Giornale di Brescia Domenica 28 Marzo 2010 51 Cultura ... · la letteratura, forse il primo che si...

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Data e Ora: 27/03/10 20.51 - Pag: 51 - Pubb: 28/03/2010 - Composite Domani a Milano, al Centro congressi della Fondazio- ne Cariplo, in via Romagnosi 8, alle 16.30, verrà presen- tata l’opera di Giorgio Rumi «Perché la storia. Itinerari di ricerca (1963-2006)», a cura di Edoardo Bressan e Da- niela Saresella, introduzione di Enrico Decleva (Mila- no, Led, 2009). Dopo i saluti del presidente della Fonda- zione, Giuseppe Guzzetti, e del rettore dell’Università degli Studi di Milano - le due istituzioni che hanno pro- mosso l’evento - parleranno il card. Dionigi Tettaman- zi, Piero Bassetti, Giuseppe Galasso, Lorenzo Ornaghi, Andrea Riccardi e Sergio Romano, coordinati da Gra- do Giovanni Merlo. Pubblichiamo una presentazione scritta dal curato- re. I saggi raccolti in due volumi, per oltre mille pagine, abbracciano un lungo arco cronologico e permet- tono di conoscere anche saggi di non facile reperi- bilità: si va dagli scritti dei primi anni Sessanta a quelli delle settimane precedenti la scomparsa di Rumi, avvenuta il 30 marzo 2006, settimane segnate da un’ope- rosità che la malattia non aveva mai affievolito. Rumi è stato uno degli storici più autorevoli di questi decenni, diventando al tempo stesso una figura di pri- mo piano e un punto di riferimento per il cattolicesimo italiano. Nato a Milano il 15 marzo 1938 e vissuto fra la metropoli ambrosiana e il paese della sua famiglia - Don- go sul lago di Como, dove ora riposa - Rumi si laurea in Scienze politiche all’Università Cattolica del Sacro Cuo- re sotto la guida di Ettore Passerin d’Entrèves, per arri- vare ben presto alla cattedra di Storia contemporanea nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, dove fino all’ultimo ha seguito i suoi stu- denti e laureandi con costante e partecipe attenzione. Per me, che ero fra quei giovani e che ora ho collaborato con l’amica e collega Daniela Saresella alla realizzazione di questa raccolta, è stato davvero emozionante sia ritro- vare testi che non avevo avuto modo di conoscere sia rileggere lavori di cui Rumi, maestro che amava metter- si in discussione, ci aveva parlato in uno dei tanti mo- menti trascorsi con lui. I principali nuclei tematici, che corrispondono alle sei parti dell’opera, rimandano a un ininterrotto percorso di studio, in cui non c’è posto per interpretazioni preco- stituite o mode storiografiche, sempre alla luce di una capacità di ripensare il passato originale perché fondata sulla ricerca e libera da interessi contingenti. Possiamo così seguire, in pagine davvero belle, le riflessioni sulla politica estera del fascismo, sul lungo viaggio dei cattoli- ci italiani dal fascismo alla democrazia, sul ruolo di Mila- no e della Lombardia nella storia del nostro Paese, sul confronto fra i cattolici e la modernità in relazione al ma- gistero della Chiesa e in particolare alla lezione di Monti- ni, sulla Santa Sede e la sua irrinunciabile missione inter- nazionale, su varie vicende e figure della storia lombar- da, nazionale ed europea. Colpisce soprattutto la preoccupazione di non isolare i problemi e di coglierne sempre i rapporti e le intersezio- ni: la dimensione locale e regionale è imprescindibile per uno studioso come Rumi, ma si lega alla centralità dello Stato nazionale, che a sua volta vive nel contesto inter- nazionale, fra un’età a lungo segnata dalla «politica di potenza» e l’auspicato approdo a una casa comune euro- pea e a un ordine «globale» più giusto ed equilibrato. Il riferimento è realmente alla «vastità», ben conosciuta dalla gente del lago che sapeva percorrere le vie del mon- do. La riflessione sui cattolici e la Chiesa italiana si svolge a sua volta nel segno della complessità: come ha oppor- tunamente ricordato Decleva, non per un ruolo artificio- so di «storico cattolico», ma per un’attenzione partecipe e vissuta al Cristianesimo nella storia. Rumi ritrova in molti credenti, già agli esordi dell’età contemporanea, una nuova consapevolezza delle res novae da affrontare, secondo un approccio che non può avere pregiudiziali davanti a un’inedita realtà che s’impone: è la stessa fe- deltà alla tradizione e all’insegnamento della Chiesa a implicare l’apertura e il confronto. L’«idea