Giornalino Il sorriso 2005 ok.p - Fraternità di Romena · Il sorriso del silenzio L'arte di ridere...

32
Foto: D. Guerrieri Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 - Arezzo - Anno IX n°2-3 / 2005 Il S orriso

Transcript of Giornalino Il sorriso 2005 ok.p - Fraternità di Romena · Il sorriso del silenzio L'arte di ridere...

Foto: D. Guerrieri

Tari

ffa

Ass

oc.

Sen

za F

ini d

i Lu

cro

: Po

ste

Italia

ne

S.P

.A -

In A

.P -D

.L. 3

53/2

003

(Co

nv. i

n L

. 27/

02/ 2

004

46) a

rt. 1

, co

mm

a 2,

DC

B/4

3/20

04 -

Are

zzo

- A

nn

o IX

n°2

-3 /

2005

Il Sorriso

trimestrale -Anno IX - Numero 2-3 - Settembre 2005

REDAZIONElocalità Romena, 1 - 52015 Pratovecchio (AR)tel./fax 0575/582060

DIRETTORE RESPONSABILE:Massimo Orlandi

REDAZIONE e GRAFICA:Simone Pieri - Alessandro Bartolini - Massimo Schiavo

FOTO:Massimo Schiavo, Daniela Guerrieri,Claudio Notarstefano

HANNO COLLABORATO:Luigi Verdi, Pierluigi Ricci, Stefania Ermini.

Filiale E.P.I. 52100 ArezzoAut. N. 14 del 8/10/1996

www.romena.ite-mail: [email protected]

Primapagina

Imparare la leggerezza

Chiamati alla gioia

Il sorriso del silenzio

L'arte di ridere

La pace dove non la immagineresti

Riso

Le nostre Veglie

E Dio divenne finalmente bello

Pubblicazioni

Le preghiere di don Luigi

Graffiti

Avvisi

Massimo Orlandi

“Che tipo sono, per te?” “Sei una persona sorridente”. La domanda la facevo io, la risposta no, ma se avessi potuto sceglierla avrei di sicuro voluto un altro aggettivo, più capace di smuovere le mie coetanee. Mi sarebbe piaciuto, che ne so, affascinante, intri-gante, deciso, anche semplicemente carino. Sorridente. Ma che me ne facevo? Beatissima gioventù. Il sorriso non me lo vedevo, partiva da solo, non mi sembrava una gran qualità. In quegli anni in cui si scopriva il mondo e il mondo scopriva noi, quell’im-magine non mi sembrava un gran biglietto da visita per l’ingresso in società. Che bischero, direi oggi, scegliendo con cura l’aggettivo. Guardate che è utile sentire ogni tanto che immagine ha la gente di noi. Spesso sorprende.In questo ‘circo di specchi’ che sono i rapporti umani, mi sono così visto recentemente come una persona un po’ pensierosa, tendente all’intellettuale, anche se per fortuna non noiosa, accogliente e aperta nei modi però, diciamolo, poco portata per il gioco. Sorridente no, non l’ho più sentito. E, devo dirlo, mi manca.Mi è sempre piaciuto, quando giro in paese o vedo gli amici, anticiparli con il mio saluto.Però oggi il mio sorriso lo riconosco quando parte, sono io che lo chiamo, e lui esce, spesso un po’ spento, come quei sorrisi impalati delle carte di identità. E' la testa che guida, disciplina, organizza: non che il sorriso non sia sincero, è meno spontaneo, tutto qui. Chi lo riceve lo coglie come un fiore artificiale: bello, ma senza profumo.Dov’è il mio sorriso? Dove l’ho perso? Dove si perdono i sorrisi? E come si ritrovano?Credo che il sorriso si sia perso per la troppa smania di crescere, per la troppa voglia di maturare. È come se avessi messo troppa roba dentro la mia valigia di pellegrino, e tutto in quel momento serviva, solo che la valigia è diventata troppo pesante, e il sorriso è rimasto in fondo. Non ce la fa proprio a venir fuori. Mio nipote, che ha un anno, mi sta aiutando parecchio: nessuno come un bambino sa frugare in fondo alle valigie. Mi aiuta anche il mio cane: quando mi vede si mette a panciain giù e poi si scatena in una danza di salti. Ecco, mi dice, lo vedi come si fa!Noi uomini, soprattutto, rischiamo di sbagliare perché pensiamo che la vita debba andareavanti di progetto in progetto, di conquista in conquista. Invece la vita è anche un passo di danza, è anche una festa non segnata sul calendario. E il sorriso ci misura, ci dice se esistiamo davvero o se esiste solo una parte di noi, quella ancorata ai nostri pensieri. Quando il regista Mario Zanot telefonò a Tiziano Terzani per chiedergli un’intervista, pochimesi prima che il grande giornalista morisse, Terzani rispose: “Ma, vieni, al massimo ti faròuna risata”. Il documentario su Terzani inizia e finisce così, con una bella, sana risata.Questa è la vera saggezza. Far vibrare le cose grandi e piccole, in armonia. A dirlo non sembra difficile. Ma smontare le nostre complesse costruzioni di ragione e di paura, non è così semplice. Di sicuro non ci si riesce con una tecnica. Serve piuttosto un abbandono, una disponibilità a offrirsi, a rimettersi in gioco. Senza fretta. Saulan saulan, piano piano, dicono i tuareg. Non c’è nulla da buttar via di quello che si è, si tratta solo di mollare un po’ la presa, di lasciare che un vento leggero scompigli la nostra rigidità.Vogliamo provarci? Il sorriso non si è mai perso. Ci attende, ne sono sicuro. In un luogo imprevisto, in un giorno inatteso è pronto, di nuovo, a illuminarci il viso.

4

I più critici della nostra fraternità, quandovogliono ferirci mi dicono: “Ma non vedi chela gente che viene da voi non cerca Dio?”.Io dico: è vero cercano felicità, un abbraccio,un sorriso. Ma Dio non è questo?"Anche la santità è una tentazione" dicevaqualcuno in fondo al capolavoro di Tolstoj«Padre Sergio».Alcune persone si sentono irresistibilmenteattratte dalla nobiltà mo-rale.È difficile capire se è unaspinta sincera, generosa,altruista o se si tratta diuna forma patologica dimegalomania.Sopporto sempre menoquesta apparente santità,questo moralismo che di-vide, tutti coloro che vo-gliono essere più cristianidi Cristo o più spiritualidello Spirito Santo.A questi eletti la vita pared’improvviso mediocre, in-giusta, ripugnante e devo-no punirla in nome dellaperfezione. Credo che lasantità non è una pomatastesa per bene ma è lotta per le ingiustizie,è sopportare e togliere le spine, è curare lepiaghe, è coltivare e custodire un sorriso chenasca come un frutto spontaneo.Il sorriso è il primo passo nel cammino versola felicità, una felicità che non è l’edonismogratuito dei nostri giorni, l’arraffa arraffa deicapricciosi o dei viziati, ma è la sostanza pri-ma della vita, la forza naturale che consentea ogni individuo di diventare ciò che è.Spesso abbiamo sorrisi di un momento, senzafascino.

Quei sorrisi che vanno e vengono, quelli dicircostanza, quelli che vogliono far mostradi sè. Quando i riflettori li perdono di vista,si perde il sorriso.A volte ci sono anche sorrisi che non sono dicircostanza, sono veri, ma subito inghiottitisenza pietà da altri pensieri che assalgono.Vedi accendersi un sorriso. Ma subito sispegne.

Come sopporto pocol’ipocrisia e il moralismo,devo dire che sopportopoco quando il mio sor-riso va e viene come unameteora.Giovanni il battista vide ungiorno scendere su Gesùlo Spirito nelle acque delGiordano nella fila deipeccatori. Non era unospirito che andava e veniva.Era spirito che rimaneva.«Vidi» disse Giovanni «LoSpirito scendere su di lui erimanere».Oggi c’è una sorta diaridità, frutto di prosciuga-mento, che non ti consenteil “Sorriso che rimane”,

ma solo quello comandato, forzato.Mi chiedo da dove nasce e come mantenereil sorriso che rimane?Credo che nasca e si mantenga quando ab-biamo lottato e raggiunto o mai sciupato laleggerezza, la trasparenza, la spontaneità ela gioia.Sì, bisogna essere forti per essere infinita-mente dolci, per avere un sorriso spontaneoche profumi di futuro senza il bisogno chela ragione ci consoli.Questa naturalezza credo che sia eterna.

