giornate romane medicina clinica - Fenicia Eventi · 2018-04-18 · razione delle forze normalmente...

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giornate romane di medicina clinica Roma, 14/15 Aprile 2016 Presidente: Prof. Filippo Rossi Fanelli ATTI DEL CONVEGNO XIII Edizione SAPIENZA - UNIVERSITÀ DI ROMA DIPARTIMENTO DI MEDICINA CLINICA Direttore: Prof. Adolfo F. Attili

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giornate romanedi medicina clinica

Roma, 14/15 Aprile 2016

Presidente: Prof. Filippo Rossi Fanelli

ATTI DEL CONVEGNOXIII Edizione

SAPIENZA - UNIVERSITÀ DI ROMADIPARTIMENTO DI MEDICINA CLINICA

Direttore: Prof. Adolfo F. Attili

giornate romane di

medicina clinicaRoma, 14/15 Aprile 2016

ATTI DELCONVEGNO

XIII Edizione

SAPIENZA - UNIVERSITÀ DI ROMADIPARTIMENTO DI MEDICINA CLINICA

Direttore: Prof. Adolfo F. Attili

PROGRAMMA

Giovedì, 14 Aprile 2016

Mattina

8.30 Iscrizioni e ritiro materiale congressuale

9.15 Apertura lavori:Filippo Rossi Fanelli

I SESSIONEPNEUMOLOGIA (parte I)

Moderatori: Salvatore Valente (Roma), Paolo Palange (Roma)

9.30 Inquadramento fisiopatologico delle BPCOPaolo Palange (Roma)

10.00 Nuove terapie personalizzate della BPCOPaola Rogliani (Roma)

10.30 Discussione interattiva con i partecipanti (meet the expert)

11.00 Pausa

11.30 Asma: tra diagnosi e nuove frontiere terapeuticheMatteo Bonini (Roma)

12.00 Allergopatie: qual è il ruolo delle vaccinazioni?Elena Pinter (Roma)

12.30 Discussione interattiva con i partecipanti (meet the expert)

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Pomeriggio

13.00 LETTURA MAGISTRALE

La gestione clinica dei nuovi anticoagulantiRelatore: Giovanni Davì (Chieti)Moderatori: Filippo Rossi Fanelli (Roma), Antonio Amoroso (Roma)

13.45 Pausa

II SESSIONEPNEUMOLOGIA (parte II)

Moderatori: Filippo Rossi Fanelli (Roma), Paolo Palange (Roma)

14.30 OSAS: inquadramento clinico e terapiePaolo Onorati (Alghero)

15.00 Ossigenoterapia a lungo termine e ventilazione non invasivaJosuel Ora (Roma)

15.30 Discussione interattiva con i partecipanti (meet the expert)

16.00 L’ipertensione polmonare cronica tromboembolicaCarmine Dario Vizza (Roma)

16.30 TC ad alta risoluzione nello studio delle principali patologie respiratorieCarlo Catalano (Roma)

17.00 Discussione interattiva con i partecipanti (meet the expert)

17.30 Chiusura dei lavori della giornata

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Venerdì, 15 Aprile 2016

9.00 LETTURA MAGISTRALE

La terapia del dolore nel paziente internisticoRelatore: Marco Ranieri Vito (Roma)Moderatori: Maurizio Muscaritoli (Roma), Marco Ranieri Vito (Roma)

III SESSIONEMALATTIE INFETTIVE

Moderatori: Vincenzo Vullo (Roma), Gloria Taliani (Roma)

9.45 Polmoniti comunitarie: linee guida di gestioneMarco Falcone (Roma)

10.30 Gestione clinica della sepsiClaudio Mastroianni (Roma)

10.45 Discussione interattiva con i partecipanti (meet the expert)

11.15 Break

11.30 Le infezioni fungine invasive in Medicina InternaMario Venditti (Roma)

12.00 I progressi delle nuove terapie dell’epatite CGloria Taliani (Roma)

12.30 Considerazioni conclusiveFilippo Rossi Fanelli (Roma)

13.00 Compilazione dei questionari di valutazione ed autovalutazione

13.30 Chiusura dei lavori

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BPCO: Inquadramento fisiopatologicoPaolo PalangeSapienza Università di Roma

La BroncoPneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) è una patologia pre-venibile e trattabile, caratterizzata da una persistente limitazione al flussoaereo, non completamente reversibile. La limitazione al flusso, solitamenteprogressiva, è associata ad una risposta infiammatoria delle vie aeree a gas ea particelle nocive, come il fumo di sigaretta.

La BPCO è una tra le principali cause di mortalità e morbidità nel mondo,colpendo il 10% della popolazione generale, con una prevalenza che neifumatori arriva fino al 50%.

Dal punto di vista clinico sono riconosciuti, nella popolazione BPCO,due diversi fenotipi: il bronchitico-cronico e l’enfisematoso.

Dal punto di vista anatomo-patologico l’enfisema colpisce principalmen-te le piccole vie aeree, distalmente ai bronchioli terminali, con gradualedistruzione dei setti alveolari e del letto capillare polmonare. La distruzionedegli alveoli e l’aumento dello spazio aereo, contribuiscono alla perdita delritorno elastico polmonare e alla perdita della trazione esterna sulle piccolevie aeree, con conseguente collasso delle stesse durante l’espirazione.

Questo meccanismo conduce all’ostruzione del flusso aereo, all’“air trap-ping” e all’iperinflazione, caratteristiche della patologia. Le alterazioniinfiammatorie e strutturali delle vie aeree aumentano con la severità dellamalattia, portando con il tempo ad un rimodellamento anatomico, che puòpersistere anche dopo la cessazione del fumo.

La dispnea, la tosse e la ridotta tolleranza allo sforzo sono i sintomi cro-nici cardine di questa patologia, che può andare incontro ad fenomeni diriacutizzazione.

Una caratteristica importante dei soggetti con BPCO è la difficoltà nell’ef-fettuare le attività quotidiane, poichè la tolleranza allo sforzo viene alteratadalla comparsa di dispnea. Pur trattandosi di meccanismi fisiopatologici com-plessi, con alla base la cronica ostruzione al flusso di aria, sicuramente l’iperin-sufflazione assume un ruolo centrale nella comparsa della dispnea.L’iperinsufflazione, statica o dinamica a seconda dei meccanismi da cui è pro-vocata, è caratterizzata da un aumento della capacità funzionale residua; que-st’ultima definita come volume di gas disponibile alla fine di un’espirazione avolume corrente. L’iperinsufflazione statica, è dovuta all’ostruzione delle vie

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aeree periferiche e al ridotto ritorno elastico dei polmoni, che porta ad un’alte-razione delle forze normalmente in gioco nel sistema respiratorio, provocandoun intrappolamento progressivo di aria durante l’espirazione, con un aumentopermanente della capacità funzionale residua. L’iperinsufflazione statica, inol-tre, altera la meccanica respiratoria, riducendo la capacità dei muscoli inspira-tori di generare pressione, per cui sarà necessario un maggior dispendio di ener-gia per generare un dato volume corrente.

L’aumento di capacità funzionale residua, considerando come costante lacapacità polmonare totale, altera il volume ad essa complementare, la capa-cità inspiratoria, ovvero la massima quantità di aria che si può inspirare par-tendo da un’espirazione a volume corrente, particolarmente durante l’eserci-zio (iperinsufflazione dinamica), risultando in un aumento della dispnea e inuna riduzione della tolleranza allo sforzo. La limitazione al flusso aereo e l’i-perinsufflazione influenzano la funzionalità cardiaca e gli scambi gassosi.L’ipossiemia e l’infiammazione cronica possono provocare una riduzionedella massa muscolare e cachessia, e possono causare o peggiorare eventua-li comorbidità, tra cui la cardiopatia ischemica, lo scompenso cardiaco, l’o-steoporosi, il diabete, la sindrome metabolica e la depressione.

Le prove di funzionalità respiratoria sonoalla base della diagnosi e dellastadiazione della patologia.

Secondo le linee guida GOLD (Global Strategy for the Diagnosis,Management and Prevention of COPD, Global Initiative for ChronicObstructive Lung Disease 2016 http://www.goldcopd.org/.) per definire lalimitazione al flusso aereo, o ostruzione bronchiale, viene utilizzato il rappor-to fisso post-broncodilatatore VEMS/CVF <0.7 (VEMS: Volume EspiratorioForzato al 1° Secondo; CVF: Capacità Vitale Forzata)

La classificazione spirometrica di gravità della limitazione del flussoaereo è suddivisa in quattro Gradi: GOLD 1 Lieve (VEMS ≥ 80% del predet-to); GOLD 2 Moderato (50% ≤ VEMS <80% del predetto); GOLD 3 Grave(30% ≤ VEMS <50% del predetto); GOLD 4 Molto Grave (VEMS <30% delpredetto).

La valutazione globale del paziente con BPCO sarà basata sulla combi-nazione di sintomi (valutati sulla base di questionari standardizzati), classifi-cazione spirometrica e rischio di future riacutizzazioni. In ultimo va ricorda-to che l’approccio al paziente con BPCO deve includere lo studio dellecomorbidità e dello stato nutrizionale, che insieme ai parametri più specificidi malattia andranno a definire la prognosi e la storia di malattia di ogni sin-golo individuo.

