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1 GIULIANA RANIERI Cultrice di diritto commerciale Università Mediterranea di Reggio Calabria IL DISSIDIO INSANABILE E LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ PERSONALI SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Il dissidio fra i soci: evoluzione normativa, dottrina- le e giurisprudenziale. - 3. Osservazioni conclusive 4. Impossibilità di conseguire l’oggetto sociale nelle società di persone con due soci. - 5. Scioglimento ed esclusione nelle società bipersonali. 1. Premessa Il dissidio tra i soci nelle società di persone è un tema che suscita notevole interesse, specie a partire dalla unificazione del Codice di Commercio nel Codice Civile del 1942, per la peculia- rità di quanto è dato riscontrare: per la diffusione nella realtà so- cietaria, nella forma più semplice, del succedersi di situazioni di conflitto e di stallo. All’ampia portata nella pratica del fenomeno, fa riscontro la mancata previsione, sul piano normativo, di qualunque riferimen- to espresso a tale fattispecie e alla sua rilevanza giuridica, nella già scarna normativa delle società di persone. Da qui l’interessan- te lavoro interpretativo della dottrina e della giurisprudenza, che hanno ricondotto la fattispecie del dissidio alla più ampia tematica dello scioglimento della società per la impossibilità di conseguire l’oggetto sociale. La disciplina normativa delle cause di scioglimento delle so-

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GIULIANA RANIERICultrice di diritto commerciale

Università Mediterranea di Reggio Calabria

IL DISSIDIO INSANABILE E LO SCIOGLIMENTODELLE SOCIETÀ PERSONALI

SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Il dissidio fra i soci: evoluzione normativa, dottrina-le e giurisprudenziale. - 3. Osservazioni conclusive 4. Impossibilità diconseguire l’oggetto sociale nelle società di persone con due soci. - 5.Scioglimento ed esclusione nelle società bipersonali.

1. Premessa

Il dissidio tra i soci nelle società di persone è un tema chesuscita notevole interesse, specie a partire dalla unificazione delCodice di Commercio nel Codice Civile del 1942, per la peculia-rità di quanto è dato riscontrare: per la diffusione nella realtà so-cietaria, nella forma più semplice, del succedersi di situazioni diconflitto e di stallo.

All’ampia portata nella pratica del fenomeno, fa riscontro lamancata previsione, sul piano normativo, di qualunque riferimen-to espresso a tale fattispecie e alla sua rilevanza giuridica, nellagià scarna normativa delle società di persone. Da qui l’interessan-te lavoro interpretativo della dottrina e della giurisprudenza, chehanno ricondotto la fattispecie del dissidio alla più ampia tematicadello scioglimento della società per la impossibilità di conseguirel’oggetto sociale.

La disciplina normativa delle cause di scioglimento delle so-

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cietà (1) era inizialmente unitaria, nel senso che trovava applica-zione, con i necessari adattamenti, per tutti i tipi di società in for-za del richiamo contenuto nell’art. 2452 c.c. nella originaria ste-sura; aveva rilievo indistintamente per tutti i rapporti societari,salva l’ipotesi del venir meno della pluralità dei soci riferibile,stante le peculiarità e caratteristiche particolari, alle società di per-sone in via esclusiva.

In una fase successiva, con la modifica della disciplina dellesocietà di capitali in un’ottica autonomistica e di maggiore ade-renza alle connotazioni capitalistiche, anche la disciplina delloscioglimento e delle fasi successive, si è diversificata da quelladelle società personali (2).

La autonomia normativa ha condotto ad una netta distinzio-ne: l’art. 2272 del codice civile e ss. è applicabile alla società sem-plice, alla società in nome collettivo ed alla società in accomanditasemplice; l’art. 2484 c.c. è invece applicabile alle società di capi-tali ed in particolare alla società per azioni. Su un piano stretta-mente normativo è appena il caso di ricordare che la disciplinadelle società su base personale, oltre alla norma generale sopra in-dicata, contiene due ulteriori norme specifiche, dettate per le ca-ratteristiche proprie (struttura e funzione) delle relative tipologiesocietarie: l’art. 2308 c.c. per quel che riguarda la società in nomecollettivo, e l’art. 2323 c.c. per la società in accomandita semplice.

Solo un accenno alla ulteriore autonoma disciplina previstadall’art. 2497 c.c. per le società a responsabilità limitata, norma

(1) Del tutto differente e non riguardante il nostro tema è la fattispecie relativa alloscioglimento del rapporto sociale limitatamente a un socio, disciplinato dagli artt. 2284 c.c.e ss. per quel che riguarda le società di persone. È evidente che tale ipotesi non incide sullaesistenza della società e non produce l’estinzione del soggetto giuridico in questione, inquanto il fenomeno esaminato riguarda esclusivamente il singolo socio. Le ipotesi previsteespressamente sono: la morte del socio, disciplinata dall’art. 2284 c.c.; il recesso del socio,disciplinato dall’art. 2285 c.c., nel qual caso il socio è titolare di un vero e proprio dirittodi non partecipare alla compagine sociale ed alla vita della società nelle ipotesi ivi previsteed in tutti i casi in cui ricorra una giusta causa, la cui portata è stata ulteriormente ampliatacon la riforma societaria soprattutto nelle ipotesi di dissenso rispetto alla gestione della so-cietà da parte del gruppo di maggioranza; l’esclusione del socio disciplinata dall’art. 2286c.c. e ss. che viene distinta in esclusione facoltativa nelle ipotesi di gravi inadempienze daparte del socio della legge e del contratto sociale (art. 2286 e 2287), ed esclusione di dirittoin caso di fallimento.

(2) MAFFEI ALBERTI, Comm. Breve al Diritto delle Società, CEDAM 2007, pag. 72 e ss.

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che nella considerazione dello scioglimento, quale fase terminaledella vita della società, ha operato sul piano normativo relativa-mente ai caratteri, disciplina e connotazione di questo ultimo tipodi società, una vera e propria rivoluzione di configurazioni tradi-zionali tanto che, a seguito della riforma, si discute se questa so-cietà sia oramai da annoverare tra le società di persone e non piùtra quelle di capitali (3).

Per le società personali, con riguardo al tema che ci appre-stiamo a trattare, occorre inoltre considerare l’art. 2272 c.c., alquale le norme specifiche sopra ricordate espressamente si richia-mano, per valutare la natura e gli effetti dello scioglimento, leconseguenze che produce e il momento dal quale esso opera.

Su piano sostanziale e giuridico, la dottrina prevalente ritieneche lo scioglimento produca non l’estinzione della società, masemplicemente il mutamento del suo scopo sostituendosi alla fina-lità di svolgere una attività economica tendente alla produzione ealla ripartizione di utili, quello di definire i rapporti sociali e quindidi ripartire l’attivo, ove vi sia, nella fase della liquidazione (4).

La giurisprudenza è costante nel ritenere che il semplice ve-rificarsi di una delle cause di scioglimento espressamente previstedall’art. 2272 c.c. o dal contratto sociale, produca ipso iurei suoieffetti. Da tale premessa discende, coerentemente, la natura mera-mente dichiarativa della decisione giudiziale che conclude un pro-cedimento avente ad oggetto la sussistenza (o meno) di una causadi scioglimento, accertandosi di un fatto, rispetto a un effetto giàverificatosi (5) nella vita della compagine e che comporta l’aper-tura delle successive fasi della liquidazione e della estinzione del-la società stessa.

(3) Sulle modifiche normative della società a responsabilità limitata e sul dubbio perla natura mista tra le società di persone e le società di capitali, cfr. da ultimo: PANUCCIO V., Lanuova società a responsabilità limitata, in In Iure Praesentia, 2003, Giuffrè, pagg. 157-194.

(4) CIAN-TRABUCCHI, Commentario breve al Codice civile, CEDAM, 1992, 1882;BAZZANO-DABORMIDA-MORINI, Diritto e Realtà. Società semplice e in nome collettivo, Utet,1994, 51, ss.. Sul mutamento di scopo in caso di scioglimento anche: FERRI, Delle società,in Commentario Scialoja-Branca, 1968, 204. Di recente: RAGOZZO, Superato l’orientamen-to della Suprema Corte che equiparava lo scioglimento all’estinzione, Il Sole 24ORE,Guida al Diritto, Società e contratti, n. 36, 1.1.1996.

