Giorgio Ciacci: dipinti

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GIORGIO CIACCI Dipinti SENIGALLIA - PALAZZO DEL DUCA, 7 OTTOBRE / 18 NOVEMBRE 2006

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Catalogazione fotografica generale dei dipinti dell’artista, conservati dalla famiglia, per restituire alla comunità cittadina un’immagine complessiva e leggibile di un approccio fortemente personalizzato alle tematiche più frequentate, il paesaggio, i gruppi di figure, i fiori.

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GIORGIO CIACCI Dipinti

SENIGALLIA - PALAZZO DEL DUCA, 7 OTTOBRE / 18 NOVEMBRE 2006

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Come è stato lo scorso anno per quella dello scultore Guido Rossini, questa mostra di Giorgio Ciacci viene allestita al Palazzo del Duca, su lo-devole proposta della Pro loco di Senigallia. Rien-tra nel programma di valorizzazione della cultura visiva senigalliese del Novecento, condotto da vari anni dal Comune di Senigallia, attraverso gli allestimenti curati dal Museo comunale d’arte moderna e dell’Informazione.

Con le testimonianze di critici ed artisti e con l’esposizione di una selezione di alcune tra le o-pere affettuosamente conservate dalla famiglia Ciacci, la Città può ricordare questo artista di talento, che ebbe notevoli successi nei concorsi, anche nazionali, en plein air. Walter Piacesi, uno dei maestri dell’incisione contemporanea, ha elogiato Giorgio Ciacci anche per le sorprenden-ti prove grafiche, che ci proponiamo di valorizza-re con iniziative espositive future. Oggi l’azione congiunta del Museo comunale, dell’associazio-ne Pro loco e della Mediateca delle Marche ci consente di vedere catalogate in un video, ap-positamente prodotto per la mostra, tutta la pro-duzione pittorica di Giorgio Ciacci, in gran parte dedicata al paesaggio senigalliese e marchigia-no. Questo video, distribuito dalla Mediateca delle Marche, ha visto l’impegno di un gruppo di lavoro del Musinf e della Mediateca delle Mar-che ed il coordinamento, per la parte fotografi-ca, di Alfonso Napolitano.

Nato nel 1921 a S. Costanzo di Pesaro, Giorgio Ciacci, all’età di sette anni si era trasferito con la famiglia a Senigallia, dove ha vissuto fino al 1986, anno della sua morte.

Nel 1945 si era iscritto all’Istituto del Libro di Urbino, dove era stato allievo di Leonardo Castel-lani dal quale aveva saputo mutuare l’inconfon-dibile lirismo grafico. Nel 1950 si era diplomato in acquaforte iniziando, proprio con tale tecnica, la sua produzione artistica. Di quell’anno è anche la sua prima mostra personale, allestita nel Liceo di Senigallia, in contemporanea con l’incisore Ar-naldo Battistoni.

Intensa era stata, da quel momento, la sua attività espositiva, con il riscontro di numerosi e qualificati riconoscimenti.

Nel 1963 aveva partecipato ad Amsterdam, alla Colletiva dei Pittori Marchigiani. La stampa olandese aveva subito segnalato la qualità dell’-opera di Ciacci. Nello stesso anno aveva parteci-pato al premio Salvi, vincendo la medaglia d’oro della Presidenza della Camera dei Deputati. Nel 1973, al Concorso Nazionale di Pittura di Piombi-no, vinse la medaglia d’oro “Renzo Biasion”. Sem-pre nello stesso anno conseguì la medaglia d’oro

del Presidente della Repubblica, al Concorso “Monte Conero” di Ancona.

Negli ultimi anni della sua vita, tra i riconosci-menti ottenuti, le sue biografie citano il premio di pittura Dubrovnik (1980), l’Oscar Europeo per la Pittura di Vienna e il “Prix Européen” di Parigi (1981).

L’intensa attività artistica di Ciacci è stata af-fiancata ad un’apprezzata attività didattica, svolta nelle scuole medie cittadine.

LUANA ANGELONI

Sindaco di Senigallia

I testi di questo catalogo mettono sintetica-

mente in luce il lavoro corale, che è stato di sup-porto alla mostra, allestita nelle sale del palazzo del Duca e finalizzata a porre in giusta luce l’ope-ra e la personalità di Giorgio Ciacci.

Lo scopo primario dell’iniziativa era quello di compiere una catalogazione fotografica gene-rale dei dipinti dell’artista, conservati dalla fami-glia, per restituire alla comunità cittadina un’im-magine complessiva e leggibile di un approccio fortemente personalizzato alle tematiche più fre-quentate, il paesaggio, i gruppi di figure, i fiori.

Un approccio, di cui ci era sembrato utile an-che sottolineare il forte radicamento nelle dina-miche e nelle pratiche dell’ambiente culturale senigalliese delle arti visive, a cavallo tra il decli-nare degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta.

Le testimonianze del pittore Mauro Marinelli, del fotografo Ferroni, uno dei fondatori del grup-po fotografico Misa, e dello scultore Bonazza ci restituiscono l’appassionato e produttivo clima dell’epoca.

In particolare a Mauro Marinelli si deve una descrizione dettagliata ed affettuosa delle riunio-ni nella bottega del corniciaio Angelini, dove si è sviluppato l’incontro ed il confronto trai vari pro-tagonisti della pittura e della fotografia senigallie-se, in un coacervo emulativo di esperienze, desti-nate, come nel caso di Giacomelli, a lasciare un segno determinante anche nella storia dell’arte contemporanea.

Le interviste a Gastone Mosci, cui si devono le belle edizioni del Nuovo Leopardi e quella di Wal-ter Piacesi, uno dei riconosciuti maestri dell’inci-sione e della pittura nell’Italia del secondo Nove-cento, pongono l’accento anche sul periodo della formazione urbinate di Giorgio Ciacci, foca-lizzando il valore dell’artista in un più ampio con-testo.