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Nuove terapie personalizzate della BPCOPaola RoglianiProfessore Associato di Malattie dell’Apparato Respiratorio, Università di RomaTor Vergata

In passato, le linee guida e le strategie per il trattamento della broncop-neumopatia cronica ostruttiva (BPCO) erano basate sul potenziamento (esca-lation) della terapia in accordo con la gravità ostruzione del flusso aereo[1,2]. Grazie alle nuove evidenze scientifiche e all’introduzione di nuovi far-maci, si sta facendo strada nella pratica clinica un’altra strategia terapeutica,basata sulla riduzione o sostituzione di alcuni farmaci broncodilatatori, checonfigura una “de-escalation therapy” [3]. Tale strategia anche se con leopportune differenze ricalca la terapia raccomandata nell’asma bronchiale distep-up e di step-down (crescente e decrescente) ed introduce un nuovo edinnovativo paradigma terapeutico. Gli studi attualmente a disposizione nonsono però ancora esaustivi nel chiarire le differenze fra le varie strategie tera-peutiche. Ci sono molte domande aperte come ad esempio quando ed in qualipazienti iniziare con una monoterapia rispetto ad una terapia di combinazio-ne con β2 agonisti a lunga durata d’azione (LABA) e corticosteroide inalato-rio (ICS), quando aggiungere un secondo broncodilatatore oppure passaredirettamente alla triplice terapia aggiungendo un broncodilatatore antimusca-rinico (LAMA) associato ad ICS/LABA. Studi “real life” hanno infatti dimo-strato un utilizzo inappropriato secondo le raccomandazioni internazionali espesso eccessivo dell’associazione ICS/LABA nei pazienti BPCO [4]. Difattii pazienti BPCO a basso rischio di riacutizzazione possono essere trattatisemplicemente con broncodilatatori a lunga durata d’azione senza evidenzadi un effetto aggiuntivo del corticosteroide, mentre nei pazienti BPCO conalto rischio di esacerbazioni soprattutto gravi che portano quindi ad ospeda-lizzazione è stata dimostrata una miglior prognosi con una terapia di associa-zione (LAMA + LABA/ICS) rispetto ala sola terapia broncodilatatrice. Inlinea generale pur rimanendo centrale il ruolo del broncodilatatore nella tera-pia della BPCO, si possono identificare due diversi fenotipi e due diversestrategie terapeutiche: il BPCO enfisematoso-iperinsufflato che beneficiasoprattutto della doppia broncodilatazione, rispetto al BPCO frequente esa-cerbatore che beneficia dell’associazione del broncodilatatore con il cortico-steroide [3, 5]. Un altro momento cruciale nella storia naturale della malattiasono le riacutizzazioni. Mentre le riacutizzazioni di grado lieve sembrano

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rispondere maggiormente alla terapia con due broncodilatatori (LAMA +LABA) quelle di grado moderato o grave rispondono invece alla terapia cor-ticosteroidea. Così nasce un altro problema terapeutico a cui i clinici devonospesso rispondere: si può sospendere il corticosteroide inalatorio e dopoquanto tempo dal suo inizio? Attualmente la maggior parte degli studi sem-bra confermare che la sospensione della terapia corticosteroidea è possibilese adeguatamente sostituita alla terapia con doppia broncodilatazione in queipazienti in cui non è indicato il corticosteroide, mentre ci sono studi contra-stanti per quanto riguarda pazienti più gravi e con esacerbazioni [3].

Permangono molte domande irrisolte sulla miglior terapia possibile nelpaziente BPCO, perché bisogna sempre considerare le caratteristiche peculia-ri di quel paziente (il fenotipo), valutare le le caratteristiche farmacologichedei diversi broncodilatatori (monosomministrazione rispetto alla doppia som-ministrazione giornaliera) e adattarla alla preferenza dell’erogatore del far-maco inalatorio (il device) e alle terapia che il paziente già sta facendo. Pertale ragione l’impostazione fin da subito dell’appropriata terapia sembraessere attualmente la scelta più vantaggioso nonostante nuove evidenzedimostrano che è comunque possibile procedere ad una terapia di step up stepdown quando necessario.

Bibliografia

1. Pauwels RA, Buist AS, Calverley PM, et al. Global strategy for the diagnosis,management, and prevention of chronic obstructive pulmonary disease.NHLBI/WHO Global Initiative for Chronic Obstructive Lung Disease (GOLD)Workshop summary. Am J Respir Crit Care Med. 2001;163:1256–76.

2. Celli BR, MacNee W. Standards for the diagnosis and treatment of patients withCOPD: a summary of the ATS/ERS position paper. Eur Respir J.2004;23:932–46.

3. Cazzola M, Rogliani P., Matera MG. Escalation and De-escalation of Therapy inCOPD: Myths, Realities and Perspectives, Drugs. 2015; DOI 10.1007/s40265-015 -0450-6

4. Price D, West D, Brusselle G, et al. Management of COPD in the UK primary-caresetting: an analysis of real-life prescribing patterns. Int J Chron Obstruct PulmonDis. 2014;9:889–904.

5. Hurst JR, Vestbo J, Anzueto A, et al. Susceptibility to exacerbation in chronicobstructive pulmonary disease. N Engl J Med. 2010;363:1128–38.

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Asma tra diagnosi e nuove frontiere terapeuticheMatteo Bonini1, 2

1 Unita’ di Fisiopatologia Respiratoria, Dipartimento di Sanità Pubblica e MalattieInfettive, “Sapienza” Università di Roma; 2 Airway Division, Royal BromptonHospital, National Heart and Lung Institute (NHLI), Imperial College London

Asthma is a heterogeneous disease usually characterized by chronicairway inflammation. It is defined by a history of respiratory symptoms thatvary over time and in intensity, with evidence of variable expiratory airflowlimitation1. Epidemiological data show that asthma affects 5-15% of peopleworldwide, with increasing prevalence over the last few decades2.

Different asthma phenotypes have been described on the basis of clinicaland functional patient characteristics2. Asthma has long been recognized asan inflammatory T helper type 2 cell-mediated disease, but recent findingssupport alternative pathophysiological mechanisms and effectors, whichdefine distinct endotypes2.

Treatment is well established in national and international guidelines andaims to achieve optimal disease control and prevent acute exacerbations,using a stepwise approach to medication1. Drugs are commonly divided into“relievers”, which quickly alleviate airway obstruction, and “controllers”,which suppress the pathophysiology and provide long-term symptom control.

Beta-2 adrenoreceptor agonists are the mainstay of asthma managementand are the most effective available treatment for preventing and reversingbronchial obstruction. This class of drugs includes short-acting (SABA) andlong-acting (LABA) b2-adrenoreceptor agonists. More recently, ultra-LABAs (indacaterol, olodaterol, vilanterol), which potentially have a once-daily dosing regimen, have been developed; however, their use is currentlymainly confined to COPD. Beta-2 adrenoreceptor agonists act via specificreceptors (ADRb2), localized mainly on airway smooth muscle cells. InhaledSABAs (salbutamol, terbutaline) are the most widely used relievers in thetreatment of acute asthma with a rapid onset of action. In addition to theiracute bronchodilator effect, they are effective in protecting against challengessuch as exercise and allergens. SABAs should be only used as ‘rescue’medication and not on a regular basis. Indeed, increased use (>2 timesweekly) should prompt the need for more anti-inflammatory therapy. LABAs(salmeterol, formoterol) represented a significant advance in asthmatreatment. They have a bronchodilator action of >12 hours and also protect

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against bronchoconstriction for a similar period. Formoterol has a more rapidonset of action and is a full agonist, whereas salmeterol is a partial agonistwith a slower onset of action. These differences might confer a theoreticaladvantage for formoterol in more severe asthma but can also make it morelikely to induce tolerance. In asthma patients, LABAs should always be usedin combination with inhaled corticosteroids (ICS), because LABAs do nottreat the underlying chronic inflammation. Oral and intravenous b2-adrenoreceptor agonists are only rarely indicated as bronchodilators becauseof an increased risk of adverse effects. Adverse effects of b2-adrenoreceptoragonists are dosage-related and mainly due to stimulation of extrapulmonaryADRb2. They include muscle tremor, tachycardia, palpitations, prolongationof the cardiac QTc interval and hypokalaemia. In asthmatic individuals,tolerance can develop to the bronchoprotective effect of b2-adrenoreceptoragonists, possibly from down-regulation of ADRb2s3. A possible causalrelationship between LABAs and the rise in asthma exacerbations and deathshas been suggested, leading to doubts about the long-term safety of LABAs.Studies are currently examining this, especially in children.

Inhaled corticosteroids (ICS) are recommended as first-line therapy for allpatients with persistent asthma. For most patients, ICS are ideally used twicedaily once the asthma has been controlled. Once-daily administration of somecorticosteroids (budesonide, ciclesonide) is effective when low doses areneeded. The dose of ICS should be the minimal dose to control asthma; oncecontrol has been achieved, the dose should be slowly reduced after 3 months ofdisease stability, as suggested in guidelines. Nebulized corticosteroids can beuseful in the treatment of small children who are not able to use other inhalerdevices. Prednisolone and prednisone are the most commonly used oralcorticosteroids. Short courses (1-2 weeks) of oral corticosteroids are indicatedfor exacerbations of asthma. Corticosteroids bind to glucocorticoid receptors(GRs) in the target cell cytoplasm. The mechanisms of action of corticosteroidsin asthma are however still poorly understood, but their efficacy seems to berelated to their anti-inflammatory properties. ICS can have local adverse effectsfrom deposition of ICS in the oropharynx. The most common problem (up to40% of patients) is dysphonia due to atrophy of the vocal cords followinglaryngeal deposition of corticosteroid. Throat irritation and coughing afterinhalation are common with MDIs, apparently from additives. Oropharyngealcandidiasis occurs in approx. 5% of patients. Systemic effects of ICS have beendescribed, including dermal thinning and skin capillary fragility. HPAsuppression with ICS is usually seen only when the daily inhaled dose exceeds

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2000 microgram of beclometasone dipropionate or its equivalent. There is noevidence for increased lung infections, including tuberculosis, in patients withasthma. Adverse effects of long-term oral corticosteroid therapy include fluidretention, increased appetite, weight gain, osteoporosis, capillary fragility,hypertension, peptic ulceration, diabetes mellitus, cataract and psychosis. Thefrequency of adverse effects tends to increase with age. Symptoms of ‘steroidwithdrawal syndrome’ include lassitude, musculoskeletal pains and occasionallyfever.