(5) Trib. Torino 19.03.1983, Rep. F. It.84, Società, 777.

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2. Il dissidio fra i soci: evoluzione normativa,dottrinale e giuri-sprudenziale.

a) l’evoluzione normativa.

Venendo ora più direttamente al tema oggetto del nostro stu-dio, va subito ricordato che il Codice di Commercio del 1865, sul-la scia del codice napoleonico (6), stabiliva (quale causa di scio-glimento della società) la “mancanza o la cessazione dello scoposociale, o l’impossibilità di conseguirlo”. Deve aggiungersi, percompletezza, che nel predetto codice le cause di scioglimento delrapporto sociale,limitatamente ad un socio, erano regolate comecause di scioglimento dell’intero rapporto societario.

Identica formulazione veniva riprodotta nel codice di com-mercio del 1882, che menzionava, all’art. 189, tra le cause discioglimento della società, comportanti l’invalidità del contratto,la “mancanza o la cessazione dell’oggetto sociale” e “l’impossibi-lità di conseguirlo”, con l’unica modificazione (apparentementesolo semantica) della sostituzione del termine “scopo” col termine“oggetto”.

La formulazione della norma era mantenuta, malgrado qual-che oscillazione, nei testi delle commissioni di riforma (7), finoall’attuale Codice del 1942 che, all’art. 2272 n. 2, ripete sostan-zialmente la previsione fra le cause di scioglimento delle societàpersonali, “il conseguimento dell’oggetto sociale” o “la sopravve-nuta impossibilità di conseguirlo”.

La più importante modifica, da parte del legislatore attualesembra riguardare il termine “sopravvenuta”, che è stato corretta-mente introdotto, in considerazione del fatto che l’impossibilità,quale causa di scioglimento, se non sopravvenuta, comporterebbe

(6) Il Codice del Commercio abrogato riproduceva la nozione di società civile con-tenuta nel Codice Napoleonico a struttura romanistica con rilievo meramente obbligatoriodel rapporto, così come la distinzione, ed il relativo criterio di individuazione, tra societàcivile e società commerciale.

(7) Il Progetto D’Amelio e il Progetto Vivante prevedono una disciplina in parte di-versa da quella del Codice del Commercio in quanto, con riferimento alle fattispecie discioglimento della società, vi è la tendenza distinguere tra cause di scioglimento del vincolorispetto ad un socio e del rapporto sociale nel suo complesso; nonché la contrapposizionetra cause di scioglimento che operano di diritto e dipendenti invece dalla volontà dei soci.

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ab origine la invalidità del contratto e lo scioglimento successivodello stesso per tale ragione.

Questi rapidi cenni circa lo sviluppo legislativo del tema evi-denziano che del dissidio fra soci non si è occupato espressamen-te il legislatore, fin dall’epoca del primo codice di commercio, an-che se il problema è più antico; si ricordi nell’epoca romana la fi-gura del socio rissoso (8), sicché l’istituto è dovuto alle elabora-zioni graduali della dottrina e della giurisprudenza.

b) l’evoluzione dottrinale.

L’esigenza del senso comune di trovare una soluzione giuri-dica alle frequenti ipotesi di conflitto, ha motivato l’attività delladottrina, che ha iniziato un attento esame delle situazioni concreteal fine di definire la nozione di dissidio, le caratteristiche, gli ef-fetti, con l’occhio alla impossibilità di conseguire per tale causa,l’oggetto sociale. L’indagine storico positiva in materia, consentedi ritenere che tale processo di elaborazione abbia già avuto inizioqualche anno dopo l’entrata in vigore del codice del 1942 (9), ri-conducendo la dottrina dell’epoca, già da allora, il dissidio allaimpossibilità sopravvenuta della prestazione (10) e richiedendone icaratteri dell’assolutezza e oggettività (11). Altra dottrina, minori-taria, ha contestato questa conclusione, ritenendo che tali caratteri

(8) L’ipotesi del dissidio era infatti già nota ai Romani che avevano creato la figuradel socius rixosus, anche se come è noto e risulta da testi ulpianei, per la societasromananon era prospettabile una ipotesi di scioglimento del singolo rapporto sociale, neanche inipotesi di morte del socio

(9) L’argomento è stato trattato per la prima volta dal BOLAFFI, La società semplice1947, rist. 1975, pagg. etc .

(10) Istituto che successivamente si differenziò rispetto all’impossibilità sopravve-nuta del conseguimento dello scopo sociale, vedi infra nel testo.

(11) DI SABATO, Manuale delle società,pag. 159; MONTAGNANI, Disfunzioni degli or-gani collegiali e impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale, Milano, 1993, 77. Ladottrina ha quindi mantenuto anche con riferimento al dissidio, i due caratteri che connota-no l’impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale, previsti dall’art. 2272 cc., in ter-mini di assolutezza e definitività. L’esperienza dottrinale e giurisprudenziale ha tradottoquesti ultimi caratteri adeguandoli alla nozione di dissidio attraverso un aggettivo costante-mente richiamato in quest’ottica “insanabile”. L’insanabilità esprime, dunque, con riferi-mento al dialogo fra i soci la impossibilità di ripristinare una situazione di accordo e diapertura reciproca, quindi sostanzialmente, riproduce con riferimento al dissidio i requisitidella definitività e della assolutezza.

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non sono riferibili alla impossibilità ed al dissidio, come causa discioglimento della società, perché questa è originata da situazioninon neutralizzabili con mezzi (contrattuali) normali, e non è sem-pre qualificabile come oggettiva (12). Fu proprio il lavoro di crea-zione condotto dalla dottrina, nel prendere atto dell’emergere dimolteplici situazioni e tipologie di contrasto nella vita reale dellasocietà nel ricondurre le fattispecie concrete e nell’indirizzarle,induttivamente, nell’alveo della generale ipotesi dell’art. 2272 cc.al n. 2. La norma, al menzionato punto 2, pone quale elementocentrale di valutazione ai fini della prosecuzione o meno della vi-ta societaria, l’oggetto sociale (nel senso che preciseremo fra bre-ve) come lo scopo per il quale la società è stata costituita e l’atti-vità che essa intende svolgere per conseguirlo (13).

Le due ipotesi previste, entrambe rilevanti come cause discioglimento della società di persone, sono identificabili la prima,nel caso di raggiungimento dell’oggetto sociale, quando cioè lasocietà ha raggiunto integralmente la finalità per la quale era statacostituita, la seconda, quando, invece, si verifichi la impossibilitàdi conseguirlo (14). Naturalmente, si avverte, che tale impossibi-lità deve avere connotazioni precise e soprattutto deve rivestireuna certa importanza e gravità, per far sì che la società si sciolga.È la stessa norma che precisa, nella adozione del termine “impos-

(12) COTTINO, Diritto Comm., I, 2, 242.(13) SCHIANO DI PEPE, Le società di persone, Trattato teorico pratico delle società,

Ipsoa, pagg. 441 ss.(14) Di conseguenza resta privo di rilievo giuridico ai fini dello scioglimento il veri-

ficarsi fra i soci di un motivo di disarmonie di minima entità, la dottrina è soprattutto lagiurisprudenza,all’atto della valutazione delle singole fattispecie e della applicazione sulcampo dei vecchi canoni normativo, ha, nel corso degli anni, identificato ipotesi significa-tive di dissidio in cui la mancanza del dialogo costruttivo tra i soci, giunge a determinare laimpossibilità di gestire una impresa sociale. Sul punto si veda. JAEGER-DE NOZZA, Appuntidi diritto commerciale, Milano 1997, pag.183, quale causa di paralisi della società. Il rap-porto dissidio-impossibilità di gestione dell’impresa, come causa ed effetto è, quindi, comemotivo di scioglimento e principio stabilito dalla giurisprudenza costante “anche con rife-rimento alla società con due soli soci, quando il loro dissidio risulta insanabile, e si riflettesulla gestione dell’impresa, al punto da rendere impossibile il conseguimento dell’oggettosociale, si verifica ai sensi dell’art. 2272, n. 2 cc., una causa di scioglimento della società.La relativa declaratoria può essere demandata in giudizio da ciascuno dei soci, indipenden-temente dalla sua eventuale responsabilità circa la cause del dissidio stesso, questo essendorilevante, ai fini quj considerai nella sua obiettività” (segue nota 16 nel testo).