Da Walter Piacesi poi viene un’indicazione autorevole sulla poesia dell’opera incisa di Gior-gio Ciacci. Un’indicazione che ci motiva ad at-tuare iniziative, a partire da un’approfondita ri-cerca di settore.

CARLO EMANUELE BUGATTI

Direttore del MUSINF di Senigallia

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INCISIONE

Giorgio Ciacci, “Fiori e vaso”, acquaforte, 1973

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GASTONE MOSCI

Giorgio Ciacci: un emblema di Senigallia

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Giorgio Ciacci, “Studio Conchiglie”, acquaforte, 1973

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La mostra di Giorgio Ciacci, pur dedi-cata alla pittura, richiama la centralità della Scuola del Libro nella formazione degli artisti marchigiani della generazio-ne degli anni cinquanta-sessanta. L’at-trazione di Urbino è notevole. Ciacci sente quel richiamo da senigalliese che è nato a San Costanzo, ma soprattutto vive un mito antico diffuso fra i giovani artisti: andranno a Urbino anche Dante Panni, Francesco Gabriele, Fiorella Dia-mantini, Aroldo Governatori. Panni riusci-rà ad avere una borsa di studio per i cin-que anni dell’intero corso e poi resterà a Urbino. Lo stesso Governatori, anche lui bravissimo a scuola, sente la vocazione del disegno e viene indirizzato ad Urbi-no: fa le sue prime esperienze nei tre an-ni dell’ISA, come aspirante artista nell’-aula di calcografia di Leonardo Castel-lani, seguito anche da Renato Brusca-glia, e quindi vive quell’ambiente molto stimolante. Ciacci e Panni, e poi Gover-natori, inoltre la Diamantini hanno inter-pretato la tradizione della scuola del libro ed hanno creato rapporti nuovi con la grafica, che rappresenta il cuore dell’arte del primo Novecento. Urbino vive l’influsso del liberty, le suggestioni di De Carolis, il preraffaellismo di France-sco Carnevali. Chi studia alla Scuola del Libro anche qualche anno dopo, rispet-to agli anni venti e trenta, subito dopo la seconda guerra mondiale, ne sente il forte influsso artistico-editoriale, vive quell’atmosfera di creatività permanen-te.

Giorgio Ciacci entra in questo mon-do, lo interpreta perché ha la passione del disegno e dell’incisione, sa cogliere immediatamente tutti gli stimoli che vengono da un ambiente unico. A Urbi-no qualcosa cambia visibilmente nel secondo dopoguerra quando Carlo Bo è eletto magnifico rettore l’8 marzo 194-7. Era il professore più giovane e propo-ne un rinnovamento sorprendente. L’u-niversità si trasforma negli anni ’50, cre-scono le facoltà, i docenti, gli studenti. Urbino dispone di richiami inediti: da cit-tadina tagliata fuori dallo sviluppo che

privilegia la costa, la rete ferroviaria e stradale, la crescita industriale. In dieci anni la città-campus, così oggi è chia-mata nel Cinquecentesimo anno dalla fondazione, conquista grandi collega-menti culturali con Firenze, Milano e Ro-ma. Firenze è l’antica capitale della let-teratura e dell’arte, Milano la capitale dell’industria e della cultura, Roma la nuova capitale repubblicana. Carlo Bo è inserito nel contesto culturale naziona-le e attraverso l’amico Elio Vittorini chia-ma a Urbino un giovane architetto di valore, Giancarlo De Carlo, che riesce a ristrutturare la città e l’università, a salva-guardare il centro storico, a valorizzare un gioiello del rinascimento. La cono-scenza di Urbino nel campo architetto-nico-urbanistico diventa di fama inter-nazionale: il recupero del rinascimento caratterizza la cultura della seconda metà del Novecento. Chi partecipa ad un contesto di trasformazione ne subi-sce gli effetti.

Giorgio Ciacci era amico a scuola di Walter Piacesi, che veniva da Ancona e che si stabilirà subito a Fermignano, es-sendo suo padre ferroviere. Dalla città dorica un altro giovane attratto dalla scuola del libro è Giorgio Bompadre. Ma molti di questi studenti giungono già grandi alla scuola urbinate, dopo anni di parcheggio, d’indecisione sulla stra-da da prendere e misteriosi d’una voca-zione tenuta segreta. Sono oggi, dopo varie esperienze in diaspora, considerati fra i maggiori incisori italiani: Arnoldo Ciarrocchi, Bruscaglia, Bompadre, Pietro Sanchini, Panni, Alberico Morena, Nun-zio Gulino, Piacesi, Walter Valentini, Enri-co Ricci. Costoro trovano nella scuola urbinate due numi tutelari, Francesco Carnevali per l’illustrazione e Leonardo Castellani per la calcografia: sono due artisti già noti, con molta esperienza nel-l’editoria, scrittori, viaggiatori, nella rete del mondo letterario ricreato da Carlo Bo e sostenuto da Mario Luzi, Pino Paio-ni, Alessandro Parronchi, Mario Apollo-nio, Paolo Volponi, Valerio Volpini, don Italo Mancini. Vi aggiungo un terzo ma-

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estro per la litografia e la cultura militan-te, Carlo Ceci, ancora operoso e punto di riferimento di tante attività d’arte. Per far capire l’impazienza dei giovani urbi-nati del periodo di Giorgio Ciacci, ripor-to una citazione dal famoso libro di Francesco Carnevali, “Cento anni di vi-ta dell’Istituto d’Arte di Urbino” (1961): Fiorella Diamantini (Cingoli 1931), Mario Bellagamba (Ancona 1930) e Nino Ricci (Macerata 1930), trasferiti a Roma, vi hanno frequentato, i primi due l’Acca-demia di Belle Arti (la Diamantini allieva di Mino Maccari per l’incisione e il Bella-gamba di Amerigo Bartoli per la pittura) e il terzo Cinecittà.

