Gesù prima del Cristianesimo

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Albert Nolan GESÙ PRIMA DEL CRISTIANESIMO 1

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Una originale descrizione del personaggio di Gesù fatta da un sacerdote cristiano.

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Albert Nolan

GESÙ PRIMA DEL CRISTIANESIMO

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Introduzione

Lo scopo principale di questo libro non è la fede né la storia. Può essereletto – ed è ideato per essere letto – senza la fede. Nulla, a proposito diGesù, sarà presupposto o dato per scontato. Il lettore è invitato arivolgere uno sguardo serio e onesto ad un uomo che visse nella Palestinadel primo secolo e ad osservarlo con gli occhi dei suoi contemporanei. Ilmio interesse è rivolto all’uomo che egli fu prima di diventare l’oggettodella fede cristiana. La fede in Gesù non è il nostro punto di partenza, masarà – spero – la nostra conclusione. Però questo non significa che il librosia stato scritto per lo scopo apologetico della difesa della fedecristiana.Non è stato compiuto alcun tentativo di salvare Gesù o la fede cristiana.Gesù non ha bisogno che io o qualcun altro lo salvi. Può occuparsi di sestesso, perché la verità sa badare a se stessa. Se la nostra ricerca dellaverità ci porterà alla fede in Gesù non sarà perché abbiamo cercato disalvare questa fede ad ogni costo, ma perché l’abbiamo riscoperta comel’unica via attraverso la quale possiamo essere “salvati” o liberati. Solola verità può renderci liberi (Gv 8: 32).Cercheremo la verità storica su Gesù, ma nemmeno questo è il nostro scopoprincipale. Il metodo è storico, ma l’obiettivo non lo è. Sebbene sia statofatto un uso coerente di una rigorosa critica storica e dei metodi diricerca, il nostro interesse non è la ricerca accademica della storia in sé.Questo libro ha uno scopo impellente e pratico. Io mi preoccupo dellepersone, delle sofferenze quotidiane di tantissimi milioni di persone, edella prospettiva di una sofferenza molto maggiore nel futuro prossimo. Ilmio scopo è quello di scoprire quello che ci si può fare.

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PRIMA PARTE

LA CATASTROFE

Capitolo 1

Una Nuova Prospettiva

Molti milioni di persone, nel corso dei tempi, hanno venerato il nome diGesù, ma pochi lo hanno capito, e un numero ancora inferiore di persone hatentato di mettere in pratica quello che egli volle vedere fatto. Le sueparole sono state alterate e trasformate affinché significassero tutto,qualsiasi cosa e nulla. Il suo nome è stato usato ed abusato pergiustificare dei crimini, per spaventare i bambini e per ispirare agliuomini e alle donne una follia eroica. Gesù è stato più spesso onorato eadorato per quel che non volle dire che per ciò che egli intese realmentedire.La suprema ironia è che alcune delle cose alle quali egli si oppose conmaggiore decisione nel mondo del suo tempo furono fatte risorgere, predicatee diffuse in modo più ampio in tutto il mondo – nel suo nome. Gesù non puòessere completamente identificato con quel grande fenomeno religioso delmondo occidentale conosciuto come Cristianesimo. Non fu soltanto ilfondatore di una delle grandi religioni del mondo. Egli si pone al di sopradel Cristianesimo come giudice di tutto quello che è stato fatto nel suonome. E il Cristianesimo storico non può nemmeno rivendicarlo come suopossesso esclusivo.Gesù appartiene a tutta l’umanità. Questo significa che tutti gli esseriumani (cristiani o non cristiani) sono liberi di interpretare Gesù a modoproprio, a modellarlo secondo ciò che loro piace o non piace? È molto facileusare Gesù per i propri scopi, buoni o cattivi. Ma egli fu un personaggiostorico che ebbe alcune proprie convinzioni molto forti – fu disposto amorire per esse. Non esiste proprio un modo in cui tutti noi (con o senzafede) possiamo dare a Gesù la possibilità, oggi, ancora una volta, diparlare per sé?È chiaro che dovremmo iniziare mettendo da parte tutti i preconcetti cheabbiamo su di lui. Non possiamo iniziare presumendo che egli sia divino, oche sia il Messia o il Salvatore del mondo. Non possiamo iniziare nemmenopresumendo che egli fosse un uomo buono e onesto. Né possiamo iniziare conil presupposto che egli sicuramente non fu alcuna di queste cose. Dobbiamoaccantonare tutte le nostre immagini di Gesù, conservatrici e progressiste,devozionali e accademiche, in modo da poterlo ascoltare con la mente aperta.È possibile avvicinare Gesù senza alcun presupposto su di lui, ma non èpossibile approcciarlo senza alcun presupposto. La mente completamenteaperta è una mente vuota che non può capire assolutamente nulla.Dobbiamo avere un qualche tipo di posizione, un punto di vista o unaprospettiva, se dobbiamo vedere e capire qualcosa. Un’opera d’arte, adesempio, può essere vista e apprezzata senza alcun presupposto di ciò che sipresume debba essere, ma non può proprio essere vista se non da un punto divista. Può essere osservata da questo o quell’angolo, ma non può essereosservata da nessun angolo. La stessa cosa vale per la storia. Non possiamofarci un’idea del passato se non partendo dal punto in cui ci troviamo inquesto momento.“L’oggettività storica non è una ricostruzione del passato nella suairripetibile fattualità, è la verità del passato alla luce del presente”.1

Immaginare di poter avere un’oggettività storica senza una prospettiva è unaillusione. Una prospettiva, però, può essere migliore di un’altra. Laprospettiva di ogni epoca successiva non è egualmente preziosa e vera.Proprio come la bellezza di un’opera d’arte può essere vista in modo più1 Edward Schillebeeckx, God, the Future of Man, p. 24.

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chiaro e netto da un angolo che da un altro, così un avvenimento del passatopuò essere visto in modo più chiaro e distinto dalla prospettiva di un’epocache da quella di un’altra. Non che, a questo proposito, si abbia scelta.L’unica prospettiva che abbiamo è quella che ci viene data dalla situazionestorica nella quale ci troviamo.Se non possiamo farci un’idea libera di Gesù dal punto di vista delle nostrecircostanze attuali, allora non possiamo farci affatto un’idea libera dilui. Una prospettiva moderna non è necessariamente migliore di una vecchia.Tuttavia, a volte succede che la propria situazione storica abbia dellenotevoli somiglianze con una situazione del lontano passato. Allora,nonostante il lungo intervallo, una persona improvvisamente è in grado divedere la situazione passata con una chiarezza molto maggiore di quellapropria delle generazioni precedenti. L’oggetto della mia discussione saràche questo è ciò che ci è successo oggi riguardo a Gesù di Nazareth.Ovviamente questo non si può presumere, dovrà essere scoperto. Ancora menopossiamo ipotizzare che Gesù abbia tutte le risposte ai nostri problemi. Nonha senso cercare di renderlo importante. Quello che possiamo fare èosservarlo dalla prospettiva del nostro tempo con la mente aperta. Il nostropunto di partenza, quindi, è l’urgente realtà della nostra attualesituazione storica. La nostra epoca è caratterizzata da problemi che sonouna questione di vita o di morte non solo per le persone, non sono perinteri popoli, razze e civiltà, ma una questione di vita o di morte pertutta la razza umana. Siamo consapevoli dei problemi che minacciano lasopravvivenza del genere umano su questo pianeta. Inoltre, il nostro tempo èulteriormente caratterizzato dal timore che questi problemi possano oraessere irrisolvibili, e che nulla potrà fermare il nostro tuffo di testanella distruzione completa della specie umana.La prima vera consapevolezza di questo venne con la bomba. Improvvisamenteci siamo trovati in un mondo capace di distruggersi – premendo un bottone.Siamo stati tutti alla mercé delle persone che stavano all’altro lato diquel bottone. Ci si poteva fidare di loro? La crescente consapevolezza dellaposta in gioco ci ha fatto sentire sempre più a disagio e insicuri. Lagenerazione dei giovani che sono cresciuti nei tardi anni ‘50 e nei primianni ‘60 con questo come unico mondo che abbiano mai conosciuto ne è stataprofondamente disorientata. La protesta, il pop, le droghe, i capelli lunghie gli hippy furono tutti sintomi del disagio generato dalla bomba. Oggi lapaura della guerra nucleare sembra essersi ridotta. In parte questo è dovutoin parte alla molto pubblicizzata distensione tra le superpotenze, ma èanche vero che la gente sviluppa gradualmente un’immunità a queste realtàspaventose. Tuttavia non eravamo destinati ad essere lasciati in pace alungo.Oggi ci troviamo di fronte a nuove minacce, minacce che – dicono – cidistruggeranno con maggiore certezza ed inevitabilità di una guerranucleare: l’esplosione demografica, la diminuzione delle risorse naturali edelle fonti di cibo, l’inquinamento del nostro ambiente e l’escalation dellaviolenza. Ognuno di questi problemi, da solo, costituirebbe una sufficienteminaccia per il nostro futuro: tutti insieme significano il disastro. Cisono diversi modi per cercare di far capire alla gente cosa davverosignifica la crescita esponenziale della popolazione mondiale.La mia immaginazione non riesce ad affrontare cifre così alte, ma quando miviene detto che attualmente la popolazione mondiale aumenta al ritmo dioltre 80 milioni di persone all’anno, e ricordo che, l’ultima volta che l’hocontrollata, la popolazione dell’Inghilterra era di circa 50 milioni, inizioa capire quello che succede. Allo stesso tempo si sentono diverse previsionisu quanto dureranno le nostre riserve di carbone, petrolio, benzina, gasnaturale e addirittura acqua potabile. Sembra che alcune di queste risorsenaturali si esauriranno nel corso della mia vita. Nel frattempo, i desertistrisciano su di noi mentre l’erosione del suolo aumenta e si distruggonosempre più foreste. Una sola edizione domenicale del New York Times consuma150 acri di foresta. E si usa molta più carta per i rotoli di carta igienicache per scrivere o stampare.Inoltre, negli ultimi anni siamo diventati consapevoli degli effetticumulativi e a largo raggio dell’inquinamento dei fiumi, dei mari e della

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stessa aria che respiriamo. Io ho vissuto in città nelle quali la genteresta uccisa dall’inquinamento dell’aria. Gli ambientalisti dicono che sepresto non saranno introdotti dei cambiamenti drastici saremo tutti uccisidai prodotti di scarto del nostro stesso progresso. Non c’è bisogno diesagerare questi problemi. Si possono trovare delle soluzioni. Ma questesoluzioni richiederanno dei cambiamenti così radicali e drammatici neivalori, negli interessi, nei modelli di pensiero e nelle condizioni di vitadi così tante persone, specialmente nei paesi ricchi dominanti, che lamaggior parte degli osservatori le considera praticamente impossibili.Potremmo fare qualcosa di veramente drastico per conservare le risorse dellaTerra e cercare fonti alternative di energia. Ma chi tollererebbe laconseguente perdita di profitti e tutte le spese straordinarie? Potremmoignorare i costi aggiuntivi dell’adozione di metodi di trasporto eproduzione che non inquinano la Terra. Quelli di noi che hanno uno stile divita elevato potrebbero ridurlo volontariamente rinunciando a tutte le cosenon essenziali – compreso il nostro uso eccessivo di carta. Uno stile divita molto più elementare non significa necessariamente una qualitàinferiore di vita; in realtà esso può migliorare la qualità delle nostrevite. Ma dove troveremmo le risorse umane o morali per motivare così tantitra noi ad apportare questi cambiamenti fondamentali?2

Sembra abbastanza difficile convincere la gente a ridurre i propri attualieccessi per assicurarsi il futuro; sarebbe molto più difficile chiedere difarlo per gli altri, e assolutamente impossibile convincerli a fare tutti isacrifici necessari per i miliardi di persone che ancora non sono nate.D’altro canto è ugualmente vero che il mondo abbonda di donne e uomini dibuona volontà che comprendono i problemi, sono molto preoccupati e farebberoqualsiasi cosa per essere d’aiuto. Ma che cosa possono fare? Cosa possonorealmente fare un individuo o un certo numero di individui a questoproposito? Ciò che abbiamo contro non sono le persone, ma le forzeimpersonali di un sistema che ha il suo slancio e le sue dinamiche.3

Quanto spesso si ode il grido di disperata rassegnazione: “Non si puòcombattere il sistema”. Questo, senza dubbio, è il cuore del problema.Abbiamo costruito un sistema politico ed economico onnicomprensivo, basatosu certi assunti e valori, e adesso iniziamo a capire che questo sistema nonsolo è controproducente – ci ha portato sul ciglio del disastro – ma è anchediventato il nostro padrone. Nessuno sembra in grado di cambiarlo ocontrollarlo. La scoperta più terribile tra tutti è che a capo di esso nonc’è nessuno, e che la macchina impersonale che abbiamo progettato con cosìtanta attenzione ci trascinerà inesorabilmente alla distruzione.4

Il sistema non era stato progettato per affrontare un’esplosionedemografica. Ad esempio, non esiste una macchina politica che permetta alpopolo di un paese sovrappopolato all’impossibile, come il Bangladesh, diinsediarsi nelle vaste aree spopolate di un’altra nazione, come l’Australia.Il sistema della politica “nazionalizzata” rende impensabile una soluzionedel genere. Da un punto di vista economico, il sistema produce ricchezza epovertà nello stesso momento. I ricchi diventano più ricchi e i poveri siimpoveriscono. Più le nazioni povere cercano di misurarsi con gli standarddi sviluppo e di crescita economica richiesti dal sistema, più diventanopoveri e sottosviluppati. Il sistema è competitivo, ma in realtà non tuttihanno le stesse possibilità. Più hai, più puoi avere, e più puoi avere menorimane per quelli che non hanno abbastanza mezzi per competere con te. È uncircolo vizioso in cui i poveri sono sempre i perdenti. Più di un miliardodi persone – circa un quinto della popolazione mondiale – sperimenta la fameper almeno parte di ogni anno, quando la stagione agricola termina insieme

2 Le recenti statistiche su questi argomenti si trovano in molte fonti tra cui SeanMcDonagh, The Greening of the Church, Maryknoll, NY: Orbis Books and London: GeoffreyChapman, 1990 e Paul Vallely, Bad Samaritans: First World Ethics and Third World Debt,Maryknoll, NY: Orbis Books and London: Hodder & Stoughton, 1990.

3 Rubem Alves la definisce l’“organizzazione” o il “dinosauro”: Tomorrow’s Child, pp. 1-22.

4 Alves, pp. 34-36.

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ai suoi scarsi frutti. Ad essi mancano anche l’acqua potabile, l’istruzioneelementare e le cure di base.5 Centinaia di migliaia di persone sono nate inquesto mondo per provare poco più dei morsi della fame e delle sofferenzache derivano dalla malnutrizione e dalla privazione. Solo Dio sa quantimilioni di persone muoiono di inedia.La nostra situazione attuale è diventata troppo orribile per guardarla –figuriamoci il futuro. Il sistema non è stato ideato per risolvere questiproblemi. Può produrre una ricchezza sempre maggiore, ma non è in grado diassicurare che anche solo le necessità basilari della vita siano distribuiteequamente. Questo perché esso mira ai profitti piuttosto che alla gente. Lagente può essere presa in considerazione soltanto nella misura in cui il suobenessere produce maggiori profitti. Il sistema è un mostro che divora lepersone per i propri utili. Ancor peggio, pare che ora il sistema stiarendendo più pressanti le proprie esigenze, e si difenda con sempre maggioreviolenza. A parte la violenza istituzionale dell’ingiustizia,dell’oppressione e dello sfruttamento, ora assistiamo alla moltiplicazionedei governi militari nel mondo. Non c’è bisogno di viaggiare in lungo e inlargo nel Terzo Mondo per capire perché il sistema può essere mantenuto soloda una dittatura militare. Molti di quelli che cercano di combattere ilsistema hanno fatto ricorso alla violenza o minacciano di farlo. La violenzaistituzionale porta alla violenza rivoluzionaria, la quale, a sua volta,porta a maggiore violenza istituzionale nella forma di polizia antisommossa,detenzione senza processo, tortura, governi militari e omicidi politici – iquali portano poi a maggiore violenza rivoluzionaria. Se non è possibilefare qualcosa di drastico per tutti gli altri problemi (la popolazione, lapovertà, l’inquinamento, lo spreco, l’inflazione e la diminuzione dellerisorse), il sistema ci porterà in una “spirale di violenza”, come ladefinisce Helder Camara,6 che ci coinvolgerà tutti, rapidamente, in un attodi reciproca distruzione. Non c’è motivo di esagerare questi problemi ascopi ideologici e tuttavia, d’altro canto, non possiamo permetterci diignorarli o risolverli parlando. Ci nutriamo quotidianamente di nuoveintuizioni sulla grandezza, complessità ed irrisolvibilità dei nostriproblemi. Questo crea un’immagine del futuro che è più spaventosa di tuttele vecchie immagini dell’inferno. La realtà fondamentale della vita oggi, daogni punto di vista, è la prospettiva di un vero e proprio inferno sullaterra.La religione organizzata ha prestato un aiuto molto esiguo in questa crisi.Di fatto, a volte ha teso a peggiorare le cose. Il tipo di religione chesottolinea un mondo soprannaturale in modo tale che non ci sia bisogno dipreoccuparsi del futuro di questo mondo e di tutti i suoi popoli offre unaforma di via d’uscita che rende ancora più difficile risolvere i nostriproblemi. Il solo effetto salutare di questo momento della nostra storia, lasua caratteristica di redenzione, è che può obbligarci ad essere onesti. Ache serve continuare a mantenere la facciata, o tentare di salvare lafaccia, quando ogni cosa intorno a noi minaccia di crollare? In questomomento di verità chi vuole indulgere nei cavilli ecclesiastici edaccademici del passato? La persona che ha affrontato l’attuale crisimondiale diviene impaziente nei confronti di quanti continuano ad agitarsiper problemi piccoli ed irrilevanti, quelli che sembrano gingillarsi mentreRoma brucia. La prospettiva di una catastrofe senza precedenti può avere sudi noi un effetto tale da farci seriamente riflettere.Ora, succede che, come spero di evidenziare, Gesù di Nazareth affrontòfondamentalmente lo stesso problema – sebbene fosse su scala molto ridottarispetto al nostro. Egli visse in un’epoca nella quale sembrava che il mondostesse per avere fine. Nonostante le differenze di opinione su come, perchée quando, molti ebrei dell’epoca erano convinti che il mondo fosse sull’orlodi una catastrofe apocalittica. Fu in previsione di questa catastrofe, e neitermini dell’interpretazione che egli attribuì ad essa che, come vedremo,Gesù diede inizio alla proprie missione. Con quello che vorrei definire un5 The State of the World’s Children: 1990 Report, Unicef, citato in Vallely, Bad

Samaritans, p. 3.

6 Spiral of Violence, London, 1971, p. 30.

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balzo senza precedenti dell’immaginazione creativa, quest’uomo vide una viadi uscita, e senza dubbio più di una via di uscita – egli vide la via versola liberazione totale e la realizzazione del genere umano. Noi ci troviamodi fronte alle stesse terrificanti prospettive. Questo non soltanto cipermette di comprendere la preoccupazione che Gesù nutriva per un imminentedisastro: rende le sue possibili intuizioni relative a cosa si può fare atale riguardo della massima importanza per noi. E tuttavia non osiamopresumere che egli abbia tutte le risposte, né di sapere quali siano talirisposte. Ora possiamo ritenere che le sue intuizioni saranno irrilevanti, edi poterle tranquillamente ignorare. La nostra situazione è così critica chenon osiamo lasciare nulla di intentato nella nostra ricerca di una viad’uscita. È ironico che la preoccupazione di Gesù per “la fine del mondo”,che si dimostrò un grande ostacolo per le precedenti generazioni di studiosidel Nuovo Testamento, sia oggi proprio la cosa che lo rende di particolareinteresse per noi. Le nostre attuali circostanze storiche ci hanno dato, inmodo del tutto inaspettato, una nuova prospettiva su Gesù di Nazareth.

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Capitolo 2

La Profezia di Giovanni il Battista

I quattro libretti che chiamiamo vangeli non sono delle biografie, né mai sipensò che dovessero esserlo. Il loro scopo fu quello di dimostrare in chemodo Gesù potesse essere importante per persone che vivevano fuori dallaPalestina una o due generazioni dopo la sua morte. La prima generazione dicristiani, ovviamente, non sentì il bisogno di una biografia precisa dellavita di Gesù. Essi vollero sapere in che modo Gesù poteva essere importanteper loro nella loro situazione al di fuori della Palestina. Oggi noi nonabbiamo bisogno di una biografia più di quanto ne abbia avuto quella primagenerazione o qualsiasi altra generazione di cristiani. Come loro, ci serveun libro su Gesù che ci esponga cosa egli può significare oggi per noi,nella nostra situazione. Una cronaca precisa di nomi, luoghi e date permettea volte ad una figura storica di ritornare alla vita per una generazionesuccessiva. Tuttavia possiamo permettere a Gesù di ritornare oggi alla vitasoltanto ritornando alla base dei quattro vangeli per scoprire da soli cosaGesù ebbe da offrire alla gente della Palestina del suo tempo. Non ci serveuna biografia, ma dobbiamo conoscere la verità storica su Gesù. Se leggiamocon attenzione tra le righe dei quattro vangeli e facciamo pieno uso delleinformazioni disponibili sulla situazione contemporanea saremo in grado discoprire una grande quantità di informazioni storiche su Gesù.7 Questo èpossibile perché, sebbene siano stati scritti per una generazionesuccessiva, i vangeli fanno uso di fonti che risalgono a Gesù e ai suoicontemporanei. In molti punti è addirittura possibile catturare le vereparole usate da Gesù e rievocare esattamente quello che egli fece (i suoiipsissima vox et facta). Ma quel che è molto più importante è scoprire leintenzioni originali di Gesù (la sua ipsissima intentio).8

Se il nostro obiettivo è scoprire cosa Gesù cercò di ottenere nel suo tempo,allora, a volte, sarà più importante conoscere in che modo i suoicontemporanei vissero e pensarono, e in che modo devono aver reagito a lui,che sapere esattamente quali parole usò o quale forma assunsero le sueazioni. Conoscere queste parole e queste azioni avrà un valore soltantonella misura in cui esse possono aiutarci a scoprire le sue intenzionioriginali. Cosa cercò di fare Gesù? Cosa sperò di ottenere per le personetra le quali operò, nella Palestina del primo secolo? Uno dei modi miglioriper scoprire le intenzioni di Gesù sarà quello di cercare delle prove dellesue decisioni e delle sue scelte. Se possiamo trovare un episodiostoricamente certo nel quale Gesù fece una scelta tra due o più alternativedovremmo avere un indizio molto importante sulla direzione del suo pensiero.Questo lo abbiamo all’inizio di tutti i vangeli: Gesù scelse di esserebattezzato da Giovanni. Qualsiasi altra cosa il battesimo di Gesù possa aversignificato, esso implicò una decisione di allinearsi con Giovanni ilBattista invece con una qualsiasi delle altre voci o movimenti del suotempo. Se potessimo capire in che modo Giovanni il Battista differì dai suoicontemporanei dovremmo avere il nostro primo indizio relativo alla direzionedel pensiero di Gesù. Sappiamo abbastanza della storia dell’epoca perpoterlo fare. I Romani colonizzarono la Palestina nel 63 a.e.v. Inconformità alla loro politica usa a nominare governatori nativi nelle lorocolonie, alla fine essi fecero di Erode, il candidato più potente, il redegli Ebrei. Gesù nacque durante il regno di questo Erode, conosciuto comeErode il Grande. Nel 4 a.e.v. (secondo i calcoli moderni) Erode morì e ilsuo regno fu diviso tra i suoi tre figli. A Erode Archelao furono date la7 Per un adeguato sunto di quel che gli studiosi ritengono essere storicamente certo su

Gesù si veda Leslie E. Mitton, Jesus: The Fact behind the Faith. Si vedano anche JohnDominic Crossan, The Historical Jesus: The Life of a Mediterranean Jewish Peasant, SanFrancisco: HarperSan Francisco, 1991 e John P. Meier, A Marginal Jew: Rethinking theHistorical Jesus, New York: Doubleday, 1991.

8 James M. Robinson, A New Quest of the Historical Jesus, pp. 67f, 105; Leonardo Boff,“Salvation of Jesus Christ and the Process of Liberation”, Concilium, Giugno 1974, pp.79-80.

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Giudea e la Samaria, a Erode Antipa la Galilea e la Perea, mentre ErodeFilippo ricevette le regioni più a nord. Archelao, tuttavia, non fu in gradodi affrontare il perpetuo scontento della popolazione. I Romani sipreoccuparono. Alla fine deposero Archelao e inviarono un procuratore romanoa governare la Giudea e la Samaria. Gesù, all’epoca, aveva circa 12 anni.Fu l’inizio del governo romano diretto, l’inizio dell’ultima e piùturbolenta epoca nella storia del popolo ebraico, l’era che finì con ladistruzione quasi totale del tempio, della città e della nazione nel 70e.v., e con la loro distruzione definitiva e totale nel 135 e.v., l’epoca incui Gesù visse e morì, e nella quale le prime comunità di cristianidovettero familiarizzare con la nuova situazione. L’epoca iniziò con unaribellione. Il problema erano le tasse. I Romani avevano iniziato a fare uncensimento della popolazione e a fare un inventario delle risorse del paesea scopo di tassazione. Gli Ebrei obiettarono, per motivi religiosi, e sisollevarono in una rivolta. Il leader di questa rivolta fu un uomo di nomeGiuda il Galileo, il quale fondò un movimento di ispirazione religiosa dicombattenti per la libertà.9 I Romani sedarono presto questa prima rivoltae, come monito, crocifissero non meno di duemila ribelli.Ma il movimento continuò. Gli Ebrei li chiamavano Zeloti, i Romani lidefinivano banditi. Si trattava senza dubbio di un movimento sotterraneo,certamente poco organizzato, che a volte si divideva in fazioni e a volte siuniva a qualche gruppo di nuova formazione, come i Sicari, che sispecializzarono in assassinii.10 Forse alcuni si unirono perché amavanocombattere, ma altri erano animati da un mortale zelo religioso, con lacostante minaccia della tortura e della crocifissione che pendeva sulle loroteste. Per sessant’anni continuarono a molestare l’esercito romano dioccupazione con sporadiche rivolte e una guerriglia occasionale. Da ungruppo di ribelli, si svilupparono in un esercito rivoluzionario. Poi, nel66 e.v., circa trent’anni dopo la morte di Gesù, con un crescente sostegnopopolare, rovesciarono i romani e conquistarono il governo del paese. Maquattro anni dopo Roma inviò un esercito molto potente per sterminarli. Fuun massacro spietato. L’ultimo gruppo tenne testa ai Romani dalla suafortezza montana di Masada fino al 73 e.v., quando circa un migliaio dipersone scelse di suicidarsi pur di non sottomettersi a Roma. Vasottolineato che il movimento zelota fu essenzialmente religioso quanto adispirazione e in scopo.A quel tempo, la maggior parte degli ebrei in Palestina credeva che Israelefosse una teocrazia, cioè essi credevano di essere il popolo eletto di Dio,che Dio fosse Re, il loro solo Signore e Padrone, e che la loro terra e leloro risorse appartenessero unicamente a Dio. Accettare i Romani come propripadroni avrebbe costituito un atto di infedeltà a Dio. Pagare le tasse aCesare sarebbe stato dare a Cesare quello che apparteneva a Dio. Gli Zelotierano ebrei fedeli, zelanti per la legge e per la sovranità e regalità diDio. I Farisei non avrebbero avuto discussioni con gli Zeloti su questoargomento.11 Seimila farisei rifiutarono di firmare il giuramento di fedeltàa Cesare, e i Romani dovettero rinunciare a questo requisito per i lorosottoposti ebrei.12 Ma la maggior parte dei farisei non si sentì spinto aprendere le armi contro i Romani, presumibilmente perché le probabilitàerano pesantemente a loro sfavore. La loro preoccupazione principale era lariforma di Israele stesso. Dio li aveva abbandonati al giogo romano a causadell’infedeltà di Israele alla legge e alle tradizioni dei padri. I Fariseipagarono le loro tasse a Roma tra le proteste, ma poi si separarono dachiunque non fosse fedele alla legge e alle tradizioni, per formare dellecomunità chiuse, i fedeli reduci di Israele. Il loro nome significa “i9 Giuseppe Flavio, Storia della Guerra Giudaica, 2:118 e Delle Antichità Giudaiche,

18:1-10.

10 Giuseppe Flavio, Guerre Giudaiche, 2:254-257; cf. S. G. F. Brandon, Jesus and theZealots, pp. 39-40.

11 Brandon, pp. 37, 47, 54.

12 Giuseppe Flavio, Antichità, 17:2.

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separati”, cioè i santi, la vera comunità di Israele.13 La loro moralità eralegalistica e borghese, una questione di ricompensa e castigo. Dio amava ericompensava chi rispettava la legge, e odiava e puniva chi non lo faceva. IFarisei credevano in un aldilà, nella resurrezione dei morti e in un Messiafuturo che Dio avrebbe mandato per liberarli dai Romani.Gli Esseni si spinsero molto più avanti dei Farisei nel loro impegno per laperfezione. Molti di essi si separarono totalmente dalla società e andaronoa vivere una vita celibe e ascetica in campi nel deserto. Furono preoccupatiancor più dei Farisei dell’impurità rituale e della contaminazione ad operadel mondo malvagio e impuro. Essi osservavano quotidianamente e in modometicoloso i riti di purificazione originariamente prescritti per isacerdoti in procinto di offrire il sacrificio nel Tempio. Gli Essenirifiutavano chiunque non appartenesse alla loro “setta”. Il regimesacerdotale nel Tempio era considerato corrotto. Tutti gli estranei dovevanoessere odiati perché erano “i figli delle tenebre”.L’amore e il rispetto erano riservati ai membri del loro gruppo - “i figlidella luce”. Loro soltanto erano i fedeli reduci di Israele. La loro rigidaseparazione e rigorosa disciplina devono essere interpretate come la lororisposta alla credenza secondo cui la fine del mondo era vicina. Essi sipreparavano alla venuta del Messia (o forse di due Messia) e alla grandeguerra nella quale, in qualità di “figli della luce”, avrebbero sterminato i“figli delle tenebre”, gli eserciti di Satana. I primi tra i “figli delletenebre” ad essere annientati sarebbero stati i Romani.14 Quindi, gli Essenifurono guerrafondai tanto quanto gli Zeloti,15ma per essi il tempo non eraancora maturo. Essi aspettavano il giorno del Signore.Verso il 66 e.v., quando gli Zeloti iniziarono a soverchiare i Romani, gliEsseni sembrano essersi uniti a loro, soltanto per essere poi sterminatiinsieme agli Zeloti e ad altri.16 Tra queste esplosioni di eccezionalefervore religioso, i Sadducei furono i conservatori. Essi si attenevano allepiù antiche tradizioni ebraiche e rifiutavano tutte le innovazioni di fede edi rituale.17 L’aldilà e la resurrezione dei morti erano considerati delleinnovazioni. Le ricompense e i castighi si trovavano in questa vita. Perciò,i Sadducei erano degli opportunisti. Collaborarono con i Romani e sisforzarono di mantenere lo status quo. I Sadducei furono in gran parte,sebbene non esclusivamente, membri dell’aristocrazia ricca: i sommisacerdoti e gli anziani.18

I sommi sacerdoti furono una particolare classe di sacerdoti. Essi non solooffrivano i sacrifici, come gli altri sacerdoti, ma erano anche responsabilidell’organizzazione e dell’amministrazione del Tempio. Il sacerdozio,ovviamente, era ereditario. Gli anziani erano la nobiltà laica, le vecchiefamiglie aristocratiche che possedevano gran parte della terra.19 Il partitodei Sadducei comprendeva anche alcuni scribi o rabbini, anche se la maggiorparte di questi erano Farisei. Gli scribi o rabbini erano gli uominiistruiti. Erano nello stesso tempo teologi, legislatori ed insegnanti, manon erano sacerdoti. Perciò nei vangeli i Sadducei sono spesso indicati come“i sommi sacerdoti, gli anziani e gli scribi” o come “i capi del popolo”.Essi erano la classe governante, superiore.

13 Joachim Jeremias, Jerusalem in the Time of Jesus, p. 246.

14 1QM 1, 15-19, cf. G. Vermes, The Dead Sea Scrolls in English, pp. 123, 125, 143-148.

15 Nonostante Filone (Quod omnis probus liber sit, 78), la cui versione sugli Esseni nonè attendibile, cf. Edmund Sutcliffe, The Monks of Qumran, Westminster, MD: NewmanPress, 1960; London, 1960, p. 125.

16 Brandon, p. 61.

17 J. Le Moyne, Les Sadduceens, p. 378.

18 Le Moyne, pp. 349-350.

19 Jeremias, pp. 222-232.

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Bisogna anche nominare un piccolo gruppo di scrittori anonimi che sidedicava ad un genere di letteratura che oggi definiremmo apocalittica. Essierano dei veggenti o visionari che credevano che fossero stati loroindirettamente rivelati i segreti del progetto di Dio per la storia – e inparticolare per la fine del mondo. Secondo loro, Dio aveva predeterminatotutti i tempi e tutte le epoche, rivelando piani segreti agli uomini deitempi antichi, come Enoc, Noè, Esdra, Abramo e Mosè. Gli scrittoriapocalittici erano ora venuti a conoscenza di questi segreti e li mettevanoper iscritto a nome degli antichi, ad uso degli uomini colti del lorotempo.20 Questi autori, probabilmente, furono degli scribi, e possono essereappartenuti al gruppo dei Farisei o degli Esseni, ma non possiamo essernecerti. Furono anonimi, e restano anonimi ancora oggi.In mezzo a tutti questi movimenti e speculazioni religioso-politici ci fu unuomo che spiccò come un segno di contraddizione. Giovanni il Battista fudiverso esattamente perché fu un profeta, e indubbiamente, come molti suoipredecessori dell’antichità, un profeta di sventura e di distruzione. Lesomiglianze superficiali con gli Esseni, con gli scrittori apocalittici ocon chiunque altro non devono mai renderci insensibili al fatto che Giovannifu diverso dai suoi contemporanei come nessun profeta fu mai prima di lui.Mentre altri confidavano nel “tempo che doveva venire” in cui i fedeli diIsraele avrebbero trionfato sui loro nemici, Giovanni profetizzò la sventurae la distruzione per Israele.21 In Israele, per molto tempo, non c’era statoun profeta. Tutti ne erano dolorosamente consapevoli, come attesta tutta laletteratura del periodo.22 Lo spirito della profezia era stato spento. Dioera silenzioso. Tutto quel che si poteva udire era “l’eco della propriavoce”. Si sentiva addirittura che certe decisioni avrebbero dovuto essererimandate “finché sorgesse un profeta fedele” (1 Maccabei 14:41; si vedaanche 4:45-46). Questo silenzio fu rotto dalla voce di Giovanni il Battistanel deserto. Il suo stile di vita, il suo modo di parlare e il suo messaggiofurono un consapevole ripristino della tradizione dei profeti. Gli elementidi cui disponiamo a proposito di lui, sia nel Nuovo Testamento che al difuori di esso, sono unanimi su questo punto. Il messaggio profetico diGiovanni era semplice. Dio era adirato con gli uomini e progettava dipunirli. Dio stava per intervenire nella storia, per condannare edistruggere Israele.Giovanni raffigurò questa distruzione come un grande incendio nella forestadinnanzi al quale le vipere fuggono (Mt 3:8 par), nel quale gli alberi e lapula sono bruciati (Mt 3:10, 12 par), e in cui gli uomini sarannoinghiottiti, come in un battesimo di fuoco (Mt 3:11 par). Egli fece ancheuso delle metafore dell’ascia e del setaccio. Queste sono le metafore deiprofeti. Esse non hanno nulla in comune con le immagini selvagge degliscrittori apocalittici.23 Non c’è motivo di credere che Giovanni si riferisseall’inferno nell’aldilà o ad uno sconvolgimento cosmico. L’incendio nellaforesta è un’immagine dell’inferno sulla terra. Il giudizio di fuoco di Diosu Israele sarebbe stato messo in atto, secondo Giovanni, da un essereumano. Giovanni lo definì “colui che deve venire” (Mt 3:11 parr; Mt 11:3par). Egli è ancora adesso pronto con la sua ascia o il suo setaccio. “Eglivi battezzerà con... il fuoco” (Mt 3:11 par).Una profezia non è una predizione, è un ammonimento o una promessa. Ilprofeta ammonisce Israele a proposito del Giudizio di Dio e promette lasalvezza di Dio. Sia il monito che la promessa sono condizionali. Dipendonodalla libera risposta del popolo di Israele. Se Israele non cambia, leconseguenze saranno disastrose. Se Israele cambia, allora vi saràun’abbondanza di benedizioni. Lo scopo pratico di una profezia è convinceregli uomini a cambiare o a pentirsi. Ogni profeta fece appello ad una

20 D. S. Russell, The Method and Message of Jewish Apocalyptic, capitolo 4.

21 Edmund Schillebeeckx, Jesus: An Experiment in Christology, p. 129.

22 Jeremias, New Testament Theology, pp. 80-82, Charles H. H. Scobie, John the Baptist,pp. 118-120.

23 Schillebeeckx, p. 130.

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conversione. A differenza dei suoi contemporanei che non erano profeti,Giovanni rivolge il suo monito e il suo appello a tutto Israele. Essi nondevono immaginare che siano i Gentili ad avviarsi alla distruzione e che ifigli di Abramo saranno risparmiati per la loro discendenza e la loro razza.“Non pensate di dire dentro di voi: «Abbiamo per padre Abramo»; perché io vidico che da queste pietre Dio può far sorgere dei figli ad Abramo” (Mt 3:9).Dio può distruggere Israele e create un nuovo popolo (figli di Abramo) seIsraele non si pente.Giovanni fece appello ai peccatori, alle prostitute, agli esattori delletasse e ai soldati, così come agli scribi e ai farisei (Lc 3:12, 14; Mt21:32). Egli sfidò addirittura il re o tetrarca degli Ebrei, Erode Antipa(Mc 6:18 par; Lc 3:19). Qui il problema non è riunire i resti o fondare una“setta”.24 Tutti devono cambiare.I profeti precedenti si erano aspettati che Israele cambiasse globalmente,nella persona del suo re o dei suoi capi. Giovanni, come i profetisuccessivi, si aspettava che ogni persona, in Israele, si pentisse esperimentasse un cambiamento personale del cuore. Questo è sicuramente ilsignificato fondamentale della pratica del battesimo di Giovanni. Nonimporta quali precedenti il rito in sé possa avere. Quel che importa è l’usoche Giovanni ne fece. Il battesimo di Giovanni fu un segno di pentimentoindividuale e personale. “Essi confessavano i loro peccati” ed erano poibattezzati (Mc 1:5 par). Si dice che questo battesimo fosse stato per, overso (eis) il perdono dei peccati (Mc 1:4 parr). Nel contesto, il perdonodei peccati avrebbe significato essere risparmiati dal castigo futuro.25 Setutto Israele, o forse la maggioranza dei figli di Abramo, si fosse pentita,Dio avrebbe smesso di essere adirato e si sarebbe intenerito, così che lacatastrofe non si sarebbe affatto verificata. Non è chiaro se, nel caso incui la catastrofe fosse avvenuta, quelli che erano stati battezzatisarebbero o meno stati risparmiati come individui.Tutto dipende dal tipo di catastrofe che Giovanni aveva in mente. Era unaguerra? Frequentemente, il disastro che i profeti avevano in mente era unaguerra nella quale Israele era sconfitto.26 A volte gli innocenti vengonorisparmiati in guerra. Ma non ci sono prove sufficienti affinché possiamodecidere cosa Giovanni avesse in mente, o se ci avesse davvero pensato. Èsignificativo anche che il tipo di cambiamento al quale Giovanni feceappello non avesse nulla a che vedere con la purezza rituale o con idettagli insignificanti dell’osservanza del sabbath; né esso riguardavaassolutamente il pagamento delle tasse ai Gentili. Giovanni fece appello aquella che definiremmo la moralità sociale. “Chi ha due tuniche, ne facciaparte a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto...”. Agliesattori delle tasse disse: “Non riscuotete nulla di più di quello che vi èordinato”. Ai soldati disse: “Non fate estorsioni, non opprimete nessuno confalse denunce, e contentatevi della vostra paga” (Lc 3:11-14). Criticò Erodeper aver divorziato da sua moglie per sposare la moglie del suo fratellastro(un altro Erode) e per tutti gli altri suoi crimini (Lc 3:19).Ma Giuseppe Flavio, lo storico ebreo contemporaneo, sostiene che Erodearrestò Giovanni per motivazioni politiche.27 Egli temeva che Giovanniavrebbe fatto rivoltare il popolo contro di lui. Erode non potevapermettersi di perdere il sostegno del suo popolo, specialmente in vistadelle conseguenze politiche del suo secondo matrimonio. Per sposare Erodiadeegli aveva divorziato dalla figlia di Areta II, il sovrano del vicino regnodei Nabatei. Questo sarebbe stato considerato non solo un insulto personale,ma anche la rottura di un’alleanza politica.28 I Nabatei, perciò, si stavanopreparando alla guerra. Secondo Erode, Giovanni stava soltanto24 Lloyd Gaston, No Stone on Another, p. 138.

25 Schillebeeckx, p. 134; Gaston, p. 138.

26 Gerhard von Rad, The Message of the Prophets, pp. 98-99; Russell, pp. 274-275.

27 Antichità, 18:116-119.

28 Scobie, p. 183.

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peggiorandogli le cose criticando il suo divorzio e il secondo matrimonio, eprofetizzando il castigo divino. Alcuni anni dopo, i Nabatei attaccarono esconfissero Erode, che dovette chiedere ai Romani di salvare lui e il suoregno. Giovanni fu arrestato e decapitato perché osò dichiararsi contrarioanche ad Erode.Giovanni il Battista fu l’unica persona, in quella società, ad impressionareGesù. Qui c’era la voce di Dio che ammoniva gli uomini di un imminentedisastro e invocava un cambiamento del cuore in ciascun individuo. Gesùcredette in questo e si unì a quanti erano determinati a fare qualcosa atale proposito. Egli fu battezzato da Giovanni. Gesù può non essere statod’accordo con Giovanni in ogni dettaglio. Più avanti, come vedremo, inqualche modo arrivò a differire da Giovanni. Ma il fatto stesso del suobattesimo da parte di Giovanni è la prova conclusiva della sua accettazionedella profezia fondamentale di Giovanni: Israele si avvia ad una catastrofesenza precedenti. E, scegliendo di credere a questa profezia, Gesù sidimostra subito in fondamentale disaccordo con tutti coloro che rinneganoGiovanni e il suo battesimo: gli Zeloti, i Farisei, gli Esseni, i Sadducei,gli scribi e gli scrittori apocalittici. Nessuno di questi gruppi eradisposto a credere ad un profeta che, come i profeti del passato,profetizzava contro tutto Israele. Il punto di partenza di Gesù, perciò, ful’imminente giudizio di Israele, una catastrofe senza precedenti. Ci sononumerose prove che evidenziano come Gesù abbia ripetuto numerose voltequesta profezia nel corso della sua vita. Infatti, in vari tra i testi checi sono pervenuti, Gesù è molto più esplicito, rispetto a Giovanni, su ciòche l’imminente disastro avrebbe comportato. Ne citiamo alcuni:“Poiché verranno su di te dei giorni nei quali i tuoi nemici ti farannoattorno delle trincee, ti accerchieranno e ti stringeranno da ogni parte;abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra supietra – tutto perché tu non hai riconosciuto la tua opportunità quando Diote la offrì!” (Lc 19:43-44).“Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che lasua devastazione è vicina. Allora quelli che sono in Giudea, fuggano suimonti; e quelli che sono in città, se ne allontanino... Perché quelli sonogiorni di vendetta... Guai alle donne che saranno incinte, e a quelle cheallatteranno in quei giorni! Perché vi sarà grande calamità nel paese e irasu questo popolo” (Lc 21:20-23).“Ma Gesù, voltatosi verso di loro, disse: «Figlie di Gerusalemme, nonpiangete per me, ma piangete per voi stesse e per i vostri figli»” (Lc23:28).Vennero alcuni a riferirgli il fatto dei Galilei il cui sangue Pilato avevamescolato con i loro sacrifici. Gesù rispose loro: «... Se non vi ravvedete,perirete tutti allo stesso modo»” (Lc 13:1, 3).Non può esservi dubbio su ciò a cui ci si riferisce qui: la distruzione diGerusalemme in una guerra contro i Romani. In vero stile profetico, Gesùprofetizzò una inusitata sconfitta militare per Israele. Il giudizio divinosarebbe stato un terribile massacro, e gli esecutori del giudizio sarebberostati i Romani. Solo quelli che avrebbero avuto il buonsenso di fuggiresarebbero stati risparmiati (Mc 13:14-20 parr). Questo è esattamente quantoaccadde nel 70 e.v. La maggior parte degli studiosi non ha prestato grandeattenzione a questo e ad altri testi simili (Mc 13:2; 23:37-39 = Lc 13:34-35; Lc 11:49-51; 17:26-37). Essi, abbastanza comunemente, sono rigettati,considerati predizioni inserite nel testo dopo l’evento (vaticinia exeventu). Ma ricerche recenti degli studiosi hanno dimostrato in mododecisamente conclusivo che così non è. Fu C. H. Dodd29 a evidenziare perprimo che questi passi non avrebbero potuto essere stati scritti dopo ilfatto, perché sono modellati sui riferimenti scritturali alla prima cadutadi Gerusalemme nel 586 a.e.v. e non fanno allusioni alle caratteristichedistintive della caduta del 70 e.v. Lloyd Gaston giunge grossomodo allestesse conclusioni. Egli passò 10 anni facendo ricerche su questo tema, eprodusse una voluminosa opera accademica che è senza dubbio molto29 The Fall of Jerusalem and the ‘Abomination of Desolation,’ Journal of Roman

Studies, 37 (1947), 47-54.

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convincente, sebbene poco conosciuta e letta raramente.30

Non può esserci alcun dubbio che Gesù profetizzò la distruzione diGerusalemme ad opera dei Romani. I primi cristiani possono aver un pocoritoccato le sue parole, ma anche questo deve essere stato fatto prima deglieventi del 70 e.v. Fu Giovanni il Battista a presagire per primo ildisastro, anche se non sappiamo esattamente cosa immaginò. Gesù concordò conGiovanni e, leggendo i segni dei tempi, vide chiaramente che Israele era inrotta di collisione con Roma. Sia Gesù che Giovanni, come i profetidell’Antico Testamento, espressero questo imminente disastro nei termini diun giudizio divino. Il suo solo pensiero fece piangere Gesù (Lc 19:41) comeaveva fatto piangere, secoli prima, il profeta Geremia. Ma cosa avrebbefatto a tale riguardo?