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sibilità” che questa deve essere connotata da definitività (15) e as-solutezza (16), oltre ad essere ovviamente sopravvenuta (17). Nonè pertanto sufficiente una situazione di impossibilità momentanea(18), che sia successivamente superabile, né può rilevare, ai fini diun eventuale scioglimento, la posizione particolarmente critica diun socio, in riferimento alla possibilità della società di proseguirela propria attività, poiché occorrono fatti determinati, oggettivi edinconfutabili che rendano impossibile su piano giuridico e sostan-ziale la continuazione dell’attività della società per conseguire loscopo comune (19) non bastando critiche soggettive e personali.

Infatti l’elaborazione dottrinale maggioritaria propone unaulteriore distinzione all’interno della categoria,”dell’impossibilitàdi conseguire l’oggetto sociale”, quella tra le cause di impossibi-lità interne (20) e quelle di impossibilità esterne (21). Posto che in

(15) Il requisito della “definitività” viene riferito dalla dottrina come quell’elemento,interno o esterno alla società che sia idoneo a troncare definitivamente il rapporto sociale. Inquesto senso: CAGNASSO, La società semplice, Tratt. di Dir. Civ., Utet, 1998, pag. 269.

(16) La Suprema Corte già con la antica decisione del 21.7.1981 n. 4683, in RFI,1981, Società, 328 aveva stabilito: ”L’impossibilità di conseguire l’oggetto sociale può co-stituire causa legittima di scioglimento della società (ex art. 2272 cc.n. 2) quando riveste icaratteri della assolutezza e definitività tali da rendere inutile ed improduttiva la permanen-za del vincolo sociale; l’accertamento in concreto, di tali caratteri, cui consegue la dissolu-zione del rapporto sociale, si risolve in un giudizio di fatto che è istituzionalmente riserva-to al giudice di merito.

(17) Il motivo di impossibilità deve necessariamente essere sopravvenuto poichéladdove si trattasse di una impossibilità di carattere originario non si rientrerebbe più nellafattispecie dell’art. 2272 c.c., bensì nella diversa ipotesi di cause di invalidità del contrattointendendosi nella specie il contratto sociale. Si verificherebbe una ipotesi di nullità dellostesso che comporterebbe, quale conseguenza anche in quel caso, lo scioglimento della so-cietà ma per ragioni del tutto differenti strettamente connesse al contratto. In tal senso:COTTINO, Diritto commerciale, I, 2, 241; MONTAGNANI, op. cit. 72 e ss.

(18) Cass. 6.4.1991 n. 3602, Giur.comm, 1992, II, 384; Cass. 28.8.1952 n. 2783,DF, 1952, II, 488; Trib. Catania 11.5.1973, G. Comm. 74, II, 314; App. Firenze 29.4.1949,G.It., 1949, I, 2, 559.

(19) BALESTRA-DE ROSA-GRADASSI-MARIANI , La s.n.c.Utet, 2004, pag.456(20) Tra le cause di impossibilità interne individuate dalla dottrina (GHIDINI , Società

personali, 789; DI SABATO, op. cit. 159 e ss.; MAFFEI-ALBERTI, Commentario breve al Dirittodelle società, Cedam, 2007, 73): il venir meno della base personale, patrimoniale o finan-ziaria indispensabili per l’attività sociale, per il venir meno del bene sociale nei casi in cuilo stesso sia essenziale ai fini del conseguimento dello scopo, per l’esistenza di perdite in-genti. Ed in giurisprudenza anche le peculiari ipotesi di impossibilità interna dell’oggettosociale per venir meno della partecipazione del socio considerata essenziale (Cass.22.10.70 n. 2099, per l’impossibilità di ottenere finanziamenti (Cass. 1975 n. 879).

(21) MONTAGNANI, op. cit. pag. 18 e ss.; DI SABATO, op. cit.

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tale ultima categoria rientrano tutte quelle ipotesi in cui, per fatto-ri congiunturali, o comunque esterni alla compagine e realtà so-cietaria, l’oggetto sociale sia praticamente non conseguibile, attra-verso cause di impossibilità interne alla società.

Occorre infine sottolineare un ulteriore carattere del dissidio,oltre alla insanabilità, che si traduce nella paralisi della vita socie-taria, puntualizzato dalla dottrina maggioritaria (22), e cioè la tota-litarietà: Il dissidio in sostanza deve tradursi in una situazione dicontrasto fra tutti i soci (23) della compagine sociale,o comunquetra il maggior numero di essi (24). Ciò, in quanto, nella diversaipotesi in cui la contrapposizione, le impossibilità di dialogare ri-guardino un socio ed il resto della compagine sociale, la situazio-ne sostanziale e giuridica è radicalmente diversa: il conflitto delsingolo infatti (salvo che egli non abbia una posizione maggiorita-ria nella composizione del capitale sociale) difficilmente può cau-sare la paralisi irreversibile e la impossibilità di perseguimentodello scopo sociale. Si innestano piuttosto qui diverse problemati-che che principalmente pongono esigenze di raccordo con la nor-mativa di cui agli artt.2286 cc. ss. (25). In sostanza la posizione didissenso del singolo socio comporterà il diverso effetto dello scio-glimento non del rapporto sociale nella sua globalità, ma del sin-golo rapporto, senza coinvolgere la società che continuerà ad ope-rare (26). In altri termini, nel caso in cui il dissidio sia imputabile

(22) BALESTRA-DE ROSA-GRADASSI-MARIANI , op.cit., pag.458. (23)BOLAFFI, La società semplice, 443. In giurisprudenza: Cass. 13.1.1987 n. 134;

Cass. 15.7.1996 n. 6410; App. Milano, 15.11.1996, Soc., 1997, 552.(24) Parte della dottrina ritiene che lo stallo decisionale tale da creare una situazione

di paralisi possa verificarsi anche nel caso in cui vi sia una situazione di contrapposizionetra due soci o due gruppi di soci che determini un totale bilanciamento nei voti espressi daciascuno o da ciascun gruppo, rendendo impossibile la formazione della volontà sociale. Intal senso in dottrina: BAZZANO-DABORMIDA-MORINI, Società semplice e in nome collettivo,Utet 1994, 55. Contra: COTTINO, Diritto commerciale, I, 2, 239. In giurisprudenza: App.Milano 5.1.1948 in Foro It., 1948, I, 944.

(25) CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 2, 118 ha sottolineato lo stretto rapporto trail dissidio tra i soci la totale e definitiva paralisi dell’attività sociale, rilevando che qualoraquesta non presenti tali connotazioni ma sia imputabile ad uno di essi, dovrà procedersiall’esclusione e non allo scioglimento; CAGNASSO, La società semplice, Tratt. di Dir. Civ.,Utet, 1998, 270.

(26) Tipica è l’ipotesi ricorrente nella pratica ed oggetto di numerose pronunce giu-risprudenziali nella quale richiesto lo scioglimento giudiziale della società da uno dei soci

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ad uno o ad alcuni soci in particolare, tale situazione porterà alloscioglimento del rapporto limitatamente al socio o soci dissen-zienti, senza scioglimento del rapporto sociale.

c) L’evoluzione giurisprudenziale.

Numerosissime sono le decisioni giurisprudenziali in materiadi dissidio che hanno valutato, in relazione alle peculiarità delle si-tuazioni concrete, l’incidenza e insanabilità del conflitto, in linea dimassima ritenuto sussistente in tutte le ipotesi in cui i contrasti ri-guardino l’osservanza e applicazione delle disposizioni del contrat-to sociale; ad esempio, nel caso di contrasti per la nomina dell’am-ministratore o del soggetto deputato ad amministrare in luogo diquello revocato (27); nella mancata partecipazione, nell’ipotesi disocietà con due soli soci, di uno dei due (il che è stato ritenuto pra-ticamente incompatibile con la natura stessa del vincolo societa-rio); nonché nella promozione da parte di alcuni dei soci di conti-nue liti giudiziarie (28); nella concreta impossibilità proprio per laposizione contrapposta dei soci, di formare la volontà sociale (29)nella gestione dell’attività comune (30), nella impugnativa persi-stente delle delibere di approvazione dei bilanci (31), etc..

per dissidio interno poiché, come detto autonomo dalla valutazione di eventuali responsa-bilità, qualora tale dissidio derivi da costanti violazioni dello statuto o del contratto socialeda parte del socio richiedente o da cause esclusivamente riconducibili a quel socio, il socioconvenuto, costituendosi può chiedere le scioglimento del rapporto sociale esclusivamentecon riferimento all’attore chiedendone l’esclusione (Cass. 83 n. 3779; Cass. 1996 n. 6410)

(27) Trib. Ascoli Piceno 14.6.88, in Soc., 1988, 1256; Trib. Reggio Emi-lia17.11.1983, Soc. 1984, 681.