"La gioia mi fa pensare all'ulivo.Non c'è pianta così tormentata, ha le radici nel sasso; non si sa di che vive, poi lo stritolamento dell'oliva... e finalmente l'olio.la gioia".

Sorella Maria di Campello

Foto: P. Zani

6

Vedete, voi siete giovani e attraversate momentidi incertezza, di smarrimento, di dubbio, avvici-nate le grandi o le piccole filosofie degli uomini,incontrate degli uomini che dicono io credo in Dioe incontrate uomini che vi dicono io non credoin Dio, trovate dei movimenti che vi indirizzanoverso una fede in Dio e movimenti che vi diconola fede in Dio è un’alienazione. Per sapere qual’èil movente di tutti questi movimenti, cioè l’anima,lo spirito, l’idea ispiratrice di questi movimenti,quando voi volete conoscere questi uomini.dovete domandar loro: per te chi è Dio? E alloraritorniamo al gesto semplicissimodi Cristo: egli ci dice che Dio è ilpane, egli ci dice che Dio è il vino.Pensate a che grande definizioneè questa, e non è una definizioneintellettuale, scientifica, raziona-le, di Dio. Quando incontriamoCristo e gli domandiamo chi ècolui in cui credi, egli prende ilpane e ci dice questo è Dio, prendie mangia. Egli prende il vino, lo mesce nel calicee dice bevi, questo è il sangue di Dio. Allorachi è Dio, è il giudice insindacabile delle nostreazioni, è colui che ci perseguita per tutta la vitaper esaminare e pesare le nostre azioni? No, Dioè il pane, e Dio è il vino. Non è il giudice dellenostre opere, il giudice dei nostri pensieri, coluiche misura quello che noi sentiamo e quello chenoi pensiamo e quello che noi facciamo, ma Dioè l’alimento di tutta la nostra vita, è la speranzadella nostra speranza, è il canto di tutti i nostricanti, è la poesia di tutte le nostre poesie, è quellaforza che ci spinge ad andare sempre più avanti,oltre tutte le nostre piccole realizzazioni.

Ecco, mangiando Dio nella Chiesa, nella Messa,noi dobbiamo diventare come Dio, pane; e beven-do il sangue di Cristo, noi dobbiamo diventarecome Cristo, un sangue che diventa vino per lagioia, il canto, i sogni più grandiosi di bellezzache possono sorgere nel cuore dell’uomo. Ilcristianesimo è canto, il cristianesimo è libera-zione, il cristianesimo è gioia, il cristianesimo èla partecipazione più entusiastica, direi orgiastica

al mistero della vita. Un cristiano che non portagioia, che non porta pace, che non porta fiducia,che non porta speranza, attraverso la donazione dise stesso agli altri, non è cristiano. E’ un cristianoche chiude Iddio nello scrigno del suo cuore, maquel Dio che ha racchiuso nel suo cuore e sulquale si consola e si commuove non è un Dio, èsemplicemente un idolo costruito dal suo io.

Il nostro Dio è al di là di tutte le nostre costru-zioni, il nostro Dio è il canto dei nostri canti, lasperanza della nostra speranza, la libertà dellanostra libertà, il sogno più grande che noi uomi-

ni possiamo sognare. E quandoraggiungiamo l’ampiezza delsogno di Dio, Dio è sempre oltreil nostro sogno. Dio è vita e pie-nezza di vita, e la nostra vita èsempre piccola e sempre limitataperché siamo creature chiuse inun piccolo cerchio di tempo e dispazio. E quando raggiungiamoi confini del nostro tempo e del

nostro spazio Dio è sempre oltre.

Sentitelo fortemente, questo. Un giorno voiamerete, o già amate, ma Dio è oltre tutti i vostripiccoli amori ed è la pienezza di quel vostro amo-re ed è quel sogno che nel vostro piccolo amorevoi credete di attuare ma che attuerete soltantoquando il vostro amore sarà insoddisfatto dellesue realizzazioni e tenderà sempre a misure e aspazi sempre più vasti e sempre più sconfinati.

Ecco, questo volevo dirvi, siamo chiamati allagioia, la vita è una gioia e la gioia viene con-quistata attraverso il superamento di noi stessi.Siate implacabili in questo, non vi chiudete maiin nessuna forma, in nessuna costruzione, innessuna ideologia, perché il nostro Dio è il Diodei viventi e la vita è sempre oltre tutte le formepossibili.

Dio è pane e noi dobbiamo essere pane; Dio èvino, più buono del vino del Chianti, è vino enoi dobbiamo nella vita essere vino, principio digioia e di canto.

"DIO È IL CANTODEI NOSTRI CANTI,

LA SPERANZADELLA NOSTRA SPERANZA,

LA LIBERTÀDELLA NOSTRA LIBERTÀ"

"II piccoli si rallegrano di tutto.Perciò dobbiamo ricercare

quasi con sforzo tutto ciò che dà gioia,

che può dissipare nebbie, malumori."

Foto: M. Schiavo

8

IL SEGRETO È TUTTONEL MODO DI LEGGERE

CIÒ CHE CI ACCADE.L' ESSERE UMANO

HA BISOGNO DI SENSO, NON DI UNA VITA

SEMPRE SOTTO CONTROLLOE SEMPRE A POSTO.

Dal giorno dopo in cui Gesù era salito al cielotutti si sono ingegnati a rendere la vita più seria,più impegnata, più responsabile. Un po’ forse perrendere giustizia al suo messaggio e al suo sacrifi-cio, un po’ per richiamare la mente di tutti a quellarealtà chiamata: “la porta stretta” attraverso cui sipuò accedere alla vita. Come se ci fosse propriobisogno di ricordarcelo ad ogni passo che la vitapuò anche essere in certi momenti veramente dura.Ma Gesù non era forse venuto per rivelarci che ladurezza e la pesantezza sono condizioni passeggeree come tali da trattare, imparando aguardare oltre?Anche in altri contesti, un po’ in tuttii tempi è accaduto questo. L’essereumano, istintivamente e forse per abitudine, pur desiderando il piaceree sognando cose belle, ha poi finitoper specializzarsi in doveri, regole epaure. Al punto che se oggi pensi allaleggerezza, al sorriso ti sale l’idea diessere un gran superficiale, uno cherifiuta l’impegno. Osserva un po’: chi ha costruitodottrine intorno ai piaceri della vita, ha poi dovutosepararsi dai valori più alti, come se si trovassedinanzi a due strade inconciliabili.Ma per volare bisogna essere leggeri, per “uscire dallabirinto bisogna essere felici quando ci si è dentro”come suggerisce la frase di Michael Ende, scritta inmolti angoli della canonica di Romena. Ed è comedire: per essere felici, bisogna esserlo prima, bisognaanticipare questo stato mentale e spirituale, ognivolta che ci ritroviamo a terra. Questa non si chiamabanalità, si tratta piuttosto di maturità e richiedecammino, palestra e perché no, impegno.Ho spesso cercato, così per facilitarmi le cose, unmanuale della leggerezza, scoprendo che al mondonon ne esiste uno serio. Poi l’ho scoperto negli in-segnamenti della gente di cuore, delle persone piùsemplici. Di quelle che sembrano che non abbianomai niente e che magari sono alle prese con problemigrandi e difficili. E per prima cosa ho imparato chenon serve ostentare la propria sofferenza e che èsbagliato attaccarsi ad essa come ad una bandiera cheti assicura molti diritti: quello di potersi lamentare,quello di rifornirsi di mille alibi per non fare e peraspettare le cose dagli altri, quello di poter scaricareaddosso al mondo tutta la nostra frustrazione.

