Giovanni Cerino-Badone, L’esercito imperiale asburgico 1859-1866. Valutazione di un esercito...

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Giovanni Cerino-Badone, L’esercito imperiale asburgico 1859-1866. Valutazione di un esercito dall’esperienza del campo di battaglia", in G. NEMETH e A. PAPO (a cura di), Unità italiana e mondo adriatico-danubiano, Trieste 2012, pp. 253-286. Immagini e didascalie Fig. 1. Fanteria austriaca nella Guerra del 1866. Il cappotto grigio, utilizzato sopra la tunica bianca o direttamente sopra la

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Giovanni Cerino-Badone, L’esercito imperiale asburgico 1859-1866. Valutazione di un esercito dall’esperienza del campo di battaglia", in G. NEMETH e A. PAPO (a cura di), Unità italiana e mondo adriatico-danubiano, Trieste 2012, pp. 253-286.

Immagini e didascalie

Fig. 1. Fanteria austriaca nella Guerra del 1866. Il cappotto grigio, utilizzato sopra la tunica bianca o direttamente sopra la camicia, serviva a garantire un minimo di mimetizzazione per le truppe in campagna. Disegno di R. von Ottenfeld.

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Fig. 2. August Franz Johann Christoph Graf von Degenfeld-Schonburg (Nagykanizsa, 10 dicembre 1798 – Altmünster, 5 dicembre 1876). Fu ministro della guerra dell’impero austriaco dall’ottobre del 1860 al 1864. Durante il suo ministero furono ufficializzati il nuovo Exercitium del 1861 il quale, a sua volta, produsse l’Exercir-Reglement del 1862 ed il Regolamento di Manovra del 1863 in base ai quali l’esercito imperiale abbandonò la tradizione Stellungskrieg per una nuova Stosstaktik (tattica d’attacco).

Fig. 3. La dottrina di impiego austriaca secondo il “Regolamento di Manovra” del 1863. La fanteria di linea doveva formare colonne di battaglione, il più possibile compatte, allo scopo di ottenere la massa critica necessaria per lo sfondamento del fronte avversario che, nel frattempo, il tiro

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dell’artiglieria e della fanteria leggera doveva aver sufficientemente indebolito. Dal “Regolamento di Manovra” del 1863, Tav. XIV.

Fig. 4. Le colonne d’attacco austriache risultarono essere vulnerabili alla potenza di fuoco avversaria, specie nei confronti della fanteria prussiana armata con fucile a retrocarica Dreyse (Zündnadelgewehr M/41). Si riteneva che la massa dei battaglioni sarebbe stata comunque sufficiente ad assorbire le perdite e raggiungere e sfondare la linea avversaria. In questa immagine appare evidente quanto la massa delle colonne di fanteria fossero un bersaglio troppo vistoso per poter affrontare con successo il campo di battaglia della seconda metà del XIX secolo. Siegmund L'Allemand, Die Erstürmung des Königsberges bei Oberselk durch das k.u.k. 18. Jägerbataillon am 3. Februar 1864, Heeresgeschichtlichen Museum Wien.

Fig. 5. Battaglione italiano in colonna. Questa formazione tattica, ideata per gli attacchi alla baionetta previsti dalla dottrina di impiago del Regio Esercito Italino, risultavano essere bersagli troppo vistosi per la fanteria e le artiglierie avversarie.

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Fig. 6. L’attacco della Brigata Pisa alle alture del Monte Cricol, nel settore di Oliosi del campo di battaglia di Custoza, 24 giugno 1866. Le truppe italiane dovevano percorrere circa 500 metri dalla loro base di partenza sino alle pendici della collina. Negli ultimi 150 metri il versante meridionale del Cricol era così ripido da defilare la massa degli attaccanti. Le colonne di battaglione italiane riuscirono a prendere il controllo della cresta respingendo la Brigata Benko ma, trasformatesi in agglomerati di uomini più o meno disordinati, non poterono occupare l’intera cresta del Cricol, e vennero a concentrarsi in alcuni settori precisi, quali edifici rurali, o sulle quote più elevate del profilo del profilo collinare senza un piano preciso di difesa. (Foto Cerino-Badone).

Fig. 7. I trofei della vittoria: i 14 pezzi campali catturati all’esercito italiano al termine della Battaglia di Custoza. Questi cannoni, presi in vari settori del campo di battaglia, sono il simbolo della vittoria austriaca sul fronte italiano e dimostrano quanto le dottrine di impiego dell’esercito imperiali fossero adatte per quel teatro di operazioni. (Foto Cerino-Badone).