(28) In questo senso: Cass. 14.2.1984 n. 1122.(29) Cass. 1996 n. 6410; Cass. 1984 n. 1122; Cass. 1983 n. 3779, nello stesso senso

anche la giurisprudenza di merito: Trib. Napoli 26.3.2003 in Giurisprudenza di merito2003, 1099; Trib. Roma 21.1.1985, Società, 85, 1180.

(30) GRECO, Le società nel sistema legislativo italiano, 381, GHIAINI , Le società per-sonali, 790; GALGANO, Le società di persone, 1985, 288; DI SABATO, Manuale delle società,15 e ss.

(31) Si tratta del fenomeno denominato dalla prassi “impugnativa a catena”, ricon-ducibile al principio di continuità dei bilanci per cui il bilancio successivo che si riferiscead altro precedente invalidato, è invalido pure esso per invalidità derivata. Tale principio èpacifico in giurisprudenza : Cass. 14.12.1982 n. 6943 la cui massima è del seguente teno-re:”il logico e necessario collegamento esistente tra i bilanci di esercizio permette di di-chiarare la nullità dei bilanci successivi a quello viziato, senza “(addirittura!)”che quest’ul-timo venga autonomamente impugnato“. E tale “nullità può essere dichiarata di ufficio una

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Con particolare, complessivo riguardo all’attività giurispru-denziale, è possibile individuare nella evoluzione di cui parliamo,di quattro momenti salienti dal Codice del 1942 in avanti, signifi-cativi mutamenti di decisioni e di orientamenti, taluni dei qualiapparentemente consolidati.

1. - Un primo momento può individuarsi proprio nella faseimmediatamente successiva all’entrata in vigore del Codice Civiledel 1942, in cui la giurisprudenza ha seguito la dottrina, nella ri-cerca di individuare ed isolare requisiti eclatanti, indicativi obiet-tivamente del dissidio o nella verifica della perdita dell’intero pa-trimonio, quali ipotesi di impossibilità di continuazione dell’atti-vità societaria (32) .

2. - Nella seconda fase si è assistito ad un superamento sulpiano pratico dei principi dottrinali consolidati in materia, con al-cune decisioni che hanno applicato in maniera estensiva la dispo-sizione dell’art. 2272 c.c. n. 2 ammettendo con larghezza che, ve-nuto a mancare l’accordo tra i soci, si verificasse lo scioglimentoper impossibilità sopravvenuta dell’oggetto (33). La giurispruden-za, con orientamento largheggiante, ha ritenuto sussistente un dis-sidio insanabile ogni qualvolta risultava la impossibilità di rag-

volta che non risulti violato il principio della domanda”, sicchè resta irrilevante (persino)“che la questione di nullità della delibera non sia stata prospettata nei gradi di merito”(Cass. 2.9.2004 n. 17678, pag. 4 motiv. e, da ultimo, Cass. 2004 n. 8204 nello stesso sen-so: Trib. Napoli, 5.4.2002 in Soc. 2004, 1418).

(32) Cass. 19.06.1947 n. 972; Cass. 31.7.1947 n. 131; Cass. 11.8.1947 n. 1483.(33) Cass. 10.3.1975, n. 879, più di recente altre decisioni che affermano un princi-

pio di elasticità, ritenendo integrata la casa di scioglimento oggetto di indagine in tutte leipotesi in cui il conflitto tra i soci determini non la impossibilità dell’oggetto, bensì unsemplice limite, un ostacolo al raggiungimento dello scopo sociale: Cass. 10.3.75 n. 879;Cass. 14.2.1984 n. 1122.

Nello stesso periodo non sono però mancate posizioni divergenti che hanno sottoli-neato l’importanza della società e della prosecuzione della relativa attività in un’ottica con-servativa dell’impresa: CAMPOBASSO, Diritto Commerciale. Diritto delle società, Torino,1999, 117; MONTAGNANI, op. cit, 80, che ha affermato la posizione di sussidiarietà delloscioglimento del contratto sociale rispetto ad altre soluzioni per il superamento di situazio-ni patologiche.

Anche la giurisprudenza ha manifestato posizioni divergenti da quelle di cui allesentenze sopra riportate, nelle quali si è invece sostenuta la non automaticità dello sciogli-mento del vincolo sociale in caso di contrasti e l’esigenza di accertare la causa ed eventua-le imputabilità degli stessi: Tr. Trani, 25.07.1978; Trib. Napoli 17.10.1986, in Giur.Comm. 1988, II, 654; Trib. Pavia, 15.12.1989, in Società,1990, 348

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giungere una volontà comune, ovvero in tutti i casi in cui era im-pedito il processo decisionale comune. Le decisioni di quell’epo-ca presentavano tuttavia due aspetti che a noi sembrano non con-divisibili: in primo luogo, qualora vi fosse coesistenza nel mede-simo giudizio tra domanda di scioglimento per dissidio e doman-da di esclusione, la causa veniva decisa sulla base dell’anterioritàdella domanda proposta, quindi prevalentemente per lo sciogli-mento; in secondo luogo non si procedeva alla verifica ed all’in-dagine sulla eventuale imputabilità del dissidio (tranne che nonsussistesse una ragione esterna oggettiva di impossibilità di con-seguimento dello scopo). A fronte di una domanda di scioglimen-to della società, rimaneva del tutto priva di rilievo giuridico la cir-costanza che magari all’interno della compagine il dissidio, laconflittualità, fosse originata da un unico o da pochi soci.

3. - Nella c.d. terza fase, a questa interpretazione assai lar-gheggiante dell’art. 2272 n. 2 c.c., si è contrapposta una opinioneminoritaria che ha tentato di connotare il dissidio collegandone lanozione all’obbligo di collaborazione che dovrebbe connotare irapporti tra soci (34). Il dissidio diventerebbe così determinante aifini dello scioglimento solo qualora la condotta del socio o dei so-ci fosse apertamente in violazione di tale obbligo. Questa opinio-ne è stata oggetto di diverse censure, rilevandosi che le norme co-dicistiche individuano ma nello stesso tempo limitano, gli obbli-ghi del socio della società di persone, né valutazioni e interpreta-zioni estensive o sistematiche potevano identificare obblighi ulte-riori di collaborazione che a contrario potessero determinare laconfigurabilità di un dissidio. Criticamente si è infatti rilevatoche, così facendo, si giungerebbe a sanzionare la inerzia di un so-cio, anche se la stessa non costituisca violazione di obblighi o di-vieti di legge, ma per il solo fatto di non avere collaborato.

4. - Nella quarta fase, il superamento di questa tesi si ebbegrazie ad una lenta rielaborazione segnata in particolare da due

(34) DAL MARTELLO, L’esclusione del socio, Padova, 1939, 93 e ss.. Più di recente:GALGANO, Società in generale.Società di persone.In Tratt. Cicu-Messineo, XVIII 1982,327; GUERRERA, voce “Società in nome collettivo”, in Enc. Dir., XLII, Milano, 1990, 938,secondo il quale la regola della buona fede si concretizza nel dovere di collaborazione perla realizzazione dell’interesse sociale.

