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La pittura come contenitore
Giuliano Collina
Copertina catalogo.indd 1 25/06/13 17.48
Giuliano Collina.La pittura come contenitore
Mostra a cura diRoberto Borghi
La pittura come contenitore
Giuliano Collina
Copertina catalogo.indd 1 25/06/13 17.48
Giuliano Collina.La pittura come contenitore
Sondrio. Galleria Credito Valtellinese/MVSA/Palazzo Sertoli e Sassi de’ Lavizzari24.VII—— 7.IX.2013
ISBN 978-88-97913-14-6
2013 © Per i testi, Roberto Borghi2013 © Per le immagini, Alessandra Collina,
Mario Spreafico e Archivio Collina - Como2013 © Fondazione Gruppo Credito ValtellineseTutti i diritti riservati.
Foto di copertina: GC realizza un murale pressoil Cotonificio di Solbiate.Solbiate, Como, 1974
Gruppo bancarioCredito Valtellinese
PresidenteGiovanni De Censi
Amministratore DelegatoMiro Fiordi
Fondazione GruppoCredito Valtellinese
PresidenteAngelomaria Palma
DirettoreTiziana Colombera
GalleriaCredito Valtellinese
Commissari dell’esposizioneLeo GuerraCristina Quadrio Curzio
Segreteria OrganizzativaAstrid Ivone
Segreteria AmministrativaLaura GianesiniSimona Pusterla
Ufficio StampaStudio EsseciSergio Campagnolo
MontaggioAndrea Mori
MVSAMuseo Valtellinesedi Storia e Arte
Assessore alla cultura e all’istruzioneMarina Cotelli
DirettoreAngela Dell’Oca
La mostra è prodottadalla Fondazione GruppoCredito Valtellinese
Giuliano Collina è prima di tutto un amico, oltre ad essere un riconosciuto artista
contemporaneo e uno stimato docente.
Suo è il merito di aver portato a Como - sua città natale - per molti decenni, alcuni fra
gli artisti più quotati dell’attuale panorama internazionale, allora molto giovani e spesso
sconosciuti.
La fiducia di cui ha goduto presso importanti operatori culturali della città voltiana
si è riverberata nella sua attività di insegnante, ancor oggi viva negli studenti del liceo
scientifico, dell’Accademia Galli e dell’Università dell’Insubria, di cui rimane traccia
indelebile nei lavori dei giovani diplomati e di chi ha seguito la sua strada.
La mostra di Sondrio, che questo sintetico catalogo presenta integralmente, indaga un tema
di assoluta rilevanza all’interno della sua poetica artistica, che tuttavia è rimasto sempre
sottotraccia: quello della costrizione geometrica imposta alla libertà della forma pittorica.
Non è raro infatti notare, nel periodo considerato, come la libertà dei gesti umani,
l’affastellarsi di segni e di oggetti in un interno domestico, e addirittura la veduta aperta di
un paesaggio lacustre, siano sempre, invariabilmente, “trattenute” in una sorta di volume
metafisico. Una gabbia mentale o piuttosto un contenitore, come acutamente lo ha
definito il curatore, Roberto Borghi, offrendo così il titolo alla mostra.
Uscendo dai mille possibili collegamenti simbolici, o psicologici, resto convinto della
qualità del suo lavoro e della continuità nel corso del tempo, giacchè il pubblico potrà
ammirare in questa esposizione, fra le sale di Palazzo Sertoli e del MVSA, una selezione di
quadri che va dal 1962 alla fine degli anni ‘70, culminante con un omaggio al capoluogo
valtellinese che assume la forma di un’installazione effimera presso il cortile di Palazzo
Sassi de’ Lavizzari.
Ancora una volta, con questo evento espositivo, la Fondazione procede nei propri
intendimenti aggiungendo alla narrazione poetica del “fare artistico”, l’accostamento
personale e umano di un protagonista della cultura del nostro territorio.