Ecco, volevo presentare l’ambiente. Giorgio Ciacci ha bisogno di guada-gnare, non vede l’ora, appena diplo-mato, di tornare a Senigallia e realizzare subito una mostra al Palazzetto Baviera nell’estate 1950. E di quella mostra ne parlano tutti bene. Prima di tutto Carne-vali, direttore della Scuola del Libro, che si ritrova stupito di fronte alle incisioni e ai disegni. Il consenso è registrato nell’a-prile 1974 nella rivista “Il Leopardi”, diret-ta da Valerio Volpini. Anzi, è Volpini a proporre l’inserto monografico dedicato a Ciacci, per parlare di lui, stabilire un dialogo, cercare di capire la realtà seni-galliese, la quale, sostiene giustamente Bugatti, non registrava una grande diffu-sione della comunicazione d’arte. Erano tempi d’approccio, più tardi si assiste ad un’esplosione della grafica. Giorgio Ciacci può segnare l’anno 1950 come riferimento per la sua avventura artisti-ca.

A Senigallia gli anni cinquanta sono decisivi per il suo futuro, di consacrazio-ne e di formazione dell’intellighentsia creativa, sono un momento nuovo per la cultura della città. Lo scrittore Mario Puccini e il fotografo Giuseppe Cavalli chiudono un’epoca. Il mondo nuovo nasce con la fotografia di Mario Giaco-melli e Ferruccio Ferroni, la pittura di Giorgio Ciacci, Dante Panni, Fiorella Diamantini e Enzo Marinelli, la scultura di Silvio Ceccarelli, il teatro di Gianfrance-

sco Luzi, la critica letteraria di Sandro Genovali, la storia di Sergio Anselmi, Renzo Paci e Elvio Grossi, la musica di Renato Sellani, l’animazione culturale di Domenico Pergolesi.

Gli anni cinquanta aprono un’epoca nuova nella ricostruzione postbellica sul piano materiale ed anche sul piano po-litico, etico e culturale. Si pensi al cine-ma: l’esperienza del neorealismo incide anche nella letteratura, nell’arte, nell’ar-chitettura. E’ il periodo più creativo del secondo dopoguerra.

Aroldo Governatori se n’è reso conto in seguito, quando da Senigallia è an-dato a Roma e poi a Parigi, dove anco-ra opera. Gli anni ‘50 a Parigi sono sor-prese continue. Parigi è sempre la capi-tale europea della cultura, pur nel cam-bio della situazione culturale dell’Euro-pa. Chi vive questa formazione è anche privilegiato perché può portare un con-tributo nuovo, che non è semplicemen-te quello di cercare il dialogo, del far conto di interessi immediati. Trova un itinerario che va verso qualcosa che vuol definire la propria situazione, la pro-pria condizione, il proprio statuto di arti-sta.

Questa consapevolezza cresce. Il simbolo di questa realtà che evolve è Giacomelli, perché riesce a capire co-me cambia il ruolo dell’artista ed il suo inserimento nel contesto sociale e civile. Anche Ciacci capisce la situazione ge-nerale e quanto si sta evolvendo e rea-lizzando: può rendersi conto del cam-biamento perché vi è partecipe. Il suo contributo porta il segno della pittura e della poesia, della tecnica dell’immagi-ne e dello spirito della comunicazione.

Dall’intervento di Gastone Mosci all’inaugurazione

della mostra di Giorgio Ciacci, 7 ottobre 2006

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WALTER PIACESI

Ricordo di Giorgio Ciacci

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Giorgio Ciacci, “Chiesa del Brugnetto”, acquaforte, 1973

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Essenzialmente il mio ricordo di Ciacci risale agli anni 1949/’50, quando fre-quentavamo la sezione d’incisione del-l’istituto di belle arti di Urbino ed aveva-mo per maestro Leonardo Castellani.

Ricordo che Ciacci, sin dai primi esor-di, dai primi saggi, dimostrò delle note-voli qualità di acquafortista. Ricordo an-che che nei due anni di perfezionamen-to egli riuscì a produrre una notevole quantità di acqueforti, un grosso nume-ro, perché era un lavoratore accanito, un uomo pieno di interessi e di passioni.

Le avevamo raccolte, perché anche io avevo voglia di lavorare, quindi ci si ritrovava spesso insieme. I temi che Ciacci prediligeva erano solitamente dei paesaggi, dei paesaggi dei dintorni di Urbino, della sua amata città, Senigal-lia. Ricordo vedute periferiche viste co-me un sogno, vedute periferiche e tante belle marine. Ricordo una in particolare, erano dei barconi da pesca, lungo il molo del porto, evidentemente, di Cat-tolica.

La sua era un’acquaforte, intesa con una certa libertà di segno, quindi inten-sa nelle sue vibrazioni tecniche tanto è vero che tra le tante acqueforti prodot-te c’erano alcune di notevole formato e anche di indubbio livello. Oggi sarebbe bello ritrovarle tutte.

Ricordo anche che durante gli anni urbinati Ciacci aveva realizzato degli acquerelli di un certo interesse, acque-relli che ora, guardando queste riprodu-zioni relative ad una pittura che io non conoscevo, perché ad Urbino, in quegli anni, non ho mai avuto occasione di vederla, sottolineano una certa relazio-ne coloristica. Tra gli acquerelli di Urbino c’erano delle cose belle e nel contem-po legate anche alle acqueforti, per-ché anche l’acquaforte, ripeto, aveva quel carattere atmosferico, erano delle lastre completamente lavorate, con dei giochi di grigi, contrastati in un certo modo, quindi pittoriche.