30 Si veda la nota precedente.

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PARTE SECONDA

LA PRASSI

Capitolo 3I Poveri e gli Oppressi

Gesù può aver iniziato seguendo l’esempio di Giovanni e battezzando gliuomini nel Giordano (Gv 3:22-26). Se così è, abbandonò presto questa usanza(Gv 4:1-3). Non vi è alcuna prova che egli, dopo aver lasciato il Giordano eil deserto, abbia mai battezzato qualcuno o abbia mai inviato qualcunoaffinché fosse battezzato da Giovanni o da qualcun altro. Molte persone loconsideravano il successore di Giovanni il Battista ma, successore o meno,Gesù non battezzò. Egli, invece, andò a cercare, aiutare e servire le pecoreperdute della casa di Israele. Qui abbiamo una seconda decisione, un secondoe indiscutibile indizio della mentalità e delle intenzioni di Gesù. Egli nonsi sentì chiamato a salvare Israele portando tutti ad un battesimo dipentimento nel Giordano. Egli decise che era necessario qualcos’altro,qualcosa che aveva a che fare con i poveri, i peccatori e i malati – lepecore perdute della casa di Israele.Le persone alle quali Gesù rivolse l’attenzione sono indicate, nei vangeli,da una varietà di termini: i poveri, i ciechi, gli zoppi, gli storpi, ilebbrosi, gli affamati, i miseri (quelli che fanno cordoglio), i peccatori,le prostitute, gli esattori delle tasse, gli indemoniati (le personepossedute da spiriti impuri), i perseguitati, i calpestati, gli schiavi,tutti quelli che lavorano e sono oberati, la marmaglia che non sa nulladella legge, le folle, i piccoli, i piccoli, gli ultimi e i bambini o lepecore perdute della casa di Israele.31 Il riferimento, qui, è ad un settoreben definito e inequivocabile della popolazione. Gesù generalmente li indicacome i poveri o i piccoli; i Farisei chiamano le stesse persone i peccatorio la marmaglia che non sa nulla della legge.32 Oggi alcuni possono chiamarequesta parte della popolazione le classi inferiori, altri li definirebberogli oppressi.È stato scritto tantissimo sulle circostanze storiche nelle quali Gesù vissee su tutti gli avvenimenti “importanti” che condussero alla situazionereligiosa e politica del tempo. Ma questo, come la maggior parte degliscritti storici, ci racconta soltanto quello che le persone “importanti”facevano e dicevano: i re e i principi, i potenti e i ricchi, gli oppressorie i loro eserciti. La vera storia dell’umanità è la storia della sofferenza33

— una cosa a proposito della quale si trovano scarsi e preziosi elementi neilibri di storia. Che dire di tutti coloro che hanno sofferto a causa dellegloriose battaglie della storia? Che dire delle sofferenze quotidiane diquanti furono oppressi quando questo o quel re iniziò il suo glorioso regno?Può essere possibile capire Napoleone senza capire la storia dellasofferenza del suo tempo, ma certamente non è possibile capire Gesù se nonsu questo genere di sfondo. Quindi dobbiamo cercare di entrare nel mondo deipoveri e degli oppressi così com’era nella Palestina del primo secolo.Anche se nei vangeli il termine “poveri” non indica esclusivamente coloroche avevano difficoltà economiche, li include. I poveri erano in primo luogoi mendicanti. Erano i malati e gli invalidi, che avevano fatto ricorso allamendicità perché non erano idonei ad un lavoro e non avevano un parente chepotesse permettersi di mantenerli oppure fosse disposto a farlo. Ovviamentenon c’erano ospedali, istituti curativi o pensioni di invalidità. Ci si31 Ad es., Mc 1:23, 32-34, 40; 2:3, 15, 17; 3:1; 9:17-18, 42; 12:40, 42; Lc 4:18; 5:27;

6:20-21; 7:34, 37, 39; 10:21; 11:46; 14:13, 21; 15:1-2; 18:10, 13, 22; Mt 5:10-12;8:28; 9:10, 14; 10:3, 15, 42; 11:28; 15:24; 19:30; 20:16; 21:31-32; 25:40, 45; Gv7:49; 9:1-2, 8, 34.

32 Joachim Jeremias, New Testament Theology, p. 112.

33 Johann B. Metz, “The Future in the Memory of Suffering”, Concilium, Giugno 1972, p.16; Alves, pp. 129-130.

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attendeva che essi mendicassero il proprio sostentamento. Quindi i ciechi, isordomuti, gli zoppi, gli storpi e i lebbrosi erano generalmente deimendicanti. Poi c’erano le vedove e gli orfani: le donne e i bambini che nonavevano nessuno che provvedesse a loro, nessun modo di guadagnarsi davivere. Essi sarebbero stati dipendenti dalle elemosine delle societàreligiosamente osservanti e dalla tesoreria del Tempio.Tra gli economicamente poveri è necessario includere anche i lavoratori allagiornata non specializzati, che erano spesso disoccupati, i contadini chelavoravano nelle fattorie e forse gli schiavi. Nel complesso la sofferenzadei poveri non consisteva nell’indigenza e nella fame, se non durante unaguerra o una carestia. A volte essi avevano fame e sete ma, come milioni dipersone oggi, raramente morivano di inedia. La principale sofferenza deipoveri, allora come oggi, era la vergogna e il disonore. Come dice ilfattore della parabola: “Di mendicare mi vergogno” (Lc 16:3). Glieconomicamente poveri dipendevano completamente dalla “carità” degli altri.Per gli orientali, ancor più che per gli occidentali, questo è terribilmenteumiliante.In Medio Oriente il prestigio e l’onore sono più importanti del cibo o dellavita stessa.34 Il denaro, il potere e la cultura danno agli uomini ilprestigio e lo status perché li rendono relativamente indipendenti epermettono loro di fare delle cose per gli altri.35 I veri poveri chedipendono dagli altri e non hanno nessuno che dipenda da loro si trovano infondo alla scala sociale. Essi non hanno prestigio né onore. Quasi non sonoumani. Le loro vite non hanno un significato. Un occidentale oggi vivrebbequesta condizione come una perdita di dignità umana. Per questo motivo, laparola “poveri” può essere estesa fino ad includere tutti gli oppressi,tutti quelli che dipendono dall’altrui misericordia. E anche questo è ilmotivo per cui la parola può essere estesa addirittura a coloro che siaffidano completamente alla misericordia di Dio – i poveri in spirito (Mt5:3).36

I “peccatori” erano i reietti della società. Chi, per qualsiasi ragione,deviava dalla legge e dalle usanze tradizionali della classe media (gliistruiti e i virtuosi, gli scribi e i Farisei), era considerato inferiore,come appartenesse aduna classe bassa. I peccatori erano una categoriasociale ben definita, la stessa dei poveri nel senso ampio della parola. Tradi essi sarebbero state annoverate le persone che svolgevano professionipeccaminose o impure: le prostitute, gli esattori delle tasse (ipubblicani),37 i ladri, i pastori, gli usurai e i giocatori d’azzardo. Gliesattori delle tasse erano considerati degli imbroglioni e dei ladri perchéla loro professione dava loro il diritto di stabilire l’ammontare dellatassa o del tributo che doveva essere pagato, e il diritto di includere unacommissione. Molti di essi furono sicuramente disonesti. Analogamente, ipastori erano sospettati di guidare i greggi sui terreni altrui e dirubacchiare il prodotto del gregge, il che era sicuramente altrettanto vero.Queste ed altre professioni, quindi, portavano con loro uno stigma sociale.I peccatori averebbero incluso anche quelli che non pagavano le decime (undecimo del loro reddito) ai sacerdoti e quelli che erano negligenti aproposito del riposo del sabbath e della purezza rituale.Le leggi e le usanze su questo tema erano così complicate che i non istruitierano decisamente incapaci di capire cosa ci si aspettava da loro.L’istruzione, in quei giorni, consisteva nella conoscenza delle scritture.Le scritture erano la legge e i profeti, e i profeti erano considerati gliantichi commentatori della legge. Quindi l’istruzione consisteva nel

34 J. Duncan M. Derrett, Jesus’s Audience, pp. 40, 42.

35 Derrett, pp. 53-55.

36 Jeremias, pp. 112-113.

37 Jeremias afferma che dovremmo definire queste persone riscossori dei tributi,raccoglitori delle tasse o pubblicani, e non esattori delle tasse, per distinguere tragli esattori assunti, che erano odiati, e gli ufficiali di stato, che nessunoincontrava mai. Jeremias, p. 110; Jerusalem in the Time of Jesus, p. 228.

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conoscere la legge e tutte le sue ramificazioni. Gli analfabeti e i nonistruiti erano inevitabilmente anarchici e immorali. Gli ’am ha-arez, ocontadini analfabeti, “il popolino che non conosce la legge” (Gv 7:49) eranoconsiderati perfino dai Farisei più illuminati, come Hillel, incapaci divirtù e pietà.38 Non esisteva una via d’uscita per i peccatori.Teoricamente le prostitute potevano essere rese nuovamente pure per mezzo diun elaborato processo di pentimento, purificazione e redenzione. Ma questoavrebbe avuto un costo monetario, e i guadagni illegittimi non avrebberopotuto essere usati a questo scopo. Il suo denaro era contaminato e impuro.Gli esattori delle tasse dovevano abbandonare la propria professione e poirestituire, con l’aggiunta di un quinto, a tutti coloro che avevanoimbrogliato. I non istruiti avrebbero dovuto subire un lungo processo diistruzione prima che si potesse essere certi che fossero “puri”. Essere unpeccatore, perciò, era destino. Si era predestinati all’inferiorità daldestino39 o dalla volontà di Dio. In questo senso i peccatori erano schiavi oprigionieri. La loro sofferenza, quindi, assunse la forma dellafrustrazione, della colpa e dell’ansia. Essi erano frustrati perché sapevanoche non sarebbero mai stati accettati in compagnia di persone“rispettabili”. La cosa di cui sentivano di avere il maggior bisogno era ilprestigio e la considerazione pubblica,40 e questo è ciò che era loro negato.Non avevano nemmeno la consolazione di sentire di essere nei libri di Dio.Le persone istruite dicevano loro che per Dio essi erano sgradevoli e che“dovevano saperlo”. Il risultato era un complesso di colpa nevrotico oquasi-nevrotico, che portava inevitabilmente all’ansia per i molti tipi dicastigo divino che potevano colpirli. I poveri e gli oppressi sono semprestati particolarmente inclini alle malattie.Questo accadeva in modo particolare ai tempi di Gesù, non solo per lecondizioni fisiche in cui vivevano ma anche – e in modo più significativo –per le condizioni psicologiche. Moltissimi di essi sembrano aver sofferto dimalattie mentali, le quali, a loro volta, davano origine a condizionipsicosomatiche come la paralisi e i disturbi del linguaggio. Ma qui dobbiamoabbandonare il nostro punto di vista psicologico moderno e cercare dientrare nel mondo dell’infermità e della malattia così come era interpretatodagli uomini del tempo di Gesù. Per gli ebrei e i pagani orientali il corpoè la dimora di uno spirito.41 Dio soffia uno spirito in una persona per farlavivere. Allo morte, questo spirito lascia il corpo. Durante la vita, anchealtri spiriti possono abitare il corpo di una persona – uno spirito buono(lo Spirito di Dio) o uno spirito maligno, impuro, un demone.Questa condizione sarebbe stata osservabile nel comportamento della persona.Ogni volta che un uomo non era in sé, quando era fuori di sé e sembrava averperso il controllo si riteneva ovvio che qualcosa era entrato in lui.Formuliamo ancora oggi la domanda in inglese: “Che cosa è entrato in lui?”.Secondo gli orientali ora non è lo spirito della persona ad agire. Questapersona è palesemente posseduta da qualche altro spirito. A seconda di comesi valuta il suo comportamento normale lo si definisce uno spirito buono ouno spirito maligno. Quindi il comportamento fuori dall’ordinario e gliinusuali lampi di intuito da parte di un profeta (specialmente se andava intrance) sarebbero stati concettualizzati come possessione da parte delloSpirito di Dio, mentre il comportamento patologico del malato di mentesarebbe stato concettualizzato come possessione da parte di uno spiritomaligno.42 I sintomi manifestati dal ragazzo indemoniato nei vangeli sono isintomi di quella che chiameremmo epilessia: gettarsi a terra o nel fuococon temporanea sordità, idiozia, convulsioni, agitazione e schiuma alla

38 Aboth 1:5.

39 Derrett, pp. 117-118.

40 Derrett, p. 63.

41 Derrett, p. 122.

42 Jeremias, New Testament Theology, p. 93.

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bocca (Mc 9:17-27 parr). Non è difficile capire come si sia potuto pensareche egli fosse preda di qualche spirito maligno. Forse l’uomo con lo spiritomaligno che fu indotto alle convulsioni nella sinagoga (Mc 1:23-26 par) fuanch’egli un epilettico. L’indemoniato di Gerasa, che viveva tra le tombecon gli spiriti dei defunti, era chiaramente un pazzo delirante. “Nessunopoteva più tenerlo legato neppure con una catena... Le catene erano state dalui rotte, e i ceppi spezzati, e nessuno aveva la forza di domarlo. Notte egiorno, andava... urlando e percuotendosi con delle pietre” (Mc 5:3-5). Erapalesemente posseduto da uno spirito impuro o maligno (Mc 5:2).Alcune malattie fisiche e psicosomatiche erano anch’esse considerate operadi uno spirito maligno. Luca ci racconta di una donna debole e storpia cheera “posseduta da uno spirito di debolezza”, ossia uno spirito cheindeboliva il suo corpo. “Era tutta curva” e quindi è descritta come “legatada Satana”, ossia, tenuta in quella posizione dallo spirito maligno chedimorava in lei (Lc 13:10-17). Ci sono anche spiriti di sordità e mutismoche chiudono le orecchie ai sordi e legano le lingue dei muti (Mc 9:18, 25;7:35). La febbre alta o delirio della suocera di Simone non è chiamataesplicitamente uno spirito maligno, ma è personificata in modo molto simile:“Egli (Gesù) sgridò la febbre, e la febbre la lasciò” (Lc 4:39). Sembra cheil paralitico al quale erano stati perdonati i peccati (Mc 2:1-12 par)soffrisse degli effetti psicosomatici di un grave complesso di colpa. Anchelui avrebbe potuto essere descritto come posseduto da uno spirito di zoppia,anche se i vangeli, in realtà, non usano quella descrizione.Si noterà che tutte queste malattie sono del tipo che definiremmodisfunzionale. Le malattie che appaiono esternamente sulla pelle nonsarebbero state descritte in questo modo. Si trattava di difetti del corpo enon dello spirito che abita il corpo. Le persone che avevano una malattiadella pelle che le rendeva esteriormente impure erano conosciute comelebbrosi. Nell’antichità la lebbra era un termine generico che comprendevatutte le malattie cutanee, comprese le piaghe e gli eritemi. I lebbrosi nonerano posseduti dagli spiriti maligni, però la loro era anch’essa ilrisultato del peccato.43 Tutte le sventure, le malattie e gli altri disturbierano maligni. Si trattava di afflizioni mandate da Dio come castigo per ilpeccato – il proprio, quello di un membro della propria famiglia o deipropri antenati. “Chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia natocieco?” (Gv 9:2, si veda anche Lc 13:2, 4). Tuttavia essi non ritenevano cheDio somministrasse direttamente tali castighi, ma pensavano che li cedessealle forze del male (Giobbe 1:12).C’era una verità originale e fondamentale – questo legame tra il peccato ela sofferenza: peccare è fare qualcosa di dannoso a te stesso o agli altri.Ma il nesso è stato interpretato in modo completamente errato. Agli uomini èstato insegnato a pensare al peccato come al non essere riusciti arispettare leggi che normalmente ignoravano del tutto. Il peccato, quindi,non era sempre un’azione del tutto deliberata. È possibile peccare pererrore o per ignoranza. Analogamente si può dover sopportare la colpa delpeccato commesso da qualcun altro. I figli di un’unione illegittima, e iloro figli per dieci degenerazioni, erano considerati peccatori.44 Gli ebreiche non erano razzialmente puri o che non potevano risalire alla propriaascendenza abbastanza da dimostrare la loro purezza razziale dovevanoportare lo stigma sociale dei loro antenati, che avevano peccato mischiandosangue ebreo e pagano.45 Quando il peccato veniva imputato in modo cosìmeccanico, il suo nesso con il castigo e la sofferenza doveva essereconcepito in modo ugualmente meccanico. Qui abbiamo un terreno fertile perla superstizione, e molti dei poveri e dei non istruiti erano decisamentesuperstiziosi. Sia gli ebrei che i gentili della Palestina consultavano glistregoni e i divinatori del peccato, che erano considerati capaci didivinate la fonte peccaminosa di qualsiasi disturbo.4643 Jeremias, New Testament Theology, p. 92; The Eucharistic Words of Jesus.

44 Dt. 23:3. Si veda Jeremias, Jerusalem in the Time of Jesus, pp. 337, 342.

45 Jeremias, pp. 275-276, 297-298, 337.

46 Derrett, p. 122.

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Era un mondo cupo e spaventoso, nel quale gli indifesi erano minacciati daogni parte da spiriti ostili e da persone altrettanto ostili. Essi eranoalla mercé degli spiriti maligni che, in qualsiasi momento, potevanoinfliggere loro malattie o pazzia, così come erano alla mercé di re etetrarchi che li possedevano come dei beni che potevano essere comprati,usati o gettati via, come richiedeva la politica del momento. Spesso eranodissanguati dalle tasse. I poveri e gli oppressi erano alla mercé degliscribi, che li oberavano di oneri legali e non alzavano mai un dito per daread essi sollievo (Lc 11:46). Ad essi erano negati i diritti civili. “Ad essinon erano conferiti incarichi onorari, ed essi non erano ammessi cometestimoni nel processi”.47 “Tutti gli onori più importanti, le posizioni difiducia e gli incarichi pubblici erano riservati agli Israeliti puri”,48ossia quelli che non erano peccatori e potevano dimostrare che la loroascendenza era pura e legittima. I peccatori erano esclusi dalla sinagoga.Questo era il mondo del “calpestati”, dei “perseguitati” e dei “prigionieri”(Lc 4:18; Mt 5:10). Oggi essi sarebbero stati definiti gli oppressi, gliemarginati o gli sventurati della terra – la gente che non conta. Ma eranola schiacciante maggioranza della popolazione della Palestina – le folle omoltitudini dei vangeli. La classe media era molto esigua e le classisuperiori ancor più ristrette. I professionisti, i bottegai e i commercianticome i falegnami e i pescatori erano “rispettabili “ e appartenevano allaclasse media. I Farisei, gli Esseni e gli Zeloti erano tutti uomini istruitidella classe media. Gli Zeloti possono aver incluso nelle loro file alcunimembri del popolino, che non sapeva nulla della legge, specialmente verso lafine a Gerusalemme,49 ma nel complesso i poveri e gli oppressi non preseroparte a questi movimenti religioso-politici. Le classi superiori o dominantierano enormemente ricche e vivevano in un grande lusso e splendore. Tra leclassi medie e quelle superiori c’era un incalcolabile divario economico. Leclassi superiori includevano la famiglia reale degli Erodi, la cui ricchezzaderivava dalla tassazione, le famiglie sacerdotali aristocratiche (i sommisacerdoti), che vivevano delle decime e delle tasse del Tempio, e la nobiltàlaica (gli anziani) che possedeva gran parte della terra.50 Gesù apparteneva alla classe media. Egli non fu, per nascita e crescita, unodei poveri e degli oppressi. Si è spesso evidenziato che Gesù, a differenzadi Paolo, non fu un cittadino romano e quindi non godette dei diritti di uncittadino romano. Ma nella società nella quale Gesù visse quello non era unvero svantaggio. Il suo unico svantaggio – e si trattava di un lievesvantaggio che valeva soltanto a Gerusalemme – fu il suo essere un galileo.Gli ebrei ortodossi di Gerusalemme tendevano a guardare dall’alto in bassoperfino gli ebrei della classe media provenienti dalla Galilea.51

La cosa straordinaria di Gesù fu che, sebbene provenisse dalla classe mediae personalmente non presentasse svantaggi degni di nota, frequentò gliultimi tra gli ultimi, e si identificava con loro. Egli divenne un reiettoper scelta. Perché Gesù fece questo? Cosa può indurre un uomo della classemedia a parlare con i mendicanti e a frequentare i poveri? Cosa può indurreun profeta ad associarsi con il popolino che non sa nulla della legge? Larisposta compare molto chiaramente nei vangeli: la compassione. “Gesù... neebbe compassione e ne guarì gli ammalati” (Mt 14:14*). “Vedendo le folle, neebbe compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hannopastore” (Mt 9:36*, si confronti con Mc 6:34). Egli fu spinto dalla

47 Jeremias, New Testament Theology, p. 110, dove dice questo degli esattori delle tasse(o meglio degli esattori dei tributi), ma questo vale per tutti gli oppressi.

48 Jeremias, Jerusalem in the Time of Jesus, p. 297.

49 Fu questo il motivo per cui nel 66 e.v. Essi bruciarono gli archivi di Gerusalemme,che contenevano l’annotazione dei loro debiti? Si veda Giuseppe Flavio, GuerreGiudaiche, 2:427.

50 Jeremias, pp. 147-232.

51 Gv 7:41, 45-52, cf. Geza Vermes, Jesus the Jew, pp. 42-57.

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compassione per la situazione e per le lacrime della vedova di Nain. “Nonpiangere” le dice (Lc 7:13). Ci viene detto esplicitamente che ebbecompassione di un lebbroso (Mc 1:41), di due ciechi (Mt 20:34) e di coloroche non avevano nulla da mangiare (Mc 8:2 par).Nei vangeli, anche quando la parola non viene usata, possiamo avvertire ilmoto della compassione. Gesù dice ripetutamente agli uomini: “Non piangere”,“Non preoccuparti”, “Non temere” (ad es., Mc 5:36; 6:50; Mt 6:25-34; si vedaanche Mc 4:40; Lc 10:41). Egli non fu impressionato dalla magnificenza deigrandi edifici del Tempio (Mc 13:1-2), fu commosso dalla povera vedova chemise il suo ultimo centesimo nella tesoro del Tempio (Mc 12:41-44). Mentretutti gli altri erano entusiasti del “miracolo” della figlia di Giairo, eglisi preoccupò che le fosse dato qualcosa da mangiare (Mc 5:42-43). A renderediverso il Samaritano della parabola fu la compassione che questi provò perl’uomo lasciato mezzo morto sul ciglio della strada (Lc 10:33). A renderediverso il padre amorevole della parabola fu l’eccesso di compassione chesentì nei confronti del proprio figlio prodigo (Lc 15:20).A rendere Gesù diverso fu la sconfinata compassione che egli provò per ipoveri e per gli oppressi. La parola “compassione” è troppo debole peresprimere l’emozione che animò Gesù. Il verbo greco splagchnizomai usato intutti questi testi, derivato dal sostantivo splagchnon, che significaintestini, viscere, interiora o cuore, ossia le parti interne dalle qualisembrano nascere le emozioni forti. Il verbo greco,quindi, significa unmovimento o impulso che nasce dalle interiora, una reazione istintiva. Perquesto i traduttori devono fare ricorso ad espressioni quali “fu mosso acompassione o pietà” (AV, RV, JB) o “fu dispiaciuto” (JB) o “il suo cuoreandò da loro” (NEB). Ma perfino queste non rendono la profonda sfumaturafisica ed emotiva della parola greca che indica compassione. Il fatto cheGesù sia stato animato da tale emozione va oltre ogni ragionevole dubbio. Sitratta di un sentimento eminentemente umano che gli evangelisti e la Chiesadelle origini non ebbero un motivo apologetico di attribuire a Gesù.Inoltre, come vedremo, gran parte delle sue azioni, del suo pensiero edell’impatto che egli ebbe sulla gente resterebbe incomprensibile se eglinon fosse stato concretamente animato, in modo molto profondo, dallacompassione nei confronti dei poveri e degli oppressi.Se la sofferenza dei poveri e degli oppressi ebbe un effetto così potente suGesù, quale effetto su di lui dovette avere la prospettiva di sofferenzemolto maggiori in futuro? La compassione è una risposta alla sofferenza. Ilpensiero di una catastrofe imminente che avrebbe travolto moltissime personein un bagno di sangue e prodotto sofferenze troppo orribili per riflettercisopra avrebbe scosso un uomo di così grande compassione e sensibilità. “Guaialle donne che saranno incinte, e a quelle che allatteranno in quei giorni!”(Lc 21:23). “Abbatteranno te e i tuoi figli ” (Lc 19:44*). Gesù, comeGeremia, fu mosso alle lacrime. Ma che si poteva fare? È ottimo sentirsicompassionevoli ed empatici, ma cosa ci si poteva fare? Giovanni feceaffidamento su un battesimo di conversione; Gesù si prefisse di liberare gliuomini da ogni forma di sofferenza ed angoscia – presente e futura. Come?

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Capitolo 4

La Guarigione

In quel tempo c’erano dottori e medici. Ma erano pochi e rari, la loroconoscenza della medicina era molto limitata e raramente i poveri potevanopermettersi di consultarli. Abbiamo già parlato dell’uso che era fatto deglistregoni e dei divinatori di peccato, ma c’erano anche degli esorcistiprofessionisti che affermavano di essere in grado di scacciare gli spiritimaligni, e che, a quanto sembra, a volte riuscivano a farlo. Gli esorcistiprofessionisti attribuivano il loro successo al preciso rispetto di unaqualche antica formula rituale. Questo rituale comprendeva incantesimo,azioni simboliche, l’uso di certe sostanze e l’invocazione del nome diantichi e saggi uomini di Dio (come Salomone) ai quali, si presume, ilrituale era stato rivelato.52 C’è veramente poco a separare questo dallamagia. Tuttavia c’era anche il santo occasionale, forse molto occasionale(come Hanina ben Dosa) che poteva produrre la pioggia o effettuare una curaper mezzo di una semplice e spontanea preghiera a Dio.53

Gesù fu diverso da tutti questi guaritori. Forse, a volte, fece uso dellasua saliva, una sostanza generalmente considerata medicinale (Mc 7:33;8:23). Certamente egli si preoccupava spontaneamente di avere un qualchetipo di contatto fisico con il malato (ad es., Mc 1:31, 41; 6:56; 8:22,25).Egli li toccava, li prendeva per mano o imponeva le mani su di loro. Ma nonfece mai uso di alcun tipo di formula rituale, incantesimo o invocazione dinomi. È molto probabile che egli sia stato accusato di esorcizzare nel nomedi Belzebù o Satana proprio perché non aveva invocato nessun’altra autoritàné usato alcun rituale tradizionale.54

C’è un senso in cui Gesù fece certamente ricorso alla preghiera spontanea(Mc 9:29), ma la sua interpretazione di ciò che accadeva in questi casi èmolto diversa da quella data dai santi che pregavano per la pioggia o per lecure. Essi facevano affidamento sulla loro reputazione agli occhi di Dio;55Gesù si basò sul potere della fede. Non era la preghiera in sé a effettuarela cura, era la fede (Mt 21:22). Ci viene detto ripetutamente che Gesùdiceva alla persona che era stata curata: “La tua fede ti ha guarita”.56Questa è una affermazione importante che eleva immediatamente Gesù al disopra di ogni categoria contemporanea di medici, esorcisti, taumaturgi osanti. Egli, concretamente, dice di non essere stato lui a guarire lapersona malata, di non averlo fatto grazie a un potere psichico che possiedeo grazie a quale rapporto particolare con Dio. Né la guarigione deve essereattribuita all’efficacia di qualche formula magica, nemmeno alle sempliciproprietà medicinali della saliva. Egli non dice nemmeno – almeno nonesplicitamente – che la persona è stata guarita da Dio.57

“La tua fede ti ha guarito”. Questa è un’affermazione davvero straordinaria.Gesù, come ogni ebreo credente, avrebbe capito che “tutto è possibile a Dio”(Mc 10:27). Ma Gesù differì dai suoi contemporanei perché interpretò questocon il significato che “tutto è possibile per chi ha fede” (Mc 9:23). Lapersona che ha fede diventa come Dio – onnipotente. “Se avete fede quanto ungranello di senape, potrete dire a questo monte: «Passa da qui a là», epasserà; e niente vi sarà impossibile” (Mt 17:20*). Il seme di senape e lospostamento delle montagne sono entrambi delle metafore. La fede, come unseme di senape, è una cosa apparentemente piccola e insignificante che può52 Geza Vermes, Jesus the Jew, p. 64.

53 Vermes, pp. 69-78.

54 Vermes, pp. 64-65.

55 Vermes, p. 76.

56 Mc 5:34 parr; 10:52 par; Mt 9:28-29; Lc 17:19; e si veda anche Mc 5:36 par; 8:13;15:28.

57 Gerhard Ebeling, Word and Faith, pp. 232-233.

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ottenere cose impossibilmente grandi. Quello che la fede può ottenere è comespostare le montagne o, come direbbe Luca, muovere un sicomoro (17:6). Quisi sospetta una qualche confusione delle metafore. Tuttavia il punto èsufficientemente chiaro. La fede, per Gesù, è un potere onnipotente, unpotere che può ottenere l’impossibile.58

Mentre Giovanni si era affidato ad un battesimo di conversione, Gesù siaffidò alla fede. L’unico potere che può guarire e salvare il mondo, l’unicopotere che può fare l’impossibile, è il potere della fede. “La tua fede tiha salvato”. Questa fede, ovviamente, non era aderire ad un credo o ad unaserie di dottrine e di dogmi. E tuttavia è una convinzione, una convinzionemolto forte. La persona malata ha fede quando si convince che potrà esserecurata, e lo sarà. Se cuna persona parla con sufficiente convinzione, “Senon dubita in cuor suo, ma crede che quel che dice avverrà, gli sarà fatto”(Mc 11:23). E se pregate con la vera convinzione che “le avete ricevute, leotterrete” (Mc 11:24). Ma quando dubitate o esitate non succederà nulla.Questo è esemplificato dalla storia di Pietro che cammina sull’acqua. Eglidubitò per un momento, e proprio allora iniziò ad affondare (Mt 14:28-31).Quando i discepoli di Gesù tentarono per la prima volta di scacciare glispiriti maligni non vi riuscirono perché la loro convinzione era ancoradebole ed esitante, avevano troppo poca fede (Mt 17:19-20). Questo nonsignifica che il potere della fede sia semplicemente il potere di una forteconvinzione o l’influenza psicosomatica di una potente suggestione, cheeffettua una cura per mezzo di quella che è definita “terapia delladominanza”.59

La fede non è affatto una convinzione – vero o falso, buono, cattivo oindifferente. È un particolare tipo di convinzione e riceve il suo poteredal tipo di convinzione che è. La fede è una buona e autentica convinzione.È la convinzione che qualcosa succede, e succederà perché è buono e perché èvero che la bontà può trionfare – e trionferà – sul male. In altre parole èla convinzione che Dio è buono nei confronti dell’umanità e che puòtrionfare, e trionferà, su ogni male. Il potere della fede è il potere delbene e della verità, che è il potere di Dio.Il contrario della fede, quindi, è il fatalismo. Il fatalismo non è unacaratteristica filosofia della vita che una volta esisteva in qualchelontano angolo del mondo. Il fatalismo è l’atteggiamento prevalente dellamaggior parte della gente, per gran parte del tempo. Esso si esprime inaffermazioni quali “Non ci si può fare nulla”, “Non si può cambiare ilmondo”, “Bisogna essere pratici e realisti”, “Non c’è speranza”, “Non c’èniente di nuovo sotto il sole”, “Bisogna accettare la realtà”. Queste sonole affermazioni delle persone che non credono davvero nel potere di Dio,persone che non sperano davvero in quello che Dio ha promesso. Si noterà chequesto tipo di fede è legata molto strettamente alla speranza. In realtà lafede, nel senso biblico della parola, è quasi indistinguibile dalla speranza(ad esempio Eb 11:1; Rom 4:18-22).60

Il massimo che si possa dire è che la fede e la speranza sono due aspettidiversi della stessa forma mentis, proprio come la miscredenza e ladisperazione sono due aspetti diversi del fatalismo. Abbiamo visto qualcosadel fatalismo dei poveri, dei peccatori e dei malati ai tempi di Gesù. Ilsuccesso della sua attività di guarigione dev’essere considerato il trionfodella fede e della speranza sul fatalismo. I malati, che si sono rassegnatialla propria infermità come loro sorte nella vita, furono incoraggiati acredere che avrebbero potuto essere – e sarebbero stati – curati. La stessafede di Gesù, le sue incrollabili convinzioni, risvegliarono questa fede inessi. La fede fu un atteggiamento che gli uomini mutuarono da Gesù grazie alloro contatto con lui, quasi come se fosse una sorta di infezione. Essa nonpoteva essere insegnata, si poteva solo prendere. Quindi essi iniziarono arivolgersi a lui per aumentare la propria fede (Lc 17:5) o per correggere lapropria miscredenza (Mc 9:24).58 Ebeling, pp. 227-232.

59 Cf. Joachim Jeremias, New Testament Theology, p. 92.

60 Jurgen Moltmann, Theology of Hope.

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Gesù fu il creatore della fede. Ma una volta creata, essa poteva diffondersida una persona a un’altra. La fede di una persona poteva risvegliare la fededi un’altra. I discepoli furono inviati per risvegliare la fede negli altri.Laddove l’atmosfera generale del fatalismo era stata sostituita da unaatmosfera di fede, l’impossibile iniziò ad accadere. A Nazareth, la suacittà natale, c’era una generale mancanza di fede, e per quel motivo là nonavvenivano cure “miracolose” o degne di nota (Mc 6:5-6). Ma in altri luoghidella Galilea la gente era guarita e curata, gli spiriti maligni eranoscacciati e i lebbrosi erano purificati. I miracoli di liberazione avevanoiniziato ad accadere. Ma erano davvero autentici miracoli? I miracoli sonospesso considerati – sia da chi ci crede che da chi non ci crede – eventi, opresunti eventi, che contraddicono le leggi della natura e che, quindi, nonpossono essere spiegati dalla scienza o dalla ragione. Ma questo non èaffatto ciò che la Bibbia intende per miracolo, come vi dirà un qualsiasistudioso della Bibbia.61

“Le leggi della natura” è un concetto scientifico moderno. La Bibbia non sanulla della natura, figuriamoci delle leggi della natura. Il mondo è lacreazione di Dio, e tutto quello che accade nel mondo, normale ostraordinario, fa parte della provvidenza di Dio. La Bibbia non divide glieventi in naturali e soprannaturali. Dio, in un modo o nell’altro, sta allabase di tutti gli eventi. Un miracolo, nella Bibbia, è un evento insolitoche è stato interpretato come una azione inusuale di Dio, un’opera potente.Certe azioni di Dio sono chiamate miracoli o prodigi per la loro capacità disbalordirci e sorprenderci, la loro capacità di farci meravigliare estupire. Quindi la creazione è un miracolo, la grazia è un miracolo, lacrescita di un enorme albero di senape da un piccolo seme è un miracolo, laliberazione degli Israeliti dall’Egitto fu un miracolo, il regno di Dio saràun miracolo.Il mondo è pieno di miracoli per coloro che hanno occhi per vederli. Se nonriusciamo più a stupirci e meravigliarci tranne quando le cosiddette leggidella natura vengono infrante, allora dobbiamo trovarci in uno statopietoso. Le leggi della natura sono le ipotesi di lavoro della scienza. Essehanno un valore estremamente importante e pratico per noi. Ma dobbiamoriconoscerle per quello che sono. Devono essere costantemente revisionate eriviste alla luce dei nuovi elementi. Gran parte di quello che, neldiciassettesimo secolo, sarebbe stato considerato legge della natura ogginon verrebbe considerato tale. Ogni buono scienziato dirà che perfino le piùrecenti teorie scientifiche non sono l’ultima parola su quello che èpossibile o impossibile nella vita. Molti di loro, oggi, diranno che perfinoi presunti miracoli non possono essere esclusi a priori.62 In questo nostromisterioso mondo c’è molto di più di quanto siamo mai stati in grado dicapire. Le leggi della natura, perciò, non sono assolutamente i criteri perstabilire cosa sia un miracolo e cosa non lo sia. Una cosa può benissimocontraddire le leggi della natura così come ci sono note in un determinatomomento senza essere un miracolo o un atto di Dio, ad esempio l’agopuntura,le percezione extrasensoriale, piegare le forchette con il pensiero e leimprese degli yogi indiani. D’altra parte una cosa può essere un miracoloanche se può essere spiegata da leggi perfettamente naturali. Per gli Ebreiil più grande miracolo della Bibbia fu il miracolo dell’Esodo,l’attraversamento del Mare delle Canne (non il Mar Rosso, che è unatraduzione errata; il Mare delle Canne è una palude a nord del Mar Rosso).63Oggi tutti gli studiosi seri concorderanno che l’attraversamento ed ilconseguente annegamento dell’esercito egiziano può essere spiegato grazie aifenomeni naturali delle maree e dei venti, che furono sicuramente“provvidenziali” per gli Israeliti. Tuttavia questo resta il più grandemiracolo dell’Antico Testamento. Gli orpelli che sono stati aggiunti allastoria attraverso i secoli di narrazione ebbero il solo scopo di

61 Cf. Reginald H. Fuller, Interpreting the Miracles, pp. 8-11.

62 Cf. Emmanuel M. Papper, “Acupuncture: Medicine or Magic?” in Encyclopedia BritannicaYearbook of Science and the Future, 1974, pp. 55-56.

63 Si veda ad esempio The Jerome Biblical Commentary, 3:29.

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sottolineare il nostro bisogno di meravigliarci per ciò che Dio aveva fattoper il popolo di Israele. Un miracolo, allora, è un’azione di Dio che, nellasua potenza ed anomalia, ci fa stupire e meravigliare. In quanto tale puòessere chiamato (e nella Bibbia è spesso chiamato) un segno – un segno delpotere e della provvidenza di Dio, di giustizia e di misericordia, dellavolontà di Dio di salvare e liberare.Allora, in che modo vanno interpretate le storie evangeliche sui miracoli diGesù? Esiste una teoria fondata secondo la quale Marco divenne insoddisfattodel ritratto di Gesù come maestro che era molto diffuso nella Chiesadell’epoca.64 Le persone che non avevano conosciuto Gesù durante la sua vitaarrivarono a conoscerlo principalmente attraverso i suoi detti e le sueparabole. Marco desiderò correggere questa immagine unilaterale. Perciò, siipotizza, dovette aver stabilito un contatto, diretto o indiretto, con ivillici semplici e non istruiti che avevano conosciuto Gesù in Galilea. Icantastorie della Galilea, che forse non divennero mai cristiani,ricordarono e raccontarono quel che aveva impressionato più di tutto ipoveri e gli oppressi – i miracoli di Gesù. I miracoli costituiscono dellestorie interessanti molto più dei sermoni, dei detti saggi o delle ideereligiose nuove ed originali. Essi possono essere raccontati molte volteintorno al fuoco di notte con alcuni abbellimenti, e non mancheranno mai diincantare gli ascoltatori.Sarebbe stato da questi cantastorie che Marco ottenne la maggior parte dellesue versioni dei miracoli di Gesù. Devono anche esserci state altre storieche gli giunsero da Pietro o da uno degli altri discepoli. In tutti questicasi Marco non avrebbe esercitato il giudizio critico di uno storicomoderno. Egli fu fedele alle sue fonti. Inoltre i miracoli erano un modoparticolarmente facile e conveniente di convincere i suoi lettori. Quellodel miracolo era un linguaggio che chiunque, in quei giorni, poteva capireed apprezzare.65 Matteo e Luca, probabilmente, seguirono Marco, ma Giovannisembra aver avuto la propria fonte di “segni” o “opere” eseguiti da Gesù. Èquindi molto probabile che le storie dei miracoli che ci sono statetrasmesse nei vangeli comprendano degli abbellimenti e delle esagerazioni, eche includano anche delle versioni di eventi che, in origine, non furonomiracoli o prodigi (ad es. il camminare sulle acque, la moltiplicazione deipani, la maledizione dell’albero di fico e la trasmutazione dell’acqua invino).Uno studio critico dei testi tende a confermarlo.66 Tuttavia, tenuto conto diquesto, appare come un indiscutibile fatto storico che Gesù abbia fatto deimiracoli e che abbia esorcizzato e guarito delle persone in un modoabbastanza straordinario. Ma quel che è ancora più straordinario è che,nonostante la loro preoccupazione di trovare il miracolo dovunque fossepossibile, gli autori dei vangeli riportano l’estrema riluttanza di Gesù afare dei miracoli. I Farisei gli chiedevano continuamente “un segno dalcielo”, ed ogni volta egli si rifiutò di fare una cosa del genere (Mc 8:11-13 parr; si vedano anche Lc 11:16; Gv 2:18; 4:48; 6:30). Quello che essicercavano era un qualche tipo di miracolo spettacolare che avrebbeconfermato la sua missione e dimostrato in modo definitivo che egli era unprofeta mandato da Dio. In che altro modo avrebbero potuto sapere secredergli o meno? Ma Gesù dichiara con fiducia che non sarà dato nessunsegno di quel tipo, e inoltre che la generazione che chiede un segnomiracoloso è una generazione malvagia ed infedele (Lc 11:29 parr).Niente indica più chiaramente quanto Gesù fosse diverso dagli uomini dellasua generazione. Egli considerò ogni tentativo di produrre un miracoloconfirmatorio come una tentazione satanica. Da qui la storia della suatentazione nel deserto, quando si dice che Satana lo abbia tentatochiedendogli di saltare giù dal pinnacolo del Tempio. Gesù rifiutò questocome un tentativo peccaminoso di mettere Dio alla prova (Lc 4:12 par). Quasiogni altro uomo di religione, in quei giorni, avrebbe ritenuto assolutamente64 Etienne Trocme, Jesus as Seen by His Contemporaries, pp 103-105.

65 Jeremias, p. 89.

66 Jeremias, pp. 86-88.

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impossibile resistere alla tentazione di giustificarsi per mezzo di prove esegni celesti. Chi pensa che il motivo per il quale Gesù fece dei miracolidi guarigione fosse un desiderio di dimostrare qualcosa, di dimostrare cheegli era il Messia o Figlio di Dio, lo ha completamente frainteso. Il suounico e solo motivo per guarire le persone era la compassione. Il suo unicodesiderio era quello di liberare gli uomini dalla loro sofferenza e dallaloro rassegnazione fatalistica alla sofferenza. Egli fu profondamenteconvinto che si potesse fare, e il miracoloso successo dei suoi sforzi deveessere attribuito al potere della sua fede. Né egli pensò di avere alcunmonopolio sulla compassione, sulla fede e sulle cure miracolose. Quel che,più di tutto, egli volle fare fu risvegliare la stessa compassione e lastessa fede negli uomini intorno a lui. Soltanto quello avrebbe permesso alpotere di Dio di diventare operativo tra di loro. Di conseguenza, anche seGesù non si prestò a dimostrare alcunché, il suo miracoloso successo indicòche Dio era all’opera, liberando il suo popolo grazie alla fede che Gesùaveva generato in esso.