Angelomaria PalmaPresidente Fondazione Gruppo Credito Valtellinese
Sommario
11 La pittura come contenitore Roberto Borghi
19 Catalogo
51 Apparati
Roberto Borghi
(la Pop presa alla lettera)
La pittura come contenitore
Cornucopia, 1968inchiostro di china su carta25,5 x 24 cm
1312
Nella storia dell’arte, quasi più che in altre storie, lo scarto tra ciò che è stato e ciò che
avrebbe potuto essere implica risvolti davvero romanzeschi. Prendiamo il caso della Biennale
di Venezia del 1964. Perlomeno nel nostro paese avrebbe potuto essere ricordata – secondo
Walter Guadagnini – «come la Biennale della pop italiana che si mostrava al mondo nella sua
varietà di intenti e nella sua qualità di risultati»; invece è passata alla storia soltanto come «la
Biennale della pop americana […], del premio a Robert Rauschenberg e della congiura della
CIA», una Biennale insomma nella quale «mito e realtà si confondono»1. Forse però in quell’oc-
casione fu il mito a non essere all’altezza del profilo epico della realtà, a non stare al passo con
i suoi avventurosi sviluppi. La presenza in laguna dei combine painting di Rauschenberg, che si
aggiudicarono il premio internazionale, e delle opere irriverenti degli altri popist generò con-
seguenze rocambolesche: il Presidente della Repubblica decise di non partecipare all’inaugu-
razione della mostra, il Patriarca di Venezia ne proibì l’ingresso agli ecclesiastici, l’Osservatore
Romano scrisse di «grotteschi rottami e cianfrusaglie di ripostiglio con l’aggiunta di allusive,
indecorose ostentazioni che offendono la sensibilità morale»2. In peculiare sintonia con il quo-
tidiano della santa sede, Giulio Carlo Argan intitolò la sua recensione Il banchetto della nausea3.
Pochi esponenti dell’ancien régime culturale italiano si astennero dal manifestare il loro sde-
gno. Tra loro vi fu un artista e un intellettuale avveduto, lungimirante e coerentemente
ideologico, qual era Renato Guttuso, che salutò l’arte pop come «la prima vera rivoluzione
dopo Cézanne […], una benefica malattia dell’arte, una crisi salutare, la fine probabile della
parabola dell’astratto, il ritorno alla realtà e alle cose concrete»4. Guttuso intuiva che l’arte
del novecento aveva ufficialmente voltato pagina, che l’agonia dell’informale si era ormai
conclusa, sebbene a causa di «una malattia»; ma di un morbo – designato probabilmente
come tale per l’allergia alle ideologie dei popist – dall’effetto «benefico», perché in grado di
rinvigorire «il filone figurativo – scrive Rossana Bossaglia – restituendolo prepotentemente a
un ruolo di punta». La pop infatti poteva essere considerata «un nuovo tipo di arte figurativa,
per di più capace di operare «un rivolgimento profondo nel concetto di arte popolare»5.
Già, il popolo, anzi il «popolare»: ovvero un aggettivo che è quasi una categoria dello spirito,
ma che, per quanto riguarda l’arte popular, va inteso soprattutto come una formula estetica
declinabile in almeno tre accezioni; «arte popolare» siccome «nata dal popolo, con i suoi
caratteri ingenui, magico-apotropaici», oppure «prodotta per il popolo», o infine «in cui il
popolo possa riconoscersi»6.
Se riferite al periodo pop della pittura di Giuliano Collina, queste varianti di senso possono
essere considerate tutte pertinenti, ma solo la prima davvero appropriata, per motivazioni di
cui è opportuno ripercorrere la genesi storica.