Per imparare la felicità bisogna togliersi da quellamassa di persone che si fanno soffrire così senza unpizzico di speranza, forse per strappare agli altri unpo’ di considerazione in più. A volte è utile girareal largo piuttosto che attardarsi lì. Bisognerebbeimparare a fare pettegolezzo delle cose positive,prestare attenzione ai nostri risultati, coglierci mentrefacciamo delle belle cose e premiarci per queste.Anche le persone vicine a noi hanno bisogno disentirsi osservate mentre fanno cose giuste, hannobisogno di sentirsi dire che le abbiamo viste e che

piuttosto non abbiamo fatto caso ailoro errori.Tutto questo non è buonismo, èuna filosofia che ci cambia la vita:si impara così ad allenare un’otticanuova. La mente va dove va il nostroocchio e la mente riproduce ciò chevede. Le cose non accadono a caso:ognuno materializza, nel bene enel male, tutto ciò a cui presta piùattenzione, tutto quello a cui dà più

credito, a cui dedica più tempo.Che senso ha quindi dar tanto peso agli episodi ne-gativi, che in realtà rappresentano una parte minimadi noi? Perché invece di chiamarli “fallimenti” noncominciare a vederli come “esperienza”? Moltospesso siamo anche un po’ buffi: se sbagliamo qual-cosa ce ne prendiamo tutta la responsabilità, fino acolpevolizzarci, se ci capita qualcosa di buono diamoil merito agli altri, al caso,alla fortuna.La felicità in effetti non viene dagli eventi, cosìfatalmente altalenanti per chiunque. Non sono loroa farci male, ma è il modo con cui noi li soffriamoche ci porta depressione e pesantezza. Il segreto ètutto nel modo di leggere ciò che ci accade. L’essereumano ha bisogno di senso, non di una vita sempresotto controllo e sempre a posto. Si è leggeri quandosi è convinti che tutto ciò che ci capita serve a qual-cosa, ha una sua utilità, anche se al momento tuttociò potrebbe esserci poco chiaro.Dirci questo nella giornata più nera, anticipandouna soluzione che ancora non c’è, muovendoci ecomportandoci “come se” fossimo già fuori dai guai,è esperienza di leggerezza e di maturità insieme, èessere un po’ profeti e un po’ giocherelloni, è di-ventare con la faccia da bambini veramente padronidella nostra vita.

Mark Twain

Le rughe dovrebbero indicare soltanto dove sono stati i sorrisi.

Foto: J. Homer

10

IlIllIlIl peccato più grave è non desiderare di essere feli-ci, non cercare di essere felici. Ricordo una poe-sia di Jorge Luis Borges. Diceva: ho commesso il peccato più grave, non sono stato felice.Mi ha molto colpito que-sta frase. Abbiamo il do-vere di cercare di esserefelici e il dono degli ar-tisti è entusiasmare alla vita. Questo è quello chedeve fare un artista, en-tusiasmare alla vita nellaconsapevolezza che c’èla morte, c’è il nulla enoi siamo nulla. Deve essere consapevolel’artista, se no sarebbe un bischero.

La comicitàLa i itàL’impulso dentro di me è fare il tragico, manon c’è niente da fare, la carne è fatta in ma-niera comica. Proprio le poppe, i peli che c’hoaddosso mi si muovono in maniera comica.

a una di quelle cose tragiche, ma propriopesanti. Poi le ginocchia, le cosce partono in maniera comica e mi ributto sul corpo.

A me le battute non fan-no ridere, mi fanno ri-dere le facce. Le battutenon fanno parte del miostile. Se io dico al mi’ babbo: “A tutto resistofuorchè alle tentazioni”,si immalinconisce allabattuta, se gli faccio ve-dere uno che cade, luiride. La comicità deveessere intestinale.

lele

Vedere l’altro lato dellecose, il lato surreale edivertente, o riuscire a

immaginarlo ci aiuta a non essere spezzati,trascinati via come fuscelli, a passare lanotte, anche quando appare lunga lunga.

Il nIlIl nIl niente, la gaiezza, la gioia del niente!

-te più potente non dire niente, essere puro stile! Come si sta bene nel corpo quando ci si sente stanchi per non aver detto niente! Essere perfettamente inutili. Perfettamen-te. Mai sporcati da un’idea, diceva James.

Roberto…Roberto annuncia la grande attrice. C’è un omino piccino che cammina sullepoltrone, del grande teatro parato a festa, è solo corpo e emozione, è sorriso e lacrime.E’ la sera dell’Oscar, e il corpo esile di un omino di Vergaio muove la pancia e il cuore di tutto il mondo. Ha scritto di lui Enzo Biagi: “Per me è un genio. Lo è per come parla, chefantasia, per come si muove, che burattino, per l’innocenza della sua scurrilità, perchédiffonde un senso di libertà e di allegria”. Nella sua comicità c’è tutto: corpo e anima,spirito e terra, gioia e dolore, prosa e poesia. E tutto questo abita anche in queste piccoleperle, pescate nel mare della sua straripante eppure finissima allegria.

La terra e il corpoIl mio babbo col corpo può scrivere delle poesie, il corpo insomma è una zolla. Si confonde, si mimetizza con le zolle, il mio babbo. Non c’è nessuna differenza. E in-fatti ci sono persone che si tirano le zap-pate sui piedi o si tagliano le dita con le falci perché si confondono con la natura. Si tagliano, entrano dentro le falciatrici, muoiono, fanno parte delle zolle.

L’esistenza di DioIl cervello non è lo strumento adatto per dimostrare l’esistenza di Dio. È come voler sentire il sapore del sale col naso.

Dopo la vittoria dell’OscarRingrazio i miei genitori per avermi dato il dono della povertà. Li ringrazio perché mi hanno fatto essere un bambino felice, con un grande senso del mondo, della natura, mi hanno insegnato tutto questo e io per questo sarò loro grato per tutta la vita.

Il cielo stellato

fra tante cose, ci ha insegnato come si deve vivere. Diceva: “Vorrei andare con il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me”. Noi abbiamo in prestito

bene allora a chi è la persona più puli-ta, più bella, più capace, su cui non ci siano ombre né dubbi. Allora sì che uno è a posto, guarda un cielo stellato lumi-nosissimo sopra di sé e una bella legge morale in sé; si addormenta tranquillo la notte e di sicuro ha preparato un bel

L’emozione più grandeLa mia più grande emozione da bambino è stata quando ho visto sorridere qual-cuno su una cosa che avevo accennato. E allora mi è rimasto impresso quel sor-riso, avrei voluto ripetere per tutta la vita quel momento.

12

di Stefania Ermini

Swami Veda Bharati arriva a Romena ornato di arancio,avvolto in un sorriso zafferano.Porta il fresco e l’aria delle colline de La Verna, dovenei giorni precedenti ha tenuto un corso di meditazionee yoga. Swami Veda ha studiato le scritture di tutte lereligioni e insegna la meditazione alle popolazionidi fedi differenti - Induisti, Ebrei,Buddisti, Musulmani, Cristiani,Sikh - derivandola dalle loro stes-se scritture e dalle loro tradizionimeditative.Entriamo nella Pieve, in questoassolato pomeriggio di giugno. Unpomeriggio che è stato accompa-gnato dagli esercizi spirituali diPadre Vannucci e dalla Messa. Un pomeriggio cheabbraccia, adesso, questo silenzioso, sorridente uomodi zafferano vestito.Nella pieve, Swami si accomoda nella posizione delloto ai piedi dell’altare. Le persone che lo hannoaccompagnato si muovono, oscillano da destra a sini-stra, per sistemargli il microfono, versargli l’acqua, ilthe. Lui sorride, incrocia le gambe, chiude gli occhi.Sorride ancora. Fermo, immobile, quieto, protetto dalsuo stesso sorriso.Inizia l’incontro. Le voci delle persone intorno a Swa-

mi, raccontano la sua storia, i suoi viaggi, il significatodel suo nome, i luoghi dove porta le sue meditazionie il suo yoga.Scopriamo così che Swami Veda Bharati è impegnatoattivamente nel dialogo fra le religioni e fa parte delParlamento mondiale dei leader religiosi presso le

Nazioni Unite. Dirige due luoghidi ritiro (ashram) a Rishikesh, sullerive del Gange, in India.Scopriamo così che Swami significaessere monaco, Veda conoscenzae che Bharati è colui che ama lasapienza.E mentre le voci scoprono Swamiagli occhi della gente, la gente

sperimenta la sua meditazione, attende la sua voce,divorandola come fosse ad un banchetto di nozze.La sento anch’io quella voce che mi guida. Fa sorrideretutti i miei muscoli. Il mio viso si rilassa, il corpo ab-bandona ogni difesa, il respiro diventa lieve, avvertendoanche il profumo di chi mi circonda.Swami vuole portarci il messaggio della tradizionehimalayana orientale. Ci racconta della necessità diliberare l’uomo da ogni paura, di rendere consapevoleogni uomo della propria realtà interiore, del bisognodi essere autentici e dell’enorme opportunità di cre-

C' È SOLO UNOCHE SORRIDE IN TUTTI I VOLTI.