di nazione» esige qualcosa di più di una presa di distanza, come subi- to intuiscono Gioberti, Manzoni, Rosmini, e la questio- ne sociale qualcosa di più di una generica protesta. Ri- spetto agli esiti, da una parte, del processo risorgimenta- le e, dall’altra, della modernizzazione economica e indu- striale, l’urgenza diventa allora quella della partecipazio- ne sociale, della rivendicazione di una cittadinanza a pie- no titolo, di un ruolo nella società internazionale nel sol- co delle intuizioni di Leone XIII e Benedetto XV. Per il 150˚ anniversario dell’Unità nazionale le riflessioni di Ru- mi costituiscono realmente un contributo decisivo, per superare inutili contrapposizioni e per valorizzare una condivisione che era già nel cuore di molti. Più avanti, nel vivo dei problemi del Novecento, è di nuovo l’esempio di Montini ad assumere un valore em- blematico, con la sua scelta di un cristianesimo di popo- lo, che vedeva così radicato nell’esperienza ambrosiano- borromaica, per rispondere alle sfide della modernità, nei diversi ambiti della cultura e della scienza, dell’eco- nomia e del lavoro, della carità e della cura degli ultimi. Giorgio Rumi ha vissuto pienamente un tempo diffici- le e inquieto, legando sempre la ricerca scientifica a un magistero culturale che ha sottolineato il fecondo lega- me, secondo la sua felice espressione, fra Civitas ed Ec- clesia. È un rapporto che non segue le logiche di un intel- lettualismo disincarnato, ma che riguarda le vicende e le ragioni della storia. Edoardo Bressan L’ archetipo letterario, che tro- va il proprio adempimento storico e metafisico nella vi- cenda pasquale del Cristo morto e risorto, è la figura del «Giusto sof- ferente». La più antica e potente incarnazione dell’interrogativo esistenziale «perché an- che il giusto soffre e muore?» si trova nel biblico Giobbe, recentemente tornato al- la ribalta a Brescia con la Sacra Rappre- sentazione proposta nella Chiesa di San Francesco dalla Cooperativa Cattolico- Democratica di Cultura per la regia di Carlo Rivolta e Nuvola de Capua. Il ricco e felice, saggio e pio, buono e giusto Giobbe, è messo alla prova da Sa- tana che, sfidando Dio, lo priva di tutto, figli ricchezze e salute, lasciandolo a grat- tarsi con un coccio sul letame, e più anco- ra dai suoi falsi amici, che per consolarlo gli ricantano il vecchio luogo comune (se ne trovano tracce in tutti i miti sulla natura mortale dell’Umanità): le disgrazie sono la giusta punizione di- vina per i suoi peccati oc- culti, dunque li ammetta, e la smetta di chiamare Dio a testimone della propria innocenza. Tutti i ruoli si intreccia- no nella polifonica interpre- tazione di Luciano Bertoli, con l’ausilio essenziale ed efficace di musiche e luci, fi- no alla soluzione del dram- ma: fieramente invocato da Giobbe, l’Onnipotente stesso si manifesta, esalta la piena bellezza del Crea- to, che necessita anche della presenza del male, unica e terribile garanzia per una reale libertà dell’uomo, perché la sua adesione al progetto divino sia un libero gesto d’amore e non un passaggio obbli- gato, rimprovera la presunzione di Giob- be, ma ne loda al tempo stesso la costan- za, dichiarando ai suoi amici che solo per la preghiera di Giobbe li perdona, perché non hanno detto il vero di Lui, riducendo l’Altissimo a un idolo collerico e vendicati- vo, mentre Giobbe, «il ribelle», ha ben compreso il difficile amore che unisce la creatura al suo Creatore. Questo grande testo è, nella storia del- la letteratura, forse il primo che si possa definire una tragedia. Databile al VI sec. a.C. per la trasparen- te analogia con l’esilio babilonese del Po- polo Eletto, ma forse anche, in nuce, più antico, perché il Giusto sofferente è figu- ra ricorrente nella Bibbia, da Abele a Giu- seppe, da Davide ai Profeti, «Giobbe» af- fianca e forse precede l’elaborazione elle- nica del medesimo tema che, dopo le pro- ve mitiche di Eracle e Bellerofonte, si esprimerà pienamente, nel V secolo, con gli eroi della tragedia attica: Aiace, Filot- tete e soprattutto Edipo. Costui, al pari di Giobbe, dalla massi- ma fortuna (vincitore della Sfinge, salva- tore e re di Tebe, sposo e padre felice) precipita nell’abisso dell’orrore senza aver commesso scientemente colpa alcu- na, ma alla fine gli Dei, inspiegabilmente come ne hanno permesso la rovina, lo