pagina precedente:Aperta, 1966olio, smalto e collage su tela120 x 70 cm
in questa pagina:Testa sotto le foglie, 1963inchiostro di china su carta27 x 25 cm
La mano, il palmo, 1965inchiostro di china su carta22 x 26 cm
Ginocchio, 1966inchiostro di china su carta 29 x 37 cm
Il pugno, 1965inchiostro di china su carta24 x 26 cm
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Schifano), la Metafisica (Lucio Del Pezzo, Emilio Tadini, Concetto Pozzati) … Pur praticando
fin dai suoi esordi un’arte con presupposti colti, Collina svoltò in un’altra direzione: nei suoi qua-
dri a essere citata, e magari mescolata con sottili rimandi a capolavori del passato, è la vita stessa,
è il quotidiano elevato a una dimensione paradigmatica, e quindi esemplificabile, citabile come
fosse un’opera d’arte. Questo atteggiamento traspare soprattutto nei dipinti realizzati nei primi
anni ’70, quando dello stile prettamente pop restano solo alcuni ingredienti-base, come il lucido
artificioso dello smalto, mentre la composizione tende a farsi via via più fluida e vorticosa: gran-
di opere di questo periodo, quali sono Autoritratto in soggiorno e Domenica mattina, dicono però
eloquentemente cosa significhi trattare la vita quotidiana come materia di citazione, e perfino
come soggetto monumentale. Ma in fondo anche i Biliardini, le Valigie, le Camicie dipinte nei primi
sessanta, pur nella loro freschezza d’intenti e nella loro elementarità, sono opere mediate, sono
frammenti di una quotidianità predisposta, tutt’altro che istintiva. D’altra parte queste opere si
inseriscono in un ciclo che l’autore ha ufficiosamente chiamato Contenitori, che comprende an-
che immagini di abiti, poltrone, cornucopie, e che si dipana lungo tutto il decennio. Può darsi
tuttavia che sia possibile anticipare l’avvio della serie a quei dipinti che raffigurano mani e boc-
che, parti del corpo umano che hanno anch’esse il compito perlomeno iniziale di accogliere,
includere, contenere. Dal groviglio sensuoso di quei frammenti anatomici sembra derivare la
La novità costituita dalla pop art, a Collina e ad altri artisti che all’inizio degli anni sessanta
erano come lui ventenni, si era palesata già tra il 1959 e il 1961, quando Rauschenberg,
Jasper Johns e Jim Dine avevano tenuto le loro prime personali nelle più importanti città
italiane. Era stato allora che, per un giovane pittore cresciuto nella «unica città in cui anche
i dilettanti realizzavano quadri astratti»7, cioè nella Como impregnata di memorie razionali-
ste, si era aperta la possibilità di esercitare un linguaggio d’avanguardia nel solco della figu-
razione. Anche Collina inoltre sentiva forte il bisogno di chiudere con l’informale, di farla
finita con l’autoreferenzialità e con lo psicologismo viscerale impliciti alla tendenza che ave-
va dominato negli anni cinquanta. Infine l’arte pop forniva al nostro artista una indicazione
preziosa: gli suggeriva infatti che la pittura – la pienezza della pittura – potesse sgorgare non
direttamente dalla vita, ma da una sua precedente rappresentazione. Il filtro dell’immagine
preliminare, in genere di natura fotografica, che i popist introducevano tra le loro opere pit-
toriche e l’esperienza del mondo spingeva anzitutto Collina a ipotizzare che uno schermo,
una mediazione tra realtà e arte, fosse indispensabile all’arte stessa.
Sulla scia di questa medesima intuizione, alcuni artisti pop italiani imboccarono già nei sessanta
la strada del citazionismo – così tristemente abusata nei decenni successivi – omaggiando la
Venere botticelliana (Giosetta Fioroni), l’Uomo leonardesco (Mario Ceroli), il Futurismo (Mario
Camicia, 1966smalto su carta38 x 25 cm
La bocca, 1965smalto e olio su tela su vetro83 x 90 cm
La poltrona verde, 1969smalto su tela sagomata170 x 120 x 50 cm
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fisionomia contorta dei cappotti e delle cornucopie, una natura filamentosa che tende a com-
pattarsi progressivamente nelle poltrone e nelle successive raffigurazioni di isole, senza mai
cessare di essere intricata e vistosa, e senza rinunciare a quell’esasperazione, a quella brutalità
che è un dazio pagato allo spirito iconoclasta del tempo, ma che non sfocia mai nella bruttezza.