Muscarinic antagonists, methylxanthines, anti-leukotrienes, cromonesand macrolides also play a key role in disease management.

The use of biologicals in asthma is receiving increasing attention,particularly for more severe disease that cannot be controlled by current drugs4, 5. The only biological agent currently available for the treatment of asthma isthe anti-IgE monoclonal antibody omalizumab. Several others, such asmepolizumab (anti-IL-5), lebrikizumab (anti-IL-13) and dupilumab (anti-IL-4Ra) are at an advanced stage of drug development and are expected to beavailable on prescription soon; however, they will be expensive. In September2015, mepolizumab received authorization in Europe as an add-on treatment forsevere refractory eosinophilic asthma in adult patients.

Most patients have disease of mild to moderate severity and are managed inthe community. However, patients who have more severe disease that isrefractory to conventional therapy, have co-morbidities (rhinitis, gastro-oesophageal reflux) or have the recently described asthma-chronic obstructivepulmonary disease overlap syndrome (ACOS) are hard to treat, prompting thecurrent drive for a precision-based medicine approach involving patient-tailored treatment.

References

1. Global Initiative on Asthma. Global strategy for asthma management andprevention. www.ginasthma.com (accessed 10 Sep 2015).

2. Martinez FD, Vercelli D. Asthma. Lancet 2013; 382: 1360 e 72.3. Bonini M, Di Mambro C, Calderon MA, et al. Beta2-agonists for exercise-induced

asthma. Cochrane Database Syst Rev 2013 Oct 2; 10: CD003564.4. Pelaia G, Vatrella A, Maselli R. The potential of biologics for the treatment of

asthma. Nat Rev Drug Discov 2012 Dec; 11: 958 e 72.5. Fayt ML, Wenzel SE. Asthma phenotypes and the use of biologic medications in

asthma and allergic diseases: the next step forward personalized care. J AllergyClin Immunol 2015; 135: 299 e 310.

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Allergopatie: qual è il ruolo delle vaccinazioniElena PinterAmbulatorio di Allergologia, Dipartimento di Medicina Clinica, PoliclinicoUmberto I, Roma

Le malattie allergiche sono un problema emergente soprattutto nei paesiindustrializzati, infatti circa il 20% della popolazione soffre di patologieallergiche quali rinite, asma od allergie alimentari.. In Italia le allergie colpi-scono circa 15 milioni di persone e sono tuttora in crescita. In netta prevalen-za le allergie respiratorie che arrivano a colpire il 30% della popolazione inalcuna fasce d’età. La rinite allergica, pur non mettendo in pericolo la vita delpaziente, ne altera notevolmente la qualità interferendo con il sonno e le per-formance scolastiche e lavorative e predispone a co-morbilità quali l’asma.La gestione delle allergie respiratorie prevede l’allontanamento dell’allerge-ne, terapie sintomatiche e, se indicata, l’immunoterapia specifica (AIT) cheprevede somministrazioni ripetute di estratto allergenico allo scopo di ridur-re i sintomi e l’utilizzo di farmaci per un periodo più o meno prolungato.L’AIT è indicata nei pazienti per i quali sia stata dimostrata la sensibilizza-zione verso un determinato allergene, tramite Skin prick test o RAST (dosag-gio IgE specifiche nel siero), e vi sia un rapporto di causa ed effetto tra l’e-sposizione allergenica ed i sintomi.

Il meccanismo d’azione dell’immunoterapia si fonda sull’induzione di cel-lule T regolatorie allergene specifiche. Questo, attraverso meccanismi immu-nologici complessi comporta una riduzione della sintesi di IgE specifiche del-l’allergene utilizzato, un’induzione di anticorpi allergene specifici (IgG4), chebloccano l’attivazione allergenica sulle cellule immunocompetenti ed una ridu-zione della sintesi di citochine Th2 coinvolte nella reazione allergica.

Importante per una risposta immunologica efficace è il tipo di immuno-terapia (sublinguale o sottocute), la dose somministrata, la standardizzazionedell’estratto allergenico e gli adiuvanti. L’immunoterapia sottocutanea, puressendo in generale ben tollerata può presentare reazioni da locali a sistemi-che e pertanto va somministrata in adeguate strutture da medici con esperien-za in immunoterapia e nel riconoscimento precoce degli effetti avversi.Quella sublinguale presenta generalmente reazioni meno frequenti e di minorentità, ma è consigliato effettuare la prima somministrazione in ambiente pro-tetto. Non deve essere somministrata in pazienti con asma grave e/o non con-trollato.

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L’immunoterapia è al momento è l’unica terapia in grado di modificare lastoria clinica dell’allergia respiratoria riducendo la risposta allergica (i sinto-mi) e prevenendo ulteriori sensibilizzazioni e/o lo sviluppo dell’asma. La suaefficacia per la rinite allergica è stata dimostrata in diversi trial , ed è statainserita tra le terapie consigliate nelle linee guida ARIA. Si è mostrata effica-ce anche nel ridurre l’iperreattività bronchiale, soprattutto nella formulazio-ne sottocutanea. La sua importanza nell’allergia a veleno da imenotteri è indi-scussa, mentre non vi sono dati consistenti per un suo utilizzo routinario nel-l’allergia alimentare, da latex e nell’ipersensibilità al nichel.

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La gestione clinica dei nuovi anticoagulantiGiovanni DavìDipartimento Clinica Medica, Università di Chieti

I nuovi anticoagulanti orali (NOACs) comprendono: l’inibitore direttodella trombina (Dabigatran Pradaxa 150 mg o 110 mg bid), inibitore del fat-tore Xa (Rivaroxaban (XARELTO®) 20 mg OD; Apixaban (ELIQUIS®) 5mg o 2,5 mg BID; Edoxaban (LIXIANA®) 60 mg o 30 mg OD. Le principa-li condizioni patologiche in cui i NOAC sono stati sperimentati comprendo-no: la prevenzione dell’ictus e dell’embolia sistemica in pazienti con fibrilla-zione atriale non-valvolare il trattamento della trombosi venosa profonda edell’embolia polmonare e la prevenzione delle recidive la prevenzione deglieventi tromboembolici venosi nei pazienti adulti sottoposti a intervento chi-rurgico di sostituzione elettiva dell’anca o del ginocchio. Le prime due pato-logie (la fibrillazione atriale e la malattia tromboembolica venosa) sono digrande impatto epidemiologico: la fibrillazione atriale (FA) è la più comunearitmia cardiaca nella popolazione generale con una prevalenza del 1-2% erappresenta il principale fattore di rischio per ictus cardioembolico, compli-canza che interviene con un’incidenza di circa il 5% per anno se consideria-mo l’intera popolazione dei pazienti con FA, ma, come è noto da tempo, pre-senta una sensibile variazione di frequenza, a seconda della presenza/assen-za di altri fattori di rischio (età, sesso, razza e, soprattutto, fattori di rischiocardiovascolare, quali pregresso TIA o ictus, ipertensione arteriosa, diabete,insufficienza cardiaca); la malattia tromboembolica venosa (TEV) presentaun’incidenza annuale intorno a 100-200 casi per 100.000 abitanti nella popo-lazione generale, crescente con l’età: la trombosi venosa profonda (TVP)costituisce due terzi degli episodi di TEV, mentre l’embolia polmonare (EP),da sola o in combinazione con la TVP rappresenta l’altro terzo dei casi, conmortalità non trascurabile (6-7% per la TVP e 12% per la EP). La scopertadei NOAC ha suscitato notevole entusiasmo da parte di molti medici, chehanno visto finalmente realizzata l’aspettativa di disporre di una terapia anti-coagulante orale da poter gestire con maggiore facilità e da poter prescrivereanche ai pazienti in precedenza esclusi dal trattamento anticoagulante, pro-prio a causa delle difficoltà di gestione dei farmaci AVK. Si registrano anchepareri più prudenti da parte di coloro che ritengono che le nuove molecole, afronte di marginali vantaggi “protettivi”, potrebbero comportare non trascu-rabili rischi di sanguinamento gastroenterico (anche se le più temute emorra-