as- sumono tra Loro, beato eroe difensore di Atene, nell’«Edipo a Colono» di Sofocle. Consacrato dalla letteratura greco-lati- na (ne è un esempio lo stesso Enea virgi- liano, manovrato dagli Dei e destinato a morte precoce, nonostante la sua coeren- te «pietas») il Giusto sofferente è interpre- tato dalla Patristica e dalla successiva tradizione medievale e barocca come «fi- gura Christi» e, da enigma- tica icona dell’assurdo esi- stenziale, diviene nesso ri- solutivo del problema del Male, nei drammi di Shakespeare e di Calde- ròn come nell’arte, che tra- sfigura gli antichi uccisori di mostri nel Risorto vinci- tore degli Inferi (ma an- che in san Giorgio ecc.). Dall’Oriente mediterra- neo Giobbe approda così all’Occidente nordico, e dà nuova vita alla saga dei Nibelunghi nelle opere del- l’ultimo Tolkien, rimaste inedite perché non finite, e pubblicate solo recente- mente a cura del figlio Christopher (la tra- duzione italiana è edita da Bompiani): ne «I figli di Hùrin» tramite l’incrocio del mi- to edipico con il tema nibelungico dell’uc- cisione del drago, inseriti in un’epoca an- tecedente la vicenda del «Signore degli Anelli»; nel più recente «La leggenda di Sigurd e Gudrùn» nella rivisitazione della saga di Sigfrido (mediatore è il mito di Balder, già decisivo per l’evoluzione spiri- tuale e artistica di Tolkien). Irretito in una trama d’inganni che la sua stessa leale ingenuità contribuisce a rendere inestricabile, l’eroe viene condot- to a morte con l’assenso di Odino perché - innova Tolkien - è il Prescelto del Mon- do, destinato, nel Giorno del Giudizio, a vincere definitivamente la Morte, da lui già subita senza colpa, e a salvare «il Mon- do Rinato», la Gerusalemme Celeste che Giobbe aveva incrollabilmente sperato. Mino Morandini Ha riaperto le porte, ad Aracataca, nel Nord della Colombia, la residenza dove lo scrittore Gabriel Garcia Marquez ha passato l’infanzia e che ha ispirato alcune sue opere. Definita dal premio Nobel per la letteratura la «casa lunatica», l’abitazione, di 14 stanze, è stata in- teramente ricostruita ed arredata, dopo che quella ori- ginale, in stile caribegno della prima metà del secolo XX, era stata demolita circa 40 anni fa. La casa, convertita in museo, rappresenta una nuo- va attrazione per tutti coloro che vogliono rivivere l’at- mosfera magica che ha ispirato le opere di Gabo. «Arri- vando qui ho sentito una forte emozione, ho rivissuto i tempi nei quali correvo con i miei fratelli sulla pura ter- ra a piedi scalzi. Il corridoio con le begonie, la camera dei nonni e l’ufficio del nonno mi hanno portato molti ricordi», ha detto Aida Rosa Garcia Marquez, sorella dello scrittore. Con il fratello Jaime e la nipote Oriana ha vigilato perché la «casa lunatica» fosse più possibile simile all’originale. Gabo ha supervisionato il progetto, avvalendosi di architetti ed esperti. La stanza che forse conserva meglio l’aspetto originale è quella dove dormi- vano tre indigeni wayuu, che facevano parte della servi- tù, ma molti dei partecipanti alla cerimonia di inaugu- razione hanno riferito di ritrovarci appieno la descrizio- ne che Garcia Marquez ne ha fatto nel libro «Vivere per raccontarla». «Aracataca è stato un posto emblematico nell’opera di Marquez, però mancava un luogo dove tutta questa memoria si potesse ricostruire. Non c’era nulla di più adeguato di quelli che furono la sua casa ed i suoi spa- zi», ha detto il ministro della Cultura colombiano Pau- la Moreno. I lavori per la ricostruzione erano comincia- ti nel 2008 e l’opera è costata 600 milioni di dollari. Ara- cataca ospita già una statua dello scrittore ed un ospe- dale cui è stato dato il nome di Luisa Santiago Mar- quez Iguaran, madre di Gabo. Rinasce la «casa lunatica» di Garcia Marquez Ad Aracataca, nel Nord della Colombia, è stata ricostruita da zero l’abitazione dei nonni dello scrittore premio Nobel N egli ultimi anni la stella di Jeremy Ri- fkin sembrava un po’ appannata. L’autore di «Economia all’idrogeno» e «La fine del lavoro» - libri che aveva- no schierato su fronti opposti sostenitori e avver- sari - era scomparso dalle prime pagine dei gior- nali e non aveva trovato molta udienza neppure al Vertice di Copenaghen, dov’erano in discussio- ne i temi a lui più congeniali. Ma i problemi solle- vati da Rifkin, con la sua prosa tagliente e le sue proposte talvolta