È in questo momento che sembra enuclearsi un’idea di pittura che ha nel contenitore non
solo un riferimento iconografico, ma anche un modello operativo. Scevra da ogni ambi-
zione strettamente realistica, la pittura si presenta come un ambito in cui semplicemente
raccogliere e far decantare la vita, come una dimensione nella quale radunare frammenti
di vissuto – o schegge di immagini che hanno un rapporto con il vissuto, come avviene per
esempio con le Isole – e lasciarli sedimentare. Si tratta in fondo di ciò che avveniva nell’arte
veramente, letteralmente popolare, quella dei cicli di affreschi medievali, così pregna di una
«ingenuità» in cui Collina rintraccia «il cuore tenero delle cose». Certo, in quelle raffigura-
zioni parietali la quotidianità è evocata – anzi, citata nella sua esemplarità – in quanto per-
vasa da un senso del sacro che, nell’itinerario espressivo dell’artista comasco, si manifesterà
più tardi, e che in questi anni si prospetta appena sotto forma di allusione metafisica. Però è
evidente che quel modo di narrare, quel modo di accogliere, e anche un po’ di accumulare,
le vicende nell’immagine fa pensare che la pittura svolga un ruolo da contenitore.
Sul piano cronologico le opere pubblicate in questo catalogo non vanno oltre il 1977. È attorno
a quell’anno infatti che nella pittura di Collina cambiano le modalità del racconto, le figure di-
ventano progressivamente più disegnate e tendono a dominare lo spazio della rappresentazio-
ne, invece che ad assestarsi al suo interno. A volte però le intuizioni seguono percorsi carsici, o
forse davvero sedimentano e germogliano in un arco di tempo non determinabile. L’iconogra-
fia dei contenitori si riaffaccia in qualche modo negli anni ottanta con i primi dipinti di tovaglie:
cos’altro è infatti una tovaglia se non un contenitore piano, senza bordi, oltre che lo sfondo di
un rito quotidiano? Negli ultimi anni poi i dipinti di tovaglie si sono trasformati in raffigura-
zioni esplicite di una concezione stessa di pittura, e per la precisione di una pittura figurativa
che paradossalmente sembra poter fare a meno di un soggetto, di un contenuto. A riprova di
come, nella storia dell’arte, ad avere risvolti romanzeschi talvolta sia anche un gioco di corsi e
ricorsi, grazie al quale ciò che avrebbe potuto essere non si discosta poi tanto da ciò che è stato.
Paesaggio, il lago nero, 1967smalto e olio su tela60 x 70 cm
pagina a fianco:Il cappotto verde, 1966smalto e olio su tela73 x 173 cm
1 Walter Guadagnini, Tre passi avanti in Pop Art Italia 1958-1968, a cura di Walter Guadagnini, Cinisello Balsamo 2005, p. 25 (catalogo della mostra presso la Galleria Civi-ca di Modena, 17 aprile – 3 luglio 2005).2 R. M., La ragione a Venezia in «L’Osservatore Romano», 25 giugno 1964.3 Giulio Carlo Argan, Il banchetto della nausea in «La Botte e il Violino», n.2, 1964.
4 Cfr. M. Venturoli, Le Biennali dalla prima all’ultima in Arte d’oggi, Roma 1965, p.46.5 Rossana Bossaglia, Tesi e argomenti per una verifica storica in Il pop art e l’Italia, a cura di Rossana Bossaglia e Susanna Zatti, Milano 1983, p. 8 (catalogo della mostra presso il Castello Visconteo di Pavia, giugno-settembre 1983).6 Ibidem.7 La definizione è dello stesso Collina.