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sentenze : una decisione importante è quella della Cassazione del26 ottobre 1995 n. 11151, incentrata sul tema dell’abuso dellamaggioranza in sede assembleare. La decisione, attinente a so-cietà di capitali, ha recepito ed applicato il principio generale pro-prio di tutti i tipi di società, di inquadrare cioè la realtà societariain una concezione contrattualistica, a tutto tondo, oggi evidenziatae legittimata dalla recente riforma societaria (35). In questa otticasono stati quindi interpretati il contratto sociale posto alla basedella società, la sua esecuzione e l’attività sociale volta al rag-giungimento dello scopo, nonché tutti gli ulteriori aspetti proble-matici che tale orientamento ha avuto il merito di risolvere, su unpiano sostanziale e normativo, attraverso l’interpretazione e l’ap-plicazione dei principi estesi dal campo contrattuale e negoziale.

Questa decisione, frutto e fonte del dibattito dottrinale fino aquel momento causativo nonché di quello futuro, ha affermato inparticolare un principio contrattuale, quello della immanenza del-la buona fede (36) nella fase esecutiva del rapporto sociale, ovvero

(35) Introdotta sia sul piano sostanziale che processuale, con identificazione di unautonomo rito societario per tutte le questioni inerenti la società, dai decreti legislativi del17 gennaio 2003 nn. 5 e 6.

(36) Una distinzione fondamentale relativa alla nozione di buona fede in particolare,condivisa da larga parte della dottrina, è quella tra buona fede soggettiva e oggetti va (pertutti: BIGLIAZZI -GERI, voce “buona fede nel diritto civile”, in DigestoIV, UTET, 1988, pag.156 e ss): la prima, intesa (in relazione ai diritti reali e al possesso, quindi alla condotta delsoggetto rispetto al bene) come “ignoranza di ledere l’altrui diritto”, in base alla interpreta-zione anche meramente letterale dell’art 1147 c.c.. La seconda nozione, invece, di buonafede in senso oggettivo, attiene tipicamente ai rapporti obbligatori ed è fondata sugli arti-coli 1375, 1337, 1358, 1366, 1460 2° comma c.c.. Questo tipo di buona fede per la dottrinamaggioritaria, costituisce uno dei criteri fondamentali di determinazione della prestazione(BIANCA, Diritto Civile, vol. 4 L’obbligazione, pagg. 86 e ss. Giuffrè editore; sul punto an-che A. SCHERMI, op. cit.,pag. 5 evidenzia che l’art. 1375 c.c. cui del pari si richiama il ri-corrente, stabilisce che il contratto sociale deve essere eseguito secondo buona fede, vale adire con un impegno di cooperazione che impone a ciascuna parte di tenere quei comporta-menti che, a prescindere dagli obblighi espressamente assunti con il contratto, siano idoneia soddisfare le legittime aspettative dell’altra parte (Cass. 9 marzo 1991 n. 2053), consi-stendo in “un complesso di doveri o di obblighi variamente destinati ad arricchire il conte-nuto del contratto o, comunque, ad allargare lo spettro dell’obbligazione” (BIGLIAZZI -GERI,op. cit., pag. 170). Essa comprende, in sostanza, un complesso di obblighi che, sebbenenon espressamente contenuti nel contratto, quindi non esplicitamente valutati, risultano in-dispensabili per l’attuazione e l’esecuzione del rapporto obbligatorio e sono connessi allaprestazione principale. Poiché d’altra parte la buona fede, definita anche come “clausolagenerale” è rilevante l’opinione del PREITE, L’abuso di maggioranza e conflitto di interessi,

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in tutte quelle attività poste in essere (37) dai soci che devono con-durre al perseguimento e alla realizzazione non già di un interessepersonale ma di quello comune.

Risultano dunque chiari i passaggi della costruzione giuridi-ca di cui abbiamo fin qui discusso: contratto sociale-esecuzionedel contratto-cooperazione per l’interesse sociale- buona fede-per-seguimento dell’oggetto sociale.

È evidente che ognuna di tali fasi può presentare ipotesi pa-tologiche, ma la connessione buona fede-esecuzione-oggetto so-ciale fa sì che, ogni qualvolta la buona fede venga violata nel suocontenuto omissivo (che parte della dottrina identifica nella “cor-rettezza”), traducendosi in un comportamento commissivo negati-vo di conflitto, di scontro ed incomunicabilità, si crea il dissidio.

in Trattato delle società per azioni, Portale e Colombo, III, T. 2, Torino 1993, pag. 75: “Lapeculiarità della disciplina del contratto sociale, d in particolare, il suo dar luogo ad unapersona giuridica, consentono di affermare poi che tali norme sono imputabili sia ai sociche alla società, ove la deliberazione sia assunta col voto determinate di soci che le abbia-no violate, e altresì di affermare che la loro violazione da luogo insieme alla annullabilitàdelle deliberazioni e all’obbligo di risarcimento danni a carico sia della società che dei socidi maggioranza” di integrazione del rapporto obbligatorio, include obblighi anche nonesplicitati ma integrativi e determinativi della prestazione(BIANCA, op. cit.,pag. 86 e ss.),essa rappresenta un criterio oggettivo di valutazione di un fatto e/o di un comportamentodelle parti.Nel richiamare brevemente tali concetti propri del rapporto contrattuale e dellacondotta dei contraenti, non può non considerarsi il qui accennato concetto di “correttez-za”.Va tuttavia ricordato che per alcuni autori, la nozione di buona fede oggettiva ricom-prenderebbe anche la “correttezza” nell’esecuzione del rapporto plurisoggettivo; per altri,si tratterebbe invece di due concetti del tutto equivalenti (Per la identità dei concetti: BIAN-CA, op. cit.,pag. 86; la differenza di contenuti è invece sostenuta da BEITI, Teoria generaledelle obbligazioni.I, Milano, 65). Secondo altra posizione la buona fede (oggettiva) e lacorrettezza devono invece essere tenute distinte in base al contenuto da attribuirsi rispetti-vamente. Alla correttezza deve infatti riconoscersi un contenuto puramente negativo, nelsenso che devono farsi rientrare in tale nozione specificatamente i doveri di carattere nega-tivo, ovvero di astensione da un dato comportamento (artt. 1175 e 1337 c.c.) (BEITI, Teoriacentrale delle obbligazioni.I, Milano 1953, 63; BESSONE, Rapporto precontrattuale e dove-ri di correttezza, Riv. Trim. Dir. Prov. Civ. 1972, 962.).Per converso nella buona fede og-gettiva, devono farsi rientrare tutti i doveri di contenuto positivo ai fini dell’esecuzionedell’obbligazione. Corollari del principio di solidarietà sono gli obblighi di lealtà e salva-guardia, che devono essere posti a base della condotta di ciascun contraente

(37) La dottrina ha ritenuto che nelle società di persone la buona fede può conside-rarsi oltre che di portata commissiva, anche di contenuto omissivo consistente cioènell’obbligo di ogni socio di non ostacolare le attività lecite per il raggiungimento dell’og-getto sociale, tra gli autori: PERRINO, Le tecniche di esclusione del socio dalla società, Mila-no, 1997, 59 e ss.

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Qualora tale dissidio assuma le connotazioni dell’insanabilità,comporterà la paralisi della società ed all’impossibilità di conse-guimento dell’oggetto sociale, così concretizzando la fattispeciedi cui all’ art. 2272 n. 2 c.c.

La portata innovativa della decisione richiamata è notevolissi-ma su un piano interpretativo e applicativo poiché la nozione dibuona fede con riferimento al dissidio ha portato la giurisprudenzaa valutare, di volta in volta, in concreto l’entità della condotta delsingolo socio e verificare in sostanza se la condotta commissiva diconflitto integri l’esercizio di un diritto (per es. ripetute azioni giu-diziarie per contrastare l’attività illegittima dei soci di maggioran-za) o sia invece gravemente inadempiente perché contraria al con-tratto sociale, alle norme vigenti agli obblighi di buona fede e cor-rettezza e legittimi, per ciò, invece l’esclusione del socio.

L’altra importante decisione in materia di scioglimento è del-la Corte di Cassazione, 15 luglio 1996 n. 6410, che oltre ad espri-mere valutazioni su un piano giuridico ed interpretativo, ha ancheuna notevole portata innovativa sotto il profilo processuale. Ladecisione ha infatti: ribaltato il precedente orientamento, fondatosul principio di anteriorità in caso di coesistenza delle due azionidi scioglimento, che aveva portato attraverso questo criterio aset-tico e privo di qualunque riscontro col dato reale della causa deldissidio, ad una molteplicità di decisioni di scioglimento societa-rio per impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale; ed haescluso il dissidio insanabile se il conflitto è addebitabile ad unsingolo socio, dovendosi ricorrere al rimedio dell’esclusione; hainfine ammesso lo scioglimento del contratto sociale solo allor-quando l’andamento negativo dell’impresa renda obiettivamenteinutile la permanenza del vincolo associativo.

