione e addestramento del personale 13. Pertanto, e qui si conclude, non da escludere che in futuro sulla base della normativa comunitaria antitrust, cos come interpretata dalla Corte di Giustizia CE i Giudici del Lavoro si convincano a disapplicare clausole collettive del tipo qui esaminato.Cfr. art.14, co.2 del D.Lgs 13 gennaio 1999, n.18, secondo cui ogni trasferimento di attivit concernente una o pi categorie di servizi di assistenza a terra comporta il passaggio del personale, individuato dai soggetti interessati dintesa con le organizzazioni sindacali dei lavoratori, dal precedente gestore al soggetto subentrante. 12 Sentenza 21 settembre 1999, causa n.C 67/97; in proposito v. M. Pallini, Il rapporto problematico tra concorrenza e autonomia collettiva nellordinamento comunitario e nazionale, in Riv. It. Dir. Lav., 2000, II, pp.225 244. 13 P. Ichino, Contrattazione collettiva e antitrust: un problema aperto, in Mercato, concorrenza regole, 2000, Il Mulino, n.3, dicembre 2000, p.640; v. altres dello stesso Autore, Il contratto di lavoro, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu e F. Messineo, Giuffr, 2000, I, p.205.11

8aprile 2011

Approfondimenti

Retrocessione dazienda: applicabilit dellart.2112 ed effetti sui rapporti di lavoroa cura di Edoardo Frigerio Avvocato in ComoLa retrocessione dazienda, o di ramo di essa, e dei lavoratori inerenti allazienda, fenomeno inverso e contrario rispetto al pi ricorrente trasferimento dazienda regolato, nei suoi effetti nei confronti dei dipendenti, dallart. 2112 c.c.. Tale norma, secondo univoca giurisprudenza, si applica anche alla retrocessione, bench le peculiarit della fattispecie facciano sorgere numerose questioni sia di natura pratica che giuridica, in particolare nel caso di affitto dazienda, quando il soggetto concedente e quello affittuario controvertano circa la sussistenza del contratto e i lavoratori agiscano per la tutela della loro posizione lavorativa, questione di cui si recentemente interessato il Tribunale di Como. La vicenda Una fattispecie senzaltro particolare stata portata allattenzione del Giudice del Lavoro del Tribunale di Como. La vicenda trae origine da un contrasto esistente tra due imprese circa la risoluzione di un contratto di affitto di ramo dazienda e la sorte dei lavoratori addetti a tale azienda. Una societ aveva concesso in affitto a una seconda societ un ramo della propria compagine aziendale. Con il ramo venivano trasferiti, ex art.2112 c.c., anche i lavoratori addetti a tale ramo; laffitto era previsto per la durata di cinque anni. Dopo due anni di affitto, la societ affittuaria contestava alla concedente alcuni inadempimenti relativi al contratto e, dopo aver diffidato questultima al corretto adempimento, riteneva risolto di diritto il contratto di affitto. Al contrario la societ locatrice non si riteneva inadempiente rispetto al contratto daffitto e lo reputava ancora sussistente: rifiutava cos la restituzione del ramo dazienda, pretendendo viceversa il versamento dei relativi canoni. In tale situazione di stallo, laffittuaria offriva formalmente la restituzione delle varie componenti costituenti lazienda e, per quanto riguarda i dipendenti facenti parte del ramo dazienda, comunicava il loro ritrasferimento alla societ concedente, espellendoli di fatto dalla propria forza lavoro. Uno dei dipendenti retrocessi, anche in considerazione del fatto che la societ concedente aveva nel frattempo chiuso ogni attivit produttiva, impugnava il provvedimento di retrocessione comunicatole dalla societ affittuaria con ricorso ai sensi dellart.414 c.p.c. avanti al Tribunale di Como, conveniva in giudizio questultima e chiedeva di essere reintegrato nei suoi ranghi aziendali. Il ricorrente confutava la validit della sua estromissione dallimpresa affittuaria e contestava altres la legittimit della retrocessione del ramo aziendale; il lavoratore conveniva in giudizio anche la societ affittante per essere, in subordine rispetto alla reintegra nei confronti dellaffittuaria chiesta in via principale, eventualmente riassunto dallimpresa proprietaria del ramo. Limpresa affittuaria faceva viceversa rilevare in giudizio la legittimit dellestromissione del lavoratore in conseguenza della retrocessione del ramo dazienda e del ritrasferimento del lavoratore, effetto automatico derivante dallart.2112 c.c.; la societ affittante sosteneva la tesi opposta, ovvero quella della sussistenza del contratto daffitto dazienda e dellinconfigurabilit della retrocessione con la conseguenza del buon diritto del lavoratore al rientro nei ranghi dellaffittuaria. Questultima evidenziava in ogni caso lopportunit di sospendere la causa di lavoro nellattesa dellesito di giudizio civile, pendente tra le parti, circa leffettiva esistenza o meno del contestato contratto daffitto di ramo dazienda. Il Tribunale di Como (sentenza n.102 del 22 marzo 2011) non ritenendo, con valutazione incidentale, sussistenti i presupposti per la risoluzione del contratto di affitto di ramo dazienda e qualificando quale licenziamento la comunicazione di retrocessione trasmessa al lavoratore, reintegrava questultimo nellimpresa affittuaria, ai sensi dellart.18, L. n.300/70, che condannava altres al risarcimento del danno. Il caso particolare della retrocessione dazienda La vicenda decisa dal Tribunale di Como piuttosto inconsueta e pone interessanti quesiti, essendo levento della retrocessione dazienda, e il ritrasferimento dei lavoratori ad essa inerenti, oggetto di limitate pronunce giurisprudenziali, al contrario del normale fenomeno del trasferimento dazienda (o di ramo di essa), fonte di ampio contenzioso, in particolare per impugnazione del trasferimento da parte di lavoratori per violazioni dellart.2112 c.c. o, alcune volte, da parte dei sindacati per violazione dellart.47, L. n.428/90. La