provocatorie, non sono scom- parsi. Anzi, il tempo li ha aggravati. Il suo ultimo libro riprende, inquadrandole in un contesto più ampio, le analisi contenute nei saggi precedenti. «La civiltà dell’empatia - La corsa verso la coscienza globale nel mondo in cri- si» (Mondadori) può essere considerata una summa del suo pensiero, con lunga retrospetti- va e con nuovi suggerimenti per il futuro. Rifkin possiede una particolare abilità nel pre- sentare le alternative che ci stanno di fronte: le vie della salvezza e quelle del precipizio, nella speranza che, dal loro confronto, emergano le energie politiche, morali e intellettuali per in- camminarci sulla buona strada. L’autore esordi- sce con un messaggio in apparenza rassicuran- te: a dispetto di quel che filosofi, economisti, psi- cologi e scienziati hanno affermato per secoli, la specie umana non è per sua natura aggressiva e utilitarista, non pensa esclusivamente al guada- gno e alla soddisfazione dei bisogni materiali. Al contrario, scoperte scientifiche recenti hanno di- mostrato «che uomini e donne manifestano la capacità di relazionarsi con gli altri in maniera empatica, percependone i sentimenti, in partico- lare la sofferenza, come se fossero i propri». La storia umana, così, potrebbe essere riscrit- ta da un’altra angolatura. Secondo Rifkin, nel mondo agricolo la coscienza era regolata dalla fede, in quello industriale dalla ragione, nell’era dell’informazione (e della globalizzazione) sarà governata dall’empatia e si fonderà «sulla capa- cità di immedesimarsi nello stato d’animo o nel- la situazione di un’altra persona». Il che compor- ta la scelta, intellettuale prima ancora che politi- ca, di superare gli schemi nazionali per conside- rare il mondo come una unità indissolubile. Una rivoluzione titanica cui non siamo ancora prepa- rati e che, qualora non fosse realizzata, ci fareb- be precipitare nell’abisso. E il tempo per la rispo- sta è breve, si misura in pochi decenni. L’empatia che, a livello sociale, si traduce in un allargamento sempre più ampio degli oriz- zonti umani, può anche avere effetti negativi. È lo stesso Rifkin ad ammetterlo quando ricorda la caduta dell’Impero romano che «fu capace di espandere l’empatia dei suoi cittadini creando una comunità molto vasta unita dallo stesso de- stino. Ma al tempo stesso spinse lo sfruttamen- to della base agricola fino a provocare un esauri- mento che fu la vera causa del declino, prima del- le invasioni barbariche». Una storia che si ripete oggi a livello globale. Di qui la necessità di impri- mere una svolta radicale ai nostri comportamen- ti per evitare il collasso che, stavolta, sarebbe as- sai più terrificante della caduta di Roma. Riprendendo uno dei leitmotiv dei suoi libri, l’autore delinea una terza rivoluzione industria- le che, come le precedenti, «sarà trainata da una convergenza tra le nuove tecnologie della comu- nicazione e dell’energia. Le prime civiltà idrauli- co-industriali si fondarono sull’invenzione dell’al- fabeto; la seconda rivoluzione industriale dal- l’800 al ’900 fu l’incontro fra elettricità, telegrafo, radio, tv». Oggi le «nuove tecnologie della comu- nicazione convergono con le energie rinnovabi- li». L’uomo possiede le conoscenze necessarie per imboccare questa strada virtuosa, ma non è detto che ciò avvenga. «Riusciremo ad acquisire una coscienza biosferica e un’empatia globale in tempo utile per evitare il collasso planetario?». Si può essere d’accordo o meno con le propo- ste di Rifkin, e molti non lo sono o le giudicano fantasiose. Ma non si può non riconoscergli il me- rito di essere stato fra i primi a suscitare un di- battito fondamentale per il nostro tempo. Giovanni Vigo Storia tra ricerca e magistero Domani a Milano la presentazione di una raccolta di saggi dello studioso ch’è stato maestro autorevole e una delle figure di riferimento del cattolicesimo Il Giusto sofferente da Giobbe a Sigurd Una «figura» della Passione pasquale Giorgio Rumi, che fu titolare della cattedra di Storia contemporanea della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Milano GIORGIO RUMI «Giobbe» La civiltà dell’empatia per evitare la catastrofe Tra profezia e monito il nuovo Jeremy Rifkin. Comunicazioneed energie rinnovabiliper la terza rivoluzione industriale Cultura & Spettacoli Giornale di Brescia Domenica 28 Marzo 2010 51