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Capitolo 5

Il Perdono

Giovanni il Battista predicò ai peccatori. Hanina ben Dosa esorcizzò da essigli spiriti maligni.67 Ma Gesù si identificò con loro. Egli uscì dal suosentiero per frequentare i mendicanti, gli esattori delle tasse e leprostitute. Nelle società in cui ci sono delle barriere tra le classi, lerazze o altri gruppi basati sullo status, la separazione è mantenuta permezzo di un tabù sulle frequentazioni sociali. Non si condivide un pasto ouna festa, non si celebra o si partecipa a dei divertimenti con dellepersone che appartengono ad un altro gruppo sociale. In Medio Orientecondividere un pasto a tavola con qualcuno è una forma particolarmenteintima di associazione ed amicizia. Le persone, nemmeno per educazione,avrebbero mangiato e bevuto con una persona di una classe o status inferioreo con qualsiasi persona essi disapprovassero.Lo scandalo che Gesù provocò in quella società frequentando i peccatori puòdifficilmente essere immaginato dalla maggior parte delle persone nel mondomoderno. Significava che egli li accettava, li approvava e che volevadavvero essere “un amico degli esattori delle tasse e dei peccatori” (Mt11:19). L’effetto sugli stessi poveri ed oppressi fu miracoloso.Il fatto che Gesù frequentasse i peccatori è storicamente accertato. Si puòriscontrare in quattro tradizioni evangeliche indipendenti e in tutte leforme letterarie dei vangeli.68 Questa pratica scandalosa non avrebbe potutoessere inventata dai suoi successivi seguaci, più “rispettabili”. Possiamoaddirittura chiederci se i vangeli non abbiano forse attenuato questoaspetto della sua pratica. Tuttavia gli elementi dei quali disponiamomostrano in modo sufficientemente chiaro che Gesù ebbe quella che è chiamata“compagnia a tavola” con i peccatori. “Quest’uomo – dissero – intrattiene69 ipeccatori e fa festa con loro” (Lc 15:2*). “Mentre Gesù era a tavola [acena] in casa di lui, molti pubblicani e peccatori erano anch’essi a tavolacon lui e con i suoi discepoli; poiché ce n’erano molti che lo seguivano”(Mc 2:15,* si confronti con Mt 9:10; Lc 5:29). “E voi dite: «Ecco unmangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori!»” (Lc 7:34 = Mt11:19). Gesù intratteneva i peccatori in casa sua. Siamo stati portati adinterpretare in modo troppo letterale l’affermazione secondo cui “il figliodell’uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8:20 = Lc 9:58). Gesù viaggiòmolto e quindi dovette dormire sul ciglio della strada o in casa degliamici, ma aveva una casa a Cafarnao, forse in una casa che divideva conPietro, Andrea e le loro famiglie (Mc 1:21, 29, 35; 2:1-2; Mt 4:13). Ilriferimento a casa sua in Mc 2:15 può indicare la casa di Levi, come lointerpretò Luca (5:29), ma si è affermato, in modo plausibile, che quellafosse la casa di Gesù.70 Inoltre è difficile capire come Gesù possa esserestato accusato di intrattenere i peccatori (Lc 15:2) se non avevaun’abitazione in cui farlo. Il fatto che gli ospiti siano stati invitati eche fossero sdraiati a tavola indica che i pasti di cui si parla nei vangelifossero banchetti o feste con cena. Nei normali pasti della famiglia in cuinon vi erano persone invitate le persone sedevano a tavola esattamente comefacciamo noi.71 A tavola ci si sdraiava solo ad un banchetto o a una festa.Non bisogna pensare che i banchetti o le feste fossero pasti molto elaboratie costosi (Lc 10:38-42). la compagnia e la conversazione importavano più delcibo. Tuttavia queste feste erano una caratteristica così comune della vita

67 Geza Vermes, Jesus the Jew, pp. 72-78.

68 Cf. Edward Schillebeeckx, Jesus: An Experiment in Christology, p 95.

69 La parola greca prosdechetai è meglio tradotta in “intrattiene”. Si veda EtaLinnemann, Jesus of the Parables, p. 69.

70 E. Lohmeyer, Das Evangelium des Markus, Gottingen 1967, p. 55; Joachim Jeremias, NewTestament Theology, p. 115.

71 Jeremias, p. 115 e The Eucharistic Words of Jesus, pp. 20f.

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di Gesù che egli poté essere accusato di essere un beone e un mangione.Secondo Luca, Gesù una volta disse ai suoi ospiti di classe media di doverinvitare “i poveri, gli storpi, gli zoppi, i ciechi” invece di invitaresempre i suoi “amici, fratelli, parenti o vicini ricchi” (14:12-13).Possiamo ritenere che Gesù abbia fatto ciò che predicò, e che quindi fossesua abitudine intrattenere non solo gli esattori delle tasse e i peccatorima anche i mendicanti e i vagabondi. D’altro canto Gesù deve aver invitatoanche i farisei e altre persone “rispettabili” a cenare con lui. Se essi loinvitarono nelle loro case (Lc 7:36; 11:37; 14:1), egli deve senz’altro averricambiato invitandoli a volte a casa sua. Ma come avrebbero fatto i fariseie i mendicanti a stare alla stessa tavola? I farisei non avrebbero temuto diperdere il loro status accettando degli inviti a questi pasti? È questo checi fa chiedere se la parabola degli invitati (Lc 14:15-24) non sia stataforse su basata su veri eventi della vita di Gesù. Gli ospiti “rispettabili”iniziarono forse a presentare delle scuse quando furono invitati alla suatavola? Egli mandò i suoi discepoli “nelle strade e nelle vie della città”per far entrare “i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi” e addirittura“nelle grandi strade e lungo le siepi per spingere la gente a entrare”? Imendicanti, all’inizio, furono sicuramente riluttanti, e i peccatori ciavrebbero pensato due volte prima di invitare Gesù a casa loro. Per superarequeste usanze sociali radicate, Gesù a volte deve aver obbligato imendicanti a venire, ed essersi invitato a casa dei peccatori.Luca ha esemplificato quest’ultimo caso della sua storia di Zaccheo (19:1-10). Zaccheo non fu affatto povero nel senso economico del termine. Egli eral’esattore capo di Gerico, e questo gli aveva permesso di accumulare unanotevole ricchezza, ma egli restava un reietto per colpa della suaprofessione, e sarebbe stato considerato un peccatore. Nessuna persona“rispettabile” sarebbe entrata in casa sua o avrebbe cenato con lui. Gesù siinvita intenzionalmente a casa di quest’uomo – il più famoso peccatore diGerico. Ma non appena ebbero iniziato a capire Gesù, gli esattori delletasse e i peccatori, come gli ammalati e gli invalidi, avrebbero iniziato,come ci racconta Luca, a cercare la sua compagnia (15:1) e a invitarlo aipasti nelle loro case.Gesù stesso attribuì una grande importanza a questi incontri festivi. Avolte affittò una sala da pranzo in un ostello per celebrare insieme ai suoiseguaci. L’ultima cena fu sicuramente l’ultima di questo tipo di cene. Dopola sua morte, i suoi seguaci lo ricordarono continuando a spezzare insiemeil pane. È così che egli aveva desiderato essere ricordato – nel contesto diun pasto di festa. “Fate questo in memoria di me” (1 Cor 11:24, 25). Sarebbeimpossibile sopravvalutare l’impatto che questi pasti devono avere avuto suipoveri e sui peccatori. Accettandoli come amici e pari, Gesù aveva eliminatola loro vergogna, umiliazione e colpa. Mostrando loro che essi contavano perlui come persone, egli diede loro un senso di dignità e li liberò dalla loroschiavitù. Il contatto fisico che deve aver avuto con loro mentre eranosdraiati a tavola (si confronti con Gv 13:25) e che, ovviamente, non sisognò mai di non consentire (Lc 7:38-39) deve averli fatti sentire puri edaccettabili. Inoltre, siccome Gesù era considerato un uomo di Dio e unprofeta, essi avrebbero interpretato il suo gesto di amicizia come una loroapprovazione da parte di Dio. Ora erano accettati da Dio. Il loro peccato,la loro ignoranza e contaminazione erano stati ignorati, e non erano piùloro imputati. Spesso è stato evidenziato che la divisione della tavola coni peccatori da parte di Gesù fu un implicito perdono dei loro peccati.72 Percapirlo bisogna comprendere in che modo i peccati e il perdono eranoconsiderati in quei giorni. I peccati erano dei debiti con Dio (Mt 6:12;18:23-35). Questi debiti erano stati contratti in passato dalla persona odai suoi antenati in seguito a qualche trasgressione della legge. Letrasgressioni potevano essere state commesse intenzionalmente o per errore,come già abbiamo visto. Quindi si pensava che un ebreo illegittimo o dirazza mista vivesse in uno stato permanente di peccato o debito con Dio acausa della trasgressione commessa dai suoi antenati.Il perdono significava la cancellazione o remissione dei propri debiti con

72 Ad es., Jeremias, New Testament Theology, pp. 114-116.

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Dio. Perdonare, in greco, (aphiemi) significa rimettere, rilasciare oliberare. Perdonare una persona è liberarla dal dominio della sua storiapassata. Dio perdona ignorando il passato della persona ed eliminando leconseguenze attuali o future delle passate trasgressioni. Il gesto diamicizia di Gesù rese chiaro che questo era esattamente quello che egliaveva in mente. Egli ignorò il loro passato e ignorò di imputare loroalcunché. Egli li trattò come persone che non erano più, se mai lo eranostate, indebitate con Dio, e quindi non meritavano più il rifiuto e ilcastigo. Essi furono perdonati.Non era necessario che Gesù lo specificasse a parole più di quanto il padredel figliol prodigo dovesse dire a suo figlio, con molte parole, che loaveva perdonato. L’accoglienza ricevuta dal figlio e il grande banchettopreparato per lui dissero più di mille parole. Siccome la malattia era unadelle conseguenze del peccato, la guarigione giunse ad essere consideratauna delle conseguenze del perdono. La malattia era considerata un castigodel peccato, il prezzo che si poteva dover pagare per il proprio debitoverso Dio. Se un uomo era liberato dalla malattia, questo mostrava che ilproprio debito doveva essere stato eliminato.73 Quindi secondo un frammentodei Rotoli del Mar Morto Nabunai, re di Babilonia, poté dire: “Fui afflitto[da un’ulcera maligna] per sette anni, e un esorcista ebreo perdonò i mieipeccati”.74

La stessa idea è espressa chiaramente per il lettore nella storia evangelicadel paralitico (Mc 2:1-12 par). Se l’uomo può alzarsi e camminare, alloraquesto dimostra che i suoi peccati devono essere stati perdonati.Probabilmente egli soffriva di un complesso di colpa che aveva dato originead una paralisi psicosomatica del corpo. Quando Gesù gli ebbe assicurato chei suoi peccati erano stati perdonati, che non era in debito con Dio, il suosenso di colpa fatalistico fu eliminato ed egli fu nuovamente in grado dicamminare. Il dialogo tra Gesù e i Farisei in questa storia fu probabilmentecomposto da Marco o da un predicatore cristiano precedente. Lo scopo deldialogo fu quello di indicare che l guarigione può essere un segno o unaprova del perdono. Da questo non consegue che il motivo per cui Gesù guarìil paralitico fu quello di dimostrare la sua capacità di perdonare ilpeccato. Il motivo per cui egli guariva, come abbiamo visto, fu lacompassione. Anche il motivo per cui assicurò al paralitico il perdono fu lacompassione. Il potere di guarire, come abbiamo visto, fu il potere dellafede. Anche il potere di perdonare i peccati era il potere della fede. Sidice che le folle si siano meravigliate non perché questi poteri fosserostati conferiti a Gesù, ma perché questi poteri erano stati dati a degliesseri umani (Mt 9:8). Chi avesse avuto abbastanza fede avrebbe potuto farelo stesso. Questo punto è chiarito nella storia della peccatrice che lava ipiedi di Gesù. “ ‘I tuoi peccati sono perdonati’, dice Gesù... ‘La tua fedeti ha salvata, vai in pace’ ” (Lc 7:48, 50).Qui il dialogo è stato costruito per evidenziare che era stata la fede delladonna a permettere al perdono di Dio di avere effetto su di lei. Gesùl’aveva convinta che tutti i suoi debiti erano stati cancellati e che Dioora la accettava e la approvava. Nel momento in cui ella lo credette, ciòfece effetto e la sua vita fu trasformata. La fede di Gesù nel perdonoincondizionato di Dio aveva risvegliato in lei la stessa fede. Comeesattamente egli fece, non lo sappiamo. Deve averlo fatto con qualchesemplice gesto di amicizia e di accettazione – forse il semplice averlepermesso di lavargli i piedi con le sue lacrime. Egli non l’aveva respinta,come ci si attendeva che facessero i profeti (Lc 7:39). Non l’aveva punita,rimproverata o trattata da impura. Come il padre nella parabola del figliolprodigo, Gesù non aveva posto condizioni, requisiti, opere e obiettivi. Conun semplice gesto, ella era stata completamente liberata dal suo passato –gratuitamente e senza condizioni. Il risultato fu un tipo di guarigione osalvezza che ella visse come un sollievo, gioia, gratitudine e amore. “Isuoi peccati, i suoi molti peccati, devono esserle stati perdonati, o non

73 Vermes, p. 69.

74 Vermes, I Rotoli del Mar Morto, p. 229.

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avrebbe mostrato un così grande amore” [= gratitudine]75 (Lc 7:47). Il suoamore grato e la sua gioia incontrollabile furono un segno certo della sualiberazione dal peccato. La gioia, in realtà, fu il risultato piùcaratteristico di tutta l’attività di Gesù tra i poveri e gli oppressi. Ipasti che consumò con loro furono celebrazioni festive, feste. Gesù,ovviamente, aveva un modo per assicurarsi che la gente si divertisse durantequesti incontri. I Farisei ne furono scandalizzati. Gioire e celebrareinsieme ai peccatori era incomprensibilmente scandaloso (Lc 15:1). Essipoterono ritenere soltanto che egli fosse diventato un amante dei piaceri,“un mangione e un beone” (Lc 7:34). Per spiegare questa gioia e questacelebrazione ai Farisei Gesù raccontò tre parabole – la parabola dellapecora perduta, della moneta perduta e del figlio perduto (Lc 15:1-32).Il nocciolo di ognuna di queste parabole è che trovare o recuperare quelloche era stato perso (il perdono) è un motivo sufficientemente naturale pergioire e festeggiare. Non può esserci dubbio che Gesù sia stato una personaallegra e che la sua gioia, come la sua fede e la sua speranza, fossecontagiosa. Questa era concretamente la differenza più caratteristica edevidente tra Gesù e Giovanni. Come vedremo in seguito, Gesù festeggiavamentre Giovanni digiunava (Lc 7:31-34 par). Come ha detto moltoappropriatamente Schillebeeckx, il fatto che i discepoli di Gesù nondigiunassero testimonia “l’impossibilità esistenziale di essere tristi incompagnia di Gesù”.76

Il digiuno era un segno di tristezza e dolore. Semplicemente, non si digiunain compagnia dello sposo ad una festa di nozze (Mc 2:18-19 parr). I poveri,gli oppressi e tutti gli altri che non si attenevano eccessivamente alla“rispettabilità” ritennero la compagnia di Gesù un’esperienza liberatrice digioia pura. Egli li fece sentire al sicuro. Non era necessario temere glispiriti maligni, gli uomini cattivi o le tempeste sul lago. Non dovevanopreoccuparsi di come si sarebbero vestiti, di quel che avrebbero mangiato, odi ammalarsi. È interessante quanto spesso si dice che Gesù li abbiarassicurati ed incoraggiati con parole quali: “Non temete”, “Nonpreoccupatevi”, o “Gioite” (Mc 5:36; 6:50; Mt 6:25, 27, 28, 31, 34; 9:2, 22;10:19, 26, 28, 31; 14:27; Lc 12:32; Gv 16:33 e tutti i testi paralleli; sivedano anche Mc 4:19, 40; 10:49; Lc 10:41). Gesù non soltanto li guarì e liperdonò: egli dissipò anche i loro timori e li liberò dalle loropreoccupazioni. La sua stessa presenza li aveva liberati.

75 Si veda Jeremias, The Parables of Jesus, pp. 126-127, ove egli sostiene che qui amoresignifichi gratitudine.

76 Schillebeeckx, p. 201.

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PARTE TERZA

LA BUONA NOVELLA

Capitolo 6

Il “Regno” di Dio

Ci sono alcuni passi di Isaia che Gesù usò probabilmente per spiegare la suaopera di liberazione dei poveri e degli oppressi (Lc 4:16-21; 7:22 par; Mt10:7-8). Sembra che Luca abbia trovato nelle sue fonti una storia su Gesùche legge Isaia nella sinagoga di Nazareth. Egli prese questa storia e,inserendo uno dei passi di Isaia che descrivono in modo molto adattol’attività di Gesù, la mise all’inizio del ministero di Gesù, come una sortadi testo programmatico (Lc 4:16-21). Anche se Gesù non lesse davvero questotesto e lo commentò nella sinagoga, la valutazione di Luca dell’importanzadi questi tre passi per comprendere la pratica di Gesù è senz’altrocorretta. Devono essere rilevati tre passi di Isaia:In quel giorno, i sordi udranno le parole del libro e, liberatidall’oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno; gli umiliavranno abbondanza di gioia in Dio e i più poveri tra gli uomini esulterannonel Santo d’Israele (29:18-19).Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e saranno sturati gli orecchi deisordi; allora lo zoppo salterà come un cervo e la lingua del muto canterà digioia (35:5-6).Lo Spirito del Signore è su di me, perché il Signore mi ha unto per recareuna buona notizia agli umili; mi ha inviato per fasciare quelli che hanno ilcuore spezzato, per proclamare la libertà a quelli che sono schiavi,l’apertura del carcere ai prigionieri [o: per proclamare nuova vista aiciechi, per liberare gli oppressi] per proclamare l’anno di favore delSignore (61:1-2*).I sordi, i muti, i ciechi, gli zoppi, i poveri, quelli che hanno il cuorespezzato, i prigionieri e gli oppressi sono semplicemente modi diversi diindicare i poveri e gli oppressi. Ne consegue che i verbi di ognuna diqueste frasi sono semplicemente dei modi per descrivere l’azione che Diopromette in relazione ai poveri e agli oppressi. Quindi guarire, restituirela vista e l’udito, portare gioia, liberare, proclamare la libertà o ilfavore e portare la buona novella sono modi diversi di descrivere laliberazione. È particolarmente significativo che l’atto di proclamare oportare la buona novella sia stato interpretato come una forma diliberazione.La predicazione di Gesù deve essere compresa in questa luce. Essa facevaparte della sua attività o pratica di liberazione. Evangelizzare o portarela buona novella ai poveri significa liberarli con la parola pronunciata.Isaia e Gesù stesso fecero uso del verbo “evangelizzare” (euaggelizontai: Is40:9; 52:7; 61:1; Lc 7:22 par). Furono i primi cristiani ad usare per primiil nome “vangelo” o “buona novella” (euaggelion: ad es. Mc 1:1,14)77 comemodo per indicare il contenuto o il messaggio che Gesù proclamò ai poveri eagli oppressi. Definiamo qualcosa una “buona notizia” quando parla di unnuovo avvenimento, un evento accaduto di recente o un evento che siamo certiaccadrà nel prossimo futuro. Diciamo che si tratta di una “buona notizia”quando la notizia è ottimista ed incoraggiante, quando tende a renderefelici le persone. La buona novella per i poveri, quindi, significherà unanotizia che dà speranza ed incoraggiamento ai poveri.Il vangelo o buona novella che Gesù portò ai poveri e agli oppressi fu unaprofezia. Egli profetizzò un evento futuro che sarebbe stato una benedizioneper i poveri. Questo avvenimento non era semplicemente la venuta del “regno”

77 L’uso di euaggelion in Mc 1:15; 8:35; 10:29; 13:10 par; 14:9 par, è secondario. Cf.Joachim Jeremias, New Testament Theology, p. 134; Edward Schillebeeckx, Jesus, pp. 87-88.

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di Dio, ma la venuta del “regno” di Dio per i poveri e gli oppressi. “Vostroè il regno di Dio” (Lc 6:20). La profezia fondamentale di Gesù è contenutain quei passi del vangelo che chiamiamo beatitudini: Beati i poveri, perchéloro è il regno di Dio. Beati voi che avete fame ora, perché saretesoddisfatti. Beati voi che ora piangete perché riderete (Lc 6:20-21*) .È Luca ad aver conservato per noi la forma più originale della profezia. Quiessa è ancora rivolta ai contemporanei di Gesù: voi che siete poveri,affamati e miseri. Matteo ha adattato la profezia alle necessità dei suoilettori che in realtà non erano poveri, affamati e miseri. Egli ha esteso lebenedizioni e le promesse a chi è povero di cuore o in spirito con i poveri,chi ha fame e sete di giustizia, chi imita la mitezza o l’umiltà dei poveri,chi è anche triste e depresso, chi è perseguitato per la sua fede in Gesù;concretamente, chi è davvero virtuoso (5:1-12).Matteo ha trasformato una profezia in una esortazione. Se l’attività di Gesùrisvegliò nei poveri grandi speranze per il futuro, le sue parole profetichedevono aver risvegliato speranze ancor più grandi. Ma queste speranze, inorigine, non avevano nulla a che vedere con il paradiso – almeno, non comeluogo di felicità e ricompense nell’aldilà. Il paradiso, al tempo di Gesù,era un sinonimo di Dio.78 Il “regno” dei cieli significa il “regno” di Dio.Avere delle ricompense o dei tesori nei cieli significa essere nei libribuoni di Dio. Letteralmente il paradiso era il cielo, il luogo in cuidimorano Dio e tutti gli altri spiriti. Non si pensava che gli uominiandassero il paradiso dopo la morte. Tutti i defunti andavano nello sheol,ossia negli inferi o nella tomba. Perfino coloro che credevano nellericompense e nei castighi nella vita dopo la morte (prima della resurrezionegenerale) li raffiguravano come qualcosa che accadeva in due diversi settoridello sheol. I virtuosi erano nel grembo di Abramo nello sheol, e un grandebaratro li divideva dai malvagi, che erano in un’altra parte dello sheol (siconfronti Lc 16:23-26).La fede cristiana nel paradiso nacque dopo la morte di Gesù, con l’idea cheegli era stato assunto in cielo o esaltato alla destra di Dio. Ma la buonanovella del “regno” di Dio era una notizia su un futuro stato di cose sullaTerra in cui i poveri non sarebbero più stati poveri, gli affamati sarebberostati saziati e gli oppressi non sarebbero più stati miseri. Dire “Venga iltuo regno” è come dire “Sia fatta la Tua volontà come in terra così incielo” (Mt 6:10 par). Molti cristiani sono stati sviati per secoli sullanatura del “regno” di Dio dalla famosa traduzione errata di Lc 17:21: “Ilregno di Dio è dentro di voi”. Oggi tutti gli studiosi e i traduttori sericoncordano che il testo vada letto così: “Il regno di Dio è tra di voi o inmezzo a voi”.La parola greca entos può significare “dentro” o “in mezzo”, ma nel presentecontesto tradurla in “dentro” significherebbe che, in risposta alla domandadei Farisei riguardante il momento in cui il “regno” di Dio sarebbe giunto(17:20), Gesù abbia loro risposto che il “regno” di Dio era dentro di loro!Questo contraddirebbe qualsiasi altra cosa Gesù abbia mai detto a propositodel “regno” o dei Farisei. Inoltre, poiché ogni altro riferimento al “regno”presuppone che esso debba ancora venire,79 e siccome il verbo, in ogni altrafrase in questo passo (17:20-37) è al futuro, questo versetto deve essereinterpretato con il significato che, un giorno, essi scopriranno che il“regno” di Dio è comparso improvvisamente, e in modo inatteso, tra di loro.80

Il “regno” di Dio, come ogni altro regno, non può essere dentro ad unapersona, è qualcosa in cui una persona può vivere. Da qualche parte sullosfondo dell’uso che Gesù fa del termine “regno di Dio” c’è un’immagineillustrata. Egli parla di persone che entrano, o non entrano, nel “regno”(Mc 9:47; 10:15, 23, 24, 25 parr; Mt 5:20; 7:21; 18:3; 21:31; 23:13; Gv3:5). Essi possono sedersi, mangiare e bere in esso (Mc 14:25; Mt 8:11— 12par; Lc 22:30). Il “regno” ha una porta o un cancello (Mt 7:13, 14; Lc78 Jeremias, p. 9.

79 Si veda la ricerca approfondita di Richard D. Hiers in The Kingdom of God in theSynoptic Tradition.

80 Jeremias, pp. 100-101.

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13:24) su cui si può bussare (Mt 7:7-8 par; 25:10-12 par). Ha anche dellechiavi (Mt 16:19; Lc 11:52) e può essere chiuso (Mt 23:13; Lc 13:25).L’immagine figurativa corrispondente a questa descrizione è palesementequella di una casa o di una città cinta da mura.81 Questo è confermatoulteriormente dal fatto che il “regno” di Satana, che è opposto al “regno”di Dio, è indicato esplicitamente come una casa e una città. “Come puòSatana scacciare Satana? Se un regno è diviso in parti contrarie, quel regnonon può” (Mc 3:23-25 RSV). “Ma nessuno può addentrarsi nella casa di un uomoforte e rubare i suoi averi...” (Mc 3:27). “Ogni regno diviso contro sestesso va in rovina, e ogni casa o città divisa contro se stessa non potràreggere (Mt 12:25 RSV).La figura più comune nelle parabole è il padrone di casa, che compare insette parabole diverse.82 E in non meno di sei parabole, ciò che avvienenella casa è un pasto di festa.83 C’è anche un parallelismo tra il “regno” eil tempio.84 Il tempio che Gesù costruirà in tre giorni (cioè presto) non èun tempio costruito da mani umane (Mc 14:58), è una nuova comunità. Lascoperta dei Rotoli del Mar Morto ha rivelato che la comunità di Qumran siconsiderava un nuovo tempio, una nuova casa di Dio.85 Questo deve esseresicuramente anche il significato della promessa profetica di Gesù dicostruire un nuovo tempio. Il fatto che il suo modo di parlare del “regno”sia basato su una immagine figurativa di una casa, una città o una comunitànon lascia dubbio su ciò che egli ebbe in mente: una società di persone, conuna struttura politica, qui sulla terra. Un “regno” è un concettoassolutamente politico. È una società in cui la struttura politica èmonarchica, ossia è capeggiata e governata da un re. Nulla di ciò che Gesùdisse porterebbe a pensare che egli possa aver usato questo termine in unsenso non politico. Il testo spesso citato “Il mio regno non è di questomondo” (Gv 18:36) non significa che il “regno” non sia, o non sarà, inquesto mondo o su questa terra. La frase è di Giovanni e deve essereinterpretata nei termini dell’uso che Giovanni fa delle parole.In Giovanni 17:11 14-16, quando si dice che Gesù e i suoi discepoli sono nelmondo ma non del mondo, il significato è abbastanza chiaro. Anche se vivononel mondo non sono mondani, non condividono gli attuali valori e modelli delmondo. Se, nello stesso vangelo, si dice anche che il “regno” non è diquesto mondo, dobbiamo interpretare questa espressione nello stesso modo. Ivalori del “regno” sono diversi dai – ed opposti ai – valori di questomondo. Non c’è motivo di pensare che significhi che il “regno” fluttuerànell’aria da qualche parte sopra la Terra, o che esso sarà una entitàastratta priva di una tangibile struttura sociale e politica. Il fatto cheesso sia definito il “regno” di Dio non lo rende assolutamente menopolitico; l’espressione lo oppone semplicemente al “regno” umano o, ancorameglio, al “regno” di Satana.Per come Gesù la vedeva, Satana governava il mondo. Era una generazioneperversa e peccatrice (Mc 8:38 parr; 9:19 parr; Mt 12:39— 45 par; 23:33-36 esi confronti con Atti 2:40), un mondo nel quale il male regnava supremo.Questo era evidente non solo nelle sofferenze dei poveri e degli oppressi enel potere che gli spiriti maligni avevano su di essi; era evidente anchenell’ipocrisia, nella crudeltà e nella cecità dei capi religiosi (gli scribie i Farisei) e nell’avarizia spietata e nell’oppressione delle classidominanti. Questo non valeva soltanto per la società nella quale Gesùviveva; accadeva in tutti i regni del mondo, tutti gli stati e le potenze.Essi erano tutti nelle mani di Satana, che li cedette agli uomini perché ligovernassero, ammesso che adorassero Satana e gli obbedissero (Mt 4:8-1081 S. Aalen, “‘Reign’ and ‘House’ in the Kingdom of God in the Gospels” in New Testament

Studies (1962), 215-240; Gaston, pp. 231— 237. Per l’idea della basileia come regno opotere regnante si veda il capitolo 10, più avanti.

82 Lc 11:5-8; 12:42-46 par; 16:1-8; 17:7-10; Mt 20:1-15; 21:2831; 25:14-30.

83 Lc 11:15-32; 12:36-38; 14:7-10; Mt 22:1-10 par; 22:11-13; 25:1-12.

84 E. Lohmeyer, Kultus und Evangelium, Gottingen, 1942, pp. 7273.

85 Q Flor 1:1-13; IQS 5:5-7; 8:1-10; 9:3-6.

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par). Essi adoravano Satana governando in modo da servire gli obiettivi delmale. Satana è uno spirito che regna in modo indiretto e invisibile. Cesare,Erode, Caifa, i sommi sacerdoti, gli anziani, gli scribi e i capi deiFarisei furono i burattini di Satana.Gesù condannò tutte le strutture politiche e sociali del mondo dei suoigiorni. Erano tutte maligne. Appartenevano tutte a Satana. Quando il “regno”di Dio verrà, Dio sostituirà Satana. Dio governerà sull’intera comunità delgenere umano, e conferirà il “regno, o il potere di governo,86 a coloro cheserviranno gli obiettivi di Dio nella società. Tutto il male sarà eliminatoe tutti gli uomini saranno colmati dello Spirito di Dio.La differenza è tra una comunità di uomini nella quale il male regna supremoed una comunità di uomini nella quale il bene regna supremo. È una questionedi potere e di strutture di potere. Oggi possono esserci molte persone buoneal mondo, ma il male prevale ancora, Satana è ancora al potere. Gesùconsiderò la propria attività liberatrice come una sorta di lotta di poterecontro Satana, una guerra contro il potere del male in tutte le suesembianze e forme. La sua attività guaritrice fu una sorta di furto nellacasa o “regno” di Satana (Mc 3:27 parr). Questo fu possibile perché eraall’opera qualcosa più forte di Satana. In ultima analisi, il bene è piùpotente del male. Gesù era convinto che il “regno” di Dio, alla fine,avrebbe trionfato sul “regno” di Satana e sostituito quel “regno” qui sullaterra. Che dire, allora, della profezia formulata da Giovanni e Gesù su unacatastrofe senza precedenti? Gesù si aspettava che il “regno” di Diogiungesse dopo la grande catastrofe o invece della catastrofe, come comealternativa incoraggiante?Dobbiamo capire di più su quel che questo “regno” comporta prima di poterazzardare una risposta a questa domanda. Il nocciolo della questione è ilsignificato concreto e pratico del bene e del male. La misuradell’intuizione di Gesù è la misura della sua interpretazione dellestrutture del male nella società e della sua interpretazione dei valori cheavrebbero strutturato il “regno” di Dio. In che modo i valori del “regno” diDio differiscono da quelli del “regno” di Satana?

86 Si veda capitolo 10, p. 83.

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Capitolo 7

Il “Regno” e il Denaro

La ricerca della ricchezza è diametralmente opposta alla ricerca di Dio odel “regno” di Dio. Mammona e Dio sono come due padroni. Se ami e servil’uno devi necessariamente rifiutare l’altro (Mt 6:24 par; si confronti conMc 4:19 parr). Il compromesso non è possibile. I detti di Gesù sul denaro esugli averi sono spesso considerati tra i più “duri” nei vangeli. La maggiorparte dei Cristiani tende a stemperarli. L’affermazione più sorprendente sul“regno” di Dio non è che fosse vicino, ma che esso sarebbe stato il “regno”dei poveri, e che i ricchi, finché restano ricchi, non avrebbero preso partead esso (Lc 6:20-26). È impossibile per un uomo ricco entrate nel “regno”quanto lo sarebbe per un cammello (o è una corda da pescatore?)87 essereinfilato nella cruna di un ago (Mc 10:25 parr). Marco ci dice che perfino idiscepoli di Gesù furono stupiti da questo (10:24, 26).Che tipo di “regno” sarà? “In quel caso – si dissero – chi può esseresalvato?”. Gesù li osservò. “Per gli uomini – disse – è impossibile, ma nonper Dio: perché ogni cosa è possibile per Dio” (Mc 10:26-27). In altreparole ci sarebbe voluto un miracolo per far entrare i ricchi nel “regno” diDio. E il miracolo non sarebbe stato farli entrare con tutta la lororicchezza: sarebbe stato farli rinunciare a tutta la loro ricchezza così cheavessero potuto entrare in un “regno” dei poveri. Questo è quel che fuchiesto al giovane ricco di fare nella storia del vangelo (Mc 10:17-22parr). Però, poiché aveva troppo poca fede nel “regno” di Dio e si basavaeccessivamente sulla sicurezza economica, il miracolo non avvenne. Il poteredi Dio non riuscì ad agire in lui per ottenere l’impossibile.Non ci sarà posto nel “regno” di Dio per i ricchi. Là non ci sarannoricompense e consolazioni per loro (Lc 6:24-26). Nella parabola del ricco edel mendicante Lazzaro non viene fornita alcuna altra ragione per cui ilricco debba essere escluso in modo così drammatico da tutte le ricompense,se non che egli era ricco e non condivise la sua ricchezza con il mendicante(Lc 16:19-31). Questo è anche tutto ciò su cui il ricco vuole ammonire isuoi fratelli. Ma chi ci crederebbe? Ne consegue che impostare il propriocuore sul “regno” di Dio e aderire ai suoi valori comporta la vendita ditutti i propri averi (Mt 6:19-21; Lc 12:33-34; 14:33).Gesù si aspettava che i suoi seguaci abbandonassero ogni cosa: la casa, lafamiglia, le terre, le barche e le reti (Mc 1:18, 20 par; 10:28-30 parr; Lc5:11). Egli li avverte dei bisogno di sedersi e, per prima cosa, calcolarela spesa (Lc 14:28-33). Qui viene richiesto qualcosa di più del fare delleelemosine. Gesù chiede una condivisione totale e generale di tutti gliaveri. Egli cercò di educare gli uomini ad un distacco e ad unaspensieratezza in riferimento al denaro e agli averi. Essi non dovevanopreoccuparsi di quello che avrebbero mangiato o cosa avrebbero indossato (Mt6:25-33 par).“A chi ti percuote su una guancia, porgigli anche l'altra; e a chi ti toglieil mantello non impedire di prenderti anche la tunica. Da’ a chiunque tichiede; e a chi ti toglie il tuo, non glielo ridomandare... Prestate senzasperarne nulla” (Lc 6:29-30, 35).“Quando fai un convito, chiama poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato,perché non hanno modo di contraccambiare” (Lc 14:13-14). Ma il miglioreesempio dei tentativi fatti da Gesù di educare gli uomini a condividerequello che avevano fu il miracolo dei pani e dei pesci (Mc 6:35-44 parr). LaChiesa delle origini e tutti gli evangelisti hanno interpretato questoepisodio come un miracolo di moltiplicazione, anche se nessuno di essi lodice mai in modo esplicito. Il modo usuale di attirare l’attenzione su unmiracolo è dire che gli uomini furono sbalorditi, stupiti o esterrefatti. Inquesto caso non ci viene detto che qualcuno rimase sbalordito, stupito oesterrefatto: ci viene detto che i discepoli non capirono (Mc 6:52; 8:17-18,

87 Ma si veda Joachim Jeremias, The Parables of Jesus, p. 195.

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21).88

L’evento ha un significato più profondo. Ma il fatto in sé non fu unmiracolo di moltiplicazione: fu un non comune esempio di condivisione. Gesùpredicava ad una grande folla in un luogo isolato. Era il momento difermarsi un attimo per mangiare. Qualcuno sicuramente aveva portato delcibo, altri no. Egli e i suoi discepoli avevano cinque pagnotte e due pesci,ma suggerirono di dire agli uomini di andare a “comprarsi qualcosa damangiare”. Gesù dice: “No, date loro voi stessi qualcosa da mangiare”. Essiprotestano, ma lui dice agli uomini di sedersi in gruppi di cinquanta eprendere il pane e i pesci. Dice ai suoi discepoli di “condividerli”. Ora, oGesù disse agli altri che avevano portato del cibo di fare la stessa cosanel loro gruppo di cinquanta oppure essi, vedendo Gesù e i suoi discepolicondividere il loro cibo, iniziarono di propria iniziativa ad aprire ipropri cestini e condividerne il contenuto. Il “miracolo” fu che così tantepersone avessero improvvisamente smesso di essere possessive riguardo alloro cibo e avessero iniziato a condividere, solo per scoprire che c’era piùche a sufficienza per sostentarsi. Ci viene detto che ci furono dodici cestedi avanzi. Le cose tendono a “moltiplicarsi” quando sono condivise. La primacomunità cristiana di Gerusalemme fece la stessa scoperta quando i suoimembri cercarono di condividere i loro averi.Luca può averci dato un’immagine in qualche modo idealizzata di questacomunità. Tuttavia, anche questa sarebbe stata un’ottima testimonianza delmodo in i primi Cristiani interpretarono le intenzioni di Gesù. “Tuttiquelli che credevano stavano insieme e avevano ogni cosa in comune;vendevano le proprietà e i beni, e li distribuivano a tutti, secondo ilbisogno di ciascuno... prendevano il loro cibo insieme, con gioia esemplicità di cuore” (Atti 2:44-46*). Questo non significa che vendesseroproprio tutto quello che possedevano. Essi devono aver tenuto almeno i loroabiti, i letti, gli utensili per cucinare, le abitazioni e i mobili. Ilpunto era che “Non vi era chi dicesse [o dichiarasse] sua alcuna delle coseche possedeva, ma tutto era in comune tra di loro” (Atti 4:32*). Cosavendettero, allora? “Tutti quelli che possedevano poderi o case livendevano, portavano l’importo delle cose vendute, e lo deponevano ai piedidegli apostoli; poi, veniva distribuito a ciascuno, secondo il bisogno”(Atti 4:34-35). È ovvio che essi non vendettero le case nelle qualivivevano. Non vivessero tutti sotto un solo tetto. Ci viene detto che siincontravano nella casa di uno o dell’altro (Atti 2:46).Ciò che essi vendettero devono essere state le case che avevano affittato adaltri. In altre parole vendettero le loro proprietà immobiliari, il lorocapitale o gli investimenti. Questi erano i loro averi, il sovrappiù,l’eccedenza della quale non avevano veramente bisogno. Abbiamo un altroesempio di questo nel vangelo di Luca. Quando Zaccheo si converte cede metàdi quello che possiede e inizia a ripagare il quadruplo della somma a coloroche egli ha truffato (19:8). Questo è quel che significa vendere tutti ipropri beni: rinunciare al sovrappiù e non considerare nulla di propriaesclusiva proprietà. Il risultato sarà sempre che “Non c’era nessunbisognoso tra di loro” (Atti 4:34).Gesù non idealizzò la povertà. Al contrario, si preoccupò di accertarsi chenessuno fosse bisognoso, e fu a questo scopo che combatté la possessività eincoraggiò gli uomini a disinteressarsi della ricchezza e a condividere iloro beni. Ma questo è possibile solo in una comunità. Gesù osò sperare inun “regno” o comunità mondiale che sarebbe stato strutturato in modo taleche non ci sarebbero stati né poveri né ricchi. Ancora una volta, qui la suamotivazione fu la sconfinata compassione per i poveri e gli oppressi. Quandochiede al giovane ricco di vendere ogni cosa non lo fa per qualche rigorosoed astratto principio etico. Lo fa per la sua compassione per i poveri.Questo spicca in modo molto chiaro nella versione della stessa storia che civiene trasmessa nel Vangelo degli Ebrei.Dopo la prima parte della storia, che ci è familiare, l'autore continua: Mail ricco iniziò a grattarsi la testa, e la cosa non gli piacque. E ilSignore gli disse: “Come puoi dire: «Ho rispettato la legge e i profeti»?

88 Charles H. Dodd, The Founder of Christianity, p. 132.

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Perché è scritto nella legge: «Amerai il tuo prossimo come te stesso», edecco, molti dei tuoi fratelli, figli di Abramo, sono vestiti di sudiciume,muoiono di fame, e la tua casa è piena di molte belle cose, e nulla di esseva a loro”.89

Secondo J. Jeremias questo detto di Gesù rivendica la storicità quanto idetti medi nei quattro vangeli.90 Ne consegue che una società strutturata inmodo tale che alcuni soffrano per la loro povertà e altri hanno più di ciòdi cui hanno bisogno fa parte del “regno” di Satana. Quello che Gesù insegnòdel tipo di “virtù” che non prende seriamente questo atteggiamento neiconfronti del denaro e tenta di scendere ad un compromesso tra Dio e Mammonapuò essere letto come seguito dell’affermazione fatta su Dio e Mammona inLuca:I farisei, che amavano il denaro, udivano tutte queste cose e si beffavanodi lui. Ed egli disse loro: “Voi vi proclamate giusti davanti agli uomini;ma Dio conosce i vostri cuori; perché quello che è eccelso tra gli uomini, èabominevole davanti a Dio” (16:14-15).

89 Origene, In Matthaeum 15:14; Jeremias, Unknown Sayings of Jesus, p. 34.

90 Jeremias, p. 33.

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Capitolo 8

“Il Regno e il Prestigio”

Nella società in cui Gesù visse il denaro era il secondo più importantevalore. Il valore dominante era il prestigio. “Nel mondo orientale, fino adoggi, il prestigio è più importante di ogni altro fattore, e gli uominipreferiscono suicidarsi piuttosto che rinunciarvi”.91 La società erastrutturata in modo tale che ognuno occupava una posizione sulla scalasociale. Nulla veniva detto o fatto senza prendere in considerazione lostatus o il rango della persona interessata. Un insulto da una personasuperiore era accettato, addirittura atteso! Un insulto da un pari sarebbestato così umiliante da rendere la vita impossibile. Un insulto da uninferiore, semplicemente, non sarebbe stato tollerato. Un costantericonoscimento dello status era essenziale. Le persone vivevano dell’onore edel rispetto che gli altri davano loro. Lo status e il prestigio eranobasati sulla discendenza, la ricchezza, l’autorità, l’istruzione e la virtù.Essi erano simboleggiati e mantenuti dal modo di vestire e in cui ci sirivolgeva alle persone, dalle persone socialmente frequentate e cheinvitavano altri alla propria tavola, e vicino alle quali si era messi ad unbanchetto o quando si sedeva nella sinagoga. Lo status era parte tanto dellareligione quanto lo era della vita sociale. Anche i più rigorosi e fanaticidegli ebrei pii, gli uomini di Qumra, si basavano sul loro status e rangoentro la loro comunità religiosa. I Rotoli del Mar Morto abbondano diriferimenti all’importanza del conoscere il proprio posto nella gerarchia –dettagliata in modo preciso – della comunità.92 I diritti e i privilegi eranoripartiti secondo il rango, e le persone che non avevano alcuno status nellasocietà – i matti, i nevrotici, i ciechi, gli storpi, i sordi, i mutilati ei minori – erano completamente esclusi.93 La vita, in questa comunità, erabasata esplicitamente con la regola secondo la quale “un uomo sarà onoratopiù di un altro... se questo [il suo status e la sua virtù] è grande opiccolo”.94

Gesù contraddisse completamente tutto questo. Lo considerò una dellestrutture fondamentali del male nel mondo, e osò sperare in un “regno” nelquale queste distinzioni non avrebbero avuto nessun significato. “Beati voi,quando gli uomini vi odieranno, e quando vi scacceranno da loro, e viinsulteranno e metteranno al bando il vostro nome come malvagio...” ( Lc6:22*). “Guai a voi quando tutti gli uomini diranno bene di voi...” ( Lc6:26*). La critica rivolta da Gesù agli scribi e ai Farisei non fu in primoluogo una critica del loro insegnamento, ma una critica della loro pratica(Mt 23:1-3) — in pratica essi vivevano per il prestigio e l’ammirazione lorotributate dagli altri. “Tutte le loro opere le fanno per essere osservatidagli uomini; infatti allargano le loro filatterie e allungano le frange deimantelli; amano i primi posti nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe, isaluti nelle piazze ed essere chiamati dalla gente: «Rabbì!»” (Mt 23:5-7; siconfronti con Mc 12:38-40 par; Lc 11:43; 14:7-11).Lo stesso si può dire delle loro pratiche religiose dell’elemosina, dellapreghiera e del digiuno. Queste cose vengono fatte in modo ostentato, “perottenere l’ammirazione degli uomini” (Mt 6:1-6; 16-18). Per Gesù questa nonè assolutamente virtù, è ipocrisia (Mt 6:2, 5, 16). Gli scribi e i Fariseisono come sepolcri imbiancati, essi lavano solo l’esterno della coppa e delpiatto, sembrano uomini buoni e onesti ma dentro sono pieni di ipocrisia (Mt23:27-28). Essi, esternamente, rispettano la legge, ma il motivo che li

91 J. Duncan M. Derrett, Law in the New Testament, p. 40; si vedano anche pp. 42, 73.

92 IQS 2:19-25; 5:23-24; 6:8-13; lQSa 1:16, 23; 2:11-16; 1QM 2:1-14. Per adeguatiriferimenti si veda Geza Vermes, Dead Sea Scrolls, pp. 74, 80, 81, 119, 120, 121, 125e il suo commento a pag. 28.

93 IQS 15:15; lQSa 2:4-10 o si veda Vermes, pp. 109, 120.

94 lQSa 1:16 o Vermes, p. 119.

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anima è il prestigio (si veda anche Lc 18:9-14).95 Gli ipocriti, come iricchi, hanno già avuto la loro ricompensa: l’ammirazione degli uomini (siconfronti Mt 6:1-6, 16-18 con Lc 6:20-26). Non ci sarà posto per loro nel“regno” (Mt 5:20). Infatti chi si preoccupa del prestigio o della“grandezza” non è in sintonia con i valori del “regno” così come fuimmaginato da Gesù. I discepoli vennero da Gesù e dissero: “«Chi è dunque ilpiù grande nel regno dei cieli?». Ed egli, chiamato a sé un bambino, lo posein mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non cambiate e non diventatecome i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Chi pertanto si faràpiccolo come questo bambino, sarà lui il più grande nel regno dei cieli»”(Mt 18:1-4). Il bambino è una parabola vivente della “piccolezza”, ilcontrario della grandezza, dello status e del prestigio. I bambini, inquella società, non avevano affatto uno status – non contavano alcunché.Ma per Gesù anche loro sono persone e contano. Per quel motivò è indignatoquando i suoi discepoli scacciano i bambini. Egli li chiama a sé, liabbraccia e li benedice imponendo le sue mani sulle loro teste. “Perché –dice – il regno di Dio è per chi assomiglia a loro” (Mc 10:14). Sarà un“regno” di “bambini”, o meglio di coloro che sono come bambini, perché nellasocietà sono insignificanti; non hanno uno status e il prestigio. Non vi èalcuna prova a sostegno della popolare opinione che l’immagine del bambinopiccolo sia un’immagine di innocenza, specialmente quando questo, inpratica, equivale, in pratica, all’immaturità o irresponsabilità. Gesù eradecisamente consapevole dell’immatura ed irresponsabile perversione deibimbi a volte, e usa proprio questa caratteristica in una parabola nellaquale sono i Farisei ad essere paragonati ai bambini – la parabola deibambini nel mercato, che rifiutano di giocare sia al gioco allegro deimatrimoni o al gioco triste dei funerali (Mt 11:16-17 par).Ma il bimbo piccolo che è un’immagine del “regno” è un simbolo di quantioccupano i posti più bassi nella società, i poveri e gli oppressi, imendicanti, le prostitute e gli esattori delle tasse — le persone che Gesùdefinì spesso i piccoli o gli ultimi.96 La preoccupazione di Gesù fu chequesti piccoli non fossero disprezzati o trattati come inferiori.“Guardatevi dal disprezzare uno di questi piccoli” (Mt 18:10). Egli benconosceva i loro sentimenti di vergogna ed inferiorità, e per la suacompassione essi avevano, ai suoi occhi, un valore straordinariamentegrande.97 Per quanto lo riguardava, essi non avevano nulla da temere. Il“regno” apparteneva a loro. “Non temere, piccolo gregge; perché al Padrevostro è piaciuto di darvi il regno” (Lc 12:32).98 Gli ultimi nel “regno”,ossia i piccoli,99 sono più grandi del più grande uomo nato da donna,Giovanni il Battista (Mt 11:11 par), che è un modo paradossale di dire cheperfino il prestigio di Giovanni il Battista, di per sé, non è un valore.Quel che è ancora più straordinario è il contrasto che Gesù fa tra i “bimbi”e i saggi o gli intelligenti (Mt 11:25 par). Gli scribi godevano di unimmenso onore e prestigio in quella società a causa della loro istruzione ecultura. Tutti si rivolgevano ad essi per la loro saggezza ed intelligenza.I “bimbi” o “infanti” erano l’immagine che Gesù usava per i non istruiti egli ignoranti.100

95 La Chiesa delle origini indubbiamente esagerò l’opposizione di Gesù ai Farisei a causadel suo conflitto con essi. Questo è riflesso nei vangeli, specialmente in Matteo.Tuttavia l’indignazione di Gesù per l’ipocrisia come tale difficilmente può esserestata inventata dalla Chiesa delle origini.

96 La dotta e imparziale monografia di S. Legasse ora l’ha determinato senza alcunpossibile dubbio —Jesus et L'Enfant.

97 Legasse, p. 106.

98 Legasse (p. 118) ha dimostrato che il “piccolo gregge” indicava in origine i poveri ole classi inferiori. Il fatto che i primi cristiani ritenessero di essere i piccoli(ad es. Mt 10:42), esattamente come ritenevano di essere i poveri in spirito (Mt 5:3),conferma il fatto che Gesù deve aver detto che il “regno” appartiene solo ai poveri,agli oppressi e a coloro che si identificano con i poveri e gli oppressi – i piccoli.

99 Legasse, p. 118.

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Egli, perciò, disse che la verità a proposito del “regno” è stata rivelataai non istruiti e agli ignoranti – e da loro compresa – invece che ai coltie ai saggi. Per questo Gesù ringrazia Dio. Questo, però, non significa chesolo quelli che appartenevano ad una categoria specifica nella societàsarebbero stati accolti nel “regno”. Chiunque può entrare se è disponibile acambiare e a diventare come questi piccoli (Mt 18:3), a farsi piccolo comeun bambino piccolo (Mt 18:4). O, come lo esprime Marco nello stessocontesto, “sarà l’ultimo di tutti e il servitore di tutti” (9:35). Questo,concretamente, significa che è necessario abbandonare ogni preoccupazioneper ogni sorta di status e prestigio così come ogni interesse nei confrontidel denaro e degli averi. E proprio come si doveva essere disposti a venderetutti i propri beni, così si doveva essere disposti ad occupare l’ultimoposto nella società – di più, si doveva essere disposti ad essere i servi ditutti.Quello che Gesù nutriva per i poveri e gli oppressi non era un amoreesclusivo, era un’indicazione del fatto che ciò che egli valorizzava eral’umanità, non lo status e il prestigio. I poveri non avevano nulla daoffrire tranne la loro umanità e le loro sofferenze. Gesù si preoccupavaanche della classe media e di quella superiore – non perché fossero composteda persone particolarmente importanti, ma perché anch’essi erano persone.Egli volle che essi si spogliassero dei loro falsi valori, della lororicchezza e del prestigio, per diventare persone vere. Gesù volle sostituireil valore “terreno” del prestigio con il valore “divino” delle persone inquanto persone. Un’ulteriore indicazione del modo in cui Gesù dava valorealle persone in quanto persone fu il suo atteggiamento nei confronti delledonne. Nella società del suo tempo, “essere nata femmina era uno svantaggio,il segno, forse, che le preghiere di una madre in attesa o di un padre nonavevano ricevuto una risposta”.101 Le donne, come i bambini, non contavanoniente. Non potevano diventare discepoli di uno scriba o membri dei“partiti” dei Sadducei, Farisei, Esseni o Zeloti. Il ruolo della donna eralimitato al sesso e alla maternità.Gesù si distinse rispetto ai suoi contemporanei (e rispetto alla maggiorparte dei suoi successivi seguaci) in quanto attribuì alle donne esattamentelo stesso valore e la stessa dignità proprie degli uomini. Egli mostrò perla vedova di Nain, per la suocera di Simone, per la donna colpita daemorragia e la donna cananea la stessa preoccupazione che evidenziò versoqualsiasi altro bisognoso. Egli annoverava delle donne tra i suoi amici e isuoi seguaci (Mc 15:40-41 parr; Lc 7:36-50; 8:2-3; Gv 11:5; 20:11-18). Esseerano le sue sorelle e le sue madri (Mc 3:3435 parr). Per quanto loriguardava, Maria di Betania aveva scelto la parte migliore quando sedetteai suoi piedi come discepola, invece di lasciare tale ruolo agli uomini eaiutare Marta in cucina (Lc 10:38-42). Gesù non si fece scrupoli afrequentare le prostitute (Lc 7:36-50 e si confronti Mt 11:19 con 21:31, 32)o le donne non accompagnate (Jn 4:7-27; 8:10-11).Le persone erano persone, e questo è ciò che importava. “Chi si umilia saràesaltato” non è una promessa di prestigio futuro a coloro che ora non hannoun prestigio, o a quanti hanno smesso completamente di basarsi sulprestigio. È la promessa che essi non saranno più trattati da inferiori, mariceveranno un pieno riconoscimento come esseri umani. Esattamente come aipoveri non è promessa la ricchezza, ma la completa soddisfazione dei lorobisogni – nessuno sarà bisognoso; così ai piccoli non è promesso lo statused il prestigio, ma il pieno riconoscimento della loro dignità di esseriumani. Per ottenere questo sarebbe stata richiesta una ristrutturazioneradicale della società. Il “regno” di Dio, perciò, sarà una società nellaquale non ci sarà alcun prestigio o status, nessuna divisione degli uominiin inferiori e superiori. Ogni individuo sarà amato e rispettato, non per lasua istruzione, ricchezza, discendenza, autorità, rango, virtù o altririsultati, ma perché, come chiunque altro, è una persona. Per alcuni saràmolto difficile immaginare come sarà quella vita, ma per i “bambini”, che100 Se la parola aramaica alla base di questo concetto è sabra, allora è possibile che il

significato sia “gli stupidi o ritardati”! Si veda Legasse, p. 185.