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gie cerebrali sono indubbiamente meno frequenti), oltre alla difficoltà deri-vante dalla mancata disponibilità di antidoti. A questo proposito va comun-que detto che per il dabigatran vi sono studi, sull’uso di un nuovo farmaco,l’idarucizumab, un frammento di anticorpo umanizzato, in grado di bloccarel’effetto anticoagulante del dabigatran; un grande trial clinico multicentricointernazionale, il RE-VERSE AD, valuta tale antidoto nell’ambito del conte-sto clinico di pazienti in trattamento con dabigatran, nei quali è necessarioantagonizzare rapidamente l’effetto anticoagulante per una grave emorragiao per la necessità di un intervento chirurgico d’urgenza. Per gli inibitori diret-ti del fattore Xa è in corso di valutazione l’antidoto andexanet alfa, moleco-la ricombinante modificata del Fattore Xa, con il quale sono in corso studiclinici di antagonismo dell’azione anticoagulante, sia per rivaroxaban(ANNEXA-R study), sia per apixaban (ANNEXA-A study). Comunque, neicasi gravi è necessario utilizzare i concentrati di complesso protrombinico(PCC), il cui uso trova indicazione anche nei gravi sanguinamenti in corso diterapia con rivaroxaban ed apixaban e consente di gestire le complicanzeemorragiche anche in assenza di antidoti specifici. Inoltre i NOAC sono dinorma controindicati in pazienti con malattie epatiche associate a coagulopa-tia e rischio emorragico clinicamente rilevante. Negli studi clinici, tali farma-ci non sono stati testati nei pazienti con insufficienza epatica ed enzimi epa-tici superiori 2-3 volte il limite massimo dei range di normalità. Pertanto illoro impiego non è raccomandato in questa popolazione. Nel corso della tera-pia con NOAC, nei soggetti con epatopatia lieve o in quelli a rischio di epa-topatia, la funzionalità epatica deve essere periodicamente controllata. La FAè una patologia che colpisce in prevalenza la popolazione di età avanzata, percui è più probabile che i farmaci anticoagulanti siano prescritti a soggettianziani, con funzionalità renale facilmente deteriorabile, diminuita escrezio-ne renale del farmaco e conseguente aumentato rischio emorragico. Le lineeguida del 2014 dell’American Heart Association/American College ofCardiology/Heart Rhythm Society (AHA/ACC/HRS) raccomandano neipazienti con nefropatia cronica da moderata a grave e un punteggioCHA2DS2-VASc di 2 o superiore, possono essere considerate dosi ridotte diapixaban, dabigatran o rivaroxaban. Le linee guida non consigliano la som-ministrazione di un NOAC nei pazienti con nefropatia cronica allo stadio ter-minale o in emodialisi, nè nei portatori di valvole cardiache meccaniche. Inpazienti con IRC moderato-severa l’uso di Warfarin si associa a un maggiorrischio emorragico e il rapporto rischio/beneficio non è dimostrato.L’escrezione di Warfarin non dipende dalla funzione renale, ma l’IRC riduce

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il metabolismo del citocromo P450. Per quanto riguarda i NAO, negli studiclinici di Rivaroxaban e Dabigatran sono stati esclusi pazienti con Clearancedella Creatinina <30ml/min e per Apixaban pazienti con Clearance dellaCreatinina <25ml/min. Nei pazienti con IRC lieve-moderata l’attività diApixaban aumenta del 70%, quella di Rivaroxaban raddoppia e quella diDabigatran aumenta di circa 6 volte. L’uso di NAO nell’insufficienza renale èinoltre complicato dall’interferenza con altri farmaci (Carbamazepina,Dronedarone, Verapamil, Amiodarone, Claritromicina, Diltiazem, Ranolazina).Nei pazienti con IRC moderata, dosi ridotte di Rivaroxaban e Apixaban sonorisultate sicure ed ugualmente efficaci. Dubbi rimangono su Dabigatran (appro-vato solo in U.S. alle dosi di 75mg bid in pazienti con clearance di 15-29ml/min). Rimangono controindicati in pazienti in stadio IV di IRC. Non vi sonodati in pazienti dializzati. Tutti i NAO coinvolgono in misura diversa il sistemadella glicoproteina P (P-gp, secerne parte del farmaco nuovamente nel lumeintestinale). Gli inibitori del FXa sono variamente metabolizzati dal sistemamicrosomiale epatica (enzima CYP3A4). Alcuni farmaci di comune utilizzo, tracui alcuni implicati nella terapia della FA, sono attivi (come inibitori od indut-tori) sul sistema di P-gp e CYP3A4. I NAO non sono né induttori né inibitoridi P-gp e CYP3A4, quindi possono essere co-somministrati con farmaci sub-strati di questi sistemi (tra cui digitale, statine). Le prospettive future vedonoall’orizzonte un nuovo Inibitore del FXa in corso di studio, ha emivita più lungarispetto ai classici inibitori del FXa (emivita farmacodinamica di circa 20 ore),metabolismo renale molto ridotto, minimo metabolismo epatico ed elevata eli-minazione attraverso la via bilio-digestiva (sistema della P-gp); Emergonobuoni risultati di superiorità in termini di efficacia e di non inferiorità in termi-ni di sicurezza. Betrixaban potrebbe essere il primo NAO ad essere utilizzatonei pazienti acuti ed ospedalizzati per la profilassi del TEV.

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OSAS: inquadramento clinico e terapiePaolo OnoratiServizio di Fisiopatologia Respiratoria; UOC Medicina, Ospedale Civile Alghero,ASL1 - Sassari

Principi di valutazione e diagnosi dell’OSAS

Il termine disordini respiratori nel sonno comprende una varietà di sin-dromi caratterizzate da una riduzione della ventilazione durante il sonno.Queste sindromi includono: le apnee notturne centrali e ostruttive, l’ipoven-tilazione alveolare, il respiro di Cheyne-Stokes.

I meccanismi principali alla base dei disturbi respiratori nel sonno sono:1. meccanismi che influenzano la pervietà delle vie aeree superiori (apnea

ostruttiva)2. meccanismi di controllo della stabilità ventilatoria durante il sonno,

(apnea centrale e ostruttiva).La caratteristica fisiopatologia dell’apnea ostruttiva nel sonno (OSA) è il

collasso delle vie aeree superiori a livello della faringe. Le conseguenze diur-ne dell’OSAS sono: sensazione di sonno non ristoratore, cefalea, eccessivasonnolenza diurna, aumentato rischio di incidenti stradali, deficit cognitivi(disturbi di memoria,concentrazione ed attenzione) e, in misura minore,depressione del tono dell’umore ed impotenza sessuale3.

La diagnosi di OSAS si basa sia sulla clinica sia su indici misurabili rela-tivi a disturbi respiratori. Con l’indice di apnea-ipopnea (Apnea-HypopneaIndex, AHI) si definisce l’OSAS come segue:

– Almeno 5 eventi respiratori ostruttivi per ora di sonno (AHI o RERA)+ sintomi

– 15 o + eventi respiratori ostruttivi in assenza di sintomiLa gravità è classificata come segue:– lieve ( AHI compreso tra 5 e 15)– moderata tra 16 e 30– severa >30.Si distinguono quattro “livelli” di indagine5-12.– livello IV, monitoraggio notturno cardiorespiratorio ridotto6,7.– livello III, monitoraggio cardiorespiratorio completo.– livello II, Polisonnografia notturna con sistema portatile– livello I. Polisonnografia notturna standard che prevede la registrazio-

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ne simultanea di almeno sette canali tra i seguenti con l’obbligo di quelli peril riconoscimento degli stadi del sonno:

Il monitoraggio della SaO2 rientra nella diagnostica e si definisce desa-turazione la caduta della SaO2 pari almeno al 4% rispetto al precedente livel-lo stabile; il numero di desaturazioni/ora costituisce l’indice di desaturazio-ne, o ODI1-4.

Fattori predittivi dell’OSAS

Fattori clinici:– dismorfismi cranio-facciali, alterazioni anatomiche (es. micrognatia,

macroglossia, allungamento del palato molle, iperplasia dell’ugola)– malattie genetiche (sindrome di Prader Willy);– eccessivo peso corporeo (body mass index – BMI > 29); circonferenza

del collo maggiore di 41 cm nelle donne e 43 cm nell’uomo.– Test o gradazione di Mallampati: visione delle strutture faringee nel

paziente seduto o supino a bocca spalancata e lingua sporta spontaneamentee senza fonazione.

– Russamento.– Sonnolenza diurnache può essere indagata con la Epworth Sleepiness

Scale (ESS).– Cefalea mattutina.– Modificazioni della personalitàe deterioramento delle funzioni psichi-

che.– Ipertensione arteriosae/oaritmie cardiache.– Presenza di ipotiroidismoe altre alterazioni ormonali e metaboliche.

Fattori strumentali (funzionali)Si può sospettare una sindrome delle apnee ostruttive del sonno quando

il grafico della capacita vitale forzata o valutare la concomitante presenza diuna broncopneumopatia cronica ostruttiva che configura il quadro della over-lap syndrome.

Anormalità dei gas ematici Fra i soggetti affetti da OSAS con normali testdi funzionalità respiratoria circa il 4,3% presenta ipercapnia diurna e il 6,5%ipossiemia diurna1-4.

Principi di trattamento

Trattamenti conservativi– Rimozione delle condizioni favorenti le anomalie funzionali delle vie

aeree superiori durante il sonno

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– Norme preventive:controllo ponderale, evitare alcolici, farmaci chedeprimono il tono dei muscoli delle vie aeree superiori.

– Dieta– Stimolazione gastrica– Il palloncino intragastrico o il bendaggio gastrico regolabile– La terapia farmacologica:ridurre i fattori di rischio (congestione nasa-

le, fumo, obesità), correggere i disordini del metabolismo(ipotiroidismo,acromegalia).

– Dispositivi ortodontici: dispositivi di ritenzione della lingua o per l’a-vanzamento mandibolare.

La pressione positiva5-8.La CPAP(Continuous Positive Airway Pressure) con diverse interfacce

(maschera nasale o Olive o maschera oro-nasale) rappresenta la terapia dielezione per le apnee ed ipopnee nel sonno.

L’ auto-CPAPha come caratteristica fondamentale l’autoregolazione dellepressioni da utilizzare in base alle esigenze del paziente, alla sua posizione eagli stadi del sonno.

Ventilatori a doppio livello di pressione (Bilevel)erogano flussi a doppiolivello di pressione positiva, una pressione inspiratoria (IPAP ) ed una pres-sione espiratoria (EPAP).