9aprile 2011

Approfondimentiretrocessione dazienda, conseguente a casi di affitto e di usufrutto dazienda, non attiene quindi alla situazione in cui lazienda (o il ramo di essa) sia transitata da un imprenditore ad un altro in via definitiva, ma, al contrario, per la natura stessa delle tipologie contrattuali che la presuppongono, comporta che lazienda, o una parte di essa, e i suoi lavoratori debbano, spesso dopo un rilevante lasso temporale, ritornare al soggetto concedente. In tali casi di retrocessione dazienda si ritiene pacificamente, in giurisprudenza, che vi sia applicazione dellart.2112 c.c. con le medesime regole e modalit che caratterizzano il normale trasferimento dazienda. Come detto, la giurisprudenza di legittimit ha trattato la fattispecie in un numero di casi molto limitati, segno questo che la retrocessione dazienda debba considerarsi un fenomeno assolutamente peculiare, essendo viceversa quello del trasferimento definitivo del complesso dei beni e dei dipendenti levento pi normale e frequente. Al riguardo, la giurisprudenza pi recente della Suprema Corte ha stabilito che lart. 2112 c.c., nel regolare la sorte dei rapporti di lavoro in caso di trasferimento dazienda, trova applicazione in tutte le ipotesi in cui il cedente sostituisca a s il cessionario senza soluzione di continuit e, pertanto, sia nel caso di restituzione dellazienda da parte del cessionario alloriginario cedente per cessazione del rapporto daffitto, sia nel caso di nuova azienda costituita dal conduttore di bene immobile con pertinenze, atteso che in ogni ipotesi di ritrasferimento, in applicazione del comma 2 della norma citata, il concedente corresponsabile per tutti i debiti dellaffittuario verso i dipendenti correlati al rapporto di lavoro, ivi incluso quello attinente al regolare versamento dei contributi assicurativi o al risarcimento del danno conseguente allomessa o irregolare contribuzione14. La Suprema Corte ha inoltre precisato che lart. 2112 c.c., che regola la sorte dei rapporti di lavoro in caso di trasferimento di azienda, trova applicazione ove rimanga immutata lorganizzazione dei beni aziendali, con lo svolgimento delle medesime attivit in tutte le ipotesi in cui cedente sostituisca a s il cessionario senza soluzione di continuit, anche nel caso di restituzione alloriginario cedente dellazienda da parte del cessionario per cessazione del rapporto di affitto15. In unulteriore sentenza il Giudice di legittimit ha evidenziato che la formulazione dellart.2112 c.c. tale che, pur facendo esclusivo e letterale riferimento alla fattispecie della vendita, dellaffitto e della concessione in usufrutto dellazienda, idonea a comprendere ogni ipotesi di trasferimento del complesso aziendale, sempre che vi sia un nesso di derivazione giuridica, a qualsiasi titolo e a prescindere dallo schema giuridico utilizzato, tra lalienante e lacquirente16. Ancora la Cassazione ha riaffermato il principio secondo cui il trasferimento dazienda da un soggetto ad un altro, inteso in senso ampio e qualunque ne sia la genesi, importa la sostituzione del nuovo titolare al precedente; tanto vero che questo fenomeno deve essere ravvisato non soltanto in caso di alienazione o di costituzione di un diritto reale o personale di godimento, ma anche nellipotesi di restituzione dal concessionario al concedente, purch questultimo utilizzi il bene aziendale in funzione dellesercizio dellattivit di cui lo stesso strumento, vale a dire mediante la prosecuzione della medesima attivit gi esercitata in precedenza17. Infine la Suprema Corte ha sottolineato che laffitto dazienda cessa alla scadenza del contratto e laffittuario tenuto a restituirla nello stato in cui si trova, concretando la detenzione successiva al termine contrattuale unoccupazione di fatto da parte dellaffittuario che, con il venir meno del diritto di gestione, non ha la facolt di continuare ad assicurarne la unitaria destinazione. In altre parole, il comportamento inadempiente dellaffit tuario concernente la mancata restituzione di beni aziendali non incide sul trasferimento della titolarit dellazienda, che avviene de iure, e sulla conseguente applicabilit delle conseguenze previste dallart.2112 c.c.18. Le regole della retrocessione dazienda Dalla disamina delle sentenze sopra indicate, emergono i seguenti principi che regolano la retrocessione dazienda (o di uno o pi rami di essa): 1) in primo luogo loriginario cedente (o concedente) diventa, tecnicamente, il nuovo cessionario; le parti dell'originario trasferimento vanno dunque viste in maniera speculare, stante il fenomeno restituivo;16 14

Cass., sent. n.9012/09. 15 Cass., sent. n.7458/02.

Cass., sent. n.12909/03. Cass., sent. n.8252/92. 18 Cass., sent. n.14710/06.17

10aprile 2011

Approfondimenti2) si ha retrocessione dellazienda ogni volta in cui limprenditore cedente sostituisca a se stesso il cessionario senza soluzione di continuit, a prescindere dal negozio giuridico posto alla base della retrocessione stessa e che potrebbe derivare, come visto nella sentenza del Tribunale di Como, non solo dal termine del contratto daffitto o di usufrutto, ma anche in caso di risoluzione per inadempimento del contratto sottostante al trasferimento (anche di natura definitiva) o ad un recesso anticipato in caso di contratti di affitto di lunga durata; 3) lazienda (o il ramo di essa) viene restituita nello stato di fatto in cui si trova; 4) loriginario cedente , solidalmente con il nuovo cessionario, responsabile dei debiti derivanti dai rapporti di lavoro ceduti, ivi compresi quelli di natura contributiva. Tali principi vanno poi integrati con le normali regole, derivanti dallart.2112 c.c., valevoli nei normali trasferimenti dazienda e applicabili per analogia anche alla retrocessione. In particolare: ` i rapporti di lavoro preesistenti alla retrocessione proseguono con loriginario titolare senza necessit del consenso da parte dei dipendenti ceduti; ` la responsabilit del nuovo cessionario (originario titolare e concedente) presuppone la sussistenza del rapporto di lavoro al momento della retrocessione dazienda, non essendo riferibile a crediti maturati nel corso di rapporti di lavoro cessati anteriormente al trasferimento stesso; ` in caso di trasferimento dazienda e di prosecuzione dei rapporti di lavoro dei dipendenti col cessionario, questultimo deve considerarsi unico debitore del trattamento di fine rapporto, anche per il periodo passato alle dipendenze del precedente datore di lavoro, atteso che solo al momento della risoluzione del rapporto matura il diritto del lavoratore al suddetto trattamento, del quale la cessazione del rapporto fatto costitutivo19; ` in base allart.2112, co.4 c.c., il lavoratore trasferito, le cui condizioni di lavoro subiscano modificazioni in senso peggiorativo nei tre mesi successivi alla retrocessione, pu rassegnare le dimissioni per giusta causa con diritto alla percezione dellindennit sostitutiva del preavviso da parte del datore di lavoro cessionario (in caso di retrocessione, come detto, liniziale titolare); ` al riguardo del contratto collettivo applicabile ai lavoratori trasferiti, il datore di lavoro a cui lazienda o il ramo vengano retrocessi, potr continuare ad utilizzare il contratto collettivo applicato ai rapporti dal primo cessionario o, se questi non abbia sostituito il proprio contratto collettivo al momento del primo trasferimento, si trover evidentemente ad applicare loriginario proprio Ccnl; ` il ritrasferimento dazienda, comportando solo un mutamento nella titolarit dellazienda che ritorna a disposizione delloriginario titolare non pu essere di per s considerato giustificato motivo di licenziamento, ci in base al noto co.4 dellart.2112 c.c.; ` quando lazienda, che ponga in atto la retrocessione dellazienda o del suo ramo, occupi complessivamente pi di 15 dipendenti, deve essere posta in essere la preventiva procedura di informazione e consultazione sindacale prevista dallart.47 della L. n.428/90. Le conseguenze del mancato adempimento di tale obbligo da parte del cedente e/o del cessionario dellazienda costituiscono, in base al co.3 del citato art.47, condotta antisindacale reprimibile eventualmente dai sindacati con la speciale procedura prevista dallart.28, L. n.300/70. Al riguardo ci si pu porre il problema se tale condotta omissiva da parte delle imprese coinvolte nel trasferimento, a seguito di pronuncia di sua antisindacalit da parte del giudice del lavoro, possa comportare linvalidit del negozio di cessione, affitto o, nel caso che ci riguarda, di retrocessione dellazienda (o di una sua parte). Sul punto si affermato in giurisprudenza che il mancato adempimento dellobbligo di informazione del sindacato costituisce comportamento che viola linteresse del sindacato stesso, configurabile, come detto, come condotta antisindacale in base allart.28, L. n.300/70, ma che non incide sulla validit del negozio traslativo, non potendosi configurare losservanza delle suddette procedure sindacali alla stregua di un presupposto di validit del negozio di trasferimento stesso20. In tale situazione stato altres precisato che i lavoratori hanno un interesse di fatto al rispetto degli obblighi di informazione, ma non sono legittimati,

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Cass., sent. n.15371/04.