101 Derrett, Jesus’s Audience, p. 31.

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non hanno mai avuto alcun privilegio di status, e per quelli che ad esso nonhanno mai dato importanza, sarà molto facile apprezzare la pienezza che lavita, in questo tipo di società, porterà. Quelli che non possono sopportareche dei mendicanti, ex prostitute, servi, donne e figli siano trattati comeeguali, che non possono vivere senza sentirsi superiori almeno ad alcunepersone, semplicemente non si sentiranno a casa nel “regno” di Dio, cosìcome Gesù lo interpretò. Vorranno spontaneamente escludersi da esso.

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Capitolo 9

Il “Regno” e la Solidarietà

La solidarietà non è una parola biblica, ma esprime meglio di ogni altraparola che io conosca uno dei concetti più fondamentali nella Bibbia – ilconcetto indicato dagli studiosi come la nozione ebraica di collettività.Una famiglia, tribù o nazione è pensata come una sorta di personacollettiva, a volte identificata con il re, che parla ed agisce a nome delgruppo, ed è a volte identificata con l’antenato comune del quale il gruppostesso è il discendente. La differenza tra il “regno” di Satana e il “regno”di Dio (tra il bene e il male, come lo interpretò Gesù) non può esserecompresa senza prendere in considerazione questo concetto di solidarietà,non soltanto perché i due “regni” possono essere considerati due personecollettive, ma perché essi rappresentano due atteggiamenti fondamentalmentediversi alla solidarietà di gruppo. Derrett ha dimostrato che, dopo ilprestigio e il denaro, l’interesse fondamentale della società nella qualeGesù viveva fu la solidarietà do gruppo.102

Gli Ebrei, fino ad oggi, hanno manifestato un notevole senso dellasolidarietà. Sappiamo che essi facevano gruppo e si aiutavanovicendevolmente, specialmente in un momento di crisi. Ma, almeno al tempo diGesù, non era solo la solidarietà nazionale ad importare, o la solidarietàdell’Ebraismo contro il mondo dei Gentili. Concretamente, essi eranopreoccupati delle solidarietà di gruppo molto di più all’interno dellanazione. L’unità fondamentale che viveva insieme come un essere corporativoera la famiglia – la famiglia estesa, che comprendeva tutti i parenti. Ilegami di sangue (la propria carne e il proprio sangue) e di matrimonio (unasola carne) erano di certo considerati seriamente. Non solo tutti i membridella famiglia erano considerati fratelli, sorelle, madri e padri l’uno perl’altro, ma si identificavano l’uno nell’altro. Il male fatto ad un membrodella famiglia era sentito da tutti. La vergogna di uno condizionava tutti.Chiunque poteva dire ad un estraneo: “Quello che fai all’ultimo dei mieifratelli lo fai a me”, o “Quando accogli uno dei miei parenti accogli me”.Al proprio parente si poteva dire: “Chi accoglie te accoglie me, chi sivergogna di te si vergogna di me”. Non che dirlo fosse necessario. Era datoper scontato.Secondo lo stesso principio, se un parente era stato insultato oassassinato, ci si sentiva obbligati a vendicare l’offesa. La vendetta ofaida esisteva ancora ai tempi di Gesù, sebbene in forma mitigata.103 Ilprincipio “occhio per occhio e dente per dente” (Mt 5:39) era ancora validoin quei giorni. Noi associamo questo tipo di cosa alla Mafia, e lo riteniamomolto difficile da capire. Ma spesso la sola cosa che ci impedisce diprovare la solidarietà in questo particolare modo è il nostro individualismooccidentale. Al tempo di Gesù non era solo la famiglia allargata a vivereinsieme come un’unica entità collettiva. La solidarietà si viveva anche coni propri amici, i collaboratori e i commercianti, il proprio gruppo socialee all’interno dei confini di una “setta” elitaria come quella dei Farisei odegli Esseni. “L’individualismo – come puntualizza Derrett – erasconosciuto, tranne che nel mondo della preghiera”.104

Per tutto il nostro individualismo occidentale, e per nostra meravigliadovuta all’estensione a cui altri portano questa solidarietà di gruppo, noimanteniamo ancora, consapevolmente o meno, una grande lealtà di gruppo e dipregiudizio di gruppo. Essa varia da persona a persona, ma nel mondooccidentale ci sono ancora tantissime persone che basano la propria identitàsulla lealtà e sul pregiudizio di razza, nazionalità, lingua, cultura,classe, discendenza, famiglia, generazione, partito politico e denominazionereligiosa. L’amore e la lealtà sono esclusivi come sono sempre stati. Il102 J. Duncan M. Derrett, Jesus’ Audience, pp. 39-52.

103 Derrett, p. 39.

104 Derrett, p. 39.

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punto è che il “regno” di Satana differisce dal “regno” di Dio non perchéessi siano due forme diverse di solidarietà di gruppo, ma perché il “regno”di Satana è basato sulla solidarietà esclusiva ed egoistica dei gruppi,mentre il “regno” di Dio è basato sulla solidarietà onnicomprensiva dellarazza umana. “Voi avete udito che fu detto: «Ama il tuo prossimo e odia iltuo nemico». Ma io vi dico: «Amate i vostri nemici»” (Mt 5:43- 44). Nienteavrebbe potuto essere più radicale e rivoluzionario di questo.L’odio per il proprio nemico è esplicitamente ordinato nei Rotoli del MarMorto105 e Libro dei Giubilei,106 che non fa parte della Bibbia. Nell’AnticoTestamento, sebbene non vi sia un testo esplicito che lo ordina, il comandodi amare il proprio prossimo è sempre interpretato ad esclusione del proprionemico. Il prossimo non è mai immaginato come un qualsiasi altro essereumano. Il prossimo è il parente, la persona vicina, un membro del propriogruppo.“Non andrai qua e là facendo il diffamatore in mezzo al tuo popolo... Nonodierai tuo fratello nel tuo cuore... Non ti vendicherai... contro i figlidel tuo popolo, ma amerai il prossimo tuo come te stesso” (Lev. 19:16-18).Nell’Antico testamento amare il proprio prossimo come se stesso è vivere lasolidarietà di gruppo. Solo il proprio consanguineo deve essere trattatocome un altro “sé”. Considerare alcuni come sorelle e fratelli comportasempre l’odio verso gli altri.Gesù ampliò il concetto di prossimo facendo annoverare in esso i proprinemici. Egli non avrebbe potuto trovare un modo più efficace per sconvolgerei suoi ascoltatori, facendo capire loro che egli voleva includere tutti gliuomini in questa solidarietà d’amore. Il detto è paradossale in un modoquasi insopportabile: la contraddizione naturale tra il prossimo e ilnemico, tra gli estranei e i membri, deve essere ignorata e superata, inmodo che i nemici diventino parenti e tutti gli estranei divengano membri!Gesù non esita a spiegare le quasi inconcepibili conseguenze: “Fate del benea quelli che vi odiano; benedite quelli che vi maledicono, pregate perquelli che vi oltraggiano” (Lc 6:27-28). “Se amate quelli che vi amano,quale grazia ve ne viene? Anche i peccatori amano quelli che li amano” (Lc6:32).La solidarietà di gruppo (amare quelli che vi amano) non è una virtù. Essa èpiù forte tra i ladri. Gesù fa appello ad una esperienza di solidarietà conil genere umano, un’esperienza che è non esclusiva, un’esperienza che nondipende dalla reciprocità perché include anche quelli che vi odiano, viperseguitano o vi trattano male. Non è uguale ad essere sorelle e fratelliin Cristo: l’ideale di amarsi l’un l’altro a cui è data tanta importanza nelvangelo e nelle lettere di Giovanni o il concetto paolino della Chiesa comecorpo di Cristo. Essere in Cristo è l’amore reciproco o vicendevole dicoloro che condividono l’esperienza del vivere in solidarietà con tuttal’umanità e, quindi, l’uno con l’altro (1 Tess. 3:12).Gesù fece innanzitutto appello ad una solidarietà amorevole che non avrebbeescluso proprio nessuno. La solidarietà con l’umanità è l’atteggiamentofondamentale. Esso deve avere la precedenza su ogni altro tipo di amore eogni altro genere di solidarietà. “Se uno viene a me e non odia suo padre,sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la suapropria vita, non può essere mio discepolo”107 (Lc 14:26). I commentatorievidenziano sempre che per la povertà delle lingue ebraica ed aramaica laparola “odio” viene usata per esprimere tutti gli atteggiamenti diversidall’amore. Quindi può significare odiare, essere indifferenti a, distaccatida, o non preferire qualcuno. In questo contesto, ci viene detto, Gesùchiede il distacco: non dare la preferenza alla propria famiglia e ai propri

105 IQS 1:9—10; 2:1-9; 9:16, 22; si confronti anche con 4:5; 7:1. Per un agevoleriferimento si veda Geza Vermes, pp. 72, 73, 88; si confronti anche con 76, 103.

106 31:29. m.

107 Venire a Gesù o seguirlo è accompagnarlo nel “regno”. Diventare un discepolo è unmodo alternativo di parlare dell’ingresso nel “regno”.

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parenti.108 Questo è vero ma non rende giustizia al modo di pensare di Gesù edei suoi contemporanei. Se amore significa solidarietà, allora odiosignifica non solidarietà.Quello che Gesù chiede è che la solidarietà di gruppo nei confronti dellafamiglia sia sostituita da una solidarietà più fondamentale con tutto ilgenere umano. Ovviamente questo non significa che i propri parenti debbanoessere esclusi, come dei nemici! Essi sono inclusi nella nuova solidarietàperché anche loro sono degli esseri umani. E questo non significa nemmenoche li si debba amare meno. È il fondamento dell’amore a cambiare. Questepersone non devono essere amate perché, casualmente, sono familiari eparenti, ma perché anch’essi sono persone. Devono essere amate con un amoreinclusivo. Alla fine questo significherà che sono amate ancora di più.Saranno amate, non semplicemente preferite.Tutti gli altri riferimenti alla famiglia nei vangeli confermano questainterpretazione. Il discepoli “lasciarono casa, moglie, fratelli, genitori,o figli per amor del regno di Dio” (Lc 18:29). Non era consentito allasolidarietà per la famiglia di frapporsi sulla via di questa nuovasolidarietà che caratterizzava il “regno” (si veda anche Lc 9:59-62). Nelprocesso di sostituzione della solidarietà artificiale della famiglia con lasolidarietà della persona verso la persona, l’unità di molti focolaridomestici, sfortunatamente, si romperà: “Voi pensate che io sia venuto aportar pace sulla terra? No, vi dico, ma piuttosto divisione; perché, da orain avanti, se vi sono cinque persone in una casa, saranno divise tre controdue e due contro tre; saranno divisi il padre contro il figlio e il figliocontro il padre; la madre contro la figlia, la figlia contro la madre; lasuocera contro la nuora e la nuora contro la suocera” (Lc 12:51-53; siconfronti con Mt 10:34-36).La seconda parte di questo passo è una citazione del profeta Michea, checritica questa rottura della solidarietà familiare come uno dei peccati diIsraele nel suo tempo (Mic 7:6). Che Gesù citi questo come un risultatoinevitabile della sua missione è una delle indicazioni più chiare di uncambiamento radicale di valori. Una nuova solidarietà universale devesostituire tutte le vecchie solidarietà di gruppo. Può anche valere la penanotare che la divisione o il dissenso interno alla famiglia è descritto comeun salto generazionale. Il messaggio di Gesù non divide il padre dalla madreo il fratello dalla sorella, ma i genitori dai figli. Sembra che egli siaspettasse che la generazione più giovane avrebbe accettato la solidarietàuniversale e che quella più vecchia l’avrebbe rifiutata. E lo stesso Gesù?Che dire del suo rapporto con la sua famiglia, e con sua madre inparticolare? I vangeli non ci lasciano in dubbio sul fatto che il rapportodi Gesù con la maggior parte dei suoi parenti fosse nervoso e teso.109 Marcoci dice che essi pensavano che fosse fuori di sé e si sentirono obbligati,come richiedeva la solidarietà di gruppo, a prendersi cura di lui (3:21, siconfronti con Gv 7:5). Forse sua madre era tra questi parenti. Non ci vienedetto.Ma ci viene detto che ella fu tra coloro che andarono a riprenderlo dallacasa nella quale “una folla gli stava seduta intorno” (Mc 3:31-32 parr).Forse, all’epoca, ella non capì ciò che egli aveva in mente, esattamentecome Luca dice che ella non capì quello che lui aveva in mente quando, a 12anni, disse ai suoi genitori che doveva restare nel tempio perché dovevaoccuparsi delle cose del Padre suo (3:41-50). In seguito, ella arrivò acapire (Gv 19:25-27). Vari altri membri della famiglia, come Giacomo eGiuda, giunsero a credere in lui soltanto dopo la sua resurrezione.110 Gesùera molto preoccupato che il suo amore verso sua madre (o qualsiasi altroparente) non fosse interpretato come semplice solidarietà biologica ofamiliare: “Una donna tra la folla disse: «Benedetto il grembo che ti haportato e le mammelle che tu poppasti!». Ma egli disse: «Beati piuttosto108 Cf. Mt 10:37.

109 8. Vermes, Jesus the Jew, pp. 33-34; David Flusser, Jesus, pp 2024; Adolf Holl,Jesus in Bad Company, pp. 68-70.

110 Cf. Mc 3:12; Gv 7:5 con 1 Cor 9:5; 15:7; Gal 1:19; 2:9; Giuda 1.

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quelli che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica»” (Lc 11:27-28RSV). Ogni solidarietà particolarmente stretta e vicendevole tra Gesù e suamadre avrebbe dovuto essere basata sul vivere secondo la volontà di Dio.111

Lo stesso Gesù abbandonò la consueta solidarietà della famiglia pertrasformare “coloro che aveva intorno” nei suoi “fratelli, sorelle e madri”(Mc 3:31-35 parr), così che coleui che avesse accolto uno di loro avrebbeaccolto lui (Mt 10:40; si confronti con Mc 9:37 parr), e quel che fossestato fatto all’ultimo tra di essi sarebbe stato fatto a lui (Mt 25:40,45).112 E tuttavia siamo indotti a chiederci se la solidarietà che Gesùavvertiva in modo così intenso fosse davvero universale. Egli predicò lasolidarietà universale (amate i vostri nemici), ma la mise in pratica?L’autore ebreo moderno C. G. Montefiore ha accusato Gesù di non mettere inpratica ciò che predicava, perché egli non amò i suoi nemici: gli scribi e iFarisei.113 Indubbiamente egli sembra essersi schierato con i poveri e glioppressi in opposizione agli scribi appartenenti alla classe media e aiFarisei. Questo è amare i propri nemici e vivere in solidarietà con tutto ilgenere umano?Si può argomentare in modo plausibile che la veemenza dell’attacco di Gesùai Farisei sia stata esagerata dagli autori dei vangeli a causadell’ostilità tra la Chiesa delle origini ed il partito dei Farisei, maquesto non risponderebbe alla nostra domanda. Gesù amò i Farisei oppure no?Se l’amore è interpretato come solidarietà, allora l’amore non èincompatibile con l’indignazione e l’ira. Al contrario, se una persona èveramente preoccupata per le persone in quanto persone, ed è dolorosamenteconsapevole delle loro sofferenze, sarà necessariamente indignata e adiratacon le persone che fanno soffrire loro stesse e gli altri. Gesù fuarrabbiato, a volte molto arrabbiato, con quelli che rovinavano loro stessie gli altri, con coloro il cui orgoglio e la cui ipocrisia non avrebbepermesso loro di ascoltare quando li ammonì che si dirigevano alladistruzione e trascinavano tutti con loro. Egli fu adirato con loro peramore di tutti gli uomini, compresi loro stessi.Concretamente, la prova più certa del fatto che Gesù amò tutti gli uomini fuquesta stessa indignazione molto pronunciata contro i nemici dell’umanità ditutti, inclusi loro stessi. Se Gesù avesse rifiutato di dibattere, discuteree frequentare i Farisei, allora, e solo in quel caso, lo si sarebbe potutoaccusare di escluderli o di trattarli da estranei. I vangeli presentanonumerosi esempi delle sue conversazioni e dei suoi pasti insieme a loro, edei suoi continui tentativi di convincerli. Alla fine furono loro adescludere lui: in nessuna fase egli li escluse. Questo non significa negareil fatto palese che Gesù si sia schierato con i poveri e i peccatori. Lasolidarietà di Gesù con tutti gli uomini non fu un atteggiamento vago edastratto nei confronti del genere umano in generale. Amare tutti gli uominiin generale poteva significare non amare nessuna persona in particolare.In questo libro abbiamo ritenuto necessario ricorrere a concetti generalicome “genere umano”, “umanità”, “tutti gli uomini”, “tutti” per assicurarciche la nuova solidarietà non sia interpretata come un nuovo tipo disolidarietà di gruppo. Ma Gesù non fece uso di questi concetti vaghi eindefiniti.114 Egli trattò ogni singola persona che entrò nella sua vita onei suoi pensieri in modo che nessuno fosse mai escluso e ognuno fosse amatoper quello che era e non per la sua discendenza, razza, nazionalità, classe,legami familiari, intelligenza, cose ottenute o qualsiasi altracaratteristica. In questo senso concreto e personale, Gesù amò tutti gliuomini e visse in solidarietà con tutti il genere umano. E per questo stesso111 Si confronti con 3:35 par. Lo stesso punto è esposto in Giovanni 2:1-10. Secondo

Giovanni, il favore che egli fa a sua madre non è basato sulla maternità biologica,non è basato su quello che lei “ha a che fare” con lui.

112 Per l’autenticità e il significato originale di Mt 25:40 45, nonostante la naturasecondaria della parabola, si veda Legasse, pp. 88-93; Jeremias, The Parables ofJesus, pp. 208-209.

113 In Rabbinic Literature and Gospel Teaching, pp. 103f.

114 Gunther Bomkamm, Jesus of Nazareth, p. 115.

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motivo Gesù si schierò con i poveri e gli oppressi, con quelli che nonavevano nulla da offrire tranne la propria umanità, con coloro che eranoesclusi dagli altri. La solidarietà con i “nessuno” di questo mondo, gli“scartati”, è l’unico modo concreto di vivere una solidarietà con il genereumano. La prova del nove, però, è se questa solidarietà con i poveri e glioppressi sia o meno esclusiva. Amare loro ad esclusione degli altri non èche indulgere in un altro tipo di solidarietà di gruppo.Gesù non fece questo. La sua solidarietà particolare ma non esclusiva conqueste persone diventa quindi un altro segno della solidarietà con gliuomini in quanto uomini. C’è un ultimo problema. Gesù limitò la propriaazione ad Israele e istruì i suoi discepoli a fare lo stesso: “Non andatetra i pagani e non entrate in nessuna città dei Samaritani, ma andatepiuttosto verso le pecore perdute della casa d’Israele” (Mt 10:5-6*). AncheMatteo ci dice che egli esitò ad aiutare una donna cananea, ossia ad operaretra i Gentili. “Sono stato mandato solo alle pecore perdute della casa diIsraele”, le dice (Mt 15:24).A prima vista, ancor più sconvolgente è l’affermazione fatta da Gesù allastessa donna cananea: “Non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo aicagnolini”, che significa dare il cibo di Israele ai Gentili (Mt 15:26 = Mc7:27). Il nucleo della storia, ovviamente, è che Gesù aiutò questa donnagentile, alla fine, proprio come, alla fine, aiutò il centurione romano. Maperché ella dovette avere così tanti problemi per convincerlo? E perché glianziani ebrei dovettero implorarlo e pregarlo di aiutare un centurioneromano? (Lc 7:3-5). D’altra parte è ugualmente sicuro che Gesù immaginò un“regno” che avrebbe incluso “innumerevoli” gentili da nord, sud, est eovest, che avrebbero seduto insieme ad Abramo, Isacco e Giacobbe ad ungrande banchetto dal quale molti ebrei si sarebbero autoesclusi (Mt 8:11-12;Lc 13:28— 29; 14:15-24). I Niniviti e la Regina di Saba avrebberosvergognato gli Ebrei (Mt 12:41-42 par). L’ambivalenza dell’atteggiamento diGesù nei confronti dei Gentili fu uno di quei problemi insolubili sui qualigli studiosi ebbero interminabili discussioni finché Joachim Jeremiaspubblicò il suo brillante libretto Jesus’ Promise to the Nations. Egli hadeterminato che la speranza ebraica per il futuro non escludeva i Gentili.Alla fine, dopo che tutti i castighi appropriati fossero statisomministrati, il mondo intero, compresi i Gentili, sarebbe giunto sotto ilpotente governo del vero Dio.Questo fu raffigurato – in special modo dai profeti – come un grandepellegrinaggio dei re gentili a Gerusalemme, giunti a rendere omaggio alregnante definitivo del mondo, Dio Onnipotente. Il mondo era stato governatoda una successione di imperi. L’attuale Impero di Roma sarebbe statosostituito dall’Impero di Israele, che è l’Impero del vero Dio. Ricordandoquesto gli Ebrei, e specialmente gli scribi e i Farisei, erano già impegnatiin un massiccio sforzo missionario. Jeremias ha dimostrato anche che “Gesùentrò in scena a metà di quella che fu l’epoca missionaria per eccellenzadella storia ebraica”.115 Ma, per quanto possa sembrare sorprendente, Gesùnon apprezzò questo sforzo missionario: “Guai a voi, scribi e fariseiipocriti, perché viaggiate per mare e per terra per fare un proselito[convertito]; e quando lo avete fatto, lo rendete figlio della Geenna ildoppio di voi” (Mt 23:15*). Era un caso di “cieco che guida il cieco, e seun cieco ne guida un altro entrambi cadranno in un fosso” (Mt 15:14*).Secondo Gesù, gli ebrei stessi avrebbero dovuto cambiare prima di poterpensare di accingersi a convertire gli altri. Questo è ciò che Gesù sipropose di fare ed è per questo motivo che egli ordinò ai suoi discepoli diconcentrarsi sullo stesso Israele. Siccome restava pochissimo tempo (ilgrande disastro era vicino) e siccome Israele aveva avuto secoli dipreparativi per questo cambiamento, Gesù fu convinto che Dio volesse che gliEbrei facessero un grande cambiamento che avrebbe portato la salvezza e lasolidarietà a tutti gli uomini. Come si concentrò sulle pecore perdute dellacasa di Israele per amore di tutti Israele, così si concentrò su Israele peramore di tutti gli uomini. Non fu una questione di solidarietà di gruppo, fuquella che potremmo chiamare una questione di strategia.

115 Joachim Jeremias, Jesus’ Promise to the Nations, p. 12.

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Gesù inizialmente aveva pensato che spiegare il “regno” di Dio ai Gentilisarebbe stato un processo lungo e prolisso, e che risvegliare in essi fedesufficiente per effettuare una cura avrebbe richiesto un considerevolequantitativo di tempo. Nel complesso questo, probabilmente, era vero. Inogni caso, Gesù sentì che la sua specifica vocazione era quella di dare ciboprima ad Israele e non privarlo della possibilità di fare il grandecambiamento (al quale Dio lo aveva destinato) trascorrendo il pochissimotempo rimanente a cercare di convertire i Gentili – dando il cibo a coloro acui non era destinato in quella fase critica. Da qui l’enorme sorpresa diGesù quando scoprì una donna cananea che aveva grande fede (Mt 15:28 par) eun centurione romano la cui fede fu più grande di qualsiasi cosa avessescoperto fino al momento in Israele (Mt 8:10 par). Gesù non se lo eraaspettato. Se se lo fosse aspettato non avrebbe esitato ad aiutarli.Tuttavia non poteva aspettarsi una risposta così immediata da ogni gentile.Strategicamente, era più importante, in quel momento, nell’interesse ditutti, concentrarsi sulla casa di Israele. In questo, Gesù aveva certamenteragione anche se, alla fine, il popolo di Israele non rispose nel modo cheegli aveva sperato. L’obiettivo, allora come oggi, era un “regno” in cuitutti gli uomini avrebbero vissuto insieme nella solidarietà. In conclusionedobbiamo dire che la base di questa solidarietà o amore è la compassione –quella emozione che nasce dalla pancia alla vista del bisogno di un’altrapersona.La parabola del buon samaritano è riportata da Luca (10:29-37) come rispostaalla domanda: “Chi è il mio prossimo?”. La risposta non è ‘tutti e nessuno’,per quanto possa essere vero di per sé. La risposta è una parabola che èraccontata in modo da portarci a identificarci, dal punto di vista emotivo,con un uomo che ebbe la sfortuna di finire in mezzo ai ladri. Avvertiamo lasua delusione quando quelli che avrebbero dovuto vivere in solidarietà conlui, un sacerdote e un levita, passano dall’altra parte. Condividiamo il suosollievo quando un nemico samaritano è spinto dalla compassione a rompere lebarriere della solidarietà di gruppo per aiutarlo nel momento del bisogno.116Se permettiamo alla parabola di commuoverci, se permettiamo alla parabola diliberare quelle profonde emozioni che ci è stato insegnato a temere, nondovremo più chiedere chi può essere il nostro prossimo o cosa può voler direamore. Andremo e faremo la stessa cosa, a dispetto di qualsiasi barriera.Solo la compassione può insegnare cosa significa la solidarietà con glialtri essere umani. Di questi è il “regno” di Dio.

116 Eta Linnemann, p. 54.

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Capitolo 10

Il “Regno” e il Potere

L'ultima differenza tra il “regno” di Dio e il “regno” di Satana riguarda ilpotere. La società e il potere sono inseparabili. Una società deve avere unastruttura, e quella struttura avrà qualcosa a che fare con il potere. Iltema del potere e delle strutture di potere (chi ha potere su chi, e chi puòdecidere per chi) è quello che oggi chiamiamo politica. Al tempo di Gesù lapolitica era principalmente una questione di chi sarà re o regina, chi saràmonarca. Il potere politico fu in primo luogo potere reale o “sovranità”. Initaliano possiamo distinguere tra “sovranità” e “regno”, perché abbiamo duediversi nomi astratti derivati dal termine “re”. Ma in greco, ebraico earamaico questo è inconcepibile. La parola greca basileia significa sia“sovranità” che “regno”.117 Infatti, basileia è un concetto ampio e quindisignifica potere reale e dominio del re. Perciò mentre normalmentetraduciamo la parola basileia in “regno”, in alcuni contesti sarebbe megliotradurla in “sovranità” o potere regale;118 anche se non sarebbesoddisfacente. Il potere reale e il dominio reale devono essere consideratiun unico concetto. Finora abbiamo analizzato la basileia di Dio riferitasolo ad un dominio o ad una società futuri. È necessario che comprendiamoche la venuta della basileia di Dio significa anche la venuta del poterepolitico di Dio.Gesù profetizzò che il potere politico divino del futuro sarebbe stato nellemani dei poveri e dei piccoli. “Beati i poveri, perché vostra è la basileiadi Dio”. (Lc 6:20*). “Conferisco una basileia su di voi... Siederete sutroni per giudicare...” (Lc 22:29, 30). “Non temere, piccolo gregge; perchéal Padre vostro è piaciuto di darvi la basileia” (Lc 12:32). Questo fa partedell’intero concetto secondo cui ci sarà un rovescio di fortune. “I ricchi ei potenti saranno umiliati, e i poveri saranno elevati. Egli [Dio] hadetronizzato i potenti, e ha innalzato gli umili; ha colmato di beni gliaffamati, e ha rimandato a mani vuote i ricchi” (Lc 1:52-53*).119 “Beati voiche siete poveri... Guai a voi, ricchi...” (Lc 6:20, 24*). “Chi si esaltasarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato” (Lc 14:11).Tuttavia questo non significa che nella struttura di potere del “regno” diDio l’oppressore e l’oppresso si scambieranno semplicemente il posto, equindi l’oppressione continuerà. Il potere, nel “regno” di Dio, saràcompletamente diverso dal potere così come è esercitato nel “regno” diSatana. Il potere di Satana è il potere della dominazione edell’oppressione, il potere di Dio è il potere del servizio e della libertà.Tutte le monarchie e le nazioni di questo mondo attuale sono governate dalpotere della dominazione e della forza. La struttura del “regno” di Dio saràdeterminata dal potere del servizio amorevole e spontaneo che gli uominiprestano l’uno all’altro. Gesù lo espresse in questo modo: “Voi sapete chetra i pagani [Gentili] quelli che sono reputati principi delle nazioni lesignoreggiano e che i loro grandi le sottomettono al loro dominio. Ma non ècosì tra di voi; anzi, chiunque vorrà essere grande fra voi, sarà vostroservitore; e chiunque, tra di voi, vorrà essere primo sarà servo di tutti.Poiché anche il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma perservire,120 e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti” (Mc10:42-45, si confronti con i testi paralleli e con Mc 9:35).Non c’è modo di fraintendere i due modi del tutto diversi in cui il potere el’autorità sono interpretati ed esercitati. È la differenza tra dominazionee servizio. Il potere di questa nuova società non è un potere che deve117 K. L. Schmidt et al., Basileia, London, 1957, p. 32.

118 Ad es., Lc 6:20; 12:32; 19:12, 15; 22:29; Atti 1-6; 1 Cor 4:20; 6:9 10; 15:24; Eb.12:28; Rev 1:9; 17:12, 17; Dan 7:18, 22 27.

119 Cf. 1 Sam 2:4, 5, 8.

120 Questa è una inequivocabile correzione di Dan 7:14, cf. Lloyd Gaston No Stone on Another, p. 395.

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essere servito, un potere dinanzi al quale una persona deve inchinarsi eumiliarsi. È il potere che ha un’enorme influenza nelle vite delle persone,prestando servizio ad esse. È il potere che è così altruista da servire glialtri perfino morendo per loro. È interessante che Gesù caratterizzi ilpotere della dominazione come tipico dei monarchi gentili. Egli deve averepensato a Cesare e a Ponzio Pilato, così come ai re gentili che appaiononelle Scritture come oppressori degli Ebrei, specialmente i regnanti deigrandi imperi, che Daniele descrive come simili a bestie e inumani (7:2-7,17).Ma Gesù era decisamente consapevole del fatto che anche gli Ebrei potevanoessere oppressori, non importa quanto, in teoria, questo possa essere statoestraneo all’Ebraismo. Egli definì Erode una volpe, il che è probabilmenteun riferimento alla sua estrazione edomita o semi-pagana, e potrebbe quindiessere una condanna del suo stile di vita e del suo modo di esercitare ilpotere tipicamente pagani. Egli comprese anche che la maggior parte deileader ebrei – i sommi sacerdoti, gli scribi e i Farisei – erano oppressori.Essi non avevano i poteri arbitrari dei re e dei principi; il potere checonsentiva loro di dominare e opprimere era la legge. La legge eracostituita dalle norme e dai regolamenti trasmessi al popolo ebraico sianella parola scritta della Scrittura sia nelle tradizioni orali degliscribi. Per i Farisei e molti altri, la legge orale aveva una validitàesattamente pari a quella della legge scritta. Entrambe erano torah, ossiale istruzioni rivelate da Dio al popolo di Israele. Queste erano istruzionie regole su ogni immaginabile dettaglio della vita, sia secolari chereligiose.121

Gesù non era contrario alla legge come tale, si opponeva al modo in cui gliuomini usavano la legge, al loro atteggiamento nei confronti della legge.Gli scribi e i Farisei avevano trasformato la legge in un fardello, mentreessa doveva essere un servizio. “Infatti, legano dei fardelli pesanti e limettono sulle spalle della gente; ma loro non li vogliono muovere neppurecon un dito” (Mt 23:4). “Il sabbath è stato fatto per l’uomo, non l’uomo peril sabbath” (Mc 2:27). Gli scribi avevano trasformato il sabbath, come moltealtre leggi, in un peso insopportabile. Usavano il sabbath contro la genteinvece di usarla per essa. La legge, secondo loro, doveva essere un giogo,una “penitenza”, una misura oppressiva, mentre per Gesù essa doveva essere abeneficio degli uomini, rispondere ai loro bisogni e ai loro veri interessi.Qui abbiamo due atteggiamenti diversi nei confronti della legge, dueopinioni diverse sul suo scopo, e quindi due modi diversi di usarla.L’atteggiamento degli scribi conduce a al ragionamento capzioso, allegalismo, all’ipocrisia e alla sofferenza. L’atteggiamento di Gesù portò alpermissivismo ogni volta che i bisogni delle persone non sarebbero statisoddisfatti dal rispetto della legge, e al rigore quando questo avrebberisposto meglio ai loro bisogni. La legge fu fatta per noi, noi non fummofatti per servire la legge ed inchinarci ad essa. Il sabbath, ad esempio,aveva lo scopo di liberare gli uomini dal peso del lavoro, affinché essipotessero riposare per un po’. Non doveva impedire loro di fare il bene, diguarire o di salvare la vita (Mc 3:4; Mt 12:11-12; Lc 13:15-16) né impedireloro di mangiare quando avevano fame (Mc 2:23-26 parr).Gesù non vuole cavillare sui dettagli della legge e sulla suainterpretazione. Non desidera semplicemente sottoscrivere un’interpretazionemeno rigida, come quella prevalente in Galilea o nella Diaspora, né desiderarifiutare la legge orale e basarsi soltanto sulla legge scritta. Gesùobietta al modo in cui la legge, qualsiasi legge o sua interpretazione,viene usata contro le persone.Gesù non si considerò un legislatore. Non desiderò abolire la Legge Mosaica(Mt 5:17-18) per promulgare una nuova legge o per eliminare ogni legge. Névolle aggiungere o sottrarre ad essa alcunché, né emendarla – nemmeno unaiota o un apice di essa (Mt 5:18). Quel che volle fare fu adempiere allalegge – vedere che essa adempiva al ruolo che Dio volle darle, che essaraggiungeva il proprio scopo (Mt 5:18). Una persona rispetta la legge di Diosolo quando raggiunge lo scopo anche del “minimo di questi comandamenti” (Mt121 Ossia, quelle che chiameremmo secolari e quelle che definiremmo religiose. Gli Ebrei

non facevano questo tipo di distinzioni. Si veda il Capitolo 13.

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5:19). E lo scopo della legge è il servizio, la compassione, l’amore. Diovuole la misericordia, non il sacrificio (Os 6:6; Mt 9:13; 12:7; si vedaanche Mc 12:33).Il legalismo sfruttava la legge per i propri scopi egoistici, distruggendocosì gli scopi della legge stessa. Cavillando sui dettagli insignificanti,“le cose più importanti”, o gli scopi della legge, ossia “il giudizio, lamisericordia e la fede”, erano trascurati (Mt 23:23). L’insistenza sui cibipuri e impuri e sul lavaggio delle mani, e l’imposizione di queste abitudiniad altre persone impediva a tutti di constatare le cattive intenzioni degliuomini l’uno nei confronti dell’altro (Mc 7:1-7, 14-23 par). Il voto delCorban era usato per evitare di mantenere i propri genitori, distruggendo intal modo lo scopo stesso del comandamento di Dio (Mc 7:8-13 par). Gli scribiavevano dimenticato, o preferito ignorare, lo scopo originale della maggiorparte delle leggi. Avevano trasformato la legge in un potere oppressivo. Icapi e gli studiosi del tempo di Gesù avevano innanzitutto schiavizzato sestessi alla legge. Questo non soltanto aumentava il loro prestigio nellasocietà, ma dava anche ad essi un senso di sicurezza. Temiamo laresponsabilità dell’essere liberi. Spesso è più facile lasciare che sianogli altri a prendere le decisioni o basarsi sulla lettera della legge.Alcune persone vogliono essere schiave. Dopo aver asservito loro stesse allalettera della legge, queste persone proseguono invariabilmente negando lalibertà agli altri. Non riposeranno finché non avranno imposto gli stessioneri oppressivi a tutti (Mt 23:4,15). Sono sempre i poveri e gli oppressi asoffrire di più quando la legge viene usata in questo modo.Gesù volle liberare tutti dalla legge – da ogni legge. Ma questo non sipoteva fare abolendo o cambiando la legge. Egli doveva detronizzare lalegge. Doveva assicurarsi che la legge sarebbe stata la nostra serva e nonla nostra padrona (Mc 2:27-28). Quindi dobbiamo assumerci la responsabilitàdella nostra serva, la legge, e usarla per rispondere ai bisognidell’umanità. Questo è molto diverso dalla licenziosità, dall’illegalità odal permissivismo irresponsabile.122 Gesù relativizzò la legge, così che ilsuo vero obiettivo potesse essere raggiunto. Nella struttura politica del“regno” di Dio, quindi, il potere, l’autorità e la legge saranno puramentefunzionali. Essi incarneranno le disposizioni che sono necessarie a servirsil’un l’altro volentieri e in modo efficace. Ogni tipo di dominio e ogniforma di schiavitù sarà abolita. “Poiché io vi dico che se la vostragiustizia [l’adempimento della legge] non supera quella degli scribi e deifarisei, non entrerete affatto nel regno dei cieli” (Mt 5:20 RSV).

122 Si veda il caso interessante delle parole dette da Gesù all’uomo che stava arandodurante il sabbath, che il Codex D aggiunge dopo Luca 6:5. Il testo si può trovare inuna nota a piè di pagina nella Bibbia di Gerusalemme, e un commentario si può trovarein Joachim Jeremias, Unknown Sayings of Jesus, pp. 497. Si veda pag. 130.

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Capitolo 11

Un tempo Nuovo

Oggi, per noi, è impossibile ottenere un’interpretazione soddisfacente delpensiero e dell’insegnamento di Gesù senza una qualche comprensione del modoin cui egli e i suoi contemporanei consideravano il tempo. Il fatto chemolti studiosi abbiano trascurato questo fondamentale concetto del tempo, olo abbiano male interpretato, ha portato ad innumerevoli dispute e aproblemi irrisolvibili. Per fare un esempio palese, l’intera questione seGesù considerò il “regno” presente, futuro o entrambi e, se entrambi, in chemodo egli abbia collegato il presente e il futuro del “regno” è un problematotalmente artificiale, creato dal tentativo di interpretare le parole diGesù nei termini del nostro concetto occidentale di tempo.Le interminabili discussioni sull’escatologia o su ciò che la fine del mondosignifica nella Bibbia sono ostacolate da una mancanza di chiarezza relativaal concetto biblico di tempo. Il nostro modo di pensare occidentale tende adenfatizzare il tempo come misura. Quando vogliamo riferirci ad un tempoparticolare usiamo delle misurazioni registrate sugli orologi e suicalendari. Noi collochiamo un’epoca o una figura storica tra due date. Quiil tempo è concepito come uno spazio vuoto – misurato e numerato – che puòessere riempito da eventi di maggiore o minore importanza. Questo può esseredefinito tempo quantitativo. Secondo uno dei veri maestri dello studiodell’Antico Testamento, Gerhard von Rad, “Oggi una delle poche cose dellequali possiamo essere davvero sicuri è che questo concetto di tempoassoluto, indipendente dagli eventi, e che, come le righe bianche su unquestionario, deve soltanto essere riempito di dati che daranno ad esso uncontenuto, era sconosciuto ad Israele”.123 Gli Ebrei parlavano del tempo, elo immaginavano, come una caratteristica.Questo è espresso in modo chiaro e succinto nel famoso passodell’Ecclesiaste (3:1-8): “ Per tutto c’è il suo tempo, c’è il suo momentoper ogni cosa sotto il cielo: un tempo per nascere e un tempo per morire; untempo per piantare e un tempo per sradicare ciò che è piantato; un tempo peruccidere e un tempo per guarire; un tempo per demolire e un tempo percostruire; un tempo per piangere e un tempo per ridere; un tempo per farcordoglio e un tempo per ballare... Un tempo per amare e un tempo perodiare; un tempo per la guerra e un tempo per la pace”. Per gli Ebreiconoscere il tempo non significava sapere la data, significava sapere qualetipo di tempo potesse essere. Era un tempo per le lacrime o un tempo per lerisate, un tempo per la guerra o un tempo per la pace? Giudicare in modoerrato il tempo nel quale si viveva poteva dimostrarsi disastroso.Continuare a piangere e digiunare in un tempo di benedizioni sarebbe statocome seminare in tempo di raccolto (si confronti con Zac. 7:1-3). Il tempoera la caratteristica o l’umore degli eventi. Questo concetto di tempo nonci è estraneo quanto potrebbe sembrare a prima vista. Parliamo tuttora dimomenti buoni, momenti brutti, momenti duri, tempi moderni e tempo diguerra. Diciamo che il tempo è maturo per una cosa o che un’impresa non hafuturo. Caratterizziamo un’idea come appartenente al diciannovesimo secolo.Qui il tempo non è più una misura, è la caratteristica di quel che succede,la qualità dell’esperienza di una persona. Ma nel momento in cui pensiamoalla storia ritorniamo al nostro concetto di tempo quantitativo.Noi ci collochiamo a metà di una lunga linea di tempo immaginaria, con ilpassato dietro di noi e il futuro davanti a noi. Gli ebrei dei tempi antichinon si collocavano in alcun luogo: essi posizionavano gli eventi, i luoghi ei tempi e si consideravano in un viaggio oltre questi punti fissi. Eventisacri come la Creazione, l’Esodo e l’Alleanza con Mosè, luoghi comeGerusalemme, il Sinai, Betel e tempi come le festività, i tempi per ildigiuno o la semina erano punti fissi. L’individuo viaggiava attraverso ooltre questi punti fissi. Gli uomini del passato c’erano stati prima ed

123 Gerhard von Rad, The Message of the Prophets, pag. 77; cf. inoltre Thorhef Boman,Hebrew Thought Compared with Greek, Trad. Ing.. Philadelphia: Westminster Press, 1961;Londra, 1960, pagg. 139-143.

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erano andati davanti a loro, di fronte a loro. Gli uomini del futurosarebbero venuti dietro di loro, dopo di loro.124 Quando gli individuiraggiungono un punto fisso, ad esempio la festa della Pasqua ebraica o untempo di carestia, diventano, in un certo senso, coevi dei loro antenati edei loro successori che hanno vissuto, o vivranno, lo stesso tempoqualitativo. Gli antenati e i successori dell’individuo condividono lostesso tipo di tempo, a prescindere dal numero di anni che possonointercorrere tra di essi.125

La natura del tempo si considerava determinata dagli atti salvifici di Dionel passato (ad es., l’Esodo) o da un atto salvifico di Dio nel futuro.Quest’ultimo era di speciale interesse per i profeti. I grandi profeti diIsraele avevano il compito di dire agli uomini il significato del tempoparticolare in cui essi vivevano, in previsione di un atto divino che stavaper succedere.126 Essi sentivano di non essere più in grado di comprendere lasituazione attuale in termini di qualsiasi cosa fosse accaduta nel passato,e quindi obbligavano gli uomini a dimenticare il passato, a smettere dibasarsi sul passato per avere un significato, la sicurezza e la salvezza.Poi, essi “spostano la base della salvezza ad una futura azione di Dio”.127

Questo imminente evento futuro caratterizza e determina il tempo presente,conferisce un significato a tutta la propria vita nel presente e decretaquel che si deve fare o non fare. L’evento futuro è quindi decisivo,definitivo e conclusivo – è l’eschaton, o evento ultimo, in relazione alloro tempo presente. Siccome non possiedono il nostro concetto occidentaledi tempo come misurazione astratta, non c’è uno spazio vuoto che si estendeal di là dell’evento che attendono. Per gli uomini di quella generazionel’evento futuro è definitivo e finale, perché caratterizza ogni cosa nelleloro vite in quel momento. Questo atto futuro di Dio fu sempre consideratodai profeti come un evento del tutto nuovo e senza precedenti.128 Essorappresenta una rottura con il passato “che è così profonda... da non poteressere interpretata come una continuazione di quel che è accaduto inprecedenza”,129 ossia non ha una continuità qualitativa con quel che èavvenuto prima. Sarà un tempo qualitativamente nuovo, non una nuovamisurazione del tempo. Parlare dell’eschaton come al di là della storia,cioè al di là del tempo come misura, significa confondere due concetti ditempo molto diversi. Inoltre, se il tempo presente è totalmente determinatoe caratterizzato da questo atto nuovo e inedito di Dio, allora lo stessotempo presente è un tempo del tutto nuovo, una nuova era. È questo apermettere al profeta di prevedere il futuro nel presente.L’eschaton, o evento futuro di importanza definitiva, deve essere lettofuori dall’“orizzonte della storia del mondo”130 o quelli che generalmentesono chiamati i segni dei tempi. I profeti furono ispirati a leggere laParola di Dio per il loro tempo nei segni del loro tempo. Fu questastraordinaria intuizione nella natura del proprio tempo a fare di unapersona un profeta. Il messaggio di un profeta, perciò, non è mai unmessaggio senza tempo, basato su idee senza tempo. Esso è una parolaspecifica, detta a persone specifiche in una situazione concreta e cheriguarda il significato del loro tempo e ciò che esse, in quel luogo e inquel momento, devono o non devono fare.131 Le generazioni successive possonoessere guidate da un profeta che parlò secoli prima solo nella misura in cui124 Boman, pp. 149-150.

