Cristianesimo e giudaismo

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FRANCESCO SPADAFORA CRISTIANESIMO E GIUDAISMO @ EDIZIONI KRINON

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FRANCESCO SPADAFORA

CRISTIANESIMO E

GIUDAISMO

@ EDIZIONI KRINON

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COLLANA « STUDI E DOTTRINA D Diretta da PUCCI CIPRIANI

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STUDI E DOTLIIINA

Collana diretta da h c c ~ CIPRIANI

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FRANCESCO SPADAFORA

Cristianesimo e Giudaismo

EDIZIONI KRINON

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I' edizione Mano 1987

Ediiioni Krinon s.a.s. di Giandesin Luisa Via Liberth, 186 - 93100 Caltanissetta - Tel. (0934) 51973

Stampato in Italia Printed in Italy

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A Mons. Donato De Bonis Protonotario Apostolico

solerte e fedelissimo fattore

nella Vigna del Signore grato, l'Autore.

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È il tema più discusso in particolare dal 1945 ai nostri giorni. Ne ha trat- tato anche il Concilio Vaticano I I , nella « Dichiarazione Nostra aetate sulle relazioni della Chiesa con le religioni non-cristiane », al n. 4.

A. « Scrutando il mistero della Chiesa, il Sacro Concilio ricorda il vincolo che lega spiritualmente il popolo del Nuovo Testamento con la stirpe di Abramo.

B. . . « Come attesta la Sacra Scrittura, Gerusalemme non rico- nobbe il tempo in cui fu visitata (Lc. 19,44); gli Ebrei, in gran parte, non accettarono il Vangelo, ed anzi non pochi si opposero alla sua dif- fusione (cf. Rom. 11,28). Tuttavia, secondo l'Apostolo, gli Ebrei, a motivo dei Padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento (Rom. 11,28-29). Con i Profeti e con lo stesso Apostolo, la Chiesa aspetta il giorno . . . in cui tutti i popoli invocheranno il Signore . . . (Rom. 11,ll-32).

C. . . « Sebbene autorità ebraiche con i propri seguaci si siano adoperate per la morte di Cristo (cf. Giov. 19,6), tuttavia quanto è stato commesso durante la Sua Passione non può essere imputato né indi- stintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo. E se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, gli Ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla Sacra Scrittura.

D. « Curino pertanto tutti che . . . non insegnino alcunché che non sia conforme alla verità dell'Evangelo e allo spirito di Cristo . . . Del resto, il Cristo, come la Chiesa ha sempre sostenuto e sostiene, in virtù del suo immenso amore, si è volontariamente sottomesso alla passione e morte a causa dei peccati di tutti gli uomini e affinché tutti gli uomini conseguano la salvezza . . ». ( l )

(l) Sacro Concilio ENn. Vaticano 11. Costituzioni Decreti Dichiarazioni a cura di S. Garofalo, editore Ancora, Milano 1966, pp. 591-595.

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La dichiarazione fu promulgata il 28 ottobre 1965, dopo un lungo e faticoso dibattito che la rinviò da sessione in sessione B . ( ~ )

Essa rimanda in particolare e ripetutamente alla lettera ai Romani (C. 1 1 ) e raccomanda la fedeltà a alla tierità deU'Euangelo ».

I1 tema è infatti squisitamente, essenzialmente esegetico: sia per il nesso tra Vecchio e Nuovo Testamento, questione basilare (A); sia, ancor più, per il capoverso B; e infine per le responsabilità, di cui in C.

E all'esame, all'interpretazione dei testi biblici sono dedicati, ad esempio, gli studi di S. Ecc. Mons. Luigi Carli (') e del Card. Agostino Bea, s.j.,(') senz'altro al primo posto tra quanti hanno scritto sull'argo- mento, a commento della Dichiarazione conciliare: sono addotti versetti dagli Evangeli, Atti degli Apostoli, lettere di S. Paolo, in particolare Rom., ma con deduzioni e conclusioni opposte. L'è che non bisogna fermarsi al singolo versetto, avulso magari dal contesto mediato ed immediato; per la retta esegesi inoltre, è necessario tener presente e debitamente valutare quanto hanno gih scritto i migliori autori, nei loro commenti, per ciascun punto da trattare; e in ciò consiste la mag- gior carenza in particolare nell'art. del Card. Bea.

Promulgato il testo definitivo (28 ott. 1965) della Dichiarazione 'Nostra detate', il Cardinale Agostino Bea, l'artefice primario di essa, - come diremo, tutto zelo per il giudaismo -, ne scrisse in difesa, cercando di rispondere punto per punto alle argomentazioni ed ai testi addotti da S. Ecc. Carli nell'articolo su citato. M Il popolo ebraico nel piano divino della sdueua N, in La Civiltà Cattolica, p. 2769, 6 nov. 1965, pp. 209-229. .

Non si parli di a deicidio N: a Non vi è dubbio che la condanna e l'esecuzione di Cristo costituiscono in se stesse, oggettivamente parlando, un crimine di deicidio, perché Gesù è Uomo-Dio N. Ma M i capi del Sinedrio e il popolo n non conoscevano M chiaramente la natura umano- divina del Cristo n. In essi c'era .« una certa ignoranza: questa riguardava

(2) J. P. LICHTBNBE~G, O.P., Contenu et portée dc la DCclaration ... sur les Iuifs, in Nouu. Rev. ThCologique 98 (1966) 225 ss.

(3) Mom, L. M. CARLI, La questione giudaicd davanti ui Conc. Vatic. I I , in Puiestra del Clero 44 (1965), 185-203 e più compiutmente, in Chiesa e sinagoga, ivi, l5 m m 1966, pp. 333-335 e la aprile, pp. 398419; con appropriata iiiusaazione dei testi citati. Per la persona, l'apostolato e gli scritti di S. E. CPrli, vescovo di Segni e quindi aruv. di Gaeta, morto il 25 aprile 1986, vedi La Pensde Catholiqrre, n. 223, lugiio-agosto 1986, pp. 56-66: P. E., Un grand prélat: Mon~eigneur Carli.

(4) S.Em, il Card. Agmtino Bea, giA rettore dei P. 1st. Biblico, Il popolo ebraico nel piano divino dells suiuctzcr, in La CiuiltB Cattolicrr, quad. 2769, 6 novembre 1x5 , pp. 209-229.

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in primo luogo il punto più difficile a comprendersi per un ebreo, cioè la divinitd di Gesù ». ( I corsivi sono nel testo).

E il Card. Bea cita le parole di S. Pietro, cc il quale, dopo aver rimproverato ai giudei di Gerusalemme: cc Voi uccideste l'autore della vita M, quasi subito aggiungeva: a Ora, o fratelli, io so che voi operaste per ignoranza, come anche i vostri capi » (Act. 3,15-17). Cita S. Paolo (Act. 13,27); e le parole di Gesù: a Padre, perdona loro, perché non sanno quel che fanno » (L. 23,34). (')

4< Non & possibile - afferma il Card. -, nel breve spazio conces- soci, istituire una esauriente interpretazione di questi testi (p. 213). La stessa osservazione o ammissione fa a p. 217, a proposito dei testi degli Atti degli Apostoli e dei brani evangelici citati (p. 215 S.) per la domanda responsabilità collettiva del popolo ebraico? >> da lui negata: 4< Naturalmente per rispondere in modo esauriente al nostro quesito bisognerebbe istituire un'interpretazione particolareggiata dei singoli testi, il che non è possibile nello spazio concessoci ».

Sicché abbiamo soltanto i testi citati, presi fuori dal loro contesto, con l'interpretazione che l'Eminente Autore loro attribuisce, per le sue tesi.

Le parole di Gesù in Croce - commenta l'Autore - sono a una vera scusante a favore degli ebrei. I testi citati però non si possono considerare come un'assoluzione propriamente detta, e tanto meno com- pleta, dei responsabili della morte di Gesù; per esempio, la domanda di perdono di Gesù non avrebbe ragione di essere, se ci fosse stata una ignoranza completa e quindi una completa assenza di colpa >>. Igno- ranza dunque della divinità di Gesù. Eppure i testi evangelici, inequi- vocabilmente, attestano una grave ignoranza « colpevole »: si sono rifiutati di credere. E implicitamente lo ammette il Card. Bea con la seguente precisazione: cc Con ciò non vogliamo certo negare l'efficacia delle sufficienti dichiarazioni di Gesù riguardo alla sua divinità ed il valore delle proue fornite in favore di essa. Ma da questa sufficienza - aggiunge - segue solo che l'ignoranza poteva essere colpevole ... » (p. 214).

Basti qui ricordare le parole di Gesù: cc Se non fossi venuto e non avessi loro parlato, non avrebbero colpa; ma ora non hanno scusa per il loro peccato. Se non avessi tra loro compiuto opere, che nessun

(5) Anche S. Ecc. Carli cita questi passi (art. cit., 15 febbraio 1965, p. 192 e nella nota 11); con in pib 1 Cor. 2,8: a si cnim cognovissent (il disegno saivifico, per cui l'Eterno mandò il suo Figliolo), nunqurim Dominum gloriae cricifiiissent B; come l'aucto- rem vitae (Gesu uomo-Dio) di S. Pietro.

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altro ha fatte, non avrebbero colpa; ma ora, benché abbiano veduto, pure odiano e me e il Padre mio ». (Giov. 15,18-25). E nel C. 10 ai Romani, S. Paolo afferma la stessa cosa per « i Giudei responsabili della loro riprovazione » (A Vaccari), nei vv. 18-21. Rimane - con- tinua il Card. Bea - la responsabilità più generica della condanna dell'innocente, conosciuto come un Maestro santo e magari anche come profeta, anzi come il profeta, il Messia promesso. È essenziale ora stabilire << se in una tale responsabilità è coinvolto il popolo e nel caso di risposta affermativa, in quale senso P. E ammonisce: « È im- portante conservare la più assoluta fedeltà al racconto dei Vangeli ».

I testi citati sono: Act 2,22 S., 36 S. Pietro, nel giorno della Pen- tecoste; <i Israeliti, - Gesù di Nazareth . . . voi l'avete crocifisso e ucciso 9 ; 3,15 : sempre ai Giudei, << Voi uccideste l'Autore della vita »; 5,30 al Sinedrio: <i Gesù, che voi uccideste appendendolo in croce »; 7,52 S. Stefano sempre al Sinedrio: « . . . del Giusto, del quale voi foste ora i traditori e gli omicidi . . . ». Analoghe espressioni in S. Paolo: Act. 13,27 S. E nella 1 Thess. 2,14 ss., i Giudei uccisero Gesù e i Profeti . . .; spiacenti a Dio e avversi a tutti gli uomini. Van così colmando la misura dei loro peccati; ma già li coglie l'ira di Dio sino in fondo D. Non c'è dubbio, qui S. Paolo parla << degli ebrei in gene- rale ». Tuttavia, il Card. restringe ai soli abitanti di Gerusalemme gli altri testi precedenti; ma arbitrariamente e in contrasto con tutto il contesto: S. Pietro, ad es., in Act. 2 parla ai Giudei convenuti a Gem- salemme da tutte le regioni dell'impero romano: cf. vv. 5-13 « Giudei d'ogni nazione . . .: Parti . . .; abitanti della Mesopotamia ecc. ».

Cita quindi, per il minacciato castigo per tutto il popolo: la para- bola dei vignaioli Mt. 21,43-46; il lamento di Gesù su Gerusalemme Le. 19,43 S.; e l'annunzio del castigo che cadrà <i su questa generazione Mt. 23,31-36. E si chiede: Responsabilità collettiva del popolo ebraico? La sua risposta è stranamente negativa; in aperto conflitto con i testi, restringe ogni responsabilità ai capi ed a pochi abitanti di Gerusalemme: nega il principio della solidarietà collettiva.

Ha avuto pertanto buon gioco, S. Ecc. Carli (in <i Palestra del Clero », 15 marzo 1966, p. 333-355 e 1 aprile p. 398-419: << Chiesa e Sinagoga W ) , nel documentare la validità essenziale del suo primo articolo, nella fedeltà alla interpretazione dei testi della Sacra Scrittura; e, co- munque, nel rilevare gli arbitri e l'infondatezza delle deduzioni tratte dal Card. dai medesimi testi.

Quanto alla validità del principio della « responsabilità collettiva »

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in atto in tutto il Vecchio Testamento, « per cui l'intero popolo rispon- de dinanzi a Iahweh della colpa dei suoi rappresentanti », egli cita il mio studio, presentato come tesi di laurea, sotto la direzione dei miei professori, A. Bea e A. Vaccari, « Collettivismo e Individualismo nel Vecchio Testamento », Rovigo 1953, pp. XXIV - 398, e il mio com- mento ad Erechiele, ed. Marietti, 1951, p. 10 S.; 152 S. (vedi, art. cit., 1 apr. 1966, p. 405).

« Soltanto il principio della responsabilità collettiva può, in parti- colare, dar sufficiente ragione del fatto che il rimprovero degli Apostoli venga rivolto anche ai Giudei di altre città palestinesi o della diaspora, anzi persino ai proseliti: e forse a gente che per la prima volta sentiva parlare di Gesù! » (n. 408).

Ed in nota (45); « Arbitrariamente il Baum, op. cit., restringe Act. 2,14 agli abitanti della Giudea (p. 277, nota 2) e Act. 2,40 ai Gerosolimitani (p. 134) . . . ».

Già nella nota 21, art. del 15 marzo, p. 350, il Carli parla del libro del Padre Gregory Baum O.S.A., « israelita convertito e sacerdote, Consultore del Segretariato per l'unione dei cristiani »: The Jews and the Gospel. A Re-examination of the New Testament, Londra 1961; « che anticipa parecchie tesi sostenute dal Card. Bea, in Civ. Catt. ».

I1 libro del P. Baum figura in testa alla limitatissima bibliografia posta dal Card. Bea in testa al suo art.; con l'indicazione delle traduzioni tedesca e francese del medesimo: Die Juden and das Evangelium, Ensie- deln 1963; Les Juifs et l'Evangile, Paris 1965. Segue a ruota: Giovanni Caprile, La responsabilità degli ebrei nella crocifissione di Geszì, 2" ed., Firenze 1964. Di essi ci occuperemo in seguito. Ma la fonte comune al Baum e al Card. Bea, non riportata da questi in bibliografia, è stata senz'altro il libro dello israelita Jules Isaac, Jésus et Israel, in 8", 585 pp., Paris 1948.

Sulla parte preponderante avuta dal Card. Bea per la preparazione e il varo del testo conciliare, ha scritto il Padre Stjepan Schmidt, già suo segretario particolare, nella rubrica « Rileggere il Concilio » - 17 - su Il Tempo, 5 nov. 1985, p. 17. « Il ruolo decisivo suolto dal Cardi- naie tedesco Bea ».

Papa Giovanni XXIII nel giugno 1960 riceve in udienza l'israelita Jules Isaac che dinanzi a Lui perora la causa del suo popolo, secondo le tesi già formulate nel suo libro Gesù e Israele, e lo manda dal Card. Bea.

Incominciano così i contatti di Bea con i rappresentanti più noti

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del giudaismo; e nell'udienza del 18 sett. 1960 riceve dal Pontefice l'incarico di preparare per il Concilio un documento sulla delicata materia. Era l'inizio del cammino che dopo cinque anni porterà alla Dichiara- zione conciliare.

Per superare la diffidenza, le difficoltà manifestatesi e per ben disporre favorevolmente i Padri, il Card. Bea preparò per la Civiltà Cattolica un suo ampio articolo dal titolo impegnativo « Gli Ebrei sono 'deicidi' e 'maledetti da Dio'? ». L'articolo doveva simultaneamente apparire sulla rivista tedesca Stimmen der Zeit e sulla Nouvelle Revue Théologique di Lovanio. La Segreteria di Stato però non ne ritenne opportuna la pubblicazione.

I1 Card. Bea, tuttavia, cedette all'insistenza del direttore della rivista tedesca e l'art. vi apparve egualmente sotto la firma del P. Ludo- vico von Hertling, s.j., già prof. di Storia ecclesiastica alla Pontificia Università Gregoriana.

Quindi, l'articolo, tradotto in italiano e fatto stampare da un industriale di Genova, anche in varie lingue, fu distribuito ai Vescovi, al momento opportuno per la presentazione dello schema in Concilio. E il suo influsso fu notevole e davvero determinante.

Un esempio positivo - circa il metodo da seguire per la retta esegesi - ci è offerto, al riguardo, dalla trattazione che del tema Ebrei e Cristiani, fa con chiarezza, ricca ed appropriata conoscenza della lette- ratura recente, il grande teologo, il Card. Charles Journet, nel I11 vo- lume dell'opera L'Eglise du Verbe Incarné. Essai de Théologie de l'histoire du Salut, Desclée de Brouver, 1969, grosso volume in 8"' pp. 721. Parte dal Vecchio Testamento: l'economia della Legge mosaica: alleanza, profezie messianiche: « Il ruolo della Legge mosaica, ruolo di pedagogo, era destinato a scomparire: Gal. 3,23-29. La Legge fu il nostro pedagogo per condurci a Cristo . . . giustificati in virttì della fede B. È la conclusione geniale, ispirata, ben dimostrata e formulata già da S. Paolo e da tutto il Nuovo Testamento.

Quindi, si sofferma su « La tragedia d'Israele » e trattando della causa immediata della morte di Gesù, confuta le tesi di Jules Isaac. Illustra quindi la dialettica paolina: « Giudei e Gentili » e commenta Rom. 9-11. (pp. 412-518).