AMANDOLO, AMERAI TUTTI

SENZA ESCLUDERE NESSUNO

Swami Veda Bharati

scita che ha l’uomo trasmettendo la spiritualità dellapropria religione. “Per rendere dunque l’uomo privodi paure, libero, puro e spirituale”, ci indica Swami,“ è necessario che l’uomo stesso e dunque, ognuno dinoi, si sistemi davanti a Dio faccia a faccia, cuore acuore. Ma ricordiamo che ogni volta che ci sediamo ameditare di fronte a Dio, di cui noi siamo il tempio, einiziamo a respirare, è Dio stesso che respira!”Una grazia appare sulle sue labbra, prefazione ad unacascata di parole fresche, tenere che aprono, prepara-no le persone nella Pieve ad accogliere una pace piùprofonda.Swami riprende col suo sorriso. Il sorriso del silenzio. “Il linguaggio del Dio, di tutte le reli-gioni è un linguaggio di silenzio. Offriuna canzone e lascia che diventi cosìleggera che solo la tua mente potràcantarla. Tu puoi sederti di fronte aDio e iniziare a parlare con lui. Dio tiascolta e poi dice: io lo so già quelloche mi stai raccontando, non hai bi-sogno di ricordarmelo. Ora vuoi starein silenzio e ascoltare me?”Nel lieto silenzio della Pieve, Swa-mi ci ricorda così che non abbiamoorecchie per ascoltare il silenzio. Ilnostro sforzo dovrà essere invecequello di ascoltare le parole di Dionel silenzio.Ancora con i suoi sorrisi Swami racconta che in tuttele galassie, in tutti i sistemi solari, in tutte le ruotedel mondo, nel centro, c’è un punto immobile e tuttal’energia esce e si diparte da questo punto immobile.Se quel punto immobile dovesse muoversi, tutte leruote del mondo si scombinerebbero e ritorneremonell’oscurità e nel caos.“Non è che le vostre menti siano disturbate” ci assi-cura Swami “non è che voi non possiate ascoltare lacanzone del silenzio della vita, è solo che in tutto ilmuoversi del mondo avete dimenticato che al centrodi voi stessi c’è un punto immobile. San Francescocamminava, Gesù ha viaggiato, ma essi rimanevanocostantemente sintonizzati con questo punto immobile.In quel punto risiede Dio.Dio non dice credi in me. Dio dice impara ad esserealla mia presenza. In quella silenziosa presenza viriempirà di una luce di amore e nella vostra mentedisturbata inizierà a fluire un flusso profondo di calma.E quando avrete visto il brillio della luce di Dio nondimenticherete mai. Anche camminando nelle strade

del mondo ricorderete questa luce come l’innamoratodel Cantico dei Cantici.Non abbiate paura di Dio. Colui che è entrato nelsilenzio di Dio non ne ha paura, perché nell’amorenon c’è paura.Diventerete una persona che ama Dio.Amate Dio come la Madonna ha amato Gesù.Lasciate che il bambino Dio cresca dentro di voi. Enon parlate. Parlate a Dio sedendo in sua presenza esentite come Dio respira in voi”.Apro di nuovo gli occhi. Vedo ancora il suo sorriso.Richiudo un’altra volta gli occhi mentre adotto unlieve sorriso sulle labbra. Immagino di espanderlo a

tutto il corpo. Credo che tutto il miocorpo stia sorridendo e sia lieto allavoce di Swami, lieto alle sue paroledi speranza, di amore.L’incontro sta terminando. SwamiVeda Bharati ringrazia la fraternitàe Gigi che sta facendo così tanto perinsegnare la fede oltre le religioni,importante messaggio d’amore per l’umanità.In questo impegno della FraternitàSwami ritrova l’incontro: anche ilmessaggio dei maestri himalayaniè un messaggio di spiritualità oltrele religioni.

Sorride ancora, Swami. Il suo silente sorriso ci ab-braccia ricordandoci che la Fraternità di Romena èun luogo sacro. Sacre sono le colline da cui è cullata.È in queste colline che ha camminato San Francescoportando il suo messaggio di fraternità fra tutti gliesseri viventi.“Le religioni cambiano” rivela dunque Swami “I luoghirimangono sacri. Sacri per gli etruschi, i greci, i romanie i cattolici. Tra mille anni questo luogo rimarrà sacroe quelli che entreranno qui sperimenteranno lo stessosilenzio indipendentemente dal nome della religione.Possa questa santità fluire in ogni respiro della vostravita. Possa questa unità di Dio continuare”.Un ultimo sorriso. Questa volta espresso, dichiarato,abbracciato. Gigi si alza, si siede a fianco di Swamioffrendogli il simbolo della Fraternità. Poche parole.Lo ringrazia per il suo sorridente distacco, per la suamitezza, per questa sua compassione verso tutti gliesseri viventi.Ancora sorrisi, narrati, celati. Un abbraccio. E l’attesadi un tempo in cui la terra santificherà l’amore oltreogni religione.

13

14

*

Durante il trasporto dell’arca verso Gerusa-lemme, Davide balla, suona, ride davanti al corteo e con lui tutti gli altri. Ride: questo è il verbo allegro e sfrontato, non lo si può aggirarene ridurre a un festeggiamento. E una risata prolungata e scatenata da parte di un re che per primo ha conquistato la città santa, e vi sta conducendo la più preziosa manifattura sacra, la cassa di legno di acacia con le tavole della legge. Suoni, canti, salti, balli e risa la precedo-no e l’accompagnano. Micàl figlia del defuntore Saul e moglie di Davide vede la scena dalla finestra e si vergogna di lui, del suo scompostoatteggiamento di buffone, di saltimbanco di Dio. Gli va incontro amareggiata; glielo dice in faccia rimproverandolodi essersi diminuito, di aver perso regalità al cospetto deisuoi sudditi. È stata educatada principessa e vuol dare unalezione di comportamentoallo sposo che invece vienedal mestiere di pastore. Da-vide rivendica di aver risodavanti a Dio: «E sarò ancorapiù piccolo e sarò un uomo da nulla nei miei occhi» (2Sam 6,22), dice abbassandosi anche di più e non sarà disprezzato per questo, anzi più rispettato. Davide qui insegna a Micàl che il riso è una forma di umiltà: il riso abbassa? Cosi sia e anche di più se si tratta di abbassarsidavanti a Dio. Chi se ne priva per mantenere un contegno è un orgoglioso arroccato in una presuntuosa dignità.La magnifica lezione di Davide sul riso si chiu-de con una dura notizia finale: «E a Micàl figliadi Saul non fu un figlio fino al giorno di sua morte» (2Sam 6,23). Il suo regale disprezzo diventa una morsa che le serra il grembo. Per fare figli, essere feconde, c’è bisogno di riso.