18
Catalogo
20 21
Isola, 1971inchiostro di china su carta37 x 17 cm
Cranio, 1962inchiostro di china e smalto su carta24 x 30 cm
22 23
Finestra, 1962tempera e inchiostri di china su carta34,5 x 34 cm
Finestra, 1962inchiostro di china su carta32 x 33 cm
24 25
La bocca, 1965smalto e olio su tela su vetro83 x 90 cm
Biliardino verde, 1964olio e smalto su tela76 x 101 cm
26 27
Aperta, 1966olio, smalto e collage su tela120 x 70 cm
Vuota, 1966olio, smalto e collage su tela70 x 100 cm
28 29
Cornucopia nell’angolo, 1968smalto su telatre tele per complessivi 120 x 120 x 120 cm
Cornucopia, 1968inchiostro di china su carta25,5 x 24,5 cm
Le strade nell’angolo, 1968inchiostro di china su carta25 x 22 cm
30 31
Cornucopia argento, 1967smalto su tela 90 x 180 cm
Cornucopia verde, 1967smalto su tela90 x 180 cm
3332
Studio per L’incontro, 1975carboncino su carta intelata172 x 122 cm
Studio per L’incontro, 1975carboncino su carta intelata162 x 97 cm
34 35
Due amici discutono sulle dimensioni di una scultura, 1975smalto e carboncino su tela130 x 100 cm
36 37
Studio per Figure in un interno, 1°, 1977carboncino su carta170 x 130 cm
Studio per Figure in un interno, 2°, 1977carboncino su carta 170 x 130 cm
38 39
La poltrona verde, 1968carboncino, pastello e tempera su carta137 x 103 cm
La poltrona verde, 1969smalto su tela sagomata170 x 120 x 50 cm
40 41
Eva notturna sale verso di noi da un giardino all’italiana, 1974smalto su tela240 x 140 cm
Il volto di un’Eva notturna, 1975smalto su tela100 x 100 cm
42 43
Autoritratto in soggiorno, 1973smalto e olio su tela220 x 400 cm
44 45
Domenica mattina, 1973smalto e olio su tela260 x 280 cm
46
Paesaggio in scatola, 1967carboncino su cartasei pezzi per complessivi140 x 270 cm
48
Alessandro Volta contempla la città di Como dopo un temporale, 1973smalto su tela140 x 260 cm
Apparati
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Giuliano Collina è nato a Intra-Verbania nel 1938. Nel 1944 la sua famiglia si è trasferita a Como, dove da allora risiede. Si è diplomato nel 1962 all’Accademia di Brera con una tesi su Nicolas De Staël (relatore il professore Guido Ballo).Collina è stato titolare della cattedra di pittura e tecniche pittoriche all’Ac-cademia di Belle Arti Cignaroli di Verona. Quindi ha insegnato pittura all’Accademia Aldo Galli di Como. Ha collaborato con l’architetto Mario Botta al suo corso presso l’Accademia di Architettura della Svizzera Italiana di Mendrisio e ha insegnato storia della cultura e dell’arte del novecento e storia e teoria delle tecniche artistiche al corso di laurea in scienze dei beni e attività culturali presso l’Università dell’Insubria di Como.Dal 1988 al 1994 ha diretto con lo scultore Francesco Somaini il corso supe-riore di disegno promosso dalla Fondazione Antonio Ratti di Como.Collina ha esposto per la prima volta le sue opere alla Galleria delle Ore di Mi-lano nel maggio del 1962 e da allora ha tenuto numerose mostre personali e collettive e partecipato a premi e rassegne. Tra le sue personali citiamo quelle presso il Palazzo Bagatti Valsecchi di Milano nel 1980, presso il Palazzo Moretti-ni di Locarno nel 1989, nella Scuola dei Mercanti di Campo Madonna dell’Or-to a Venezia nel 2003, a Palazzo Racani Arroni di Spoleto nel 2004, presso il Museo Diocesano di Milano nel 2009, nella Pinacoteca di Como nel 2010, pres-so il Museo Michetti di Francavilla a Mare nel 2011 e quella prevista da maggio a luglio di quest’anno negli spazi della Galleria Matasci Arte di Tenero (CH).Negli anni presi in considerazione da questo catalogo ha tenuto personali nella galleria La Colonna di Como (nel 1967, nel 1969 e nel 1977), presso la galleria Pagani di Milano (nel 1971 e 1973), nello Studio della Quaglia di Verona (1973 e 1974), presso la galleria La mela verde di Torino (nel 1973) e la galleria Mon-trasio Arte di Monza (nel 1975). Negli ultimi anni Collina si è dedicato anche alla scultura realizzando monumenti in bronzo e acciaio per spazi pubblici e privati.
