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DPCE online 2015-1 www.dpce.it 1 GIAPPONE – Il Governo interpreta in modo innovativo l’art. 9 della Costituzione sul ricorso all’uso della forza di Giacomo Mannocci Lo scorso 1° luglio il Governo, presieduto da Shinzo Abe, ha adottato una risoluzione relativa alla sicurezza nazionale “per garantire la sopravvivenza del Giappone e la protezione del suo popolo” contro eventuali attacchi terroristici esterni. Tale risoluzione modifica l’interpretazione consolidata e ultracinquantennale dell’art. 9 della Costituzione con il quale il Giappone ha rinunciato non solo al diritto alla guerra, quale diritto sovrano della Nazione, ma anche alla possibilità di avere proprie Forze armate. In realtà l’art. 9 della Costituzione non ha impedito nei fatti la costruzione, subito dopo la stipula del trattato di sicurezza e cooperazione tra USA e Giappone nel 1952, della Jieitai, “Forze di autodifesa”, il cui personale è definito “personale civile speciale in servizio” con una evidente finzione giuridica. La compatibilità con la costituzione del trattato di sicurezza con gli Usa e delle le Forze di autodifesa è stata più volte oggetto di dibattito in dottrina e in giurisprudenza. A tal proposito, mentre non è mai intervenuta nel merito sulla legittimità delle Forze di autodifesa, quanto al trattato di sicurezza con gli USA, la Corte suprema ha osservato che l’art. 9 della Costituzione impedisce al Giappone di avere un esercito, ma non preclude ad altri Stati di dislocare forze militari sul territorio nipponico e quindi il trattato è costituzionalmente legittimo. Occorre ISSN 2037-6677

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GIAPPONE – Il Governo interpreta in modo innovativo l’art. 9 della Costituzione sul ricorso all’uso della forza

di Giacomo Mannocci

Lo scorso 1° luglio il Governo, presieduto da Shinzo Abe, ha adottato una

risoluzione relativa alla sicurezza nazionale “per garantire la sopravvivenza del

Giappone e la protezione del suo popolo” contro eventuali attacchi terroristici

esterni. Tale risoluzione modifica l’interpretazione consolidata e ultracinquantennale

dell’art. 9 della Costituzione con il quale il Giappone ha rinunciato non solo al

diritto alla guerra, quale diritto sovrano della Nazione, ma anche alla possibilità di

avere proprie Forze armate. In realtà l’art. 9 della Costituzione non ha impedito nei

fatti la costruzione, subito dopo la stipula del trattato di sicurezza e cooperazione tra

USA e Giappone nel 1952, della Jieitai, “Forze di autodifesa”, il cui personale è

definito “personale civile speciale in servizio” con una evidente finzione giuridica.

La compatibilità con la costituzione del trattato di sicurezza con gli Usa e delle le

Forze di autodifesa è stata più volte oggetto di dibattito in dottrina e in

giurisprudenza. A tal proposito, mentre non è mai intervenuta nel merito sulla

legittimità delle Forze di autodifesa, quanto al trattato di sicurezza con gli USA, la

Corte suprema ha osservato che l’art. 9 della Costituzione impedisce al Giappone di

avere un esercito, ma non preclude ad altri Stati di dislocare forze militari sul

territorio nipponico e quindi il trattato è costituzionalmente legittimo. Occorre

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ricordare che le principali forze politiche presenti nella Dieta dal 1947 al 2005 hanno

sempre interpretato l’art. 9 della Costituzione nel senso che è preclusa la

partecipazione del Giappone a missioni di polizia internazionale sia direttamente sia

tramite supporto logistico all’estero. Il dibattito politico ha cominciato ad

interessarsi ad una nuova e più estensiva interpretazione dell’art. 9 già con il primo

Governo Abe (26 settembre 2006 – 26 settembre 2007). La questione venne poi

accantonata con il successivo Governo di Yasuko Fujuda e ripresa con le elezioni

del 2012, vinte nuovamente dal Partito Liberaldemocratico e dal New Komeito.