La sua non era un’incisione fredda, arida, come spesso può capitare di ve-dere in tante occasioni. Era un’incisione

sensibile, quindi si sentiva che l’acque-rellista, l’incisore, d’allora era anche pit-tore. In lui esistevano delle qualità pittori-che che oggi confermano queste mie impressioni. Ciacci era una persona u-manamente molto comunicativa, parla-va, forse era buono, ingenuo, ma era sempre allegro. Quindi ci stavo volentie-ri, poiché non era un tipo che ti metteva la malinconia addosso, un uomo di grande energia. In più aveva questa passione, ed io altrettanto, andavamo d’accordo, quando si usciva con il pro-fessor Castellani a far paesaggio, tutti insieme. Lui era del 1921 ed io del 1929, le lezioni erano seguite degli alunni del Magistero e quelli della scuola di perfe-zionamento.

Le mostre estemporanee avevano dei tempi prefissi, si doveva timbrare la tela, era una vera e propria gara, con premi in palio. La sera, ad una certa o-ra, bisognava consegnare il lavoro. C’e-ra chi aveva un temperamento istintivo e captava le cose con una certa velo-cità, c’era anche chi aveva delle pause di riflessione, cioè amava lavorare medi-tando.

Ciacci è un pittore, un disegnatore che aveva delle qualità piuttosto istinti-ve, rapide, direi, sorgive, riusciva a con-cludere rapidamente, quindi ritengo che i premi conseguiti erano più che meritati, perché riusciva a presentare delle cose buone, in definitiva.

Dall’intervista a Walter Piacesi, del documentario

“Giorgio Ciacci, dipinti” (settembre 2006) a cura della Mediateca delle Marche.

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Gruppo dell’Associazione degli artisti senigalliesi - Senigallia, fine anni Sessanta

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GABRIELE BONAZZA

“Negli acquerelli Giorgio Ciacci aveva una mano favolosa”

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Giorgio Ciacci, “Nuove Costruzioni”, acquaforte, 1973

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Nel 1965/’66 eravamo soliti incontrarci nella bottega di Angelini, corniciaio, in Via Arsilli. C’erano Ciacci, Donati, Man-dolini, Gatti, Giacomelli, Manservigi, Sabbatini, Marinelli. Eravamo un gruppo unito. Poi aspettavamo che arrivasse Panni da Urbino. Ci riunivamo di solito il pomeriggio, verso le 18. Andavamo lì e chiacchieravamo tanto. Alcune volte fornivamo il cartoncino ed i colori a Ba-stari perché desideravamo che dise-gnasse, mentre noi parlavamo.

In effetti Bastari come pittore è nato lì dentro e mi ricordo che quella volta di-pingeva quadri piccoli ed originali. Io lo amavo, mentre, ora che produce qua-dri grandi, lo odio.

Ci riunivamo nella bottega di Angelini alla sera e spontaneamente, senza nes-sun orario concordato, in una di quelle riunioni abbiamo deciso di costituire uffi-cialmente un’ associazione di artisti, vi-sto e considerato che esisteva di fatto. Così è nata l’Associazione Artisti Senigal-liesi. Abbiamo organizzato tantissime co-se per quei tempi: mostre a Rimini, a Pe-saro, a Fano, a Senigallia. Io ho ancora documenti ed appunti relativi a tutte le manifestazioni organizzate. Dell’Associa-zione io sono stato nominato segretario. Mi ricordo che organizzavamo anche concorsi di pittura per villeggianti. Chi veniva a Senigallia per villeggiare e sa-peva dipingere poteva partecipare. L’-esposizione veniva realizzata sotto la galleria dell’ hotel City o sotto il portica-to dell’azienda di soggiorno.

Ciacci era un pittore bravo, soprattut-to di acquerelli. Io lo ricordo con molto entusiasmo come acquerellista. Aveva una mano favolosa e dipingeva pae-saggi. A quei tempi si organizzavano an-che molte ex-tempore. Si andava fuori, invitati da tanti Comuni. Era una cosa interessante.

Ciacci, non me ne vorrà se lo ricordo come un bambinone. Voleva sempre vincere, voleva sempre ragione. Era un tipo allegro, simpatico, gioviale. Voleva sempre essere il migliore, il più bello, il più bravo. Non ci dava fastidio, ma, in-

somma, sentivamo in lui questo atteg-giamento. Se non tutte le sere, portava un quadro nuovo, perché voleva essere il primo, il migliore. Andava a dipingere in campagna. Come acquerellista era davvero tra i migliori che io ho cono-sciuto. Ogni tanto “facevamo a cagna-ra”, come si dice alla senigalliese, sugli aspetti dell’arte. Marinelli e Ciacci dove andavano vincevano, quando erano invitati alle manifestazioni ex-tempore. Mi ricordo di Marinelli, quando era ferro-viere e dipingeva dentro lo scalo merci di Senigallia, alla Pace. Organizzavamo anche ex-tempore tra di noi. L’ultima la ricordo bene. Io, insieme a Mauro Mari-nelli, figlio di Enzo, ho preso un foglio di compensato molto grande e siamo an-dati al porto. Abbiamo messo il com-pensato sugli scogli: Mauro pitturava da una parte e io dall’altra. Conclusi i lavo-ri, li abbiamo portati in mostra nell’an-drone del palazzo di fronte al corniciaio Angelini. Abbiamo vinto noi e allora Ciacci ha cominciato a reclamare che il migliore era il suo dipinto. Lui era fatto così, voleva vincere. Da lì nacque una grande “cagnara” e da quel momento si è sciolta l’Associazione.

Nel 2001 io l’ho ripresa e ho rifondato l’Associazione Artisti Senigalliesi.

Di Ciacci ho questi ricordi: una perso-nalità forte, gioviale ed amava molto le donne. Quando da Giampaoli andava-mo a prendere un caffé e lui riusciva a vederne una, si entusiasmava, pure non ha mai disegnato nudi.