I1 Card. Journet addita e segue per l'esegesi dei testi le migliori fonti scientificamente sicure: per il Vecchio Testamento, per gli Evangeli

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e particolarmente per S. Paolo, l'opera classica del più grande esegeta moderno, il domenicano P. Marie Joseph Lagrange ( + 1938): Le ju- daisme avant Jésus Christ, 2" ed., Paris 193 1, con Le Messianisme chex les luifs, ivi 1909; Pasca1 et les prophéties messianiques, in Revue Biblique, 1906, pp. 550-557; i quattro grandi commenti ai singoli quat- tro ss. Evangeli; Epitre aux Galates, 3" ed., Paris 1926; Epitre aux Romains, 4" migliaio, Paris 193 1.

I1 Card. Journet rimanda spesso al suo libro precedente Destinées d'lsrael, Paris 1945.

Le sue conclusioni: 4 Le promesse divine (del V.T.) si sono rea- lizzate nel 'resto' (i figli di Abramo per la fede, che hanno aderito al Cristo: l'Israele « secondo la carne » invece ha respinto il Messia).

« Sulla massa d'Israele esse sono sospese. Ancora adesso, più gravemente di prima, essi sono dei figli ribelli, nemici a motivo del- l'Evangelo. L'effetto delle promesse, ora sospeso . . ., finirà per scen- dere nel loro cuore » (p. 482).

« Amati, in quanto destinati a convertirsi, come gruppo etnico, in un futuro imprecisato, nella Chiesa, Corpo mistico di Gesù Reden- tore » (cf. p. 495-499; L'epoca della reintegrazione; e p. 513 col commento del P. Lagrange a Pqm. 11).

Giustamente Mons. Carli rilevava che, nel trattare il nostro tema, bisogna tener presente le concezioni del Giudaismo moderno e contem- poraneo, sul Messia (cf. art. cit. del 15 marzo 1966, p. 345 S.) ( 6 ) .

E il Card. Journet, con la consueta precisione, ne tratta nelle pp. 467-478: « flessione e trasformazione della speranza messianica n.

L'attesa del Vecchio Testamento, per noi cristiani è la venuta in Israele di Gesù, di un Salvatore per Israele e per il mondo intero, che riconcilia tutto in Dio mediante il sangue della sua Croce: oportet Illum (Cristo) regnare, fino a che Egli rimetta, dopo la resurrezione di tutti gli uomini, il regno a Dio Padre (1 Cor. 15,24). Tutto il Vecchio Testamento tende e finisce a Gesù Redentore, che, con la Chiesa per- petua la sua opera.

Ora - continua Journet - si produce un rovesciamento. Ciò che

(6) P. Joseph Bonsirven, s.j., già dotto rabbino, autore di importanti ed erudite opere sulla letteratura rabbinica, scrisse un interessante libretto: Les Juifs et Jésus. Attitudes nouvelles, Beauchesne, Paris 1937, p. 257.

Presentava già un documentato, ricco specimen del giudaismo liberale, rispettoso nei riguardi di Gesù. Cf., ad es., il giudeo Claudio Montefiore, Gesù di Nazareth nel pensiero ebraico moderno, tr. dall'inglese. Con ampia introduzione di Felice Momigliano: Il giudaismo liberale e Gesrì dei Sinottici, pp. XLIX, 1-152, R. F. Formiggini ed., Ge- nova 1913.

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specifica la speranza d'Israele è una speranza temporale, un piano dei regni di questo mondo, interiore allo svolgimento della* storia, in cui il ruolo principale l'avrà la comunità d'Israele - il popolo che è u messianico N - e in cui il ruolo personale del Messia, semplice uomo, non può essere che episodico e secondario. Completamente chiuso sui misteri della trascendenza cristiana, regno spirtuale - nei quattro Evangeli, dall'inizio alla fine -, Israele si apre nell'avvenire temporale dell'umanità.

A conferma, il Card. Journet, riporta la testimonianza di quattro autori giudei, due anteriori e due posteriori alla proclamazione dello Stato d'Israele.

1 . Al primo posto Joseph Klausner (') professore all'università ebraica di Gerusalemme, nel libro Der judische Messias und der chri- stliche Messias, 1945.

I1 Messia, persona, scompare davanti ad Israele. Questi, come popolo, occupa il proscenio della storia. Fedele al suo Dio, confidando nelle sue buone opere, deve marciare alla testa del progresso e affrettare così il tempo della conversione del mondo intero.

I1 Messia sarà figlio di David; re vittorioso. Non sarà che uomo mortale: il superuomo del giudaismo; il suo regno sarà di questo mondo. Incarnerà l'ideale della nazione giudaica: scuotere il giogo della disper- sione, raggrupparsi nella Terra dei suoi padri. Come si compirà questo ritorno, cominceranno i giorni del Messia. Israele sarà ricondotto dai quattro angoli dell'orizzonte nella sua patria, intorno a Gerusalemme. La lingua ebraica rifiorirà. I1 Messia governerà non soltanto Israele, ma in un certo senso, tutti i popoli. La restaurazione d'Israele porterà in effetti dietro a sé quella del mondo intero. Sarà la fine dell'idolatria ... Non si incontreranno più sulla terra né povertà, né dolori, né guerre. La stessa natura esterna sarà riscattata: il lupo pascolerà con le pecore ... La terra si coprirà di messi e di raccolti. L'età d'oro, che l'ellenismo sognava alla soglia della storia, sarà infine stabilita sulla terra. La fede messianica è la semenza del progresso, dispensata dal giudaismo nel mondo intero.

2. Idee affini esprimeva il rabino russo Samuele Mohilever, nella sua lettera al 1' Congresso sionista, 1897; concludeva citando Zach. 8,7 S.: u Così dice Iahweh Slibdt: Ecco, io trarrò in salvo il mio popolo dall'occidente e dall'oriente e li condurrò ad abitare a Gerusa-

(7) Ben noto anche per la sua vita di Gesù, in ebraico, 1922; la trad. francese è del 1933; Jésus de Nazareth; J . Bonsirven ne dà ampia e chiara sintesi, nel suo libro cit. nella nota precedente: Les Juifs et Jésus, pp. 17-83.

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lemme; essi saranno il mio popolo ed io sarò il loro Dio fedele e giusto a. Riferito al ritorno, ora realizzato, degli Ebrei in Palestina. Anche il sacerdote cattolico, G. Caprile, cita il testo di Zach. in tal senso (!). Ma il testo di Zaccaria si realizzò nella libera Gerusalemme, la Chiesa, (Gal. 4,26). Un po' più giù (9,9) Zaccaria profetizza: ' Ralle- grati molto, figlia di Sion (gli abitanti di Gerusalemme), manda grida di letizia, figlia di Gerusalemme! Ecco il tuo re che a te viene: Egli è giusto e vittorioso; è mite e cavalca un giumento, i1 puledro di un'asina! D.

« L'entrata pacifica del re Messia nella sua capitale: giusto, pio, vittorioso, ricompensa divina della sua pietà. Ma specialmente egli è re mite, cioè umile e pacifico. Per questo viene scelto per il suo ingresso un giumento, animale mansueto, anzi un puledro, cioè un giovane asinello, non un destriero, animale in guerra.

« E la sua indole pacifica la dimostrerà anche con i fatti, appena assisosi sul trono: ogni strumento di guerra sarà bandito e nei suoi indirizzi ai sudditi parlerà solo di opere di pace a. (Comm. del P. Alberto Vaccari, s.j., La S. Bibbia, ed. Salani). Cf. v. 10. Come non ricordare l'ingresso messianico di Gesù, tra le palme e il popolo osannante . . . Mt. 20,l-112

Dopo la proclamazione dello Stato d"Israe1e (15 maggio 1948) hanno scritto André Chouraqui, L'État d'lsrael, Paris, P.U.F., 1955 e André Neher, Moise et la nation juive, Paris, Seuil, 1957, scelti tra tanti altri, dal Card. Journet.

3. A. Chouraqui, nel suo « petit libre émouvant » (Journet), vede nel risorto Stato d'Israele « la risposta di Dio alle persecuzioni subite nei secoli da parte di tutte le nazioni cristiane, una risposta alla lunga angoscia del suo popolo; come una splendida replica alle promesse bibliche circa la riunione dei Dispersi; la ricostruzione di Gerusalemme la nuova fioritura della Terra Santa . . . Venti secoli di dolore prepara- vano il compimento della promessa e la triplice risurrezione di un popolo, di una terra e di una lingua. La predicazione centrale dei profeti annunciava il ritorno d'Israele e la restaurazione di Geru- salemme . . .

Conclude: leggete la Bibbia, vi troverete l'inizio e la fine di questa stupenda storia.

4. André Neher, autore, tra l'altro, dell'ottimo studio: Amos. Contribution à I'étude du prophétisme, Paris, 1950, in 8", pp. 297, nel libro su citato, pone Gesù tra i grandi fondatori di religioni con Budda e Maometto. Il vero Messia che salva se stesso e il mondo,

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è il popolo d'Israele. u Iniziando la dialettica della Legge e della Fede nel quadro redenzionale, san Paolo inaugurava uno scisma. Per i Giudei infatti non è il Messia che giustifica l'uomo, ma il compimento della Legge v . I1 compimento della thora è confidato al solo popolo giudaico. Essi esaltano non tanto l'elezione di Abramo, quanto l'opera di Mosé. Di Abramo dicono: << Nostro Padre », di Mosè: u Nostro Maestro m. In Mosè si realizza l'irriducibile vocazione del popolo giudaico.

Come la marcia attraverso il deserto tendeva alla Terra, così l'esca- tologia esilica resta tesa verso la Terra. La risurrezione dello Stato d'Israele è un momento di questa dialettica: Esilio e Terra.

Lo Stato d'Israele e la Diaspora formano le due branche della dialettica del messianismo giudaico. Ma la branchia dell'Esilio s'incur- verà un giorno verso quella della Terra e, innestandosi in essa, vi si svilupperà . . . Così gli uni e gli altri marciano su vie che solo in apparenza divergono. Tutti tendono alla Terra . . . Allora il lupo abiterà con l'agnello, la tigre riposerà col capretto. Soltanto allora sarà risolta la questione giudaica.

E sempre a proposito dello Stato d'Israele, la I11 Conferenza dei rabbini europei (Parigi, 14-16 nov. 1961), riaffermando i 6 principi fondamentali del giudaismo, formula cosl il 4': « La Terra Santa ha un ruolo capitale nei destini del giudaismo e la risurrezione dello Stato d'Israele deve essere considerata come il segno manifesto della Prov- videnza » .(8)

I1 Card. Journet, come rileva la retta interpretazione delle profezie messianiche realizzate in Gesù N.S., così per questa nuova suggestione circa il ruolo 'religioso' del risorto Stato d'Israele, precisa: « Ma non tutti i Giudei condividono tale punto di vista. Lo rifiuta, ad es., Raymond Aron nel suo studio: Les Juifs et 1'Etat d'lsrael, nel Figaro littéraire, 24 fev. et 17 mars 1962. << Lo stato laico d'Israele, costituito e mantenuto con la spada, non è meno paradossale della Diaspora. Sarebbe un errore riconoscere al sionismo un valore religioso. La costi- tuzione, in Palestina, di uno Stato che si dichiara laico e la cui popo- lazione viene in maggioranza dalle comunità giudaiche della diaspora, non è un elemento della storia sacra, essa non può essere interpretata come il compimento delle profezie escatologiche. Qualunque siano le citazioni dalla Bibbia o dal Talmud sarebbe prostituire la fede interpre- tare lo Stato d'Israele in rapporto alle promesse millennaristiche. Tutti i Giudei, credenti o non credenti, cittadini d'Israele o di un altro

(8) Cf. Docurnentotion Catholique, 21 gennaio 1962, col. 150

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paese, devono riconoscere che la creazione dello Stato d'Israele è un episodio della storia tutta umana, non una fine o una svolta della storia del popolo giudaico in rapporto a Dio n. (p. 478).

Riteniamo opportuno ricordare inoltre la tesi proposta dal filosofo ebreo Martin Buber, vicino alla scuola sociologica n per il V.T. (Karl Cramer, Max Weber, David K~igen),(~) nel suo libro Israel, tr. it., Milano 1964. Egli sostiene lo stretto legame del popolo d'Israele con la Terra Santa, come condizione previa e necessaria per il compimento della missione d'Israele. E conclude invitando i cristiani a marciare insieme, doppio binario, verso la meta: seconda venuta del Messia per i cristiani, prima venuta per gli Ebrei.

Accolgono l'invito, condividono l'accennata formulazione del filo- sofo ebreo, alcuni « ecumenisti » acriticamente, con deplorevole eccesso, in contrasto con i testi così chiari del Nuovo Testamento:

1. Renato Fabris, Cristiani e Stato d'Israele. Lettura di un segno dei tempi, nella rivista Studi Cattolici 11 (ag. 1967) 14-22 e sett. 1967, nn. 78-79, pp. 33-42. Egli parla di a una nuova corrente della teologia » e cita il libretto di Marco Quattrini, Le profezie messianiche e gli Ebrei di oggi, Treviso 1965, il quale applica alla ricostruzione dello Stato d'Israele, col sionismo in atto e l'afflusso di Giudei in Palestina, da tutte le parti del mondo, le profezie del Vecchio Testamento, sul ritorno degli esuli.

E sempre con compiacenza riporta quanto scrive William Yale, Il uicino Oriente, Feltrinelli, Milano 1962, p. 430: a É un fatto che molti ebrei e un numero considerevole di cristiani (?) credono che . . . il ristabilimento di una patria nazionale ebraica in Palestina e la crea- zione di uno Stato ebraico . . . siano l'adempimento delle promesse di Dio: se non vi fosse stata questa opinione. . . oggi non esisterebbe probabilmente alcun stato ebraico in Palestina n.

2. I1 religioso Paul Démann, Les Juifs, Foi et Destinée, Paris, R. Fayard, 1961, pp. 111. - I1 Card. Journet, op. cit., p. 494 in nota, scrive delle tesi del

Démann: a Ce serait . . . tout confondre que uoir dans Israel actuel et 1'Eglise 'deux branches séparées d'uta seul et unique peuple de Dieu' n . E l'autorevole P. Pierre Benoit, nella recensione, in Revue Biblique,

(9) Vedi, ad es., l'interessante suo volume: Mo?se; n. dal tedesco di Albert Kohn, Presses Universitaire de France, Paris 1957, p. 267. Neiia Coilection des sources d'Isrsel, diretta da André Chouraqui.

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1961, p. 457 S.: e Au sortir de cette lecture, le chrétien se demandera en quei sa religion est préférable au judaisme. Ne lui présent-on pas le juif come un 'frère ainé qui a tant souffert et qui, malgré tout, est resté fidèl à sa part d'heritageJ (p. 105)? . . . Assurèment . . . la charitè demande un effort de sympathie et de compréhension . . . Il ne faudrait pourtant pas que la bienveillance à tout prix flt perdre I'équilibre. L'espérance d'lsrael est décrite (p. 78-84) sans qu'on ait à aucun moment I'impression d'un echec passé, comme si son attente du Régne et du Messie était encore parfaitement ualable »!

3. I1 sac. Giovanni Caprile che arditamente si è tutto dedicato all'ecumenismo, ed in particolare al problema giudaico. É del 1964 il suo libro La responsabilità degli Ebrei nella crocifissione di Gesù, 2' ed., Firenze: fa sua la tesi di Jules Isaac (vedi più giù). E gli articoli: Israele nellJeconomia della salvezza, in Humanitas, nov.- dic. 1964, p. 1409 ss.; Il popolo ebraico e la sua terra nelle profezie bibliche e nella storia, in Palestra del Clero 63 (1984, 15 ott.) 1220- 1227: afferma che nel risorto Israele, col rientro in Palestina dei giudei si realizzano le profezie del V.T. sul ritorno degli esuli.(lO)

Oltre a Zach. 9,9 (cf. l'op. cit. del Card. Journet, p. 467 S., con lucida confutazione), il Caprile cita i versetti isolati, tolti abusivamente dal loro contesto, 0 s . 3,4 S.; Ex. 38,8; Is. 14, Is. (p. 1225); ed ancora Ex. 36,24; 37, 14-21; 38; 39,20 . . . (p. 1226). Egli è completamente fuori strada: basti leggere i capitoli dai quali abusivamente sono tratti quei versetti per capire che Ezechiele, ad es., predice ai deportati del 597 a.C. che dopo quaranta anni essi, << il resto » che l'Eterno si è riservato e che benedirà, ritorneranno in patria, a formare la risorta teocrazia; allora vivranno in pace; l'Eterno salverà dall'assalto delle potenze pagane (Gog e le sue schiere) la rinata teocrazia la quale sarà quindi assorbita ed elevata dalla a nuova Economia >p, opera del Messia.

É questo il tema e il limite storico di tutti i profeti. Vedi l'espo- sizione critica dell'esegesi di questi capitoli 36-39 nel mio commento Ezechiele (La S. Bibbia, VIII/2), Marietti 195 1 (ed edizioni successive).

(10) E quanto sosteneva giA il rabbino Samuel Mohilevez e come prodamano ora i rabbini di Parigi; d., ad es. Josy Eisenberg, Israel un XIX ..., in Le Monde, 26-5-1967: u La rinascita di uno Stato ebreo dà al nostro secolo una dimensione veramente biblica: il ritorno degli esuli precede l'avvento del Messia nei Profeti, V.T ... La coscienza ebraica pone al Cristianesimo la questione importante: riconoscete questo segno? B. Per lui lo Stato d'Israele è un fatto teologico. Lo stesso P. Gregory Baum, (vedi più giù nel testo) nel suo libro Tbe Jews and tbe Gospel, 1961, p. 159 S., nota saggiamente che il risorto Stato d'Israele u è un affare secolare » che non riguarda le profezie bibliche suil'awenire d'Israele.

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Ritorneremo su questo punto essenziale trattando del Vecchio Testamento.