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Data e Ora: 27/03/10 20.51 - Pag: 51 - Pubb: 28/03/2010 - Composite

Domani a Milano, al Centro congressi della Fondazio-ne Cariplo, in via Romagnosi 8, alle 16.30, verrà presen-tata l’opera di Giorgio Rumi «Perché la storia. Itineraridi ricerca (1963-2006)», a cura di Edoardo Bressan e Da-niela Saresella, introduzione di Enrico Decleva (Mila-no, Led, 2009). Dopo i saluti del presidente della Fonda-zione, Giuseppe Guzzetti, e del rettore dell’Universitàdegli Studi di Milano - le due istituzioni che hanno pro-mosso l’evento - parleranno il card. Dionigi Tettaman-zi, Piero Bassetti, Giuseppe Galasso, Lorenzo Ornaghi,Andrea Riccardi e Sergio Romano, coordinati da Gra-do Giovanni Merlo.

Pubblichiamo una presentazione scritta dal curato-re.

Isaggi raccolti in due volumi, per oltre mille pagine,abbracciano un lungo arco cronologico e permet-tono di conoscere anche saggi di non facile reperi-bilità: si va dagli scritti dei primi anni Sessanta a

quelli delle settimane precedenti la scomparsa di Rumi,avvenuta il 30 marzo 2006, settimane segnate da un’ope-rosità che la malattia non aveva mai affievolito.

Rumi è stato uno degli storici più autorevoli di questidecenni, diventando al tempo stesso una figura di pri-mo piano e un punto di riferimento per il cattolicesimoitaliano. Nato a Milano il 15 marzo 1938 e vissuto fra lametropoli ambrosiana e il paese della sua famiglia - Don-go sul lago di Como, dove ora riposa - Rumi si laurea inScienze politiche all’Università Cattolica del Sacro Cuo-re sotto la guida di Ettore Passerin d’Entrèves, per arri-vare ben presto alla cattedra di Storia contemporaneanella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degliStudi di Milano, dove fino all’ultimo ha seguito i suoi stu-denti e laureandi con costante e partecipe attenzione.Per me, che ero fra quei giovani e che ora ho collaboratocon l’amica e collega Daniela Saresella alla realizzazionedi questa raccolta, è stato davvero emozionante sia ritro-vare testi che non avevo avuto modo di conoscere siarileggere lavori di cui Rumi, maestro che amava metter-si in discussione, ci aveva parlato in uno dei tanti mo-menti trascorsi con lui.

I principali nuclei tematici, che corrispondono alle seiparti dell’opera, rimandano a un ininterrotto percorsodi studio, in cui non c’è posto per interpretazioni preco-stituite o mode storiografiche, sempre alla luce di unacapacità di ripensare il passato originale perché fondatasulla ricerca e libera da interessi contingenti. Possiamocosì seguire, in pagine davvero belle, le riflessioni sullapolitica estera del fascismo, sul lungo viaggio dei cattoli-ci italiani dal fascismo alla democrazia, sul ruolo di Mila-no e della Lombardia nella storia del nostro Paese, sulconfronto fra i cattolici e la modernità in relazione al ma-gistero della Chiesa e in particolare alla lezione di Monti-ni, sulla Santa Sede e la sua irrinunciabile missione inter-nazionale, su varie vicende e figure della storia lombar-da, nazionale ed europea.

Colpisce soprattutto la preoccupazione di non isolarei problemi e di coglierne sempre i rapporti e le intersezio-

ni: la dimensione locale e regionale è imprescindibile peruno studioso come Rumi, ma si lega alla centralità delloStato nazionale, che a sua volta vive nel contesto inter-nazionale, fra un’età a lungo segnata dalla «politica dipotenza» e l’auspicato approdo a una casa comune euro-pea e a un ordine «globale» più giusto ed equilibrato. Ilriferimento è realmente alla «vastità», ben conosciutadalla gente del lago che sapeva percorrere le vie del mon-do.