Le indicazioni secondo le linee guida AIPO sono:– AHI > 20 o un RDI > 30 anche in assenza di sintomi;– AHI tra 5 e 19 o un RDI tra 5 e 29 e in presenza di sintomi diurni o in

presenza di malattie cardiovascolari associate5-8

Terapie chirurgicheQueste sono per i soggetti giovani, russatori o con OSAS lieve/modera-

ta, con BMI < 30 e con sede della ostruzione o del collabimento ben identi-ficabile.

– La UvuloPalatoPharyngoPlasty (UPPP)9 e La laser-assisteduvulopala-toplasty (LAUP)

– La radiofrequency-assisted uvulopalatoplasty (RA UP).– La riduzione volumetrica della lingua.– La osteotomia mandibolare.– La miotomia e sospensione.– La osteotomia e avanzamento maxillo-mandibolare.– La tracheotomia,.– La chirurgia nasale

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Ossigenoterapia a lungo termine e ventilazione meccanicanon invasivaJosuel OraUOC Malattie dell’Apparato Respiratorio, Policlinico Tor Vergata, Roma

L’ossigenoterapia (OT), ovvero la somministrazione di supplementazio-ne di ossigeno, è la terapia d’elezione dell’insufficienza respiratoria (IR).Recentemente sono state pubblicate le nuove linee guida per l’ossigenotera-pia a lungo termine della BTS che mettono in luce le indicazioni dell’ossige-noterapia nelle diverse condizioni e per le diverse patologie [1]. Attualmentesi riconoscono 5 diverse modalità di prescrizione dell’ossigeno: 1) l’OT alungo termine per l’IR cronica 2) l’OT notturna per l’IR durante il sonno, 3)l’OT sotto sforzo, 4) l’OT ad uso palliativo per i pazienti con dispnea e pato-logie terminali e 5) l’OT somministrata per brevi periodi (minuti) utile peralcune patologie specifiche quali ad esempio la cefalea a grappolo.L’obiettivo principale dell’OT è quello di ridurre la mortalità, ma obiettivisecondari sono il miglioramento della qualità di vita e la riduzione della disp-nea.

La prescrizione più comune di OT è quella a lungo termine (LTOT).Nonostante la diffusa prescrizione di questa terapia le evidenze scientifichesono scarse e si basano sostanzialmente su due studi (il NOTT e l’MRC)degli anni ottanta [2,3]. Questi due studi hanno dimostrato che l’OT miglio-ra la mortalità nei pazienti BPCO con una PaO2 inferiore a 55 mmHg o conPaO2 tra 55-60 mmHg se presenti segni di cuore polmonare cronico quandoviene utilizzato per un tempo maggiore di 15 ore al giorno. Non ci sono evi-denze che in pazienti con PaO2 la prescrizione di ossigneo migliori la soprav-vivenza. Da questi due studi nascono le attuali indicazioni alla prescrizionedi ossigeno e per estensione e carenza di studi validati si attuano gli stessi cri-teri anche nella prescrizione di ossigenoterapia nelle altre patologie respira-torie e cardiache [1] .

Nell’insufficienza respiratoria con ipercapnia (IR di tipo 2) l’erogazionedi ossigeno al 100% con cannule nasali potrebbe peggiorare la condizione diipercapnia con acidosi respiratoria per la soppressione dei centri del respiro.Nonostante questa osservazione sia basata su meccanismi fisiologici ben stu-diati, sia gli studi sopracitati che altri studi successivi hanno dimostrato cheun’ipercapnia grave si sviluppa solo in pochissimi pazienti BPCO, per taleragione, basandosi anche su criteri economici di spesa economica, l’OT deve

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essere somministrata in prima istanza attraverso le cannule nasali e solo neipazienti che sviluppano ipercapnia l’erogazione deve avvenire attraversoflussi di ossigeno prestabiliti (maschera venturi) [4,5].

Nei pazienti ipercapnici una soluzione alternativa può essere la ventilazio-ne meccanica non invasiva. Ci sono diversi studi pubblicati che mostrano peròrisultati contrastanti. Difatti mentre alcuni studi dimostrano un miglioramentodella sopravvivenza, altri dimostrano un peggioramento della qualità di vita. Inaccordo con queste evidenze la ventilazione meccanica non invasiva (VMNI)dovrebbe essere riservata solo a quei pazienti BPCO con acidosi respiratoriaipercapnica o con frequenti accessi ospedalieri per IR ipercapnica [6].

Completamente diverso è per i pazienti con patologie neuromuscolari incui l’ossigenoterapia deve essere utilizzata solo qualora il disturbo non siacorretto con la VMNI.

Moltissimi studi dimostrano un effetto positivo dell’ossigenoterapiadurante l’esercizio nel migliorare la tolleranza allo sforzo. Di rimando nonesistono studi che dimostrino che l’OT sotto sforzo migliori la mortalità. Pertale ragione l’OT sotto sforzo dee essere prescritta in tutti i pazinti con IRcronica per aumentare la quantità di ossigeno somministrata durante il gior-no raggiungendo la soglia delle 15 ore, ma non deve essere prescritta routi-nariamente nei pazienti con IR sotto sforzo se non è presente una chiara evi-denza che questa prescrizione ne migliori la qualità di vita [1].

L’OT nei pazienti terminali è frequentemente utilizzata per ridurre ladispnea, ma anche questa modalità non viene confermata dalle nuove lineeguida, in quanto terapie farmacologiche o altre terapia quali ad esempio unsemplice ventilatore possono essere più efficaci nel migliorare la sensazionedi affanno.

L’OT è una terapia efficace, ma ha anche un impatto emotivo sul pazien-te ed economico per la società. La selezione del paziente sembra è sicuramen-te il punto focale della prescrizione dell’OT per evitare che da una terapiaefficace con importante impatto sulla qualità della vita e sul miglioramentodella dispnea, diventi un impedimento per il paziente nella vita relazionale esociale.

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L’ipertensione polmonare cronica tromboembolicaCarmine Dario VizzaCentro Ipertensione Polmonare, Dipartimento di Malattie Cardiovascolari eRespiratorie, Sapienza Università di Roma

Introduzione ed epidemiologia

L’ipertensione polmonare cronica tromboembolica (IPCTE) è una graveforma di ipertensione polmonare che si può manifestare tra 1 ed il 4% dipazienti che sopravvivono ad un episiodio di embolia polmonare (EP). Unastoria di pregressa trombosi venosa profonda può essere documentata in circail 60% dei pazienti con IPCTE.

Talvolta, il rapporto tra EP ed IPCTE non è ben definito: in alcuni pazien-ti non si riesce a riconoscere un episodio che possa essere riferibile ad unaEP. In tali casi, è spesso possibile identificare un evento (un dolore muscola-re agli arti inferiori, una pleurite atipica prolungata, un ricovero ospedaliero,un intervento chirurgico) seguito da una incompleta ripresa funzionale.

In un recente studio prospettico l’incidenza di IPTCE sembra essereintorno al 4%. In questo lavoro gli autori hanno seguito 314 pazienti conse-cutivi con diagnosi di EP, con un follow-up medio di 8 anni, per valutare ifattori di rischio per lo sviluppo di CTEPH.

L’incidenza cumulativa di CTEPH sintomatica era di 1.0% a sei mesi,3.1% ad un anno e 3.8% a 2 anni. Non si osservavano casi di CTEPH dopoi 2 anni di follow-up.

I fattori di rischio per la patologia:– pregressa embolia polmonare (odds ratio, 19.0);– età (odds ratio, 1.79 per decade);– ampio difetto di perfusione (odds ratio, 2.22 per decile di decremento

di perfusione);– embolia polmonare idiopatica (odds ratio, 5.70).I risultati di questo studio enfatizzano il ruolo di episodi embolici recidi-

vanti e di una situazione trombofilica come fattori di rischio per lo sviluppodi IPCTE.

In quest’ottica, un aspetto rilevante è la prevenzione di nuovi episodi diEP con una terapia anticoagulante adeguata.

Sintomi

Quando si instaura una IPCTE, la sintomatologia è analoga a quella delle

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altre forme di ipertensione polmonare: dispnea da sforzo ingravescente,ridotta capacità di esercizio, precordialgie, sincope. È stato rilevato un ritar-do fino a 3 anni tra i primi sintomi e la diagnosi.

Allo stato attuale delle conoscenze non sono note le cause di un’evolu-zione così subdola: è verosimile che concorrano un difetto del sistema trom-bolitico endogeno,5 nuovi episodi di tromboembolia, rimodellamento dellearterie polmonari di grande e piccolo calibro.

L’aumento del post-carico ventricolare destro finisce per causare unasevera disfunzione sistolica in quanto il ventricolo destro ha scarse possibili-tà di adattamento, l’ ipertrofia è inadeguata e si instaura una dilatazione, concomparsa di insufficienza valvolare tricuspidale e polmonare per dilatazionedegli anelli valvolari.

Quando sospettare una IPCTE

In mancanza di programmi di follow-up ecocardiografico dei pazienticon EP l’elemento che dovrebbe fare emergere il sospetto clinico di IPCTE èil riscontro di un peggioramento della dispnea in pazienti con episodi di EPidiopatica e ampi difetti di perfusione nella fase acuta.

L’iter diagnostico

Una volta documentata la presenza di ipertensione polmonare all’ecocar-diogramma Doppler, l’esame che permette di identificare la forma cronicatromboembolica è la scintigrafia polmonare ventilo-perfusoria, che consentedi evidenziare la presenza di un “mismatch” ventilo-perfusorio20 indicativodi una patologia vascolare polmonare.