125 Boman, pp. 147-149.

126 Von Rad, p. 91.

127 Von Rad, p. 93.

128 Esso, però, può avere qualche analogia con gli atti precedenti di Dio, si confronticon Von Rad, p. 93.

129 Von Rad, p. 101; si confronti anche con p. 252.

130 Von Rad, p. 91.

131 Von Rad, p. 100.

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essi si trovano in un tempo in qualche modo simile e, in tale misura, sonocontemporanei del profeta. Gran parte del valore e dell’efficacia delmessaggio di un profeta deriva dal rapporto del messaggio con un tempoparticolare.L’idea che un messaggio o un insegnamento abbia un valore molto maggiore seè senza tempo è un concetto del tutto occidentale, basato su una concezioneoccidentale del tempo. L’eschaton, perciò, è un evento futuro reale che saràqualitativamente diverso da tutti gli avvenimenti precedenti, e che è ilsolo evento a poter dare un significato ultimo alla propria situazioneattuale. L’eschaton è un evento futuro ma, nella misura in cui determina ecaratterizza le nostre vite, è anche un evento contemporaneo, un evento chepuò essere visto tra i segni dei tempi. Questo non significa che gli Ebreinon abbiano avuto il senso della storia; significa che essi avevano undiverso senso della storia. Noi ordiniamo gli eventi passati, presenti efuturi in una lunga sequenza, sulla base della nostra misurazione del tempo:ore, giorni e anni numerati.Per gli Ebrei, la sola e unica base di questa continuità degli eventi eraDio.132 Era Dio a decretare i tempi: un tempo per il digiuno o un tempo difesta, un tempo di giudizio o un tempo di salvezza. Gli eventi della storiaerano atti di Dio, e la loro sequenza dipendeva dal libero arbitrio diDio.133 Il movimento da un evento a un altro o il cambiamento da un tempo adun altro poteva essere concepito solo come una decisione o decreto di Dio.Dio poteva scegliere di cambiare i Suoi scopi e le Sue intenzioni.134 Inquesto schema non c’è posto per gli spazi vuoti o per anni intercorrenti traeventi importanti. Gli eventi ottengono la propria qualità e la propriasequenza dal Signore della storia. Senza questo concetto di Dio come Signoredella storia, gli Ebrei non avrebbero avuto alcun senso storico e nessunindizio di un grande e glorioso destino. Al contrario, senza questo concettodella storia, il Dio degli Ebrei non sarebbe stato diverso dagli dei deglialtri popoli. Questa introduzione piuttosto lunga si è resa necessaria perevitare il tranello di introdurre un concetto occidentale del tempo nelpensiero e negli insegnamenti di Gesù.135

Gesù annunciò un tempo completamente nuovo e l’imminenza del “regno”conclusivo e definitivo di Dio”: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio èvicino” (Mc 1:15*). Il tempo nuovo che Gesù annunciò era qualitativamentediverso dal tempo annunciato solo pochi anni prima da Giovanni.Cronologicamente parlando, ossia in termini di tempo come misura, puòaddirittura esserci stata una sovrapposizione – alcuni mesi o anni durante iquali Giovanni e Gesù fecero rispettivamente i propri proclami. TuttaviaMarco e Luca si preoccupano in modo particolare di non farci confondere iltempo di Giovanni con il tempo di Gesù. Marco se ne accerta dicendo che Gesùandò in Galilea ed iniziò la propria predicazione “dopo che Giovanni erastato arrestato” (1:14). Luca considera il battesimo di Gesù l’inizio delsuo ministero o del suo tempo, e quindi ci racconta della predicazione diGiovanni e della sua carcerazione prima di darci la sua versione delbattesimo di Gesù per mano di Giovanni! (3:19-22).136 La differenza

132 Von Rad, p. 83.

133 Dan 2:21.

134 Gn 6:6; Jer 26:3,13, 19; Gioele 2:13-19; Amos 5:15; 7:5-6; Giona 3:9, 10; 4:2; Zacc8:11, 14-15, 19.

135 L’idea di Cullmann che vi sia una particolare dottrina o rivelazione biblicariguardante il significato del tempo e che essa possa essere scoperta analizzando leparole bibliche che indicano il tempo (Cristo e Tempo) è stata confutata con successoda James Barr in Biblical Words for Time, passim ma specialmente a pag. 155 eseguenti. Io mi sono curato di evidenziare che il tempo, nella Bibbia, è consideratouna qualità piuttosto che una quantità.

136 Anche Luca, quindi, interpreta il “fino a” di 16:16 come comprensivo di Giovanni (siveda Joachim Jeremias, New Testament Theology, pp. 46-47). Matteo segue la divisionedi Marco, ma non è altrettanto consapevole delle differenze qualitative. Fa predicarea Giovanni lo stesso messaggio di Gesù: “Pentitevi, perché il regno di Dio è vicino”(3:2; 4:17). Nelle parabole Matteo evidenzia l’elemento del giudizio e del castigo inun modo più tipico del tempo di Giovanni che di quello di Gesù. E in 11:13 (il

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qualitativa tra il tempo di Giovanni e quello di Gesù è espressa molto benein una breve parabola in Lc 7:31-35 = Mt 11:16-19: «Gli uomini di questagenerazione sono come bambini che si gridano a vicenda mentre siedono nellapiazza del mercato: “Vi abbiamo sonato il flauto e non avete ballato;abbiamo cantato dei lamenti e non avete pianto”. Difatti è venuto Giovanniil Battista che non mangia pane e non beve vino, e voi dite: “È posseduto”.È venuto il Figlio dell’uomo che mangia e beve, e voi dite: “Ecco unmangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori!”. Ma allasapienza è stata resa giustizia da tutti i suoi figli».L’umore di Giovanni è come la melodia triste di una marcia funebre; l’umoredi Gesù è come la musica allegra di una danza ad un matrimonio. Ilcomportamento di Giovanni fu caratterizzato dal digiuno, quello di Gesù fucontraddistinto dal festeggiamento. E tuttavia essi non si contraddicono avicenda. Sia Giovanni che Gesù rappresentano le azioni della Sapienza (ossiadi Dio), ma parlano a tempi diversi e a circostanze differenti. Il tempo diGiovanni, in realtà, fu un tempo di cordoglio, e il tempo di Gesù, inrealtà, fu un tempo di gioia. La metanoia (conversione) nel tempo diGiovanni significava digiunare e fare penitenza; la metanoia al tempo diGesù fu come accettare l’invito a una festa (Lc 14:15-17) o come scoprire untesoro o una perla preziosissima per la quale si sacrificava volentieritutto il resto (Mt 13:44-46).137 Al tempo di Giovanni, il perdono era unapossibilità che dipendeva dal battesimo; al tempo di Gesù, il perdono erauna realtà presente, e il battesimo nel Giordano non era più necessario. Lanovità del tempo di Gesù difficilmente può essere esagerata il vino nuovonon può essere messo in alcuno dei vecchi otri o formule religiose, e lastoffa nuova non può essere cucita sull’abito vecchio producendo un buonrisultato(Mc 2:21-22 parr). Perfino il più grande uomo nato da donna è oraantiquato (Lc 7:28 par).La rottura con il passato è completa e definitiva. Il passato è finito. Dioha decretato un tempo nuovo. Il tempo di Giovanni e il tempo di Gesù sonoradicalmente diversi perché sono determinati da due eventi futuriradicalmente diversi. Giovanni profetizzò il giudizio di Dio, Gesùprofetizzò la salvezza di Dio. Giovanni visse la prospettiva di una grandecatastrofe, Gesù visse la prospettiva di un grande “regno”. Giovanni fu ilprofeta della sventura, e Gesù fu l’araldo della buona novella. Come tutti iprofeti, Gesù aveva letto i segni dei tempi. Gli eventi del suo tempo loavevano convinto che il “regno” sarebbe giunto presto. Quali furono questieventi? I segni dei tempi per Gesù furono indubbiamente le sue stesseriuscite azioni tra i poveri e gli oppressi – la sua stessa azione diliberazione. “Ma se è con il dito di Dio che io scaccio i demoni, allora ilregno di Dio è giunto fino a voi” (Lc 11:20 RSV).Il fatto che il potere di Dio operasse in Gesù e nei suoi discepoli,conferendo il successo ai loro sforzi intesi a liberare i sofferenti, eraper Gesù un segno delle intenzioni di Dio. Il potere della fede eraimpegnato ad ottenere l’impossibile. Gli eserciti di Dio guadagnavanoterreno contro il “regno di Satana”. La vittoria non era lontana. Il “regno”di Dio arrivava da dietro, li afferrava e stava per sconfiggerli. In realtà,il futuro “regno” di Dio e l’attività liberatrice di Gesù furonocontemporanei. Il “regno-potere” del futuro influenzava già la situazionepresente. I Farisei vogliono che egli produca segni dal cielo perautenticare la sua pratica e le sue parole. Egli rifiuta di farlo. Invece,indica i segni sulla terra (Mt 16:1-4; Lc 12:5456). In risposta alla domandadi Giovanni il Battista dice: “Andate a riferire a Giovanni quello che uditee vedete: i ciechi ricuperano la vista e gli zoppi camminano; i lebbrosisono purificati e i sordi odono...” (Mt 11:4-5).Il bene trionfa sul male. Dio si è intenerito e non è più occupato a puniregli uomini. Ora Dio vuole salvarli. Le implicazioni della pratica di Gesù e

versetto che è parallelo a Lc 16:16) interpreta “fino a” come ad esclusione diGiovanni. Qui non posso concordare con Jeremias quando conclude che Matteo avevaragione e Luca era in errore (p. 47). Il tempo della salvezza ebbe inizio con Gesù,non con Giovanni.

137 Norman Perrin, Rediscovering the Teaching of Jesus, p. 89.

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delle sue parole è che Dio è cambiato. Lo si può vedere in questi segni deitempi.Spesso si è detto che Gesù aveva un’immagine di Dio radicalmente nuova. IlDio di Gesù è del tutto diverso dal Dio dell’Antico Testamento o da quellodei Farisei – sicuramente il Dio di Gesù è molto diverso dal Dio adoratodalla maggior parte dei Cristiani. La pratica di Gesù e il suo concetto del“regno” non sarebbe stato possibile senza un’immagine di Dio completamentenuova. Questo è perfettamente vero, tranne per il fatto che Gesù stesso nonsi sarebbe espresso in questo modo. Egli non fu consapevole di cambiarel’immagine di Dio. Egli non fu affatto consapevole di avere una propriaimmagine di Dio. Per come Gesù la pensava, Dio era cambiato.138 Il Dio diAbramo, di Isacco e di Giacobbe faceva una cosa completamente nuova, che nonaveva precedenti.139 Dio è stato mosso dalla compassione per le pecoreperdute della casa di Israele.Questo è stato raffigurato da Gesù nelle parabole della pecora perduta,della moneta perduta e soprattutto nella parabola del figlio perduto (Lc15:1-32). Queste parabole sono i tentativi fatti da Gesù di rivelare aipropri oppositori i segni dei tempi, i segni che Dio è stato mosso dallacompassione ad un cambiamento di idea e a fare qualcosa di nuovo. Il punto èesposto nel modo più chiaro nella parabola del figlio perduto. L’intenzionedella prima parte della parabola (Lc 15:11-20) è farci capire bene qualeinveterato peccatore il figlio fosse stato, e quanto grande fosse il tortoche aveva arrecato a suo padre. Il ritorno a casa ha una svolta a sorpresa:innanzitutto per quello che suo padre non fa. Egli non lo rifiuta e non lodisconosce, come il figlio stesso si era aspettato (v. 19) e come il padreavrebbe avuto tutto il diritto di fare. Egli non chiede che il figlio facciaammenda per i suoi peccati, o che restituisca il danno finanziario arrecatoal padre lavorando come servo assunto, che è ciò che il pubblico di Gesù sisarebbe aspettato. Non punisce affatto il proprio figlio, il che offendeogni corrente concetto di giustizia. Non lo rimprovera nemmeno, né chiedealcuna scusa. Non c’è nemmeno una condiscendente parola di perdono sullelabbra di questo padre. Tutto quel che fa è gioire e ordinare un banchetto,una celebrazione. Perché? Perché egli era stato toccato nel profondo dallacompassione (v. 20). La preoccupazione per suo figlio era stata tale che il solo riaverlo a casasano e salvo superò ogni altra considerazione, e fu un motivo più chesufficiente per gioire. Il figlio maggiore echeggia i sentimenti di rabbiadel pubblico di Gesù, gli scribi e i Farisei (v. 2). Secondo loro, Dio nonavrebbe agito in questo modo, e non è così che si comporta. Ma Gesù è sicuroche qualsiasi cosa Dio possa aver fatto in passato, ora i peccatori sonotrattati con amore e attenzione, si fa del bene a coloro che odiano Dio equelli che maledicono Dio sono benedetti, “poiché Egli è buono verso gliingrati e i malvagi” (Lc 6:27, 28, 35). Per questo i malati sono curati e ipeccati perdonati. È il dito di Dio che ora desidera perdonare tuttiliberamente e in modo incondizionato. L’attenzione di Dio è ora rivolta agliesseri umani e ai loro bisogni. Dio è sceso dal trono celeste, la massimaposizione di prestigio nel mondo, per essere intimamente vicino agli uomini,alle donne e ai bambini, che ora possono rivolgersi a Dio chiamandolo abba.La ricerca di J. Jeremias140 ha stabilito in modo indiscutibile che Gesù sirivolgeva a Dio chiamandolo abba, che insegnò agli altri a fare lo stesso(Lc 11:2) e che nessun altro, prima, aveva fatto questo. Abba non significasemplicemente ‘padre’. È la forma molto intima e familiare di rivolgersi,riservata alla cerchia familiare più intima. Si può tradurre meglio in138 Heinz Zahmt, What Kind of God?, Trad. Ing.. Minneapolis: Augsburg, 1972; Londra,

1971, pp. 55-61.

139 Nulla era più tipico del Dio Creatore degli Ebrei che fare cose nuove e senzaprecedenti, creare mezzi per fare qualcosa di nuovo e inedito. Si vedano Es 34:10; Nm16:30; Salmi 50:12; 103.30, Is. 4:5; 43:19; 48:7; 65:17; 66:22; Ger 31:22; Ab 1:5.

140 Il suo famoso articolo, “Abba,” è stato tradotto in inglese nella forma del Capitolo1 di The Prayers of Jesus. Per un sunto delle sue opinioni sull’argomento si veda TheCentral Message of the New Testament, pp. 9 30, o New Testament Theology, vol. 1, pp.61-67.

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“papà”. Questo contrasta in modo molto netto con l’atteggiamento che portagli uomini ad avvicinarsi a Dio con timore e tremando, l’atteggiamento chemantiene Dio a una rispettosa distanza a causa della sovranità e santitàsuprema di Dio. Tuttavia questo non significa che Gesù abbia pensato a Dioin termini esclusivamente maschili. L’uso stesso del termine abba apre lapossibilità di interpretare anche la compassione divina come una chiocciache raduna i pulcini sotto le sue ali (Lc 13:34). Il successo delle cure edi tutta l’attività di liberazione di Gesù mostrò a quest’ultimo che Diostava dalla parte dei sofferenti, che Dio voleva vivere in solidarietà conl’umanità e usare il potere divino per servirli e proteggerli. Quando iFarisei rifiutano di crederlo e chiedono un segno dal cielo, Gesù puòindicare soltanto il segno di Giona.Il fatto che Gesù abbia indicato realmente il segno di Giona èindiscutibile. Né Matteo né Luca sapevano cosa significasse. Entrambi tiranoa indovinare. Poiché Giona trascorse tre giorni e tre notti nel ventre dellabalena, Matteo pensò che Gesù si stesse riferendo alla propria resurrezionecome segno futuro dal cielo (12:40; ma si confronti con 16:1-4). Luca pensòche “come Giona fu un segno per i Niniviti, così anche il Figlio dell’uomolo sarà per questa generazione” (Lc 11:30). Ma sicuramente ciò che èparticolarmente importante nella storia di Giona è che Giona, come iFarisei, era adirato (4:1) quando “Dio si intenerì, e non impartì ildisastro che aveva minacciato” (3:10). Giona disse: “Sapevo infatti che tusei un Dio misericordioso, pietoso, lento all’ira e di gran bontà e che tipenti del male minacciato” (4:2). Ma Giona, come i Farisei, non vuole cheDio sia misericordioso nei confronti dei peccatori (4:1-3). “Fai bene airritarti così?” – dice Dio (4:4) – “e io non avrei pietà di Ninive... deisemplici che non sanno distinguere la loro destra dalla loro sinistra?”(4:11).Questo, sicuramente, deve costituire un segno per i Farisei. Dio, ancora unavolta, si intenerisce e prova compassione per i semplici. Dio è cambiato edè per questo che i tempi sono cambiati. È un tempo nuovo, una rottura con ilpassato; un tempo che può essere compreso soltanto nei termini del nuovoeschaton, il nuovo evento futuro definito – il “regno” dei poveri e deglioppressi. Chiunque cerchi di leggere u segni del nostro tempo presente devecertamente riconoscere alcune notevoli somiglianze. Noi viviamo in un temponuovo, un tempo qualitativamente non troppo diverso da quello di Gesù. Dopoaver attraversato il tempo di Giovanni ed affrontato la catastrofe imminentecome un eschaton che determina quello che dobbiamo o non dobbiamo fare,forse potremo continuare, con l’aiuto di Gesù, a leggere i segni dellanostra liberazione negli eventi dei tempi recenti, e il nuovo eschaton oevento futuro decisivo come la venuta del “regno” di Dio. Però abbiamoancora bisogno di maggiore chiarezza sul modo in cui Gesù interpretò lavenuta del “regno” in rapporto alla venuta della catastrofe.

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Capitolo 12

La Venuta del “Regno”

Nonostante quanto è stato detto finora, o forse proprio per questo motivo,alcune persone possono essere tentate ad interpretare Gesù e il suo “regno”ideale in termini puramente secolari. Perché coinvolgere Dio in esso? Gesùfu profondamente mosso dalla compassione per i poveri e gli oppressi, e ilsuccesso che ebbe con essi lo portò a credere che la liberazione totale (il“regno”) fosse imminente. Tutto il discorso su Dio, quindi, non sarebbealtro che il linguaggio religioso nel quale, da uomo del suo tempo, Gesùdovette formulare quello che stava accadendo. Fortunatamente o meno, leprove non possono avvalorare un’ipotesi del genere. La convinzione di Gesùche il “regno” sarebbe venuto, che l’umanità avrebbe potuto esserecompletamente liberata – e lo sarebbe stata – sarebbe stata impossibilesenza la sua fede in Dio. In virtù dei valori straordinariamente elevati chedovranno regnare supremi in questo “regno” non dovrebbe essere difficilecapire che la sua venuta sarà un miracolo. È un’utopia, un mondo futuroimpossibile. Ma quel che per noi è impossibile è possibile a Dio. Gesùcredette in un miracolo, e ci sperò. Anche se Gesù pensò al “regno” come auna specie di casa o di città, non disse che lui stesso, o qualcun altro, loavrebbe costruito.141 Questo genere di “regno” può soltanto venire, non puòessere costruito. Questo tipo di “regno” non può nemmeno evolversi dai“regni” o dalle società che già abbiamo, per quanto possano migliorare oprogredire in futuro. Nemmeno il più potente, influente e buono dei leadersarà in grado di fondare una società come questa.Il potere terreno, quello che impone agli altri la propria volontà, anchequando viene applicato con la massima delicatezza, può solo produrrequalcosa di diverso dalla liberazione e dalla libertà totali che Gesù avevain mente. Gli uomini possono essere liberati da questa o quella forma didominio, ma nessuno può obbligare una persona ad essere libera. Noi possiamocostruire soltanto le condizioni che permetteranno agli uomini di essereliberi se sceglieranno di esserlo. Il “regno” stesso non può essereraggiunto, deve essere ricevuto – come un dono. Tuttavia c’è un potere chepuò fare il miracolo. Non è il mio potere né il vostro, ma è un potere cheposso liberare dentro di me, e soltanto voi potete liberare in voi stessi.Questo potere va oltre voi e me come individui, ma non è del tutto fuori dinoi. È il potere supremo che sta dietro a tutti i poteri in azione negliuomini e nella natura. La maggior parte degli uomini chiama questo potereDio. Non importa come lo chiamiate. Ogni tanto, Gesù lo chiamò Dio. Ma moltopiù spesso lo indicò in qualche altro modo. I profeti parlavano solo di Dio:la parola di Dio, le promesse di Dio e le minacce di Dio.I detti e le parabole di Gesù riguardano la vita, e il potere che operanella vita e nella natura. Solo molto raramente egli ritiene necessariomenzionare Dio per nome. C’è qualcosa di molto profondo e molto rivelatoredel modo in cui Gesù ha interpretato il potere onnipotente che di solito èrappresentato dalla parola Dio. Abbiamo già notato che per Gesù il potereonnipotente che ottiene l’impossibile può essere chiamato fede. La fedelibera in noi un potere che va oltre noi stessi. Fu la loro fede apermettere ai malati di essere curati e ai peccatori di essere liberati dailoro peccati. Nello stesso modo, è la fede degli uomini a permettere al“regno” di venire.142 Gesù fu instancabile nei suoi sforzi tesi a risvegliare141 Sembra però che Gesù non abbia detto che avrebbe “costruito un nuovo Tempio” (Mc

14:58 parr; Gv 2:19); si veda Lloyd Gaston, No Stone on Another, pp. 242-243. Ma èinteressante che Marco abbia ritenuto necessario aggiungere che sarebbe stato unTempio “non costruito da mani umane”, il che significa sicuramente non solo che ilnuovo Tempio sarebbe stato una comunità, ma anche che è Dio, non gli esseri umani, chelo costruirà in Gesù e per mezzo di lui.

142 Il testo di Lc 18:8 parrebbe contraddirlo: “Quando il figlio dell’uomo verrà, troveràla fede sulla terra?”. Ma il riferimento, qui, non è alla venuta del “regno” ma allavenuta della catastrofe o del giudizio (si vedano pp. 104-5). Inoltre il testo è

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la fede nel “regno” (Mc 1:15). Egli si sentì spinto di andare di città incittà a predicare la buona novella (Mc 1:38; Lc 4:43). Per risvegliare unafede ancora più diffusa nel “regno”, egli istruì i discepoli e li mandò apredicare (Mc 3:14; 6:7; Mt 10:7; Lc 9:2; 10:9, 11). I primi cristiani eranoconvinti che il “regno” sarebbe venuto non appena la buona novella fossestata predicata al mondo intero (Mc 13:10 par). Senza la predicazione non cisarebbe la fede (Rom 10:17). Solo quando nel mondo la fede sarà abbastanzaforte il miracolo del “regno” avverrà. Qui c’è il pericolo di trasformarloin una mistica della fede. La fede non è un potere magico. È una decisionediretta a favore del “regno” di Dio. La metanoia o cambiamento a cui Gesùfaceva appello era un cambiamento della mente e del cuore, un cambiamento difedeltà. Cercate innanzitutto il “regno”, metteteci il cuore sopra (Mt 6:33par). Affidatevi al “regno” per avere consolazioni e ricompense (Mt 6:4, 6,18; Lc 6:20-25). Ammassate tesori presso Dio e il “regno”, perché dove è ilvostro tesoro sarà anche il vostro cuore (Mt 6:19-21 par). Trasferite lavostra alleanza dall’uno o l’altro degli attuali “regni” al “regno” di Dio.Fate del “regno” la vostra priorità nella vita e riponete in esso ognivostra speranza. È un tesoro nascosto o una perla preziosa, scommettete ognicosa su di esso. La fede è un nuovo orientamento radicale della propriavita. Esso non ammette compromessi e non ha mezze misure. Non si possonoservire due padroni. O si rende il “regno” e i suoi valori l’orientamentofondamentale della propria vita oppure no. O si riconosce il “regno” comel’eschaton e il destino dell’umanità oppure no. La fede è una decisione.Un’indecisione tentennante o un compromesso sarebbe una mancanza di fede(poca fede), e sarebbe inutile.Tuttavia, come già abbiamo notato, il potere della fede non proviene dal suoessere una decisione ferma o una convinzione forte. La fede deriva ilproprio potere dalla verità di quello che di crede e in cui si spera. Se il“regno” di Dio fosse un’illusione, la fede non sarebbe in grado di ottenerealcunché. Il mondo è pieno di credenze solide ma illusorie che sono servitesoltanto a portarci sull’orlo del disastro. Se il “regno” di Dio, così comeGesù lo predicò, è veritiero, se è la verità sugli uomini e i loro bisogni,se è la sola cosa a poter portare l’umanità al compimento e allasoddisfazione, allora la fede in questo tipo di “regno” può cambiare ilmondo e ottenere l’impossibile. Il potere della fede è il potere dellaverità. La vera fede non è possibile senza la compassione. Il “regno” nelquale Gesù volle che i suoi contemporanei credessero era un “regno” di amoree di servizio, un “regno” di fratellanza e sorellanza umana nel quale ognipersona è amata e rispettata perché è una persona. Non possiamo credere inquesto “regno”, e sperare in esso, se non abbiamo imparato ad essere mossidalla compassione per gli altri esseri umani. Dio, ora, ha rivelato Dio comeil Dio della compassione.Il potere di Dio è il potere della compassione. La compassione degli uominiper gli altri uomini libera il potere di Dio nel mondo, l’unico potere che èin grado di produrre il miracolo del “regno”. Quel che fa venire il “regno”,perciò, è la compassione sentita e la fede speranzosa. La fede, la speranzae l’amore (la compassione) di oggi sono i semi del “regno” di domani. Lafede sembra essere piccola ed insignificante come un piccolo seme di senapa(Mt 17:20 par), ma senza il seme della fede non ci sarebbe alcun albero disenapa (Mc 4:30-32 parr). Il lievito sembra una sostanza priva di capacità,ma riesce a far lievitare tutto l’impasto (Mt 13:33 par). Una fede che nonscende a compromessi con i valori e gli interessi terreni produrràcertamente un ricco raccolto (Mc 4:3-9 parr). Il “regno” sarà un miracolosimile ai miracoli della natura (si confronti con Mc 4:30-32 parr e Mt 17:20par). Ma se la venuta del “regno” dipende dalla fede degli uomini (la fedeche comprende la speranza e la compassione), il “regno” verrà mai? Comepossiamo essere certi che ci sarà davvero abbastanza fede nel mondo perpermettere al “regno” di venire? Oppure, ancora, la catastrofe non arriveràmolto prima che vi sia stato abbastanza tempo per risvegliare la fede nelmondo? E se anche la catastrofe fosse rimandata per molto tempo, o se moltidovessero sopravvivere ad essa, c’è qualche garanzia che la maggioranzadegli uomini arriverà mai a credere nel tipo di “regno” predicato da Gesù?

secondario (Gaston, p. 353).

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La fede diffusa in questo “regno” sarà un miracolo quanto la venuta del“regno” stesso. E tuttavia Gesù non ebbe alcun dubbio sul fatto che il“regno” sarebbe giunto. La persistente miscredenza degli uomini puòprovocarne il ritardo (Lc 13:6-9), ma alla fine esso verrà. Prima puòarrivare la catastrofe, prima possono arrivare molte catastrofi, ma anchecosì il “regno” di Dio avrà l’ultima parola (Mc 13:7-8 parr). Alla fine il“regno” verrà, perché prima o poi gli uomini crederanno. Perché? Perchéesiste un Dio. Credere in Dio è credere che il bene è più forte del male eche la verità è più forte della falsità. Credere in Dio è credere che allafine il bene e la verità trionferanno sul male e sulla falsità143 e che Diosconfiggerà Satana. Chi pensa che il male avrà l’ultima parola o che il benee il male hanno il 50% di possibilità è un ateo. C’è un potere per il benenel mondo, un potere che si manifesta negli impulsi e nelle forze piùprofondi negli uomini e nella natura, un potere che, in ultima analisi, èirresistibile. Se non l’avesse creduto, Gesù non avrebbe avuto assolutamentenulla da dire.La fede nel “regno” di Dio, perciò, non è semplicemente aderire ai valoridel “regno” e sperare vagamente che, un giorno, esso possa giungere sullaterra. La fede nel “regno” è la convinzione che, a prescindere da tutto, il“regno” verrà. Ed è questa convinzione che farà venire il “regno”, perchéquesta convinzione è vera. “La verità vi renderà liberi” (Gv 8:32).Tuttavia, qui nulla garantisce che il “regno” arriverà presto. La fede potràdiffondersi in tutto il mondo molto velocemente, e potremo trovareall’improvviso il “regno” tra di noi ma, in base a quanto detto finora, essopotrebbe ugualmente essere rimandato per un tempo molto lungo. Tuttavia,Gesù stesso si aspettava che il “regno” arrivasse presto.”Il regno di Dio èvicino” (Mc 1:15; Mt 4:17; Lc 10:9, 11). In realtà, pare che egli l’abbiaatteso entro la durata della vita dei suoi contemporanei — “prima che questagenerazione passi” (Mc 13:30 parr; si veda anche 9:1 parr). Si diceaddirittura che i suoi discepoli non avrebbero avuto il tempo di andare ingiro per le città di Israele prima che il “figlio dell’uomo” giungesse (Mt10:23). Quando si prendono in considerazione tutti gli elementi, comprese leparabole e l’urgenza della predicazione, non si può fraintenderel’aspettativa, da parte di Gesù, di qualcosa di molto vicino in futuro.Questo non significa che Gesù abbia affermato di conoscere il giorno e l’oradel suo arrivo.Secondo Marco, Gesù negò qualsivoglia conoscenza segreta del giorno edell’ora (13:32). Le prove indicano tutte un intervento divino che giungeall’improvviso e in modo inatteso, come un ladro nella notte o un lampo (Mc13:33-37; Mt 24:42-44; 25:13; Lc 12:35-40; 17:24). Siccome nessuno sa quandopotrà venire, la gente sarà colta impreparata. Da qui la ricorrenteesortazione alla vigilanza e all’attenzione. I primi Cristiani possono averletto in questo più di quanto Gesù abbia voluto dire, ma Gesù si opposenettamente ad ogni tipo di calcolo della data per mezzo di segni e portenti(Lc 17:20-24). Perché, allora, Gesù insistette sull’imminenza del “regno”?Quello che generalmente non si nota o si evita è che la prossimità di unqualche tipo di intervento divino non fu un contributo originale da parte diGesù. Si trattava di una credenza piuttosto comune nel suo tempo. Fu lacredenza che spinse gli Esseni nel deserto per prepararsi. Fu la convinzioneche ispirò le visioni e i calcoli degli scrittori apocalittici. La stessacredenza indusse gli Zeloti ad attendersi che Dio venisse a dare loro lavittoria sui Romani, così che essi potessero fondare il “regno” di Dio inIsraele.Giovanni il Battista chiamò gli uomini ad un battesimo di pentimento perchéanch’egli si aspettava un intervento divino imminente – un giudizio dellostesso Israele. In altre parole, le speranze e le aspettative avevanoraggiunto un picco di intensità che non aveva precedenti. La situazione erafluida, la guerra contro i Romani infuriava e il cambiamento era nell’aria.Israele avrebbe sconfitto i Romani? Il Messia sarebbe venuto? La guerrastava per finire? Gesù, con Giovanni il Battista, credeva che Israele si143 Il sacerdote-sociologo Andrew M. Greeley, il cui approccio gli ha permesso di vedere

il legno nonostante l’eccessiva crescita di alberi nel mondo dello studio del NuovoTestamento, ha sottolineato questo punto (The Jesus Myth, pp. 48-49).

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sarebbe diretto alla distruzione nell’imminente futuro. L’evento che sarebbegiunto presto era la catastrofe. La reazione di Giovanni alla catastrofe funegativa. Egli cercò di evitarla, o di salvare da essa almeno alcunepersone. La reazione di Gesù fu positiva. Era il momento della verità. Laminaccia del disastro imminente costituiva una opportunità unica perché il“regno” giungesse. Di fronte alla distruzione totale, Gesù vide la propriaoccasione di fare appello ad un cambiamento immediato e radicale. “Se non viravvederete, perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13:3,5*). Se cambierete,se crederete, invece della catastrofe arriverà il “regno”. Il fatto chequesta crisi inedita abbia dato agli uomini un’opportunità – la prima nelsuo genere – di scegliere tra il “regno” e la catastrofe è il tema dinumerose parabole o detti.Il nucleo della parabola del fattore infedele è che, di fronte alla perditadi ogni cosa, egli agisce immediatamente e in modo decisivo, mettendo cosìal sicuro la sua felicità futura (Lc 16:1-8). D’altro canto il ricco stoltocostruisce dei granai più grandi, e poi perde tutto (Lc 12:16-20). “E chegiova all’uomo se guadagna tutto il mondo e perde la sua vita?” (Mc 8:36*parr). Se non presagiscono la catastrofe e non agiscono di conseguenza, gliuomini, e in particolare i capi, saranno colti alla sprovvista come ilpadrone di casa che dormiva quando venne il ladro (Mt 24:43) o l’uomo la cuicasa crollò nella tempesta perché, stupidamente, il suo padrone l’avevacostruita sulla sabbia (Mt 7:24-27). Ora è tempo di decidere e di agire nonsolo per evitare di perdere tutto, ma anche perché viene offertaun’alternativa: un grande tesoro, una perla di valore inestimabile, ungrande banchetto (Mt 13:44-46; Lc 14:15-24 par). Rimandare, ora, significarischiare di perdere un’opportunità unica.144 Domani può essere troppo tardi.La prossimità del “regno” non era una certezza, era una possibilità.Quello che per Gesù era sicuro era che, nell’imminente futuro, la catastrofeo il “regno” sarebbero giunti.145 Per Gesù l’eschaton, o atto imminente diDio, era un evento o - o. Questo è ciò che caratterizzava e determinava iltempo di Gesù come un tempo per la decisione e l’azione, un’opportunitàunica. Tutti i riferimenti diretti o indiretti all’imminenza dell’interventodivino confermano questa conclusione. Gesù non consolò mai i poveri con ilpensiero che il “regno” era vicino: egli profetizzò invece che il “regno”,quando fosse giunto, sarebbe appartenuto a loro. Non vi era alcuna garanziache il “regno” sarebbe giunto presto. Quella che sarebbe arrivata “prima chequesta generazione passi”, e se quella generazione non si fosse pentita, erala catastrofe (Mc 13:2-4, 30; Lc 13:3, 5). Nel complesso l’evento imminentenon è la venuta del “regno” come tale ma la venuta del “figlio dell’uomo”(Mc 13:26 parr; 14:62 parr; Mt 10:23; 19:28; 24:37-39, 44 par; Lc 17:24;21:36). Sia che Gesù abbia usato questa frase, sia che non l’abbia fatto,146

il riferimento alla venuta del “figlio dell’uomo” è senza dubbio inriferimento alla venuta di un giudice (Mc 8:38 parr; Mt 10:32-33 parr;19:28; 24:37-39 par).È decisamente possibile che “il figlio dell’uomo che deve venire” coincidacon “colui che deve venire”, ossia il giudice del quale parlò Giovanni ilBattista. Il riferimento, in ogni caso, è ad un evento di giudizio (Mt24:37-39 par). Nelle poche occasioni nelle quali di dice che il “regno”stesso è vicino (Mc 1:15; 9:1 parr; Mt 4:17; Lc 10:11) il contesto spiegache si tratta di un monito relativo ad un giudizio imminente, ad un evento o– o. Quindi non si dice che Gesù disse: “Gioite perché il regno di Dio èvicino”, ma: “Pentitevi, perché il regno di Dio è vicino” (Mt 4:17, siconfronti con Mc 1:15 e Mt 3:2). Tutti i riferimenti ad un qualche eventoimminente sono moniti. Si può trarre la stessa conclusione dal temadell’“urgenza” nei vangeli.A causa dell’estrema urgenza della predicazione missionaria non c’è postoper i predicatori che si guarderanno indietro dopo aver messo manoall’aratro (Lc 9:62). Non c’è tempo di andare a casa per seppellire il

144 Eta Linnemann, pp. 101-104.

145 Gaston, pp. 426-428.

146 Si vedano pp. 145-146.

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proprio padre, ossia per aspettare che muoia (Lc 9:59-60 par). Non c’è tempoper chiamate di cortesia ai propri amici o parenti (Lc 9:61; 10:4). Bisognaviaggiare leggeri e veloci (Lc 9:3; 10:4 par). L’urgenza del compitorichiede che si abbandoni tutto immediatamente, e si lascino reti, lavoro,casa, famiglia e genitori per seguire le orme di Gesù predicando il “regno”di Dio (Mc 1:20 par; 10:28 parr).Perché? Perché Israele si avviava alla distruzione. Se fosse stato garantitoun “regno” grande e glorioso nel prossimo futuro, non ci sarebbe statobisogno di una urgente campagna di predicazione. Non c’era tempo da perdere,perché in quelle circostanze l’unico modo di impedire ad Israele di gettarsia capofitto in una catastrofe era provocare un radicale cambiamento delcuore, un cambiamento sufficientemente radicale da permettere al “regno” divenire al posto della catastrofe. È anche vero che se fosse giunto il“regno” invece della catastrofe, coloro che non fossero appartenuti al“regno” avrebbero vissuto una catastrofe individuale e personale. Sisarebbero trovati nella completa oscurità (Mt 8:12; 22:13; 25:30), privatidi tutto ciò che di più caro avevano avuto nella vita. Quelli che si eranoaffidati al denaro, al prestigio, alla solidarietà di gruppo per averefelicità e sicurezza avrebbero scoperto che queste cose erano scomparse dalnuovo mondo del “regno”. Avrebbero vissuto questa esperienza come la perditadi ogni cosa, la perdita di tutto quello che aveva dato un significato alleloro vite, una distruzione del loro stesso sé. Non sarebbero stati esclusidal “regno”: si sarebbero esclusi da soli. Questa catastrofe personale, avolte, è raffigurata come il trovarsi nell’oscurità totale o come l’esseregettati nel fuoco della Geenna.Geenna era il nome di una valle appena fuori Gerusalemme. Era ben nota comeil luogo in cui, secoli prima, erano state commesse le azioni più malvagie:dei bambini erano stati bruciati vivi come sacrifici umani agli dei pagani(2 Cron 28:3; 33:6; Ger 7:31). Era un posto del tutto empio, contaminato,malvagio, quindi alla fine fu usato come discarica di Gerusalemme. Cometutte le discariche, era un posto maleodorante e malsano in cui ogni cosa sidecomponeva gradualmente, era divorata dai vermi e in cui il fuoco cheardeva senza sosta, comune nelle discariche, completava l’opera didistruzione e corruzione. Il destino peggiore che si potesse immaginare eraessere gettati nella discarica ardente della Geenaa ed essere lasciati amarcire. Questa fu l’origine dell’immagine cristiana ed ebraicadell’inferno. L’immagine del fuoco e dei vermi è derivata dalla discaricadella Geenna. Si noti che, secondo questa immagina, sono i vermi a nonmorire mai, e il fuoco ad essere perpetuo o eterno. Ogni cosa, e chiunquealtro, nella Geenna muore, si decompone e viene distrutto.La Geenna è l’immagine della distruzione totale, l’estremo opposto dellavita. Se Gesù usò questa immagine, questo è ciò che ebbe in mente. “E nontemete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima; temetepiuttosto colui che può far perire l’anima e il corpo nella Geenna” (Mt10:28). L’inferno è la distruzione dell’anima o dell’intera personalità diuna persona: quella che il Libro della Rivelazione chiama la seconda morte(2:11; 20:6, 14; 21:8). In questo senso alcune persone sono già morte.“Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti” (Mt 8:22 par). Pochissimi,tra loro, trovano la strada verso una vita autentica e genuina: “Entrate perla porta stretta, poiché larga è la porta e spaziosa la via che conduce allaperdizione, e molti sono quelli che entrano per essa. Stretta invece è laporta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che latrovano” (Mt 7:13*-14). Sotto l’influenza dell’idea greca che un’anima sianaturalmente immortale, i cristiani interpretarono la Geenna o inferno comeun luogo di sofferenza perpetua per un’anima disincarnata maindistruttibile. Ma non fu solo il pericolo di una catastrofe personale diquel tipo per tante persone a rendere così urgente la missione di Gesù. Ildisastro sociale e politico verso il quale Israele si dirigeva avrebbecoinvolto tutti – innocenti e colpevoli. Raramente gli innocenti sonorisparmiati in un massacro (Mc 13:14-20). Viene loro consigliato di scappareper salvarsi e di “fuggire sulle montagne” (Mc 13:14-16). L’urgenzaimmediata era prevenire questa tragedia147 incoraggiando tutti gli uomini a147 Gaston, pp. 422-426.

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cogliere l’opportunità di orientare le proprie vite verso il “regno” di Dio.Nella realtà, come sappiamo, fu la catastrofe a giungere, e non il “regno”.Nel 70 E.C. i Romani distrussero Gerusalemme e il Tempio. Nel 135 E.C. essicompletarono la tragedia distruggendo il popolo di Israele ed espellendo gliEbrei dalla Palestina. Fu un massacro spietato che provocò sofferenzeindicibili e perdita di vite umane. Gesù non era stato frainteso; avevafallito, o meglio, la gente non lo aveva capito. Una opportunità unica eraandata perduta. Ma non era assolutamente la fine. Ci sarebbe stata un’altrapossibilità, e un’altra ancora, perché il “regno” di Dio, alla fine, sarebbevenuto – Dio avrebbe avuto l’ultima parola. I primi Cristiani,semplicemente, adattarono la profezia di Gesù alla nuova serie dicircostanze nelle quali si trovarono. Il messaggio di Gesù, come quello diogni altro profeta,148 non era senza tempo. Tuttavia, esso indicava qualcosasugli uomini e su Dio che era così fondamentalmente e definitivamente veroda poter essere reinterpretato in relazione ad altri tempi ed altri luoghi.Quando il messaggio fu portato fuori dalla Palestina, con la sua specificacrisi politica, e più specificamente una volta che i Romani ebbero distruttoil popolo ebraico, si avvertì che il messaggio doveva essere adattato adaltre situazioni, o sicuramente ad ogni e ciascuna situazione. Questo fufatto rendendo apocalittico il messaggio. Non è mio obiettivo in questolibro discutere dei meriti o demeriti di questo processo, ma soltanto notareche questo è ciò che gli evangelisti fecero con il messaggio originale diGesù.Possiamo vedere gli inizi di questo processo si apocalittizzazione delmessaggio ancor prima della distruzione del popolo ebraico, nel vangelo diMarco.149 “Quel che dico a voi lo dico a tutti” (13:37). L’eschaton diventaun evento sovrastorico distinguibile dalla catastrofe storica e politica chestava per accadere (13:7, 10, 29). Il giudizio sovrastorico nell’ultimogiorno è poi usato, nell tipico stile apocalittico, a scopi moralizzatori150

e come una minaccia riguardante l’individuo piuttosto che la società. Matteoporta questo processo molto più avanti, ponendo una grande enfasi sul giornodel giudizio e sulla ripartizione della ricompensa e del castigo.151 Quelloche Gesù ebbe da dire a proposito dell’ultimo giorno non fu apocalittico, fuprofetico. Possiamo recuperare quello che Gesù volle dire agli uomini delsuo tempo, prima del Cristianesimo, soltanto “deapocalitticizzando” ivangeli.

148 Si veda p. 92.

149 Gaston, pp. 41-60.

150 Gaston, pp. 53-60.

151 Joachim Rohde, Rediscovering the Teaching of the Evangelists pp. 48-49, 55, 107-109.

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PARTE QUARTA

IL CONFRONTO

Capitolo 13

La Politica e la Religione

Il fatto più certo e documentato su Gesù di Nazareth è che egli fuprocessato, condannato e giustiziato dal procuratore romano Ponzio Pilatocon l’accusa di alto tradimento. Questo non lo rende unico. Molte migliaiadi ribelli e rivoluzionari ebrei furono crocifissi dai governatori romanidella Palestina in questo periodo. Gli Ebrei, nel complesso, si opponevanoal governo romano, e alcuni di essi, come abbiamo visto, furono impegnati arovesciare i Romani e a restaurare il regno di Israele. Gesù fu giudicatocolpevole di essere coinvolto in una cospirazione di questo genere e,inoltre, di aver affermato di essere il legittimo re degli Ebrei, l’erede altrono, o quello che gli Ebrei avrebbero chiamato il Messia. “Abbiamo trovatoquest’uomo che sovvertiva la nostra nazione, istigava a non pagare i tributia Cesare e diceva di essere lui il Cristo [Messia] re...” (Lc 23:2). Lascritta sopra la sua croce (Il Re degli Ebrei) non lascia dubbi sull’accusache gli fu rivolta. Egli fu colpevole o no? Incitò il popolo alla rivolta?Si oppose al pagamento delle tasse ai Romani? Affermò di essere il re, o ilMessia che avrebbe dovuto governare gli Ebrei al posto di Erode, Pilato oCesare? Progettò di rovesciare il governo?Ad un estremo abbiamo chi afferma che egli fu colpevole (almeno per quantoriguarda le autorità romane), perché egli affermò di essere il Messia evolle dare inizio ad una violenta rivoluzione per rovesciare gliimperialisti romani. Si argomenta che Gesù fu profondamente coinvolto nellapolitica del tempo, e che fondò un movimento religioso-politico nondissimile da quello degli Zeloti.152

Le analogie tra Gesù e gli Zeloti vengono fortemente sottolineate. Uno deidodici era conosciuto come Simone lo Zelota (Lc 6:15; Atti 1:13), e a voltesi afferma che Pietro, Giuda e perfino i figli di Zebedeo siano statianch’essi Zeloti. Inoltre, qualche anno dopo la morte di Gesù, un capo deiFarisei che, in realtà voleva dare una possibilità al movimento di Gesù,ritenne tuttavia che si trattasse di qualcosa di simile al movimento zelotadi Giuda il Galileo (Atti 5:34-39). Ad un certo punto, Paolo fu scambiatoper un noto capo ebreo rivoluzionario proveniente dall’Egitto (Atti 21:37-38). All’estremo opposto abbiamo chi sostiene che Gesù fu del tuttoinnocente da quelle accuse politiche. Egli non volle incitare gli uominialla rivolta, disse loro di pagare le tasse, fu un pacifista e affermò diessere il Messia “spirituale” o re “spirituale” degli Ebrei. Si afferma cheGesù non ebbe nulla a che fare con la politica del tempo, che predicò unmessaggio puramente spirituale e religioso, e che le accuse politiche furonoinventate dai capi ebrei che volevano sbarazzarsi di lui. La verità non sta in un punto tra questi due estremi. La verità è cheentrambe le opinioni sono anacronistiche: entrambe proiettano concetti piùrecenti nella situazione e negli avvenimenti del passato. Gli Ebrei nonfacevano assolutamente alcuna distinzione tra politica e religione. Temi cheoggi classificheremmo come politici, sociali, economici o religiosisarebbero stati tutti pensati in termini di Dio e della Legge. Un problemapuramente secolare sarebbe stato inconcepibile. Uno sguardo veloce al soloNuovo Testamento dovrebbe chiarirlo. Tuttavia possiamo dire che alcuniproblemi del tempo furono del tipo che definiremmo politico, ammesso chericordiamo che, per gli Ebrei del tempo, questi temi sarebbero staticoncepiti in termini della loro religione. In questo senso è possibile direche il rapporto tra Israele e il potere imperiale di Roma fu un problemapolitico, o, se volete, un problema religioso-politico. Se Gesù differì152 Robert Eisler, Jesous Basileus ou Basileusas; Samuel G. F. Brandon, Jesus and the

Zealots, Joel Carmichael, The Death of Jesus.