I suoi acquerelli erano interessanti, il tocco era eccezionale. Di sue incisioni ne ho viste poche, anche se lui veniva da Urbino e ci teneva molto, ma io mi ricordo degli olii e degli acquerelli. Dopo la sua morte non si è parlato molto della pittura. Se ne è parlato solo quando io ho organizzato la mostra nel 2002, dedi-cata agli artisti senigalliesi del ‘900 de-ceduti, tra cui c’erano mio padre, Ciac-ci, Gatti, Donati (bravissimo), Marinelli. In quell’occasione c’era anche Bastari, che allora era il più piccolo di tutti, il più modesto di tutti.

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INCISIONE

Giorgio Ciacci, “Vallone”, acquaforte, 1973

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FERRUCCIO FERRONI

Giorgio Ciacci: un artista di talento

INTERVISTA DI CARLO EMANUELE BUGATTI A FERRUCCIO FERRONI

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Nella foto a lato: gruppo dell’Associazione degli artisti senigalliesi - Senigallia, fine anni Sessanta

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BUGATTI: Il Musinf sta preparando una mostra de-dicata a Giorgio Ciacci. Con la collabo-razione della famiglia dell’artista ne ab-biamo catalogato tutte le opere, che sono state accuratamente conservate, dopo la scomparsa dell’Artista. Con una serie di interviste intendiamo ora dare voce a testimonianze di autori che con-tribuiscano a ricostruire il clima dell’am-biente artistico negli anni in cui Ciacci ha operato a Senigallia. Personalmente ho ritenuto sempre Ciacci un pittore di talento. Per prima cosa le chiedo se condivide questa idea? FERRONI: E’ esattissima. Io sono convinto che Giorgio avesse veramente del talento, anche se, da amico devo riconoscere che era un po’ disordinato. Però era ge-niale. Aveva delle idee straordinarie. Sì, in merito al talento di Giorgio Ciacci so-no pienamente d’accordo. BUGATTI: Il settore in cui si è affermato Giorgio Ciacci è quello della pittura estempora-nea, avendo avuto tanti successi in que-sto tipo di manifestazioni. FERRONI: Certo. Però devo dire che non sempre è stato apprezzato per il giusto valore. Quando lui si cimentava nei concorsi di pittura e parlava con me e con Mario Giacomelli, soprattutto con me per l’a-micizia che ci legava, Ciacci dimostra-va sempre uno straordinario entusiasmo per tutto quello che faceva, ma a volte, rimaneva male per certe incomprensio-ni che incontrava. Una volta, ad esempio, partecipò ad una mostra ad Ancona sul tema del pa-esaggio e del mare marchigiano. In quell’occasione alcune opere, forse un po’ raccomandate, finirono per essere preferite a quelle dell’amico Giorgio. Un’ingiustizia manifesta. Quante volte si sfogava con me! Aveva pienamente ragione.

BUGATTI: Per una ricostruzione storica dell’am-biente artistico del tempo in cui Ciacci ha operato a Senigallia lei è senz’altro il testimone più autorevole. Insieme a Gia-comelli e a Cavalli è stato un grande protagonista della vicenda straordinaria della fotografia senigalliese. Quest’anno la FIAF le ha conferito il premio “Fotografo dell’anno”, pubblicando an-che un volume dove risalta la qualità della sua opera fotografica. Anche la città di Senigallia le ha dedicato nel 20-06 una mostra al Palazzo del Duca, che ha ottenuto un vasto successo di visita-tori. FERRONI: Io credo di essere stato l’allievo forse più diligente di Cavalli, nel senso che per me, è stato un maestro nel vero senso della parola. Certo soprattutto le mie prime fotografie risentono molto del mo-do di fotografare del maestro. Basta pensare alle “marine” e così via, però credo che Cavalli fosse tra i principali maestri della fotografia italiana, anche se, purtroppo, qualcuno tende a dimi-nuire il valore di Cavalli. BUGATTI: La sua è una considerazione giusta. E’ mancata per troppo tempo una catalo-gazione complessiva dell’opera di Ca-valli. Fortunatamente c’è stato ora il gran lavoro di raccolta e catalogazione compiuto dal figlio di Cavalli, Daniele. E’ stato completato proprio in occasione della donazione del corpus delle opere di Cavalli al Museo di Senigallia. Già nel recente festival romano della fotografia al Museo di Roma, Cavalli è stato final-mente valutato in tutta la sua importan-za . Tanto che, a Palazzo Braschi, hanno voluto far coincidere la data di chiusura della mostra di Cavalli e l’apertura della mostra di Cartier-Bresson. Anche il cata-logo della mostra di Cavalli al Museo di Roma è molto bello e dimostra l’ecce-zionalità della sua testimonianza esteti-ca.

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FERRONI: Per seguire la sua richiesta di cercare di ricostruire l’ambiente artistico senigallie-se degli anni Cinquanta e Sessanta de-vo dire che Cavalli aveva alle spalle un bagaglio culturale elevatissimo, Mario Giacomelli aveva invece un’intuizione straordinaria. In ogni modo credo si pos-sa affermare che gli anni dell’esperienza dell’Associazione Misa sono stati il perio-do più bello della fotografia italiana, quando, cioè, oltre l’amicizia che lega-va tutti i fotografi, c’era una collabora-zione sincera e leale. Chi faceva la foto-grafia lo faceva per amore. Lo posso dirlo con molta serenità e tranquillità, perché se penso all’amico Piergiorgio Branzi, se penso a Paolo Bocci, se penso a Silvio Pellegrini e a tutti gli altri, non c’-era l’arrivismo che è venuto dopo. Prima di tutto perché la base di qualsiasi di-scorso sulla fotografia derivava sempre da una formazione culturale profonda. BUGATTI: Mauro Marinelli mi ha dato in questi gior-ni una fotografia in cui ci sono Giogio Ciacci, Giacomelli e vari pittori senigal-liesi di quell’epoca, che erano soliti in-contrarsi nella bottega del corniciaio Angelini. La foto si riferisce all’associazio-ne degli artisti senigalliesi, della quale facevano parte autori come Bonazza, Donati e vari altri. Lei di quel periodo co-sa ricorda? FERRONI: Sì, in un certo senso tutti frequentavamo la bottega di Angelini, però tra noi foto-grafi e gli altri artisti non c’erano contatti particolari. Cavalli era un uomo dalla profonda pre-parazione culturale, cosa che non sem-pre era riscontrabile in altri artisti di quel periodo. Non vorrei con questo essere ingeneroso nei confronti di tutti gli altri artisti per la cui creatività, del resto, nu-tro il massimo rispetto. BUGATTI: Il paesaggio è stato ritenuto il tema cen-