I1 Caprile ripropone le stesse tesi negli articoli La Sinagoga e la Chiesa. I vincoli che uniscono Cristiani ed Ebrei, in Palestra del Clero 64 (15 gen. 1985) 99-110.

Ecco in sintesi le enormità esegetiche e teologiche categoricamente affermate . . . con veri a controsensi biblici D: Gesù << spacca in due parti il popolo di Dio ».

Di esse solo la maggiore formata da quelli che non credono in Lui, conserva ora il nome di Israele ». É la Sinagoga. L'altra parte è la Chiesa.

a Queste due parti del Popolo di Dio (!) sono tuttavia intimamente congiunte D e marciano insieme sul binario, verso la meta additata da Martin Buber.

Con ogni probabilità, il Caprile s'ispira anche all'art. preparato a suo tempo dal Card. Bea e poi fatto distribuire ai membri del Concilio, e che ora la Civiltà Cattolica ripropone integralmente: quad. 3161, 6 marzo 1982.

Le osservazioni critiche, le precisazioni al riguardo di questo articolo del Card. Bea, sono state opportunamente formulate da Mons. Pier Carlo Landucci, La vera carità verso il popolo ebreo, in Renovatio, luglio-sett. 1982, pp. 349-362. Articolo esemplare, per l'esattezza teo- logica che lo pervade. Lo riporteremo pertanto integralmente alla fine del nostro esame esegetico dei testi della Sacra Scrittura.

Lo stesso Mons. Landucci confutò egregiamente le accennate enor- mità disseminate nell'art. di G. Caprile, La Sinagoga e la Chiesa. . ., nello studio accurato, apparso ancora in Renovatio (aprile-giugno 1985), pp. 219-227: Ebrei e Cristiani.

Sempre tra gli Israeliti che hanno scritto sul nostro tema occupa un posto preminente Jules Isaac, che, ben può dirsi, l'instancabile patrocinatore del dialogo dei Cristiani con gli Ebrei. Abbiamo accennato all'udienza concessagli da Giovanni XXIII e ai suoi rapporti col Card. Agostino Bea; e come così ebbe inizio l'iter del documento conciliare << Nostra aetate » per quel che attiene al giudaismo.

Nato a Ronnes in Bretagna nel 1887, professore di storia per oltre trenta anni nei licei e all'università, dopo la tragedia che colpì la sua famiglia: la moglie e la figlia uccise in un campo di concentramento nazista, si dedicò al problema giudaico e concretò il suo studio, le sue ricerche nel libro Iésus et Israel, in 8", 585 pp., Paris 1984. Continuò

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quindi a perorare con grande tenacia, le sue tesi, in esso calorosamente sostenute, fino alla sua morte avvenuta ad Aix-en-Provence nel 1963.

I1 libro fu tradotto in italiano dalla signora Ebe Finzi Castelfranchi: Gesù e Israele, Nardini, ed., Firenze 1976, pp. 461 ; dalla nuova edi- zione francese del 1970.

I1 grosso volume dopo la Premessa de L'Amicizia ebraico-cristiana di Firenze (p. 5) ' reca la Presentazione dell'edizione italiana (p. 7-10), ad opera del domenicano P. Pierre - M. de Contenson, segretario della Commissione per le relazioni religiose con l'ebraismo; e la Introduzione (p. 11-16) del prof. Albert Soggin della Facoltà Valdese di Teologia.

I1 Padre Domenicano tesse l'elogio di « questa opera . . . un vero e proprio 'classico' fra quelle opere che hanno contribuito all'instaura- zione del dialogo ebraico-cristiano ». E ne fa espressamente la fonte « degli insegnamenti di Nostra Aetate e degli Orientamenti del 1" dic. 1974 da parte delle autorità centrali della Chiesa Cattolica D .

La fonte comune al Baum e al Card. Bea è appunto questo libro di Jules Isaac.

I1 prof. A. Soggin, invece, fa anche cenno, nella sua Introduzione ad « elementi meno positivi » presenti nel libro: « La problematica dell'Autore - scrive ad es. a p. 13 ss. - è quella della guerra e parte quindi dalla spinta traumatica, sul piano generale come su quello perso- nale, prodotta dai campi di sterminio »; . . . nei quali « si trovavano anche migliaia di cristiani D.

Per comodità dei lettori, riportiamo qui brani significativi del lungo accurato esame critico fatto dal ben noto esegeta il P. Pierre Benoit nella recensione al libro dell'Isaac, nella prestigiosa Revue Bibique 56 (1949) 610-613.

« Israele - sintetizza P. Benoit - non ha rigettato Gesù; Gesù non ha riprovato Israele; l'idea di un "deicidio" commesso dalla massa del popolo giudaico e che l'avrebbe votato al castigo di una vita errante tra i popoli, è un mito inventato dalla teologia cristiana e che non è conforme alla realtà della storia; disgraziatamente ess* è all'origine di un antisemitismo secolare e sarebbe tempo che la Chiesa reprimesse queste affermazioni che han causato e causano le persecuzioni di giudei innocenti . . .; questa è la tesi difesa in questo libro da Jules Isaac. Egli la sviluppa in 21 proposizioni distribuite in quattro Parti ».

Quindi passa all'analisi dei punti più significativi. Le prirfie proposizioni « sfondano una porta aperta »; tutti sono

d'accordo: Gesù è nato giudeo, da una madre giudea . . . La nona pro- posizione (o nono argomento della ed. it., pp. 68-89) invece afferma

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che Gesù non ha mai sognato di abrogare la legge mosaica. « Col sacri- ficio della Croce - conclude il P. Benoit la sua risposta - Gesù ha soppresso la Legge, come insegna magnificamente san Paolo (particolar- mente cf. Gal. e Rom.), e, quando la Chiesa primitiva ha sancito tale affermazione per la sua universalità, l'ha fatto sotto l'azione dello Spirito Santo, che non è altro che lo Spirito di Gesù: que M. Isaac veuille bien accepter cette vue « théologique », essentielle à la foi chré- tienne W .

Ancora: non è vero che « la massa del popolo giudeo » ha rigettato Gesù, per la buona ragione che la maggioranza di questo popolo si trovava fuori della Palestina e che quelli che si trovavano in Palestina, nella maggior parte, sentirono parlare di Gesù in maniera indiretta e molto vaga (undesimo argomento, p. 107-1 11). Furono i capi i com- ponenti del Sinedrio, che vollero la morte di Gesù a dispetto della simpatia delle folle per Lui (pp. 112 e ss.) Cf. L'art. del Card. Bea e la Dichiarazione Conciliare.

Ma questi capi - chiede il Benoit - non rappresentavano Israele? I1 Sig. Isaac lo nega. A torto. « Essi di fatto detenevano l'autorità spirituale d'Israele (Mt 23,2). La fable, si fable il y a, - continua a ragione e con forza il P. Benoit - n'est-elle pas dans cette histoire qu'on veut nous faire croire d'un peuple juif conquis et enthousiasmé par Jésus, mais dépouillé malgré lui de ce Prophète par une clique de politicards et de faux dévots, agissant sans mandat et contre ses inten- tions? Ma come spiegare allora che il popolo giudaico una volta passato il primo momento di sorpresa, non abbia aderito a questo caro Profeta che aveva ora l'aureola del Martire? Come spiegare che egli abbia ratificato, completamente, in pieno, la sentenza dei suoi capi, opponendo dappertutto, e questa volta mediante la massa dei suoi membri, in Palestina e nella Diaspora, questa resistenza feroce alla Chiesa nascente, continuando nei discepoli di Gesù l'opera di persecuzione a morte? B (p. 610 S. della Rev. B.).

Un'altra ragione addotta dallo Isaac, per cui il popolo giudaico non ha potuto rigettare il Messia Gesù e commettere un « Deicidio ", è che esso non ha visto in Lui il Messia e ancor meno il Figlio di Dio, (vedi ed. it., pp. 147-189).

Lo sostiene contro tutti i più autorevoli esegeti cattolici e prote- stanti, usando degli evangeli sinottici " ad usum delphini D e negando ogni valore all'evangelo di san Giovanni.

Pur limitandosi ai Sinottici, il P. Benoit così conclude: ' Ce que personne ne peut ignorer, c'est qu'il (Gesù) se dit Envoyé de Dieu,

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qu'il le prouve par ses oeuvres . . . La folla giudaica che l'ha conosciuto non ha potuto ignorarlo, ma volendo seguirlo quando ne aspettava un trionfo, l'ha abbandonato quando ha visto la croce. Ciò non hanno ignorato soprattutto i capi giudaici, ma non hanno voluto saperne di un Maestro nuovo e di una via nuova aperta a tutti. Abbandonato dalla folla, rigettato dai capi, Gesù è stato veramente respinto dal suo popolo, il popolo giudaico, anche se, o, piuttosto perché, questo popolo non ha voluto rinunciare a sé per credere in lui * (p. 612).

L'incomprensi6ne dell'Autore ebreo, a proposito del « segreto mes- sianico » particolarmente nell'evangelo di Marco, e per il dramma del- l'opposizione a Gesù dei capi e del popolo giudaici, è davvero totale.

Per la responsabilità piena dei Giudei per la condanna e l'esecu- zione di Gesù, con la revisione critica delle fonti giudaiche e l'esegesi accurata dei quattro Evangeli, in particolare del IV di san Giovanni, del quale rivendico positivamente l'esattezza, il valore storico, vedi F. Spadafora, Pilato, 1st. Pad. Arti Graf., Rovigo 1973, pp. 215. Altro che « scritti parziali e tendènziosi », come li maltratta J. Isaac, per ad- dossare la colpa ai Romani.

« I1 ressort bien des quatre évangeles que, si les Romains ont ratifié et exécuté la sentence de mort de Jésus, c'est bien du c6té des Juifs qu'elle est venue » (Benoit, p. 612).

Concludendo, il P. Benoit rileva che J. Isaac « parla di Gesù con un rispetto e una ammirazione che toccano il cuore cristiano ». E fa voti che i cristiani ripetino le parole di Gesù: « Padre, perdona loro, essi non sanno quello che fanno ». Mais cette prière meme maintient en toute justice que leurs pères ont « fait » quelque chose de mal et qu'ils on besoin de « pardon ». Ce pardon consistera pour eux à retrou- ver, par la misericorde du Père, cette giace du vrai Messie Jdsus qu'ils ont refusée quand elle leur était offerte ». (p. 613).

Del P. Benoit ancora sono le critiche sostanziali al libro del P. Gregory Baum, Jews and Gospel, 1961 - già cit. - nella lunga recen- sione in Revue Biblique 71 (1964) 80-90.

Va infine notata la trattazione che del « problème redoutable >p

fa una giudea convertita, la sig.ra D. Judant, Les deux Israel. Essai sur le mystère du salut d'lsrael selon l'economie des deux Testaments. Ed. du Cerf, Paris 1960, pp. 249. Cf. la recensione del P. Pierre Benoit, in Revue Biblique 68 (1961) 458-462.

« Rifiutando Gesù, Israele s'è diviso in due; la parte che ha accettato il Cristo, è divenuta la Chiesa, il vero Israele, compimento

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del V.T. L'altra parte, che ha rifiutato il Cristo, con un peccato « col- lettivo », è l'Israele infedele, che ha perduto la sua elezione, i suoi privilegi, come gruppo è al di fuori della salvezza, come gruppo s'intende, perché ci è ignota la responsabilità di ciascun'anima individuale. Inter- preta quindi Rom. 11 di una conversione progressiva dei singoli, e non necessariamente della totalità dei giudei.

« Sarebbe illusorio e falso - scrive il Benoit, p. 459 - pretendere che la seconda elezione del "nuovo Israele" ne resti intatta (per il giudaismo) e che l'Israele attuale conservi proprio tutti i suoi "privilegi", come un altro "popolo di Dio", parallelo alla Chiesa, dal quale questa dovrebbe attendere l'integrazione per disporre infine di tutti i suoi mezzi di salvezza ». La predilizione d'amore da parte di Dio, nel pas- sato d'Israele, influisce tuttavia sul futuro del suo destino; assicura alla sua conversione una risonanza particolare: se Dio si rallegra per il ritorno del peccatore (Lc. 15,7) e del figlio1 prodigo (Lc. 15,32), cosa non sarà di questo prodigo: è il primogenito che riprende il suo posto nel focolare! (Rom. 11,15) . . .

Pertinente è l'osservazione della Judant a p. 152: « La carità è inseparabile dalla verità, e noi (cristiani) abbiamo un dovere di verità da compiere ».

Spetta ad una sana esegesi, scevra da ogni accenno polemico, com- piere questo dovere di verità nella carità.

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NOTE BIBLIOGRAFICHE

Testi utilizzati, per il nostro saggio esegetico. Oltre alle opere del P. M. J. Lagrange, già emunerate (a pag. 6): - dai miei scritti: - Ezechiele, Marietti, Torino 1948, (ed. 1951-1970), pp. 357; trad.

dal testo critico originale e grande commento. - Collettivismo e Individualismo nel Vecchio Testamento, Rovigo

1953, pp. XXIV-398. I1 voliim è dedicato ai RR.mi P. Bea e Vaccari che han diretto il lavoro, presenrato come tesi di laurea. È essenziale per la esegesi del V.T. la retta comprensione della berit - G c a ~ x q : patto o alleanza tra Jahweh e il popolo d'Israele, con il vigente principio della solidarietà collettiva, nei libri storici e in quelli profetici, che ne illustrano la natura; precisano l'idea del u resto W ne stabiliscano le fasi e il passaggio alla u nuova alleanza opera del Messia, cui tende e termina tutto il V.T. (Vedi ancora nel nostro Dizionario Biblico (3' edizione: ed. Studium, Roma 1963, alle voci Alleanxa . . . Messia-Profeta-Profetismo . . .). - I Profeti, volume di 353 p., Padova 1965; ristampa 1970. Per il N.T.: - Pilato, 1st. Pad. Arti Grafiche, Rovigo 1973, pp. 215: esame critico

delle fonti giudaiche; storicità del IV evangelo; responsabilità piena dei Giudei per la condanna e la crocifissione di Gesù. - La Chiesa di Cristo e la formazione degli Apostoli, ed. Rogate,

Roma 1982, pp. 334; presenta la vita e l'insegnamento di Gesu: rapporto col V.T. nel Discorso del Monte e con i Farisei. - S. Paolo alla conquista dell'impero, ed. Volpe, Roma 1983: per

il nostro tema, Cristianesimo e Giudaismo, in particolare nella lettera ai Galati e in quella ai Romani, col riferimento essenziale al Concilio di Geni- salemme (Atti 15).

Per la teologia del V.T., in particolare: - P. von Imschoot, I Dieu; I1 L'Homme, Desclée, Paris-Roma, 1954,

pp. 273; 1956, pp. 342. - Edmond Jacob, Delachaux-Niestlé, Neuchatel - Paris 1955, pp. 287. - Paul Heinisch, Cristo Redentore nell'A. Testamento, tr. it., Mor-

celliana, Brescia 1956, pp. 349. - Walter Eichrodt, vol. I , Dio e il popolo, Paideia editrice, Brescia,

2' ed., 1976, pp. 538.

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Per la berit, notevole il contributo di Andrd Neher, Amos. Contribution à l'étude du prophétieme, J. Vrin, Paris 1950, pp. 299; nelle pp. 34-48 e 151 S. - Angelo Penna, Il Messianismo nel libro di Geremia, nel volume

Il Messianismo (Atti della XVIII Settimana Biblica), ed. Paideia, Brescia 1966; pp. 147-157, la nuova alleanza; e nelle pp. 172-174: l'alleanza nel N.T. - G. Quell, 61,a9-i)xq - berjt, car. regolare Theologisches Worterbuch

zum Neuen Testament, 11, coll. 106-132 nella tr. it., vol. 11, fasc. IV, ~011. 1017-1078; - J. Behme, nel V.T., 11, 132-138; tr. it., 11, coll. 1078-1094. Ancora,

W. Guthrod, v. Israel, vol. 111, col. 389 S. e nella tr. it., vol. IV, fasc. 4, col. 1184 ss.

Per la teologia del Nuovo Testamento. - Joachim Jeremias, Teologia del N.T., vol. I , La predicazione di Gesù,

Paideia, Brescia, tr. it., 2' ed., 1976, pp. 391, In particolare, u Il santo resto N ,

p. 198-201. Per S. Paolo: - Ferdinand Prat, s.j., La Théologie de S . Paul, I, G. Beauchesme,

Paris 1908, pp. 604. Nelle pp. 556 S. propone la sintesi prospettiva del contenuto della lettera

ai Romani; nelle pagine 353-369: Le scandale de la réprobation des juifs, esegesi di Rom, 9-1 1.

E nella parte 11, ivi, 1912, 579, ritorna sull'argomento nelle pp. 318 ss., sempre per Rom. 11,28.

L'opera ha avuto ed. successive ed è stata- tradotta anche in italiano. - J. B. Colon, Paul (saint); nel Dictionnaire de Théologie Catholique,

XI-2, Paris 1932, coll. 2330-2490. I1 rapporto Cristianesimo e Giudaismo è trattato fin dall'inizio, nella

introduzione, col. 2330 e specificamente nelle coll. 2355-2364 : dalla con- versione al Concilio di Gerusalemme; e, quindi, dettagliatamente nel paragr. IV: « Il Concilio di Gerusalemme e la lettera ai Galati o la salvezza per opera di Gesù Cristo senza la Legge N, coll. 2364-2388. Con bibliografia accurata, generale (col. 2333 S.) e per ciascun paragrafo. - José M. Bover, s.j., Teologia de S. Pablo, BAC, Madrid 1946,

pp. 952; in particolare C. VI La reprebaciòn de les judios, pp. 234-251. - Joseph Holzner , L'Apostolo Paolo, tr. it., Morcelliana, Brescia, 5'

ed. 1961, pp. 597; cf. IV u La lotta per la libertà, Concilio Apostolico m, pp. 153-173 e p. 278 S.