Già al momento della sua designazione a Primo ministro da parte della Dieta, il

26 dicembre 2012, Shinzo Abe manifestò la concreta intenzione di modificare la

tradizionale interpretazione dell’art. 9 della Costituzione sul “pacifismo

costituzionale” proprio per consentire al Giappone di partecipare più attivamente

alle operazioni di polizia internazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite e di

sviluppare la cooperazione militare e strategica con gli Stati Uniti, suo tradizionale

alleato. Consapevole delle difficoltà e delle polemiche che ne sarebbero scaturite,

Abe non ha però intrapreso la strada della revisione costituzionale, seguendo il

procedimento previsto dall’art. 96 della Costituzione, secondo cui gli emendamenti

alla Costituzione devono essere approvati con una maggioranza dei due terzi dei

membri di ciascuna Camera e poi sottoposti a referendum popolare per il quale è

richiesto il voto favorevole della maggioranza dei voti espressi. Il Primo ministro ha

optato invece per una “reinterpretazione” dell’art. 9, da realizzare mediante

un’apposita delibera del Gabinetto da sottoporre alla Dieta qualora fosse necessario

modificare le fonti primarie in materia di sicurezza nazionale. Il testo della

disposizione costituzionale rimane pertanto invariato.

La decisione del 1° luglio 2014 è stata preceduta da una serie di iniziative

adottate dallo stesso Governo volte al potenziamento della politiche sulla sicurezza

nazionale e da continue consultazioni con i due principali partiti che compongono la

maggioranza parlamentare – il Partito Liberaldemocratico e il New Komeito –. Il 17

novembre 2013 è stato istituito il Consiglio di sicurezza nazionale, un comitato

interministeriale presieduto dal Primo ministro e composto da un suo consigliere e

dai Ministri degli Esteri e della Difesa; il 17 dicembre è stata adottata una risoluzione

sulla politica estera e di difesa che delinea le nuove sfide geopolitiche che, a giudizio

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del Governo, il Giappone è chiamato ad affrontare; il 15 maggio 2014 la

Commissione incaricata di porre le basi giuridiche per una politica di sicurezza

nazionale, composta da politici e docenti universitari nominati dal Governo, ha

presentato un Rapporto relativo alla ricostruzione dei fondamenti giuridici per la

sicurezza nazionale , che è stato poi preso come base per la decisione governativa

del 1° luglio successivo. Tale risoluzione esordisce riaffermando la volontà del

governo di continuare a fare del Giappone una nazione volta al mantenimento della

pace; a tal fine ricorda che dalla fine della seconda guerra mondiale, il Giappone ha

costantemente seguito il percorso di nazione pacifica, rinunciando a divenire una

potenza militare, aderendo alle Nazioni Unite, partecipando alle missioni umanitarie

con supporti logistici. Il Governo ritiene però che il contesto geopolitico del XXI

secolo imponga una rilettura dell’art. 9 della Costituzione proprio alla luce delle

minacce terroristiche che possono mettere in pericolo la prosperità e il desiderio di

pace del popolo giapponese. La risoluzione sostiene che l’art. 9 deve essere letto in

stretta correlazione con l’art. 13 della Costituzione in base al quale la legge e i

pubblici poteri devono rispettare tutte le persone come individui, ma devono altresì

garantire il loro diritto alla vita, alla libertà ed al raggiungimento della felicità. Questi

diritti possono essere minacciati da attacchi terroristici esterni e pertanto i soggetti

deputati alla sicurezza nazionale del Giappone – le Forze di autodifesa, la Guardia

costiera e la Polizia – hanno l’obbligo di intervenire senza per questo venir meno al

divieto di autodifesa collettiva prevista dall’art. 9 della Costituzione. Sulla base di

questa peculiare interpretazione del combinato disposto dagli articoli 9 e 13 della

Costituzione, il Governo ha approvato una risoluzione suddivisa in quattro parti.

Nella prima parte si affronta l’ipotesi di un attacco al Giappone che non comporti

l’uso di forze militari. In tal caso ci dovrebbe essere un coordinamento fra Polizia di

Stato, Guardia costiera e Forze di autodifesa per prevenire attacchi non militari

contro le isole remote dell’arcipelago. Nella seconda parte si prospetta un

ampliamento dell’utilizzo delle Forze di autodifesa nelle missioni internazionali

svolte sotto l’egida dell’ONU, come strumento di supporto nelle immediate retrovie.

Nella terza parte si precisano i casi in cui è ammissibile l’uso della forza ai sensi

dell’articolo 9 della Costituzione: le misure di autodifesa sono infatti consentite solo

quando divengono inevitabili per affrontare situazioni illecite imminenti che

minacciano il diritto alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità del popolo

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giapponese provocate da un attacco armato proveniente da un Paese straniero o da

una organizzazione terroristica. L’uso della forza è però consentito solo nella misura

minima necessaria a reprimere il pericolo. Nell’ultima parte della risoluzione – la più

breve – il Governo dichiara il proprio impegno a sottoporre alla Dieta le misure

legislative di attuazione della risoluzione stessa, senza peraltro prevedere né modalità

né particolari tempistiche.

