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GIAPPONE – Il Governo interpreta in modo innovativo l’art. 9 della Costituzione sul ricorso all’uso della forza
di Giacomo Mannocci
Lo scorso 1° luglio il Governo, presieduto da Shinzo Abe, ha adottato una
risoluzione relativa alla sicurezza nazionale “per garantire la sopravvivenza del
Giappone e la protezione del suo popolo” contro eventuali attacchi terroristici
esterni. Tale risoluzione modifica l’interpretazione consolidata e ultracinquantennale
dell’art. 9 della Costituzione con il quale il Giappone ha rinunciato non solo al
diritto alla guerra, quale diritto sovrano della Nazione, ma anche alla possibilità di
avere proprie Forze armate. In realtà l’art. 9 della Costituzione non ha impedito nei
fatti la costruzione, subito dopo la stipula del trattato di sicurezza e cooperazione tra
USA e Giappone nel 1952, della Jieitai, “Forze di autodifesa”, il cui personale è
definito “personale civile speciale in servizio” con una evidente finzione giuridica.
La compatibilità con la costituzione del trattato di sicurezza con gli Usa e delle le
Forze di autodifesa è stata più volte oggetto di dibattito in dottrina e in
giurisprudenza. A tal proposito, mentre non è mai intervenuta nel merito sulla
legittimità delle Forze di autodifesa, quanto al trattato di sicurezza con gli USA, la
Corte suprema ha osservato che l’art. 9 della Costituzione impedisce al Giappone di
avere un esercito, ma non preclude ad altri Stati di dislocare forze militari sul
territorio nipponico e quindi il trattato è costituzionalmente legittimo. Occorre
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ricordare che le principali forze politiche presenti nella Dieta dal 1947 al 2005 hanno
sempre interpretato l’art. 9 della Costituzione nel senso che è preclusa la
partecipazione del Giappone a missioni di polizia internazionale sia direttamente sia
tramite supporto logistico all’estero. Il dibattito politico ha cominciato ad
interessarsi ad una nuova e più estensiva interpretazione dell’art. 9 già con il primo
Governo Abe (26 settembre 2006 – 26 settembre 2007). La questione venne poi
accantonata con il successivo Governo di Yasuko Fujuda e ripresa con le elezioni
del 2012, vinte nuovamente dal Partito Liberaldemocratico e dal New Komeito.
Già al momento della sua designazione a Primo ministro da parte della Dieta, il
26 dicembre 2012, Shinzo Abe manifestò la concreta intenzione di modificare la
tradizionale interpretazione dell’art. 9 della Costituzione sul “pacifismo
costituzionale” proprio per consentire al Giappone di partecipare più attivamente
alle operazioni di polizia internazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite e di
sviluppare la cooperazione militare e strategica con gli Stati Uniti, suo tradizionale
alleato. Consapevole delle difficoltà e delle polemiche che ne sarebbero scaturite,
Abe non ha però intrapreso la strada della revisione costituzionale, seguendo il
procedimento previsto dall’art. 96 della Costituzione, secondo cui gli emendamenti
alla Costituzione devono essere approvati con una maggioranza dei due terzi dei
membri di ciascuna Camera e poi sottoposti a referendum popolare per il quale è
richiesto il voto favorevole della maggioranza dei voti espressi. Il Primo ministro ha
optato invece per una “reinterpretazione” dell’art. 9, da realizzare mediante
un’apposita delibera del Gabinetto da sottoporre alla Dieta qualora fosse necessario
modificare le fonti primarie in materia di sicurezza nazionale. Il testo della
disposizione costituzionale rimane pertanto invariato.
La decisione del 1° luglio 2014 è stata preceduta da una serie di iniziative
adottate dallo stesso Governo volte al potenziamento della politiche sulla sicurezza
nazionale e da continue consultazioni con i due principali partiti che compongono la
maggioranza parlamentare – il Partito Liberaldemocratico e il New Komeito –. Il 17
novembre 2013 è stato istituito il Consiglio di sicurezza nazionale, un comitato
interministeriale presieduto dal Primo ministro e composto da un suo consigliere e
dai Ministri degli Esteri e della Difesa; il 17 dicembre è stata adottata una risoluzione
sulla politica estera e di difesa che delinea le nuove sfide geopolitiche che, a giudizio
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del Governo, il Giappone è chiamato ad affrontare; il 15 maggio 2014 la
Commissione incaricata di porre le basi giuridiche per una politica di sicurezza
nazionale, composta da politici e docenti universitari nominati dal Governo, ha
presentato un Rapporto relativo alla ricostruzione dei fondamenti giuridici per la
sicurezza nazionale , che è stato poi preso come base per la decisione governativa
del 1° luglio successivo. Tale risoluzione esordisce riaffermando la volontà del
governo di continuare a fare del Giappone una nazione volta al mantenimento della
pace; a tal fine ricorda che dalla fine della seconda guerra mondiale, il Giappone ha
costantemente seguito il percorso di nazione pacifica, rinunciando a divenire una
potenza militare, aderendo alle Nazioni Unite, partecipando alle missioni umanitarie
con supporti logistici. Il Governo ritiene però che il contesto geopolitico del XXI
secolo imponga una rilettura dell’art. 9 della Costituzione proprio alla luce delle
minacce terroristiche che possono mettere in pericolo la prosperità e il desiderio di
pace del popolo giapponese. La risoluzione sostiene che l’art. 9 deve essere letto in
stretta correlazione con l’art. 13 della Costituzione in base al quale la legge e i
pubblici poteri devono rispettare tutte le persone come individui, ma devono altresì
garantire il loro diritto alla vita, alla libertà ed al raggiungimento della felicità. Questi
diritti possono essere minacciati da attacchi terroristici esterni e pertanto i soggetti
deputati alla sicurezza nazionale del Giappone – le Forze di autodifesa, la Guardia
costiera e la Polizia – hanno l’obbligo di intervenire senza per questo venir meno al
divieto di autodifesa collettiva prevista dall’art. 9 della Costituzione. Sulla base di
questa peculiare interpretazione del combinato disposto dagli articoli 9 e 13 della
Costituzione, il Governo ha approvato una risoluzione suddivisa in quattro parti.