- A. Charne, L'incrédulité des Juifs dans le Nouveau Testament, Gembloux 1929.

Per i commenti ai Libri Sacri. Collezioni per la Bibbia intera: - Études Bibliques, della Ecole Biblique di Gerusalemme, ed. Gabalda,

Paris (dal 1900 in poi), oltre al Lagrange, op. cit., E. - B. Allo, 1 e 2 Cor; Ceslau Spicq, Lettere Pastorali; Hebr. - La Sainte Bible, L. Pirot (+ 1939) - Albert Clamer, ed. Letouzey

et Ané, 12 volumi; l'ultimo 1'Exode del Clamer è del 1956. Per il N.T.: D. Buzy, L. Marchal, F. M. Braun, A. Viard, C. Spicq, J. Renié, A. Charue ...

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- Alberto Vaccari, La Sacra Bibbia, ed. Adriano Salani 1961; volume di 2412 pagine; ottima traduzione dagli originali e commento sintetico, perfetto. - La Sacra Bibbia, S. Garofalo - Giovanni Rinaldi, ed. Marietti,

Torino-Roma dal 1947 in poi: il nostro Erechiele, già cit.; P. De Ambroggi, Epist. Cattoliche; P. Teodorico da Caste1 S. Pietro, Hebr.; Vincenzo Iacono, Rom.; Gal.; 1 e 2 Cor.; P. Francesco M. Uricchio - P. Gaetano M. Stano, Vangelo secondo San Marco . . . - Biblia Comentada dei Padri Domenicani « Profesores de Salamanca »

in 7 volumi, BAC, Madrid 1960 - 1965: A. Colunga; Max. Garcia Cordero; Manuel de Tuya per gli Evangeli; Lorenzo Turrado per Act. e lettere paoline. - La Sagrada Escritura dei Professori della Compagnia di Gesù, dal

1961 in poi, BAC, Madrid; commento denso, critico, sicuro; sotto la dire- zione del P. Juan Leal, che ha inoltre commentato ottimamente Lc. e Giov., Evangelios, 1961; Antiguo Testamento, I, Pentateuco, con Félix Asensio; S. Bartina; Rafael Criado, 1967 . . .

Per il Nuovo Testamento soltanto: -Verbum Salutis (manca 2 Cor.), Beauchesne, Paris, 16 vol., l'ultimo

Apoc. è del 1951. Edizione italiana, editrice Studium, Roma. Joseph Huby, A. Boudou, J. Bonsirven. - Il Nuovo Testamento Commentato, Alfred Wikenauser - Otto Kuss,

ed. F. Pustet, Regensburg. Tr. it. sotto la dir. del P. Giovanni Rinaldi, ed. Morcelliana Brescia, dal 1956 in poi: Joseph Schmid, Mt., Mc., Luc.; A. Wikenauser, Act. ; J. Milch, Lettere Cattolice.

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ESEGESI DEI TESTI

Un ottimo esegeta protestante, Ph. -H. Menoud, nel 1952, ha offerto in una sintesi, lodevole per obiettività teologica ed elevatezza di sentimenti, una risposta alla domanda: « Quando e perché si è stabilita tra i fedeli del Cristo e i Giudei questa rivalità che doveva condurre alla separazione e alla lotta aperta? » ( l )

L'autore dimostra (cap. 1) come si conciliano nel Nuovo Testa- mento, in S. Pietro (discorsi negli Atti degli Apostoli), in S. Paolo, in S. Giovanni, " Amore d'Israele e anti-giudaismo ". Questa duplice attitudine, finemente analizzata negli scritti del Nuovo Testamento, non ha nulla di contraddittorio. La Chiesa primitiva resta sostanzialmente attaccata ad Israele, dal quale ha coscienza di ricevere la salvezza per mezzo di Gesù Cristo. Essa si separa, con dolore, dai Giudei contem- poranei, solo perché questi si rifiutano di credere a questa realizzazione nel Cristo della salvezza promessa. " L'anti-gudaismo della Chiesa non è sentimentale - come quello del mondo greco-romano -; è dot- trina e non passione; ha la sua radice in un conflitto teologico » (p. 22).

E questo (cap. 2) non per intransigenza di persone; è ad esse invece imposto, a dispetto dei loro desideri di conciliazione e delle loro prime illusioni, per le stesse esigenze della loro fede. « I1 punto di rottura tra Cristiani e Giudei è la cristologia della Chiesa » (p. 33). Non solo Gesù è il Messia atteso dai Giudei; è « il Signore », di natura divina, per mezzo del quale soltanto è ormai data la salvezza già promessa ad Israele. La sua venuta e la sua opera rendono caduche le economie provvisorie della Legge e del Tempio. Ma nello stesso tempo le « compiono

(1) L'opuscolo di 53 pagine s'intitola LJEglise naissante et le juda'isme, (Etudes théologiques et religieuses, XXVII, l), in V, Montpellier 1952. La sintesi da noi riportata nel testo è sostanzialmente del P. Pierre Benoit, nella sua recensione in Reuue Biblique 61 (1954) 134-136: Cristianesimo e Giudaismo.

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In piena buona fede la Chiesa si ritiene « il vero Israele » (I) e rivendica il passato di popolo eletto ripensandolo alla luce del Cristo. « La fede cristologica della Chiesa la porta . . . ad una interpretazione cristologica di tutta la storia della salvezza » (p. 42).

Se essa ha espressioni sempre più nette e recise in san Paolo sul piano giuridico, nella lettera agli Ebrei sul piano liturgico e in san Giovanni che ne fa la sintesi, questa convinzione teologica non ha nulla pertanto di una elaborazione tardiva dovuta a queste personalità; ha la sua fonte nell'essenza stessa del messaggio cristiano e risale all'insegnamento di Gesù medesimo. Si può parlare soltanto di presa di coscienza progressiva di una separazione radicale che era in germe nella fede cristiana originaria e che si è imposta a poco a poco, mal- grado i sinceri desideri di conciliazione e non senza strazio di cuori. In tal modo « spogliato del suo patrimonio teocrito e di tutti i suoi privilegi » (p. 39), è fatale che il giudaismo si sia opposto sempre più violentemente al popolo che lo soppiantava. Messo fuori dalla salvem per il suo rifiuto di credere al Cristo, esso diveniva il nemico della Chiesa per il fatto stesso della fede cristiana.

Presentandosi come il vero Israele, la Chiesa rivendicava davanti alle autorità romane i privilegi di « religio licita » da esse riconosciuti ai Giudei (cap. 3); ma questi glieli contestavano.

Raccontando queste contese, gli Atti degli Apostoli sviluppano forse una « tesi D, ma che è giustificata. Su questo piano politico, il conflitto finì con una vittoria del giudaismo: a partire del I1 sec. (Plinio), il cristianesimo appare al potere come una religione nuova, che viene perseguitata. (La distruzione di Gerusalemme, predetta solen- nemente e così chiaramente da Gesù N. Signore, segnò agli occhi di tutti, la netta differenza tra i cristiani ed i Giudei).

E dal piano teologico si arrivò ad una separazione completa. (Si pensi al Sinodo giudaico di Jamnia, a. 80 a.C.). Né poteva essere altrimenti.

« I1 conflitto non può cessare che mediante la restaurazione della unità d'Israele, cioè mediante il ritorno del cristianesimo al giudaismo, con l'abbandono della fede cristologica, o mediante la conversione d'Israele, con l'abbandono della incredulità verso il Messia Gesù W

(P. 52) .

(2) Cf. Th.W.z.N.T., voce Israel, di W. Gutbord: vol. 111, col. 388 ss.; tr. it., vol. IV, fasc. 4", coli. 1183-1189.

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I1 P. Benoit commenta: a La Chiesa spera quest'ultima soluzione, al seguito di san Paolo. (E secondo tutta la rivelazione).

a I1 Menoud non minimizza il conflitto e non lo riduce alle pro- porzioni di un deplorevole malinteso che oggi bisognerebbe dissipare, come (purtroppo) fa una apologetica più generosa che ben fondata. (3)

Mantenendo a questo conflitto le sue tragiche dimensioni, egli non cerca affatto di gravare sui Giudei; sottolinea soltanto questa distin- zione radicale cosi importante e talvolta dimenticata, tra l'Israele autentico delie promesse che la Chiesa impersona e continua, e il popolo giudaico contemporaneo di Gesù, che essa ha dovuto lasciare. (E il giudaismo, ancora oggi, << nemico a Dio a motivo dell'Evangelo » Rom. 11,28 1. Con questa sincerità esegetica e teologica, il Menoud non fa che mettere nella sua vera luce la posta del doloroso conflitto e rendere più desiderabile, perché pii+ lealmente percepita, la sola soluzione che essa può ricevere: il ritorno dei Giudei alla fede al Cristo, Gesù Uomo-Dio, Nostro Signore ».

L'opuscolo di Ph. H. Menoud puntualizza la essenza del contrasto insanabile tra Cristianesimo e Giudaismo, come A. Charue l'aveva fatto nella sua tesi ,ben nota. L'incrédulité des Juifs dans le Nouueau Testament a, Gembloux 1929.

Ecco il suo commento, ne La Ste Bible, Pirot-Clamer, XII, Paris 1938, p. 533 S., ai vv. 22-23 della 1' lett. di S. Giovanni, cap. 2: a Chi è il bugiardo, se non chi nega che Gesù sia il Cristo? Questi è l'anticristo: colui che nega il Padre e il Figlio. Chiunque nega il Figlio, non ha neppure il Padre; chi confessa il Figlio ha pure il Padre ».

<< Chi è il bugiardo tipico, l'eterodosso senza confronto, se non colui che nega che Gesù sia il Cristo? I1 Cristo o Messia cristiano, la cui personalità è essenzialmente divina. E così un tale mentitore è l'anticristo, giacché incarna l'opposizione radicale al dogma fonda- mentale del cristianesimo. Questi falsi dottori (vv. 18-2 3) negavano a Gesù la sua trascendenza di Figlio di Dio e questo rapporto essen- ziale col Padre, professato dalla grande Chiesa.

a L'errore cristologico include dunque, nota san Giovanni, un errore trinitario; negando il Figlio, essi negano il Padre. Ed è anche una chiara dottrina del IV Evangelo che il Padre non è conosciuto che nella manifestazione del Figlio e che la nostra attitudine verso il Figlio non può dissociarsi dalla nostra attitudine verso il Padre: cf.

(3) Cf. ROMANO AMERIO, Zota unum. C. 16 « I1 diaologo » pp. 304314; e C. 35 u L'Ecumenismo », pp. 464-490. Milano-Napoli, 1985.

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Giou. 1,18; 5,23; 10,30; 14,623; 15-23. E già Mt. 11,27; Lc 10,22 i1 celebre loghion: « Ogni cosa a me fu data dal Padre mio, e nessuno conosce il Figliuolo, se non il Padre; né alcuno conosce il Padre, se non il Figliuolo, e colui al quale il Figliuolo voglia rivelarlo ". (Mt.).

« Così l'eretico che nega il Figlio non ha alcuna comunione con il Padre, sebbene lo pretenda. Colui che possiede il Padre ed è in vera comunione con Lui, è unicamente il fedele che confessa il Figlio ».

Lo stesso afferma san Paolo dei Giudei persecutori dei cristiani, essi « non conoscono Iddio e non obbediscono all'Evangelo del Signor Nostro Gesù ». (2 Tess. 1,5-8).

La fede cristologica della Chiesa illustra ed intende alla sua luce tutta la storia della salvezza e questo spiega l'amore della Chiesa primitiva per Israele D. (Menoud)

L'è che Gesù Nostro Signore realizza il piano divino di salvezza, preannunziato e preparato da tutto il Vecchio Testamento; compie l'alleanza di Dio con Israele, l'antica alleanza, inaugurando la nuova « nel suo sangue B (1 Cor. 11-25), secondo il vaticinio di Geremia (31,31-33): a Verranno giorni, nei quali stringerò con Israele e Giuda un'alleanza nuova - dice il Signore -. Non come il patto che ho stretto con i loro padri, quando li trassi dall'Egitto, patto da essi vio- lato. Ma, nel nuovo, porrò la mia legge nei loro cuori e nelle loro menti. . . E tutti, piccoli e grandi mi riconosceranno. Perdonerò la loro niquizia » (Cf. Hebr. 8,6-13).

Ben sintetizza un esegeta moderno (4): « Nei Sinottici la massima importanza spetta alle parole pronunziate da Gesù nell'ultima cena: Mc. 14,24; Mt. 26,28 che in Paolo (1 Cor. 11,25) suonano <( questo calice è la nuova diatéche (alleanza) nel mio sangue (da cui dipende Lc. 22,20 ...).

Questo calice D, ossia il vino che esso contiene, è, in virtù del mio sangue, la nuova diatéche. I1 sangue, cioè la morte, di Gesù instaura la nuova diatéche. Bisogna riconnettere l'espressione di Gesù a Ger. 3 1,3 1 ss., dove il concetto è posto in antitesi alla diatéche costi- tuita col sangue sul Sinai dopo la fuga dall'Egitto. ( E x . 19-24): « Gesù ha considerato la sua attività messianica, che si conclude con la morte, come adempimento della profezia della diatéche escatologica. Non " testamento" di Gesù, ma "disposizione", " statuto" (nuova economia)

(4) J. BEHM, nel Th.W.z.N.T., &a voce Diatéche, 11, col. 132 S.; nella trad. it. vol. T, fasc. 4", coll. 1080 ss.

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di Dio, come nel V.T. Gesù ha considerato sua missione l'adempimento della nuova disposizione emanata da Dio a disciplina dei nuovi rapporti stabiliti tra Lui e l'umanità e l'attuazione del piano salvifico concepito da Dio. I1 nuovo statuto divino prende vita dalla cruenta morte di Gesù, che il calice della cena rende presente ... Proprio considerando l'importanza del Loghion sinottico si comprende come Paolo e Hebr. abbian fatto del concetto di diatéche (alleanza) il motivo centrale della loro teologia. (7 I1 Nuovo Testamento attinge dall'Antico forma e contenuto del concetto di diatéche, ciò che li separa è il tratto che intercorre tra profezia e compimento ».

In Rom. 11,27 (citaz. di Is. 59,21; 27,9; cf. Ier. 31,33 ss.): « e questa alleanza da parte mia con essi quando toglierò i loro pec- cati », Paolo accoglie un aspetto fondamentale dell'idea di diatéche enunciata dai profeti: disposizione (salvifica) promanante da Dio. An- che in 2 Cor. 3,6 « noi ministri della nuova diatéche non della lettera ma dello spirito », Paolo si riallaccia al concetto biblico tradizionale e contrappone la nuova diatéche contrassegnata dallo spirito pnéuma, all'antica la cui caratteristica è la lettera scritta, con un richiamo alla profezia di Ier. 31'31 ss. Egli pone le sue forze al servizio della nuova disposizione (salvifica), l'evangelo, e dell'ordinamento che ne conse- gue nei rapporti tra Dio e l'uomo, la religione cristiana, e non al servizio della legge e della religione giudaica. « La palaia (vecchia) diatéche che in Cristo è abrogata, sulla cui lettura nella sinagoga giace fino al giorno d'oggi il medesimo velo (che stava sul volto splen- dente di Mosè: Esodo 34'33 ss.) a simboleggiare che i Giudei non comprendono che essa non ha valore; questa vecchia alleanza è per- tanto la legge mosaica abrogata in conseguenza della inattuabilità delle sue disposizioni transitorie, sostituita e superata dalla nuova, alla quale è concessa una gloria sovreminente (v. 10).

« E quando Paolo, in un'esegesi tipologica della storia di Agar e di Sara (Gal. 4,14 ss.), parlando delle due donne che diedero figli ad Abramo dice: esse sono due diatéche - cioè la schiava Agar è la diatéche del Sinai, che riduce i suoi seguaci alla condizione di schiavi, la libera Sara è la diatéche celeste che rende liberi - egli intende ancora queste diatéche come in 2 Cor. 3 nel senso di due ordinamenti

(5) Cf. JOACHINA JEREMIAS, Teologia del N.T. (tr. it.) Paideia, Brescia, 2" ed., 1976, p. 332. « In questi termini ("questo calice è la nuova alleanzan) Gesù si qualifica come vittima, cioè agnello pasquale escatologico (6. 1 Cor. 5,7), la cui morte mette in opera il nuovo patto, prefigurato nella conclusione dell'alleanza del Sinai (Ex . 24,8) e predetto per l'epoca deila salute » (Ger. 31,31-34).

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disposti da Dio nella storia, la cui differenza sostanziale si scopre con- siderando qual è lo "stato" da esse instaurato: da una parte, la schia- vitù giudaica sotto la legge; dall'altra, la libertà cristiana dei figli di Dio (Gal. 5, l ; 4,6 S.; Rom. 8,15; 2 Cor. 3,17). 11 concetto vetero testamentario di diatéche viene ripreso con la chiara coscienza che un aspetto determinante del suo contenuto è l'iniziativa unilaterale di Dio e la validità vincolante per coloro che I'accolgono. Così concepita la diatéche diviene, nelle mani di Paolo, un'arma nella battaglia che egli combatte per affermare la superiorità del cristianesimo sul giu- daismo e un pilastro della nuova teologia della storia. Due diatécai, una sola divina volontà che guida la storia della salvezza e trova la sua definitiva rivelazione in Cristo, il quale è del pari télos nòmu - fine della legge - (Rom. 10,4) e adempimento di ogni promessa (2 Cor. 1'20). Così ancora neila Lettera agli Ebrei n.

A questo punto è bene presentare in sintesi l'origine, la natura e il fine ultimo della be'rit (in ebraico) diatéche, alleanza, patto nel Vecchio Testamento.