3. Osservazioni conclusive

Da questa panoramica di insieme che abbiamo tentato, dellaevoluzione normativa, giurisprudenziale e dottrinale sul dissidio, neisuoi tratti fondamentali, a far data dal 1942, si sembra opportunotrarre qualche conclusione su due aspetti di teoria generale che ci ap-paiono fondamentali in base alle esperienze giuridiche raccolte.

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l) Di fronte alle esigenze della pratica la costruzione del dis-sidio fra i soci come causa di scioglimento della società apparequale frutto dell’immaginazione controllata (38) della dottrina, cheha utilizzato, di contro alle ristrettezze del diritto positivo, rappre-sentate dal silenzio sull’istituto, ma con una formula generica,av-valendosi di un metodo induttivo e ricorrendo alla interpretazionesistematica, si è affidata a tre standards legislativi (39):il principiodella buona fede, quello della fiducia cum amico (40),e dell’abusodella maggioranza (41), applicati alla materia societaria.

2) Non è sfuggito alla dottrina e alla giurisprudenza il cam-biamento, solo apparentemente terminologico contenutonell’art.2272, n. del codice vigente che ha parlato di “oggetto” edi impossibilità di conseguirlo in luogo di”scopo”, termine pre-sente, come rilevato nel testo precedente. La differenza non è, co-me abbiamo accennato, meramente terminologica, ma coinvolgela problematica concettuale dei rapporti tra oggetto e causa (42)nell’attività.

Il mutamento del termine dell’originario codice del commer-cio del 1865 ha portato a controversia dottrinale che non può dirsial momento del tutto chiara, perché coinvolgente non solo la dif-ferenza fra atto e attività (43), ma anche la nozione di causa dellasocietà (44), che nel nesso con la nozione più generale di attività,

(38) Cfr PANUCCIO V., La fantasia nel diritto, Milano, 1984, pag. 130 e ss.; sui con-trolli della fantasia v. pure dello stesso A., Il ruolo della fantasia nella interpretazione giu-ridica, in Studi in onore di P. Rescigno, 1998, pag. 607-622.

(39) PANUCCIO V., Applicazioni giurisprudenziali degli standards valutativi, in Giust.Civ., 2000, pagg. 85-94

(40) Si tratta evidentemente di fiducia cum amicosulla cui evoluzione concettualeresta fondamentale lo scritto di PUGLIATTI S., Fiducia e responsabilità indiretta, in Saggi diDiritto civile, Milano, Giuffrè, 1951 pagg. 226 e ss.

(41) Ci sia consentito richiamare il nostro saggio: Società per azioni, l’abuso e la tu-tela delle minoranze nelle delibere di aumento di capitale, in In Iure Praesentia, 2006, n.1, pagg. 2 e ss.

(42) Per le differenze fra la nozione di oggetto e causa e per il suggerimento di sop-primere il concetto di causa nel passaggio dal vecchio al nuovo codice, cfr. PANUCCIO V.,Per una teoria della causa del negozio in Studi in onore di A. Asquini,, Padova, 1965,pagg. 1302 e ss. ove è ricordata l’opinione in proposito di Rosario Nicolò.

(43) Su tali differenze, cfr. PANUCCIO V., Teoria giuridica dell’impresa, Milano,1974, pag. 97 e ss.

(44) Sulla causa della società cfr. PANUCCIO V., Precisazioni in tema di causa dellasocietà, in Vita Notarile, n. 13, 1993, pag. 9 e ss.

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concerne l’elemento teleologico, sinonimo della causa del singoloatto o del negozio comportando, senza scendere in ulteriori detta-gli, la interpretazione dell’espressione legislativa “impossibilità diconseguire l’oggetto sociale” di cui al codice vigente nei terminiseguenti. Il concetto di oggetto sociale va tradotto e inteso comeelemento teleologico dell’attività sociale e cioè come realizzazio-ne dell’interesse programmato, risultato cui tende il contratto, nel-la doppia configurazione di causa generica (cioè di creazione diun organismo) e di causa variabile, fissata dal contratto stesso(45). Queste argomentazioni danno la chiave per intendere fundi-tus la differenza fra impossibilità della prestazione relativamenteall’atto singolo e all’attività, che la dottrina e la giurisprudenzahanno rilevato (46) senza tuttavia il necessario impianto più gene-rale dei rapporti tra oggetto e causa, e quello più specificonell’ambito societario.

In sostanza, se vi è impossibilità per cause esterne o internedi conseguire il risultato, o, in altre parole, di realizzare l’interesseprogrammato fissato nel contratto sociale, nel doppio aspetto ge-nerico e specifico, deve concludersi che si è realizzata la fattispe-cie prevista dall’art. 2272 n. 2 cc.

(45) Sulle nozioni di causa generica e variabile già contenute nel lavoro del PANUC-CIO V., La cessione volontaria dei crediti nella teoria del trasferimento, Milano, 1955 sivedano ora gli approfondimenti e le applicazioni negli scritti dell’Autore: Bilancio e pro-spettive di un’idea (causa generica e causa variabile),parte I, in In Iure Praesentia, 1993,pagg. 35 e ss. e In Iure Praesentia, 1994, pag. 115 e ss.parte II.

(46) È questo un ulteriore effetto della differenza di disciplina tra atto singolo ed at-tività, che si aggiunge alle altre differenze esposte in PANUCCIO V., Teoria giuridicadell’impresa, Milano, 1974, e che valgono a fondare la categoria giuridica dell’attività, di-stinta nella struttura e nella funzione dall’atto singolo. Questa giustificazione teorica dà ra-gione, su piano generale, del perché la prassi in materia ha ritenuto ostacoli superabili icontrasti che riguardano scelte specifiche di politica aziendale (lavorazioni in stabilimentoo all’esterno, acquisto o meno di nuovi macchinari), senza incidere sulla realizzazione deifini della società, così anche la mancata approvazione dei bilanci (ovviamente purchè nonsi tratti di perdurante continua approvazione di bilanci falsi) o il fatto che i soci si accusinovicendevolmente per gravi irregolarità negli atti singoli, o ancora l’esercizio del diritto diveto per tali atti, salvo sempre l’ipotesi in cui tutto ciò sia attuato con rituale sistematicità,e quindi per tale verso, incida sull’attività nel complesso (Cass. 10 aprile 1969 n. 1155;App. Milano 19 giugno 1951 in Foro it., 1951, I, 1233; Cass. 10 marzo 1975 n. 879, pub-bl. per l’interessante fattispecie dell’esercizio del diritto di veto in Giur. Comm., 1975, II,584; in Giur. It. 1975, I, 1, 1442 e in Giust. Civ., 1975, I, 1340.

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4. Impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale nelle so-cietà di persone con due soci

Problematica particolare suscita l’impossibilità di conseguirelo scopo nelle società bipersonali. È caso frequente nella praticache la compagine sociale delle società di persone sia spesso di en-tità limitata, comprendente un numero esiguo di soci, il più dellevolte nel numero di due. Questa situazione, molto comune nellarealtà, ha determinato non pochi problemi teorici e pratici, soprat-tutto di coordinamento con l’istituto dello scioglimento dell’enteper impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale.

La prospettabilità di un dissidio insanabile tra i due soci cheda soli compongano la base personale della società, quale causa discioglimento per impossibilità di conseguire l’oggetto sociale, nelcaso in cui tale dissidio presenti i caratteri della insanabilità tale dadeterminare la richiamata paralisi dell’intera attività sociale (47), sipresenta di particolare gravità quando i due soci abbiano ugualepartecipazione nella società.