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dagli Zeloti su questo punto, non può averlo fatto solo perché volevatenersi fuori dalla politica. Per gli Ebrei era una questione religiosa, eci si aspettava che una persona religiosa avesse un’opinione su di esso comeci si aspettava che avesse un’opinione sul sabbath o sul digiuno (si veda Mc12:13-17 parr).Gesù voleva che Israele fosse liberato dall’imperialismo romano così come lodesiderarono gli Zeloti, i Farisei, gli Esseni e tutti gli altri. Gli autoridei vangeli, però, non furono particolarmente interessati all’opinione diGesù su questo tema, perché non riguardava quelli che vivevano fuori dallaPalestina e perché, dopo la caduta di Gerusalemme nel 70 E.C., questo nonera più un tema importante per nessuno. Ma Luca, che volle tornare allefonti originali (Lc 1:1-4), usò un documento che deve essere stato scrittoin Palestina prima della caduta di Gerusalemme. Gli studiosi chiamano questodocumento Proto-Luca, e affermano che moltissimi passi nel vangelo di Luca enegli Atti degli Apostoli sono stati ricavati da questa fonte.153 Qui ciò checi interessa è che Proto-Luca, a differenza della maggior parte delle altrefonti, di riferisce costantemente alla liberazione politica di Israele. InProto-Luca, gli uomini che appaiono alla nascita e nella prima infanzia diGesù sono definiti “tutti quelli che aspettavano la liberazione diGerusalemme” (2:38) o “la consolazione di Israele” (2:25 RSV). La profeziadi Zaccaria (il Benedictus) riguarda il Dio di Israele che porta “laliberazione al suo popolo” (1:68*) e “la salvezza dai nostri nemici, dallemani di tutti quelli che ci odiano” (1:71*), “per renderci senza paura,salvati dalla mano dei nostri nemici” (1:74*). I nemici di Israele sonosenza dubbio i Romani (si confronti con 19:43). La speranza e l’aspettativaespresse qui sono che Gesù “sarebbe stato quello che avrebbe liberatoIsraele” (24:21*).Gesù si accinse ad adempiere a questa aspettativa religioso-politica, anchese non nel modo che gli uomini potrebbero essersi aspettati, e sicuramentenon nel modo in cui gli Zeloti tentarono di adempiere ad essa. Gesù siaccinse a liberare Israele da Roma convincendo Israele a cambiare. Senza uncambiamento del cuore entro Israele stesso, la liberazione da ogni tipo diimperialismo sarebbe stata impossibile. Quello era stato il messaggio ditutti i profeti, compreso Giovanni il Battista. Gesù fu un profeta, e fucoinvolto nella politica proprio come lo erano stati tutti i profeti. Maquale tipo di cambiamento avrebbe liberato Israele? Secondo Proto-Luca inparticolare, Gesù si impegnò tantissimo a convincere gli Ebrei dellaPalestina che il loro presente atteggiamento di risentimento e rancore erasuicida. Egli disse loro di leggere i segni dei tempi (12:54-56) e digiudicare da sé (12:57) invece di basarsi su quello che gli Zeloti e altriavevano detto loro. Nel contesto, questi sono i segni di una catastrofeimminente – “una nuvola che viene su da ponente” (12:54).È in Proto-Luca che la catastrofe è descritta nel modo più chiaro e coerentecome una sconfitta militare per Israele, nella quale Gerusalemme sarebbestata circondata dai suoi “nemici” (19:43), ossia “da eserciti” (21:20), ele “aquile” romane si sarebbero radunate intorno alla carcassa di Israele(17:37).154 Nessuna valutazione della situazione poteva essere più diversadalle aspettative degli Zeloti. “Se non cambierete perirete tutti allostesso modo” (13:3, 5*). Siccome non sarebbero riusciti a sconfiggere iRomani in una battaglia militare, poiché non sarebbero riusciti a perorarela propria causa contro i loro oppositori, l’unica cosa sensata da fare erariconciliarsi con essi (12:58). Secondo Gesù, l’unico modo per liberarvi daivostri nemici era amare i vostri nemici, fare del bene a chi vi odia,pregare per chi vi tratta male (6:27-28). Questo non significa rassegnarsiall’oppressione romana, né significa cercare di ucciderli con gentilezza.153 P. Feine, Eine vorkanonische Uberliefering des Lukas, Gotha, 1891; B. H. Sheeter,

The Four Gospels, London, 1924, pp. 201-222; Vincent Taylor, Behind the Third Gospel,Oxford: Clarendon Press, 1926; H. Sahlin, Der Messias und das Gottesvolk, Uppsala,1945; Lloyd Gaston, No Stone on Another, pp. 243-256.

154 La parola greca è “aquila” (aetos) non “avvoltoio”, anche se è dubbio che in aramaicosi facesse una distinzione tra le due. L’aquila era il simbolo militare romano, vistaqui come indistinguibile da un avvoltoio che divora una carogna. Si veda Gaston, p.353.

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Significa scendere alla radice di ogni oppressione e dominio: la mancanza dicompassione da parte dell’umanità. Se il popolo di Israele avesse continuatoad essere carente di compassione, la sconfitta dei Romani avrebbe resoIsraele più libero di prima? Se gli ebrei avessero continuato a viveresecondo i valori terreni del denaro, del prestigio, della solidarietà digruppo e del potere l’oppressione romana non sarebbe stata sostituita da unaoppressione ebraica egualmente priva di amore?Gesù era preoccupato molto di più della liberazione di quanto non lo fosserogli Zeloti. Essi desideravano un semplice cambiamento di governo – da romanoad ebraico. Gesù voleva un cambiamento che avrebbe condizionato ogni settoredella vita e avrebbe raggiunto gli assunti più fondamentali degli ebrei edei romani. Gesù voleva un mondo qualitativamente diverso – il “regno” diDio. Non gli sarebbe bastata la sostituzione di un regno terreno con unaltro regno terreno. Quella non sarebbe assolutamente stata una liberazione.Gesù vide ciò che nessun altro riuscì a vedere: che vi era più oppressione esfruttamento economico dentro all’Ebraismo che fuori di esso. Gli ebrei diclasse media che si ribellavano a Roma erano loro stessi oppressori deipoveri e dei non istruiti. Gli uomini dovevano soffrire molto di più a causadell’oppressione degli scribi, dei Farisei, dei Sadducei e degli Zeloti cheper colpa dei Romani. La protesta contro l’oppressione romana era ipocrita.Questo è il significato della famosa risposta di Gesù sul pagamento delletasse a Cesare. In pratica, il governo romano significava tassazione romana.Per la maggior parte degli ebrei, pagare le tasse al sovrano romanosignificava dare a Cesare quello che apparteneva a Dio, ossia il denaro egli averi di Israele. Ma per Gesù questa era una razionalizzazione, unascusa ipocrita per l’avarizia. Non aveva nulla a che vedere con il veroproblema. “«È lecito, o no, pagare il tributo a Cesare? Dobbiamo darlo o nondarlo?». Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché mitentate? Portatemi un denaro, ché io lo veda». Essi glielo portarono ed eglidisse loro: «Di chi è questa effigie e questa iscrizione?» Essi gli dissero:«Di Cesare». Allora Gesù disse loro: «Rendete a Cesare quel che è di Cesaree a Dio quel che è di Dio». Ed essi si meravigliarono di lui” (Mc 12:14-17).La risposta di Gesù rivela non solo l’ipocrisia e l’insincerità delladomanda, ma anche il vero motivo alla base del problema delle tasse:l’avidità per il denaro. Le persone che rivolgono la domanda sono essestesse in possesso di monete romane. Le monete erano considerate proprietàpersonale del sovrano che le emetteva.155 Questa moneta riportava il nome diCesare e la sua immagine. Non è il denaro di Dio, ma il denaro di Cesare! Serifiutate di rendere a Cesare quello che gli appartiene può essere soloperché siete amanti del denaro. Se davvero aveste voluto dare a Dio ciò cheGli apparteneva avreste venduto tutti i vostri averi e dato il denaro aipoveri, avreste abbandonato il vostro desiderio di potere, prestigio e ivostri averi. Il vero problema era l’oppressione in sé e non il fatto che unpagano romano osasse opprimere il popolo eletto di Dio. La radicedell’oppressione era la mancanza di compassione propria degli uomini. Coloroche risentivano dell’oppressione romana ma ignoravano la propria stessaoppressione dei poveri erano carenti di compassione esattamente quanto iRomani, se non di più.Considerata in termini di compassione, l’avversità del dover pagare le tassead un governo romano invece che ad un governo ebraico, e l’avversità delvedere la propria sensibilità religiosa a volte offesa dall’invasore paganoerano minime in confronto alle avversità sofferte dai poveri e dai peccatoriper mano dei loro concittadini ricchi e virtuosi. Entrambe le difficoltàdovevano essere eliminate, ma Gesù era molto più sensibile ai problemi deipoveri e dei peccatori. Gesù spostò l’enfasi dall’oppressione dei Romaniall’oppressione attuata dai Farisei e dai Sadducei (e, per implicazione,dagli Zeloti e dagli Esseni). Facendo questo, Gesù non evitava il problemapolitico. Perché, come ha evidenziato Segundo, “localizzare ‘l’elementopolitico’ del periodo di Gesù nelle strutture dell’Impero Romano perché è155 Alan Richardson, The Political Christ, p. 47. Una delle prime cose che gli Zeloti

fecero dopo aver rovesciato i Romani nel 66 E.C. fu coniare nuove monete – monete sucui era iscritto “Per la Liberazione di Sion” e “Libertà di Sion”. Si veda Brandon,Jesus and the Zealots, p. 353.

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ciò che più somiglia a un impero politico moderno... è un anacronismo”. Egliprosegue spiegando: “La vita politica, l’organizzazione civica dellemoltitudini ebraiche, i loro oneri, la loro oppressione... dipendeva moltomeno dall’Impero Romano e molto più dalla teologia che governava nei gruppidegli scribi e dei Farisei. Essi, e non l’Impero, imposero ai deboli deglioneri intollerabili... stabilendo in questo modo la vera strutturasociopolitica di Israele. In tal senso, la contro-teologia di Gesù fu moltopiù politica di quanto avrebbero mai potuto essere le dichiarazioni o leazioni contro l’Impero Romano”.156 Inoltre, le lotte degli Zeloti non avevanoassolutamente nulla a che fare con l’autentica liberazione. Essicombattevano per il nazionalismo ebraico, per la razza ebraica, lasuperiorità degli Ebrei e il pregiudizio religioso ebraico. La veraliberazione significa abbracciare la causa degli uomini in quanto esseriumani. Amare i vostri nemici è vivere in solidarietà con tutti gli uomini eabbracciare la causa degli uomini in quanto esseri umani. La rivoluzione cheGesù voleva fare era molto più radicale di qualsiasi cosa gli Zeloti ochiunque altro avessero potuto avere in mente. Ogni sfera della vita –politica, economica, sociale e religiosa – fu messa radicalmente indiscussione da Gesù e capovolta. Le idee attuali su cosa fosse giusto e equofurono dimostrate prive di amore, e quindi contrarie alla volontà di Dio.Troviamo esempi di questo nella parabola dei lavoratori nella vigna (Mt20:1-15) e nella parabola del figliol prodigo (Lc 15:11-32). I lavoratoriche hanno svolto “una pesante giornata di lavoro nella calura” si lamentanoperché altri hanno ricevuto la stessa paga per aver lavorato soltantoun’ora. In realtà sembra iniquo e ingiusto, davvero non etico. Ma non ècosì. Un denaro è una paga giusta per una giornata di lavoro, e questo è ciòsu cui si erano accordati. Ma il datore di lavoro, come Dio, era stato mossodalla compassione per i numerosi disoccupati che aveva trovato nella piazzadel mercato, e per autentico interesse nei confronti loro e delle lorofamiglie157 li aveva assunti per il resto della giornata, e aveva pagato adessi un salario che non era proporzionale al lavoro svolto, ma eraproporzionale alle loro necessità e a quelle delle loro famiglie. Quelli cheavevano lavorato tutto il giorno non condivisero la compassione del padroneper gli altri, e di conseguenza si lamentarono. La loro “giustizia”, come la“giustizia” degli Zeloti e dei Farisei, è senza amore.158 Essi invidianol’altrui fortuna e, come Giona, si dolgono della compassione e dellagenerosità di Dio nei confronti degli altri.Nello stesso modo nella parabola del figliol prodigo il figlio maggiore, cheaveva lavorato fedelmente per suo padre “tutti questi anni” e non disobbedìnemmeno una volta agli ordini di suo padre (come gli Zeloti e i Farisei) èindignato quando sente che suo padre ha ucciso il vitello grasso e stafacendo una festa per il suo fratello peccatore. Il figlio maggiore noncondivide la compassione di suo padre per il figlio perduto. Quindi senteche suo padre è ingiusto. Se dobbiamo usare delle categorie, come politica ereligione, e se le dobbiamo usare nel senso che esse oggi generalmentehanno, dovremmo dire che Gesù non criticò gli Zeloti perché erano troppopolitici: li criticò, insieme ai Farisei e agli Esseni, perché erano tropporeligiosi. Gli Zeloti erano religiosi in modo fanatico. Fu il loro zelo perla legge di Dio a spingerli ad assassinare gli ebrei che tradivano la lororeligione (e, di conseguenza, il loro popolo) e a prendere le armi control’invasore pagano. Gli Zeloti desideravano seguire l’esempio di Fineas, ilquale, quando uccise un ebreo per aver giaciuto con una donna pagana, fulodato per il proprio zelo religioso (Num 25:6—13).159 Quel che portò i

156 “Capitalism-Socialism: A Theological Crux” in Concilium, Gennaio 1974, p. 118.

157 Joachim Jeremias, The Parables of Jesus, p. 139.

158 C’è una parabola molto simile nel Talmud di Gerusalemme (circa 325 C.E.). Ma ladifferenza fondamentale è che nella parabola rabbinica la “giustizia” è salvaguardatadal fatto che si dice che il lavoratore che lavorò solo due ore fece più lavoro inquel tempo di quanto gli altri avevano fatto in tutta la giornata. Si veda Jeremias,pp. 138-139.

159 Si veda Brandon, pp. 43-44.

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Farisei a perseguitare ed opprimere i poveri e i peccatori fu il fanatismoreligioso. L’odio degli Esseni per gli ebrei impuri era ispirato dallareligione.Ci è difficile immaginare il trauma con cui la parabola del pubblicano e deifariseo deve essere stata ricevuta (Lc 18:9-14). Il fariseo è raffiguratocome un uomo esemplare di religione. Egli fa ancor più di quello che lalegge gli chiede: digiuna due volte alla settimana. Non viene suggerito cheegli fu un ipocrita. Non chiede che la sua virtù sia riconosciuta, ringraziaDio per essa. Il pubblicano, o esattore delle tasse, d’altro canto, purchiedendo misericordia a Dio, non tenta di fare ammenda e restituire tuttoil denaro che ha rubato. Il verdetto di Gesù su questi due uomini deveessere suonato oltraggioso. Il peccatore compiace Dio e l’uomo virtuoso no.Perché? Perché il peccatore non si esaltò, e il virtuoso lo fece. Il fariseoosò considerarsi superiore ad altri, come l’esattore delle tasse: “io nonsono come gli altri uomini... neppure come questo esattore delle tasse”.Questa non è tanto una questione di orgoglio, quanto incapacità di vedere lacompassione di Dio nei confronti degli uomini. Senza la compassione, tuttele pratiche e le credenze religiose sono inutili e vuote (1 Cor 13:1-3).Senza la compassione ogni politica sarà oppressiva, perfino le politichedella rivoluzione. Una delle cause fondamentali dell’oppressione, delladiscriminazione e delle sofferenze in quella società fu la sua religione –la religione senza amore dei Farisei, Sadducei, Esseni e Zeloti, lareligione degli uomini. E nulla è più difficile da cambiare dello zeloreligioso. La pietà e le opere buone dello zelante uomo religioso fanno sìche egli senta che Dio è dalla sua parte. Egli non aveva bisogno dellamisericordia e del perdono di Dio; erano gli altri ad averne bisogno. Ilpeccatore, d’altro canto, era perfettamente consapevole del suo disperatobisogno di misericordia e perdono (Lc 18:13) e del suo bisogno di cambiarela sua vita. Quando a un uomo che sa di avere un grande debito viene offertoil perdono, egli è estremamente riconoscente e grato (Lc 7:41-43, 47).Gesù scoprì presto che era l’uomo religioso zelante, e non il peccatore o ilromano pagano, a costituire un ostacolo alla venuta del “regno” dellaliberazione totale. Gesù deve aver visto questo innanzitutto nella reazionedegli uomini alla profezia di Giovanni il Battista. I maestri dellareligione non erano disposti ad accettare il fatto che Israele si dirigevaalla distruzione (Mt 21:25-26, 32). Perché Dio avrebbe voluto punire loroinvece dei Gentili e dei peccatori? I peccatori, d’altra parte, si recaronoa frotte da Giovanni per riceve il battesimo, poiché non avevano motivo didubitare che una catastrofe fosse imminente. Dopotutto, sapevano di esseredei peccatori.Per come Gesù la vedeva, i maestri della religione privi di amore erano gliuomini che avevano detto “sì” a Dio e avevano promesso di obbedirGli (Mt21:28-31), ma nel momento di crisi, quando un “regno” di compassione e difratellanza viene offerto loro, rifiutano di unirsi alla festa (come ilfiglio maggiore nella parabola – Lc 15:28), e presentano delle scuse (comegli invitati al grande banchetto – Lc 14:16-24 par). Le prostitute e glialtri peccatori in origine avevano detto “no” a Dio, ma nel momento dellacrisi, quando Gesù rivela la compassione ed il perdono di Dio, sono dispostiad accettare il “regno”. Certamente, la cosa più sorprendente nei vangeli èche Gesù predicò un “regno” religioso-politico dal quale gli “uomini” dellareligione (gli Zeloti, i Farisei, gli Esseni e i Sadducei) sarebbero statiesclusi, o meglio, dal quale essi si sarebbero volontariamente esclusi.Secondo Matteo Gesù disse loro che “gli esattori delle tasse e le prostituteentrano nel regno di Dio, e voi no” (Mt 21:31).160 Il fatto che i “figli delregno” debbano essere lasciati fuori (Mt 8:12 par) mentre i “nemici” di Dio,i peccatori e i pagani, si affrettavano a farsi strada con la forza in essodeve essere sembrata una “violazione” di ogni giustizia ed equità. Questodeve anche essere stato il significato originale dell’enigmaticaaffermazione di Gesù: “La legge e i profeti hanno durato fino a Giovanni; daquel tempo è annunciata la buona notizia del regno di Dio, e ciascuno vi

160 La parola proagousin ha un significato esclusivo (invece di voi) e non un significatotemporale (prima di voi), secondo Jeremias, p. 125.

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entra a forza [= e ciascuno è spinto in esso con la forza]”161 (Lc 16:16*).“Dai giorni di Giovanni il Battista fino a ora, il regno dei cieli è preso aforza [= subisce una forte pressione] e i violenti [= quelli che si fannostrada in esso a forza] se ne impadroniscono. Poiché tutti i profeti e lalegge hanno profetizzato fino a Giovanni” (Mt 11:12).La violenza, qui, non significa spargimento di sangue e l’uso delle armi.Significa non usare i canali normali – la legge e i profeti. L’immagine èquella delle folle (ciascuno e tutti) che entrano nel caos in una città inun modo che ai legittimi cittadini (i Farisei) sembra illegale ed ingiusto.La frequentazione di Gesù con i peccatori nel nome di Dio, e la sua fiduciache essi avevano l’approvazione di Dio, mentre i virtuosi non l’avevano,erano una “violazione” di tutto ciò che Dio, la religione, la virtù e lagiustizia avevano significato. Ma allora Gesù non era impegnato in unarinascita religiosa; egli era impegnato in una rivoluzione – una rivoluzionenella religione, nella politica e in tutto il resto. Sarebbe statoimpossibile, per gli “uomini” dell’epoca di Gesù, averlo ritenuto un uomoprincipalmente religioso che rimase lontano dalla politica e dallarivoluzione. Essi lo avrebbero considerato un uomo blasfemo e irreligiosoche, sotto la copertura della religione, minava tutti i valori sui qualierano basate la religione, la politica, l’economia e la società. Ma cheavrebbero pensato i Romani di tutto questo? L’avrebbero ritenuta una oscuradivergenza di opinione tra i “nativi” di questa specifica colonia? Inrealtà, la questione fu mai riportata loro?Gesù disapprovava l’oppressione romana come faceva qualsiasi ebreo, sebbeneper motivazioni diverse. Egli disapprovava il loro modo di “fare sentirel’autorità” e il loro modo di “signoreggiare sui loro sottoposti” (Mc10:42). Ma egli immaginò di cambiare questo cambiando Israele, così cheIsraele potesse presentarsi ai Romani con un esempio vivente dei valori edegli ideali del “regno”. Egli non pensò che mettere i Romani in confrontoimmediato e diretto con il “regno” di Dio avrebbe risvegliato in loro lacompassione e la fede necessarie. Tuttavia, Gesù, infine, sentì che sarebbestato necessario confrontarsi con quegli ebrei che collaboravano con Roma: isommi sacerdoti e gli anziani, i capi del popolo, che appartenevano alpartito dei Sadducei. Finora Gesù aveva criticato gli uomini di regione, inparticolare gli scribi e i Farisei; ora deve confrontarsi con gli uominid’affari, le autorità ebraiche a Gerusalemme. Non perché collaboravano conRoma, ma perché sfruttavano i poveri. Adesso dobbiamo affrontare la storiadi questo confronto – il confronto che lo portò ad una morte violenta.

161 J. Duncan M. Derrett, pp. 187-191. Si veda inoltre Jeremias, New Testament Theology, pp. 111-112.

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Capitolo 14

L’Episodio nel Tempio

Tutte le prove indicano un punto di svolta definito, per quanto in qualchemodo misterioso, nella vita di Gesù. Sebbene non si interessino in modoparticolare alle cause ed effetti storici, i vangeli e le tradizioni allabase di questi sono tutti consapevoli di un cambiamento della situazione, adun qualche punto del percorso. Il loro interesse in questo cambiamento èteologico piuttosto che storico. Ogni autore desidera farci capire chel’opposizione a Gesù da parte dei capi dell’Ebraismo raggiunse un apice eche, allo stesso tempo, le aspettative messianiche di molti uomini finironoper concentrarsi nettamente su Gesù, mentre quest’ultimo, a questo punto, siritirò in un luogo isolato insieme ai suoi discepoli, dedicò maggioreattenzione alla loro istruzione e si preparò ad andare a Gerusalemme amorire.162

Il problema, da un punto di vista storico, è l’anello mancante che spiegacome Gesù sia improvvisamente diventato così famoso e senza dubbioconosciuto. La sua attività ed il suo insegnamento, di per sé, eranoabbastanza esplosivi, ma in che modo lui e le sue intenzioni divennero notiin modo sufficientemente ampio da essere di interesse nazionale, così che leautorità abbiano voluto arrestarlo e il popolo abbia desiderato fare di luiil Messia-Re? Perché dovette nascondersi e diventare un latitante, e cosa lorese così sicuro che lui e suoi seguaci sarebbero deceduti di morteviolenta? La risposta è stata fornita da una delle rare brillanti scopertenella storia dello studio del Nuovo Testamento.Etienne Trocme, prima in un articolo e poi in un libro su Gesù,163 hadimostrato che l’episodio del Tempio non avvenne nell’ultima settimana divita di Gesù, ma durante una precedente visita a Gerusalemme. L’approccioschematico di Marco, in cui ogni cosa avvenuta in Galilea viene narrataprima di tutto ciò che successe a Gerusalemme, ha sviato non soltanto Luca eMatteo ma tutti i successivi studiosi dei vangeli. Giovanni, che ha il suoapproccio schematico centrato sulla Giudea e su Gerusalemme, pone l’episodiodel tempio da qualche parte vicino all’inizio del ministero di Gesù (2:13—22). Giovanni è interessato alla cronologia ancora meno di Marco, ma la suacollocazione dell’episodio indica che non è necessario associarlo all’ultimavisita di Gesù a Gerusalemme: esso non faceva parte delle narrazionioriginali della passione.Si è sempre capito che Gesù deve aver viaggiato avanti e indietro tra laGalilea e Gerusalemme e che egli ebbe dei discepoli a Gerusalemme e in

162 Marco costruisce l’opposizione degli scribi, dei Farisei e degli erodiani a Gesù(2:6,16, 24; 3:2, 6, 22; 7:1-2; 8:11,15). Poi, dopo vari riferimenti al ritiro di Gesùdalle folle e dai villaggi della Galilea (7:24, 31; 8:22, 27), porta la prima partedel suo vangelo ad un climax con la cosiddetta “confessione” di Pietro del ruolomessianico di Gesù (8:27-30), che è seguita dalle istruzioni impartite ai suoidiscepoli a proposito della sua morte imminente (8:31-32; 9:30-32; 10:33-34) edall’inizio del suo viaggio verso Gerusalemme (10:1, 32, 46). Matteo segue Marco. Eglivede l’opposizione come quella dei Farisei e dei Sadducei invece che dei Farisei edegli erodiani (16:1, 6, 11, 12) e tuttavia afferma che il motivo del ritiro di Gesùfu l’esecuzione di Giovanni il Battista ordinata da Erode (14:13). Anche Luca segueMarco, anche se per lui i principali oppositori sono semplicemente gli scribi e iFarisei (ad es., 5.17, 21 30- 6:2). D’altro canto, in Luca sono i Farisei ad avvisareGesù che Erode vuole ucciderlo e che, perciò, gli consigliano di nascondersi (13:31).Ma secondo Luca Gesù non si preoccupava delle minacce di Erode, perché sapeva di dovermorire a Gerusalemme (13:32-33). Da qui il lungo viaggio verso Gerusalemme (9:51;10:38; 13:22; 17:11; 18:35; 19:1, 11, 28). Giovanni è indipendente da Marco. Egli nonè particolarmente interessato ai vari “partiti” tra i capi di Israele. Gli oppositoridi Gesù sono semplicemente gli Ebrei (ad es., 2:18; 5:10, 16, 18, 6:41, 52) o iFarisei (ad es., 7:32; 8:13; 9:14, 15, 40). Il punto di svolta per Giovanni e ilmotivo per cui Gesù si nascose fu la decisione del Sinedrio che Gesù doveva morire(11:45-54).

163 “L’Expulsion des Marchands du Temple” in New Testament Studies 15 (1968-9), pp. 1-22ed Etienne Trocme, Jesus as Seen by His Contemporaries, pp. 110-115.

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Giudea così come in Galilea.164 Il contributo di Trocme fu evidenziare chel’episodio del Tempio avvenne durante una visita precedente a Gerusalemme, eche esso fornisce l’anello che manca a metà dei vangeli sinottici. Questo ful’episodio che fece di Gesù una figura pubblica, conosciuta e discussa intutta la nazione.Cosa successe nel Tempio? La cosiddetta “purificazione” un colpo da maestrooppure una conquista del Tempio come primo passo verso la conquista diGerusalemme, come hanno sostenuto alcuni autori.165 Né, d’altra parte, essaebbe alcunché a che fare con i riti e le cerimonie sacrificali che sisvolgevano nel Tempio,166 né con la vaga aspettativa ebraiche che il cultodel Tempio sarebbe stato purificato dal Messia negli ultimi giorni. Gesùpassò all’azione nel grande cortile dei Gentili e non nel Luogo Santo in cuisi offrivano i sacrifici, e passò all’azione a causa dei commercianti e deicambiavalute. In altre parole la sua preoccupazione, come ci si puòbenissimo aspettare da quanto abbiamo visto finora, non fu conquistare ilpotere o purificare il rituale. Questa preoccupazione fu l’abuso del denaroe del commercio. Ci sono molte prove esterne ai vangeli a favoredell’esistenza di un commercio in forte crescita degli animali da sacrificionel grande cortile del Tempio.167 Ci sono anche prove secondo le quali icommercianti ricavarono un vantaggio dalla domanda di animali puri per isacrifici devozionali alzando i prezzi – a volte fino a vette esorbitanti.168

I cambiavalute devono essersela passata molto bene anche loro. Ogni maschioebreo doveva spendere una certa proporzione del proprio reddito aGerusalemme169 e la maggior parte dei pellegrini ebrei sarebbe arrivata condella moneta estera. Questo è quel che Gesù vide nel tempio. Questo è ciòche accese la sua ira. Egli non fu impressionato dalla grandiosità degliedifici e dei colonnati (Mc 13:1-2 parr) ed ignorò l’elaborato rituale e lacerimonia.170 Egli notò soltanto la vedova che diede la sua ultima moneta (Mc12:41-44 par) e lo sfruttamento economico della devozione e della pietàdegli uomini. Qui c’erano mercanti e cambiavalute che servivano Mammona inmodo eclatante invece di Dio – con il permesso, forse con la connivenza eprobabilmente per il profitto dei sommi sacerdoti che amministravano la Casadi Dio. Gesù era deciso a fare qualcosa a questo proposito. La suacompassione per i poveri e gli oppressi sfociò ancora una voltanell’indignazione e nella rabbia.Secondo Marco Gesù notò queste cose un pomeriggio, quando era già troppotardi nella giornata per farci qualcosa (11:11). Così il giorno seguenteegli tornò, presumibilmente dopo aver radunato una folla di sostenitori chelo aiutasse. Da solo non sarebbe mai riuscito ad espellere i commercianti ei cambiavalute, sicuramente molto contrari. Questo significa che l’azione diGesù fu premeditata e pianificata. Non si trattò di un impulso momentaneodel tipo di cui dopo ci si pente. Gesù e i suoi sostenitori obbligarono icommercianti e i cambiavalute, insieme alla loro mercanzia e al denaro, alasciare il cortile. Secondo Giovanni, Gesù usò una frusta (2:15). Anche isuoi seguaci avevano delle fruste, oppure brandirono le spade? Non losappiamo. Gesù deve aver messo delle guardie agli ingressi del cortile nonsolo per impedire ai commercianti arrabbiati di tornare ma anche per attuareil suo ordine (del quale Marco ci informa) che nessuno portasse alcunchéattraverso il cortile (11:16). Il cortile, presumibilmente, era stato usatocome scorciatoia per la consegna delle merci da una parte all’altra di

164 Oltre al Vangelo di Giovanni si veda Mc 10:47; 11:1-6; 14:3,1315; 15:43.

165 Joel Carmichael, pp. 111-133; Samuel G. F. Brandon, Jesus and the Zealots, pp. 331-336, 350-351.

166 Cf. Lloyd Gaston, No Stone on Another, p. 85.

167 Joachim Jeremias, Jerusalem in the Time of Jesus, pp. 48-49.

168 Jeremias, pp. 33-34.

169 Jeremias, p. 134.

170 Gaston, p. 102.

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Gerusalemme. L’operazione deve aver creato un tumulto immediato. Si è spesso chiesto perché l’ubiqua polizia del Tempio o la guarnigioneromana nella fortezza che dominava il cortile non siano intervenute.Temevano forse che un intervento armato potesse innescare una rivolta?Oppure intervennero?Alcuni autori hanno avuto la bizzarra idea che Gesù e i suoi discepoliabbiano coinvolto la polizia del Tempio, e forse addirittura la guarnigioneromana, in battaglia, e che per un poco Gesù abbia tenuto loro testa e abbiamantenuto il controllo del tempio.171 Questo è storicamente impossibile, nonsolo perché non concorda con quello che Gesù aveva detto e fatto fino a quelmomento né con gli eventi successivi, ma anche perché questo sarebbe statosicuramente annotato negli annali dello storico ebreo Giuseppe Flavio comeun evento di notevole importanza politica e militare. Mi sembra che lapolizia del Tempio, probabilmente, sia intervenuta, ma solo per mantenerel’ordine finché i sommi sacerdoti e gli scribi potessero arrivare enegoziare una soluzione pacifica al problema. In altre parole, Gesù nonresistette alla polizia, né questa insistette che ai commercianti e aicambiavalute fosse permesso di ritornare. Il problema del diritto odell’autorità di Gesù a scacciarli doveva essere negoziato con i funzionaridel tempio. Da qui il passo nei vangeli sinottici sull’autorità di Gesù e,in Giovanni, sulla richiesta di un segno. “Con quale autorità fai questecose? O chi ti ha dato l’autorità di fare queste cose?” (Mc 11:28 parr).“Quale segno puoi mostrarci per giustificare quello che hai fatto?” (Gv2:18).Tutto sarebbe dipeso dalla risposta che egli diede a questa domanda. Eglinon aveva un’autorità ufficiale all’interno del sistema, e non fecedirettamente appello all’autorità di Dio, come avrebbero fatto i profeti. Isommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani non volevano impegnarsi sul temadel battesimo di Giovanni. Gesù era riluttante nello stesso modo adimpegnarsi sul problema dell’autorità. Le cose giuste o sbagliate che avevafatto non potevano affatto essere determinate facendo appello ad una qualcheautorità. La sua azione doveva essere giudicata per i suoi meriti. Non eranonecessari dei segni di conferma. Gli eventi futuri (la venuta di un nuovotipo di Tempio, o “regno”, o del “figlio dell’uomo”) avrebbero dimostratoche lui aveva ragione. Fu senz’altro mentre Gesù predicava nel Tempio, in questa occasione odurante qualche altra visita a Gerusalemme che egli parlò della catastrofeimminente come della distruzione della città e del suo Tempio, e parlò del“regno” come di un nuovo tipo di Tempio. In altre parole, la suapredicazione a Gerusalemme seguiva il modello usuale: un appello urgente alcambiamento immediato (metanoia), un ammonimento riguardante lecatastrofiche conseguenze del mancato cambiamento ed una promessa di unnuovo Tempio o comunità se vi fosse stato un cambiamento immediato. Ma, comei profeti del passato, le sue parole furono interpretate come delle profeziecontro il Tempio, la città e la nazione, e come una formulazione di ridicolepromesse su un nuovo Tempio nell’immediato futuro. Quello che deve averpreoccupato ancora di più le autorità fu l’influenza che egli sembrò averesul popolo, e il numero di uomini che sembravano credere a questopresuntuoso galileo del quale, probabilmente, non avevano mai sentitoparlare finché non creò trambusto nel mercato del Tempio. All’improvvisoGesù era diventato una figura di importanza nazionale. Non poteva più essereignorato. I capi del popolo avrebbero dovuto decidere della sua sorte. Gli avvenimenti che portarono all’esecuzione di Gesù ci sono stati trasmessisicuramente in modo molto confuso. Ma se dobbiamo affidarci unicamente suciò che, degli elementi disponibili, si raccoglie con certezza, dovremmodire che, qualche tempo dopo l’episodio del Tempio, e prima che Gesù fossearrestato, almeno alcune delle autorità di Gerusalemme cospirarono edecisero di eliminarlo. Giovanni presenta la famosa scena della cospirazione(11:47-52) nella quale il sommo sacerdote, Caifa, ad un incontro dei sommisacerdoti e dei Farisei, afferma: “Come sia meglio che muoia un solo uomoper il popolo e non perisca la nazione intera” (11:50*). I dettagli di

171 Si veda la nota 4 in precedenza.

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questa scena in Giovanni possono non essere, e probabilmente non furono maiintesi come, una accurata versione storica di quel che accadde all’incontro.Ma il fatto che vi sia stata una cospirazione di quel genere è attestatodalla versione indipendente dell’incontro che troviamo negli altri trevangeli (Mc 14:1-2; Mt 26:3-5; Lc 22:2) e dal fatto che, ad un certo punto,Gesù divenne un latitante. Gesù deve aver saputo che intendevano arrestarlo.Poco dopo l’episodio del Tempio egli si ritirò e andò a nascondersi (Gv8:59; 10:39; 12:36). Non poteva più muoversi pubblicamente (Gv 11:54) e fuobbligato a lasciare Gerusalemme e la Giudea (Gv 7:1). Ma non era al sicuroneanche in Galilea. Ora anche Erode voleva il suo sangue (Lc 13:31; Mc 6:14-16 par). Non poteva più aggirarsi pubblicamente nei villaggi della Galilea(Mc 9:30). E quindi vaga con i suoi discepoli fuori dalla Galilea: dal latoopposto del lago, nelle regioni di Tiro e Sidone, nella Decapoli e nellevicinanze della Cesarea di Filippo (Mc 7:24, 31; 8:22, 27). Ad un certopunto tornò dal lato lontano del Giordano (Mc 10:1; Mt 19:1; Gv 10:40).La geografia, qui, può non essere poi così accurata, ma difficilmente si puòdubitare che Gesù vagò fuori dal suo paese come un fuggitivo e un esiliato.Quando, infine, fece ritorno a Gerusalemme, dovette ricorrere a dei sistemiper restare in incognito. Ai suoi discepoli fu detto di incontrare un uomoche avrebbe portato una brocca d’acqua. Essi dovevano seguirlo in una casanella quale il proprietario avrebbe mostrato loro una stanza, in cuiavrebbero dovuto prepararsi per il pasto della Pasqua ebraica (Mc 14:1216parr). Mentre era a Gerusalemme, Gesù trascorse ne notti fuori dalla città,a Betania (Mc 11:11; 14:3), Efraim (Gv 11:54) o nel Getsemani (Mc 14:32parr). Durante il giorno, egli cercava la sicurezza delle folle nel cortiledel Tempio (Lc 21:37-38). Sapeva che non avrebbero osato arrestarlo in mezzoalle folle che si riunivano per la fesitività, “perché non succeda untumulto di popolo” (Mc 14:2 parr; Lc 20:19). L’episodio del Tempio avevaobbligato Gesù e i suoi discepoli a cambiare interamente il loro stile divita. Una delle migliori indicazioni di questo fatto fu il mutatoatteggiamento verso l’atto di portare le spade. “Gesù disse ai suoidiscepoli: «Quando vi mandai senza borsa, senza sacca da viaggio e senzacalzari, vi è forse mancato qualcosa?» Essi risposero: «Niente». Ed eglidisse loro: «Ma ora, chi ha una borsa, la prenda; così pure una sacca; e chinon ha spada, venda il mantello e ne compri una»” (Lc 22:35-36). All’inizioessi poterono contare sulla cordialità e sull’ospitalità delle persone. Orasi trovavano in costante pericolo, e sarebbe stato difficile sapere di chiera possibile fidarsi. Erano dei ricercati in qualsiasi momento potevanoessere riconosciuti e catturati. Avrebbero dovuto essere pronti a difendersicon le spade!172 Non sappiamo per quanto tempo Gesù e i suoi discepoli furono “fuggiaschi”.Sappiamo che egli impiegò il tempo per istruire i suoi discepoli in modo piùapprofondito sul mistero del “regno” (Mc 4:11 parr; 9:31). Queste istruzionipossono aver compreso dei piani per la struttura del “regno” prossimo. Diosarebbe stato il Sovrano. Gesù avrebbe avuto un qualche ruolo di leadershipsubordinato a Dio. Dodici suoi seguaci avrebbero dovuto assumersi ognuno laresponsabilità di una diversa parte della comunità di Israele,corrispondente alle dodici tribù originali. “... Sarete seduti su dodicitroni a giudicare le dodici tribù d’Israele” (Mt 19:28 = Lc 22:30). Matteointerpretò questa frase come un riferimento al giudizio finale. Luca no.Giudicare, nella Bibbia, significa governare, e qui l’idea sembra essere chei dodici sarebbero stati governatori nel “regno”, condividendo con Gesù labasileia, o potere di governo di Dio (Lc 22:29-30).Forse questo è il contesto nel quale i dodici iniziarono a discutere su chifosse il più grande e chi avrebbe seduto alla sua destra e alla sua sinistra(Mc 9:33-37 parr; 10:35-40 par). Conosciamo la sua risposta. Quelli cheavranno una posizione di potere nel regno “regno” dovranno usarla perservire gli altri (Mc 9:35; 10:41— 45) e dovranno farsi piccoli come bambiniin status e rango (Mt 18:1-4). Non possiamo essere certi che questo tipo dipianificazione della struttura del “regno” ebbe luogo mentre Gesù eralatitante, anche se Marco pone queste “istruzioni” rivolte ai “dodici” nelperiodo del vagabondaggio fuori dalla Galilea o in quello in incognito in172 Si veda Oscar Cullmann, The State in the New Testament, pp. 31-34.

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Galilea (7:24, 31; 8:27; 9:30, 31, 33-34, 35; 10:35-45). Tuttavia possiamoessere sicuri che fu durante questo periodo che Gesù fu tentato di prendereil potere nelle sue mani e di permettersi di essere proclamato Messia o redegli Ebrei.

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Capitolo 15

La Tentazione della Violenza

Gli Ebrei della Palestina speravano nell’avvento di un Messia e pregavanoper questo. Il genere di persona che essi si aspettavano può essere scopertobasandosi sulle preghiere che erano soliti recitare nella sinagoga: i Salmidi Salomone e le Diciotto Benedizioni. Il Messia sarebbe stato un re, undiscendente di Davide, unto da Dio. Sarebbe stato un sovrano potente cheavrebbe “spezzato i governanti ingiusti”, “con verga di ferro [avrebbesbriciolato] ogni loro esistenza” e “[avrebbe sterminato] i paganitrasgressori con la parola della sua bocca”.173 Egli avrebbe usato la suaverga di ferro per instillare il “timore del Signore” in ogni persona, edirigere tutti verso “le opere di giustizia”.174 Non sarà per noi necessarioaddentrarci nella lunga storia di questo concetto di Messia o nellepeculiari aspettative di alcune minoranze esoteriche. L’Ebraismo palestinesein generale aspettava un re umano che avrebbe detenuto il potere politico emilitare per restaurare il regno di Israele.175

Tenendo presente questo, e ricordando il tipo di “regno” predicato da Gesù,non dovremmo restare sorpresi scoprendo che Gesù non affermò mai, in alcunacircostanza o occasione, direttamente o indirettamente, di essere il Messia.Oggi questo è ammesso da ogni studioso serio del Nuovo Testamento, perfinoda quelli che tendono ad essere conservatori. Ci sono pochi passi deivangeli nei quali Gesù sembra indicare se stesso come il Messia, ma questesono ovviamente le parole degli evangelisti, che erano tutti convinti cheGesù fosse il Messia.176

Una delle indicazioni più certe dell’accuratezza storica del vangeli è laloro resistenza alla tentazione di affermare che Gesù sostenne di essere ilMessia, e la loro fedele trasmissione del ricordo del fatto che egli vietòagli uomini di proclamarlo Messia.177 Questa fu l’origine del cosiddettoSegreto Messianico. Può essere possibile affermare che Gesù siasemplicemente stato riservato e vago sul suo ruolo di Messia, ma piùfondamentalmente egli sembra averla considerata una tentazione di Satana chedoveva essere rifiutata. In questo periodo di ritiro e latitanza siverificarono due episodi che sembrerebbero essere stati, in origine,tentazioni di accettare la sovranità di Israele. La prima venne da quattro ocinquemila uomini, la seconda giunse da Pietro. Sembra chequattro/cinquemila uomini (senza donne e bambini) siano usciti dalla Galileafino alle colline isolate e deserte vicine a Betsaida per vedere Gesù e isuoi discepoli.Perché vennero? Perché vennero soltanto degli uomini? Chi organizzòl’incontro? Come fecero così tante persone ad arrivare contemporaneamente?Non può esserci alcun dubbio che questo incontro sia avvenuto. Tutti ivangeli, tutte le fonti e tutte le tradizioni lo riportano. Il lorointeresse per l’episodio, tuttavia, fu dovuto al significato successivo delmiracolo dei pani e dei pesci. L’indizio per lo scopo ed il significatooriginale dell’incontro si può trovare in alcune affermazioni casuali. Marcoci dice che Gesù simpatizzò con queste migliaia di uomini perché erano “comepecore senza un pastore”, e quindi “Gesù si mise ad insegnare loro moltecose” (6:34). Possiamo presumere che egli abbia insegnato loro a proposito

173 Salmi di Salomone 17.

174 Salmi di Salomone 18.

175 Ferdinand Hahn, The Titles of Jesus in Christology, pp. 136-138; Vermes, Jesus the Jew, pp. 130-134.

176 Mc 9:41; 14:62 (ma si confronti con Mt 26:64; Lc 22:70 e Mc 15:2; Mt 27:11; Lc 23:3;Gv 18:37); Mt 11:2; Gv 4:25-26 (ma si confronti con Gv 7:26-27, 31, 40-44; 10:24-26,38).

177 Mc 1:24-25, 34; 3:12; 8:30; Lc 4:41; si veda anche Mc 1:44; 5:43; 7:36; 8:26; 9:9; Mt9:30.

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del tipo di “regno” che Dio voleva per gli uomini. Abbiamo già visto comeegli insegnò loro a condividere il cibo che avevano.Secondo Giovanni l’episodio si concluse con gli uomini che dissero: “Questiè certo il profeta che deve venire nel mondo”; ma poi Giovanni continua:“Gesù, quindi, sapendo che stavano per venire a rapirlo per farlo re, siritirò di nuovo sul monte, tutto solo” (6:14-15). Secondo Marco (seguito daMatteo) egli dovette “obbligare” i suoi discepoli a entrare nella barca e adandare avanti mentre egli “congedava” le persone e poi se ne andava nellecolline a pregare (Mc 6:45-46; Mt 14:22-23). Non sappiamo chi organizzòquesto incontro. Probabilmente non furono gli Zeloti. Essi, al momento,stavano mantenendo un basso profilo ed erano temporaneamente privi di unleader effettivo – pecore senza un pastore. Ma innanzitutto la leadershipdegli Zeloti, come quella dei Maccabei nei tempi passati, era dinastica,ossia era trasmessa dal padre al figlio.178 Inoltre gli Zeloti, come abbiamovisto, non avrebbero mai potuto essere d’accordo con gli atteggiamenti e lecredenze di Gesù. Ma all’epoca gli Zeloti non erano affatto gli unicinazionalisti ebrei a voler rovesciare i Romani per restaurare la monarchiaebraica.179

Troppi autori, oggi, danno l’impressione che tutti gli ebrei che siaffidavano ad una rivoluzione violenta per liberare il proprio paesedall’imperialismo romano siano stati Zeloti. Alla fine furono gli Zeloti aguidare la rivoluzione, e poi tutti gli altri si unirono sotto la loroguida. Ma questo non era ancora accaduto quando circa quattro/cinquemilanazionalisti ebrei uscirono nel deserto per convincere Gesù ad essere illoro capo. Egli era un galileo, un profeta e un taumaturgo con un talentonaturale per la leadership, e si era recentemente fatto un nome sfidando leautorità di Gerusalemme e “purificando” il Tempio. Possono addiritturaesserci state delle voci secondo le quali egli era un discendente di Davide.Gesù non era privo di comprensione verso le loro aspirazioni, il lorodesiderio di liberazione e il loro bisogno di un pastore. Ma cercò diconvincerli che le vie di Dio non erano le vie degli esseri umani, e che il“regno” di Dio non sarebbe stato come i normali regni degli uomini. E anchequi, come sempre, egli deve aver fatto appello ad un cambiamento del cuore,alla conversione individuale e alla fede in un nuovo tipo di “regno”. Ma ilsuo insegnamento, e il miracolo della condivisione, li convinse ancor di piùche egli era il Messia, il re scelto da Dio. Prima che la situazione potessesfuggirgli di mano, egli obbligò i suoi discepoli ad andarsene in barca edisperse le folle. Sentì poi il bisogno della solitudine, della riflessionee della preghiera.La seconda tentazione venne da Pietro – in qualche luogo nei pressi dellaCesarea di Filippo. Gli uomini, in generale, avevano considerato Gesù unprofeta – come Giovanni il Battista, Elia, Geremia o uno degli altri profeti(Mc 8:28 parr). Ma ora Pietro, a nome degli altri discepoli, dichiara diconsiderare Gesù il Messia (Mc 8:29 parr). Gesù risponde impartendo rigorosiordini di non dire a nessuno una cosa del genere a proposito di lui (Mc 8:30parr), e poi inizia a dire loro che il suo destino sarà quello di subire ilrifiuto (Mc 8:31 parr). Pietro prende Gesù da parte e lo rimprovera, ma Gesùsgrida Pietro a sua volta, dicendo: “Vattene via da me, Satana! Tu non haiil senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini” (Mc 8:32-33 parr).Deve essersi trattato di una lite molto sera. Pietro era arrabbiato con Gesùper aver parlato di rifiuto e fallimento quando c’era la possibilità diprendere il potere e diventare il Messia. Gesù era adirato con Pietro peraver svolto il ruolo di Satana, il tentatore, e aver pensato come di solitofanno gli uomini, in termini di potere della forza. Non può esserci dubbio178 Giuda il Galileo, il loro fondatore, era stato ucciso e i suoi seguaci erano stati

dispersi (Atti 5:37). I figli di Giuda erano probabilmente troppo giovani perriorganizzare e guidare il movimento in questo momento. Due di essi, Giacobbe e Sione,si rivoltano nuovamente intorno al 46-48 C.E., quando sono catturati e crocifissi,mentre un altro figlio, Menahen, guidò la rivolta del 66 E.C., e infine un discendentedi nome Eleazar fu il leader degli Zeloti a Masada nel 73 E.C. Si veda Samuel G. F.Brandon, Jesus and the Zealots, pp. 52, 103, 131-133.