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Fig. 8. Helmuth Karl Bernhard von Moltke (Parchim, 26 ottobre 1800 – Berlino, 24 aprile 1891). Helmuth von Moltke, per la guerra contro l’Austria pianificò una Blitzkrieg in piena regola, allo scopo di colpire la Confederazione Germanica e le forze austriache prima che la mobilitazione dei reparti fosse stata completata. Una volta giunti a contatto delle forze nemiche queste dovevano essere circondate e tramite una decisiva Kesselschlacht definitivamente annientate. La chiave del successo risiedeva nelle tattiche di combattimento dei reggimenti di fanteria prussiani. (Collezione Cerino-Badone)

Fig. 9. Soldato di fanteria prussiano, 1866 c.a. I coscritti prussiani erano fisicamente ben allenati, addestrati e disciplinati. Anche i soldati semplici sapevano leggere e risolvere operazioni

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matematiche, grazie ai programmi di alfabetizzazione delle scuole elementari adottate nel regno di Prussia all’inizio del secolo. Il soldato della foto è equipaggiato con un fucile a retrocarica Zündnadelgewehr M/41, comunemente noto con il nome di Dreyse. (Collezione Cerino-Badone)

Fig. 10. Battaglione di fanteria prussiana in fase di attacco. I prussiani, grazie alla potenza di fuoco del fucile Dreyse, ruppero la coesione del battaglione come unità tattica di base e formarono una serie di colonne di compagnia o di plotone a seconda delle necessità tattiche, in grado di sfruttare ogni singola opportunità di avanzata e di disporsi in ordine sparso quando e se necessario. I comandanti di battaglione furono incoraggiati a scindere i propri reparti in mezzi battaglioni, compagnie, plotoni e persino sezioni. Tavola tratta da G. V. KESSEL, Die Ausbildung des Preussischen Infanterie-bataillons im praktischen Dienst, Berlin 1863, p. 66.

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Fig. 11. Compagnia alla base di partenza per un attacco. Il fucile Dreyse permettava al fante prussiano di combattere prono, defilato al tiro avversario. Si nota in secondo piano al centro della foto la presenza di un tamburino, subito a destra l’alfiere con la bandiera del reparto. Sulla sinistra, sotto un gruppo di piante, un’altra compagnia attende l’ordine di avanzare. (Collezione Cerino-Badone)

Fig. 12. La collina del villaggio di Chlum vista da sudest. Il rilievo è alto 290 m e domina di 50 m la piana sulla quale sorge il villaggio di Rosbertiz, posto sulla destra dell’immagine ma non inquadrato. Il fianco del rilievo è caratterizzato da un pendio molto dolce e totalmente aperto, ideale per organizzare sulla sua sommità una posizione difensiva, cosa che gli austriaci prima e i prussiani poi fecero. In blu il perimetro difensivo prussiano ed in rosso la direttrice degli attacchi austriaci del pomeriggio. (Foto Cerino-Badone)

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Fig. 13. La “strada della morte”. Seguendo come asse di penetrazione una strada campestre affossata nel terreno, definita in seguito “la strada della morte”, i reparti austriaci del VI° Corpo iniziarono a risalire il pendio della collina di Chlum, solo per finire in un’imboscata tesa loro da quattro compagnie di fanteria e due batterie d’artiglieria. Il fianco del colle, dolce e privo di significativi ostacoli, permise ai difensori di Chlum di sviluppare tutta la potenza di fuoco che i fucili Dreyse permettevano loro, costringendo gli attaccanti a rintanarsi nel fondo della “strada della morte” dove vennero decimati.

Fig. 14. La “strada della morte” il pomeriggio del 3 luglio 1866 nella ricostruzione di Ludwig Burger. Le colonne d’assalto austriache riuscirono ad avvicinarsi a meno di cento metri dalle prime case di Chlum, dopo di che al primo contrattacco furono messe in rotta. In sessanta minuti dal

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primo attacco il VI° Corpo austriaco aveva perso in combattimento 4.805 uomini. I soldati, abbattuti a terra dalla densità del fuoco incrociato dei prussiani, non riuscivano neppure ad alzarsi per caricare le proprie armi. Chi non era stato ucciso non poté far altro che arrendersi. Incisione di L. Burger, in T. Fontane, Der deutsche Krieg von 1866, Vol. I, Berlin 1871, p. 602.