È evidente che la posizione identica e paritaria, ma contrap-posta, è particolarmente idonea a creare una condizione di stallototale ed irrimediabile nella vita della società (48). La dottrina(non così la giurisprudenza) ha ritenuto parificabile, nella identitàdi situazione e di effetti, l’ipotesi in cui all’interno della societàesiste una pluralità di soci, ma suddivisa in “due blocchi” contrap-posti di uguale consistenza (49), che rendono comunque impossi-bile la formazione di una volontà sociale o comunque il consegui-mento del fine sociale.

Ovviamente anche con riferimento a questo tipo di società,

(47) Cass. 2.6.1983 n. 3779; Trib. Roma 28.11.1994; Cass. 14.11.1989 n. 4857;Trib. Biella 8.11.2006

(48) Trib. Milano 18.1.2006 n. 626 ha ritenuto sussistere dissidio rilevante ai finidello scioglimento quello verificatosi nell’ambito di una società in nome collettivo ove unosolo dei due soci è il finanziatore essendovi una situazione di confusione tra il suo patri-monio e quello societario.

(49) LUBRANO, Insanabile dissidio tra soci di società di persone, prevalenza delloscioglimento del vincolo particolare e modalità di liquidazione della quota, in Giur.Comm.2000, 868 e ss..; BAZZANO-DABORMIDA-MORINI, Le società. Società semplice e in no-me collettivo, Utet 1994, 55.

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occorre verificare la definitività del dissidio, le conseguenze sullavita della società e soprattutto la possibilità di un eventuale supe-ramento dello stesso (50).

Come riconosciuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza, nonmancano in pratica strumenti alternativi introdotti negli statuti,per superare o evitare ab origine i conflitti o comunque scongiura-re le conseguenze e le lungaggini di un procedimento giudiziariodi scioglimento per impossibilità di conseguire l’oggetto sociale.

Per aggirare l’effetto paralizzante del dissidio, vengono spes-so previsti meccanismi per dire così, “agevolati”, per consentirein modo più immediato lo scioglimento del rapporto sociale limi-tatamente al socio che crea, all’interno della bipersonale, la situa-zione di conflitto: o ricorrendo all’intervento di arbitri per l’esclu-sione, senza attivare il procedimento ex art. 2287 c.c. ultimo com-ma; oppure modificando il sistema di computo delle maggioranze,ovvero non più per capi come espressamente previsto dall’art.2287 c.c., bensì a maggioranza di capitale.

Il primo eventuale rimedio al dissidio non suscita alcun par-ticolare problema per la generale ammissibilità della compromet-tibilità in arbitri delle questioni societarie anche in una società bi-personale (51); non netta e pacifica è invece la soluzione rispettoal secondo rimedio. Parte della dottrina ha infatti ritenuto che darerilevanza, attraverso la clausola statutaria, alle maggioranze di ca-pitale è sistema che connota le società capitalistiche, certamentesnaturando la diversa natura personale e l’intuitus personae stes-so, proprio di tale tipologia sociale (52). La giurisprudenza non ha

(50) Cass. 14.2.1884 n. 1122:”In una società di due soci, quando il dissidio risultainsanabile e si riflette sulla gestione al punto da rendere impossibile il conseguimentodell’oggetto sociale, si verifica ex art. 2272 n. 2 non un motivo di recesso del socio, bensìun caso di scioglimento della società indipendentemente dall’imputabilità all’uno o all’al-tro socio”

(51) RUBINO-SAMMARTINO , Il diritto dell’arbitrato (interno), Padova, 1994, 131;SCHIZZEROTTO, Dell’arbitrato, Milano, 1988, 101; LUBRANO, op. cit., 868 e ss. In giurispru-denza: tra le prime decisioni Cass. 28.3.1969 n. 1011; Cass. 3.8.1998 n. 4814. Contraria:Trib. Como 4.8.1998, in Società, 1999, 200.

(52) LUBRANO, op. cit., 868 e ss.. In senso favorevole: GALGANO, Società in generale.Società di persone, p. 327; AULETTA, Deroghe contrattuali alla disciplina dell’esclusionenelle società di persone, II, in Annali del seminario giuridico dell’Università di Catania,III, nuova serie, Napoli, 1949, 277 e ss.

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invece affrontato in maniera specifica la questione, tuttavia sem-bra esistere un orientamento per l’interpretazione tradizionale del-la norma, quale unico rimedio “alternativo” e prevalente sulloscioglimento per dissidio (53).

Certamente, a parere di chi scrive, l’introduzione a livellostatutario dei suddetti rimedi, se da un lato potrebbe consentire inlinea con i principi normativi in materia, la conservazione dellastruttura societaria e della società stessa, dall’altro contribuisce esi presta, anche in considerazione della ridotta portata normativain materia di società di persone e di società, bipersonali, a tutelaresituazioni nelle quali lo scioglimento rappresenterebbe l’unica so-luzione di buon senso, diversamente legittimando posizioni diprevaricazione e di illiceità del socio inadempiente.

5. Scioglimento ed esclusione nelle società bipersonali

Il problema dell’imputabilità del dissidio assume particolarerilievo nella società con due soci. La riferibilità della causa del con-flitto ad uno solo dei due componenti solleva in questa ipotesi alcu-ne rilevanti questioni connesse al collegamento dell’art. 2272 n. 2c.c., con gli artt. 2287 u.c., c.c. e 2272 c.c. n. 4, rendendo necessariaqualche precisazione circa i rapporti tra la impossibilità di realizza-re il risultato dell’attività e l’esclusione del socio rissoso.

In sostanza, la ridotta composizione personale della societàpone in un particolare rapporto le tre norme richiamate, in quantoprovoca l’innescarsi di meccanismi autonomi, e spesso incompa-tibili, con lo scioglimento. Ciò ha fatto dire ad una parte della dot-trina che nelle società di persone composte da due soci, “lo scio-glimento della società per insanabile dissidio tra gli stessi può es-sere pronunciato solo se non ricorrano i presupposti per la esclu-sione” (54), in quanto sarebbe preliminare decidere se escludere ono l’altro socio, e, in caso positivo, sarà applicabile l’art. 2272 n.

(53) Trib. Roma, 10.3.1997, in Impresa, 1997, 701; Trib. Napoli 17.7.1996, in So-cietà, 1997, 200.

(54) MAFFEI ALBERTI, op. cit., 73

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4 c.c., che consente entro sei mesi la eventuale ricostituzione dellacompagine societaria. Per ciò si suole dire che i presupposti per loscioglimento si accrescono in questa ipotesi, rispetto a quelli con-sueti, della mancata ricostituzione della compagine nei sei mesidalla esclusione .

Insomma, promossa l’azione di scioglimento da uno dei duesoci, se il convenuto eccepisca che la causa del dissidio sia impu-tabile in via esclusiva all’altro socio, paralizzando così l’azioneiniziale di scioglimento, nella coesistenza delle due azioni, preva-le quella di esclusione (55).

Nella sostanza, il socio si viene a trovare nella situazione diessere rimasto all’interno della società, ma di dovere ricostituire laintegrità della compagine sociale entro il termine dei sei mesi; incaso contrario, si verificherà lo scioglimento della società. Ma nongià per impossibilità di conseguire l’oggetto sociale, bensì sulla ba-se di quanto stabilito dalla norma da ultimo richiamata. A tale pro-posito la giurisprudenza ha ulteriormente aggravato le conseguenzepratiche di questa soluzione, specie con riguardo alla incertezza edai ritardi, avendo stabilito che, essendo la sentenza di esclusione dinatura costitutiva, il termine dei sei mesi per scongiurare il verifi-carsi della causa di scioglimento decorrerà solo dal passaggio ingiudicato della sentenza ed il mancato assolvimento dell’onere diricostituzione della compagine solo da quella data potrà importarelo scioglimento della società con effetto ex nunc(56), con quali con-seguenze sulla vita dell’ente, è facile immaginare.

Una posizione parzialmente difforme, è stata assunta dallapiù recente giurisprudenza (57), la quale ha rilevato che nel caso

(55) Cass. 2.6.1983 n. 3779:”In una società di persone composta da due soli soci,quando il dissidio fra gli stessi risulti insanabile e si riflette sulla gestione dell’impresa alpunto da rendere impossibile il conseguimento dell’oggetto sociale, si verifica, ai sensidell’art. 2272 n. 2, c.c., non un motivo di recesso del socio, bensì una causa di scioglimentodella società; la relativa declaratoria può essere domandata in giudizio da ciascuno dei soci,indipendentemente dalla sua eventuale responsabilità circa le cause del dissidio stesso, que-sto essendo rilevante, ai fini dello scioglimento, nella sua obiettività, salvo alla parte conve-nuta il potere di paralizzare la domanda di esclusione contro l’attore e dimostrando che lacausa del dissidio è imputabile esclusivamente a lui”. Cfr: Cass. 13.1.1987 n. 134.