[…] Pur partendo da significati poetici simili si differenzia, in parte, per natura e per risultato, l’opera di Collina. Spirito irrequieto, meno introver-so dei compagni, la sua pittura ha assunto ultimamente un tono più sere-no, più distaccato da una problematica esistenziale. Forse non è estraneo a questa sua ricerca il fatto ch’egli viva a Como dove una tradizione di rigore astratto, da Rho a Radice, ha lasciato forse una certa traccia, ha scavato forse in una certa tradizione locale.Giovanni Fumagalli, testo pubblicato nel catalogo della mostra Collina, Ferrari, Ghinzani presso la Galleria delle Ore, Milano, maggio 1962
Espone a Milano alla Galleria delle Ore il nostro giovane concittadino pit-tore Giuliano Collina. Egli ha ventiquattro anni e frequenta l’ultimo anno dell’Accademia di Brera. Con lui espongono, in altre salette della medesi-ma galleria, lo scultore ticinese Renzo Ferrari e il pittore Alberto Ghinzani, entrambi ventitreenni. […] Giuliano Collina è indubbiamente il migliore dei tre espositori. Dalle sue opere sono scomparse le tracce di arte informa-le e quelle macabre di sapore espressionistico.La pittura informale, se davvero è tale, si pone automaticamente fuori dell’arte perché non vi è manifestazione poetica che si possa manifestare nel disordine, ossia nel male. Infine certe macabre opere surrealistiche dei paesi della nebbia e del gelo non sono altro che manifestazioni di carattere illustrativo dalle quali l’autentica arte plastica rimane esclusa. Nei quadri migliori di Giuliano Collina trovo ordine, armonia e ritmo. Egli è l’unico dei tre che segue la strada giusta. Dio l’aiuti a non deviare e a sa-crificarsi per il bene suo e del prossimo. Mario Radice, Il pittore Giuliano Collina alla Galleria delle Orein «La Provincia», 23 maggio 1962
Anche per Giuliano Collina, come per non pochi altri artisti, il problema primo è attualmente quello di realizzare non delle immagini di oggetti, ma delle immagini-oggetto. Certo un problema non nuovissimo, che già è dato trovare nelle avanguardie storiche, ma che oggi è riemerso con caratteristi-che peculiari e sostanzialmente nuove. E cioè soprattutto entro le direttrici derivanti dal rifiuto delle convenzioni di un ordine concettuale e dall’ade-sione a una spazialità fluida e fisicamente concreta.Le immagini-oggetto non sono così più accampate entro gli astratti rap-porti di uno spazio calcolato mentalmente, ma determinano esse stesse il loro spazio, che è quindi qualcosa che non è possibile proporre apriori-sticamente.Questa premessa va tenuta ben presente, per non fraintendere il senso di misura che è facile rilevare nei lavori del giovane pittore comasco, che è sì indubbiamente alieno dall’immergersi in un continuum fremente e dram-matico, ma che mai intende rinunciare a una dimensione esistenziale per aderire, anche solo inconsciamente, a una scansione meccanica e gramma-ticale delle forme.La “messa a fuoco” che Collina opera nei suoi dipinti e nei suoi disegni […] è piuttosto la conseguenza della volontà di non sacrificare lo spessore fisico, l’imminenza materica delle cose, la cui “realtà” non viene perciò tradita, ma invece esaltata nel suo “esserci” effettivo.Proprio da questo desiderio di non attenuare la presenza concreta dell’im-magine – e quindi di non cadere nell’appiattimento allusivo, nella sigla sin-tetica ed esile – nasce del resto la “prospettiva” di Collina, naturalmente liberissima, non “scientifica”, non imposta dall’esterno, e che non diventa mai uno strumento per imbrigliare intellettualisticamente la realtà e nep-pure la base per un intreccio narrativo, ma è solo una proprietà dell’ogget-