Negli ultimi anni è stato proposto l’uso della sola scintigrafia perfusiona-le per le difficoltà tecniche ed organizzative nell’esecuzione di una scintigra-fia ventilatoria. Tale esame è stato sostituito da una radiografia del toracestandard che permette l’indentificazione di partologie parenchimali polmona-ri che riducono la ventilazione locale.

I pazienti con IPCTE presentano in genere difetti di perfusione multipli,di regola bilaterali, delle dimensioni di almeno 1 segmento polmonare.

Il ruolo della TC angio è fondamentale per la diagnosi di IPCTE, con taleesame è possibile rivelare materiale tromboembolico situato eccentricamen-te all’interno delle arterie polmonari prossimali dilatate, ingrandimento delventricolo destro, flusso collaterale tramite arterie bronchiali, esiti di infartopolmonare ed alterazioni del parenchima polmonare da pneumopatia ostrut-tiva o restrittiva.6 23

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Infine, l’esame emodinamico cruento va eseguito in tutti i pazienti in cuisia indicato l’intervento chirurgico.

Terapia

Il trattamento di scelta della IPCTE prossimale è la endoarectomia pol-monare polmonare, il trattamento medico “specifico” andrebbe riservato soloai casi di lesioni distali.

Terapia chirurgica

Il trattamento chirurgico della IPCTE consiste in un intervento di endoar-terectomia polmonare (PEA) e trova le seguenti indicazioni:

– classe NYHA III o IV per dispnea;– resistenze vascolari polmonari > 300 dynes x s x cm–5;– trombi chirurgicamente accessibili.La terapia chirurgica consente attualmente la rimozione di trombi croni-

ci prossimali a livello dei rami principali, lobari o segmentari.La controindicazione principale all’intervento consiste in una grave malat-

tia polmonare (caratterizzata da un volume espiratorio forzato – FEV1 – infe-riore al 30%) mentre l’età, la presenza di comorbidità, la concomitanza di coro-naropatia o valvulopatia costituiscono un incremento del rischio, ma non con-troindicazione, così come una grave disfunzione del ventricolo destro.

L’intervento è realizzato in sternotomia mediana comporta by-pass car-diopolmonare, cardioplegia, ipotermia profonda, arresto circolatorio; e con-siste nella rimozione di trombo organizzato e dotato di neointima, lasciandointatta la media e la maggior parte dell’intima nativa.

Nell’immediato periodo post-operatorio, esclusi gravi problemi emorragici,viene solitamente iniziata la terapia anticoagulante (che andrà mantenuta avita), ed inserito un filtro nella vena cava inferiore, ad eccezione dei pazienti incui l’embolia origina dagli arti superiori o dal cuore destro. La mortalità opera-toria è attualmente < 10%. Abitualmente la PAP si riduce, la gittata cardiacaaumenta, le resistenze polmonari diminuiscono entro 48-72 ore.

I pazienti con lesioni limitate a rami segmentari o subsegmentari non sonocandidati ideali per l’intervento di PEA, mentre quelli con lesioni trombotichesolo distali sono destinati al trapianto di polmone o alla terapia medica.

Terapia medica

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La terapia medica della IPCTE è indirizzata a ridurre il rischio di nuovieventi tromboembolici (terapia anticoagulante) e al trattamento dell’iperten-sione polmonare con farmaci specifici. In questo ambito è stato recentemen-te approvato il Riociguat, uno stimolatore della guanil ciclato solubile, che hadimostrato efficacia nel migliorare le condizioni cliniche e l’assetto emodi-namico in pazienti con IPCTE inoperabile o con ipertensione polmonare resi-dua dopo l’intervento di PEA. Il farmaco ha un buon profilo di sicurezza e ditollerabilità.

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TC ad alta risoluzione nello studio delle principali patologierespiratorieCarlo CatalanoDipartimento di Scienze Radiologiche, Oncologiche ed Anatomo-Patologiche,Sapienza Università di Roma

La TC ad alta risoluzione (HRCT) ha un ruolo centrale nello studio delleprincipali patologie respiratorie.

Le richieste di HRCT hanno spesso lo scopo di approfondire un quadroclinico non chiaro o che non trova corrispondenza con le indagini di primolivello come l’RX del torace; in questo caso la sua importanza sta nel permet-tere di visualizzare porzioni di polmone che normalmente sono di difficilevalutazione con l’RX del torace o di apprezzare sfumate alterazioni intersti-ziali (ispessimento reticolare, micronoduli centrolobulari o addensamentigroundglass) che non trovano spesso un corrispettivo nelle immagini radio-logiche standard.

Un’altra importante parte di richieste è finalizzata alla diagnosi e caratte-rizzazione delle patologie polmonari diffuse. Esse sono un gruppo eteroge-neo di patologie che spesso si presentano con caratteristiche cliniche sovrap-ponibili. Radiologi e patologi hanno cercato la chiave per avere la diagnosima solo combinazione di pattern radiologici e distribuzione spesso permet-te di ottenere una lista di possibili diagnosi che comunque vanno correlatecon i dati clinici ed eventualmente confermate con il quadro istologico.

I principali pattern radiologici sono:– pattern nodulare– pattern settale– pattern cistico– pattern alveolare (ground-glass)– pattern reticolare– honeycombingIl pattern nodulare è caratterizzato da noduli generalmente inferiori al

centimetro con distribuzione e caratteristiche variabili.A sua volta può essere suddiviso in base alle caratteristiche e alla distri-

buzione nel contesto del lobulo polmonare secondario (SPL). Il SPL è la piùpiccola unità strutturale del polmone delimitata da setti di tessuto connettivo,a morfologia grossolanamente poliedrica e delle dimensioni comprese tra 1 e2 cm. Ogni lobulo secondario è rifornito da un piccolo bronchiolo pre-termi-

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nale e da una analoga diramazione dell’arteria polmonare che decorronoparallelamente nella sua porzione centrale, e vengono pertanto definite cen-tro-lobulari. Alla periferia, nel contesto dell’interstizio inter-lobulare, trovia-mo, invece, le diramazioni venose ed i vasi linfatici.

Il pattern nodulare si distingue nei seguenti subpattern.– Noduli con pattern random: generalmente dovuti a patologie a diffu-

sione ematogena, più numerosi in periferia e alle basi e possono avere un fee-ding vassel ovvero un vaso arterioso che arriva nel nodulo. Le patologie piùfrequenti sono gli emboli settici o le metastasi polmonari.

– Noduli con pattern miliare: dovuti a disseminazione ematogena, pic-coli (< 5mm) e troppo numerosi per essere contati con distribuzione randomall’interno lobulo polmonare secondario. La radiografia del torace può esse-re negativa per le piccole dimensioni dei noduli. La patologia che caratteri-sticamente causa questo quadro è la miliare tubercolare ma altre patologiecome le micobatteriosi atipiche e le infezioni virali e fungine possono avereil medesimo pattern.

– Noduli con pattern centrolobulare: sono una manifestazione tipica dimalattie polmonari interstiziali bronchiolo-centriche o bronchiolitiche. Sonolocalizzati nel core broncovascolare del SPL ad almeno a 5-10 mm dallasuperficie pleurica o dalle fessure interlobari o dai margini dell’SPL, general-mente a densità ground-glass ed associati ad altri segni di bronchiolo-ostru-zione come aspetti tree-in-bud e attenuazione a mosaico (dovuta a fenomenidi air trapping). Tali noduli sono comuni nelle patologie con interessamentobronchiolare come la bronchiolite infettiva, la bronchiolite respiratoria, e lapolmonite da ipersensibilità subacuta.

– Noduli con pattern perilinfatico: localizzati intorno ai linfatici e allestrutture che li accolgono (interstizio peri-broncovascolare, nell’interstiziosubpleurico e a livello scissurale), sono piccoli e ben definiti (2-5 mm) e siassociano spesso a coinvolgimento dei linfonodi mediastinici. Le patologieche tipicamente si associano a tale pattern sono la sarcoidosi, l’inalazione diparticelle come la talcosi e la silicosi e la linfangite carcinomatosa.

Il pattern settaleè caratterizzato da un ispessimento dei setti interlobula-ri dei SPL visibili come brevi linee nella periferia del polmone che arrivanoalla pleura. Possono avere diversa morfologia: sfumati, nodulari, irregolari.

Le diagnosi più comuni sono:– Edema polmonare: sfumati.– Fibrosi polmonare: irregolare.– Linfangite carcinomatosa: sfumato o nodulare.

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Si può associare ad opacità ground-glass dando un quadro definito“Crazy paving” pattern inizialmente descritto nella proteinosi alveolare masuccessivamente riscontrato in altre patologie come la polmonite daPneumocistis jiroveci e la polmonite eosinofila cronica.

Il pattern cistico si caratterizza per la presenza di spazi contenenti aria (ofluidi) con pareti più o meno definite. Per gravità si ha maggior stiramento dellezone superiori quindi si localizzano prevalentemente a livello dei lobi superio-ri. Tutte le patologie che causano un pattern cistico aumentano il rischio dipneumotorace. La patologia di gran lunga più frequente è l’enfisema polmona-re. Altre patologie più rare, hanno caratteristiche specifiche come la granuloma-tosi a cellule del Langherans (associata a fumo, con multiple cisti dismorfiche)e la Linfangioleiomiomatosi (solo nel sesso femminile, non associata a fumo).

Il pattern alveolare si può manifestare con opacità ground glass o conconsolidazione parenchimale.

Le opacità ground glass sono caratterizzate da aumento dell’opacità delparenchima polmonare senza nascondere le strutture sottostanti e sono dovu-te a parziale riempimento degli spazi aerei o ispessimento dell’interstizio ocrescita tumorale con conservazione delle strutture parenchimali.

Nella consolidazione polmonare le strutture broncovascolari sono oscu-rate.