Se ne gettano chicchi agli sposi per augurio di fertilità.Davide ha scoppiettato di risate dirimpetto a Dio. Ha saltato come un grillo, ha sudato esbuffato per il fiatone. Non è stata mancanza di rispetto, ma intensità di coinvolgimentofisico, culmine di partecipazione totale di ogni sua fibra alla preghiera. Il corpo loda il suo creatore esultando. A ricompensa di questadevozione Davide è ammesso ad ascoltare, lui e non un altro, la risata di Dio. Dio ride: con lo stesso verbo del suo servo, degli uomini.Davide ne riporta esperienza in alcuni deisalmi. Nel secondo scrive: «Colui che siedenei cieli riderà di loro [dei re della terra]» (Sal

2,4), nel trentasettesimo rideràdell’empio, nel cinquantano-vesimo riderà di popoli interi. Ci vuole un certo orecchiomusicale per ascoltare il riso di Dio; Davide ce l’ha. È un compositore nato, ha l’abilità manuale che gli consente disuonare strumenti e contem-poraneamente possedere in

fondo alle dita una strepitosa sensibilità di miranel lancio di sassi con la fionda. Gliene basta uno solo, piccolo e liscio, come un proiettile, per abbattere Golia.Il riso più bello di tutta la scrittura sacra sta però dentro il libro dei Proverbi, nel canto dellasaggezza, dove lei stessa, la saggezza, dice di essere stata fianco a fianco con Dio durante la creazione: «E io fui le allegrie giorno per gior-no, ridendo a lui davanti in ogni punto. Ridendonel mondo sulla terra» (Prv 8,30-31).La fabbrica fondamentale del creato si è ac-compagnata a una saggezza sorridente. L’in-tristito, lo scienziato che non ride, non puòscoprire né immaginare il mondo.

* Il testo è tratto da Nocciolo d'oliva, ediz. Messaggero Padova, Macerata, 1995

I giovani ridono senza motivo.è una delle loro maggiori attrattive.

Oscar Wilde

Foto: E. Pieri

Foto: M. Schiavo

Il tuo amore

è arrivato fino al mio cuore

e ne è ripartito felice.Rumi

“Folco, se ci hai un po’ di tempo, torna a casa, così chiacchieriamo un po’”. L’estate del 2004 brucia lentae senza avidità le ultime energie di un grande uomo.Tiziano Terzani.Il figlio torna, naturalmente, è lì con lui, a raccoglierecon occhi pieni di stupore ciò che il babbo ha imparatodalla vita.“Ho un pacco di appunti alto così”, mi dice ora che lanuova estate lo vede pronto all’impresa: trasferire giornie giorni di colloqui in un libro che uscirà all’inizio delprossimo anno.Siamo all’ombra di un grande albero, nel prato di SanRossore, vicino Pisa. L’incontro è stato casuale, Folcoè relatore a un meeting sulla salute che io seguo comegiornalista. L’intervista ugualmente si affida al desti-no. E sulla ruota di un parlare a ruota libera esconotre momenti della vita di Folco, il cui nesso si lasceràscoprire solo strada facendo: l’esperienza nella casadei morenti di Madre Teresa, l’incontro con gli ascetidell'Himalaya, l’appuntamento nella casa di Orsigna,per accompagnare il padre verso la morte. La penna corre veloce per non perdersi nulla. Quelloche ha conservato ora si può leggere.

Nella casa dei morenti

Ancora una telefonata. Babbo Tiziano chiama questavolta da Calcutta. Siamo nel 1996, la malattia ancoranon c’è, c’è invece un giornalista di fama, che ha vistoquasi tutte le guerre del secolo, e raramente resta colpito

al cuore da una persona o da una storia. Ma questavolta è accaduto. “Ho conosciuto Madre Teresa”gli dice, e aggiunge poco altro. Folco è un giovanestudente di filosofia che vive una fase di incertezzasul suo destino e i suoi obiettivi. Però è un istintivo,e capisce che quello del padre è, in realtà, un invito.Poco tempo dopo si presenta da Madre Teresa. Lei loguarda con i suoi occhi semplici e li accompagna conpoche parole. “Vai a lavorare con i morenti. Lì capiraitutto”. E così il giovane Folco, buona famiglia, ottimistudi, si trova a fare, come dice lui, il 'becchino'. Il suocompito è andare per strada, raccogliere i moribondi,portarli alla casa di Madre Teresa, pulirli, dargli damangiare, massaggiarli, accompagnarli negli ultimimomenti di vita. Se ci pensi è un compito orribile,ma se lo fai, se lo fai concretamente, racconta, ti vienetutto spontaneo. E capisci le parole che ti ha detto unasuora quando le hai chiesto il senso di questo servizio:Mostriamo a queste persone, almeno una volta, primache muoiano, il volto dell’amore”.Il volontario Folco era partito per un esperienza didue settimane. Invece nella casa dei morenti restaquasi un anno. “Ho scoperto – mi dice – un posto diincredibile serenità, dove se io ho fatto qualcosa per imalati, loro senz’altro hanno curato molto di più me.In questo mondo occidentale abbiamo tutto, ma siamospesso depressi. Lì, sulla soglia della morte, c’eraun senso profondo di comunione tra le anime. Nonservivano le parole, bastava la vicinanza. Loro, quei

Nella casa dei morenti di Madre

Teresa, accanto agli asceti

dell’Himalaya, vicino al padre,

che cammina verso la morte.

Folco Terzani, figlio del grande

giornalista e scrittore, ci

racconta i modi incredibili in

cui ha visto la parola pace

trasformarsi in realtà.

18

INTE

RVIS

TA

poveri ormai alla fine, erano maestri nell’insegnarmi l’arte di saper lasciare tutto. In quel luogo di apparente orrore in realtà si sentiva la bellezza dell’umanità. Si viveva l’amore”.

Come San Francesco

Folco è italiano, ma qui ha vissuto poco. Prima, perché il padre abitava il mondo per mestiere, poi perché, si vede, quell’abitudine gli è rimasta addosso. Eppure, nel nostro conversare, non ci si sposta dall’India. Era-vamo nel cuore di Calcutta, e ora siamo alle pendici dell’Himalaya. A attrarre il giovane Terzani questa volta sono alcuni signori vestiti di nulla, capelli lunghi, barba fluente, aspetto trasandato. Si chiamano Sadu, sono gli asceti dell’Himalaya. “Vivono nella giungla di quello che la natura offre loro – così li descrive - Parlano poco, non chiedono nulla. Il loro scopo è di mostrare che l’uomo non ha bisogno di nulla, perché tutto viene da Dio”. “Mi è sempre piaciuta la figura di san Francesco – aggiunge Folco – e incontrando loro ho sentito di più come doveva essere lui”. Più di tutto – racconta - mi hanno trasmesso una sensazione intraducibile e inspiegabile: “Shanti”, “Pace”, questo dicono, e questo comunicano. Lo comunicano con il corpo, con il silenzio. La loro pace viene da dentro, è un essere centrati su se stessi”. Folco si muove spesso con una cinepresa per documentare gli stupori del mondo. Ma, viverli di là dall’obiettivo è un’altra cosa. Così si trasferisce per alcuni mesi nella giungla per capire e sentire sulla sua pelle che profumo ha quella vita. “Anche questa è stata un’esperienza difficile, eppure bellissima. Una volta al giorno nel villaggio vicino mi davano qualcosa da mangiare e il resto era solo natu-ra: mi lavavo nel fiume, bevevo dal fiume, ammiravo le albe e i tramonti, vivevo di silenzio e di natura”.