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Cass., sent. n.9130/03.

11aprile 2011

Approfondimential contrario delle organizzazioni sindacali, a far valere omissioni o falsit delle informazioni21; ` i principi stabiliti dallart.2112 c.c. subiscono una deroga in caso di trasferimento dazienda di imprese sottoposte a fallimento, concordato preventivo, in liquidazione coatta amministrativa ovvero in amministrazione straordinaria. In tali casi per i lavoratori possono non operare le garanzie della conservazione dei diritti derivanti dal pregresso rapporto di lavoro e dellobbligo del pagamento in solido con lalienante per i crediti esistenti al momento del trasferimento; inoltre alcuni lavoratori, i c.d. eccedentari, possono essere esclusi dal trasferimento dazienda se ci sia previsto dallaccordo tra acquirente e associazioni sindacali. Per quanto riguarda, viceversa, le aziende per cui sia stato accertato lo stato di crisi, il nuovo co.4 bis dellart.47, L. n.428/90 (come introdotto dallart.19 quater, co.1, lett.a) del D.L. n.135/09) prevede che, nel caso sia stato raggiunto un accordo sindacale circa il mantenimento, anche parziale, delloccupa zione, lart.2112 c.c. trova applicazione nei termini e con le limitazioni previste dallaccordo medesimo; ` ulteriore eccezione data dallart.104 bis della legge fallimentare (R.D. n.267/42) che, regolando laffitto di azienda o di suo ramo a terzi quando appaia utile al fine della pi proficua vendita degli stessi, prevede che la retrocessione al fallimento dellazienda o di suoi rami non comporti la responsabilit del fallimento per i debiti maturati sino alla retrocessione, in deroga allart.2112 c.c.. Aspetti problematici della retrocessione La retrocessione dazienda o di sua parte, nei casi in cui il passaggio della titolarit della stessa sia solo temporaneo (affitto o usufrutto dazienda) presenta, nella pacifica applicazione dellart.2112 c.c., numerosi problemi di non facile soluzione. In primo luogo bisogna considerare che, mentre la disciplina della sorte dei contratti di lavoro dettata puntualmente dallart.2112 c.c., la disciplina generale dellaffitto o usufrutto dazienda dettata dagli artt.2561 c.c. (usufrutto) e 2562 c.c. (affitto); questultima norma rimanda alle norme sullazienda in generale. Principio fondamentale rinvenibile in tali norme che laffittuario (o lusufruttuario) deve gestire lazienda senza modificarne la destinazione e in modo da conservarne lefficienza dellorganizzazione e degli impianti. Inoltre, mentre nelloriginario contratto daffitto dazienda (fattispecie probabilmente pi diffusa rispetto allusufrutto), che ha dato luogo al trasferimento dei dipendenti dallaffittante allaffittuario, di norma vengono previsti in maniera analitica i pi rilevanti aspetti circa la consistenza dellazienda, lidentificazione del ramo o dei rami di essa eventualmente oggetto dellaffitto e lindividuazione dei lavoratori trasferiti con lazienda o parte di essa, il fenomeno inverso della retrocessione pu essere in alcuni casi contrattualmente non regolato, essendo automaticamente previsto al termine dellaffitto dellazienda; ci qualora i contraenti non abbiano previsto il passaggio definitivo dellazienda allaffittuario al termine della durata dellaffitto. In sostanza, mentre le clausole dellaffitto sono di norma analiticamente delineate, gli aspetti della retrocessione che pu avvenire anche a distanza di molti anni possono essere tralasciati o non compiutamente stabiliti allatto delloriginario contratto. Ci comporta che, nei casi in cui ci si trovi di fronte alla restituzione dellazienda e soprattutto dei dipendenti inerenti, le varie situazioni problematiche debbano essere risolte applicando i principi generali visti sopra. Tuttavia, in alcune circostanze particolari, le soluzioni pratiche desumibili non paiono essere univoche. Il primo caso pu riguardare la questione della responsabilit tra cedente (loriginario affittuario) e cessionario (il concedente iniziale) circa i crediti del lavoratori. Si visto sopra come la responsabilit di questultimo presuppone lesistenza dei rapporti di lavoro al momento della retrocessione dazienda, non essendo riferibile a crediti maturati nel corso di rapporti di lavoro cessati anteriormente al trasferimento stesso. Al riguardo necessario dar conto dellesistenza di norma generale sullazienda, lart.2560 c.c., che stabilisce come, nel trasferimento di unazienda commerciale, risponde dei debiti anche lacquirente dellazienda se essi risultano dai libri contabili obbligatori. Nel caso di retrocessione dazienda, si potrebbe discutere del fatto se la norma sia applicabile, in quanto, in caso di cessazione di affitto o di usufrutto, il soggetto a cui viene restituita lazienda non tecnicamente acquirente, poich non vi alcun riacquisto della propriet dellazienda che loriginario affittuario ha avuto solo in godimento.

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Cass., sent. n.17072/05.

12aprile 2011

ApprofondimentiNel caso normale di cessione a titolo definitivo dellazienda, si ritenuta lapplicabilit dellart. 2560 c.c., che appunto contempla in generale la responsabilit dellacquirente per i debiti dellazienda ceduta, anche ai crediti dei lavoratori, a prescindere, in tal caso, dalleventuale risoluzione del rapporto prima della cessione, ove, come detto, tali debiti risultino dai libri contabili obbligatori22. Unulteriore situazione, verificabile in concreto, potrebbe dare a luogo a criticit in occasione della retrocessione del ramo dazienda, in caso di affitto di questo. Gi la corretta individuazione del ramo dazienda pu comportare ambiguit ed essere fonte di controversie allorch il ramo, al momento della concessione in affitto, non consista in singola unit produttiva quale autonoma articolazione aziendale, funzionalmente idonea ad espletare in tutto o in parte lattivit di produzione di beni e servizi dellimpresa. Come noto, il ramo dazienda si pu definire come uninsieme di elementi produttivi organizzati dallimprenditore per lesercizio di unattivit, che si presenti prima del trasferimento come unentit dotata di autonoma e unitaria organizzazione, idonea al perseguimento dei fini dellimpresa e che conservi nel trasferimento la propria identit. Al riguardo bisogna tenere ora in considerazione che il quinto comma dellart.2112 c.c., cos come novellato dal D.Lgs. n.546/92, prevede che il ramo possa essere identificato come tale dal cedente al cessionario al momento del suo trasferimento. stato inoltre evidenziato come lart.2112 c.c. garantisca la continuazione dei rapporti di lavoro e la salvaguardia dei diritti acquisiti, ma non il passaggio alle dipendenze dellimpresa cessionaria di tutti i lavoratori gi addetti al ramo ceduto, sicch lesclusione di taluni lavoratori dal passaggio alla impresa cessionaria, prevista nellaccordo concluso dalle imprese interessate a seguito dellespletamento a norma di legge della procedura di consultazione sindacale, non pu ritenersi lesiva dei diritti dei suddetti lavoratori 23. Peraltro si affermato che non riconducibile alla nozione di cessione di ramo dazienda il contratto con il quale viene realizzata la c.d. esternalizzazione dei servizi, ove questi non integrino un ramo o parte di azienda nei sensi suindicati, e che in tali casi la vicenda traslativa, sul piano dei rapporti di lavoro, va qualificata come cessione dei relativi contratti, che richiede per il suo perfezionamento il consenso del lavoratore ceduto24. Da tutto quanto sopra si pu trarre la conseguenza della non univoca definizione della nozione di ramo dazienda nel normale trasferimento dazienda. Pertanto pi problematica ancora si pu presentare lindividuazione del suddetto ramo allorquando si sia in presenza del contrario fenomeno della retrocessione dazienda e si debba rienucleare dallazienda affittuaria il ramo di questa da restituire alloriginario concedente. Nulla quaestio se, alla conclusione del contratto daffitto, per sua natura temporaneo, il ramo dazienda abbia mantenuto la propria identit e possa cos essere agevolmente ritrasferito. Diverso il caso se, specie in occasione di contratti daffitto di lunga durata, lazienda o il ramo di essa si siano confusi nel complesso aziendale dellimpresa affittuaria. Al riguardo si pu ritenere che non vi siano conseguenze, ai sensi dellart. 2112 c.c., se i beni o gli strumenti affittati si siano mischiati a quelli di propriet della cessionaria, ben potendo essere individuati e ritrasferiti. Sul punto si anche espressa la giurisprudenza evidenziando che la disciplina del trasferimento dazienda di cui allart. 2112 c.c. espressione del principio dellinerenza del rapporto di lavoro al complesso aziendale, al quale resta legato in tutti i casi in cui questo, pur cambiando titolarit, resti immutato nella sua struttura organizzativa e nellattitudine allesercizio dellimpresa; e tale ipotesi ricorre anche quando i beni aziendali non restino autonomi e separati in capo allimpresa cessionaria, ma siano integrati e riorganizzati ai fini produttivi nella pi ampia struttura di questultima25.