Nella prima parte si affronta l’ipotesi di un attacco al Giappone che non comporti
l’uso di forze militari. In tal caso ci dovrebbe essere un coordinamento fra Polizia di
Stato, Guardia costiera e Forze di autodifesa per prevenire attacchi non militari
contro le isole remote dell’arcipelago. Nella seconda parte si prospetta un
ampliamento dell’utilizzo delle Forze di autodifesa nelle missioni internazionali
svolte sotto l’egida dell’ONU, come strumento di supporto nelle immediate retrovie.
Nella terza parte si precisano i casi in cui è ammissibile l’uso della forza ai sensi
dell’articolo 9 della Costituzione: le misure di autodifesa sono infatti consentite solo
quando divengono inevitabili per affrontare situazioni illecite imminenti che
minacciano il diritto alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità del popolo
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giapponese provocate da un attacco armato proveniente da un Paese straniero o da
una organizzazione terroristica. L’uso della forza è però consentito solo nella misura
minima necessaria a reprimere il pericolo. Nell’ultima parte della risoluzione – la più
breve – il Governo dichiara il proprio impegno a sottoporre alla Dieta le misure
legislative di attuazione della risoluzione stessa, senza peraltro prevedere né modalità
né particolari tempistiche.
Nel presentare alla stampa il provvedimento governativo appena adottato il
premier Abe ha rilasciato una dichiarazione con cui precisa che la discussione
sull’interpretazione dell’art. 9 non è né formale né astratta e che soprattutto non
vuol contraddire la politica di pace perseguita negli ultimi settant’anni dal Giappone;
lo scopo è solo quello di rispondere a minacce terroristiche non convenzionali. Il
Premier ha poi precisato che anche in futuro non sarà consentito l’invio di truppe
giapponesi all’estero, richiamando proprio quanto avvenuto in occasione delle
Guerre nel Golfo Persico.
La risoluzione del Governo ha dato luogo a un vivacissimo dibattito sia a livello
interno, tanto da essere uno dei principali temi della campagna elettorale per il
rinnovo della Camera dei rappresentanti; sia a livello internazionale, a causa delle
forti prese di posizione contrarie espresse dalla Repubblica Popolare Cinese e da
altri Stati del sudest asiatico che, durante la Seconda guerra mondiale, sono stati
occupati dalle Forze armate giapponesi.
In seguito alla vittoria alle elezioni del 14 dicembre 2014, Abe si è rafforzato
nella convinzione di procedere ad una revisione costituzionale dell’art. 9 dal
momento che adesso la sua coalizione, composta ancora dal Partito
liberaldemocratico e dal New Komeito, detiene i due terzi dei seggi alla Camera dei
rappresentanti. Non è detto però che vi riesca, in quanto alla Camera dei consiglieri
Abe deve riuscire a trovare almeno 25 – 30 voti nelle file dell’opposizione per
riuscire ad avere la maggioranza dei due terzi, necessaria per cambiare la
Costituzione. L’impresa è ardua e proprio per questo motivo il Primo ministro si sta
già concentrando sulle elezioni del 2016, quando la Camera alta della Dieta sarà
rinnovata per metà dei suoi seggi. Non bisogna dimenticare che il mandato da
Primo ministro dovrebbe concludersi solo nel dicembre del 2018 e quindi il Premier
avrebbe in teoria due anni di tempo per portare a termine il suo progetto.
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Non mancano però altre incognite. La prima si colloca nella maggioranza di
governo, visto che il New Koimeito, il partito numericamente più piccolo della
coalizione che sostiene l’esecutivo, non vuole modificare il testo dell’articolo 9, ma
solo specificare il comando e le funzioni delle Forze di autodifesa. La seconda è
costituita dalle forze di opposizione al Governo. Il Partito democratico del
Giappone, seppur fortemente ridimensionato a livello parlamentare già dal 2012, è
contrario alle decisioni adottate nel luglio 2014; intende rimarcare il pacifismo
costituzionale ma al tempo stesso propone di intervenire solo a livello di legislazione
ordinaria per definire i compiti delle Forze di autodifesa per prevenire il terrorismo,
rafforzando l’alleanza strategica con gli Usa. Il Partito comunista giapponese, che
nelle ultime elezioni ha conquistato ben 21 seggi e che rifiuta ogni modifica dell’art.
9, propone addirittura di abrogare i trattati di mutua cooperazione con gli Usa. Il
Governo potrebbe però trovare un alleato nel Partito Ishin no Tō, una formazione
di destra che ha ottenuto 41 seggi alle ultime elezioni e che reclama una incisiva
revisione costituzionale. La terza incognita è rappresentata dall’opinione pubblica. Il
problema maggiore per Abe non è tanto il raggiungimento del (necessario) consenso
parlamentare per le sue riforme, ma il consenso popolare in occasione del
successivo referendum confermativo. Il Primo Ministro deve convincere l’opinione
pubblica della necessità di modificare il testo della Costituzione del 1947.
Quest’anno, peraltro, ricorrono settant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale
e sono previste numerose iniziative di commemorazione. Per evitare che tale
anniversario possa essere strumentalizzato contro la riforma, il premier Abe non
perde occasione per ribadire che il Giappone dalla fine della seconda guerra
mondiale fornisce un contributo attivo al mantenimento della pace.