(56) BALESTRA-DE ROSA-GRADASSI-MARIANI , La s.n.c., Utet 2004, 459. In giurispru-denza: Cass. 1974 n. 1278; Cass. 13.11.1987 n. 134.

(57) Cass. 2004 n. 18243.

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di dissidio tra i soci di una società di persone bipersonale, causatoda uno solo di essi, che si sia reso responsabile di gravi inadempi-menti agli obblighi contrattuali o ad altri doveri ed obblighi dilegge, al socio adempiente si prospettano due alternative: il pro-prio recesso per giusta causa, oppure l’esclusione del socio ina-dempiente. In sostanza secondo la SC il dissidio nella società didue soci “non può costituire causa di scioglimento della società aisensi dell’art. 2272 n. 2 c.c., giacché non è tale da rendere impos-sibile il conseguimento dell’oggetto sociale essendo eliminabileattraverso uno dei due rimedi predetti” (58). Secondo tale innova-tiva interpretazione ed applicazione offerta dalla Corte di Cassa-zione, nell’ipotesi di dissidio insanabile, ma imputabile ad uno deidue soci, non sarebbe mai configurabile scioglimento per impos-sibilità di conseguire l’oggetto sociale, perché difetterebbe unodei requisiti previsti ex lege: l’assolutezza e definitività ovvero lairreversibilità della situazione.

In sostanza, considerata la categoria dell’impossibilità di con-seguire l’oggetto sociale per inquadrare l’ipotesi del dissidio frasoci, quale soluzione limite, estrema per tutti quei casi in cui siauna situazione di paralisi, la prospettiva muta ove sussistano solu-zioni alternative prospettabili nella società di due soci di cui unosolo sia inadempiente: cioè il recesso per giusta causa o lo sciogli-mento del rapporto sociale limitatamente al socio responsabile.

Deve ritenersi, dunque, che la decisione in discorso ha certa-mente una portata innovativa, tuttavia, a parere di chi scrive, ri-sulta contraria e principi normativi generali in materia societaria,ed appare non sufficientemente consapevole delle conseguenze intermini di tempi e di incertezza. Infatti, se è vero che, in astratto,la legge offre al socio la possibilità di recedere per giusta causa, èpur vero che ciò può risultare violatore del proprio interesse, epersino penalizzante la posizione di quest’ultimo.

Vogliamo criticamente osservare che la decisione della SC,nel prevedere l’esercizio del diritto di recesso verrebbe a legittima-re una situazione paradossale e ingiusta, in cui il socio adempiente,che non è responsabile del conflitto, si trova costretto a lasciare la

(58) MAFFEI-ALBERTI, op. cit., 74.

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società nelle mani del socio resosi responsabile di inadempimenti eal quale va imputata la situazione di conflitto, dovendosi acconten-tare, se mai, di un risarcimento ipotetico del danno.

Situazione altrettanto censurabile e paradossale concernel’ipotesi della prospettabilità dello scioglimento nella ipotesi diuna società bipersonale che potremmo definire “di fatto”, ossia diquella compagine nella quale i soci sono più di due ma in concre-to esistono “due blocchi” contrapposti di interesse. Si verifica intal caso, una situazione sostanziale del tutto identica ad una so-cietà di due soci, nella quale è facilmente riscontrabile una parali-si del rapporto societario. Ma, se è indiscussa la possibilità di ap-plicazione dell’art. 2272 n. 2 c.c., la giurisprudenza è invece co-stante nel ritenere la inapplicabilità al caso in esame dell’art. 2287comma 3, c.c., ovvero lo scioglimento giudiziale limitatamente alsocio inadempiente del rapporto sociale ricorrendo al tribunale.Tale posizione assunta dalla giurisprudenza con decisione di oltreun decennio (59), pur avendo ritenuto rilevante sotto il profilo deldissidio e dello scioglimento la contrapposizione in “due bloc-chi”, tuttavia ha escluso l’applicazione al caso dell’art. 2287, co.3, c.c.. La sentenza ha posto a base della motivazione una inter-pretazione restrittiva dell’art. 2287 c.c. ultimo comma, qualificatacome norma eccezionale applicabile, appunto, solo all’ipotesidell’esclusione di società composta da due “soci” e non da due“blocchi” di soci, come letteralmente disposto ex lege (60).

Nel tempo non è mutato l’orientamento giurisprudenzialeche, anzi, in una recente decisione (61) riguardante una società tri-personale nella quale tuttavia non dovendosi computare il socio diminoranza da escludere in posizione contrapposta alla restante

(59) Cass. 1998 n. 153(60) Conforme: Cass. 19.9.2006 n. 20255 “In tema di società di persone, il ricorso

all’autorità giudiziaria per ottener la pronuncia di esclusione è ammissibile a normadell’art. 2287 comma 3 c.c., nel solo caso in cui la società sia composta soltanto da due so-ci…senza che assuma alcun rilievo la circostanza che all’interno della compagine socialesiano eventualmente configurabili due gruppi di interesse omogenei e tra loro contrapposti,e che l’esclusione sia in tal caso rivelarsi impossibile, in virtù del conflitto di interessi cheimpedisce di computare nella maggioranza il socio da escludere.”

(61) Cass. 19.9.2006 n. 20255; cfr: Cass. 22.12.2006 n. 27504 con riferimento aduna società in accomandita semplice.

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parte della compagine, finiva per divenire a tutti gli effetti una bi-personale (ove gli altri due soci rappresentavano l’altro “blocco”),ha ribadito il precedente orientamento.

La sentenza si è fondata non solo su una interpretazione let-terale dell’art. 2287 comma 3,c.c., ma sul principio in materia diformazione della maggioranza ai fini dell’esclusione, di impossi-bile formazione nel caso di una bipersonale “pura”. Posta la ratiodi tale previsione, che consente l’intervento del tribunale nel casodi bipersonale poiché sarebbe impossibile raggiungere una mag-gioranza, la sentenza ha ritenuto che, diversamente nella triperso-nale o nella società personale con più soci, possa formarsi unamaggioranza ai fini di esclusione del socio da escludere non com-putabile a tal fine.

Anche rispetto a tali conclusioni, la nostra posizione non puòche essere critica, poiché essa appare assolutamente distante dallarealtà, anzi totalmente astratta ed in contrasto con la tutela dellesituazioni giuridiche soggettive coinvolte nel gioco delle maggio-ranze. Poiché è di tutta evidenza che se, come nel caso oggettodella sentenza richiamata, esistono due blocchi di interessi, ed ilsocio da escludere non può votare ‘a sensi dell’art. 2287 c.c com-ma uno, la situazione è in tutto identica alla società bipersonalecon un socio da escludere: è solo un “soggetto”, un socio o grup-po di soci in posizione identica a votare, ed è quindi necessarioanche in caso di blocchi contrapposti, ricorrere all’Autorità giudi-ziaria. L’abnormità del ragionamento, restrittivo e formalistico,raggiunge il culmine quando la Corte indica il “rimedio” consen-tito al socio da escludere: il recesso per giusta causa. In pratica,poiché è sul piano strettamente pratico che tale situazione deveessere valutata, il socio da escludere, parte del blocco divenuto diminoranza, per la sua incompatibilità a votare ha il “diritto” di re-cedere dalla società magari dallo stesso creata.

Anche tale indirizzo appare piuttosto contrario ad una realetutela dei diritti del socio e piuttosto quando il dissidio in una so-cietà bipersonale o a blocchi contrapposti sia di entità insostenibi-le, lo scioglimento dell’intera compagine sociale dovrebbe inveceessere l’unica soluzione giuridica o comunque quella prevalentesuggerita anche dal buon senso e dalla equità.

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Finito di stamparenel mese di Settembre 2008presso Officina Grafica srl

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