trale della pittura di Ciacci, che, però, si è espresso anche con gruppi di figure e composizioni floreali. Qual’è la sua valu-tazione? FERRONI: Ciacci era un uomo geniale, veramente geniale, e poi aveva una dote straordi-naria: la semplicità. Amava effettiva-mente il suo lavoro, e in questo era total-mente onesto. Nel senso che sapeva quali erano i suoi limiti. Quando lavora-va, quando faceva dei bozzetti aveva una straordinaria semplicità. Io credo che la dote caratterizzante di Giorgio fosse proprio la straordinaria semplicità delle sue opere. BUGATTI : Questo dunque indipendentemente dai soggetti. FERRONI: Esatto, indipendentemente dal sogget-to. Io possiedo alcuni lavori di Ciacci, a cui sono molto affezionato, e devo dire prima di tutto che aveva veramente u-na mano felice. Nel senso che alcuni segni servivano già ad abbozzare un’i-dea. BUGATTI: Lei dunque parla di “segno”, e non di colore, identificando nel “segno” una delle chiavi di lettura dell’opera di Ciac-ci? FERRONI: Ritengo, facendo un’affermazione che potrà sembrare un po’ azzardata, che tra il bianco e nero e il colore non v’è nessuna differenza. A volte infatti c’è più colore in certi bianco e nero che in al-cune opere dove c’è effettivamente la presenza dei colori. Questo vale anche per la pittura. Parlando di fotografia poi, nonostante il fascino che può esercitare una stampa a colori, la possibilità di in-tervenire tecnicamente sulle tonaIità cromatiche è, almeno un tempo lo era, molto limitata.

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MAURO MARINELLI

Giorgio Ciacci e l’ambiente artistico senigalliese

INTERVISTA DI CARLO EMANUELE BUGATTI A MAURO MARINELLI

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Giorgio Ciacci, “Senigallia: il Comune”, acquaforte, 1973

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BUGATTI: Come sai ritengo l’allestimento dell’attuale mostra di Ciacci a Palazzo del Duca essenziale per accendere l’at-tenzione intorno ad un artista di valore ed anche intorno all’ambiente artistico in cui, a Senigallia Ciacci è vissuto ed è stato, nel suo specifico, un protagonista. Un ambiente caratterizzato dall’emer-gere dell’esperienza del gruppo foto-grafico, ora di evidenza mondiale, lega-to alla lezione di Giuseppe Cavalli e alle prorompenti personalità di Mario Giaco-melli e Ferruccio Ferroni. Un ambiente caratterizzato anche dalle presenze di un gruppo di artisti, pittori, incisori e scul-tori, che avevano come punto di incon-tro la bottega del corniciaio Angelini. In quella fase Enzo Marinelli, tuo padre, condivideva con Giorgio Ciacci una serie di successi notevoli nei concorsi nazionali en plein air. MARINELLI “Introducendomi nella Bottega” di An-gelini, una delle prime persone che mio

padre mi presentò fu proprio il Prof. Ciacci. Sono ormai trascorsi da allora 40 anni, ma ricordo ancora assai bene quel primo incontro e posso dire di aver ricevuto l’impressione di una persona distinta, sorridente, affabile. In quel nostro primo incontro, sapendo che io, per motivi di studio, vivevo a Ve-nezia, Ciacci, mettendo in moto la sua disponibilità al dialogo, mi aveva fatto tutto l’elenco delle gallerie di Venezia e degli Artisti che aveva conosciuto nella sua gioventù. Nell’insieme, dai racconti che mi fece in altre circostanze, a pro-posito del suo percorso pittorico, ho po-tuto conoscere la sua personalità colta, dinamica ed il suo carattere gradevol-mente accentratore ed impulsivo. Rive-dendo proprio in questi giorni il ritmo creato dalle pennellate, e la rapidità utilizzata per l’esecuzione di uno stupen-do quadro di Ciacci, un dipinto con soggetto equestre, mi è venuto da pen-sare che, essendo speculari, né il suo carattere, né i suoi quadri, sarebbero