Pi problematico appare viceversa il caso in cui uno o pi lavoratori addetti allazienda affittata siano stati, negli anni di durata del contratto, adibiti ad altri settori dellimpresa affittuaria o addirittura trasferiti in altre unit locali. Come pi volte rilevato, ci che conta ai fini dellapplicabilit dellart.2112 c.c. al singolo rapporto di lavoro che esso sia inerente allazienda o al ramo di essa ceduto, affittato o, appunto, retrocesso al termine dellaffitto o, in ogni caso, venuto meno il contratto di cessione.

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Cass., sent. n.12899/97. Cass., sent. n.11422/00.

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Cass., sent. n.22125/06. Cass., sent. n.5550/00.

13aprile 2011

Approfondimenti chiaro che, nel caso in cui il rapporto di lavoro non inerisca pi allazienda, che debba essere ritrasferita malgrado abbia fatto parte di essa al momento delloriginario trasferimento, possa essere contestabile lapplicabilit dellart.2112 c.c. a tale rapporto di lavoro. Il lavoratore avr poi interesse o meno ad eccepire lapplicabilit della norma, a seconda che limpresa destinataria della retrocessione dia o non dia garanzie di prosecuzione del rapporto lavorativo. Peraltro stato evidenziato come non sia in frode alla legge, n concluso per motivo illecito, il contratto di cessione dellazienda a soggetto che, per le sue caratteristiche imprenditoriali e in base alle circostanze del caso concreto, rendeva probabile la cessazione dellattivit produttiva e dei rapporti di lavoro26. In base a questo principio, il lavoratore non si potrebbe opporre alla retrocessione, qualora il suo rapporto sia sempre funzionale allazienda restituita, anche se loriginario titolare non dia garanzie circa la prosecuzione nel tempo del rapporto. Estremamente problematica appare infine la situazione in cui la retrocessione dellazienda non si verifichi volontariamente tra il cedente (o concedente) e il cessionario (o affittuario), ma scaturisca da uno stato conflittuale tra tali soggetti, come nella controversia oggetto della decisione del Tribunale di Como. In tale caso, come detto, limpresa affittuaria sosteneva lintervenuta risoluzione di diritto del contratto daffitto, derivante da diffida ad adempiere non ottemperata e la retrocessione automatica dellazienda e dei suoi lavoratori. Limpresa concedente sosteneva la tesi contraria, ovvero la validit ed esistenza del contratto daffitto, stante la pretesa inesistenza di inadempimenti contrattuali a s ascrivibili, e rifiutava quindi la retrocessione dellazienda e dei dipendenti. In questo caso il lavoratore, espulso dallazienda affittuaria e rifiutato da quella concedente, chiedeva ed otteneva un provvedimento di reintegra nei confronti della prima dal Tribunale, che incidentalmente (pur in pendenza di separato giudizio civile tra le parti vertente sul contratto daffitto dazienda) non riteneva che il contratto si fosse risolto di diritto e statuiva quindi che il lavoratore non dovesse retrocedere alloriginario datore di lavoro. Bisogna per evidenziare che, in caso di controversie circa lesistenza o lintervenuta risoluzione di un contratto daffitto o traslativo dazienda, la disputa non possa essere decisa nel merito dal giudice del lavoro, essendo viceversa di competenza del giudice civile, che pu pienamente valutare, nelle forme del rito locatizio delineate dallart.447 bis c.p.c., le sorti del contratto dalla cui esistenza o meno pu scaturire la retrocessione dazienda. In tali casi lesito del giudizio civile pu addirittura essere giudicato lantecedente logico giuridico alla retrocessione stessa per cui le eventuali e contestuali controversie di lavoro azionate in base allart.2112 c.c. da lavoratori (trasferiti o non trasferiti a seconda dei casi da un soggetto allaltro) dovrebbero essere opportunamente sospese, ai sensi dellart.295 c.p.c., norma che dispone come il processo sia sospeso in ogni caso in cui altro giudice debba risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa. C da dire che tale soluzione, che potrebbe ritenersi proceduralmente corretta, potrebbe frustrare, dati i normalmente lunghi tempi della giustizia civile, il bisogno di celerit che sempre caratterizza le controversie di lavoro, speditezza sempre auspicabile sia per salvaguardare le legittime esigenze dei datori di lavoro, sia per garantire la tutela dei diritti dei lavoratori.

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Cass., sent. n.10108/06.

14aprile 2011

Approfondimenti

Gli ultimi orientamenti giurisprudenziali in materia di licenziamento per il superamento del periodo di comportoa cura di Carlo Galli Avvocato in Milano Partner dello studio legale De Bellis and PartnersListituto del comporto necessariamente oggetto di attenzione e applicazione costante da parte degli operatori del diritto, avvocati giuslavoristi e consulenti del lavoro, i quali, a fronte di ogni caso in cui si presentino problematiche relative ad assenza dal servizio per malattia, devono tenere in considerazione la relativa disciplina. Tale disciplina sostanzialmente rimessa alla contrattazione collettiva, che detta previsioni assai variegate per le diverse categorie di rapporti di lavoro. Per tali caratteristiche, la materia del comporto oggetto di un costante approfondimento, da parte della giurisprudenza, sia di merito che di legittimit. Anche di recente la Suprema Corte si pronunciata, in alcune sentenze che andiamo ad analizzare, in merito a questioni di fondamentale rilievo, in tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto. Il comporto: concetto giuridico, fonti, durata e modalit di calcolo Una definizione di periodo di comporto Il comporto pu definirsi come il periodo di tempo entro il quale il dipendente assente dal lavoro, perch in malattia, ha diritto alla conservazione del posto. Il datore di lavoro non pu, pertanto, licenziare il prestatore di lavoro sino al termine del periodo di comporto (salve le ipotesi in cui sussista una giusta causa di recesso o il lavoratore debba considerarsi definitivamente inidoneo allo svolgimento delle prestazioni o intervenga la cessazione totale dellattivit dellimpresa). Le fonti che disciplinano il comporto Secondo lart.2110 c.c., il periodo di tollerabilit dellassenza predeterminato per legge, ovvero dalla contrattazione collettiva o dagli usi oppure, in difetto di tali fonti, determinabile dal giudice, in via equitativa. In difetto di significativo sviluppo di disciplina legislativa in materia, la fissazione degli specifici periodi di comporto e delle modalit di computo di essi sostanzialmente demandata ai contratti collettivi nazionali di lavoro. Modalit di calcolo del periodo di comporto Il periodo di comporto si distingue, nella previsione dei contratti collettivi, in due tipi: comporto c.d. secco si riferisce alle ipotesi di ininterrotto evento morboso (si rinverr ad esempio nel contratto collettivo di riferimento la sola dicitura: "Nei casi di interruzione del lavoro dovuta a malattia, l'azienda conserver il posto al lavoratore per mesi");