La riflessione sui cattolici e la Chiesa italiana si svolgea sua volta nel segno della complessità: come ha oppor-tunamente ricordato Decleva, non per un ruolo artificio-so di «storico cattolico», ma per un’attenzione partecipee vissuta al Cristianesimo nella storia. Rumi ritrova inmolti credenti, già agli esordi dell’età contemporanea,una nuova consapevolezza delle res novae da affrontare,secondo un approccio che non può avere pregiudizialidavanti a un’inedita realtà che s’impone: è la stessa fe-deltà alla tradizione e all’insegnamento della Chiesa aimplicare l’apertura e il confronto. L’«idea di nazione»esige qualcosa di più di una presa di distanza, come subi-to intuiscono Gioberti, Manzoni, Rosmini, e la questio-ne sociale qualcosa di più di una generica protesta. Ri-spetto agli esiti, da una parte, del processo risorgimenta-

le e, dall’altra, della modernizzazione economica e indu-striale, l’urgenza diventa allora quella della partecipazio-ne sociale, della rivendicazione di una cittadinanza a pie-no titolo, di un ruolo nella società internazionale nel sol-co delle intuizioni di Leone XIII e Benedetto XV. Per il150˚ anniversario dell’Unità nazionale le riflessioni di Ru-mi costituiscono realmente un contributo decisivo, persuperare inutili contrapposizioni e per valorizzare unacondivisione che era già nel cuore di molti.

Più avanti, nel vivo dei problemi del Novecento, è dinuovo l’esempio di Montini ad assumere un valore em-blematico, con la sua scelta di un cristianesimo di popo-lo, che vedeva così radicato nell’esperienza ambrosiano-borromaica, per rispondere alle sfide della modernità,nei diversi ambiti della cultura e della scienza, dell’eco-nomia e del lavoro, della carità e della cura degli ultimi.

Giorgio Rumi ha vissuto pienamente un tempo diffici-le e inquieto, legando sempre la ricerca scientifica a unmagistero culturale che ha sottolineato il fecondo lega-me, secondo la sua felice espressione, fra Civitas ed Ec-clesia. È un rapporto che non segue le logiche di un intel-lettualismo disincarnato, ma che riguarda le vicende ele ragioni della storia.

Edoardo Bressan

L’archetipo letterario, che tro-va il proprio adempimentostorico e metafisico nella vi-cenda pasquale del Cristo

morto e risorto, è la figura del «Giusto sof-ferente».

La più antica e potente incarnazionedell’interrogativo esistenziale «perché an-che il giusto soffre e muore?» si trova nelbiblico Giobbe, recentemente tornato al-la ribalta a Brescia con la Sacra Rappre-sentazione proposta nella Chiesa di SanFrancesco dalla Cooperativa Cattolico-Democratica di Cultura per la regia diCarlo Rivolta e Nuvola de Capua.

Il ricco e felice, saggio e pio, buono egiusto Giobbe, è messo alla prova da Sa-tana che, sfidando Dio, lo priva di tutto,figli ricchezze e salute, lasciandolo a grat-tarsi con un coccio sul letame, e più anco-ra dai suoi falsi amici, che per consolarlogli ricantano il vecchio luogo comune (sene trovano tracce in tutti imiti sulla natura mortaledell’Umanità): le disgraziesono la giusta punizione di-vina per i suoi peccati oc-culti, dunque li ammetta, ela smetta di chiamare Dioa testimone della propriainnocenza.

Tutti i ruoli si intreccia-no nella polifonica interpre-tazione di Luciano Bertoli,con l’ausilio essenziale edefficace di musiche e luci, fi-no alla soluzione del dram-ma: fieramente invocatoda Giobbe, l’Onnipotentestesso si manifesta, esaltala piena bellezza del Crea-to, che necessita anche della presenzadel male, unica e terribile garanzia peruna reale libertà dell’uomo, perché la suaadesione al progetto divino sia un liberogesto d’amore e non un passaggio obbli-gato, rimprovera la presunzione di Giob-be, ma ne loda al tempo stesso la costan-za, dichiarando ai suoi amici che solo perla preghiera di Giobbe li perdona, perchénon hanno detto il vero di Lui, riducendol’Altissimo a un idolo collerico e vendicati-vo, mentre Giobbe, «il ribelle», ha bencompreso il difficile amore che unisce lacreatura al suo Creatore.

Questo grande testo è, nella storia del-la letteratura, forse il primo che si possadefinire una tragedia.

Databile al VI sec. a.C. per la trasparen-te analogia con l’esilio babilonese del Po-polo Eletto, ma forse anche, in nuce, piùantico, perché il Giusto sofferente è figu-ra ricorrente nella Bibbia, da Abele a Giu-seppe, da Davide ai Profeti, «Giobbe» af-

fianca e forse precede l’elaborazione elle-nica del medesimo tema che, dopo le pro-ve mitiche di Eracle e Bellerofonte, siesprimerà pienamente, nel V secolo, congli eroi della tragedia attica: Aiace, Filot-tete e soprattutto Edipo.