Nel presentare alla stampa il provvedimento governativo appena adottato il

premier Abe ha rilasciato una dichiarazione con cui precisa che la discussione

sull’interpretazione dell’art. 9 non è né formale né astratta e che soprattutto non

vuol contraddire la politica di pace perseguita negli ultimi settant’anni dal Giappone;

lo scopo è solo quello di rispondere a minacce terroristiche non convenzionali. Il

Premier ha poi precisato che anche in futuro non sarà consentito l’invio di truppe

giapponesi all’estero, richiamando proprio quanto avvenuto in occasione delle

Guerre nel Golfo Persico.

La risoluzione del Governo ha dato luogo a un vivacissimo dibattito sia a livello

interno, tanto da essere uno dei principali temi della campagna elettorale per il

rinnovo della Camera dei rappresentanti; sia a livello internazionale, a causa delle

forti prese di posizione contrarie espresse dalla Repubblica Popolare Cinese e da

altri Stati del sudest asiatico che, durante la Seconda guerra mondiale, sono stati

occupati dalle Forze armate giapponesi.

In seguito alla vittoria alle elezioni del 14 dicembre 2014, Abe si è rafforzato

nella convinzione di procedere ad una revisione costituzionale dell’art. 9 dal

momento che adesso la sua coalizione, composta ancora dal Partito

liberaldemocratico e dal New Komeito, detiene i due terzi dei seggi alla Camera dei

rappresentanti. Non è detto però che vi riesca, in quanto alla Camera dei consiglieri

Abe deve riuscire a trovare almeno 25 – 30 voti nelle file dell’opposizione per

riuscire ad avere la maggioranza dei due terzi, necessaria per cambiare la

Costituzione. L’impresa è ardua e proprio per questo motivo il Primo ministro si sta

già concentrando sulle elezioni del 2016, quando la Camera alta della Dieta sarà

rinnovata per metà dei suoi seggi. Non bisogna dimenticare che il mandato da

Primo ministro dovrebbe concludersi solo nel dicembre del 2018 e quindi il Premier

avrebbe in teoria due anni di tempo per portare a termine il suo progetto.

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Non mancano però altre incognite. La prima si colloca nella maggioranza di

governo, visto che il New Koimeito, il partito numericamente più piccolo della

coalizione che sostiene l’esecutivo, non vuole modificare il testo dell’articolo 9, ma

solo specificare il comando e le funzioni delle Forze di autodifesa. La seconda è

costituita dalle forze di opposizione al Governo. Il Partito democratico del

Giappone, seppur fortemente ridimensionato a livello parlamentare già dal 2012, è

contrario alle decisioni adottate nel luglio 2014; intende rimarcare il pacifismo

costituzionale ma al tempo stesso propone di intervenire solo a livello di legislazione

ordinaria per definire i compiti delle Forze di autodifesa per prevenire il terrorismo,

rafforzando l’alleanza strategica con gli Usa. Il Partito comunista giapponese, che

nelle ultime elezioni ha conquistato ben 21 seggi e che rifiuta ogni modifica dell’art.

9, propone addirittura di abrogare i trattati di mutua cooperazione con gli Usa. Il

Governo potrebbe però trovare un alleato nel Partito Ishin no Tō, una formazione

di destra che ha ottenuto 41 seggi alle ultime elezioni e che reclama una incisiva

revisione costituzionale. La terza incognita è rappresentata dall’opinione pubblica. Il

problema maggiore per Abe non è tanto il raggiungimento del (necessario) consenso

parlamentare per le sue riforme, ma il consenso popolare in occasione del

successivo referendum confermativo. Il Primo Ministro deve convincere l’opinione

pubblica della necessità di modificare il testo della Costituzione del 1947.

Quest’anno, peraltro, ricorrono settant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale

e sono previste numerose iniziative di commemorazione. Per evitare che tale

anniversario possa essere strumentalizzato contro la riforma, il premier Abe non

perde occasione per ribadire che il Giappone dalla fine della seconda guerra

mondiale fornisce un contributo attivo al mantenimento della pace.