179 Martin Hengel, Victory over Violence, pp. 55, 61, 64-65; Floyd V. Filson, A NewTestament History, Philadelphia: Westminster Press, 1964; London, 1965, p. 27.

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che qui stiamo parlando di un evento storico. Né Marco né alcun altro tra iprimi Cristiani avrebbe usato inventare una lite così violenta, con unlinguaggio così forte, tra Gesù e Pietro. Gli evangelisti che credevano cheGesù fosse il Messia sono interessati al fatto innanzitutto a causa della“confessione” di Pietro che Gesù era il Messia. Si capisce che la literiguardò unicamente il futuro rifiuto e la futura sofferenza di Gesù. Quellache in origine fu una “tentazione” diventò, per i primi cristiani, una“confessione di fede”.Vedremo in seguito come può essere successo. Non dobbiamo sottovalutare larealtà di questa tentazione per Gesù. Essa ci è anche giunta nella formastilizzata di un dialogo con Satana che, per motivi tematici, fu collocatoinsieme alle altre tentazioni durante i quaranta giorni nel deserto (Lc 4:5-8; Mt 4:8-10). Ci viene fatto capire che Gesù dovette lottare contro questatentazione di prendere il potere, di accettare la sovranità e di regnare suun nuovo impero – “tutti i regni del mondo”. Questo non sarebbe stato ilmodo migliore di liberare i poveri e gli oppressi? Non avrebbe potutoesercitare l’autorità come servizio a tutti gli uomini dopo aver preso ilpotere con la forza? Non sarebbe stato più efficace risvegliare la fede ecambiare il mondo in questo modo?Gesù non era un pacifista per principio. Non ci sono prove che egli abbiapensato che la forza o la violenza non devono mai essere usate, per nessunmotivo o in nessuna circostanza. Egli usò la forza (anche se, probabilmente,senza spargimento di sangue) per scacciare i commercianti dal Tempio. Egliobbligò i suoi discepoli ad abbandonare il raduno nel deserto. Disse loro diportare delle spade per difendersi. In queste circostanze non disse loro divolgere l’altra guancia. Gli ordini di volgere l’altra guancia e di nonresistere al male vengono spesso citate fuori contesto. Nel loro contesto,essi sono dei modi per contraddire il principio di “occhio per occhio edente per dente” (Mt 5:38-39). Non escludono la violenza di per sé,escludono la violenza a scopo di vendetta. Tuttavia il “regno” stesso nonpoteva di certo essere istituito con la forza.Il problema è: le necessarie condizioni di fede, conversione e liberazionenon avrebbero potuto, a volte, in alcune circostanze, richiedere l’uso dellaforza e della violenza? Tutto ciò di cui possiamo essere certi è che Gesùdecise che, nelle sue circostanze e nel suo tempo, l’uso della forza perconquistare il potere per sé (o per qualcun altro) sarebbe stato dannoso pergli uomini, e quindi contrario alla volontà di Dio. Il detto “Quelli cheprenderanno la spada moriranno di spada”, che Matteo trova da qualche parteed inserisce nella storia dell’arresto di Gesù (26:52) non è, e di sicuronon fu mai intesa come, una verità senza tempo. In alcune circostanze si puòsfoderare la spada senza morire di spada, ma nelle circostanze dell’arrestodi Gesù, quando lui e i suoi discepoli erano in inferiorità numerica,sfoderare la spada sarebbe stato un palese suicidio.Gesù fu un uomo pratico e realista. Poteva vedere, come potevano constatarlola maggior parte dei Farisei e dei Sadducei, che qualsiasi tentativo disottrarre il potere ai Romani era suicida. Sperare in una vittoriamiracolosa era tentare Dio (si confronti con Lc 4:12 par). Una guerra controRoma poteva concludersi soltanto in un massacro globale del popolo. Questaera senz’altro la catastrofe che Gesù temeva, e che egli sentiva si sarebbepotuta evitare soltanto con un diffuso cambiamento del cuore (Lc 13:1-5). Maquesto sicuramente non era il solo motivo pratico per cui Gesù rifiutò ditentare un colpo di stato. Accettare la sovranità di un popolo che non avevatrasferito la propria alleanza al “regno” di Dio e guidare questo popolo inbattaglia era giocare nelle mani di Satana (Mt 4:8-10 par). Avrebbesignificato accettare il potere da Satana su un “regno” che era esso stessoprivo di qualsiasi lealtà al “regno” di Dio, ed incoraggiarlo ad usare laviolenza contro un altro regno, per quanto più empio. Il “regno” di Dio nonavrebbe ottenuto alcunché in questo modo. Israele stesso avrebbe dovutoessere convertito prima che una cosa di questo genere potesse anche soloessere ipotizzata. Probabilmente Gesù sarebbe stato disposto ad essereMessia-re se Israele avesse cambiato i propri modi ed il “regno” di Diofosse giunto. Il ruolo di Messia, allora, non sarebbe stato un titolo dionore, prestigio e potere, ad una forma di servizio, e i Gentili sarebbero

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quindi stati portati nel “regno” non con il potere della spada, ma con ilpotere della fede e della compassione.Gesù non fu un pacifista per principio, fu un pacifista in pratica, ossianelle circostanze concrete del suo tempo. Non sappiamo che cosa egli avrebbefatto in altre possibili circostanze. Ma possiamo supporre che se non vifosse stato nessun altro modo di difendere i poveri e gli oppressi, e se nonvi fosse stato il pericolo di una escalation di violenza, la sua illimitatacompassione avrebbe potuto temporaneamente traboccare in una indignazioneviolenta. Egli disse ai suoi discepoli di portare delle spade perdifendersi, e purificò il cortile del tempio con una certa violenza.Tuttavia, anche in questi casi, la violenza fu una misura temporanea, senzaaltro scopo che la prevenzione di una violenza più grave. Il “regno” dellaliberazione totale per tutti gli uomini non può essere fondato con laviolenza. La fede, da sola, può permettere al “regno” di giungere.

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Capitolo 16

Il Ruolo della Sofferenza e della Morte

Gli Ebrei avevano una lunga storia di persecuzione e sofferenza.Teoricamente il giusto soffriva sempre per la propria rettitudine, ed ogniebreo fedele era disposto a morire piuttosto che disobbedire alla legge. Aitempi dei Maccabei (due secoli prima di Gesù) molti giovani ebrei soffrironoe morirono martiri per la legge. Quando i Romani conquistarono il Tempio perla prima volta, nel 63 E.C., i sacerdoti morirono ai loro posti, continuandola routine del sacrificio invece di fuggire per salvarsi la vita.180 GliZeloti, al tempo di Gesù, erano disposti a sopportare ogni tortura piuttostoche chiamare cesare il loro signore, e migliaia di essi furono crocifissidai Romani.181 A Masada nel 73 E.C. si suicidarono piuttosto chesottomettersi ad un regnante gentile. I profeti, d’altro canto, erano statiperseguitati dai capi degli Ebrei a Gerusalemme per la loro critica rivoltaad Israele.Entro il tempo di Gesù, la figura del profeta era stata fusa con quella delmartire, ed erano nate delle leggende sulle sofferenze e sul martirio diquasi ogni profeta (Mt 23:29-37 par; Atti 7:52).182 La morte, in quellecircostanze, era ampiamente considerata una redenzione del peccato – per ipropri peccati e per i peccati degli altri. I primi cristiani noninventarono l’idea del martirio né l’idea della redenzione e della morteredentrice: essa faceva parte dell’eredità ebraica.183 Ma quale ful’atteggiamento di Gesù nei confronti della sofferenza e della morte?Come tutti i giusti, lui e i suoi discepoli avrebbero dovuto aspettarsi lapersecuzione. Come gli Zeloti avrebbero dovuto essere disposti a prendere laloro croce e ad essere crocifissi (Mc 8:34 parr). Come i profeti, avrebberodovuto essere riconosciuti dal martirio. Ma c’era dell’altro. Gesù aveva uninsegnamento nuovo, e nei termini di quel nuovo insegnamento la sofferenza ela morte erano strettamente associate alla venuta del “regno”. “Beati ipoveri... Beati i perseguitati... di loro è il regno dei cieli. Beati voi,quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno contro divoi... poiché così hanno perseguitato i profeti che sono stati prima di voi”(Mt 5:3, 10-12*).La beatitudine era intesa in origine per i poveri e gli oppressi, ma Gesù ei suoi discepoli, a causa della loro compassione e solidarietà con glioppressi, giunsero inevitabilmente ad essere loro stessi perseguitati ereietti. Per entrare nel “regno” con i poveri e gli oppressi si un uomodoveva rinunciare a tutti i propri averi, essere disposto a lasciare lacasa, la famiglia e a sacrificare la speranza del prestigio, dell’opinionepubblica e della grandezza. In altre parole, doveva negare se stesso (Mc8:34 parr) ed essere disposto a soffrire. Qui c’è un paradosso, il paradossodella compassione. L’unica cosa che Gesù era deciso a distruggere era lasofferenza: le sofferenze dei poveri e degli oppressi, le sofferenze deimalati, le sofferenze che sarebbero seguite se la catastrofe fosse giunta.Ma l’unico modo per distruggere la sofferenza è rinunciare a tutti i valoriterreni e subirne le conseguenze. Solo la disponibilità a soffrire puòvincere la sofferenza nel mondo.184 La compassione distrugge la sofferenzasoffrendo insieme ai sofferenti e a loro nome. Una simpatia per i poveri chenon è disposta a condividere le loro sofferenze sarebbe un’emozione inutile.Non si possono condividere le beatitudini dei poveri se non si è disposti a180 Giuseppe Flavio, Antichità, 14:67.

181 Antichità 7:416-419; si veda Samuel G. F. Brandon, The Trial of Jesus of Nazareth, p.57, 1.

182 W. H. C. Frend, Martyrdom and Persecution in the Early Church, pp. 57-58.

183 Frend, pp. 45,57,59; Joachim Jeremias, New Testament Theology, pp. 287-288.

184 Jurgen Moltmann, “Die Gekruisigde God” in N. G. Teologiese Tydskrif, Marzo 1973, p.110.

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condividere le loro sofferenze.Ma Gesù andò molto oltre. La morte è paradossale in modo molto simile allasofferenza. C’è un enigma sulla vita e la morte che è presente in tutte letradizioni, in vari punti dei vangeli e in una varietà di forme (Mc 8:35parr; Mt 10:39; Lc 14:26; Gv 12:25). Esso, senza dubbio, è basato sulleparole dello stesso Gesù.185 Un confronto attento di tutti i testi permettedi concludere che l’enigma o paradosso originale debba semplicemente esserestato questo: “Chi salva la propria vita la perderà, chi perde la propriavita la salverà”. Si ricordi che questo deve essere un enigma. Pensarlo inmodo tale che esso sia riferito alla perdita della propria vita in questomondo per salvarla nel mondo che verrà è smettere di considerarlo unenigma.186

Che significa, allora? Salvare la propria vita significa tenersi saldamentead essa, amarla ed essere attaccati ad essa, e quindi temere la morte.Perdere la propria vita è lasciarla andare, essere distaccati da essa edessere quindi disposti a morire. Il paradosso è che la persona che teme lamorte è già morta,187 mentre la persona che ha smesso di temere la morte, inquel momento ha iniziato a vivere. Una vita che è genuina e degna di esserevissuta è possibile solo quando si è disposti a morire. Ci resta la domanda:per cosa si deve essere pronti a morire? I martiri maccabei morirono per lalegge, gli Zeloti morirono per difendere la sovranità del Dio di Israele,altre persone erano state pronte a morire per altre cause. Gesù non morì peruna causa. Secondo lui un uomo doveva essere pronto a dare la sua vitaesattamente per lo stesso motivo per cui rinunciava ai suoi averi, alprestigio, alla famiglia e al potere, cioè per gli altri. La compassione el’amore obbligano gli uomini a fare ogni cosa per gli altri. Però la personache dice di vivere per gli altri ma non è disposta a soffrire e a morire perloro è bugiarda ed è morta. Gesù era completamente vivo, perché era dispostoa soffrire e a morire non per una causa ma per gli uomini. La disponibilitàa morire per gli altri deve essere meglio circostanziata. Non si tratta diuna disponibilità a morire per qualcuno, o per qualche persona; è unadisponibilità a morire per tutti gli uomini. La volontà di morire per alcunepersone sarebbe un’espressione della solidarietà di gruppo. La volontà dimorire per l’umanità è un’espressione di solidarietà universale. Ladisponibilità di Gesù a morire per tutti gli uomini è quindi un servizio,proprio come ogni altra cosa nella sua vita è un servizio, un servizio resoa tutti gli uomini.188 “Poiché anche il Figlio dell’uomo non è venuto peressere servito, ma per servire, e per dare la sua vita come prezzo diriscatto per molti” (Mc 10:45*). Un riscatto è pagato per riscattare oliberare altre persone. Offrire la propria vita come riscatto è esseredisposti a morire in modo che altri possano vivere. “Per molti” èun’espressione ebraica ed aramaica che generalmente significa “per tutti”.189Quindi anche durante l’ultima cena Gesù presagì l’offerta del suo sangue“per molti” (Mc 14:24; Mt 26:28).Finora abbiamo parlato soltanto della disponibilità di Gesù a morire, nonabbiamo ancora preso in considerazione la sua vera e propria morte. Èabbastanza facile capire cosa significa essere disposto a morire perl’umanità, ma in quali circostanze una persona morirebbe davvero perl’umanità? Ci sono delle circostanze nelle quali si può servire il mondomeglio morendo per esso che continuando a vivere per esso? Gesù deve essere185 Per gli enigmi come caratteristica dello stile di Gesù si veda Jeremias, pp. 30-31.

186 Questo è esattamente quello che ha fatto Giovanni (12:25).

187 Come ai morti che devono essere lasciati a seppellire i loro morti (Mt 8:22 par).

188 J. Roloff ha affermato, in modo molto dettagliato e convincente, che il significatooriginale della morte di Gesù fu il servizio, e che questa avrebbe benissimo potutoessere l’interpretazione che Gesù stesso diede alla sua morte – “Anfange dersoteriologischen Deutung des Todes Jesu (Mk 10:45 und Lk 22:27),” New TestamentStudies, pp. 38-64. Schillebeeckx ha portato l’argomento un passo oltre, e hadimostrato che Gesù stesso deve aver interpretato la propria morte come un servizioall’umanità – Jesus, pp. 251-256.

189 Jeremias, pp. 130, 291, 293.

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stato consapevole delle pericolose conseguenze di quello che faceva ediceva. Erode aveva ridotto al silenzio Giovanni il Battista, adesso sivociferava che volesse zittire anche Gesù (Lc 13:31). Dopo l’episodio nelTempio, la vita di Gesù fu in così grave pericolo che egli dovettenascondersi. Fu in questo periodo che egli decise di andare a Gerusalemme amorire (Mc 8:31 parr; Lc 9:51; 13:33). Perché?Gesù sembra essersi trovato di fronte l’alternativa tra restare nascosto perevitare la morte o uscire dal nascondiglio e affrontare la morte. Iquattro/cinquemila insieme a Pietro e ai discepoli volevano che egli uscissedal nascondiglio come Messia, con un esercito o una qualche altradimostrazione di potere, in modo da da vincere i suoi oppositori aGerusalemme. Ma la sua arma era la fede, non la forza. Le sue intenzioni,come sempre, erano ancora quelle di risvegliare la fede nel “regno”. Nonavrebbe potuto farlo in modo molto efficace restando latitante, ma se fosseuscito dal nascondiglio per predicare, prima o poi sarebbe stato catturato ezittito – a meno che la morte stessa non potesse diventare un modo dirisvegliare la fede nel “regno”. Il servizio che Gesù, nel corso della suavita, ha prestato ai malati, ai poveri, ai peccatori e ai suoi discepoli, eche ha cercato di rendere agli scribi, ai Farisei e a tutti gli altri, fu ilservizio del risveglio della fede nel “regno”. Non c’era altro modo persalvare gli uomini dal peccato, dalla sofferenza e dall’imminentecatastrofe. Non c’era altro modo di permettere al “regno” di arrivare alposto della catastrofe. Ma se gli fosse stato impedito di farlo, impedito dipredicare o di risvegliare la fede con la parola e le azioni, cosa avrebbedovuto fare?Egli non desiderava scendere a compromessi accettando il ruolo di Messia ericorrendo alla violenza, né era disposto ad adattare le sue parole perchéfossero confacenti alle autorità (se non era già troppo tardi per questo).La sola alternativa era morire. In queste circostanze la morte era l’unicomodo di continuare a servire l’umanità, l’unico modo di parlare al mondo (Gv7:1-4), l’unico modo di testimoniare il “regno”. Le azioni dicono più delleparole, ma la morte dice più delle azioni: Gesù morì in modo che il “regno”potesse giungere.190 Tutti i vangeli ritraggono coerentemente Gesù come unuomo che andò incontro alla morte consapevolmente e volontariamente. Leparole e le espressioni che essi usano, specialmente nelle cosiddette“predizioni della passione”,191 possono senz’altro provenire da unariflessione successiva alla sua morte, ma il fatto fondamentale che egliandò incontro alla morte consapevolmente e volontariamente è indubbio.192Inoltre, è significativo che queste “predizioni” avvengano nel periodo delritiro e della latitanza, che la prima “predizione” sia una risposta alladichiarazione di Pietro che Gesù era il Messia (Mc 8:29-33 parr) e cheognuna delle tre “predizioni” principali sia seguita da istruzioniriguardanti l’abnegazione, la disponibilità a morire, ad essere un servo ead occupare l’ultimo posto (si vedano Mc 8:34-37; 9:3137; 10:33-45 parr).Gli elementi a disposizione non ci permettono di decidere in quale misuraGesù abbia previsto le circostanze dettagliate della sua morte. I suoidiscepoli sarebbero stati arrestati, o lui soltanto? Vari autori hannoaffermato che Gesù parlò come se si aspettasse (o almeno non escludesse lapossibilità) che lui e i suoi discepoli sarebbero stati giustiziatiinsieme.193 Sarebbe stato lapidato o crocifisso, ossia, sarebbe stato

190 Si noti che il risveglio della fede rende anche efficace il perdono di Dio in unapersona. Gesù dice alla donna che era stata una peccatrice: “La tua fede ti hasalvata” (dai tuoi peccati) (Lc 7:50). Ne consegue che uno dei risultati della mortedi Gesù è il perdono del peccato. È questo il senso in cui la morte di Gesù può esseredefinita una redenzione per il peccato. Gesù non dovette placare un Dio irato che nonera disposto a perdonare. Dio è sempre disposto a perdonare, e a farlo senzacondizioni. La morte di Gesù rivela questo e risveglia la nostra fede in esso,permettendo così al perdono di Dio di trasformare le nostre vite.

191 Mc 8:31 par; 9:31 par; 10:33-34 par; 10:45; Mt 26:2; Lc 17:25; 24:7.

192 Jeremias ha ridotto queste “predizioni” all’enigma fondamentale e originale: “L’uomosarà consegnato agli uomini” — Jeremias, pp. 281— 283, 295-296.

193 Jeremias, pp. 108-110; Lloyd Gaston, p. 420; Frend, p. 88; Thomas W. Manson, The

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giustiziato dal Sinedrio o da Pilato? L’avrebbero arrestato durante la festao dopo di essa? Avrebbe avuto una buona possibilità di predicare nel Tempioprima che lo catturassero? Forse egli previde alcuni di questi dettagli.Certamente sembra aver sospettato che Giuda avrebbe dato informazioni su dilui. Ma in nessuno di questi casi ci è necessario ricorrere a spiegazionibasate sulla prescienza divina o su speciali rivelazioni riguardanti eventifuturi. Le sole parabole basteranno a mostrarci quale chiara intuizione Gesùabbia avuto delle motivazioni degli uomini, e quanto bene abbia potutopredire cosa probabilmente avrebbero fatto e detto. Ci resta da considerarese Gesù abbia o meno predetto la propria resurrezione. Alcune delle“predizioni della passione” si concludono con una “predizione dellaresurrezione”: “dopo tre giorni il figlio dell’uomo resusciterà” (Mc 8:31parr; 9:31 parr; 10:34 parr; si veda anche Mc 9:9). Il fatto che Gesùl’abbia detto non è impossibile. “Dopo tre giorni” è un modo ebraico earamaico di dire “presto” o “non molto tempo dopo”.194

La maggior parte degli ebrei dell’epoca credeva nella resurrezione dei mortinell’ultimo giorno, e tra tutti gli ebrei, i martiri avevano la maggiorecertezza di resuscitare in quel giorno. Gesù non avrebbe potuto predire chesarebbe resuscitato prima dell’ultimo giorno, altrimenti tutta laconfusione, il dubbio e la sorpresa quando resuscitò non avrebberoassolutamente avuto alcun senso. In altre parole, tutto ciò che questa“predizione” può significare è che Gesù, come profeta-martire, si aspettavadi resuscitare l’ultimo giorno, e che l’ultimo giorno sarebbe arrivatopresto. Questa interpretazione non è incompatibile con le credenze e lepreoccupazioni di Gesù, ma è certamente irrilevante rispetto a tutto ciò cheegli cercò di fare e dire nel suo tempo. Probabilmente egli concordò con iFarisei contro i Sadducei sulla resurrezione, come ci dicono i vangeli (Mc12:18-27).Ma è sicuramente significativo che, al di fuori di queste “predizioni dellaresurrezione” l’unica volta in cui Gesù nomina la resurrezione è in rispostaalla domanda dei Sadducei sulla resurrezione.195 Egli non solleva mail’argomento di propria volontà. Non fa parte integrante di quello che eglivolle dire ad Israele in quel tempo e in quelle circostanze. Perché parlaredella resurrezione quando la gente soffre, c’è una catastrofe imminente edesiste la reale speranza che il “regno” di Dio possa giungere sulla terraentro pochi anni? Quindi possiamo chiederci se Gesù, di fatto, formulò maidelle “predizioni della resurrezione”. Questo non vuol dire che Gesù noncredette nella resurrezione. Di sicuro credette in essa, come in molte altrecose in cui credevano gli ebrei del suo tempo, così come i profeticredettero sicuramente in molte cose che non erano immediatamente rilevantiper il loro messaggio agli uomini del loro tempo. Per Gesù, nel suo tempo,la resurrezione, come il pagamento delle tasse a Cesare o i sacrifici nelTempio, semplicemente non era il vero problema. La situazione, dopo la mortedi Gesù, fu completamente diversa. Allora, come vedremo, la resurrezionedivenne il tema centrale.

Teachings of Jesus, p. 231.

194 Jeremias, p. 285; Gaston, p. 415; Edward Schillebeeckx, Jesus, pp. 526-532; E. L.Bode, “On the Third Day according to the Scriptures,” The Bible Today 48 (1970), 3297-3303.

195 C. F. Evans, Resurrection and the New Testament, pp. 30-33.

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Capitolo 17

L’Uomo Che Emerge

Gesù è un uomo molto sottovalutato – sottovalutato non soltanto da chi loritiene unicamente un maestro di verità religiosa, ma anche da quelli chevanno all’estremo opposto, sottolineando la sua divinità in modo tale cheegli cessa di essere pienamente umano. Quando si permette a Gesù di parlareper sé e quando si cerca di capirlo senza idee preconcette, e nel contestodel suo tempo, quello che inizia ad emergere è un uomo dalla straordinariaindipendenza, dall’immenso coraggio196 e dall’autenticità senza pari – unuomo la cui intuizione sfida ogni spiegazione. Privare quest’uomo della suaumanità è privarlo della sua grandezza.Ci è difficile immaginare come dev’essere stato essere radicalmente diversoda chiunque altro in un’epoca in cui la conformità di gruppo era l’unicamisura della verità e della virtù. L’immensa cultura degli scribi nonimpressionò Gesù. Egli differì da loro senza esitazione anche quando essierano molto più esperti di lui sui dettagli della legge e sulla suainterpretazione tradizionale. Nessun assunto era troppo sacro per esseremesso in discussione. Nessuna autorità era troppo grande per esserecontraddetta. Nessun assunto era troppo fondamentale per essere cambiato.Nei vangeli non c’è nulla che induca a pensare che Gesù si sia opposto atutti in uno spirito di ribellione fine a se stesso, oppure perché nutrivadel rancore nei confronti del mondo. Egli dà proprio l’impressione di unuomo che ha il coraggio delle sue convinzioni, un uomo che è indipendentedagli altri per una intuizione positiva che ha reso superfluo ogni tipo didipendenza.Non vi sono tracce di paura in Gesù. Egli non aveva paura di creare unoscandalo, di perdere la reputazione o addirittura di perdere la vita. Tuttigli uomini di religione, perfino Giovanni il Battista, furono scandalizzatidal modo in cui frequentava i peccatori, dal modo in cui sembrava apprezzarela loro compagnia, dalla sua permissività in relazione alle leggi, dal suoapparente disprezzo per la gravità del peccato e dal suo modo libero esemplice di considerare Dio. Egli si guadagnò presto quella che chiameremmouna cattiva reputazione: “Ecco, un mangione e un beone”. Egli stesso loracconta con quello che sembra essere un tocco di umorismo (Mt 11:16-19). Intermini di solidarietà di gruppo, la sua amicizia con i peccatori lo farebbeclassificare come peccatore (Mt 11:19; Gv 9:24). In un’epoca in cui lacordialità verso una donna estranea alla propria famiglia poteva significareuna sola cosa, la sua amicizia con le donne, e specialmente con leprostitute, avrebbe rovinato la reputazione che ancora poteva avere (Lc7:39; Gv 4:27). Gesù non fece nulla, e non scese a compromessi su nulla, perottenere un qualche prestigio agli occhi degli altri. Non cercaval’approvazione di nessuno, nemmeno quella quel “più grande uomo nato dadonna”. Secondo Marco (seguito da Matteo e Luca) perfino gli oppositori diGesù ammettono che egli è onesto e impavido: “Noi sappiamo che tu seisincero, e che non hai riguardi per nessuno, perché non badi all’apparenzadelle persone, ma insegni la via di Dio secondo verità” (12:14).Anche se viene fatta solo per indurlo con l’inganno a dire qualcosa diavventato sul pagamento delle tasse a Cesare, questa ammissione ci dàun’idea dell’impressione che Gesù fece sulla gente. La sua famiglia pensòche fosse fuori di senno (Mc 3:21); i Farisei pensarono che egli fosseposseduto dal demonio (Mc 3:22); fu accusato di essere un ubriacone, unmangione, un peccatore e un bestemmiatore, ma nessuno poté mai accusarlo diessere un bugiardo e un ipocrita, di aver paura di quello che la genteavrebbe potuto dire di lui, né di ciò che la gente avrebbe potuto fargli. Ilcoraggio, la temerarietà e l’indipendenza di Gesù fecero sì che gli uominidi quel tempo si chiedessero in più occasioni: “Chi è quest’uomo?”.197 Il196 J. Duncan M. Derrett, Law in the New Testament, p. 13.

197 Mc 4:41 parr; 6:2 parr; 6:14-16 parr; 8:27-30 parr; 14:61 parr; 15:2 parr; 15:39parr; Lc 7:16-17; Gv 7:12, 15, 40-41; 8:54; 10:19-21, 24. La forma e le parole diqueste domande possono provenire dalla Chiesa delle origini, ma in sostanza esprimono

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fatto che Gesù non risponda mai alla domanda è significativo. Non ci sonoprove che egli abbia mai rivendicato uno dei titoli eccelsi che la Chiesa,in seguito, gli ha attribuito.Numerosi studiosi hanno sostenuto che l’unico titolo che Gesù rivendicò fu:“Figlio dell’Uomo”. Questo non è vero. Non perché Gesù non si sia indicatocome “figlio dell’uomo”, ma perché “figlio dell’uomo” non è un titolo. Unastupefacente mole di ricerca, erudizione e scrittura è stata dedicataall’argomento del cosiddetto titolo “Figlio dell’Uomo” nei vangeli. Lavarietà delle conclusioni alle quali sono giunti eminenti scolari è ancorpiù stupefacente. È difficile trovare due persone che concordino su qualcosache ha a che fare con il “Figlio dell’Uomo”, tranne il fatto che è un titolomolto importante. Questo, da solo, fa sospettare che ci sia qualcosa disbagliato nel modo in cui il problema viene posto. Il termine “figliodell’uomo”, in origine, è davvero stato un titolo? Il termine non viene maiusato in alcuna confessione di fede, non è mai predicato da Gesù né daqualcun altro, nei vangeli non si trova mai sulle labbra di nessuno tranneche dello stesso Gesù, nessuno obietta al fatto che Gesù lo usi, nessuno lomette in discussione o mostra una qualche reazione ad esso. Inoltre, Vermesora ha dimostrato una volta per tutte che questo termine aramaico non era untitolo, ma indubbiamente era usato in aramaico galileo come una perifrasiper indicare se stessi: ossia, in aramaico galileo chi parlava poteva, pertimore, riservatezza o modestia, riferirsi a se stesso come “il figliodell’uomo” invece di “io”.198

A parte questo, “figlio dell’uomo” fu usato anche, secondo Vermes, comesinonimo di “essere umano”.199 In altre parole, poteva essere usato persottolineare l’umano come opposto al subumano o bestiale (si confronti conDan 7:3-7, 17-26 con 7:13). Alcuni riferimenti al “figlio dell’uomo” neivangeli sembrano dipendere da Daniele 7:13: “Io guardavo, nelle visioninotturne, ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figliod’uomo”.200 Si può affermare che in questi testi “figlio dell’uomo” vieneusato come una sorta di titolo per il giudice che verrà. Ma si noti ancheche Gesù, qui, parla di un’altra persona distinta da lui. Egli non dice diessere il “figlio dell’uomo” che arriverà sulle nubi. Inoltre, numerosistudiosi, oggi, affermerebbero che questi passi non furono formulati da Gesùstesso, ma dai primissimi Cristiani.201 Questo significa che l’uso che Gesùfece del termine non fu altro che una peculiarità idiomatica della sualingua madre, l’aramaico della Galilea? Forse, ma è possibile ancheipotizzare che Gesù abbia avuto in mente qualcosa. Gli elementi presenti neivangeli sembrerebbero mostrare che Gesù, tuttavia, pose una grande enfasisul termine aramaico “figlio dell’uomo”. Se teniamo presente anche l’enfasiche Gesù pose sulla dignità degli esseri umani in quanto esseri umani esulla solidarietà della razza umana, possiamo formulare la congettura chel’uso frequente e teatrale del termine “figlio dell’uomo” fosse il suo mododi riferirsi agli esseri umani in quanto esseri umani, e di identificarsicon loro.Quindi, dire che “il Figlio dell’uomo è signore anche del sabbath” (Mc 2:28)equivale a dire che “il sabbath è stato fatto per l’uomo, e non l’uomo peril sabbath” (Mc 2:27). Dire che “il figlio dell’uomo ha sulla terra ilpotere di perdonare i peccati” (Mt 9:6) è glorificare “Dio che aveva datotale potere agli uomini” (Mt 9:8). Dire che “le volpi hanno delle tane e gliuccelli del cielo hanno dei nidi, ma il figlio dell’uomo non ha dove posareil capo” può significare che mentre gli Erodi (le volpi) e i Romani (gliuccelli) hanno un posto nell’attuale società, gli esseri umani in quantoesseri umani non hanno ancora un posto. Analogamente, dire che “il figlio

la curiosità dei contemporanei di Gesù.

198 Geza Vermes, Jesus the Jew, pp. 160-168, 186.

199 Vermes, p. 176.

200 Mc 8:38 parr; 13:26 parr; 14:62 parr; Mt 19:28 par; 24:27, 37, 44 par.

201 Ad esempio Vermes, pp. 169-186; Norman Perrin, Rediscovering the Teaching of Jesus,pp. 164-199.

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dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini” (Mc 9:31)potrebbe essere un riferimento al paradosso che le persone che siidentificano con l’umanità subiranno violenza per mano di altri esseriumani. Se le persone acquisiscono la loro identità da ciò con cui siidentificano, allora è possibile dire che l’identità di Gesù è l’umanità,gli esseri umani in quanto esseri umani, o il “figlio dell’uomo”. Questo,come dico io, è materiale per congetture. Tutto quello che si può dire conun qualche grado si certezza è che, quando usò il termine “figliodell’uomo”, Gesù non rivendicava per sé un titolo, un incarico o un rango.In virtù del suo esplicito insegnamento riguardante i titoli e gli onori,apprendere che egli desiderò essere accettato senza alcun titolo nondovrebbe sorprendere. Come avrebbe potuto rivendicare un titolo se avevainsegnato: “Ma voi non vi fate chiamare Rabbì; perché uno solo è il vostroMaestro e voi siete tutti fratelli. Non chiamate nessuno sulla terra vostropadre, perché uno solo è il Padre vostro, quello che è nei cieli. Non vifate chiamare maestro, perché uno solo è il vostro maestro, il Cristo” (Mt23:8-10*).L’ultima frase di questo passo è stata palesemente alterata da Matteo odalla sua fonte. Come abbiamo visto, Gesù generalmente vietò ogniriferimento al Cristo o Messia. Inoltre sembra palese che l’intenzioneoriginale del detto era che Dio solo era il loro “Maestro, Padre e Signore”.A meno che Gesù non facesse quello che predicava, o a meno che non siconsiderasse un’eccezione alla regola, ci aspetteremmo di scoprire che egliscoraggiò gli uomini a chiamarlo Rabbi o Maestro. Non c’è una prova direttache l’abbia fatto. Forse sentiva che sarebbe stato pedante correggerechiunque desiderasse loro mostrare di rispettarlo come un maestro. D’altraparte, forse scoraggiò gli uomini a rivolgersi a lui come Rabbi o Maestro, ec’è solo da aspettarsi che nessuna traccia di questo atteggiamentosia giuntafino a noi. Questo suonerebbe in qualche modo inverosimile, se non fosse perla tradizione che è giunta fino a noi secondo la quale Gesù scoraggiòdavvero gli uomini a chiamarlo buono! “Gesù gli disse: «Perché mi chiamibuono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio»” (Mc 10:18 = Lc 18:19).Marco e Luca, probabilmente, interpretarono questa frase come unaespressione ironica – essi credevano che Gesù fosse buono perché era divino.Matteo non riuscì a ricavare da essa un senso quindi la modificò (19:16-17).Ma in origine Gesù mise semplicemente in pratica quello che predicò. Essivollero chiamarlo Maestro, ma egli volle essere il loro servo, quello chelavava loro i piedi (Gv 13:12-15). Gesù deve essere stato cosciente diadempiere alle profezie e alle aspettative della Scrittura, ma sembra cheper lui non importasse chi fosse ad adempierle. Quando, secondo i vangeli, idiscepoli di Giovanni gli chiedono se è colui che doveva venire non rispondedirettamente alla domanda, ma indica semplicemente l’adempimento dellaScrittura in quello che al momento stava accadendo: “I ciechi ricuperano lavista e gli zoppi camminano; i lebbrosi sono purificati... e la buonanovella è annunciata ai poveri” (Mt 11:4-5). Non dice: “Io do la vista aiciechi, io proclamo ai poveri la buona novella”.Quel che importa è che questo tipo di cosa venga fatta: gli uomini sonoliberati e salvati. Chi sia a farlo è irrilevante. Egli volle che i suoidiscepoli andassero e facessero quello che aveva fatto lui. Non gli capitòmai di impedire a qualcuno, perfino a dei perfetti estranei, di partecipareall’opera di liberazione (Mc 9:38-40 par). L’unica preoccupazione di Gesù fuche gli uomini fossero liberati. Di fronte agli elementi storici cheavvalorano il silenzio di Gesù riguardo ai titoli, alcuni studiosi modernicompetenti hanno sostenuto che Gesù rivendicò l’autorità in modo implicito,con il modo in cui parlò e agì.202 Essi affermano che la sua indipendenza daogni altra autorità e il suo modo di dire: “Ma io vi dico...” o “Amen, amen,Io vi dico...” sono affermazioni implicite della massima e più indipendenteautorità.203

202 Ernst Kasemann, Essays in New Testament Themes, pp. 37-38; Ernst Fuchs, Studies ofthe Historical Jesus, pp. 36-37; Gunther Bomkamm, pp. 173-174; Joachim Jeremias, NewTestament Theology, pp. 250-252; Jeremias, The Parables of Jesus, p. 132; WolfhartPannenberg, Jesus, God and Man, pp. 53-65.

203 Kasemann, pp. 144-145.

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Si dice addirittura che questo è uno dei fatti storici accertati sui qualisi può affidare la nuova inchiesta sul Gesù storico, e che è il fondamentostorico dei titoli cristologici.204 Ma Gesù rivendicò l’autorità, un qualchetipo di autorità, anche in modo implicito? Non sarebbe più prossimo allaverità dire che ciò che rende Gesù incommensurabilmente più grande di ognialtro essere umano è proprio il fatto che egli abbia parlato ed agito senzaalcuna autorità, e che abbia considerato “l’esercizio dell’autorità” unacaratteristica pagana (Mc 10:42 parr)? Autorità significa il diritto diessere obbediti dagli altri. Affermare l’autorità significa rivendicarequesto diritto, rivendicare l’obbedienza dagli altri. Marco interpreta leparole di Gesù come sicure parole di autorità che impongono obbedienza, edice altrettanto (1:22, 27). Ma certamente è significativo che i soggettiche obbediscono sono gli spiriti maligni, le malattie, i peccati, la legge,i venti e i mari – non le persone!205 La parola “autorità” normalmente èriservata al diritto ad essere obbediti dalle persone. La parola grecaexousia può essere estesa a indicare il potere che una persona ha anchesulle cose. Luca si sforza di sottolinearlo parlando di exousia e dunamis:autorità e potere (9:1). Abbiamo già visto che il potere che Gesù avevasugli spiriti maligni e sul male in generale era il potere della fede. Lanotevole fede di Gesù, che curava, guariva e salvava e che risvegliava lafede in coloro che egli aveva intorno, è considerata, nei vangeli, come untipo di autorità.L’analogia è resa esplicita nella storia di quel grande simbolo di autoritàe obbedienza, il centurione romano. Questa storia miracolosa proviene da unatradizione indipendente di Marco (Mt 8:5-13; Lc 7:1-10; Gv 4:46-53). Nellaforma in cui Matteo e Luca la conoscevano, viene fatto un confronto tra ladisciplina militare dell’autorità indiscussa e dell’obbedienza da una parte,e il potere di Gesù sugli spiriti maligni dall’altra. L’idea è che unapersona che capisce l’infallibile efficacia dell’autorità militareapprezzerà l’infallibile efficacia della fede di Gesù, e ci viene detto chequesta persona avrà una fede più grande di qualsiasi cosa Gesù abbia trovatoin Israele. L’unica autorità che si può dire che Gesù abbia esercitato èun’autorità metaforica o affine, l’autorità sul male che è il potere dellafede. Ma che dire, allora, del suo metodo di insegnamento e di predicazione?Nulla potrebbe essere più privo di autorità delle parabole di Gesù. Il loroscopo generale è permettere agli ascoltatori di scoprire qualcosa da soli.Esse non sono spiegazioni o dottrine rivelate: sono opere d’arte cherivelano o scoprono la verità sulla vita. Risvegliano la fede negliascoltatori, così che essi possono “vedere” la verità da soli.206

Per questo motivo le parabole di Gesù si concludevano sempre con una domandaesplicita o implicita alla quale gli ascoltatori dovevano rispondere. “Qualedi questi tre pensate si sia dimostrato un prossimo?” (Lc 10:36); “Quale diessi lo amerà di più?” (Lc 7:42); “Cosa ne pensate? Quale dei due figli fecela volontà del padre?” (Mt 21:28, 31); “Ora, il padrone della vigna cosafarà loro?” (Lc 20:16). Le parabole della pecora perduta e della monetaperduta sono formulate quasi completamente come domande (Lc 15:4-10; Mt18:12-14). Le parabole non erano indirizzate ai poveri e agli oppressi o aidiscepoli di Gesù, ma ai suoi oppositori.207 Avevano lo scopo di persuadere econvincere. Le domande, in qualche modo simili a quelle presenti in undialogo socratico, hanno la funzione di far si che le persone pensino inmodo autonomo. Si può affermare che Gesù ragionò in questo modo con i suoioppositori che non accettavano la sua autorità, ma quando parlava con i suoidiscepoli e alle folle che lo accettavano come loro Maestro lo fece conautorità. La maggior parte dei detti di Gesù, a differenza delle parabole,non sono formulati come domande. Non sembrano essere argomentazioni

204 Pannenberg, p. 55; James M. Robinson, A New Quest of the Historical Jesus, passim main particolare pp. 70-71.

205 Ad es. Mc 1:27; 2:10, 28; 4:41; 6:7 e testi paralleli.

206 Eta Linnemann, Jesus of the Parables pp. 21-23, 31.

207 Linnemann, p. 40.

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persuasive, ma affermazioni di verità autoritative.Tuttavia, Gesù non si aspettava che fossero solo i suoi oppositori a pensarecon la propria testa. Sicuramente si aspettava anche anche i suoi discepolipensassero in modo autonomo (Lc 12:57) e leggessero da soli i segni deitempi (Lc 12:54-56; Mt 16:2-3). Si sarebbe aspettato che i suoi discepoliavessero accettato ogni cosa avesse detto per fede “cieca”? Gesù volle chegli altri vedessero quello che vedeva lui e credessero in ciò in cui luicredeva. Ma egli non aveva dubbi sulla verità di ciò che vedeva e credeva.Sembra essere stato straordinariamente fiducioso e sicuro di sé. Fu questo adare l’impressione di “autorità”. Fu l’inedita forza delle sue convinzioni afargli dire (se mai lo disse realmente): “Ma io vi dico...” o “Amen, amen,io vi dico...”. Gesù proclamò la verità senza esitazione, sia che usasse imetodi persuasivi della parabola o i verdetti più diretti dei detti.Non ci fu mai un posto per i “forse” e i “può darsi”, non ci furono “se” e“ma”. Questa è la verità sulla vita, riuscite a vederla? Non riesco atrovare alcuna prova secondo cui Gesù si sia aspettato che chi lo ascoltavafacesse affidamento su una qualche autorità – la sua o quella di altri. Adifferenza degli scribi, egli non fa mai appello all’autorità dellatradizione rabbinica, e nemmeno a quella della scrittura stessa. Egli nonespone la verità interpretando o commentando il testo sacro. La suapercezione e il suo insegnamento della verità sono diretti e non mediati.Egli non afferma nemmeno di avere l’autorità di un profeta, l’autorità cheproviene direttamente da Dio. A differenza dei profeti, egli non ricorre aduna speciale chiamata profetica o ad una visione per confermare le proprieparole.208 Non usa mai la classica introduzione profetica, “Dio dice...”, erifiuta di produrre un qualsiasi tipo di segno dal cielo per dimostrare dipoter parlare nel nome di Dio. Alla fine, quando si trova di fronte alladomanda relativa a quale autorità egli potrebbe avere, rifiuta di risponderealla domanda (Mc 11:33 parr). La gente doveva vede la verità di quello cheegli faceva e diceva senza fare affidamento su alcuna autorità.Linnemann, nel suo brillante studio delle parabole di Gesù, conclude che“l’unica cosa che poté dare peso alle parole di Gesù furono le parolestesse”.209

Gesù fu unico, tra la gente del suo tempo, per la sua capacità di superaretutte le forme di pensieri rivolte all’autorità. L’unica autorità alla qualesi può dire che Gesù abbia fatto appello fu quella della verità stessa. Eglinon trasformò l’autorità nella sua verità: fece della verità la suaautorità. E, nella misura in cui l’autorità di Dio può essere concepita comel’autorità della verità, si può dire che Gesù abbia fatto appelloall’autorità di Dio ed averla posseduta. Ma quando parliamo dell’autoritàdella verità (e quindi dell’autorità di Dio) usiamo di nuovo la parola“autorità” come una metafora. Gesù non si aspettava che gli uomini gliobbedissero: si aspettava che “obbedissero” alla verità, che vivessero inmodo veridico. Ancora una volta, qui sarebbe meglio parlare di poterepiuttosto che di autorità.Il potere delle parole di Gesù fu il potere della verità stessa. Gesù ebbeun impatto duraturo sugli uomini perché, evitando ogni pensiero legatoall’autorità, liberò il potere della verità stessa – che è il potere di Dio,e sicuramente il potere della fede. L’unica cosa che si può dire che Gesùabbia affermato è di dire la verità. Questa è un’affermazione sostanziale,di gran lunga più sostanziale di qualsiasi rivendicazione di titoli eccelsio di autorità sovrumana. Qual è la base di questa rivendicazione? Cosa reseGesù così sicuro che le sue convinzioni erano infallibilmente vere? Sipotrebbe rispondere: le convinzioni stesse. Gesù sentiva chiaramente che lasua intuizione della realtà non aveva bisogno di essere dimostrata oconfermata tranne che da se stessa. La sua intuizione era un’esperienzaintuitiva che si confermava da sola. Questo ci porta alla questione molto208 Ovviamente Gesù riconosce di essere un profeta, ma non si basa sull’autorità che un

uomo avrebbe in quanto profeta. Se anche visse l’esperienza di una chiamata (si vedaJeremias, pp. 49-56), o ebbe una visione (si veda Pannenberg, p. 64), Gesù non fecemai ricorso ad alcuna di queste per autenticare le proprie parole.

209 Si veda p. 45; si vedae inoltre Werner & Lotte Pelz, God Is No More, p. 113.

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delicata dell’esperienza personale di Gesù. Ogni tentativo di ricostruire lapsicologia o la coscienza di Gesù sarebbe puramente congetturale. Allamaggior parte degli studiosi basta l’affermazione secondo cui, da qualcheparte nel cuore della misteriosa personalità di Gesù vi fu un’esperienzaunica di intima vicinanza a Dio – l’esperienza-Abba.210 Questo è sicuramentevero, tutti gli elementi puntano in quella direzione, ma è davvero cosìimpossibile spiegare cosa potrebbe spiegare un’esperienza del genere? Non ènecessario speculare sulla psicologia di Gesù. Sappiamo che egli fu spintoad agire e a parlare da una profonda esperienza di compassione. E sappiamoche l’esperienza-Abba fu un’esperienza di Dio come Padre compassionevole.Questo significherebbe che Gesù avvertì il misterioso potere creativo allabase di tutti i fenomeni (Dio) come compassione o amore. “Chiunque ama ènato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio èamore” (1 Gv 4:7-8*).Secondo Von Rad i profeti non solo condivisero la conoscenza di Dio, essifurono anche colmi, fin quasi a scoppiare, dei sentimenti e delle emozionidi Dio.211 Nel caso di Gesù, fu il sentimento della compassione proprio diDio a possederlo e riempirlo. Tutte le sue convinzioni, la sua fede e la suasperanza furono espressioni di questa esperienza fondamentale. Se Dio ècompassionevole, allora il bene trionferà sul male, l’impossibile accadrà ec’è speranza per l’umanità. La fede e l’amore sono l’esperienza dellacompassione come emozione divina. La compassione è la base della verità.L’esperienza della compassione è l’esperienza della sofferenza odell’empatia con gli altri. Soffrire o compatire l’umanità, la natura e Dioè essere in accordo con i ritmi e gli impulsi della vita. Questa è anchel’esperienza della solidarietà: solidarietà con gli uomini, la natura e Dio.Essa esclude ogni forma di alienazione e falsità. Fa dell’uomo una cosa solacon la realtà, quindi lo rende vero e autentico di per sé.Il segreto dell’infallibile intuito di Gesù e delle sue incrollabiliconvinzioni fu la sua incessante esperienza di solidarietà con Dio, che sirivelò un’esperienza di solidarietà con l’umanità e la natura. Questo lorese un uomo liberato in modo unico, coraggioso, intrepido, indipendente,speranzoso e veridico. Cosa avrebbe portato una persona a voler annientareun uomo del genere? Cosa avrebbe portato una persona a volerlo arrestare eprocessare?