Biografia Antologia critica 1962-1977
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to, del suo vitale situarsi nello spazio, sottolineato anche dai tagli aggressi-vi, dal debordare della composizione oltre il limite della tela o del foglio, dallo stesso recente tentativo di angolare il supporto, spezzando così ulte-riormente la bidimensionalità della figurazione, di cui è ancora una volta potenziata la capacità di coinvolgere l’ambiente.Luciano Caramel in Giuliano Collina. Disegni 1962-1967, catalogo della mostra presso la galleria La colonna, Como, novembre 1967
Giuliano Collina espone un “oggetto” composto da due piani inclinati su uno dei quali è riprodotto un grande panorama del lago di Como; un pae-saggio colto a volo di uccello, simile a una plastigrafia che, col mutare delle luci, diventa, grazie a opportune vernici, diurno o notturno. È un’opera che nasce, come chiarisce il presentatore Luciano Caramel, da un lungo travaglio di rapporto con la pittura e dall’esperienza di Campo urbano a cui l’artista ha attivamente partecipato. Un’opera complessa in cui si affollano molte componenti e direi soprattutto molte problematiche che non sono solo di Collina ma di gran parte dei ricercatori attuali. Diremo che le pro-poste subito rilevabili sono il tentativo di distruggere il quadro tradizionale con la mutata prospettiva ottica che l’inclinazione dà all’immagine; e di creare, attraverso il gioco di luce, una dinamica all’interno dell’immagine stessa che la sottragga all’immobilità tradizionale. In sostanza, la volontà di rompere lo spazio e il tempo collocando la rappresentazione in una dimen-sione più ampia, in rapporto diretto di ciò che l’ha suggerita. E poi ancora un ostinato rifiuto a ogni inclinazione estetizzante, la volontà di dilatare la natura in uno spazio fantastico con un affollarsi di immagini esterne che in essa appena si ricompongono, il rischio calcolato di rasentare il kitsch alla ricerca forse di un messaggio liberato da ogni culturalizzazione. Ciò che
risulta è un’immagine affascinante e ricca di potenza la cui contraddizione appare evidente a ogni pennellata, ostentatamente proposta nel tentativo di mettere indubbio le nostre sicurezze, molti luoghi comuni sulla pittura, e di aprire, al di là di essi, un nuovo spazio di possibili esplorazioni. Aurelio Natali, Galleria Darsena: Giuliano Collina, «NACNotiziario d’Arte Contemporanea», 1 maggio 1970
A voler prescindere dai riferimenti di cultura che circolano in queste pittu-re recenti di Collina, e che sarebbe inutile sottolineare dal momento che la cultura è per questo artista un dato imprescindibile e la citazione un ritorno del tutto naturale a una storia profondamente amata e vissuta, le opere del pittore rivelano una felicità del dipingere rara ai nostri giorni e un al-trettanto raro rapporto diretto con le cose. Proprio rispetto alla cultura si dovrebbe anzi dire che le scelte di Collina rispondono semmai alla necessità di esaltare il ritrovato rapporto con le cose: quando l’artista accede a quel suo disegno largo, che propone con evidenza l’oggetto e la figura, quando utilizza un tratteggio fiammeggiante, d’estrazione tra fauve e divisionista, è l’oggetto ad acquistarne di presenza, è l’immagine che brucia di una sua esaltante vita. Oggetto e figura sono dunque i centri d’immaginazione del pittore, riferimenti focali dell’immagine attraverso i quali dilaga un’attitudi-ne dell’artista a vivere in modo esaltante l’esperienza del reale. Sembra che Collina ritrovi, nella riscoperta d’un linguaggio che direttamente accede al plastico possesso delle cose, quel rapporto con il mondo reso difficile da troppe storture intellettuali; sembra che rinnovi, restringendo il campo di intervento al banale quotidiano, la possibilità di un colloquio meno dram-matico con le cose. Collina restituisce agli oggetti d’esperienza una vita de-sueta, sfronda d’un colpo dall’immagine contenuti formali e suggestioni di