Amos 3'1 s. « Voi siete i soli che con amore io scelsi - dice Iahweh a Israele - fra tutte le famiglie della storia ». (6)

Già dopo il diluvio, con Noè, rappresentante della nuova umani , Dio aveva stabilito un'alleanza (Gen. 9-10). I1 Vecchio Testamento, preparazione al Cristo, risuona tutto dell'alleanza di Dio con Israele; l'alleanza per eccellenza; tutta la storia d'Israele è un frammento della storia divina: Dio e Israele, se così è lecito esprimersi, lavorano ad una medesima opera. I loro rapporti sono espressi e regolati dalla alleanza. È un insieme armonioso che si sviluppa e determina in un

(6) Vedi ANDRÉ NEHER, Amos. Contrabutzon à l'étude du prophétisme, Paris 1950: La Berith, pp. 34-58. La letteratura sull'argomento è molto vasta. Alcuni testi: L. G . DA FONSECA, Diatéche foedus an testamentum?, in Biblica 8 (1927) 31 ss.; 161 ss.; 290 ss.; 418 ss.; 9 (1928) 26 ss.; 143 ss.; J. BEHM, Th.W.z.N.T., 11, pp. 106-137. F. SPADAFORA, Collettivismo e Individualismo nel V.T. , Rovigo 1953; F . ASENSIO, Yahveh y su pueble (Analecta Gregoriana, 58), Roma 1953; Th. C. VEZIEZEN, Die Erwalung Israels nach den Alten Testament, Zurich 1953; P. van IMSCHOOT, Théologie de llA.T., I, Paris-Tournai 1954, pp. 237-270; CLAUDE TRESMONTANT, Saint Pauf et le mystère du Christ, Paris 1956: la genèse du peuple de Dieu, pp. 64-83; ST. PORUBCAN, Il patto nuovo in 1s. 40-66 (Analecta Biblica, 8), Roma 1958; ST. LYONNET, Israele, Chiesa, Cristo, in Il Messianisrno, Paideia, Brescia 1966, pp. 359-386; J. COPPENS, La nouvelle Alliance en Jer. 31,31-34, in CBQ 25 (1963) 1221; ANNIE JAUBERT, La not im d'alliance dans le Judaisme aux abords de l'&re chrétienne, éd. du Senil, Paris 1963; F. SPADAFORA, Dizionario Biblico, ed. Studium, 3O ed., Roma 1963, v. Alleanza, pp. 17-22.

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trittico: una triplice alleanza o tre forme di un'unica alleanza; ogni parte illumina più immediatamente e direttamente ciascuno dei tre lunghi periodi che le corrispondono.

L'alleanza con Abramo - periodo patriarcale, da Abramo a Mosè; l'alleanza con Israele al Sinai, tramite Mosè - dall'esodo a David; l'alleanza con David (e perciò con la tribù e quindi col regno di Giuda), preparazioni immediata al Messia. Dio ha l'iniziativa asso- luta, sempre: scelta, elezione e vocazione di Abramo (Gen. 12,l-4); del popolo d'Israele: Ex. 19,20; Am. 3'1 s; Ez. 16 ecc.; di David (2 Sam. 7,8 ss .) ; quindi formulazione precisa degli impegni reciproci; accettazione da parte dell'eletto; sanzione e ratifica.

L'alleanza con Abramo, inaugurata solennemente, Gen. 15, rimar- rà presente in tutta la tradizione giudaica e cristiana (Lc. 1,53, 73; Gal. 3; Rom. 4). Dio s'impegna a fare della discendenza di Abramo una nazione, destinandole la regione di Canaan (=terra promessa); di farne il veicolo della salvezza (fonte di benedizione) per tutte le genti (Gen. 12,2; 15; 17; 18,8); da parte degli eletti, Dio esige il culto esclusivo (monoteismo), l'obbedienza ai suoi voleri (Gen. 17 , l ; 18, 19 ecc.). Nel nome nuovo, dato da Dio ad Abramo (Abraham), era indicata la promessa di Dio (=padre di una grande moltitudine) e insieme la missione per cui egli era scelto: padre di tutti i credenti (Gen. 17,5).

Anche l'alleanza del Sinai è preceduta dalla vocazione di Mosè e della molteplice manifestazione della onnipotenza di Dio (Ex. 1-18) a favore delle tribù israelitiche, dimoranti in Egitto. Esse sono le eredi delle promesse divine, sancite nell'alleanza con Abramo; l'alleanza del Sinai (Ex. 19-24), con la formazione d'Israele popolo-nazione, compie la prima promessa di Dio nell'alleanza con Abramo, precisandola e dandole un nuovo impulso: ha inizio la nuova cooperazione tra Dio e la nazione.

Libera elezione di Israele a suo popolo, da parte di Jahweh (Ex. 19,4-6); obbligo, liberamente accettato dalla nazione, del monoteismo e dei precetti morali, contenuti nel Decalogo (Ex. 20,l-17 ; Deut. 5'6-21).

La sanzione è aggiunta al primo precetto: << Non avere altro Dio di fronte a me; perché Io, il Signore tuo Dio, sono un Dio geloso che punisco l'iniquità dei padri nei figli fino alla terza e quarta gene- razione di coloro che mi odiano; ma uso clemenza fino alla millesima generazione verso coloro che mi amano ed osservano i miei precetti P. (Ex. 20,2-6; Deut. 5,9 S.; cf. Ex. 34,6 S. 14; Num. 14,18).

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I1 senso esatto è il seguente: « Io punisco l'iniquità dei padri sui figli, fino alla terza e quarta generazione, dei padri, cioè, che mi odiano; mentre estendo indefinitamente la mia benevolenza sui discen- denti di coloro che mi amano ». Le generazioni che discendono da una generazione prava subiranno il castigo meritato da quella. I1 termine « padri » sta qui per « generazione precedente »; si tratta del principio della solidarietà nazionale; l'alleanza è contratta dalla nazione, come tale; quindi è naturale che la sanzione contro la trasgressione del patto, sia rivolta alla collettività come tale e sia adatta, adeguata ad essa. I1 castigo di Iahweh, per la violazione del patto da parte del popolo, può non essere immediato; Egli può rimandarlo ad una delle generazioni successive; è certo però che verrà; d'altra parte, il premio per l'osservanza dell'alleanza avrà una estensione longanime, indice eloquente della infinita misericordia del Signore.

Come i beni promessi (Ex . 23, 20-23) alla nazione, sono collettivi, cosi i castighi minacciati in Ex. 20,5: fra tutti, il più grave è l'espul- sione dalla terra promessa, la fine, sia pure temporanea, della nazione, l'esilio. Cf. Leu. 26; Deut. 28.

Ex. 20'5 S., riguarda dunque direttamente la solidarietà nazio- nale: tutta la nazione è un vivo organismo ed è pertanto considerata come una persona. In tale organismo è naturale che la sorte dei membri sia inscindibile. Mentalità tipicamente semitica. Tutti concorrono al bene come al male; tutti egualmente partecipano del premio e del castigo; e come su un organismo i disordini o la morigeratezza del passato influiscono sullo stato di salute del presente, cosi sulla nazione i meriti e le colpe delle passate generazioni; tanto più che si tratta di responsabilità morale e il contraente dell'alleanza è l'Eterno, giudice supremo.

Perciò l'importanza data dalle fonti bibliche alla giustizia, alla fede di Abramo (Gen. 12,l-7; 13,14-17; 18,18 S.; 21,12 S.; 22,15-18), alla fedeltà d'Isacco, di Giacobbe (Gen. 26,2-5; 35,9-12), alla santità di Mosè (Ex . 17,ll-13; 32,9 S. specialmente v. 13; Num. 11,l S.; 21,5-9); per David, 2 Sam. 7,13-29; Ps. 89,27-38.

I Rabbini insisteranno tanto, ed a ragio~ie, sui « meriti dei padri >p.

In Gen. 18,19 si rileva come il bene - sia pure di pochi - superi quanto ad efficacia, al cospetto e per la misericordia del Signore, il male, sia pure di molti, nella medesima collettività.

Fonte di benedizione collettiva, la solidarietà nazionale può dive- nire, naturalmente, causa di rovina. Specialmente per le colpe dei

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capi, dei sacerdoti.. . (7). Ciascuna generazione riceve la sua impronta dalle personalità più rappresentative che ha in grembo.

La sanzione dell'Esodo riguarda la rottura del patto per la vio- lazione del suo precetto fondamentale: il monoteismo, da parte della nazione. La sanzione ebbe la sua attuazione completa, 1' nella distru- zione del regno di Samaria e 2" specialmente nella distruzione del superstite regno di Giuda, con la deportazione dei prigionieri.

È importante, infine, per l'esegesi esatta di Rom. 11,28-29, rile- vare il rapporto tra castigo e premio, nella sanzione del patto. Come ben fa il Médebielle neil'art. cit., in nota: 4 Da questo duplice aspetto della soldarietà (in bene e nel castigo), risultano due conseguenze apparentemente contraddittorie: da un lato i meriti di Abramo, Isacco, Giacobbe, accresciuti ... dalla santità di tanti pii servitori di Dio, assi- curano ad Israele, una eredità di benedizone. Dall'altro, a motivo delle molteplici prevaricazioni, le quali vanno aumentando di secolo in secolo, la maledizione divina, meritata dai padri, dovrebbe colpire i discendenti.

« Ma non c'è affatto parità tra le due eredità . . . Prima di tutto bisogna fare i conti con la misericordia di Dio. Così la misericordia divina sta alla giustizia qualcosa come mille sta a quattro! Queste cifre in realtà mettono la bontà divina al disopra di ogni valutazione.

Altro motivo . . ., portato già dalla sua natura alla liberalità e al perdono (Ex. 34,6), Dio si è degnato impegnarsi senza riserva né condizione con Abramo e la sua posterità, come con David e la sua discendenza, e rimane legato dalla sua parola . . . Dio ha promesso di non dimenticare mai i meriti dei patriarchi, malgrado I'indignità dei loro discendenti » .(')

L'alleanza con David (2 Sam. 7; 1 Par. 17; Ps. 88 (89) è ordinata al compimento del piano divino di salvezza: il regno di Iahweh sulla terra: su tutti gli uomini ad opera del Messia, che uscirà dalla discen- denza di David (cf. Ps. 2; 110; 89,28-38). La profezia di Nathan è di una grande importanza nello sviluppo delle idee messianiche ed ha un'eco immensa nel Vecchio e nel Nuovo Testamento. Essa annuncia che il Messia sarà figlio di David (1 Par. 17, l l ; Is. 9,6; 11,l; Ger.

(7) Cf. A. MÉDEBIELLE, V. Expiation nel Dict. de la Bible, Supplém., 111, (1938), coll. 82-86.

( 8 ) Per l'analisi esegetica di Ex. 19-20, con la dimostrazione di quanto ho riportato qui sopra, vedi il citato Collettivismo ed Individualismo nel V.T., pp. 166-192. Per il principio di solidarietà collettiva, pp. 121-164 e, in particolare, nelle pp. 192-258: il collettivismo nell'attuazione, prima dell'esilio e nei libri profetici; quindi, pp. 259-313, dopo l'esilio; i n tutto il V.T.

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23,5 ecc.), re d'Israele e il suo regno sarà eterno (Ps. 89,37; Mt. 1; Lc. 1,32 S.).(^)

I profeti scrittori, che dal sec. VI11 a Malachia riempiono la storia d'Israele, riprendono la triplice forma dell'alleanza, sviluppando col messianismo l'ultima rivelazione fatta a David: essi danno, talvolta sistematicamente (Ez. 14.15.20.22.23) la teologia dell'alleanza, illu- strandone la natura, le caratteristiche e rifacendone la storia.('')

Israele ha violato gli statuti del patto, subirà pertanto la sanzione: anche il regno di ~ i u d a con ~erusalemme sarà distrutto; i superstiti deportati in esilio. Ma l'alleanza non può perire. I1 disegno salvifico di Dio sarà realizzato dalla sua onnipotenza e infinita misericordia, mediante la conservazione e la conversione di un << resto D, attraverso la tribolazione dell'esilio ( 0 s . 2; Ger. 7,23 ; 30-3 1 =la nuova alleanza [ = 1 Cor. 11,25; Hebr. 8,8-131; Ez. 11,20; 36; 37; Is. 40-66). Con questo << resto », riportato in Giudea, Iahweh rinnoverà l'alleanza; il rinato Israele ne adempirà gli obblighi. Questa risorta alleanza sarà eterna, perché sarà elevata ed assorbita nel regno del Messia: l'opera redentrice di Geszì: la nuova alleanza sancita col suo sangue. L'antica alleanza è soltanto preparktoria; è in funzione del Messia: Is. 7,14-25; 8,8 ss. 23; 9,l-6; 11 ecc.; i profeti descrivono l'era messianica come completamento della prima alleanza antica e come definitiva: vedi Ger. 31.

Dio preserva Israele e poi la dinastia davidica, per la prepara- zione e la venuta del Messia. Cosi si spiega il particolarismo dell'alleanza del Sinai, che d'altronde è solo una fase, un aspetto dell'alleanza di Dio con Abramo; e a partire da David lo sviluppo del messianismo e i ripetuti accenni alla universalità della salvezza per tutti gli uomini: Is. 2,2 ss.; Mi. 4,l-5; Ez. 16,60-63 e in particolare 1s. 40-66.

Queste stesse idee svolgeranno concretamente e in modo sempre più distinto i libri postesilici: storici, profetici e sapienziali; in parti- colare il libro di Daniele.

L'accentuato particolarismo giudaico insorge e si accentua nella letteratura apocrifa (sec. 11-1 a.C.). Causato dall'oppressione seleucida, dalla triste fine della dinastia Asmonea e dall'intervento di Roma, esso attribuisce al Messia, re vittorioso e conquistatore, scopi essen- zialmente nazionalistici e temporali, di rivalsa sulle genti. Particola-

(9) L. DESNOYENS, Histoire du peuple hébreu, 111, Paris 1930, pp. 305-316; A. MÉ- DEBIELLE, ne La Ste Bible, L. Pirot - A . Clamer, 111, Paris 1949, pp. 490-495.

(IO) Cf. nel u Dizionario Biblico da me diretto, 3' ed., ed. Studium, Roma 1963, le voci Messianismo e Profetismo.

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rismo che si ferma all'alleanza del Sinai, escludendo dalla salvezza le genti. I1 Giudaismo credeva che il libro di Daniele (cc. 2.7-9.12) con- fermasse il suo sogno di impero, assimilando in tutto il regno « dei santi » agli imperi che nella visione lo precedevano.(")

I1 Messia, quale nuovo Alessandro, avrebbe sconfitto, in una grande battaglia, i Romani e avrebbe dato l'impero ai Giudei. I1 Messia fu considerato, in modo prevalente, se non esclusivo, come un re guer- riero e conquistatore. Furono affatto ignorati il perdono dei peccati, la redenzione e negati in modo deciso i patimenti del Messia: cf. Giov. 6,15; 18,34 ss.

Mentre negli apocrifi il Messia presenta ancora caratteristiche soprannaturali e divine, i rabbini lo assimilarono ad un puro uomo, anche se adorno dei doni dello Spirito di Iahweh; non vedevano come salvare altrimenti il dogma del monoteismo.(12)

Tutti ammettevano la sua discendenza da David (cf. Mt. 22, 41-46); Egli sarebbe apparso improvvisamente (6. Giov. 7,27); sarebbe stato presentato e consacrato da Elia (cf. Mt. 17,lO).

L'interpretazione giudaica non poteva allontanarsi in maniera più stridente, dall'opera redentrice del Messia, venuto « non ad essere servito, ma per servire, e a dare la Sua vita in riscatto per tutti gli uomini » (Mt . 20,28).(13)

Era invalsa tra i Giudei la persuazione che la loro comune cre- denza sulla venuta di un personaggio straordinario della loro stirpe, che sarebbe intervenuto per conquistare a Iahweh il mondo e reggerlo in Suo nome, derivasse fin dal tempo dei più antichi profeti. La rive- lazione sul Messia e la sua opera era ricca di vari elementi, non facil- mente armonizzabili, per una esegesi non illuminata dalla luce della realizzazione in Gesù Nostro Signore; come rileva il Lagrange, nella conclusione del suo prezioso volume, Le judaisme ayant Jésus-Christ (Paris 3, 1931), pp. 587-591.

È quello che san Paolo rileva, riflesso della sua personale espe- rienza, nella 2' Cor. 3,6-18.

« Ogni nostra capacità viene da Dio. È lui che ci ha resi capaci di essere ministri del Nuovo Testamento (cainé diatéche - nvova allean- za, nuovo patto), non della lettera materiale, ma dello spirito; ché la lettera uccide, lo spirito invece dà vita.(14)

(11) Cf. F. SPADAFORA, nel Dizionario Biblico, citato, alla voce Daniele, pp. 148-151. (U) JOSEPH BONSIRVEN, Le judaisrne palestinien, I , Paris 1935, pp. 362, 370-374. (13) M. J. LAGRANGE, Le Messianisme ..., pp. 210 ss. (l4) Cf. KARL PRUMM, Diakonia Pnéurnatos, I1 Teil (1' Halbband). Theologie des

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Che se il ministero della morte, scolpito in lettere su tavole di pietra, fu talmente glorioso che i figli d'Israele non potevano fissare il volto di Mosè per lo splendore raggiante dal suo volto, splendore effimero; quanto più non dovrà essere glorioso il ministero dello spirito? Se il ministero, che fu occasione di condanna, fu glorioso, di quanto più lo sorpassa in gloria, il ministero che dà la giustizia! I1 nuovo ministero ha una gloria sovreminente. I1 vecchio ministero era solo transitorio.