comporto c.d. per sommatoria (o frazionato) contempla invece le diverse ipotesi di pluralit di eventi morbosi, frazionati o intermittenti, che interessano il dipendente, tenendo conto, in altre parole, di tutti gli eventi morbosi verificatisi nellarco di tempo stabilito dal Ccnl stesso (il Ccnl metalmeccanici, ad esempio, prevede tanto un comporto secco, quanto un comporto per sommatoria). Nel caso in cui il contratto collettivo preveda soltanto il comporto c.d. secco si pone il problema di determinare larco temporale massimo entro cui il posto di lavoro rimanga conservato in presenza di pi eventi morbosi discontinui. Generalmente, in tali casi, la giurisprudenza individua due termini di riferimento: ` un termine c.d. interno, ovvero la somma delle assenze, pari al periodo di durata del comporto secco previsto dal contratto;` un termine c.d. esterno, corrispondente allarco temporale entro cui sono computabili tutti gli episodi di malattia verificatisi, che funge da periodo di riferimento entro il quale i plurimi episodi di malattia possono essere considerati unitariamente, sempre nel limite massimo del periodo di comporto secco previsto dal contratto. Il termine esterno, sempre secondo la giurisprudenza, viene fatto coincidere con il periodo di vigenza del contratto collettivo di riferimento (normalmente tre anni). In tali ipotesi, il comporto si ritiene superato quando, nel periodo di vigenza del contratto collettivo, il dipendente compia pi assenze per malattia per un periodo complessivamente superiore a quello del comporto secco stabilito dal contratto.

15 aprile 2011

ApprofondimentiUlteriori criteri per il calcolo e malattie non computabili ai fini del comporto Le disposizioni dei contratti collettivi solitamente riferiscono i termini del comporto allanno civile, o di calendario, ovvero il periodo compreso tra 1 gennaio e 31 dicembre di ogni anno; in altri casi, si fa invece riferimento allanno solare ovvero al periodo di 365 giorni decorrente dallultimo episodio di malattia, o anche, a ritroso, dalla data del licenziamento. La giurisprudenza della Cassazione ha poi avuto modo di precisare che un termine (genericamente) fissato a mesi (senza ulteriori specificazioni) deve essere computato secondo il calendario comune, salvo che vi siano clausole utilizzate dalla contrattazione collettiva che predeterminino modalit di calcolo particolari. Sempre la giurisprudenza ha, poi, acclarato che sono computabili nel periodo di comporto i giorni domenicali e festivi, o comunque non lavorativi, che cadono durante il periodo di malattia certificato dal medico. N possono essere detratti dal computo del comporto i giorni di ferie, salva la possibilit per il dipendente (eventualmente contemplata dal Ccnl) di richiedere espressamente di fruire, durante la malattia, dei giorni di ferie maturati e non ancora goduti, interrompendo per il corrispondente numero di giorni il decorso del periodo di comporto. In generale, non si tiene conto, invece, ai fini del conteggio del comporto, dei giorni festivi e/o non lavorativi che precedono o seguono immediatamente quelli indicati nel certificato medico di inizio malattia. Cos come non incide sul computo del periodo di comporto la malattia connessa a gravidanza. Quanto allinfortunio sul lavoro e alla malattia professionale, la prevalenza dei contratti collettivi detta una disciplina particolare, normalmente di miglior favore rispetto a quelle concernente la malattia o linfortunio extra lavorativo. Ad esempio, il Ccnl metalmeccanici distingue in due diversi articoli il comporto per infortuni sul lavoro e malattie professionali e quello previsto in caso di malattia e infortunio non sul lavoro. Sul punto si deve, infine, rammentare che non possono essere computati, ai fini del superamento del periodo di comporto, malattie e infortuni ascrivibili a responsabilit e colpa del datore di lavoro, ad esempio aventi causa nella nocivit delle mansioni assegnate e/o dellambiente di lavoro. Licenziamento durante il periodo di comporto Come accennato dianzi, va tenuto presente che il datore di lavoro non pu licenziare il dipendente durante il periodo di comporto, se non nelle ipotesi in cui sussista una giusta causa di recesso o il lavoratore debba considerarsi definitivamente inidoneo allo svolgimento delle prestazioni o intervenga la cessazione totale dellattivit dellimpresa. Si ricordi, inoltre, che si rinvengono in giurisprudenza due diversi orientamenti in ordine allefficacia del licenziamento intimato, al di fuori delle tre ipotesi sopra ricordate, durante il periodo di comporto: 1. un primo orientamento ritiene il recesso cos esercitato dal datore di lavoro temporaneamente inefficace, idoneo pertanto a produrre effetti solo al termine della malattia; 2. un secondo filone di pronunce giurisprudenziali afferma, invece, la nullit del licenziamento intimato prima dello scadere del periodo di comporto. Licenziamento per superamento del periodo di comporto Il licenziamento per superamento del periodo di comporto la tematica maggiormente approfondita nellelaborazione giurisprudenziale in materia. In primo luogo, la giurisprudenza ha ripetutamente sottolineato la natura peculiare della disciplina del periodo di comporto e del licenziamento per il relativo superamento; il comporto ha, infatti, funzione di contemperamento di interessi configgenti, del datore di lavoro, da una parte, a mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e produce, e del dipendente, dallaltra, a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi senza perdere loccupazione. Pi precisamente, la Suprema Corte ha da tempo evidenziato la specialit della norma dellart.2110, co.2 c.c., relativa al licenziamento per superamento del periodo di comporto, sottolineando la prevalenza di tale norma sia rispetto alle regole generali in materia di risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilit parziale della prestazione lavorativa (artt.1256, co.2, e 1464 c.c.) sia rispetto alla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali27. In secondo luogo, la Corte di legittimit ha evidenziato che il superamento del periodo di comporto costituisce una circostanza oggettiva, indipendentemente da fatto o colpa delle parti28.Cfr. Cassazione del 08.05.03, n.7047: cfr. Cassazione del 20.10.05, n.19676. 28 Cfr. Cassazione del 28.05.10, n.13164.27