vita frantumata, accogliendo il miracolo, ogni volta rinnovato, di presenze che hanno nella loro stessa evidenza di figure il compiuto senso di esistere per sé. Il letto sfatto, la poltrona, una figura di sghembo, la finestra, stanno, nel campo trascorrente e ininterrotto dello sguardo, come oggetti paghi d’una loro esistenza nello spazio. Ciò non significa che la pittura di Collina sfugga a tentazioni inespresse ma presenti come aloni balenanti sulle forme presenti nell’immagine. La condizione stessa dell’uomo e dell’artista oggi, vietano totali certezze, il dialogo senza fratture con gli oggetti. Così accade che accanto alla figura baleni d’improvviso la sua ombra, ed essa sia un’altra presenza, non meno reale, più inquietante forse, per l’ambiguità che essa desta, per un suo sottile immettere entro un flusso d’immaginazione ricco di vita fantastica e forse incline ad aprirsi su non casuali smarrimenti. Gianfranco Bruno, testo pubblicato nel catalogo della mostra personale presso la Galleria d’Arte Cocorocchia, Milano, marzo-aprile 1977 Le opere di questa mostra personale, dipinti guazzi e grandi disegni in bian-co e nero, puntualizzano le ragioni del fascino che indubbiamente esercita la pittura di Giuliano Collina. Intanto la sua evidente e quasi eccitata voglia di usare i mezzi tradizionali della pittura, disegno e colore, come se fossero appena inventati: reinventando cioè la violenza segnica e cromatica degli espressionisti e dei fauves; quindi l’ebbrezza con cui egli incalza la formu-lazione di un linguaggio personale, affondando progressivamente la sua ricerca dalla superficie verso l’interno delle immagini pittoriche.Collina analizza le strutture delle immagini con una minuta parcellizzazio-ne delle forme e delle tinte e ottiene così che ciascuna opera, nel suo in-sieme e in ciascuno dei suoi particolari, appaia come vivificata, caricata di straordinarie energie ottiche ed espressive. Sia che si tratti di impaginare
l’apertura di una finestra sopra la distesa azzurra di un lago in modo che i telai stessi, la superficie del lago, la brezza che la increspa, la luce che scende dall’alto e rimbalza fosforescente, sembrino, tutti insieme, cose tra-scinate in un vortice; sia che invece si tratti di situare una lunga allampanata figura maschile nel vano di una porta, o contro il fondale di un manifesto stradale di cui si coglie l’aspra esplosione cromatica, accentuandone l’ango-lazione quasi in caduta, in gorgo, in riflesso.Le composizioni di Collina riflettono questo senso di instabilità e di sdop-piamento. Le sue figure inciampano, a volte combattono con la loro ombra una misteriosa lotta con l’angelo, sembrano soffrire di capogiro, di nausea, passano da un azzurro angelico a un rosso demonico come per effetto di improvvisa alterazione della psiche. Sono oggi le più vicine alle figure in-quietanti di Bacon.Luigi Carluccio, Giuliano Collina alla Galleria Cocorocchia di Milanoin «Panorama», 24 maggio 1977
Finito di stampare nel mese di luglio 2013per i tipi delle Grafiche Aurora di Verona
CartaSymbol Matt Plus 170 gr/mq
Testi composti in ITC New Baskerville e Akzidenz Grotesk
Progetto grafico di Leo Guerra