Costui, al pari di Giobbe, dalla massi-ma fortuna (vincitore della Sfinge, salva-tore e re di Tebe, sposo e padre felice)precipita nell’abisso dell’orrore senzaaver commesso scientemente colpa alcu-na, ma alla fine gli Dei, inspiegabilmentecome ne hanno permesso la rovina, lo as-sumono tra Loro, beato eroe difensore diAtene, nell’«Edipo a Colono» di Sofocle.

Consacrato dalla letteratura greco-lati-na (ne è un esempio lo stesso Enea virgi-liano, manovrato dagli Dei e destinato amorte precoce, nonostante la sua coeren-te «pietas») il Giusto sofferente è interpre-tato dalla Patristica e dalla successivatradizione medievale e barocca come «fi-

gura Christi» e, da enigma-tica icona dell’assurdo esi-stenziale, diviene nesso ri-solutivo del problema delMale, nei drammi diShakespeare e di Calde-ròn come nell’arte, che tra-sfigura gli antichi uccisoridi mostri nel Risorto vinci-tore degli Inferi (ma an-che in san Giorgio ecc.).

Dall’Oriente mediterra-neo Giobbe approda cosìall’Occidente nordico, edà nuova vita alla saga deiNibelunghi nelle opere del-l’ultimo Tolkien, rimasteinedite perché non finite,e pubblicate solo recente-

mente a cura del figlio Christopher (la tra-duzione italiana è edita da Bompiani): ne«I figli di Hùrin» tramite l’incrocio del mi-to edipico con il tema nibelungico dell’uc-cisione del drago, inseriti in un’epoca an-tecedente la vicenda del «Signore degliAnelli»; nel più recente «La leggenda diSigurd e Gudrùn» nella rivisitazione dellasaga di Sigfrido (mediatore è il mito diBalder, già decisivo per l’evoluzione spiri-tuale e artistica di Tolkien).

Irretito in una trama d’inganni che lasua stessa leale ingenuità contribuisce arendere inestricabile, l’eroe viene condot-to a morte con l’assenso di Odino perché- innova Tolkien - è il Prescelto del Mon-do, destinato, nel Giorno del Giudizio, avincere definitivamente la Morte, da luigià subita senza colpa, e a salvare «il Mon-do Rinato», la Gerusalemme Celeste cheGiobbe aveva incrollabilmente sperato.

Mino Morandini

■ Ha riaperto le porte, ad Aracataca, nel Nord dellaColombia, la residenza dove lo scrittore Gabriel GarciaMarquez ha passato l’infanzia e che ha ispirato alcunesue opere. Definita dal premio Nobel per la letteraturala «casa lunatica», l’abitazione, di 14 stanze, è stata in-teramente ricostruita ed arredata, dopo che quella ori-ginale, in stile caribegno della prima metà del secoloXX, era stata demolita circa 40 anni fa.

La casa, convertita in museo, rappresenta una nuo-va attrazione per tutti coloro che vogliono rivivere l’at-mosfera magica che ha ispirato le opere di Gabo. «Arri-vando qui ho sentito una forte emozione, ho rivissuto i

tempi nei quali correvo con i miei fratelli sulla pura ter-ra a piedi scalzi. Il corridoio con le begonie, la cameradei nonni e l’ufficio del nonno mi hanno portato moltiricordi», ha detto Aida Rosa Garcia Marquez, sorelladello scrittore. Con il fratello Jaime e la nipote Orianaha vigilato perché la «casa lunatica» fosse più possibilesimile all’originale. Gabo ha supervisionato il progetto,avvalendosi di architetti ed esperti. La stanza che forseconserva meglio l’aspetto originale è quella dove dormi-vano tre indigeni wayuu, che facevano parte della servi-tù, ma molti dei partecipanti alla cerimonia di inaugu-razione hanno riferito di ritrovarci appieno la descrizio-

ne che Garcia Marquez ne ha fatto nel libro «Vivere perraccontarla».

«Aracataca è stato un posto emblematico nell’operadi Marquez, però mancava un luogo dove tutta questamemoria si potesse ricostruire. Non c’era nulla di piùadeguato di quelli che furono la sua casa ed i suoi spa-zi», ha detto il ministro della Cultura colombiano Pau-la Moreno. I lavori per la ricostruzione erano comincia-ti nel 2008 e l’opera è costata 600 milioni di dollari. Ara-cataca ospita già una statua dello scrittore ed un ospe-dale cui è stato dato il nome di Luisa Santiago Mar-quez Iguaran, madre di Gabo.