Le diagnosi più frequenti di opacità groundglass sono la polmonite atipi-ca, l’edema polmonare cardiogeno o non cardiogeno, l’emorragia alveolarediffusa, la polmonite da ipersensibilità, la polmonite eosinofila acuta. Nelleforme croniche ritroviamo le patologie del connettivo che si presentano conpattern di non-specific interstizial pneumonia (NSIP), la polmonite eosinofi-la cronica, la desqumative interstitial pneumonia (DIP), la lymphocytic inter-stitial pneumonia (LIP) e la proteinosi alveolare primitiva.

Il pattern reticolare è caratterizzato da innumerevoli piccole opacitàlineari intralobulari. Con la progressione della patologia si osservano ispessi-mento dei setti e bronchiectasie da trazione. Le principali patologie che sipresentano con questo pattern a livello prevalentemente dei campi inferiorisono la fibrosi polmonare idiopatica (IPF) che evolve in honeycombing e laNSIP. La polmonite da ipersensibilità cronica e la sarcoidosi possono avereun aspetto simile con interessamento prevalente dei campi superiori.

L’ honeycombing rappresenta l’end-stage lung disease con polmonedistrutto e sostituito da multiple piccole cisti (3-10mm fino a 2.5 cm) bendefinite della stessa grandezza imbricate tra di loro a grappoli associato abronchiectasie da trazione.

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La diagnosi è difficile perché in genere rappresentano quadri avanzati diuna patologia polmonare e la biopsia in genere non è dirimente. E’ un crite-rio fondamentale per effettuare la diagnosi radiologica di IPF ma può essereritrovato anche in forma meno evidente nella NSIP, nell’asbestosi, nella sar-coidosi al IV stadio, nella polmonite da ipersensibilità cronica o come esitoall’utilizzo di radiazioni ionizzanti a scopo radioterapico.

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Terapia del dolore nel paziente internistico: la rete del doloreo il dolore nella rete?Ranieri Vito Marco*, Stefano Brauneis*** DAI Anestesia e Rianimazione; ** Centro Hub Medicina del dolore cronicoPoliclinico Umberto I, “Sapienza” Università di Roma

Secondo la più recente definizione di IASP, Il dolore è un’esperienza sen-soriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o poten-ziale.

La coscienza dello stimolo dolorifico nasce da un sistema percettivosomato-sensoriale che trasforma qualsiasi noxa algogena in dolore per l’indi-viduo.

Il sistema di trasmissione del dolore ha, gerarchicamente, varie compo-nenti e sistemi che rappresentano il target dei trattamenti, nuovi e futuri, interapia del dolore acuto e cronico.

Soprattutto il dolore cronico rappresenta, per i suoi connotati di patologialunga e duratura, una sfida per gli specialisti di terapia del dolore e per il teamche si crea attorno ad essi, composto da figure con varie specializzazioni, for-mazione e compiti.

Il dolore cronico, la sua gestione e la sua cura, sono alla base di enormispese da parte dei paesi dell’UE e, nel particolare, da parte del SistemaSanitario Italiano. La normativa e la regolamentazione del rapporto sanita-rio-terapia del dolore è stata aggiornata e modernizzata dalla Legge 38 del2010 che determina i livelli organizzativi, le professionalità e le competenzealla base della rete di gestione del paziente con dolore.

L’Hub di terapia del dolore diventa un centro fondamentale a cui, inmodo capillare e sinaptico, afferiscono le informazioni relative al pazienteche diviene protagonista del percorso diagnostico-terapeutico. All’Hub siriferiscono le attività di spoke periferici e i contributi del MMG che operanosul territorio come primum movens del percorso assistenziale.

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Valutazione prognostica e terapia della polmonite acquisitain comunitàMarco FalconeDipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, Sapienza Università di Roma

I fattori di rischio per l’esito letale di una polmonite sono stati ben defi-niti in era preantibiotica: esiste una correlazione diretta con l’età, la presenzadi leucocitosi marcata, l’estensione delle alterazioni radiologiche, e l’assun-zione d’alcolici. Studi recenti continuano a mostrare che la maggior parte diquesti aspetti clinici, inclusi l’età e l’alcoolismo, costituiscono dei chiari fat-tori di rischio. È stato inoltre messo in evidenza come la presenza di uno statoconfusionale o di delirium al momento della diagnosi sia un fattore indipen-dentemente associato a morte. Un ruolo decisivo inoltre è svolto da patologiedi base quali i tumori, la riduzione delle difese immunitarie, la presenza dimalattie neurologiche, di scompenso cardiaco congestizio o di diabete melli-to. Anche la presenza di precedenti episodi di polmonite in anamnesi costi-tuisce un fattore di rischio aumentato. Fattori di rischio specifici sono costi-tuiti dalla presenza di infezioni causate da bacilli Gram negativi o daStaphylococcus aureus, e la polmonite post-ostruttiva o da aspirazione.

Curare a domicilio o ospedalizzare un paziente con CAP rappresenta unaimportante decisione, che assume soprattutto un alto valore prognostico. Perquanto si debba sempre considerare che i criteri suggeriti dalla letteratura nonsostituiscono il giudizio clinico, il medico che fa diagnosi di polmonite deveattivare un processo decisionale in cui vengono applicati criteri razionali evalidati scientificamente. L’applicazione degli indici di seguito richiamati hainfatti dimostrato di essere una strategia vantaggiosa sia per diminuire i rico-veri inappropriati per CAP, consentendo di individuare una maggiore percen-tuale di pazienti che possono essere gestiti a domicilio senza che ciò influi-sca negativamente sul decorso clinico, sia per definire la gravità della pato-logia e inquadrare i pazienti a maggior rischio di complicanze.

Il principale strumento di stratificazione prognostica della polmoniteacquisita in comunità è il Pneumonia Severity Index (PSI), validato su circa40.000 pazienti negli Stati Uniti. In base al punteggio PSI i pazienti con CAPpossono essere stratificati in diverse classi di rischio associate a una mortali-tà crescente a 30 giorni; un punteggio maggiore o minore di 90 discrimina ipazienti da ricoverare o che possono essere trattati a domicilio. Numerosistudi hanno comprovato l’efficacia di questo punteggio. L’applicazione di

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uno score come il PSI nella pratica clinica ambulatoriale e anche in ambien-te di Pronto Soccorso può però risultare complessa, per la varietà delle infor-mazioni richieste e la necessità di parametri laboratoristici oltre che clinici.Seguendo la tradizione per cui le raccomandazioni delle società scientifichebritanniche forniscono raccomandazioni di agevole applicazione nella prati-ca clinica, le linee guida della British Thoracic Society del 2004 hanno piùrecentemente stabilito dei criteri di ospedalizzazione che hanno trovato note-vole consenso, dimostrando percentuali di specificità e sensibilità paragona-bili a quelle del sistema PORT. Nel punteggio CURB-65 ad ognuna dellevariabili considerate viene assegnato un punto e la somma del punteggio defi-nisce la classe di rischio.

Anche il CURB-65 tuttavia ha dei limiti di applicazione poiché tende asottostimare il rischio di morte o di eventi avversi nelle classi di rischio piùbasse (0-1) e inoltre attribuisce un grosso peso all’età del paziente e tende adavere una minore sensibilità in pazienti giovani con polmonite grave. Perovviare ai limiti di questi punteggi è stato recentemente proposta una varian-te del CURB-65, chiamato Expanded-CURB, che è uno score di rischio cheoltre ai parametri del CURB-65 tiene conto anche di altri 3 fattori prognosti-ci ovvero l’aumento dell’LDH, la piastrinopenia < 100.000/mm3 e l’ipoalbu-minemia. L’expanded CURB ha dimostrato di avere una efficienza superioreal CURB-65 ma rimane uno strumento molto più semplice e rapido rispettoal PSI.

Il trattamento della polmonite è differente in base alla presenza o menodi fattori di rischio e alla gravità delle condizioni di base. Uno schema rias-suntivo di trattamento è riportato in Tabella.

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Gestione clinica della sepsiClaudio Maria MastroianniDipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, Sapienza Università di Roma

La sepsi rappresenta una importante causa di morbidità e mortalità neipaesi industrializzati e i cioveri per tale patologia negli USA hanno superatoquelli per infarto del miocardio e ictus. Si calcola a livello mondiale un’inci-denza annuale di più di 30 milioni di casi di sepsi con un numero di decessipari a 6 milioni di casi annui.

Attualmente la sepsi viene definita come una grave disfunzione d’organocausata da un disregolata risposta dell’ospite ad una infezione. Lo shock set-tico è invece un subset di sepsi in cui profonde anormalità circolatorie, meta-boliche e cellulari sono associate ad un più elevato rischio di mortalità rispet-to alla sola sepsi. Nella nuova definizione di sepsi non viene più inclusa lasindrome da risposta infiammatoria sistemica (SIRS) considerata troppopoco sensibile e specifica. Al contrario è stato preso in considerazione unaltro parametro il qSOFA score (quickly Sepsis Organ Failure Assessment)che è molto utile per definire la prognosi nei pazienti con sepsi. Il qSOFA sicompone di tre elementi: SBP <100 mmHg; RR> 22 respiri/min; alteratostato mentale. La presenza di 2 o più qSOFA criteri in un paziente con sospet-ta o presunta infezione è altamente indicativo di una prognosi sfavorevole.L’utilizza dei criteri del qSOFA sono utili per il clinico al fine di considerarela possibilità di una infezione se non precedentemente identificata, di valuta-re la presenza di una disfunzione d’organo, di iniziare una terapia antibioticaappropriata (o anche di fare una escalation), di considerare di incrementare lafrequenza del monitoraggio del paziente o inviarlo in ICU. In terapia intensi-va è meglio utilizzare il SOFA score che comprende anche altri parametri dilaboratorio e utilizzo o meno di vasopressori. I pazienti con shock settico pos-sono essere clinicamente identificati se, nonostante manovre rianimatorie,richiedono vasopressori per mantenere una pressione superiore a 65 mmHg ei lattati sono maggiori di 2 mmol/l.