16 aprile 2011

ApprofondimentiIn tal senso, la Suprema Corte ha ritenuto il licenziamento per superamento del periodo di comporto maggiormente assimilabile al licenziamento per giustificato motivo oggettivo e non al licenziamento disciplinare29. Tale orientamento stato di recente avallato dalla Cassazione n.23920/10, la cui pronuncia avremo modo di tornare ad analizzare (sotto diversi profili) nel prosieguo. La giurisprudenza di legittimit ha comunque escluso la diretta riconducibilit dellipotesi di licenziamento per superamento del periodo di comporto a quella dei licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo; sul punto, si ritiene che il superamento del periodo di comporto costituisca condizione sufficiente di legittimit del recesso, senza necessit che il datore di lavoro provi n il giustificato motivo oggettivo del licenziamento, n la sopravvenuta impossibilit della prestazione lavorativa, n la correlata impossibilit di adibire il prestatore di lavoro a mansioni diverse (cfr. Cassazione del 07.02.11, n.2981). Cassazione n.1861 del 28 gennaio 2010 La sentenza della Cassazione del 28 gennaio 2010, n.1861, ha ribadito il carattere di specialit della disciplina del licenziamento per superamento del periodo di comporto, con riguardo alla normativa di natura sostanziale in tema di ragioni e motivi di licenziamento30, considerando che il licenziamento, in tale fattispecie, consegue alla mera impossibilit del dipendente di assicurare con sufficiente continuit la prestazione, e sottolineando come, fin dal 1942, tale ipotesi stata regolata nel codice civile non nel paragrafo dedicato allestinzione del rapporto di lavoro (artt.2118 e 2125 c.c.), ma in una norma speciale, quale lart.2110, co.2 c.c.. Vi poi un ulteriore, e pi rilevante, elemento di novit nella pronuncia in commento; pi precisamente, essa ha affermato anche una specialit di disciplina con riguardo agli aspetti formali e procedurali, ritenendo non applicabile al licenziamento per superamento del periodo di comporto il termine decadenziale di 60 giorni per limpugnazione del licenziamento, previsto dallart.6 della L. n.604/66. La sentenza n.1861/10, sottolineata leccezionalit della stessa disposizione dellart.6 della L. n.604/66Cfr. Cassazione del 26.05.05, n.11092; cfr. Cassazione del 10.01.08, n.278. 30 Di cui alla L. n.604 del 15 luglio 1966, alla L. n.108 del 11.05.90 e allart.18 della L. n.300 del 20.05.70.29

(in quanto la stessa norma deroga al principio generale desumibile dagli artt.1421 e 1422 c.c., secondo cui la nullit pu essere di regola fatta valere da chiunque e con azione imprescrittibile), ne ha escluso lapplicabilit per analogia a ipotesi di nullit del licenziamento che non rientrino in tale previsione eccezionale. La Suprema Corte ha richiamato, peraltro, precedenti pronunce della Corte di legittimit, le quali avevano gi escluso lapplicabilit delleccezionale previsione del termine decadenziale in riferimento ai licenziamenti delle lavoratrici a causa di matrimonio nonch ai licenziamenti delle lavoratrici madri, ipotesi entrambe regolate da previsioni speciali. Pertanto, ha osservato il Giudice di legittimit, esigenze logiche e di coerenza sistematica impongono di ritenere non applicabile il suddetto termine decadenziale di 60 giorni per limpugnativa nemmeno al licenziamento per superamento del periodo di comporto, cos come a tutte le ipotesi speciali di recesso del datore di lavoro in cui non si applica la L. n.604/66. A commento dellanalizzata pronuncia della Cassazione n.1861/10, v da notare, per, la diversa via intrapresa dal Legislatore nel c.d. Collegato lavoro (legge n.183/10, in vigore da fine novembre 2010), essendo ivi espressamente previsto, allart.32, co.2, che il termine decadenziale di 60 giorni per limpugnativa del licenziamento (insieme al nuovo ulteriore termine decadenziale, di regola di 270 giorni, per proporre eventuale azione avanti al giudice, introdotto dal Collegato lavoro stesso), si applichi31 a tutti i casi di invalidit e inefficacia del licenziamento, e, inoltre, ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla legittimit del termine apposto al contratto, al recesso del committente dai rapporti di collaborazione a progetto, ai casi di trasferimento del

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Esistendo una recentissima novella legislativa, pare opportuno evidenziare per completezza che, ex art.2, co.54, della L. n.10 del 26 febbraio 2011 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 29 dicembre 2010, n.225, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), in relazione allentrata in vigore ed al regime transitorio di applicazione della nuova normativa in tema di termini di decadenza introdotti dal c.d. Collegato lavoro, allart.32 della L. n.183/10 (Collegato lavoro), dopo il co.1, stato aggiunto un ulteriore comma: 1 bis. In sede di prima applicazione, le disposizioni di cui all'articolo 6, primo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, relative al termine di sessanta giorni per l'impugnazione del licenziamento, acquistano efficacia a decorrere 31 dicembre 2011.

17 aprile 2011

Approfondimentilavoratore, ad azioni volte allaccertamento della nullit del termine apposto a un contratto di lavoro. La prospettiva del legislatore, di applicazione per cos dire ampliata del termine decadenziale di impugnativa, a ipotesi che per propria natura non rientrerebbero affatto nelle previsioni della L. n.604/66, parrebbe configgere con laffermazione di specialit, anche procedurale, espressa dalla sentenza della Cassazione n.1861/10 in commento, seppure il principio in essa affermato risponderebbe con coerenza, in effetti, alle preesistenti esigenze sistematiche dellordinamento. Correttezza e buona fede tra datore di lavoro e lavoratore ed illegittimit del licenziamento Vi sono vari aspetti della materia inerente al licenziamento per superamento del periodo di comporto cui lelaborazione giurisprudenziale ha trovato soluzione alla luce delle regole di reciproca lealt e buona fede nelle relazioni aziendali. Da un lato, seppure sia pacifico che il datore di lavoro non tenuto a segnalare preventivamente al dipendente lavvicinarsi della scadenza del periodo di comporto, alcuni giudici hanno ritenuto comportamento contrario a buona fede e correttezza la mancata comunicazione dei giorni di malattia usufruiti e dei criteri di computo del comporto, da parte del datore di lavoro, pur dopo espressa richiesta del dipendente di averne conoscenza. Secondo il Tribunale di Milano (sentenza del 22 gennaio 2007 e sentenza del 23 maggio 2005), ad esempio, una simile violazione di correttezza e buona fede invaliderebbe leventuale successivo licenziamento per superamento del periodo di comporto. Daltro lato, si ritiene violi gli obblighi di correttezza e buona fede il datore di lavoro che rifiuti, senza un apprezzabile motivo, di concedere le ferie espressamente richieste dal dipendente al fine di evitare il licenziamento per superamento del periodo di comporto, essendo in potere dellimprenditore stabilire la collocazione temporale delle ferie nellarco dellanno, armonizzando le esigenze dellimpresa con gli interessi del lavoratore; conseguenza ne sarebbe, ancora una volta, lillegittimit del relativo licenziamento per superamento del periodo di comporto32. Sempre in virt dei principi di correttezza e buona fede, considerato illegittimo il licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto qualora il datore di lavoro, a fronte di una richiesta del dipendente formulata prima del superamento del comporto, si sia dichiarato disponibile a concedergli un periodo di aspettativa non retribuita. Sul punto si conclude ricordando che il dipendente illegittimamente licenziato per superamento del periodo di comporto potr, previo apposito accertamento del giudice del lavoro, essere reintegrato nel proprio posto di lavoro e ottenere, inoltre, il riconoscimento del diritto a un risarcimento del danno, commisurato alla retribuzione mensile globale di fatto medio tempore maturata, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria; ci ovviamente nel caso in cui il rapporto di lavoro sia assistito da stabilit reale, con applicazione dellart.18 della L. n.300/70. Latto di recesso del datore di lavoro bene rammentare che sono pacificamente applicabili al licenziamento per superamento del periodo di comporto, in difetto di alcuna previsione speciale contenuta al riguardo nellart.2110 c.c., le regole dettate dallart.2 della L. n.604/66 sulla forma dellatto di recesso e della comunicazione dei motivi del recesso (oltre che il successivo art.5 della medesima legge, in materia di onere della prova gravante sul datore di lavoro circa la sussistenza effettiva del motivo di recesso, ovvero circa la sussistenza del superamento del periodo di comporto). necessario, dunque, che il datore di lavoro eserciti il proprio diritto di recesso con atto scritto, perch il superamento del periodo di comporto non implica di per s la risoluzione del rapporto di lavoro. Infatti, la sussistenza della condizione legittimante il recesso, e cio del superamento del comporto, deve essere verificata allatto di esercizio del recesso del datore di lavoro, ovvero al momento dellinvio della lettera di licenziamento (cfr. Cassazione n.2981/11). Tempestivit dellatto di recesso e immodificabilit delle ragioni di licenziamento Valgono in riferimento al licenziamento per superamento del periodo di comporto i principi di tempestivit e immutabilit delle ragioni poste a fondamento del licenziamento, che devono essere specificate in modo analitico e completo nello stesso atto di recesso. Con la precisazione per cui la tempestivit del recesso, difettando gli estremi dellurgenza che si impongono nelle ipotesi di giusta causa, al fine di valutare la compatibilit del tempo trascorso dal