Nella foto a lato: Mario Angelini nel suo laboratorio - Senigallia, 1970

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potuti essere diversi da come li abbia-mo conosciuti! Nel negozio-laboratorio del sig. Angelini i pittori del gruppo, dai fondatori dell’as-sociazione ai giovani ed a quanti si inse-rirono in un secondo momento, porta-vano le loro opere per sottoporle a giu-dizio ed ottenere consigli dai colleghi più accreditati. Ed anche da Sandro Genovali, allora già attivo come critico nei cataloghi di Mario Giacomelli. Più avanti Genovali si era misurato anche come pittore. Per gli indirizzi estetici le composizioni con figure del Prof. Ciacci, che si era formato all’Istituto di Belle Arti di Urbino, ed i dipinti del Prof. Donati, formatosi all’Accademia di Brera a Mila-no, assolvevano ad un compito di indi-rizzo importante. Lo stesso Giacomelli, poi, era per tutti un punto di riferimento. Già in quegli anni si stava affermando a livello internazionale ed era, anche per via della sua attività di collezionista-gallerista, a contatto con molti artisti im-portanti, uno su tutti Burri. La scultura era rappresentata oltre che da Ferriero Mandolini, di professione barbiere, anche da due giovani: Ga-briele Bonazza e Vittorio Luzietti. Ambe-due formatisi prima all’Istituto d’arte di Fano, poi, rispettivamente, al Magistero d’arte di Firenze e quello di Venezia. Conclusi gli studi sono tornati a Fano e si sono alternati come insegnanti-colleghi dello scultore senigalliese Silvio Cecca-relli. Bonazza già impegnato sin dall’ini-zio con il gruppo di artisti fondatori è og-gi presidente della stessa associazione che si è ricostituita nel febbraio 2001. Altri due senigalliesi, personaggi di spic-co vicini all’associazione ma lontani per impegni di lavoro, furono Casaroli, a quel tempo docente all’Accademia di Brera e Dante Panni, docente ad Urbi-no. In quegli anni in cui nasceva di fatto “l’Associazione Artisti Senigalliesi”, pro-muovendo a livello sia cittadino che re-gionale alcune mostre collettive per rendere pubblico l’operato del gruppo. In particolare la partecipazione agli

stessi concorsi ex-tempore di più com-ponenti dell’associazione creava spirito di gruppo e spargeva ottimismo tra i ve-terani (Ciacci, Donati, Gatti, Marinelli) e stimoli tra i giovani del tempo (Manservigi, Moroni e Sabbatini). Ebbene là, nella bottega di Angelini, dove in modo spontaneo si incontrava-no gli artisti dell’associazione, nella par-te più interna del locale, proprio attorno al tavolo di lavoro del sig. Angelini e do-ve Giacomelli ogni tanto organizzava qualche scena da fotografare, si perce-piva un’atmosfera particolare. La pavimentazione in tavole di legno, le pareti completamente ricoperte di specchi antichi, litografie e serigrafie di alcuni maestri contemporanei, stampe antiche di ogni genere ed opere origi-nali di importanti artisti marchigiani ren-devano l’ambiente speciale, generan-do l’estremo attutimento del rumore. Oggettivamente quello spazio ovattato era l’ideale per discutere d’Arte, uno stimolo agli approfondimenti, al con-fronto ed alle riflessioni. Però quello stes-so luogo era anche l’ideale per le pole-miche, gli schiamazzi e gli sfottò che si verificavano quando, per una ragione o per l’altra, il gruppo individuava il sog-getto da colpire. In questo contesto Angelini portava a-vanti tranquillamente il proprio lavoro. Tagliava le aste a mano, metteva una goccia di Vinavil agli angoli ed inchio-dava i listelli. Nell’altra parte del locale, la commessa o le commesse (negli anni si sono suc-cedute Fiorina, Rosella, Rita, Lolli, Chan-tal, ecc.), nel frattempo preparavano i passepartout. Il tutto avveniva in modo meccanico ma con precisione esecuti-va unica. I pittori presenti, generalmen-te in piedi attorno al banco di lavoro, partecipavano ai dialoghi osservando attentamente le fasi lavorative. Non es-sendo il laboratorio molto ampio, appe-na il sig. Angelini doveva rimuovere un’-asta o un oggetto ingombrante, la per-sona più vicina, e via via tutti gli altri, si dovevano rapidamente spostare. Per

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questo c’era un balletto continuo con qualche pestone per i distratti. Quando invece Angelini doveva battere i chiodi-ni chi era in procinto di parlare, o stava già facendolo, si doveva fermare. Se non aveva dimenticato ciò che stava esponendo, poteva continuare non ap-pena i listelli fossero stati fissati. Con il trascorrere degli anni la personali-tà artistica di alcuni iscritti all’associazio-ne ha raggiunto naturale maturità men-tre invece in altri casi, per motivi di varia natura, si è manifestata l’interruzione dell’attività artistica e dei contatti con gli amici. Ciò che a quei tempi aveva reso possi-bile una lettura abbastanza obiettiva dei valori del proprio operato da parte degli artisti, erano l’incoraggiamento derivato da qualche vendita dei lavori, i premi e le segnalazioni ottenuti nei con-corsi ritenuti importanti, il premio Mar-che, ad Ancona, il premio Salvi a Sasso-ferrato ed il premio Bucci a Fossombro-ne. Il settore che dava davvero la possi-bilità di mettersi in luce, soprattutto per i

pittori figurativi, era quello dei premi ex-tempore organizzati dalle pro-loco, da-gli enti turistici o dagli assessorati nelle città maggiori. E’ vero quello che hai detto aprendo il discorso. Con riferimento ai pittori attivi nel contesto senigalliese nel ventennio 1960/‘80 quelli che, tra i pittori senigallie-si, maggiormente si sono evidenziati ri-sultano di certo Giorgio Ciacci e, mio padre, Enzo Marinelli. BUGATTI: C’erano anche delle tifoserie? MARINELLI: Sapere chi dei due si sia af-fermato di più, oltre a non risultare im-portante, rimarrebbe anche difficile da stabilire, perché mio padre ha parteci-pato ad un numero maggiore di con-corsi ed inoltre non ci sono stati scontri diretti. Del resto portare l’argomento a livello di una competizione sportiva è certo abbastanza limitativo. Ma è vera-mente avvenuto. Mi è stato raccontato che nell’ambito dell’associazione degli artisti ed in quello delle amicizie non so-