La morte come amica

È curioso eppure, in questo caso, è il figlio che anticipa il padre. La ricer-ca di un senso per vivere, quella che riempirà gli ultimi anni di vita di Ti-ziano, è già presente in Folco, in questa sua ricerca di espe-rienze radicali. “La differenza – spiega Folco – è che io mi sono buttato spesso impulsivamente in queste realtà. Lui, invece, proprio die-tro la spinta della malattia, in questa

ricerca ha messo dentro tutta la sua vita. E se all’ini-zio ha affrontato la guerra contro il cancro con tutti i mezzi tradizionali con cui si combatte una guerra (chemio-terapia, radiotera-pia), in un secondo momento ha capito che non c’era medi-cina per quello che aveva dentro, che non c’è medicina per curare la mortalità, e lì ha fatto la cosa più grande: è riuscito ad andare verso la morte come fosse una amica, con il sorriso sulle labbra”.L’ultimo giro di giostra, nel libro, non era in realtà ancora completato. Mancava l’epilogo, quello che Tiziano ha voluto vivere lasciandosi abbracciare dalla sua famiglia. L’ha vissuto documentandolo al figlio, faccia a faccia, perché sapeva che lui, grande giornali-sta, la propria morte non avrebbe potuto raccontarla. E Folco? Come ha fatto a resistere a quel dolore, a quei mesi così difficili? “È stato un momento bello anche questo – risponde spiazzandoti – perché la vicinanza, la comunione, lo scambio profondo vale ancora più della sofferenza. E poi perché lui aveva un coraggio incre-dibile. È andato verso la morte con la stessa serenità che ha comunicato nel suo libro, ci si è incamminato come se fosse la cosa più naturale”.Ma che cosa, gli chiedo, che cosa poteva renderlo così sereno? “Il fatto che lui guardasse la sua vita e la ve-desse completa, come un cerchio che si chiude. Allo stesso modo lui ci comunicava una profonda fidu-cia in noi che restavamo. Era come se ci affidasse tutto quanto: ‘ecco vi do le chiavi della mia vita, sembrava dicesse, tutto funzionerà da sé”. Folco porta i suoi 36 anni con entusiasmo, e l’eredità del padre come una responsabilità nuova. Ma è più facile affrontarla, quando la si condivide così profonda-mente. “Riportare tutto alla semplicità, all’essenziale, perché nella semplicità c’è la possibilità di trovare la pace. Questo è il messaggio del babbo”. Ma è lo stesso messaggio che aveva letto nel viso dei morenti a Calcutta, lo stesso che aveva sentito accanto ai maestri dell’Himalaya. È il segno che c’è un filo, invisibile, che non si deve spezzare. “La fine è il mio inizio” diceva spesso Tiziano al figlio nei suoi ultimi giorni. Così si chiamerà il libro. Una frase, un brivido. Un giorno saremo in grado anche noi di dire queste parole con la stessa convinzione?

19

20

INTE

RVIS

TA

DIO NON SI MERITA,DIO SI ACCOGLIE

Cosa ti successe in quella settimana di Esercizispirituali con padre Giovanni?

Fu un incontro che riuscì a cambiare la mia vita.Ricordo soprattutto un fatto: noi venivamo dauna formazione molto formale, molto clericale eimprovvisamente, incontrando quest’uomo, incon-travamo un altro mondo; lui ha reincantato la vitaper me. Reincantare la vita significa farti capire chesei all’interno di un mondo comevertice di una scala di esseri, comeprogetto incompiuto. Reincantarela vita per dirti che in ogni essere,in ogni persona, in ogni creatura,la più banale, la più povera c’è lospirito, c’è Dio.Il mondo sacro, quindi, coincidecon il mondo reale. Mentre prima il sacro era unasovrastruttura, era un impegno forzato, era una con-quista in cui ciascuno doveva metterci una grandeenergia, bisognava invece cambiare atteggiamentoperché il mondo sacro e il mondo reale coincidevano.Questa fu la scoperta grande che padre Giovanniportò a me in quella occasione e che poi ho cercatodi portare avanti e conservare. E insieme a questa cene furono molte altre: ricordo che lui ci consigliava,ci obbligava quasi a leggere i grandi romanzieri

russi perché, diceva che c’è più intuizione sacra inun grande romanzo che in interi trattati di teologia.E allora io imparai, su suo suggerimento, a leggereDostojeski o Tolstoj nel bagno, nello sgabuzzinodella doccia coprendo la lampadina con la camiciaperché il superiore non vedesse la luce filtrare sotto.E questa lettura ci aiutava a scoprire il reale comeluogo del sacro.Non la teologia parla di Dio ma, prima della teo-

logia parla di Dio la vita. E questoera il prologo di Giovanni, del suovangelo che diventava veramenteconsistenza, esperienza e esultanzadel cuore.

Nell’introduzione di Esercizi spiri-tuali tu scrivi: “in quell’anno una mano sapientee tenera e al tempo stesso forte ridipingeva la miaicona interiore una nuova immagine di Dio e Diodivenne un desiderio e Dio divenne finalmentebello”. Come fu possibile questo cambiamento?

Sono domande difficili da tematizzare, a cui rispon-dere con parole precise…certamente l’esperienzada Dio come dovere a Dio come desiderio significaquesto: il Signore, colui che non solo viene comeparola ma come esperienza, è uno che ti accende la

Aveva appena 18 anni, Ermes Ronchi.Uno studente di liceo, che voleva farsi frate. Era il 1965 e il suo superiore chiamò un padre fuori dagli schemi, un outsider si direbbe, per tenere una settimana di incontri sui grandi valori della fede, della speranza, dell’amore, sul senso profondo della vita. Giovanni Vannucci.40 anni dopo padre Ermes, che oggi è direttore della Corsia dei servi di Milano (quella che fu di Turoldo), è venuto a Ro-mena per raccontarci quei giorni.Ci è sembrato il modo più adatto per presentare «Esercizi spirituali», il libro che raccoglie tutti i contenuti di quelle riflessioni di padre Giovanni.

21

vita. Allora io feci con padre Giovanni l’esperienzadei discepoli di Emmaus: “non ci bruciava forse ilcuore per strada mentre lui ci spiegava le Scritturedicevano i due discepoli…” e in quell’occasionesentii accendersi il cuore.Dio divenne il Dio sensibile al cuore, il Dio di Pa-scal, non il Dio più dei teologi, dei filosofi, il motoreimmobile, ma il Dio sensibile al cuore. Questa fula grande esperienza: quando tu percepisci, quandosenti il Signore che bussa alla porta del cuore, inquel momento non è più un dovere, non è più unosforzo, non è più una conquista è un’accettazione.Dio non si merita, Dio si accoglie. Ecco quello checapii da padre Giovanni. Dio non è il vertice dellamia ascesa ma è l’inizio della mia accoglienza, dellamia apertura.

In quei giorni di incontri ti è capitato di avvici-narlo al di fuori degli esercizi e di avergli chiestoqualcosa per te, su qualche problema che ti toc-cava personalmente, in quel momento…

Si, è una cosa anche un po’ banale…io volevo parlarecon lui con tutto il timore, il tremore di un ragaz-zetto di 18 anni e siccome in quegli anni il grandeproblema di tutti noi era il rapporto con l’autorità,si respiravano già i primi sintomi del ’68, allora ioandai da lui e gli dissi: “padre Giovanni, io ho unproblema con il mio superiore, non riesco ad andared’accordo, non riesco ad apprezzarlo, non mi aiuta,non mi fa cantare dentro”…desideravo dentro di meinconsciamente che lui mi incoraggiasse in questasorta di contestazione e invece lui mi disse “tu deviavere dei problemi più seri, non devi avere il pro-blema dei superiori, devi avere il problema di Dio edell’armonia della tua vita interiore, dell’armonia conte stesso”. Con questo ho capito che il vero problemanon è il rapporto con l’autorità. Potremmo incontrarequalsiasi genere di superiore ma il problema è avereil giusto rapporto con Dio e l’armonia interiore conse stessi. Ecco questo mi ha aiutato molto. Il bello èche questo superiore mio è ancora vivo, è missionarionell’ultima regione del sud del Cile, ed è veramenteun uomo santo, ma siccome noi non avevamo la ca-pacità di rapportarci in modo autentico non riuscivoad accostarlo.

Di quella esperienza che cosa hai trasportato neltuo quotidiano di frate, cioè quale lezione per iltuo “ogni giorno” ti viene ancora da quelle paroledi 40 anni fa?

Con padre Giovanni, anche negli incontri successiviquando andavo in ritiro all’eremo delle Stinche,ho imparato imparato a pregare in un altro modo.

Questa preghiera universale, la preghiera in cui ve-nivano convocate le parole più vere di ogni uomo diqualsiasi terra, di qualsiasi cultura, di qualsiasi fede,dove entravano il sospiro della pietra, il canto dellestelle, dove entravano le poesie di Rumi, il rotearedei Dervisci… ecco io mi sono sentito, pregandocon padre Giovanni, che davvero la preghiera era ilrespiro della terra, che noi diventavamo voce di ognicreatura. La preghiera è cambiata completamente,non era più il mio ripetere formule, il mio invocare,il mio chiedere, il mio supplicare, il porsi davanti alSignore in atteggiamento di coloro che domandanoma era veramente inserirsi nel cammino della terra,nel percorso di tutte le creature verso la luce.