Cfr. Cassazione 30.03.09, n.7701; cfr. Cassazione 22.03.05, n.6143.

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18 aprile 2011

Approfondimentisuperamento del periodo di comporto con la volont di porre fine al rapporto, deve essere considerata in relazione a un ragionevole spatium deliberandi da riconoscere al datore di lavoro, affinch questi possa ponderare nel suo complesso la sequenza di episodi morbosi del prestatore di lavoro in rapporto alle esigenze dellazienda; in tal senso, il giudizio sulla tempestivit o meno del recesso non potr derivare da una rigida e meccanica applicazione di criteri temporali prestabiliti, ma condizionato alla considerazione di ogni significativa circostanza idonea ad incidere sulla valutazione datoriale circa la sostenibilit o meno delle assenze del dipendente, in unottica improntata a reciproca lealt e buona fede nelle relazioni aziendali, che pu portare il datore di lavoro addirittura alla decisione di conservare il posto di lavoro oltre il periodo di tutela predeterminato dalla contrattazione collettiva, compatibilmente con le esigenze di funzionamento dellimpresa33. Certo, una prolungata continuazione del rapporto una volta superato il periodo di comporto potrebbe leggersi come condotta oggettivamente incompatibile con la volont di porre fine al contratto e, quindi, come rinuncia tacita del datore di lavoro al licenziamento. Inoltre, anche nel caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto, vale la regola generale dellimmodificabilit delle ragioni comuni cate come motivo di licenziamento, con la conseguenza che non pu tenersi conto, ai fini del calcolo del superamento del comporto, delle assenze non indicate nella lettera di licenziamento34. Lindicazione delle assenze per malattia da parte del datore di lavoro Nellatto di recesso, ovvero su richiesta di specificazione da parte del dipendente qualora nellatto di licenziamento non fossero indicate le assenze, il datore di lavoro ha lonere, a pena di illegittimit del licenziamento, soprattutto nei casi di comporto per sommatoria, di specificare le giornate di malattia. Tuttavia, la Suprema Corte ha, negli ultimi anni, pi volte confermato che il datore di lavoro non deve menzionare i singoli giorni di assenza, ritenendosi sufficienti indicazioni complessive, idonee comunque a evidenziare il superamento del comporto, come ad esempio lindividuazione del numero totale delle assenze verificatesi in un determinato periodo35. Tale conclusione deve essere affermata anche alla luce della gi citata sentenza n.23920/10; in essa, si ribadisce che il licenziamento per superamento del periodo di comporto non ha natura disciplinare e, dunque, non necessaria la completa e minuziosa descrizione delle circostanze di fatto che costituiscono la causale del recesso, considerato altres che lassenza per malattia evento di cui il dipendente ha ben conoscenza. In definitiva, lindicazione dei giorni di assenza deve avere un grado di specificit tale da consentire al dipendente di rendersi conto delle effettive assenze contestate.

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Cfr. Cassazione n.23920/10, dianzi citata; cfr. anche Cassazione n.11342/10.

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Cfr. ad es. Cassazione del 22.03.05, n.6143. Cfr. Cassazione del 27.01.11 n.1953; cfr. Cassazione del 13.07.10 n.16421.

19 aprile 2011

Approfondimenti

Cessione di credito, pignoramento e Tfr ceduto in garanzia: limiti e obblighi nel rapporto di lavoroa cura di Riccardo Girotto Consulente del Lavoro in TrevisoLa cessione del credito, che nei rapporti tra datore di lavoro e lavoratore si configura nella cessione del quinto dello stipendio, e il pignoramento dello stipendio, atto destinato a privare i soggetti morosi della disponibilit di parte della propria retribuzione netta, sono tipologie negoziali complesse destinate, da un lato, a soddisfare linteresse del creditore, dallaltro, a offrire una garanzia verso lestinzione del debito, tramite ladempimento del terzo. Per meglio comprendere un fenomeno giuridico, spesso importante approfondire laspetto sociologico che lo influenza. Se avessimo dovuto analizzare questo argomento qualche anno fa, sicuramente ci saremmo trovati poveri di riscontri interpretativi e giurisprudenziali, dato il limitato ricorso agli strumenti qui discussi. La crisi economica congiunturale dellultimo triennio ha provocato in primis un massiccio ricorso al credito al consumo, utile a soddisfare nuovi bisogni che faticano a reprimersi anche di fronte a una netta contrazione delle entrate, successivamente un incremento degli atti di pignoramento che hanno assunto sia la forma di strumenti paralleli, sia di strumenti concorrenti alle cessioni. La nostra analisi tenter di riordinare la regolamentazione di questi negozi, applicando le indicazioni derivanti dalle diverse fonti succedutesi nel tempo e avendo altres cura di definire in modo organico la disciplina applicabile ai casi concreti, soprattutto riguardo ai risvolti inerenti al rapporto di lavoro e al ruolo del datore di lavoro. Lautore avr un occhio di riguardo verso questultimo soggetto, costretto a subire leffetto di cessione e pignoramento e obbligato a compiere una serie di adempimenti, spesso gravosi, come nel caso della dichiarazione da rendere di cui allart.547 c.p.c.36 oppure dalla trattenuta del 20% a titolo di acconto prevista per i casi specifici di pignoramento verso particolari soggetti. La cessione del quinto36 La cessione del quinto dello stipendio un istituto riconducibile al pi ampio genus della cessione del credito disciplinata dallart.1260 e ss. c.c., ove si dispone che Il creditore pu trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo credito, anche senza il consenso del debitore. Questo strumento permette la circolazione dei crediti, pur non essendo possibile il passaggio materiale, non trattandosi di beni mobili. Relativamente agli effetti reali del negozio, assunto il coinvolgimento di tre soggetti, creditore, cessionario e ceduto, la cessione si perfeziona mediante laccordo di due sole parti, rendendo il ceduto, nel nostro caso il datore di lavoro, destinatario passivo dellobbligo generato37.Il datore di lavoro viene invitato a comparire alludienza alluopo indicata per rendere dichiarazione di debito. 37 In ambito giuslavoristico pare utile rapportare il presente contratto alla cessione del contratto di lavoro, altro esempio di rapporto trilaterale ove incontriamo le figure del cedente del ceduto e del cessionario. Emerge con forza, per, come la cessione del contratto, regolata dallart.1406 richieda il consenso del ceduto, mentre la cessione del quinto acquisisce efficacia nei confronti del ceduto indipendentemente dal consenso da parte di questultimo. Per una pi approfondita disamina relativa alla cessione del contratto si veda M. Frisoni, La cessione del36