Rinasce la «casa lunatica» di Garcia MarquezAd Aracataca, nel Nord della Colombia, è stata ricostruita da zero l’abitazione dei nonni dello scrittore premio Nobel

Negli ultimi anni la stella di Jeremy Ri-fkin sembrava un po’ appannata.L’autore di «Economia all’idrogeno»e «La fine del lavoro» - libri che aveva-

no schierato su fronti opposti sostenitori e avver-sari - era scomparso dalle prime pagine dei gior-nali e non aveva trovato molta udienza neppureal Vertice di Copenaghen, dov’erano in discussio-ne i temi a lui più congeniali. Ma i problemi solle-vati da Rifkin, con la sua prosa tagliente e le sueproposte talvolta provocatorie, non sono scom-parsi. Anzi, il tempo li ha aggravati.

Il suo ultimo libro riprende, inquadrandole inun contesto più ampio, le analisi contenute neisaggi precedenti. «La civiltà dell’empatia - Lacorsa verso la coscienza globale nel mondo in cri-si» (Mondadori) può essere considerata unasumma del suo pensiero, con lunga retrospetti-va e con nuovi suggerimenti per il futuro.

Rifkin possiede una particolare abilità nel pre-sentare le alternative che ci stanno di fronte: levie della salvezza e quelle del precipizio, nella

speranza che, dal loro confronto, emergano leenergie politiche, morali e intellettuali per in-camminarci sulla buona strada. L’autore esordi-sce con un messaggio in apparenza rassicuran-te: a dispetto di quel che filosofi, economisti, psi-cologi e scienziati hanno affermato per secoli, laspecie umana non è per sua natura aggressiva eutilitarista, non pensa esclusivamente al guada-gno e alla soddisfazione dei bisogni materiali. Alcontrario, scoperte scientifiche recenti hanno di-mostrato «che uomini e donne manifestano lacapacità di relazionarsi con gli altri in manieraempatica, percependone i sentimenti, in partico-lare la sofferenza, come se fossero i propri».

La storia umana, così, potrebbe essere riscrit-ta da un’altra angolatura. Secondo Rifkin, nelmondo agricolo la coscienza era regolata dallafede, in quello industriale dalla ragione, nell’eradell’informazione (e della globalizzazione) saràgovernata dall’empatia e si fonderà «sulla capa-cità di immedesimarsi nello stato d’animo o nel-la situazione di un’altra persona». Il che compor-

ta la scelta, intellettuale prima ancora che politi-ca, di superare gli schemi nazionali per conside-rare il mondo come una unità indissolubile. Unarivoluzione titanica cui non siamo ancora prepa-rati e che, qualora non fosse realizzata, ci fareb-be precipitare nell’abisso. E il tempo per la rispo-sta è breve, si misura in pochi decenni.

L’empatia che, a livello sociale, si traduce inun allargamento sempre più ampio degli oriz-zonti umani, può anche avere effetti negativi. Èlo stesso Rifkin ad ammetterlo quando ricordala caduta dell’Impero romano che «fu capace diespandere l’empatia dei suoi cittadini creandouna comunità molto vasta unita dallo stesso de-stino. Ma al tempo stesso spinse lo sfruttamen-to della base agricola fino a provocare un esauri-mento che fu la vera causa del declino, prima del-le invasioni barbariche». Una storia che si ripeteoggi a livello globale. Di qui la necessità di impri-mere una svolta radicale ai nostri comportamen-ti per evitare il collasso che, stavolta, sarebbe as-sai più terrificante della caduta di Roma.

Riprendendo uno dei leitmotiv dei suoi libri,l’autore delinea una terza rivoluzione industria-le che, come le precedenti, «sarà trainata da unaconvergenza tra le nuove tecnologie della comu-nicazione e dell’energia. Le prime civiltà idrauli-co-industriali si fondarono sull’invenzione dell’al-fabeto; la seconda rivoluzione industriale dal-l’800 al ’900 fu l’incontro fra elettricità, telegrafo,radio, tv». Oggi le «nuove tecnologie della comu-nicazione convergono con le energie rinnovabi-li». L’uomo possiede le conoscenze necessarieper imboccare questa strada virtuosa, ma non èdetto che ciò avvenga. «Riusciremo ad acquisireuna coscienza biosferica e un’empatia globale intempo utile per evitare il collasso planetario?».

Si può essere d’accordo o meno con le propo-ste di Rifkin, e molti non lo sono o le giudicanofantasiose. Ma non si può non riconoscergli il me-rito di essere stato fra i primi a suscitare un di-battito fondamentale per il nostro tempo.

Giovanni Vigo

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GIORGIORUMI

«Giobbe»

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Cultura&Spettacoli

Giornale di Brescia Domenica 28 Marzo 2010 51