Qual è, infine, l’immagine, l’intuizione di quegliEsercizi spirituali di padre Giovanni che più ti èrimasta dentro?

È l’interpretazione della parabola del buon grano edella zizzania. Per me questo è stato ciò che mi hacapovolto il modo di accostare il Vangelo. La conclu-sione del discorso era questa: voi non dovete avereverso voi stessi l’atteggiamento dei servi del campoche dicono “c’è la zizzania, corriamo e strappiamola”ma avere verso voi stessi l’atteggiamento del padrone,del signore del campo che dice “no, abbiate pazienza”se in voi ci sono dei difetti, se in voi c’è un peccato,lo scopo primario non è quello di strappare via tuttociò che di negativo c’è in voi ma vostro scopo è difar crescere il positivo che c’è in voi, far maturare ilbuon grano, moltiplicare le spighe, riempire di sole,di calore questo buon grano che avete dentro perchéuna spiga di buon grano vale più di tutta la zizzaniadi un campo, perché il bene conta più del male.Allora quando i servi dicono “padrone ma qui qualcu-no ha seminato del male dentro di noi, strappiamolo,liberiamoci” il padrone dice “no, il vostro compitosolare, luminoso, creativo è quello di portare a ma-turazione tutti i semi positivi, i germi di vita, i talentiluminosi che Dio ha seminato in voi e la zizzania nontroverà più terreno, scomparirà da se, verrà eliminatada se”. Ciò che conta è quindi portare a maturazioneil frutto divino che c’è in ciascuno.

Cosa può offrire a ciascuno di noi l’incontro conpadre Giovanni, oggi ancora possibile grazie allalettura dei suoi libri?

Credo che ciascuno potrà trovare in lui una rinascita, lapossibilità di nascere ulteriormente ad una vita più pro-fonda, a scoprire una profondità nuova in tutto ciò cheesiste, in tutto ciò che fai, in tutto ciò che pensi, in tuttociò che accade. C’è una profondità ulteriore e in quellaprofondità ulteriore potrai trovare il volto di Dio.

LE NOSTRE VEGLIE

O gni giorno Ricomincia il viaggio.Di porto in porto, di città in città, da settembre la Fraternità verrà a trovarvi per trascorrere una serata di incontri, di riflessioni, di silenzio, di preghiera.“Ogni giorno” è il titolo della veglia di quest’anno. “Ogni giorno” per dare valore e senso al nostro quotidiano,per cercare insieme quelle piccole cose che danno luce alle nostre giornate.

Vi aspettiamo!

23

LE NOSTRE VEGLIE

L'AQUILAS. BENEDETTO

DEL TRONTO

MILANO

GENOVA

ROVERETO

PADOVA

NAPOLIROSSANOCALABRO

CATANIA

VALDARNO

FIRENZE

14 Settembre - ore 21Chiesa della Beata Antonia - Via Sassa

15 Settembre - ore 21Chiesa SS. Annunziata - Porto d'Ascoli

28 Settembre - ore 21Parrocchia di Brugora - Besana Brianza

29 Settembre - ore 21Chiesa Nostra Signora Assunta - Rivarolo

18 O ttobre - ore 21Parr. S. Caterina - Frati Cappuccini

19 O ttobre - ore 21Parrocchia SS. Trinità - via Bernardi

8 Novembre - ore 21Ist. M. Ausiliatrice - v. Alvino 9 - Vomero

9 Novembre - ore 21Comunità S. Maria delle Grazie

10 Novembre - ore 21Parr. SS. Pietro e Paolo - via Siena

23 Novembre - ore 21Pieve di Cascia - Reggello

14 Dicembre - ore 21Parr. Salesiani - via Gioberti

24

PUB

BLI

CA

ZIO

NILe preghiere di don Luigiigii i

Nelle chiese di Dio a volte ci si imbatte, pur-troppo, in “non luoghi”, realtà anche religiose cheperò non sanno fare spazio né a Dio né agli uomini.Ma accanto a questi vi sono, per grazia di Dio, tante“dimore”, “luoghi di fede e di intercessione” per gliuomini, in cui è possibile ascoltare la narrazione diuna speranza per tutti, in cui è percepibile cosa sial’amore-agape, la realizzazione del comandamentonuovo. Questi luoghi sono un’autentica grazia,come la Fraternità di Romena: luoghi discreti, si-lenziosi, impregnati della sapienza che si esprimenegli incontri, nei confronti tra uomini e donne sulletracce di Dio, in cerca del “senso del senso”…

Pellegrini, nomadi, viandanti da secolitrovano a Romena la possibilità di una sosta, maoggi la trovano in un modo nuovo: nell’immutatoquadro di una bellezza antica – la pieve romanicanella campagna del Casentino – vi è la novità di una“voce” cristiana che sa toccare il cuore semplice ecapace di ascolto. La Fraternità di Romena è un luo-go dello Spirito dove le “parole del silenzio” di padre

Giovanni Vannucci trovano eco, dove le pepited’oro spirituali e letterarie delle meditazioni didon Luigi Verdi sono semplicemente offertenella loro nudità segnata dalla bellezza, dovegli ori di Margherita Pavesi creano lo “spazio”, illuogo in cui ci si spoglia per ritornare alla nudasemplicità e poter ascoltare, meditare, pregare,contemplare…

Così uno stile particolare abita tutte le“parole” della Fraternità di Romena e le pre-ghiere, in particolare, sono autentiche orationesmeditativae che portano alla contemplazione.Sì, le preghiere litaniche di questo libretto sonoun vero aiuto all’acquisizione di un occhiocontemplativo sulle cose, sugli eventi, sugliuomini. Sono un appello, un invito, un richiamoalla grande comunione che supera le nostrecapacità di comunicazione e tutti ci avvolgenella danza trinitaria dell’amore.

f. Enzo Bianchipriore di Bose

“Si prega con la vita più che con le parole, ed

è per questo che la preghiera non si insegna,

si vive”. Così scrive Gigi nella premessa del suo

nuovo libro.

Le sue preghiere non ci risolvono alcun problema

di incontro o di ricerca del divino. Sono un’aper-

tura di cuore, un tentativo di dar voce alle nostre

paure, ai nostri limiti, ma anche alla nostra voglia

di affidarci a un Padre che ci ama uno ad uno.

Dentro c’è la voce di un uomo, Gigi, che da sempre

è abituato, per istinto e vocazione, a ascoltare e

intuire la voce di tutti. Perciò queste preghiere, nate

da lui, sono, in fondo, di ciascuno di noi.

A settembre il libro sarà disponibile a Romena e in

libreria. Qui potete leggere la bella introduzione

del priore di Bose, Enzo Bianchi, e, a fianco due

delle preghiere che compongono la raccolta.

introduzione

26 Settembre ore 21Teatro dei Salesiani - Figline Valdarno

ENZO BIANCHI"Eucarestia fonte di comunione nella chiesa e fra chiese"

Presentazione del libro "Preghiere" di Luigi Verdi

26

Le pubblicazioni della Fraternità di Romena

Voi che credetevoi che speratecorrete su tutte le strade, le piazzea svelare il grande segreto...Andate a dire ai quattro ventiche la notte passache tutto ha un senso

che la storia ha uno sbocco

Voi che l'avete intuito per graziacontinuate il camminospargete la vostra gioiacontinuate a dire

2

Incontro con:

John Martin KuvarapuJohn Marttittiin Kuuvaraappujjj

Domenica 11 Settembre - ore 15ROMENA

Continuatore dell'eremo della Trinità in India,di scepolo di Henry Le Saux e Padre Bede Griffiths .In lui la tradizione cristiana e tradizione indiana sembranoconiugarsi in maniera innata.

Corso di Meditazione

2 - 3 - 4 Settembre

CC

9 - 10 - 11 Settembre

AVV

ISI

Lunedì 26 Settembre - ore 21Cinema Salesiani - FIGLINE VALDARNO

to seduta sul tappeto, in mezzo alla gente, eppure mi sento perdutamente sola. Un malessere,un disappunto profondo e quasi un risentimento hanno preso possesso del mio cuore. Tropporumore. Troppa banalità. Mi feriscono la mancanza di silenzio e d’attenzione del nostrotempo; disagio e intolleranza da parte mia.........mi sento come sperduta.