Il laboratorio di Angelini in una foto di Mario Giacomelli - Senigallia, 1964

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lo cittadine, si evidenziavano i sostenitori di uno o quelli dell’altro. Insomma non è una battuta c’erano veramente le “tifoserie” di cui parli. Del resto anche io, quando rinunciava mia madre, a volte facevo volentieri compagnia a mio pa-dre perché mi piaceva conoscere i pa-esi e vedere all’opera gli artisti. Mi pia-ceva inoltre essere presente quando, abbozzati i quadri nel luogo prescelto, i pittori si ritrovavano tutti assieme nelle osterie per il pranzo. Proprio in alcune di queste manifestazio-ni ebbi altre occasioni per incontrarmi con il Prof. Ciacci e con sua moglie. Questo poteva accadere di prima mat-tina alla timbratura delle tele o nel tar-do pomeriggio quando consegnata la tela si attendeva il giudizio della giuria nella piazzetta centrale di paesi tutti molto simili. Se a Senigallia, nella botte-ga di Angelini, in presenza dei colleghi, soprattutto quando si dovevano assu-mere decisioni, Ciacci e Marinelli si sen-tivano antagonisti cedendo spesso alla polemica, lì sotto il palco della giuria di paesi e città diverse sapevano fare giuoco di squadra e campanilismo seni-galliese, essere solidali, e quando ne-cessario, sapevano farsi anche i compli-menti. BUGATTI: Ho trovato sempre un po’ stra-no che la mia costante citazione di Ma-rio Angelini venisse accolta dagli interlo-cutori senza particolare seguito ed infat-ti, compiuta un’ eccezione per le cro-nache di Grossi, citate anche da Gasto-ne Mosci, poche sono le testimonianze reperibili su Mario Angelini, che anche tu valuti come uomo dotato di notevole personalità. MARINELLI: Ho frequentato in modo di-scontinuo la “bottega” del corniciaio Mario Angelini, prima in compagnia di mio padre Enzo e successivamente, do-po i primi contatti con gli abituè, da A-gelini sono tornato da solo. In quel periodo, era la metà degli anni ’60, iniziavo gli studi a Venezia e quan-

do saltuariamente mi trovavo a Senigal-lia, passavo a salutare Giacomelli in ti-pografia, o mi recavo nel laboratorio di Mario Angelini, dove si aveva sempre l’occasione di incontrare artisti e parlare d’Arte. Tra l’altro, offriva anche l’oppor-tunità di vedere in anteprima le opere più recenti di importanti Pittori ed Incisori marchigiani che lasciavano ad Angelini i propri lavori da incorniciare. Tra questi, ogni tanto riconoscevo la pittura di al-cuni autori a me ben noti: i miei inse-gnanti dell’Istituto d’Arte di Fano, o altri autori di Urbino e Pesaro, che erano sta-ti invitati per delle mostre personali quando lo scultore Mannucci era presi-de. Non dimentichiamoci che Mario Angeli-ni, quel piccolo uomo ricurvo con il suo inseparabile basco blù e il giacchino color nocciola, era un grandissimo arti-giano, conosciuto e stimato in tutta la regione. Prima di avviare la sua attività in via Arsilli (1960), era stato disegnatore tecnico per l’aeronautica a Passignano sul Trasimeno. Nel 1963, interpretando la struttura di una cornice a vista per un turista milanese, creò un originale mo-dello che venne chiamato “Cornice a giorno”, molto richiesta da artisti e colle-zionisti, perché perfettamente adatta per disegni, incisioni, e fotografie origi-nali.

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GIORGIO CIACCI Dipinti

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Case, olio su tela - 19 70

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Campagna con albero, pastello s.d.

Case, olio 1962

Casa, olio 1967

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Fiori, pastelli 1986

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Ballerine che danzano, olio 1969

Gente, olio 1965

Folla festante, olio 1967

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Alberi, tecnica mista 1985

Paesaggio con alberi, acquarello 1956

Paesaggio, olio 1981

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Case, olio 1966

Case, tecnica mista 1981

Case, olio 1967

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Paesaggio alberi, tecnica mista 1985

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Case basse, tecnica mista 1981

Case con tetti rossi, olio 1972

Paesaggio olio 1982

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Paesaggio con case e albero, tecnica mista 1983

Paesaggio, tecnica mista 1983

Paesaggio collinare, olio s.d.

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Nudi e conchiglie olio 1972

Conchiglie, tecnica mista 1984

Nudi sul prato, olio 1972

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Nudi femminili, olio 1965

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Paesaggio, olio 1985

Innamorati nel bosco, olio 1977

Paesaggio ovale con casa, tecnica mista

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Paesaggio di Senigallia, olio 1973

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Paesaggio di Senigallia, tecnica mista 1985

Paesaggio, olio 1985

Paesaggio, acquarello 1958

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Fiori, olio 1972

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Paesaggio ovale, pastello 1983

Paesaggio con alberi spogli, pastello 1984

Paesaggio grigio, olio s.d.

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Maschere, olio 1967

Nudi femminili, olio 1964

Mercato, olio 1966

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Paesaggio azzurro, pastello 1984

Paesaggio azzurro, pastello 1985

Paesaggio rosa, olio 1967

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Vaso con fiori, olio 1973

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Paesaggio verde, olio 1981

Paesaggio rosa, olio s.d.

Senigallia, tecnica mista 1984

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Rami recisi di rose selvatiche, acquaforte acquarellata 1973

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Volto, olio 1971

Tondo di nudi femminili, tecnica mista

Uomini con cappello, olio s.d.

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Ballerine rosa, olio s.d.

Paesaggio giallo, olio 1964

Gioco di aquiloni, olio 1969

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Il presente quaderno è stato composto e stampato

presso il laboratorio digitale e calcografico del Museo Comunale d’Arte Moderna,

dell’Informazione e della Fotografia di Senigallia

nel mese di ottobre 2006

Hanno collaborato ITALO PELINGA

ADRIANO SANTINELLI ALICE SANVITI

DAVIDE PATREGNANI

La catalogazione fotografica delle opere di Giorgio Ciacci è stata realizzata per la Mediateca delle Marche da

ALFONSO NAPOLITANO