In definitiva la gestione clinica della sepsi è una emergenza medica chedeve essere prontamente riconosciuta al fine instaurare tempestivamente unaterapia antibiotica appropriata (entro 1 ora), controllare il focus infettivo,instaurare se necessario un supporto ventilatorio/rianimatorio con supportoemodinamico e nutrizionale.

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Bibliografia

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Le infezioni fungine in Medicina InternaMario VendittiDipartimento di sanità Pubblica e Scienze Infettivologiche, Sapienza Università di Roma

Le infezioni fungine, in particolare le forme sistemiche o invasive (ina-vasive fungal infections, IFI), rappresentano un problema in continua evolu-zione della Medicina Moderna. Cinquanta anni i funghi erano quasi unacuriosità di laboratorio: in pratica si conoscevano solo la meningite cripto-coccica, come una patologia molto rara, e le micosi endemiche che non rap-presentavano un problema in Italia.

Alla fine degli anni 60, cominciarono le prime segnalazioni nei pazientiemato-oncologici in trattamento mielosoppressivo: vennero descritti i primiquadri sindromici di candidosi disseminata con il classico quadro di impegnoepato-splenico, “riconoscibile in ecografia o in tomografia computerizzata(TC), con il classico aspetto a formaggio svizzero”, ed i primi casi di asper-gillosi/mucormicosi invasiva con il quadro radiografico o TC di semilunad’aria indice della angio-invasione con seguente necorsi mista coagulativa-colliquativa.

Per circa 20 anni anni le IFI sono rimaste di pertinenza emato-oncologi-ca, poi sono iniziati i primi casi nei trapiantati d’organo e nei pazienti degen-ti in Unità di Terapia Intensiva (UTI). A cavallo del passaggio di secolo unapubblicazione di Luzzati et al (1) mostrava come le candidemie nei pazientiin UTI erano 105 volte più frequenti che nei pazienti in Medicina Interna e23 volte più frequenti che nei pazienti in chirurgia. Quindici anni dopo nellarealtà di alcuni ospedali italiani le candidemie hanno la stessa frequenza neipazienti Medicina Interna ed i UTI (2): come è possibile? In realtà l’identikitdei nuovi pazienti degenti in Medicina Interna è spesso un aggregato di fat-tori di rischio per candidemia: età avanzata, impiego di catetere intravascola-re centrale, o più frequentemente periferico, necessità di nutrizione parente-rale totale, malattie croniche (diabete mellito, insufficienza renale, neopla-sie), trattamenti immunosoppressivi e pressione antibiotica (3). Quest’ultimanon solo seleziona Candida, ma è causa spesso di colite da Clostridium diffi-cile: il danno infiammatorio mucosale in presenza di una intensa colonizza-zione intestinale da Candida, non fa che favorire la traslocazione microbicadel fungo e la successiva candidemia (4).

La mortalità per candidemia nel paziente di Medicina Interna è circa40%, e la morbidità è legata al rischio di metastasi secondarie, di cui la loca-

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lizzazione endoftalimitica è forse la più frequente: un esame del fundus oculiè irrinunciabile in questi pazienti all’esordio della candidemia e, successiva-mente a tre settimane, soprattutto quando la terapia prescenta è una echino-candina che non è in grado di penetrare a livello oftalmico (5).

Il trattamento delle candidemie deve essere precoce (possibilmente entro48 ore dall’esordio dell’inefezione) e, nei pazienti con instabilità emodinami-ca con farmaci fungicidi come le echinocandine o la amphtericina B liposo-male. Gli azoli, il particolare fluconazolo, rimangono farmaci di scelta se ilpaziente torna stabile e/o non ha avuto un esordio con shock settico.

Per le candidemie a partenza dall’apparato urinario, le echinocandinesono controindicate a causa della non eliminazione attraverso la via renale: inquesti casi bisogna preferire fluconazolo (non voriconazolo anche esso non aeliminazione urinaria) o la amphotericina B. (5)

Recentemente si è assistito anche ad un incremento importante dellaaspergillosi invasiva in Medicina Interna (6). Sono stati riconosciuti nuovifattori di rischio, oltre la granulocitopenia da citostatici, quali la terapia ste-roidea cronica, la cirrosi epatica di grado avanzato e la broncopneumotapiacronica ostuttiva. È stato anche riconosciuto un ruolo del virus influenzaleH1N1, in grado di accellerare la espressione della patologia fungina neipazienti predisposti inducendo a sua volta un aumento del grado di immuno-depressione (6,7).

I quadri radiologici nel paziente internistico sono diversi da classico pat-tern angioinvasivo sopra descritto per i pazienti neutropenici. In questi casi ilpattern “aero-invasivo” è caratterizzato da addensamenti parabronhiali,impegni tubulo-acinari “ad albero in fiore” opacità a vetro smeriglio perile-sionale.

Se non precocemente inquadrata e trattata anche la aspergillosi invasivapuò “accellerare” in una malattia intrattabile: la diagnosi precoce si basa sulsospetto clinico nei pazienti predisposti con quadro radiologico compatibilecorroborato dall’isolamento del fungho e di un elevato titolo del surrogatomarker, galattomannano, nel liquido di lavaggio bronchiale.

La terapia di scelta è rappresentato dal voriconazolo, somministrabile perendovena e per os, ma la cui adeguatezza va assolutamente validata dalladocumentazione di livelli di valle sierica compresi tra 1 mg/L e 5 mg/L. Neicasi gravi, fino a documentazione di livelli adeguati, va considerata la terapiaassociata con amphotericina B liposomale e/o direttamente questo ultimo far-maco se non si può monitorare la terapia con voriconazolo.

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Progressi delle nuove terapie dell’epatite CGloria TalianiDipartimento di Medicina Clinica, Sapienza Università di Roma

Negli ultimi anno abbiamo sperimentato un avanzamento formidabilenella cura dell’epatite cronica e della cirrosi da virus dell’epatite C(HCV)secondaria all’utilizzo di alcune molecole con attività antivirale diretta sulvirus . Queste molecole hanno un profilo di tollerabilità e sicurezza del tuttonuovo per cui il loro impiego ha esteso la possibilità di cura anche alle formecliniche più avanzate. I regimi attuali, somministrati con o senza ribavirina,permettono di raggiungere percentuali di risposta terapeutica sostenuta nel-l’ordine del 90% in quasi tutte le categorie di pazienti trattati, incluse quellestoricamente difficili da curare quali i cirrotici, i coinfetti con HIV ed ipazienti con precedenti fallimenti ad interferone e ribavirina, garantendo unprofilo di sicurezza e tollerabilità molto favorevole (1-2). Questo ha cambia-to il paradigma dell’eleggibilità per cui al momento attuale virtualmente nonci sono pazienti in cui la terapia viene sconsigliata o differita. L’unica cate-goria nella quale il risultato terapeutico è più limitato, con percentuali di era-dicazione che si attestano tra il 70 e l’80%, sono i cirrotici scompensati. Inquesti pazienti il bisogno terapeutico è rilevante perché la progressione dellamalattia prelude all’exitus, ma fin dalle prime esperienze di trattamento èemerso che l’eradicazione non determina un arresto della progressione e nonscongiura la morte in tutti i casi, per cui si può assistere all’aggravamentodelle condizioni cliniche del paziente e alla sua morte nonostante sia avvenu-ta la negativizzazione del virus, e purtroppo questo comportamento è statoosservato anche utilizzando i farmaci di ultima generazione quali la combi-nazione velpatasvir e sofosbuvir che pur essendo molto efficace, non sempreconsentono di invertire la progressione di malattia (3). Ciò ha sottolineatoche esiste un punto di non ritorno nella malattia scompensata da HCV che dauna parte rende futile il trattamento antivirale in quanto non è compatibilecon un cambiamento significativo della prognosi del paziente. Dall’altra riba-disce con forza la necessità di trattare tutti i cirrotici prima dello sviluppo discompenso o di complicanze gravi che rendano futile il trattamento.

I vantaggi dell’eradicazione virale sono ben riconosciuti e vanno dall’ar-resto della progressione di malattia che avverrebbe in assenza di terapia, alrimodellamento della fibrosi, anche nelle sue fasi avanzate, con possibileregressione della cirrosi (4), al miglioramento del profilo metabolico glicidi-

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co e lipidico (5), alla riduzione dei rischi extra-epatici di malattia HCV cor-relata – che in questi pazienti includono il rischio di malattie linfoproliferati-ve e cardiovascolari – alla riduzione del rischio di sviluppare epatocarcinoma(HCC). Il costo delle nuove molecole ha tuttavia imposto un vincolo per illoro utilizzo, riservandolo ai soli pazienti con malattia avanzata, corrispon-dente ad un grado di fibrosi F3-F4, o ai pazienti con malattia extra-epaticasignificativa che giustifica l’urgenza del trattamento.

Esistono ancora delle zone d’ombra, quali ad esempio la necessità diusare ribavirina in alcuni pazienti per aumentare l’efficacia complessiva deltrattamento, ma probabilmente anche questi problemi gestionali troverannouna migliore definizione con l’arrivo di nuove molecole antivirali.

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REALIZZAZIONE GENERALE: FENICIA EVENTI

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