La notificazione al ceduto, prevista dallart.1264 c.c., in riferimento alla cessione del quinto, risulta necessaria per permettere al datore di lavoro di provvedere alladempimento mensile connesso allerogazione degli stipendi. Effetti della notificazione anche ai fini dei diritti vantati da diversi creditori Come precisato dalla Finanziaria per il 2006, e a conferma della previsione contenuta nellart.1264 relativamente alla cessione del credito, leffetto nei confronti del terzo (datore di lavoro) si manifesta al momento della notificazione allo stesso, qualunque sia la forma di comunicazione prescelta. Di conseguenza non potr essere destinatario di contestazioni il datore di lavoro che abbia regolarmente pagato lintero stipendio a un lavoratore dipendente, nellignoranza di eventuali cessioni sottese. Il problema spesso si verifica nella situazione, peraltro neanche cos sporadica, di lavoratore che cede il medesimo credito retributivo a pi societ finanziarie. Il conflitto tra cessionari viene risolto proprio con la data certa della prima notificazione, che diventa quindi lunica efficace.

contratto: lapplicabilit dellarticolo 1406 del codice civile al contratto di lavoro subordinato, in Il Giurista del Lavoro n.1/11.

20 aprile 2011

ApprofondimentiIl pignoramento La funzione del pignoramento (art.491 e ss. c.p.c.) quella di soddisfare il pregiudizio generato dal mancato adempimento dellobbligazione che origina il rapporto bilaterale tra creditore e debitore. Latto di pignoramento potr rivolgersi nei confronti dei beni mobili, immobili nonch dei crediti del debitore verso terzi, ed proprio in questultima ipotesi che si inserisce il pignoramento di quote di stipendio. lart.2740 c.c. a stabilire come il debitore debba rispondere delladempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Tra i beni futuri di certa maturazione sicuramente compresa la retribuzione, che pu quindi costituire chiara garanzia per il creditore. Nel caso di inadempimento del debitore, quindi, il creditore ha la possibilit di attivare la procedura di esecuzione forzata tramite lintervento dellautorit giudiziaria. Latto di pignoramento inaugura la procedura di espropriazione forzata (art.491 c.p.c.), seguitamente alla notifica di uningiunzione. I tre soggetti coinvolti nel pignoramento sono: 1. creditore pignoratizio soggetto che ha subito linadempimento e risulta pertanto legittimato ad avviare lesecuzione forzata; 2. debitore il soggetto inadempiente che subir una decurtazione di un credito a sua volta vantato verso un terzo; 3. terzo erogatore soggetto debitore nei confronti dellinadempiente, gestisce il pignoramento con riferimento a una parte di ci che dovr erogare. Non emerge alcun aggravio nella liquidazione del proprio debito, che sar solamente suddiviso tra il soggetto titolare della prestazione sinallagmatica di lavoro e il creditore pignoratizio. Dal punto di vista procedurale, lufficiale giudiziario avvia il pignoramento tramite lingiunzione al debitore, obbligandolo ad astenersi dagli atti dispositivi che possano ledere la garanzia di solvibilit nei confronti del creditore. Viene quindi notificato al terzo erogatore lobbligo di pagare direttamente il debito al creditore, fino a concorrenza dellimporto per il quale si procede. Considerato come il diritto del creditore pignorante si generi al momento dellingiunzione ad opera dellufficiale giudiziario, potrebbe verificarsi il caso in cui la notifica presso il terzo erogatore, che nel nostro caso rappresentato dal datore di lavoro, sia eseguita in data successiva, anche di molto, rispetto alla nascita del diritto. A questo punto sorgono due diversi tempi di pagamento, quello delle quote di retribuzione maturate dal periodo dallingiunzione al momento della notifica e quello delle quote di retribuzione maturate dal momento della notifica in poi. Gli importi corrispondenti al primo periodo dovranno essere liquidati entro 15 giorni dalla notifica dellatto pignorato, quelle del periodo successivo saranno applicate sulla retribuzione corrente. Particolare attenzione deve essere prestata allart.547 c.p.c.. Infatti, qualora si tratti di crediti di cui allart.545 c.p.c., le somme a titolo di stipendio, di salario o di altra indennit relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento, la parte creditrice in possesso del titolo esecutivo, dopo aver emesso latto di precetto, chieder al datore di lavoro del debitore, ove individuato38, di rendere dichiarazione, possibile anche tramite procuratore speciale o difensore, indicando lora e la data delludienza per la comparizione. Tramite tale dichiarazione il datore di lavoro specifica il credito vantato dal dipendente che ha subito il pignoramento, avendo cura di evidenziare eventuali cessioni o pignoramenti gi in corso, nonch la natura delle stesse39. Si ricorda che vige infatti il divieto generale di pignorare e sequestrare alcuni beni del debitore, di riconosciuto valore morale oppure utili al vero e proprio sostentamento, che assumono importanza tale da prevaricare i diritti del creditore. A tale regola generale fanno eccezione, tra gli altri, le somme a titolo di stipendio, salario o altre indennit relative al rapporto di lavoro, tenendo per presenti precisi limiti massimi e di concorso. Evoluzione legislativa Posta la disciplina contenuta nel codice civile e nel codice di procedura civile come da articoli sopra38

La sezione V del Consiglio di Stato, con decisione n.2511 del 27 maggio 2008, ha sancito il pieno diritto del creditore di acquisire informazione dai Centro per lImpiego in merito alloccupazione del soggetto debitore presso un datore di lavoro. Linteresse del creditore prevale infatti su quello della riservatezza del soggetto debitore. 39 Solo nel caso di crediti da lavoro prevista la comparizione del terzo in udienza, negli altri casi infatti possibile la dichiarazione scritta inviata via raccomandata.

21 aprile 2011

Approfondimentirichiamati, levoluzione normativa, dopo molti anni di staticit, ripresa recentemente proprio in considerazione dei fenomeni sociologici descritti in premessa. Le regole circa lapplicazione del pignoramento e della cessione del quinto al rapporto di lavoro sono state per anni limitate al settore pubblico, secondo quanto indicato dalla L. n.180/50 (di seguito anche Testo Unico), nonch dal regolamento esecutivo collegato e contenuto nel DPR n.895/50. Si infatti dovuto attendere il 2004 per il recepimento dellart.1, co.137 della L. n.311/04, che ha esteso la disciplina anche al settore privato. Rileva per come lanno 2004 non sia stato propriamente un anno di recessione, infatti la ratio che ha portato allestensione erga omnes del possibile ricorso allo strumento, inizialmente mirava ad incentivare il credito al consumo in funzione consumistica, non potendo prevedere la funzione di mera sopravvivenza che ha poi assunto lo strumento nel corso degli anni. La spinta ad un rapido adattamento di un Testo Unico rimasto inalterato per pi