210 Edward Schillebeeckx, Jesus, pp. 257-271; Vermes, Jesus the Jew, pp. 210-213; HeinzZahmt, What Kind of God?, p. 163; Jeremias, pp. 67-68.

211 Von Rad, The Message of the Prophets, pp. 42, 50, 165-166.

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Capitolo 18

A Processo

Gli eventi che portarono alla morte di Gesù e le motivazioni che liprodussero sono enigmatici e confusi. Si ha l’impressione che le personecoinvolte siano state a loro volta disorientate e confuse. Per portare unaqualche chiarezza nel quadro dobbiamo distinguere tra le accuse che poteronoessere rivolte a Gesù, le accuse che realmente gli furono imputate e i verimotivi per cui si poteva desiderare di ucciderlo. Gli stessi vangelitestimoniano questa triplice distinzione: ad esempio, Gesù avrebbe potutoessere accusato di avere infranto deliberatamente il Sabbath o di praticarela magia (scacciare i demoni grazie al potere di Satana); in realtà fuaccusato di aver affermato di essere il Messia-re; e il vero motivo, secondoMarco seguito da Matteo, fu l’invidia o la gelosia (Mc 15:10; Mt 27:18).Sfortunatamente gli obiettivi degli autori dei vangeli non li obbligarono amantenere nel corso di questi tale distinzione. Le accuse che si sarebberopotute muovere contro di lui furono a volte considerate accuse realmentemosse (ad es. la blasfemia, Mc 14:64 par), e accuse che gli furono davverorivolte furono a volte considerate i veri motivi per rinnegarlo (ad es., cheegli affermò di essere il Messia, Mc 14:62-64). Questo ha portato a unanotevole confusione. Secondariamente dobbiamo distinguere tra il ruolosvolto dai capi degli Ebrei e quello svolto dal governo romano.C’erano due corti o tribunali: il Sinedrio, o tribunale degli Ebrei, che eracomposto dal sommo sacerdote e da circa sessanta capi dei sacerdoti, deglianziani e degli scribi, e il tribunale romano, che era presieduto da Pilatocome procuratore o governatore. Gesù fu processato, condannato e giustiziatodal tribunale romano. Ma gli autori dei vangeli, come tutti i primicristiani, si sforzarono di chiarire bene che, nonostante questo, i capidegli Ebrei erano maggiormente responsabili della morte di Gesù rispetto aiRomani. Avevano assolutamente ragione, ma il modo in cui si disposero adimostrarlo ai loro lettori ha portato ad una confusione senza fine – inparticolar modo quando danno l’impressione che l’interrogatorio ad opera deicapi degli Ebrei sia stato una specie di processo.212 La loro intenzione nonera quella di ingannare o di distorcere i fatti storici. La loro intenzioneera aiutare il lettore a capire cosa davvero accadde, nonostante leapparenze. Apparentemente i Romani erano colpevoli, ma la verità era che gliEbrei erano maggiormente colpevoli. Qui non c’è alcun antisemitismo, né vi èpregiudizio a favore di Roma, ma soltanto delusione.La verità è che Gesù rivolse un appello ad un popolo specifico, in unmomento determinato, e che quel popolo lo rifiutò, come la maggior partedegli altri uomini avrebbe benissimo potuto fare in quelle circostanze. Cosasuccesse? L’accusa per la quale Gesù fu processato, condannato e giustiziatofu che egli affermò di essere il Messia o il re degli Ebrei. Questo è tuttociò che Pilato gli chiese, e fu quel che apparve sulla sua croce, qualeaccusa rivolta contro di lui. Tutto il resto è pura e semplice speculazione:ciò di cui avrebbe potuto essere imputato o accusato. Il Sinedrio avrebbepotuto contestargli di essere un falso maestro, un falso profeta oppure unfiglio ribelle (Dt 21:2021) o di avere intenzionalmente infranto il sabbath,o di praticare la magia.213 I primi cristiani pensarono che alcuni ebreiavessero accusato Gesù di blasfemia perché aveva perdonato i peccati (Mc 2:7parr) e perché aveva affermato di essere il Messia, il Figlio di Dio o il“figlio dell’uomo” (Mc 14:61-64 par), che equivaleva a rendersi eguale a Dio(Gv 5:18; 10:33, 36; 19:7). Pensarono anche che questa avrebbe potuto essere212 Molto è stato scritto, recentemente, sul processo a Gesù e sui motivi che indussero

gli avengelisti e le loro fonti a ricostruire gli eventi. Per il lettore che nonriesce ad orientarsi nell’abbondantissima letteratura sull’argomento raccomando illibretto di Gerard S. Sloyan, Jesus on Trial, o l’articolo di J. Sobosan, “The Trialof Jesus,” Journal of Ecumenical Studies, 10.1 (1973), 70-91.

213 Joachim Jeremias, New Testament Theology, pp. 278-279. Ci fu anche la possibileaccusa che egli desiderasse distruggere il Tempio, ma essa non fu mai consideratamolto seriamente (Mc 14:57-59 par).

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l’accusa contestatagli dinanzi al Sinedrio (Mc 14:61-64 par) o che questoavrebbe potuto essere il motivo per cui il popolo chiese a Pilato dicrocifiggerlo (Gv 19:7).Secondo Luca, gli Ebrei lo accusarono – e i Romani avrebbero potutoaccusarlo – di attività sovversiva e di opposizione al pagamento delle tassea Cesare (23:2). Ci fu un senso in cui la sua azione ed il suo insegnamentofurono sovversivi per lo status quo. Egli voleva cambiare la società da cimaa fondo. Sul tema della tassazione, come abbiamo visto, egli evitò del tuttodi schierarsi a favore di una delle due parti nella controversia, perché perlui non era quello il vero problema. Tutto questo significa che, sebbene visiano state varie possibili imputazioni o accuse che avrebbero potutoessergli rivolte, il Sinedrio non lo processò affatto, e i Romani loprocessarono perché aveva dichiarato di essere il re degli Ebrei. Perché?Quali furono i veri motivi per fare questo? Pilato era un governatoreparticolarmente spietato. Egli uscì dal seminato per provocare gli Ebrei, equando essi protestarono e si ribellarono non esitò a circondarli emassacrarli. I presunti ribelli furono molto spesso giustiziatiassolutamente senza processo.Secondo Filone,214 il filosofo ebreo contemporaneo, Pilato era “per naturainflessibile, determinato e duro”. Egli elenca i crimini di Pilato:“corruzione, tirannia, saccheggio, violenza, calunnia, costante esecuzionesenza emissione di un verdetto e interminabile, insopportabile crudeltà”.Questo quadro è confermato da tre episodi avvenuti durante l’amministrazionedi Pilato che furono annotati dallo storico ebreo contemporaneo GiuseppeFlavio. Il primo episodio riguardò gli stendardi romani o insegne imperiali,che gli Ebrei consideravano idolatre perché riportavano le immaginidell’imperatore e altri simboli sacri. Sebbene questo non fosse mai statofatto in precedenza, Pilato ordinò che gli stendardi fossero portati aGerusalemme. Il popolo protestò e presentò a Pilato la richiesta dirimuovere gli stendardi. Pilato rifiutò, li fece segretamente circondare eli avrebbe fatti anche massacrare, se non fosse successo che non opposeroalcuna resistenza e furono tutti disposti a morire martiri.215 Non sarebbestato politicamente opportuno ucciderli tutti a sangue freddo. Però duranteil secondo scontro tra Pilato e la folla degli ebrei, questa volta per ilsuo uso dei fondi del Tempio per costruire un acquedotto, li fece circondaree percuotere con dei bastoni. Alcuni rimasero uccisi e altri gravementeferiti.216 Il terzo episodio portò alla sua caduta. Egli fu rimandato a Romaper questo motivo. Questa volta si trattava di un gruppo di Samaritani chesi erano riuniti sul Monte Gerizim per lo scopo, abbastanza innocente, dicercare i vasi sacri che – credevano – Mosè aveva nascosto là. Pilato mandòl’esercito a massacrarli.217 Pilato sembra aver avuto una fobia per i grandi assembramenti di persone.Ogni volta che gli Ebrei (o i Samaritani) si riunivano per fare causa comunesu qualcosa, egli sospettava una potenziale ribellione contro Roma.Otteniamo esattamente la stessa immagine di Pilato dalla breve menzione diun altro episodio nello stesso Nuovo Testamento. Luca parla dei “Galilei ilcui sangue Pilato aveva mescolato con i loro sacrifici”” (13:1) – unmassacro nel Tempio! Questa, ovviamente, non è l’immagine di Pilato chetroviamo nei racconti evangelici del processo a Gesù. È ovvio che Pilatoviene in qualche modo “ripulito” in queste versioni del processo per renderepiù importante il fatto che la colpa della morte di Gesù era degli Ebrei.In realtà, cosa avrebbe potuto pensare Pilato a proposito di Gesù? Sappiamocosa altri procuratori, meno spietati, pensarono dei profeti e deipotenziali Messia. Verso il 45 E.C. un profeta chiamato Teuda guidò un grannumero di ebrei, insieme ai loro averi, fino al Fiume Giordano che, comeMosè, aveva promesso di dividere miracolosamente, così che essi avrebbero

214 Legatio ad Gaium, 299-305.

215 Antiquities 18:55-57.

216 Antiquities 18:61-62; Guerre 2:175-177.

217 Antiquities 18:85-89.

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potuto attraversarlo e andare nel deserto. Il procuratore Cuspio Fado inviòla sua cavalleria. Questa ne uccise alcuni e ne prese prigionieri altri.Teuda fu decapitato.218 Non ci sono prove che Teuda fosse uno zelota.219 Quisi può anche citare l’episodio del profeta ebreo proveniente dall’Egitto.Circa nel 58 E.C. egli radunò una folla sul Monte degli Olivi promettendo,come Giosuè, che le mura della città sarebbero crollate su suo ordine. Ilprocuratore Antonio Felice passò immediatamente all’azione. Molti ebreifurono uccisi, ma l’egiziano fuggì.220 In seguito un ufficiale romano scambiòPaolo per l’ebreo egiziano, che dice essere stato la guida dei quattromilasicari o tagliagole (Atti 21:38). Essi non furono zeloti, anche se il loroprofeta-leader può aver avuto delle intenzioni che erano molto simili aquelle degli Zeloti. Se Pilato avesse conosciuto le intenzioni di Gesù, seavesse saputo in quale tipo di “regno” sperava e quanto tentasse didiffondere la fede in questo “regno” avrebbe certamente voluto ucciderlo.Pilato avrebbe considerato Gesù una gravissima minaccia politica anche seavesse saputo che Gesù non intendeva fondare il nuovo “regno” con la forzadelle armi – proprio come Erode considerò Giovanni il Battista una minacciapolitica e ritenne necessario farlo arrestare, sebbene Giovanni non avessemai fatto ricorso alla violenza.221

La ribellione armata non fu l’unica minaccia al governo romano. Qualsiasimovimento popolare che si fosse dedicato al cambiamento, specialmente se diispirazione religiosa, sarebbe stato considerato estremamente pericoloso. Maquesto è ciò che Pilato avrebbe pensato se avesse conosciuto l’insegnamentoe le intenzioni di Gesù. Pilato, concretamente, seppe qualcosa di Gesù? Eglipuò essere stato edotto dell’episodio nel cortile del Tempio, quando Gesùscacciò i mercanti. La guarnigione romana sorvegliava il cortile del Tempio,e quando Paolo provocò una rivolta fuori dalle porte del Tempio i soldatiromani intervennero rapidamente (Atti 21:27-36). La “purificazione” delcortile del Tempio ad opera di Gesù non avrebbe potuto passare inosservata.Questa, da sola, sarebbe bastata a rendere Pilato sospettoso nei confrontidi Gesù e delle sue intenzioni. Ma non possiamo sapere se la guarnigioneromana riportò la cosa a Pilato oppure no.Al tempo del processo a Gesù Pilato sapeva quantomeno che Gesù era un leaderinfluente e che molti dei suoi seguaci lo consideravano il futuro Messia ore degli Ebrei.222 Ma Pilato seppe questo prima del processo? Sembrerebbeaverlo dovuto sapere. Sappiamo da Giovanni che Gesù fu arrestato da ungruppo misto di guardie ebree e soldati romani (18:3,12). Tenendo contodella tendenza di Giovanni a sminuire la colpa dei Romani ovunque ne abbial’occasione, questa inclusione di soldati romani e del loro tribuno (18:12)deve essere un fatto storico. Nessun ebreo, nemmeno il sommo sacerdote,avrebbe potuto incaricare i soldati romani di arrestare qualcuno. Pilatodeve essere stato coinvolto. Deve aver voluto che Gesù fosse arrestato.Quindi deve aver saputo di Gesù prima del processo. Possiamo concludere chese Pilato non avesse avuto sospetti su Gesù e sulle sue intenzioni inoccasione dell’episodio del Tempio, deve aver saputo di lui qualche tempodopo questo fatto ma prima dell’arresto. Quale ruolo ebbero in questo leautorità ebraiche, allora?Il sommo sacerdote era nominato dai Romani. Gli era permesso esercitarel’autorità e partecipare all’amministrazione del paese. Anche le suefunzioni religiose erano controllate dai Romani, che avevano in custodia isuoi paramenti sacri. Il sommo sacerdote e i suoi associati, quindi, eranoprofondamente coinvolti in quella che definiremmo la politica o le questionidi stato, e completamente dipendenti dai Romani. Il loro compito eracollaborare a mantenere la pace, specialmente durante le feste sovraffollatea Gerusalemme. Quanto sapevano di Gesù? Probabilmente pochissimo. Devono218 Antichità 20:97-99; Atti 5:36.

219 Martin Hengel, Die Zeloten, pp. 236-238.

220 Antichità 20:169-172.

221 Si veda il Capitolo 2 e Geza Vermes, Jesus the Jew, pp. 50-51.

222 Vermes, pp. 51, 144.

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aver saputo almeno quanto Pilato, ma non abbastanza per imputargli le accuseche avrebbero potuto essergli rivolte secondo la legge ebraica (presumendoche essi abbiano mai pensato di portarlo a processo davanti al Sinedrio).Possiamo essere sicuri che essi sapevano che Gesù incitò gli uomini acredere nell’arrivo imminente del “regno” di Dio, e che alcune personevedevano in lui il Messia promesso.223 Il sommo sacerdote e i suoi associatiavrebbero considerato questa propaganda in primo luogo una minaccia per ildelicato mantenimento della pace con i Romani. Erano uomini d’affari, piùpreoccupati degli interessi personali che della verità.Questo è chiaro dalle loro riflessioni su Gesù fatte qualche tempo prima delsuo arresto. È di nuovo Giovanni a darci un resoconto di queste riflessioni.“«Che facciamo?»... Caiafa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro:«...Non riflettete come torni a vostro vantaggio che un uomo solo muoia peril popolo e non perisca tutta la nazione»” (11:47-50*). Qui non c’è alcuninteresse per la verità, e in particolar modo per quella che molti, oggi,chiamerebbero la verità religiosa. È una questione di convenienza politica.Quali saranno le rappresaglie romane se non facciamo qualcosa riguardo aquest’uomo? Non sarebbe più opportuno che morisse? Ci sono solo due modipossibili di dare un senso a queste riflessioni. Una è che Caiafa pensasseche la propaganda relativa ad un nuovo “regno” e la popolare acclamazione diGesù quale Messia-re stessero per far precipitare uno scontro tra Gesù e iRomani. Se questo fosse accaduto, i Romani sarebbero “arrivati e avrebberopreso il nostro posto e il nostro popolo”. Paul Winter ha affermato che “ilnostro posto” non significa il Luogo Santo o Tempio, ma la posizione o lostatus del sommo sacerdote e del suo consiglio.224 Se così è, allora iltimore di Caiafa fu che tutti loro sarebbero stati privati delle loroposizioni perché non avevano fatto il loro dovere, non prevenendo unarivolta riportando la questione ai Romani o consegnando loro Gesù perchéfosse giustiziato.L’altra possibilità è che Pilato avesse già ordinato loro di trovare Gesù edi consegnarglielo. Le riflessioni delle autorità ebraiche, allora,avrebbero riguardato un caso di estradizione. Un ebreo la cui estradizioneper accuse politiche era richiesta da un signore pagano doveva essereconsegnato o no? La massima secondo cui “torni a vostro vantaggio che unuomo solo muoia per il popolo e non perisca tutta la nazione” somiglia moltoalla controversa massima legale per la quale il ricercato deve essereconsegnato “così che l’intera comunità non soffra per colpa sua”.225 In altreparole quella che abbiamo qui è una misura preventiva calcolata per evitareuno scontro con i romani, oppure un caso di estradizione. In ogni caso, ladecisione del sommo sacerdote e del suo consiglio fu quella di collaborarecon Roma. La convenienza politica richiedeva che quest’uomo fosse consegnatoe che fosse permesso che morisse. Cercare di salvargli la vita sarebbe statoun suicidio per il popolo.Furono i Romani, perciò, a voler uccidere Gesù. Se abbiano scoperto da solile cose che riguardavano Gesù e volessero un’estradizione, o se Caiafa, dopole riflessioni del concilio, abbia relazionato loro su di lui resta incerto.Che essi debbano aver voluto uccidere Gesù è del tutto in accordo con lapolitica nota di Pilato e degli altri procuratori. Essi uccisero tutti iprofeti e i potenziali Messia. Le autorità ebraiche, per qualche motivo,decisero di trovare Gesù e di consegnarlo a Pilato. L’accusa che dobbiamorivolgere ad esse è quella di aver tradito Gesù. Consegnare e tradire sono

223 L’affermazione di Giovanni in 7:32 esprime in modo molto accurato questa idea: “Ifarisei udirono la gente mormorare queste cose di lui (ossia, che egli poteva essereil Messia); e i capi dei sacerdoti e i farisei (!) mandarono delle guardie perarrestarlo”.

224 Paul Winter, On the Trial of Jesus, p. 39.

225 Genesi Rabbah 94:9 e si confronti con la storia di Seba in 2 Samuele 20. Si vedanoMerx, Das Evangelium des Johannes, pp. 298-299; D. Daube, Collaboration with Tyrannyin Rabbinic Law, New York and London: Oxford University Press, 1966, passim, Vermes,Jesus the Jew, pp. 5051. Le argomentazioni di E. Bammel avverso l’idea che quello cheabbiamo qui è un caso di estradizione non sono convincenti (The Trial of Jesus, pp.26-30).

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la stessa parola in greco: paradidomai (Mc 9:31 parr; 10:33, 34 parr; 14:41par; 15:1 par; Mt 26:2; Gv 19:11; Atti 7:52). Quindi ci furono duetradimenti: Giuda lo tradì (lo consegnò) alle autorità ebraiche e queste, aloro volta, lo tradirono (lo consegnarono) ai Romani (Mc 10:33-34 parr).Egli fu quindi processato e condannato a morte da un tribunale romani. Lacosa più importante del processo stesso, la sola cosa della quale possiamoessere assolutamente certi e tuttavia l’unica cosa che spesso vienesottovalutata, è che Gesù non si difese.In tutti i verbali, a prescindere da chi fosse ad accusarlo o da quale fossel’accusa che gli era rivolta, Gesù rimase in silenzio (Mc 14:60-61; 15:4-5;Mt 26:62-63; 27:12, 14; Lc 23:9). Se e quando parlò, fu solo per essere vagoe, in effetti, per rifiutare di fornire una risposta: “Tu lo dici” (Mc 15:2;Mt 26:64; 27:11; Lc 22:70; 23:3) e “Anche se ve lo dicessi, non credereste;e se io vi facessi delle domande, non rispondereste” (Lc 22:67; si vedanoinoltre 20:8; Gv 18:20-21). Il dialogo, che fu costruito dagli autori deivangeli o dalle loro fonti per esprimere il rapporto tra Gesù e i suoioppositori, non deve oscurare la loro stessa palese affermazione dei fatti:“Egli non diede risposta al alcuna accusa” (Mt 27:14). Il servo sofferentedi Isaia 53:7 rimase in silenzio davanti ai suoi accusatori – come unagnello davanti a chi deve tosarlo. Da questo non si può ipotizzare che gliautori dei vangeli o le loro fonti abbiano inventato l’idea del silenzio diGesù per evidenziare il fatto che Gesù era il servo sofferente.226

Restare in silenzio di fronte ai suoi accusatori è esattamente quello che cisaremmo aspettati che Gesù avrebbe fatto. Egli aveva coerentemente rifiutatodi produrre dei segni dal cielo; non aveva mai discusso con autorità, avevarifiutato di rispondere a delle domande sulla sua autorità e ora rifiutavadi difendere o giustificare il suo comportamento. In altre parole, Gesù nondisse una parola, mettendo alla prova tutti gli altri. La verità è che chenon era Gesù ad essere a processo. Quelli che lo avevano tradito e i suoiaccusatori erano a processo davanti a lui. Il suo silenzio li sorprese, lidisturbò, li mise in discussione e alla prova. Le loro parole vennerorivolte contro di loro, ed essi stessi si condannarono con le loro bocche.Pilato, in primo luogo, fu processato e giudicato carente. Il silenzio diGesù lo colse di sorpresa (Mt 27:14 par). Probabilmente esitò per unmomento, come suggeriscono tutte le storie dei vangeli. Ma siccome non sicurava della verità, e mai se ne era curato, continuò a fare quel che laconvenienza politica sembrava richiedere. Come Giovanni vide in modo moltochiaro, Pilato fu colpevole di mancanza di interesse per la verità (18:37-38). Caiafa e i suoi associati furono ancora più colpevoli. Deve esserestato molto difficile decidere tra la vita di un uomo e il futuro delpopolo. Ma ancor più di Pilato, Caiafa e i suoi associati avrebbero potutoporsi il problema di investigare maggiormente su Gesù e avrebbero potutoessere aperti alla possibilità che egli avesse qualcosa di utile da offrire.Ma anche se Caiafa fosse stato aperto alla verità e fosse giunto a crederein Gesù, cosa avrebbe potuto o dovuto fare per assicurare la pace con iRomani? Forse, possiamo dire, avrebbe dovuto rischiare la vita dimettendosida sommo sacerdote, unendosi a Gesù nella latitanza e operando con lui perdiffondere la fede nel “regno”. Questa è un’impresa ardua, e ci si chiedequanti uomini, nella sua posizione, sarebbero stati così interessati allaverità e all’onestà. E tuttavia non fu forse per questo motivo che gliuomini dell’epoca erano sul ciglio del disastro? Caiafa non fu in grado diaccettare la sfida che Gesù gli presentò. Chi di noi vorrebbe scagliare laprima pietra a Caiafa?La morte di Gesù fu anche un giudizio per gli scribi, i Farisei e altri checonsapevolmente lo avevano rifiutato. Se lo avessero accettato e avesserocreduto nel “regno” dei poveri, quel “regno” sarebbe giunto al posto dellacatastrofe. Essi non furono diversi da moltissimi uomini e donne di oggi, etuttavia nel processo di Gesù anche loro furono giudicati colpevoli. Infine,gli stessi discepoli furono messi alla prova. Fu una prova severa, una provadella loro disponibilità a morire con lui per amore degli uomini. Ma Giudalo tradì, Pietro lo rinnegò e gli altri fuggirono. Anche Gesù fu messo alla

226 Per la storicità del silenzio di Gesù si vedano Edward Schillebeeckx, Jesus, p. 315; Etienne Trocme, pp. 75-77.

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prova. Sudò sangue per questo, e disse ai suoi discepoli di pregare di nonessere messi alla prova severamente quanto lo era lui (Mc 14:32-38 parr).Egli aveva sempre insegnato ai suoi discepoli di sperare e pregare di nonarrivare a questo, che Dio non li mettesse alla prova. Questo è ilsignificato della preghiera: “Non indurci in tentazione” (Mt 6:13; Lc11:4).227 Gesù volle che nessuno fosse messo alla prova. Ma la crisi giunse,e la prova fu severa. Soltanto Gesù poté accettare la sfida dell’ora. Essalo pose sopra a chiunque altro come la verità silenziosa che giudica ogniessere umano: Gesù morì solo, come l’unica persona che era riuscita asopravvivere alla prova.228 Tutti gli altri fallirono, e tuttavia a tutti glialtri fu concessa un’altra possibilità. Quella del Cristianesimo è la storiadi coloro che arrivarono a credere in Gesù e che furono ispirati adaccettare la sfida della sua morte – in un modo o nell’altro.

227 Peirasmos significa tentazione, test o prova.

228 Questo non vuol dire che non ci furono degli innocenti che continuarono a credere inlui e a restare al suo fianco fino alla fine. Ci viene detto che Maria e “il discepoloche egli amava” e svariate donne furono ai piedi della croce (Mc 15:40 parr; Gv 19:25-27). Ma non furono loro ad essere messi alla prova da questi eventi. Di tutti quelliche furono messi alla prova – Gesù, Caiafa, Pilato, Giuda, Pietro ecc – soltanto Gesùsopravvisse, paradossalmente morendo.

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Capitolo 19

La Fede in Gesù

Gesù non fondò un’organizzazione, egli ispirò un movimento; fu inevitabileche il movimento diventasse molto presto un’organizzazione, ma all’inizio cifurono semplicemente delle persone, individui e gruppi sparsi, che eranostati ispirati da Gesù. Ci furono i dodici, le donne, la sua famiglia (Mara,Giacomo, Giuda), molti dei poveri e degli oppressi che lui aveva rimesso inpiedi, ci furono i discepoli in Galilea e in discepoli di Gerico (ad esempioZaccheo) e di Gerusalemme (ad esempio Giuseppe di Arimatea e Nicodemo); cifurono gli ebrei di lingua greca, come i sette ellenisti che furono ispiratida quello che avevano sentito dire di lui (Atti 6:1-6); ci furono perfinodei farisei e dei sacerdoti che si unirono alla comunità che si era formataa Gerusalemme (Atti 6:7; 15:5). Ognuno ricordava Gesù a modo suo, o erastato colpito da una aspetto particolare di quello che avevano sentito su dilui. All’inizio non ci furono dottrine né dogmi, nessun modo universalmenteaccettato di seguirlo o di credere in lui. Egli non aveva ispirato il tipodi movimento che semplicemente continua a nominare dei successori del leaderoriginale. Gli Zeloti, come i Maccabei prima di loro, avevano unasuccessione dinastica o ereditaria. Ma la cosa eccezionale del movimentoispirato da Gesù fu che egli stesso rimase il leader e l’ispirazione deisuoi seguaci anche dopo la sua morte. Si sentiva che, ovviamente, Gesù erainsostituibile. Se egli moriva, il movimento moriva. Ma se il movimentocontinuava a vivere poteva essere solo perché, in un senso o nell’altro,Gesù continuava a vivere. Il movimento fu pluriforme, sicuramente amorfo edisorganizzato. La sua sola unità, o punto di coesione, era la personalitàdi Gesù stesso. Non che questo, per quanto ne sappiamo, sia consistitosemplicemente nella perpetuazione del suo insegnamento o della sua memoria.I primi cristiani furono quelli che continuavano, o iniziavano, a sentire inun modo o nell’altro il potere della presenza di Gesù tra di loro dopo lasua morte. Tutti sentivano che, nonostante fosse morto, Gesù continuava aguidarli e ad ispirarli. Alcuni di coloro che lo avevano conosciuto e vistoprima che morisse (specialmente i dodici) erano convinti di averlo visto dinuovo in vita dopo la sua morte, e che egli li avesse istruiti nuovamente,come aveva fatto prima. Le donne che avevano scoperto la tomba vuota,seguite da altri discepoli, proclamarono che Gesù era risorto dai morti.Molti, inoltre, sentirono la continua leadership ed ispirazione di Gesù comel’eredità del suo Spirito – lo Spirito di Dio. Sentivano di essere possedutodal suo Spirito e di essere guidati dal suo Spirito. La profezia di Gioeleera adempiuta in loro per mezzo di Gesù: lo Spirito era stato riversato inmezzo a loro, facendo di tutti loro dei profeti che hanno visioni e sogni(si veda il sermone di Pietro in Atti 2:14-41). Gesù rimase presente eattivo grazie alla presenza e all’attività del suo Spirito: “Ora, il Signoreè lo Spirito; e dove c’è lo Spirito del Signore, lì c’è libertà.... Secondol’azione del Signore, che è lo Spirito” (2 Cor 3:17-18). Gesù aveva avuto, econtinuava ad avere, un impatto così profondo sui suoi seguaci che per loroera impossibile credere che qualcun altro potesse essere pari a lui o piùgrande – nemmeno Mosè o Elia (Mc 9:2-8 parr), nemmeno Abramo (Jn 8:58). Lavenuta di un profeta, un giudice o un Messia dopo Gesù, e più grande diGesù, era inconcepibile (Gv 7:31). Non era necessario “aspettare qualcunaltro” (Mt 11:3 par). Gesù era tutto. Gesù era tutto quello che gli Ebreiavevano sperato e per cui avevano pregato. Gesù aveva adempiuto, o avrebbeadempiuto, ogni promessa e ogni profezia. Se qualcuno dovrà giudicare ilmondo, alla fine, dovrà essere lui (Atti 10:42; 17:31). Se qualcuno deveessere nominato Messia, Re, Signore, Figlio di Dio nel “regno”, come può nonessere Gesù (Atti 2:36; 3:20-21; Rom 1:4; Rev 17:14; 19:16)? La loroammirazione e venerazione per lui non aveva limiti. Egli fu in ogni modo ilsolo e definitivo criterio del bene e del male, e della verità e dellafalsità, l’unica speranza per il futuro, il solo potere che potevatrasformare il mondo. I seguaci esaltarono Gesù alla destra di Dio, opiuttosto credettero che, a parere di Dio, Gesù era alla Sua destra (Atti2:33-34; 5:31; Ef 1:20-23; 1 Cor 15:24-27; 1 Pietro 3:21-22; Eb 10:12-13).

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Dio contraddice la valutazione dei capi degli Ebrei. Essi rifiutarono Gesù,lo tradirono e lo fecero uccidere, ma Dio lo eleva, lo glorifica, lo esaltae fa di lui il Signore, il Messia, la pietra angolare (Atti 2:22,36; 3:13-15; 4:11; 5:30-31; 1 Pie 2:4).Gesù fu sentito come la svolta nella storia dell’umanità egli trascese ognicosa fosse stata detta e fatta in precedenza. Fu in ogni modo l’ultimaparola, quella definitiva. Fu alla pari con Dio. La sua parola fu la paroladi Dio. Il suo Spirito fu lo Spirito di Dio. I suoi sentimenti furono isentimenti di Dio. Quel che egli rappresentò era esattamente ciò che Diorappresentava. Non era concepibile una stima superiore. Credere in Gesù oggiè concordare con questa sua valutazione. Non abbiamo bisogno di usare lestesse parole, gli stessi concetti o gli stessi titoli. Non abbiamo affattobisogno di usare dei titoli. Ma se releghiamo Gesù e quello che rappresentaal secondo posto nella nostra scala di valori, allora abbiamo già rifiutatolui e quello che rappresenta. Ciò di cui Gesù si preoccupava era unaquestione di vita o di morte, una questione di somma importanza. O siaccetta il “regno” così come Gesù lo interpretò oppure no. Non è possibileservire due “padroni”. È tutto o niente. Il secondo posto o le mezze misureequivalgono al niente. Credere in Gesù è credere che egli è divino. Ognunoha un dio – nel senso che ognuno mette qualcosa al primo posto nella suavita: denaro, potere, prestigio se stesso, amore eccetera. Deve esserciqualcosa nella tua vita che opera come la tua fonte di significato e forza,qualcosa che consideri, almeno implicitamente, il potere supremo nella tuavita. Se pensi che la tua priorità nella vita sia essere una personatrascendente, avrai un Dio con la lettera maiuscola. Se pensi che il tuomassimo valore sia una causa, un ideale o un’ideologia avrai un dio con lalettera minuscola. In ogni caso avrai qualcosa che per te è divino. Credereche Gesù è divino è scegliere di fare di lui e di ciò che rappresenta il tuoDio. Negare questo è fare di qualcun altro il tuo dio o Dio, e relegare Gesùe quello che rappresenta al secondo posto nella tua scala di valori.Ho scelto questo approccio perché ci permette di iniziare con un concettoaperto di divinità e di evitare il perenne errore di sovrapporre alla vita ealla personalità di Gesù le nostre idee preconcette su come si presume cheDio debba essere. L’immagine tradizionale di Dio è diventata così difficileda capire e così difficile da riconciliare con i fatti storici della vita diGesù che molti non riescono più a identificare Gesù con quel Dio. Per moltigiovani, oggi, Gesù è vivissimo, ma il Dio tradizionale è morto.229 Con lesue parole e le sue azioni Gesù stesso cambiò il contenuto della parola“Dio”. Se non gli permettiamo di cambiare la nostra immagine di Dio nonpotremo dire che egli è il nostro Signore e il nostro Dio. Sceglierlo comenostro Dio è fare di lui la fonte della nostra informazione sulla divinità,e rifiutare di sovrapporre a lui le nostre idee della divinità. Questo è ilsignificato dell’affermazione tradizionale che Gesù è la Parola di Dio. Gesùci rivela Dio, non è Dio a rivelarci Gesù. Dio non è la Parola di Gesù,ossia, le nostre idee su Dio non possono fare alcuna luce sulla vita diGesù.Argomentare da Dio a Gesù invece di argomentare da Gesù a Dio è mettere ilcarro davanti ai buoi. Questo, ovviamente, è ciò che molti cristiani hannocercato di fare. Generalmente ciò li ha condotti ad una serie dispeculazioni insensate che possono solo rendere confuso il tema e cheimpediscono a Gesù di rivelarci Dio. Non possiamo dedurre nulla su Gesù daquello che pensiamo di sapere su Dio; ora dobbiamo dedurre ogni cosa su Dioda quello che sappiamo su Gesù. Così quando diciamo che Gesù è divino nonvogliamo aggiungere alcunché a quello che siamo riusciti a scoprire su dilui fino ad ora, né vogliamo cambiare alcuna cosa che abbiamo detto su dilui. Dire ora, improvvisamente, che Gesù è divino non cambia la nostrainterpretazione di gesù: cambia la nostra interpretazione della divinità.Non solo ci allontaniamo dagli dei del denaro, del potere, del prestigio odel sé; ci allontaniamo da tutte le vecchie immagini di un Dio personale perscoprire il nostro Dio in Gesù e in quello che rappresentò. Questo non vuoldire che dobbiamo abolire il Vecchio Testamento e rifiutare il Dio di229 Christian Duquoc, “Yes to Jesus-No to God and the Church”, Concilium, Ottobre 1974,

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Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Significa che se accettiamo Gesù comedivino dobbiamo reinterpretare l’Antico Testamento dal punto di vista diGesù, e dobbiamo cercare di capire il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbenel modo in cui lo fece Gesù. Accettiamo che il Dio dell’Antico Testamentoora è cambiato e si è intenerito rispetto ai Suoi scopi originali, peressere del tutto compassionevole nei confronti degli uomini – di tutti gliuomini. Accettare Gesù come nostro Dio è accettare colui che Gesù chiamòAbba come nostro Dio. Questo potere supremo, questo potere del bene, dellaverità e dell’amore, che è più forte di qualsiasi altro potere al mondo, puòora essere visto e riconosciuto in Gesù – sia in quello che ebbe da dire suAbba che in ciò che egli stesso fu, la stessa struttura della sua vitapersonale e il potere onnipotente delle sue convinzioni. Il nostro Dio è siaGesù che Abba. Per la loro essenziale unità o “esatta identità”, quandoadoriamo l’uno adoriamo l’altro. E tuttavia essi sono distinguibili per ilfatto che solo Gesù è per noi visibile, solo Gesù è la nostra fonte diinformazione sulla divinità, soltanto Gesù è la Parola di Dio. Abbiamo vistocom’era Gesù. Se ora vogliamo trattarlo come nostro Dio dovremmo concludereche il nostro Dio non vuole essere servito da noi, ma vuole servirci; Dionon vuole che gli sia attribuito il massimo possibile rango e status nellanostra società, ma vuole prendere il posto più basso ed essere privo di ognirango e status; Dio non vuol essere temuto e obbedito, ma vuol esserericonosciuto nelle sofferenze dei poveri e dei deboli; Dio non èindifferente e distaccato al massimo, ma è irrevocabilmente dedito allaliberazione dell’umanità, perché Dio ha scelto di essere identificato contutti gli uomini in uno spirito di solidarietà e di compassione. Se questanon è una vera immagine di Dio, allora Gesù non è divino. Se è una veraimmagine di Dio, allora Dio è più autenticamente umano, molto più umano diqualsiasi essere umano. Dio è quel che Schillebeeckx ha definito un Deushumanissimus, un Dio sommamente umano.230 Qualsiasi cosa ‘umanità’ e‘divinità’ possano significare in termini di una filosofia statica dellenature metafisiche, in termini religiosi, per gli uomini che riconosconoGesù come loro Dio, l’umano e il divino sono stati riuniti in modo tale cheora rappresentano un solo, unico valore religioso. In questo senso ladivinità di Gesù non è qualcosa di completamente diverso dalla sua umanità,una cosa che dobbiamo aggiungere alla sua umanità: la divinità di Gesù sonole profondità trascendenti della sua umanità.Gesù fu incommensurabilmente più umano di altri esseri umani, e questo è ciòche apprezziamo più di ogni altra cosa quando lo riconosciamo come divino,quando lo riconosciamo come nostro Signore e nostro Dio. Ma ci sono elementioggettivi e storici che portino a credere che quest’uomo, come essere umano,sia divino? Scegliere qualcosa come il denaro o il potere come proprio dio èpuramente soggettivo e arbitrario – una forma di idolatria. Scegliere Gesùnon deve essere meramente soggettivo e arbitrario, perché in questo caso èpossibile dare una spiegazione ragionevole e convincente della propriascelta. Ci sono dei modi di spiegare la nostra fede nella divinità di Gesùche sono estremamente insoddisfacenti. Molti cristiani sostengono che Gesùstesso affermò di essere divino, esplicitamente, rivendicando titoli divinio l’autorità divina, o implicitamente, parlando e agendo con autoritàdivina.A volte, poi, si dice che queste affermazioni sono state “dimostrare” oconfermate dai suoi miracoli e/o dalla sua resurrezione. Come abbiamo visto,Gesù non rivendicò titoli divino o l’autorità divina, ma dichiarò diconoscere la verità e di conoscerla senza doversi basare su un’autoritàdiversa dalla verità stessa. Egli affermò, quantomeno per implicazione, diessere in contatto immediato con la verità, o, meglio, che in lui trovavaespressione la verità stessa. Quindi, come abbiamo visto, chi lo ascoltavanon doveva affidarsi ciecamente alla sua autorità, ma prendere da lui laverità che egli era e della quale parlava, la verità che egli non avevaricevuto da nessun altro. Imparando da lui, essi, di fatto, rendevamo laverità stessa la loro autorità. Quelli che furono convinti da Gesù furonoconvinti dalla capacità di persuasione della verità stessa. Gesù ebbeun’armonia unica con tutto ciò che è vero e reale nella vita. La sua230 Edward Schillebeeckx, Jesus, p. 545.

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compassione spontanea per gli uomini precluse ogni tipo di alienazione oartificialismo. La sua fede spontanea nel potere del bene e della veritàindica una vita priva di falsità e illusione. Si può dire che egli sia statoassorbito dalla verità, o, ancora meglio, che in lui la verità si fececarne. Gesù stesso deve aver vissuto questo come essere in armonia completacon Dio. Deve essere stato consapevole del fatto di pensare e sentire comeDio pensa e sente. Quindi non sentì il bisogno di fare riferimento adun’autorità o a un potere al di fuori della sua stessa esperienza, né difare affidamento su di esso.Ma come possiamo sapere se questa affermazione di veridicità sia stata omeno un’illusione? Non c’è un modo scientifico o storico per dimostrarlo osmentirlo. Come il proverbiale albero, può essere accertato solo dai suoifrutti. Se i frutti – i detti e le azioni di Gesù -per noi sono veri, alloral’esperienza sulla quale si basarono non può essere stata un’illusione. Unavolta che abbiamo ascoltato Gesù con la mente aperta, e una volta che siamostati persuasi e convinti da ciò che egli ha da dire a proposito della vita,sapremo che la sua rivendicazione di un’esperienza diretta di verità non eraun vanto vano. Appena Gesù sarà riuscito a risvegliare in noi una fede inquello che rappresentò, noi risponderemo riponendo la nostra fede in lui efacendo della sua veridicità unica il nostro Dio. In altre parola, la fedeche Gesù risveglia in noi è nello stesso tempo fede in lui e fede nella suadivinità. Questa fu l’esperienza dei seguaci di Gesù. Questo fu il tipo diimpatto che ebbe su di loro. Essi non lo avrebbero espresso in questo modo,ma dopotutto non è una questione di teorie su Gesù o sulla Divinità. Leparole e le teorie saranno sempre inadeguate. In ultima analisi, la fede nonè un modo di parlare o di pensare, è un modo di vivere, e può essereadeguatamente articolata in un modo di vivere.Riconoscere Gesù come nostro Signore e Salvatore ha un significato solo secerchiamo di vivere come egli visse, e accordare le nostre vite suoi suoivalori. Non abbiamo bisogno di formulare delle teorie su Gesù, abbiamobisogno di “ri-produrlo” nel nostro tempo e nelle nostre circostanze. Eglistesso non considerò la verità una cosa che doveva essere semplicemente“sostenuta” e “mantenuta”, ma come qualcosa che noi scegliamo di vivere e disentire. Così che la nostra ricerca, come la sua, è in primo luogo unaricerca dell’ortoprassi (la vera pratica) piuttosto che dell’ortodossia (lavera dottrina).231 Soltanto una vera pratica della fede può verificare quelloin cui crediamo. Possiamo fare riferimento alle autorità tradizionali e alleargomentazioni teologiche, ma ciò che crediamo può avverarsi, ed essereconstatato come vero, soltanto nei risultati concreti che la fede ottienenel mondo – oggi e domani.232 L’inizio della fede in Gesù, quindi, è iltentativo di leggere i segni dei nostri tempi come Gesù lesse i segni deisuoi tempi. Ci sono delle somiglianze, ma ci sono anche delle differenze.Non possiamo semplicemente ripetere quello che Gesù disse, ma possiamoiniziare ad analizzare i nostri tempi con lo stesso spirito con cui eglianalizzò i propri.Dovremmo iniziare, come fece Gesù, con la compassione – la compassione per imilioni di persone che muoiono di fame, per quelli che sono umiliati ereietti, e per i miliardi di persone del futuro che soffriranno a causa delmodo in cui viviamo oggi. È solo quando, come il buon samaritano, scopriamola nostra comune umanità, che inizieremo a sentire quel che Gesù sentì. Soloquelli che valorizzano sopra ogni altra cosa la dignità degli esseri umaniin quanto esseri umani sono concordi con il Dio che creò gli uomini adimmagine e somiglianza di Dio stesso, e che “non ha riguardi personali”(Atti 10:34 AV). Come ha detto Paul Verghese della Chiesa Ortodossa Sirianadi Kerala: “Non è il vangelo cristiano a minare l’uomo per esaltare Dio. Èun Dio troppo meschino che può avere la gloria soltanto a spese della gloriadell’uomo”.233 La fede in Gesù senza il rispetto e la compassione per gli231 Gustavo Gutierrez, A Theology of Liberation, p. 10; Hugo Assmann, Theology for a

Nomad Church, p. 80.

232 Gutierrez, p. 10; Assmann, pp. 76-77, 81, 122; Schillebeeckx, God the Future of Man,pp. 35, 182-186.

233 T. Paul Verghese, The Freedom of Man, Philadelphia: Westminster Press, 1972, p. 57.

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uomini è una menzogna (si confronti con 1 Cor 13:1-2; Giacomo 2:14-26).Identificarsi con Gesù significa identificarsi con tutti gli uomini. Cercarei segni dei tempi nello spirito di Gesù, quindi, significherà riconosceretutte le forze che operano contro l’umanità come le forze del male. Il mondoattuale non è forse dominato e governato da Satana, il nemico dell’umanità?Il sistema non è forse l’equivalente moderno del “regno” di Satana? Le forzedel male non ci stanno forse trascinando tutti alla distruzione, ad uninferno sulla Terra? Dovremo cercare di capire le strutture del male nelmondo così com’è oggi. Quanto ci siano basati sui valori terreni del denaro,degli averi, del prestigio, dello status, del privilegio, del potere e sullesolidarietà di gruppo della famiglia, della razza, della classe, delpartito, della religione e del nazionalismo? Fare di questi i nostri valorisupremi significa non avere nulla in comune con Gesù. Credere in Gesù ècredere che il bene può trionfare sul male. Nonostante il sistema,nonostante l’importanza, la complessità e l’apparente irrisolvibilità deinostri problemi oggi, l’umanità può essere liberata, e alla fine lo sarà.Ogni forma del male – il peccato e tutte le sue conseguenze: la malattia, lasofferenza, la miseria, la frustrazione, la paura, l’oppressione el’ingiustizia – può essere sconfitta. E l’unico potere che può ottenerequesto è il potere di una fede che crede questo. Perché la fede, comeabbiamo visto, il potere del bene e della verità, il potere di Dio.C’è un potere che può resistere al sistema e impedire ad esso didistruggerci. C’è una motivazione che può sostituire quella del profitto, edè più forte di essa. C’è un incentivo che può far muovere il mondo,permettere ai ricchi di abbassare il proprio stile di vita e renderci fintroppo disposti a ridistribuire le ricchezze del mondo alla sua popolazione.È lo stesso impulso ed incentivo che motivò Gesù: la compassione e la fede.Generalmente è stato chiamato fede, speranza e amore; in qualsiasi modo siscelga di chiamarlo, deve essere interpretato come la liberazione del poteredivino ma completamente “naturale” della verità, del bene e della bellezza.Con questo tipo di approccio ai problemi del nostro tempo infine siriconosce l’imminente catastrofe come un’opportunità unica per la venuta del“regno”. Per noi la catastrofe imminente è totale e definitiva. È l’eventoche definisce il nostro tempo, è il nostro eschaton. Ma se permettiamo adesso di scuotere le fondamenta stesse della nostra vita potremo scoprire cheGesù ha risvegliato i noi la fede e la speranza necessarie a vedere i segnidel “regno” qui in mezzo a noi, a consideare il nostro eschaton un evento o-o e a vedere il nostro tempo come la possibilità unica della liberazionetotale dell’umanità. Dio oggi ci parla in modo nuovo. Dio ci parla neglieventi e nei problemi del nostro tempo. Gesù può aiutare a capire la vocedella Verità, ma in ultima analisi siamo noi che dobbiamo decidere e agire.

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