« Forti dunque di una siffatta speranza, usiamo di una grande libertà; e non facciamo come Mosè, che si metteva un velo sul volto, affinché i figli d'Israele non tenessero lo sguardo sopra la fine di quello splendore passeggero. Ma le loro menti si sono accecate. Infatti fino al giorno d'oggi lo stesso velo persiste nella lettura del Vecchio Testamento, non lasciandosi svelare, chè in Cristo viene abrogato. Anzi fino ad oggi quando si legge Mosè il velo rimane steso sopra il loro cuore.

« Ogni qual volta però si ritorni al Signore, quel velo vienne tolto via n . La traduzione è del P. Alberto Vaccari, che commenta: (vv. 7-11) « I1 ministero conferito agli Apostoli è molto più glorioso di quello di Mosè ... perché deve durare sempre, mentre quello di Mosè era transitorio e preparatorio per la venuta del Messia; perché dà la vita della grazia, al contrario di quello di Mosè che era occa- sione di morte e di condanna (Rom. 7,511).

« (vv. 13-16). Mosè quel suo volto raggiante per lo splendore contratto dal suo conversare con Dio (Ex. 34,29) lo teneva svelato mentre comunicava al popolo i voleri divini, e lo copriva con un velo appena finita la comunicazione (ivi, 30-35). I n tal fatto Paolo vede un simbolo del carattere passeggero e transitorio dell'antica Legge, destinata a scomparire per dar luogo all'Evangelo eterno di Gesù Cristo; e nel velo di Mosè vede la cecicità dei Giudei, che non vollero e ancora non mgliono riconoscere in Gesù Nazareno il loro Messia. Ogni qual volta ecc., è detto in Ex. 3 4 3 di Mosè che ritornava a conversare con Dio; qui è applicato agli Israeliti, sia come individui sia come nazione (cf. Rom. 11,l l-27) ogni qual volta ritornino al Signore con la loro conversione alla fede di Gesù ».(l5)

2 Kor. Apostolat und cristliche Wirklichkeit. Kap. 1-7. Herder-Roma 1960: Neue Diatheke, pp. 190-208; Diatheke und Nomos, pp. 208 ss.; Die Neuheit des Neuen Bundes, pp. 221-231.

(15) Cf. P. E-B, ALLO, Seconde Epitre aux Corinthiens, Paris 1937, pp. 83-93. « C'est i'inspiration des Epitres aux Romains et aux Gaiates, et cornme le noyau doctrinai de

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Gesù fece di tutto per togliere questo velo dagli occhi dei suoi oppositori e del popolo, in Galilea, in Giudea, a Gerusalemme. Ma l'errore, cosi profondamente radicato, prevalse.

1. Al tempo di Gesù, il Messia sofferente e messo a morte quale vittima espiatrice era ignorato, decisamente negato. Una nazione che rivendicava il dominio del mondo rifiutava di credere in un re crocifisso.

Eppure l'opera sublime della Redenzione, il dramma attestato dall'Evangelo, era stato preannunciato dal più grande dei profeti nei suoi Carmi del « Servo di Iahweh n: Isaia 42,l-7; 49,l-8; 50,4-9; 52'13-53,12.

Basta rileggerli integralmente per rendere ragione al grande ese- geta M. J. Lagrange, op. cit. pp. 368-381: « È talmente impossibile contestare la rassomiglianza tra la profezia e la realizzazione in Gesù Nostro Signore, che per negare il carattere profetico dell'antico scritto, bisognerebbe poter provare che la realtà è stata inventata secondo l'abbozzo antico! ».

« Disprezzato, abbandonato dagli uomini, . . . aduso alla sofferenza. Tuttavia, Egli ha portato i nostri dolori, si è caricato delle nostre sofferenze . . . Egli era trafitto a cagione dei nostri delitti, stritolato a cagione delle nostre iniquith: ciò che pesava su di Lui era la nostra riconciliazione, nelle sue ferite era la nostra guarigione.

. . . Iahweh ha fatto ricadere su di lui ciò che era dovuto da tutti noi. Maltrattato, si rassegnava e non apriva bocca; come un agnello che vien trascinato all'abbattitoio . . . È stato tolto via con un giudizio abominevole; e chi riflette ai suoi contemporanei? Così è stato spazzato via dalla terra dei viventi, è stato colpito a morte per i delitti del mio popolo.

la future Epltre aux He%reux W : l'antitesi della vechia e della nuova alleanza, della lettera e dello spirito. u Dio ha mandato gli Apostoli a portare il messaggio di una alleanza nuova, predetta da Geremia e promulgata da Gesù neli'ultima Cena W , pp. 83-84.

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Se Egli darà la vita in sacrificio espiatorio, vedrà una posterità che prolungherà i suoi giorni e il disegno favorevole di Iahweh riuscirà per mezzo suo. Santo, darà la santità a delle moltitudini, perché piglierà su di sé le loro iniquità . . . ».

Gli esegeti, anche i più increduli, risentono della emozione davanti a questa profezia, la cui somiglianza con il Salmo 22 (21) colpisce immediatamente lo spirito. I1 Salmo descrive con mirabile chiarezza le sofferenze del Cristo e la gloria che a Lui ne deriverà.

<< Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato? . . . Eppure tu sei il Santo, la speranza d'Israele. . . . Io invece sono un verme e spregio e non un uomo, vilipendio di ognuno e spregio del popolo. Quanti mi vedono mi fannb scherni, sogghignano col labbro, scuotono la testa: Si è rivolto a Dio, lo liberi Lui; lo salvi, poiché gli vuol bene.(I6)

. . . Mi hanno attorniato dei mastini, una frotta di tristi mi ha preso in mezzo; mi hanno trafitto mani e piedi; possono contare tutte le mie ossa. Essi guardano, si pascono della mia vita. Si dividono tra loro i miei panni, e sul mio vestito gettano le sorti.('')

. . . Ci penseranno e si convertiranno al Signore tutti i paesi del mondo. Si prostreranno dinanzi a Lui tutte le stirpi delle genti; perché al Signore appartiene il regno ed Egli impera sulle genti ».(l8)

(16) Cf. le parole, gli insulti dei Giudei, contro Gesù, ai piedi della Croce: Mt. 27,35 ss.; 19,23 ss.

(17) Esatta realizzazione, ai piedi della Croce: Mt. 27,35. (18) Per questi testi, per la formulazione del dramma, nella vita di Gesù, dall'inizio

della predicazione a Gerusalemme, la Pasqua del 28, fino alla Crocifissione, vedi il mio libro: Ia Chiesa di Cristo e la formazione degli Apostoli, ed. Rogate, Roma 1982, p. 334.

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2. Al Messia, concepito qual semplice uomo, negavano qual- siasi potere di esercitare prerogative divine: ritengono che Gesù be- stemmia quando dice di rimettere i peccati: Mt. 2,5 ss. La vecchia Sinagoga non ha mai attribuito al Messia il celebre testo di Isaia 9,5 per ciò che riguarda l'appellativo « Dio forte ».

« È nato per noi un bambino . . . ed è chiamato con questo nome: Ammirabile Consigliere, Dio Forte, Padre per sempre, Principe della pace ". Si ricordi che il nome in ebraico esprime la natura: « sarà chiamato » equivale a « sarà », e quindi sarà riconosciuto come Dio.

« Sull'espressione ebraica 'd ghibbor non vi è alcuna difficoltà: essa infatti ricorre nello stesso Is. 10,21, in Deut. 10,17: Ger. 32,18: Neh. 9,31 sempre riferita a Dio, del quale si vuole celebrare la potenza. Qui si ha perciò la proclamazione della divinità del bambino, che è parimenti vero uomo (7'14; 8,8) ».(l9)

Inoltre, dello stesso profeta, in 8,8 la terra di Giuda, che è sempre e soltanto nella Scrittura, la terra di Iahweh, è detta: « La tua terra, o Emmanuele ». E nel C. 11: lo Spirito di Iahweh dimorerà permanentemente in lui, conferendogli doni' intellettuali e psichici sovrumani e qualità morali straordinarie. Lo stesso profeta, parlando del « Servo di Iahweh », dice che sarà retto in tutta la sua attività religiosa e morale dallo Spirito di Iahweh, perché sia mediatore della nuova alleanza (Is. 42,6; 49,6), proclami il diritto divino alle genti e stabilisca la nuova religione sulla terra (Is. 42,l-6; cf. 61,l).

v. 3 « I1 timore di Dio sarà tutta la sua vita, Non giudicherà dall'apparenza, né darà sentenza stando al sentito dire;

v. 4 ma giudicherà con giustizia i deboli, deciderà con equità per gli umili del paese. Colpirà l'oppressore con la verga della sua bocca, ucciderà il violento col soffio delle sue labbra D.

L'azione del Messia (v. 3) sarà dunque tutta diretta alla salvezza delle anime, a fondare il regno di Dio che nulla ha a che vedere con un regno terreno. Anche qui è fatto cenno alla natura divina del Messia: conoscerà infatti i pensieri nascosti, « non giudicherà secondo quello

(l9) ANGELO PENNA, Isaia (La S. Bibbia, S. Garofaio), Marietti, ed., Torino 1958, p. 118.

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che i suoi occhi vedranno W; manifesterà una potenza divina, colpendo, uccidendo il violento con una semplice parola.

Allorché Nicodemo si meraviglierà per la rinascita spirituale neces- saria per entrare a far parte del regno di Dio, Gesù gli dirà: « Tu sei maestro in Israele e non lo sai? ». Nicodemo era dottore, istruito nei Libri Sacri, ma, al pari dei suoi contemporanei, era accecato dai pre- giudizi farisaici sul Messia e il « Suo » regno. I1 velo, di cui parla san Paolo, copriva il suo volto; giacché i profeti accennavano chiaramente a questa trasformazione interiore, opera del Messia, e al carattere sopran- naturale della medesima. Basti ricordare qui, oltre al profeta Isaia, Ezechiele 11,19 S.; 36,26 ss.

« Spargerò su di voi acque pure e sarete mondati da ogni vostra sozzura; vi darò un cuor nuovo, porrò in voi un nuovo spirito e, tolto dal vostro corpo il cuore di sasso, ve ne darò uno di carne. Porrò in voi il mio spirito . . . ».

Sarà una verace trasformazione: la fonte dei pensieri e degli affetti (il cuore) non sarà più insensibile (il sasso) per Dio e la sua voce; non più ingrato ai tanti benefici ricevuti, si muoverà tenero e obbediente (di carne), verso di Lui. Un nuovo principio di azione (spirito nuovo), quasi un altro principio vitale, guiderà la loro condotta, farà loro com- piere opere degne del Signore. Cf. Gioele 2,28; Zach. 4,6 . . .

Lo stesso Daniele 9,24: l'opera del Messia è così sintetizzata:

<< Settanta settimane sono stabilite, per il tuo popolo . . ., per far cessare la trasgressione, per mettere fine al peccato, per completare l'espiazione, per inaugurare una giustizia eterna, per sugellare visione e profezia D.

« Alla fine di tale periodo, pone l'avverarsi di fatti di natura spi- rituale, caratteristici dell'era messianica . . .

Dopo la morte del persecutore, Antioco IV, sarà « la fine dei tempi », « la fine delle ere » o dei periodi preparatori al Messia (cf. Mich. 4,l-5; Is. 2,2 ss.; Er. 28,8-16), cioè l'inizio dell'era del Nuovo Testamento e tutte le profezie messianiche avranno la loro realizzazione. Si noterà il contenuto spirituale di queste promesse; esse rappresentano il meglio degli annunzi fatti da Geremia e da Ezechiele circa la natura

(m) G. RINALDI, M. J. LAGRANGE, WTTSBERGER. Per questo, come per gli altri testi profetici, cf. F. SPADAFORA, I l Libro Sacro, 2, I Profeti, Padova 1965, ed., riprod. 1978.

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spirituale del regno del Messia e la trasformazione interiore, la « nuova creazione » di cui parlà san Paolo (cf. Gal. 6,5).

« Perdonerò le loro iniquità e più non mi ricorderò del loro peccato »

(Ger. 31,34 nella predizione della nuova alleanza). Ed Ez. 36,25 ss. L'era messianica segnerà la fine dell'apostasia, il peccato perderà il

suo dominio e l'espiazione sarà completa, il debito rimesso. Avrà inizio una giustizia eterna, tutte le profezie avranno il loro compimento, e sarà consacrato un « santissimo »: la Chiesa fondata dal Cristo e consa- crata dallo Spirito Santo nel giorno della Pentecoste.

Cf. Ez. 37,25 ss. << Per sempre, il mio servo David sarà il loro principe. Farò con essi un'alleanza di pace: sarà un'alleanza perpetua; e porrò per sempre il mio santuario in mezzo a loro P.

Tutto ciò deve essere riferito alla Chiesa e ai tempi del Salvatore. Se il Messia è detto re per sempre si può facilmente dedurre la sua divinità, che gli permette di essere sempre presente nella sua Chiesa e di governarla. Cf. Le altre profezie che affermano questa caratteri- stica del Messia: Is. 8,8; 9,5; Ps. 2,7. (")

3 Al tempo di Gesù, i Giudei negavano al Messia alcun potere sulla Legge che egli non può né abrogare, né derogare, né ampliare: perciò tengono gli occhi addosso a Gesù circa l'osservanza del riposo sabatico. Cf. ad es. Mt. 12,143 « la legge, già severa per se stessa, al riguardo, era stata resa impossibile e ridicola dai rabbini con le più minute proibizioni; per es., sciogliere o stsingere un nodo a fune, spe- gnere una lampada, cuocere un uovo, trasportare fuori di casa un oggetto qualsiasi, anche un fico secco ». Cf. il commento del P. Alberto Vaccari, La S. Bibbia, A. Salani, 1961, p. 1798: « Gesù, affermando di essere padrone del sabato e della legge che lo riguarda, afferma anche di con- seguenza di essere il Messia e il vero Figlio di Dio, superiore ad ogni legge » Mc 2,23-28; Lc. 6,l-5; Giov. 5 . . .

4. Ritenevano che soltanto Iahweh è giudice: tale prerogativa è negata al Messia. Ma cf. Giov. 5,22-30. (n)

Gli Evangeli ci presentano un dramma, col preludio e la conclu- sione. Il preludio è dato dal racconto delle tentazioni: concezione errata

(21) F. SPAOAFORA, Ezechiele, (La S. Bibbia, S. Garofaio) Marietti, Torino 1951, p. 276. Vedi ancora I'esegesi al C. 34 il Messia, il buon Pastore; e ai C. 36: la conversione degli animi.

(n) J. BONSIRVEN, Les enseignements de Jésus Christ, Paris 1950, pp. 50-74.

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del giudaismo sul Messia atteso e la sua opera; concezione fatta propria e proposta da Satana, che Gesù nettamente respinge. È il filo condut- tore di tutta la trama.

I1 primo atto, primo anno di predicazione di Gesù, prevalente- mente in Galilea: Beatitudini, Discorso del Monte, Parabole del Regno, numerosi miracoli, attestanti il potere del Figlio di Dio e la sua mis- sione << spirituale D, la natura << soprannaturale >> del regno di Dio: attua- zione del piano divino di salvezza, preannunciato dai profeti. I1 secondo, atto: con la preparazione degli Apostoli, la formazione della Chiesa, predicazione più frequente nella Giudea e nel Tempio, porta all'epilogo del dramma: Israele, capi e popolo, che non riconosce Gesù, l'atteso Mes- sia, lo condanna a morte, passione e crocifissione del Redentore, concluse dalla gloriosa Risurrezione. Vedi il libro già citato: La Chiesa di Cristo e la formazione degli Apostoli (ed. Rogate, Roma 1982) che presenta in tal modo la vita e l'insegnamento di Gesù Nostro Signore.

Ora, il primo anno, speso interamente da Gesù ad illuminare il popolo e i loro capi, sulla natura del << regno di Dio n, opera del Messia, ad affermare con l'insegnamento e i miracoli la sua missione di inviato << plenipotenziario del Padre »; con la preparazione e la chiara indi- cazione dell'ultimo dei profeti, il battezzatore Giovanni, a favore di Gesù, l'atteso Messia; finisce con << la rottura >> (lib. cit., pp. 120-130).

I Sinottici riferiscono le gravi parole di castigo rivolte da Gesù alle città del lago: << Allora si mise a rimproverare le città, nelle quali era stato compiuto il maggior numero di miracoli, di non aver mutato mentalità: "Guai a te Corazain! Guai a te Betsaida! Perché se in Tiro e Sidone fossero stati operati i miracoli compiuti in mezzo a voi, già da gran tempo si sarebbero convertiti . . .

<< E tu, Cafarnao, sarai elevata fino al cielo? Ah, sarai precipitata sino agli inferi! Poiché se in Sodoma fossero stati operati i miracoli compiuti tra le tue mura, Sodoma ancora oggi sussisterebbe! . . ." » (Mt . 11,20-24: cf. Lc. 10,13-15).

San Giovanni spiega i particolari e i motivi della rottura. Si era nel mese di aprile del 29 (era volgare) e la Pasqua era vicina. Gesù è sulla riva del lago e lo segue una grande folla: gli uomini sono circa cinquemila, con in più le donne e i fanciulli. << Aveva dato frutto il seme che Gesù aveva seminato. . .; per un istante il popolo parve unito, ma come il vento del deserto tutto avvizzisce, così in due giorni cadde tutto l'entusiasmo d; quella gente verso Gesù >> (M. Willam). Dall'acclamazione entusiasta della sera, sul colle verdeggiante, dopo la aoltiplicazione dei cinque pani di orzo e dei due pesci: << Questi è

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certamente il profeta che deve apparire sulla terra », e dal tentativo u di rapirlo per farlo re >> (Giov. 6,14 s), alla rude reazione istantanea del mattino dopo, a Cafarnao. La traiettoria, fino a quel giorno ascen- dente, ebbe una svolta in declino, repentina e profonda. Non erano soltanto gli Scribi e i Farisei, ma lo stesso popolo che, ostile, si allonta- nava. All'entusiasmo subentrava uno scorato senso di delusione; il popolo faceva il vuoto intorno a Colui che il giorno prima acclamava.