Nel mio cuore ho chiesto aiuto a Te; dai tanti volti uno mi viene incontro: - Gioia, amica preziosa!Il sorriso: è stato come lasciarsi immergere da un’ onda di calore, consolazione del focolare. Dal tuosorriso, quando ancora io non ero capace di sorridere, è rinato il miracolo dell’amore. Il sorriso si ètramutato in abbraccio forte e materno dei nostri corpi, dei cuori uniti dalla misericordia...... dolcezzae accoglienza infinite....- il sorriso dell’uomo come carezza di Dio.

l sorriso è come il pane. Per me è una carica di energia essenziale per vivere, per superarei momenti più duri. Se al mattino ti svegli e incontri il sorriso del tuo compagno o di tuofiglio, subito tutto prende un altro colore, le ombre della notte si dissolvono e affronti il

nuovo giorno con maggiore ottimismo. Ma la cosapiù straordinaria, e che voglio sottolineare, è cheil sorriso di un perfetto sconosciuto, incontrato percaso in strada, il sorriso della commessa del fornoquando compri il pane, o dell’impiegato dell’ufficiopostale dopo un’ora di fila, ha esattamente lo stessoeffetto!! È quindi sorprendente come il sorriso siaun tale gesto di comunicazione universale che uni-sce tutti in un grande abbraccio. Non dimentichia-moci del sorriso e soprattutto non lo risparmiamomai. Anzi sprechiamolo e regaliamolo a tutti senzaaver paura di passare da scemi..... qualcuno ne be-neficerà sicuramente. Credo che sia un gesto che ciaiuta a superare l’indifferenza e l’intolleranza chepurtroppo dilagano oggi abbondantemente. Incro-ciare un sorriso, nei momenti duri di una malattiao di un’altra qualsiasi sofferenza è veramente ungrande “dono”.

29

Elisa

GRA

FFIT

I

I

S imonetta

S

proposito di un sorriso ricordo di aver letto di un povero lebbroso separato dalla sua sposaperchè confinato a vivere in un lebbrosario. Tutte le mattine , appena giorno, lo vedevanoallontanarsi.

Un giorno lo hanno seguito e si sono resi conto che andava al confine del lebbrosario, dove lo atten-deva la moglie per regalargli un sorriso che lo faceva contento, e ritornava consolato e gioioso pertutto il giorno. Il sorriso ci dà fiducia, ci fa capire che la persona che ce lo dona ci vuol bene, ci donasicurezza, felicità, amore.Guardiamo un bambino ancora piccolo, guarda negli occhi la mamma: se la mamma sorride è felicese invece è seria vuol dire che le cose non vanno bene e piange.Non siamo avari a donare un sorriso.. con esso possiamo dire amore, felicità, perdono.

o passato gli ultimi dieci dei miei 43anni a farmi un sacco di domande e avivere in fretta nella speranza che lerisposte altrettanto in fretta arrivassero.

Adesso che gli eventi della vita mi obbligano arallentare, forse mi sto regalando buona partedelle risposte che cercavo, anche a quesiti chemi ero dimenticata di essermi posta. Ho il miobel da fare adesso, come un reporter chiuso nellacamera oscura a sviluppare rullini accumulati neltempo di questa avventura che si chiama vita!Oggi ho la percezione di farcela ad affrontare conpiù serenità la parte forse più consapevole dellavita, senza forzature e soprattutto nel rispetto dime stessa. In questo mio personalissimo albumnon mancheranno di certo le foto di ciascuna dellepersone, che in qualche modo, hanno contribuitoal mio crescere..... e infiniti spazi bianchi dariempire di me!Vi voglio bene.

uando dio ha sorriso....la creazione e’ cominciata......Questa immagine di Dio che sorride e dà vita a tutto, a tutti, al tempo, alla storia, agliuomini....allo splendore dell’universo,...alla realtà che pulsa, che ama, ...a tutte le nostre

piccole, grandi storie,...è bellissima!È di grande consolazione sapere, credere che ...veniamo da un sorriso e che.. finiremo nella gioia.Questo vuol dire che tutto di noi si svolge tra due positività, tra due momenti infiniti che diconobontà,bellezza, pace, serenità, amore ...E’ vero, tra i due poli estremi c’è la nostra quotidianità, il nostro patire,arrancare, bruciarsi, tenta-re...alternato a tempi di serenità, pace,...e ancora difficoltà, dolore, mescolati a pace del cuore, gioiadell’amicizia...La nostra vita è tutto questo.. ed è bella perchè è così: ci mettiamo in gioco totalmente, soffriamo,lottiamo...ma dobbiamo riuscire, in fondo al cuore, a tenere saldo il timone, a ricordarci che veniamoda quel sorriso e che facciamo vela verso un sorriso infinito,...che sarà luce,tenerezza...

30

Simonetta

Gioia

Stefania

H

A

Q

o sentito Dio. In questi tempi, in questaPasqua ho sentito Dio.Ho capito checosa vuol dire ”stare in Dio”.

Non è definibile a parole. L’unico modo che miviene in mente per raffigurare quello che sento èun’immagine, un concetto che forse è compren-sibile per chi, come me, studia canto: se mentrecantiamo chiudiamo gli orecchi, ci accorgiamoche i suoni buoni sono quelli che si sintonizzanosulla frequenza più alta del “rumore” che avver-tiamo all’interno dell’orecchio. Ecco. quello cheprovo è un po’ come far stare il suono dentroquel rumore in cui si sintonizza l’orecchio in-terno quando emettiamo un buon suono vocale.Se rimaniamo sintonizzati in quella frequenza,nulla di spiacevole può accadere, la voce è purae libera e quello stato, crea armonia in tutto ilcorpo e nella mente…Quello che ho provato ha una similitudine contutto questo, ma è molto di più, è davvero uno sta-to di grazia. Se non ti irrigidisci, se ti abbandonia quello “stato” tutto si scioglie, tutto acquistaun senso, tutto si evolve nel migliore dei modi,o meglio, come tu non avresti mai sperato che si

31

Per darci una manoLa nostra associazione è giuridicamente rico-nosciuta come ONLUS (Organizzazione NonLucrativa d’Utilità Sociale), per questo chi vuoledare un contributo può beneficiare delle age-volazioni fiscali previste contenute nel decretolegislativo 460 /1997.Il versamento può essere effettuato tramite:- C/C Postale n. conto 38366340 intestato a:Fraternità di Romena Via Romena 1 52015Pratovecchio - Arezzo- Bonifico bancario su C/C n. 3260c/o Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio(BPEL) Filiale di Pratovecchio codice ABI 5390CAB 71590 intestato a Fraternità di RomenaVia Romena 1 52015 Pratovecchio - Arezzo,specificando nella causale“Offerta Progetto Romena”

FRATER- ONLUS -

evolvesse, nel modo più perfetto e corrispondentealla tua natura profonda.Un mio amico diceva: “dobbiamo imparare a nonfare, a non frapporre ostacoli tra noi e Dio con ilnostro modo sbagliato di pensare, in modo che lospirito abbia la possibilità di agire…”Magica Pasqua! Vorrei che tutti gli uomini po-tessero provare questa sensazione.Desidererei che ciscuno abbandonasse i suoipensieri, i suoi vecchi meccanismi che mettonoin moto l’essere, dal momento in cui si sveglia lamattina, a quando prende delle decisioni, a quan-do si corica, a quando sogna ma non si ricorda,per lasciarsi andare a questa armonia cosmica cheè in ciascuno di noi; un'armonia che è creatività,solo e soltanto creatività che porta all’evoluzionedi ogni cosa che è in noi e che ci circonda. Èdavvero uno stato di grazia.Qualsiasi cosa ti è possibile. Ogni momentoacquista un senso, si dilata in un tempo che nonè più esterno ma interno. Tutto scorre e tutto èfermo, concentrato in un attimo che tu già sai didover vivere!

Marcy

H

Foto: C.

Gianni Marmorini