L'entusiasmo: il popolo vide in quel genere di miracolo, così strepitoso, una manifestazione palese del Messia - Re temporale, da loro atteso; come dava il cibo, così avrebbe dato loro le armi e li avrebbe portati al sognato trionfo sui Romani.

Se Egli non avesse sedato quel tumultuoso entusiasmo, la rivolu- zione sarebbe scoppiata, l'errore incoraggiato e la Sua vera missione compromessa.

Gesù fa partire gli Apostoli, su una barca, per Cafarnao; quindi si ecclissa, sale sulla collina per pregare. Appena al largo, gli Apostoli furono investiti da un forte vento, tanto che verso le tre del mattino, avevano percorso soltanto cinque chilometri circa; mentre l'uragano scuoteva la barca che correva il pericolo di affondare. Gesù, cammi- nando sulle acque, viene in loro aiuto: sale sulla barca e, come per incanto, il vento, la tempesta cessò.

Al mattino seguente, la gente in attesa, raggiunse con delle barche Cafarnao; cercano Gesù, specialmente i Capi, per costringerlo ad una chiarificazione definitiva. La moltitudine non aveva rinunciato al pro- getto di acclamarlo re; ma era insieme irritata e delusa. Perché mai aveva compiuto quel miracolo, manifestando il suo potere, per poi sparire, contrastando così il loro disegno entusiasta?

E Gesù risponde: essi lo cercano per il carattere « materiale >> del miracolo compiuto; lo cercano perché li accontenti nel loro sogno tutto umano e razziale. Ebbene bisogna mutare affatto mentalità e lasciar cadere quei castelli in aria e trasferirsi in una concezione tutta spirituale. Gesù non ha nulla a che vedere con interessi terreni. Egli non può piegarsi alla loro visuale nazionalistica e materiale; non sono cose da discutere, non sono possibili compromessi. Egli ha una missione divina da compiere: procurare il cibo che dura per l'eternità. Egli è il plenipotenziario del Padre celeste. Bisogna credere alla Sua parola: aderire con la mente, con tutto l'essere a Lui, rimettersi in tutto, pie- namente a Lui.

L'opposizione prorompe aperta: non vogliono riconoscere in Gesù questa autorità, Gesù aveva preparato i cuori a comprendere che la

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missione del Messia era diretta soltanto all'anima e ai suoi destini: vedi il racconto delle tentazioni, il colloquio con Nicodemo, il Discorso del Monte, le parabole del Regno. Fatiche inutili! I1 calcolo politico, i sogni di rivincita e di vendetta; e presso i migliori uno zelo eccessivo e deformato da una incomprensione delle vere vie di Dio; tutto questo miscuglio confuso che fermentava in Israele incominciò ad avere la sua esplosione. Essi volevano un re e volevano costringere Gesù ad essere il Messia dei loro sogni.

Nel discorso di Gesù (Giov. 6), il processo delle idee e identico a quello del colloquio con Nicodemo (Giov. 3,l-15) : il regno di Dio è un regno spirituale e per realizzarlo, il Messia-Gesù immolerà se stesso sulla Croce, vittima per espiare il peccato e dare ai suoi la vita eterna.

Altro che re o imperatore d'Israele, vittorioso sull'impero di Roma. Gesù - il Messia vaticinato dai Profeti - sancirà la nuova alleanza (Ger. 31,31-34) col sacrificio di se stesso ( I s . : i carmi del « Servo di Iahweh D, particolarmente 52, 13-53, 12); quanti vorranno esserne partecipi dovranno partecipare al suo sacrificio, mangiando le Sue carni, immolate per la redenzione del mondo. L'Eucarestia è davvero cena sacrificale (Giov .6,51; 1 Cor. 5,7; 10,14-22), come l'ultima Cena (Mt. 26,26 ss.; Lc. 22,19 S.).

<< I1 pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo ». I Giudei respingono tale proposizione come assurda; non vogliono riconoscere in Gesù, il vero Figlio di Dio, e Dio Egli stesso. Spesso Egli aveva ripetuto di essere disceso dal cielo; quando lo vedranno risalire là dove prima era, ne rimarranno convinti. È lo spirito, la divinità che dà la vita di cui ha parlato.

I Giudei non vollero credergli e in gran numero lo abbandonarono. Rivolto ai Dodici: « Anche voi, domanda Gesù, volete andarvene?

Simon Pietro risponde a nome di tutti: « Signore, a chi ce ne andremo? Tu solo possiedi parole di vita eterna, e noi crediamo e sappiamo che sei il santo di Dio D. « E non sono io, concluse Gesù, che ho scelto voi? E nonostante, uno di voi è un diavolo ». Era Giuda, figlio di Simone Iscariota, che ormai aveva fatto la sua scelta, come la folla incredula; e che Lo avrebbe tradito.

Allo stesso modo, sei giorni prima della sua morte (Pasqua del 30 e.v.), avendo saputo che Gesù era a Betania, la grande folla dei Giudei, vi accorre anche per vedere Lazzaro che Egli aveva risuscitato. Tanto che i capi dei Sacerdoti deliberarono di far morire anche Lazzaro ... (Giov. 12,9 ss.). E grande è l'entusiasmo del popolo e dei pellegrini

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giunti a Gerusalemme per quella solennità, quando Gesù muove da Betfage su un asinello verso la città, dove fa il suo ingresso trionfale (Mt. 21,l-11; Giou. 12,12-19). La prima Sua visita è al Tempio, e trovati là ciechi e zoppi, che si avvicinavano a Lui, li risana.

Mentre i Farisei esprimono rabbiosi la loro impotenza, a poco a poco l'esaltazione si calma e di nuovo molta gente gli si stringe attorno. Alcuni Gentili, che aderivano al concetto del vero Dio, chiesero di parlare con Gesù. Al loro avvicinarsi, Gesù corre col pensiero alla loro vocazione, che sarà il frutto della sua morte. Ha presenti le pro- fezie, secondo le quali le nazioni Gli sono date come retaggio; in quel piccolo gruppo vede le sterminate moltitudini che aderiranno all'Evan- gelo. « È venuta l'ora in cui il Figliuol dell'uomo sarà glorificato. In verità, in verità vi dico: Se il grano di frumento, caduto in terra, non muore, resta solo; ma se muore produce molto frutto. Ed io, quando sarò elevato da terra, attirerò a me tutti gli uomini ».

La folla comprese benissimo che Gesù parlava della sua morte sulla croce ed il loro pregiudizio del Messia vittorioso, invincibile si affaccia prepotente alle loro menti. « Noi abbiamo appreso dalle Sacre Scritture che il Cristo rimane per sempre; or come puoi dire che è necessaria la sua morte? Di chi parli? . . . P.

« Ancora una volta, la folla ammutolì di fronte al presentimento di sofferenze ignominiose e si meravigliò del proprio entusiasmo della mattina, ricominciando a dubitare del Messia tanto acclamato. Israele era ancora come ai tempi di Osea (13,3): volubile, incostante, come nubi a levar del sole, e come rugiada mattutina, che ben presto dilegua. Cadeva la notte: le ultime luci del tramonto, rischiaravano la folla: "Per poco tempo ancora la luce (che era Egli stesso) resta presso di voi". Senza di essa finirette per rimanere avviluppati da ombre sempre più fitte e di dover camminare senza sapere dove, in mezzo alle tenebre n (M. J. Lagrange).

Lodando la grande fede del Centurione romano che lo pregava per la guarigione miracolosa del suo schiavo, Gesù aveva detto: « Vi assicuro che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli (cioè nel regno di Dio, la Chiesa); i figli del regno, invece (i cittadini o candidati al regno, coloro ai quali il regno era stato promesso nelle profezie del Vecchio Testamento) saranno cacciati fuori nelle tenebre; ivi sarà il pianto e lo stridore dei denti » (Mt. 8,11 S.).

« Dalla fede del centurione ancora pagano, Gesù prende occasione per predire la vocazione dei Gentili alla fede al posto dei Giudei

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rimasti increduli davanti agli argomenti così evidenti offerti loro da Gesù » (A. Vaccari).

Non c'è dubbio alcuno sulla predizione di Gesù: i Giudei increduli rimarranno al di fuori del regno di Dio, e saranno severamente puniti.

« Le tre parabole, dei vignaiuoli omicidi (Mt. 2 1,33-46 e passi paralleli: (Mc. 12'1-12; Lc. 20,9-19), dei due figli (Mt. 21-28-32), e del convito nuziale (Mt. 22,l-14; Lc. 14,16-24) hanno per oggetto la riprovazione dei Giudei e la vocazione dei Gentili al loro posto nel regno messianico e contengono la dottrina della salvezza universale. I1 re della parobal è Dio; il figliuolo è Gesù Cristo; le nozze raffigurano il regno messianico, presentato già nell'antica alleanza sotto il simbolo di un mistico sponsalizio di Dio col suo popolo e nella nuova di Gesù con la sua Chiesa. La gioia festosa di un convito nuziale rappresenta la felicità del regno messianico. C'era uso in Oriente, avvicinandosi il giorno della festa, di inviare dei servi a ricordarlo ai convitati. Gli inviati da Dio per invitare il popolo eletto a prendere parte al regno messianico sono i Profeti, succedutosi in lunga serie fino a Giovanni Battista com- preso. Al posto dei Giudei ingrati e ribelli, e perciò riprovati, Dio ha chiamato i Gentili » (A. Vaccari, op. cit., p. 1818).

« Molti sono chiamati, ma pochi eletti »; « questa sentenza con- tiene il precipuo insegnamento della parabola (Mt. 22,14) : tutti sono stati invitati, ma soltanto pochi han risposto all'invito: l'invito al regno di Dio rivolto ai Giudei, di essi, solo pochi, « il resto », l'accol- sero (A. Vaccari, ivi).

T wloni malvagi - Un padrone di casa piantò una vigna. curstn con ogii premura; l'allegò a dei coloni, e andò lontano. Quando si avvicinò il tempo dei frutti, mandò i propri servitori per avere la sua parte. Ma i coloni, presi i servitori, chi bastonarono, chi uccisero e chi lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma a questi fecero lo stesso. Da ultimo, mandò loro il proprio figliuolo, pensando che l'avrebbero rispettato. Ma i coloni lo presero, lo caccia- rono fuori della vigna e lo uccisero. Quando dunque ritornerà il padrone della vigna, che farà a quei coloni? Gli risposero: « Li farà miseramente perire quei malvagi, e allegherà la vigna ad altri coloni, che gliene daranno i frutti a tempo opportuno D.

Gesù disse loro (i Gran Sacerdoti e i Farisei): « Non avete mai letto nelle Scritture: "La pietra che i costruttori han rigettata, è riuscita in capo all'angolo; dal Signore è venuta tal cosa, ed è una meraviglia agli occhi nostri?" Perciò io vi dico che sarà da voi tolto il regno di Dio, e sarà dato a gente che faccia i suoi frutti. E chi cadrà su questa

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pietra si sfracellerà; su chi poi cadrà essa, lo stritolerà". I gran sacerdoti e i Farisei, udite le sue parabole, capirono che parlava di loro . . . » (Mt. 21,33-46).

« È trasparente il significato della parabola, e ben lo compresero gli Scribi e i Farisei, ai quali era rivolta. Dio è il padrone; la vigna il popolo giudaico; i coloni sono i sacerdoti, gli Scribi e i Farisei; i servitori, mandati a più riprese dal padrone, sono i Profeti, maltrattati, feriti ed anche uccisi; il figliuolo del Padrone è Gesù, Figlio di Dio, che essi ben presto avrebbero ucciso. E Gesù predice il tremendo castigo, che per il deicidio, stava per scendere .sulla nazione giudaica. I1 regno di Dio, dopo la riprovazione d'Israele, doveva passare ai Gentili.

« Gesù è la pietra, il Messia, che i capi d'Israele hanno rigettato; ma Dio ha stabilito che sia la pietra angolare, che congiunge e sostiene i membri dell'edificio di Dio in terra. E guai a coloro che vanno a cozzare contro di essa; vanno inevitabilmente in frantumi » (A. Vaccari, p. 1827 S.).

* * *

Del tremendo castigo che colpirà la nazione giudaica, Israele, Gesù Nostro Signore tratta nelle due profezie particolareggiate sulla distru- zione di Gerusalemme: la prima in LE. 17,20-18,8; la seconda in Mt. 24-25; Mc. 13 ,l-23 ; Lc. 21,5-24. Quest'ultima è preceduta dall'espresso motivo della severa sentenza, formulata da Gesù alla fine delle sue forti invettive contro gli Scribi e i Farisei: Mt. 23,29-32. « Essi, studiando di mettere a morte il re dei Profeti, lo stesso Messia, dimostrano di essere degni figli dei loro padri (solidarietà piena con le precedenti generazioni) che uccisero i Profeti e di essere con essi solidali. Con questo delitto, essi fanno traboccare le loro colpe e il calice dell'ita divina » (A. Vaccari, p. 182 1).

Inoltre essi perseguiteranno ancora i vari ministri della Chiesa, con a capo gli Apostoli: « li ucciderete, li flagellerete nelle vostre sina- goghe, li perseguiterete di città in città (cf. già Mt. 10,16-23), affinché ricada su di voi tutto il sangue innocente sparso, dal sangue del giusto Abele, fino al sangue di Zaccaria che voi uccideste tra il tempio e l'altare (2 Par. 24,19-225; Lc. 11,51). In verità, vi dico: tutte queste cose (i castighi divini) ricadranno su questa generazione (ben presto, ca. 40 anni).

« Per il principio di solidarietà, i Giudei devono rispondere anche del sangue dei profeti versato dai loro maggiori », annota con precisione il P. A. Vaccari (p. 1822). Esattamente, secondo la sanzione dell'alleanza

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di Iahweh con Israele (Ex. 20,5-6): i peccati delle precedenti gene- razioni, solo in parte espiati, pesano sulla generazione posteriore, che viene punita per la propria perdurante ribellione a Dio; lo esige la divina giustizia. La colpa di Gerusalemme raggiungeva il colmo col rifiuto del Messia, termine ultimo ed oggetto dell'alleanza a Dio con Abramo, anche nella formulazione temporanea al Sinai, tra Dio e la nazione, tramite Mosè, ed infine in quella con David che esprime formalmente la suddetta finalità del patto, sviluppata chiaramente dai profeti: il Messia, discendente di David, sancirà col suo sangue la nuova e defi- nitiva alleanza, per tutti uomini.

<< Gerusalemme, Gerusalemme che uccidi i Profeti e lapidi coloro che sono a te inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figliuoli come la gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco si lascia a voi la vostra casa deserta. Poiché io vi dico: d'ora innanzi più non mi vedrete, finché diciate: - Benedetto chi viene nel nome del Signore! ».

Gesù ha presente la predetta distruzione di Gerusalemme; « ma predice anche, secondo la spiegazione più ricevuta, che, (in un futuro imprecisato), il popolo giudaico si convertirà (cf. Rom. 1 1,25-33), riconoscendo in Lui il suo redentore » (A. Vaccari, p. 1822).

Ed ecco il commento del P. Severiano del Paramo, s.j., a questi versetti: Mt. 23,))-39. « Come si spiega che Cristo faccia responsabili i Giudei di tutti i crimini commessi dall'assassinio di Abele fino a quello di Zaccaria? Prima di tutto notiamo che i due crimini sono narrati nella Sacra Scrittura; uno nell'ultimo libro della Bibbia ebraica, le Cronache (o Paralipornni): 2 Par. 24,20-22, e l'altro nel primo (Gen. 4,8-10). Cristo considera qui il popolo giudaico formante una unità morale ddl'inizio della sua esistenza fino al presente (principio di soli- darietà). Le morti dei profeti durante tutto il tempo della storia erano crimini nazionali, che arrivarono al loro culmine con la morte violenta del Profeta dei Profeti, Gesh. Con il deicidio si colmò la misura della pazienza divina e venne il castigo di tutta la nazione con la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio e con la scomparsa del medesimo popolo come nazione 3.

Ed al v. 37 ss.: « Col paragone della gallina che accoglie i suoi pulcini sotto le ali, Gesù allude ai suoi vari viaggi alla città santa, nei qual con la predicazione e i miracoli, cercò invano di attrarre i suoi abitanti alla fede della sua legazione divina. La sua totale distruzione che si presenta già come una realtà, sarà il castigo della sua incredulità e durezza di cuore.

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« La maggior parte dei commentatori moderni vedono in queste parole di Cristo (v. 39 l'acclamazione "Benedetto colui che viene nel nome del Signore") una predizione della conversione del popolo giudaico al Cristianesimo, quando alla fine dei tempi lo riconoscerà alfine come suo redentore. San Paolo ci parla espressamente di questa conversione nella sua lettera ai Romani (11,25-33), di questa conversione della massa del popolo di Israele all'Evangelo (Evangeli0 de San Mateo, in La Sagrada Escritura, testo e commento ad opera della Compagnia di Gesù, sotto la direzione dei PP. Rafael Criado (A. Testamento) e Juan Leal (N. Testamento), BAC. 207, Madrid 1961, N.T., 1, Evan- gelios, pp. 288 ss.). Come ben sintetizza Claude Tresmontant (saint Paul et le mystère du Christ, éd. du Seuil, Paris 1956, p. 67 S.), il dram- ma d'Israele deriva dalla sua stessa costituzione, dalle esigenze non contraddittorie ma complementari che la definiscono: con l'alleanza del Sinai, Israele è costituito popolo distinto dagli altri, per la sua fede monoteistica, per gli obblighi dell'alleanza: la giurisdizione mosaica è come una siepe che lo protegge dall'idolatria e dai costumi dell'ambiente circostante. Ma per l'alleanza originaria di Dio con Abramo, Israele è anche e prima di tutto, questo germe della nuova umanità, redenta dal Messia, termine e scopo della sua scelta da parte di Dio.

a Parte essenziale dell'alleanza è la universalità: la salvezza di tutti gli uomini. Se Israele si ripiega su se stesso, nell'esistenza di popolo segregato, non compirà il suo destino, verrà meno alla sua vocazione.

Due peccati, due infedeltà, sono adunque possibili: o Israele si corrompe con l'idolatria e i costumi degli altri popoli circostanti ed è la storia delle sue infedeltà, stigmatizzate dai profeti in tutto il periodo del Vecchio Testamento, a causa dei ripetuti castighi, solo parziali, temporanei, per la Misericordia di Dio, che conserva sempre "un resto", perché si compisse il Suo disegno di salvezza. Oppure si richiude in se stesso, opponendosi allo scopo ultimo dell'alleanza: l'universalità della salvezza messianica; orgoglioso della sua giustizia, riposta dell'osservanza delle prescrizioni ristrette e temporanee della legge mosaica .

Questi due peccati ha commesso Israele. Se la prima infedeltà non è stata fatale; la seconda ha finito di escludere Israele dall'umanità redenta; "con la nascita della Chiesa".

Israele, l'Israele di Dio, è la Chiesa, aperta a tutte le nazioni che vengono a cercare in essa la conoscenza del Dio vivente. La Chiesa, formata dal "resto" - i Giudei discepoli di Gesù - e dai Gentili,

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dovette separarsi da Israele-popolo per compiere la vocazione medesima d'Israele e la predizione di Dio ad Abramo: "in te saranno benedette tutte le nazioni della terra " .

I1 grande esegeta, Marie-Joseph Lagrange, nel commentare le invet- tive di Gesù contro i Farisei (Mt . 23), risponde con la consueta compe- tenza e chiarezza alla domanda: i( Hanno essi (i Farisei) compreso Gesù? 0 , piuttosto, perché l'hanno disconosciuto? (Vedi L'Evangelo di Gesù Cristo, Morcelliana, Brescia 1935, pp. 449-464 : Sguardo retro- spettivo sul ministero di Gesù. Gesù e i Farisei. Cf. Giov. 12-37-50).

Sono pagine che toccano ed illustrano significativamente il nostro tema. Eccone qyalche saggio. a Ai tempi di Gesù il Talmud non era stato ancora scritto, ma il suo spirito informava già le anime dei dottori. Israele non si isolava soltanto perché sperava di convertire alla legge i Gentili o piuttosto assoggettarli al giogo della legge e al proprio. (I1 discredito in cui erano caduti i profeti proveniva dalla poca stima che essi fanno delle osservanze esteriori). Farisei - è questo il senso del loro nome - erano già « isolati » a cagione delle loro meticolosità per la purezza legale e per l'osservanza minuziosa dei moltiplicati precetti.

Gesù adunque ha penetrato ed espresso con giustizia i senti- menti dei Farisei. Essi non riducevano la religione al legalismo, ma la soffocavano coll'abuso del legalismo e di quel legalismo arbitrario che era proprio di loro.

« Hanno disconosciuto Gesù, precisamente perché Egli faceva rivivere la religione scuotendone di dosso il legalismo e la presentava nella sua pura essenza piu degna del Padre comune di tutti gli uomini » (p. 455 S.).

È vero, Gesù non si è presentato come Messia, alla folla. i< L'Evan- gelo di S. Marco è l'Evangelo del segreto messianico . . .: essendo le disposizioni degli Ebrei quelle che erano, farsi acclamare come Messia sarebbe stato uno scatenare la rivoluzione . . . Gesù si presenta come l'inviato di Dio che predica la parola di Dio e parla in nome di lui. Ma perché i Farisei non l'hanno voluto ricevere come un profeta?

« Oltre all'antinomia profonda tra la sua e la dottrina dei Farisei ... "ce ne danno la risposta" coloro che sarebbero fieri d'averne ereditato lo spirito o che almeno li difendono e si associano alla scelta da essi fatta. Alludiamo particolarmente al Klausmer nella sua vita di Gesù. Se lo citiamo di preferenza è perché sembra aver egli indicaio assai esatta- mente le accuse di quei Farisei che S. Giovanni chiama Ebrei, perché infatti è l'ebraismo ufficiale che si è pronunciato per bocca loro.

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« . . . I Farisei compresero che Gesù non si atteneva al loro modo di comprender la Legge. Hanno pensato che la colpa di Gesù fosse di non preoccuparsi che di Dio, della religione che gli è dovuta, senza prendersi alcun pensiero delle conseguenze che ne sarebbero derivate al giudaismo, e di sacrificare la vita della nazione, giacché la vita della nazione era strettamente legata alla Legge . . . L'errore del partito domi- nante fu precisamente di fare una questione nazionale d'una dottrina puramente religiosa . . . Se il proposito omicida dei Farisei può comple- tamente spiegarsi solo a questo modo, esso non è perciò né giustificato e neppure sensato.

« . . . I Farisei dovevano solo verificare se Gesù fosse veramente autorizzato a dirsi Figlio unico di Dio. Tanti miracoli insigni . . ., nume- rose e facili vittorie sui demoni . . ., una vita così santa avrebbero dovuto deciderli ad ascoltarlo con docilità, poi ad avere in lui confidenza: ripreso quindi lo studio delle Scritture avrebbero potuto riconoscere in lui la unità, a cui conducevano le due linee convergenti delle profezie, di cui le une annunziavano la venuta personale di Dio per stabilire il suo regno, e le altre promettevano la stessa opera al Figlio di Davide, 1'Emmanuele di Isaia, che sarebbe stato chiamato il Dio Forte, al Signore di Davide seduto alla destra di Dio.

« . . . I Farisei avrebbero dovuto riconoscere l'essere divino di Gesù, se fossero stati abbastanza docili per accettare la Sua testimo- nianza confermata da quella del Padre.

« Ma la docilità non era la loro virtù predominante, né essi vollero rinunciare in pari tempo al sentimento della loro competenza e alla riputazione di maestri in Israele. (Giov. 12,43).

« . . . Nei suoi disegni eterni Dio permise il loro accecamento e la loro ostinazione e in tal modo senza volerlo eseguirono il piano che egli aveva tracciato ».

D'altronde, le parole di Gesù tolgono ogni dubbio sulla colpevole opposizione dei Giudei: « Se non fossi venuto e non avessi loro parlato, non avrebbero colpa; ma ora non hanno scusa per il loro peccato. Chi odia me, odia anche il Padre mio » (cf. Giov. 5,17-47; 7,16-18; 8,12-59). « Se non avessi tra loro compiuto opere che nessun altro ha fatto, non avrebbero colpa; ma ora, benché abbiano veduto, pure odiano e me e il Padre mio. Ma deve pure adempiersi quella parola scritta nella loro Legge: "Mi hanno odiato senza ragione" ». (Giov. 15,22-25).

Un esempio chiarissimo ci è offerto dalla pericope sinottica: guari- gione di un indemoniato, cieco e muto, la bestemmia contro lo Spirito Santo (Mt. 12,22-32; Mc. 3,22-30; Lc. 11,14-20; 12,lO). Già in S. Mat-

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teo dall'inizio dello stesso C. 12, è presentata l'ostinata ostilità dei Farisei contro Gesù, la cui condotta umile e mansueta, in aperto contrasto con la condotta superba ed astiosa dei suoi oppositori, porge occasione all'evangelista di far rilevare l'adempimento in Gesù della profezia di Isaia intorno al servo di Iahweh, il Messia eletto da Dio: vv. 17-21 e 1s. 42,l-4. In essa, si esalta la salvezza e il tono persuasivo della sua predicazione.

Esattamente tali caratteristiche riscontriamo nel brano successivo, VV. 22-32.

u Allora gli fu condotto un indemoniato cieco e muto; ed egli lo sanò, sicché il muto parlava e vedeva; e tutte le turbe, prese d'ammi- razione, dicevano: "Che non sia questo il figlio di David? " Ma i Farisei, udendo ciò, dissero: "Costui non scaccia i demoni se non per virtù del capo dei demoni, Beelzebul" .

« Gesù però conoscendo i loro pensieri, disse loro: "Ogni regno tra sé discorde va in rovipa, ed ogni città o famiglia in sé disunita non si terrà in piedi. Così se Satana scaccia Satana, è discorde con se stesso: come dunque potrà peqistere il suo regno? E se io scaccio i demoni per virtù di Beelzebul, per virtù di chi li scacciano i vostri discepoli? Perciò essi stessi saranno vostri giudici. Se poi per virtù dello Spirito di Dio io scaccio i demoni, allora t già pervenuto tra voi il regno di Dio.

« Del resto come può uno entrare nella casa di un uomo forte e rapirgli le masserizie, se prima non lo abbia legato? Allora sf che potrà saccheggiargli la casa.

a Chi non è con me, è contro di me; e chi non raduna con me disperde. Perciò io vi dico che qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini; la bestemmia però contro lo Spirito non sarà perdonata. E a chi avrà parlato contro il Figliuolo dell'uomo sarà per- donato; ma a chi avrà parlato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato né in questo, né nel secolo futuro D.

u La conclusione era palese - commenta il P. Sev. Del Paramo, op. cit., p. 157-161 -.

« Se pertanto io scaccio i demoni per virtù divina, è segno che è già in mezzo a voi il regno di Dio, cioè, il regno messianico, che, secondo le profezie del V.T., deve distruggere il regno di Satana (cf. Prov. 12,3 1). Gesù indica chiaramente che Egli è il Messia (e abbiam visto la Sua scienza divina, rilevata dall'evangelista: conoscendo i loro pensieri) e che la sua dottrina, confermata da tanti miracoli, e parti-

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colarmente con la guarigione degli indemoniati, doveva liberare gli uomini dalla schiavitù del demonio W .

« I1 "forte", "il principe di questo mondon (Giou. 12,31) è scon- fitto da Gesù, realizzatore del piano divino di salvezza, con il potere che gli è proprio di Figlio di Dio.

« Attribuire, conseguentemente, una chiara opera divina o, se si vuole, dello Spirito Santo . . ., al demonio, era senza dubbio un peccato enorme, che scalzava il fondamento stesso della salvezza, che è la fede in Gesù Cristo, Dio. Conseguentemente, la bestemmia contro lo Spirito Santo consiste nell'attribuire al demonio, come facevano i Farisei, le opere e i miracoli che sono manifestamente (innegalmente) di Dio ».

E il P. A. Vaccari (p. 1799): « La bestemmia contro lo Spirito Santo, di cui parla Gesù, è quella dei Farisei, che volontariamente e ostinatamente chiudevano gli occhi davanti a tanto splendore di verità, negando di credere a Gesù, nonostante i suoi continui ed evidenti miracoli, attribuiti da essi al demonio. Una volontà così ostinata, non può per una colpa, per mancanza di buone disposizioni (rigettando la luce), convertirsi e tornare a Dio, che pure è sempre pronto ad acco- gliere il peccatore pentito ».

I1 P. Sev. Del Paramo conclude: « Le parole di Gesù da una parte alludono alla sua umanità: le sue apparenze esterne potevano essere oggetto di disprezzo e umiliazione (potevano suscitare motivo di scandalo: cf. Mt. 11,6; 7,23 per i discepoli di Giovanni Battista) e dall'altra parte alludono al suo potere divino . . ., uniti in una sola persona. Due nature in Gesù Cristo, la umana e la divina sussistenti in una sola persona n.

È da rilevare inoltre la enorme responsabilità di Scribi e Farisei, che forti dell'ascendente di cui godevano sul popolo, se ne servivano per impedire che accogliesse la luce e guarisse dalla cecità, dai comuni pregiudizi, aderendo alla dottrina di Gesù, mossi dalla commozione entusiasta suscitata dall'evidente strepitoso miracolo: la guarigione dell'indemoniato cieco e muto.

Vedi la prima invettiva di Gesù: « Guai a voi, Scribi e Farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli in faccia agli uomini; perché voi non entrate, né permettete che entrino quelli che vorrebbero entrare ». Mt. 23,13.

- I1 castigo. Per la prima predizione di Gesù sulla distruzione di Gerusalemme,

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vedi l'esegesi nel mio libro, Gesh e la fine di Gerusalemme. L'escato- logia in san Paolo, Rovigo2 1971, pp. 52-65; una sintesi, in La Chiesa di Cristo e la formazione degli Apostoli, ed. Rogate 1982, p. 191-195, già cit.

La seconda predizione, impropriamente definita u discorso esca- tologico », è accuratamente esaminata, nel primo libro ora cit., pp. 1- 14; 125-160.

I testi evangelici (Mt. Mc. Lc.) preannunziano soltanto: 1) la distruzione di Gerusalemme e del tempio e 2) lo stabilirsi della Chiesa, libera dalla persecuzione dei Giudei.

Gesù, nel martedì santo, conclude la sua condanna contro i Farisei: << Ecco che vi si lascia la vostra casa (il tempio) deserta n (Mt. 23,38); punizione già espressa nel suo ingresso solenne a Gerusalemme (Lc. 19,4 1-44); punizione che si realizzerà su quella stessa generazione (Mt. 23,36).

All'uscita dal Santuario, la conferma: e Del tempio, non resterà pietra su pietra che non sia sconvolta D. E alla domanda di Pietro: <( Maestro, quando dunque avverranno tali cose e quale il segno che staranno per accadere? >> (Lc. Mc.); o nella forma aramaica, più primi- tiva, in Mt.: << . . . quando avverranno tali cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine o completamento delle ere? n.

<< Venuta )> o manifestazione della potenza divina del Messia - come sempre in san Matteo (10,23; 16,27 S.; 26,64) e abitualmente nei Profeti - quale apparirà particolarmente nella distruzione della nazione giudaica e nello sviluppo miracoloso del nuovo regno di Dio, la Chiesa.

<< Fine o completamento delle ère D, epoche, come nella lettera agli Ebrei 9,26: << sul termine dei secoli o delle epoche, ora una volta per sempre si è manifestato il Cristo, per cancellare il peccato . . . ». Le epoche che han preceduto la venuta del Messia: da Adamo ad Abramo, da Abramo a Mosè . . . Gesù inizia l'èra definitiva, perfettta: 1 Cor. 10 , l l .

Nostro Signore risponde incominciando dal secondo punto. - 1. Segni preliminari: quel che accadrà prima che abbia inizio l'as-

sedio di Gerusalemme. Tra l'altro: la predicazione del17Evangelo si diffonderà per tutte le regioni dell'impero romano, cioè del mondo allora conosciuto (Mt. 24,14).

Quando S. Paolo scrive ai Romani (1,8), verso il 58 e nella lettera ai Col. 1,6-23, l'Apostolo riteneva già compiuto quel segno preliminare.

2. I1 segno inconfondibile (Mt. 24,15 ss.). I1 segno per eccel-

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lenza, immediato, è così riferito da Lc. (21,20): « Quando vedrete Gerusalemme cinta da armate sappiate che allora la sua desolazione è vicina D. Mt. e Mc. « Quando vedrete l'abominazione devastatrice, predetta dal profeta Daniele, stante nel luogo santo, allora quelli che stanno in dTiudea fuggano verso le montagne ».

In Luca è l'avanzata dell'esercito romano per investire direttamente Gerusalemme: nel 69 le legioni romane occupate Hebron, Emmaus, Betel e Gerico, chiusero Gerusalemme in un cerchio di ferro. I n Mt.-Mc, è preannunziata la profanazione del tempio, ad opera degli Zeloti, nel 68 . . .: vedi la realizzazione in Giuseppe, La Guerra Giudaicu (testi ripotrati per intero, nel mio libro Gesu e la fine di Gerusalemme, p. 47 ss.).

3. L'assedio Mt. 24,16-28; Mc. 13,17-23; Lc. 21,21-24. 4. Distruzione di Gerusalemme. Sviluppo della Chiesa: Mt. vv.

29-31; Mc. vv. 24-27; Lc. vv. 25-28. Ora Gesù parla dell'atto conclu- sivo: 19espugnazione e distruzione di ~erusalemme e del Tempio. Si oscura il sole, cadon le stelle, si spegne la luna . . . « forti immagini, espresse in termini usuali nella profezia » per delineare l'estrema gravità del castigo: anche la natura ne resterà atterrita, terrorizzata: cf. 1s. 13,lO; 34,4; Ez, 32,7 . . . (Lagrange, Huby, Médebielle . . .). È così indicato l'atto culminante della tragedia giudaica tutti dovranno rico- noscere la mano di Dio: anche gli stessi Giudei (Mt. v. 30, citazione di Zach. 12,12-14); « tutte le tribù della terra » è la stessa espressione del profeta Zaccaria; riguarda le dodici tribù d'Israele.

Infine, nei vv. 31 di Mt.; 27 di Mc. e 28 di Lc. è preannunziato lo sviluppo, il trionfo del regno di Dio, la Chiesa. « Quel che è la deso- lazione per Gerusalemme sarà la liberazione per i discepoli » (Lagran- ge): vedi Gesù e la fine di Gerusalemme, pp. 82-92. I vv. 28 e 31 di Lc.: « Incominciando ad attuarsi queste cose, drizzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina H ; << Quando vedrete avvenire queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino »; riguardano la trion- fale espansione dell'Evangelo, a partire dalla distruzione di Gerusalemme. Egli rende chiaramente per i suoi lettori quanto gli altri due evangelisti esprimono con immagini semite grandiose e, per alcuni elementi, tradi- zionali: « Allora il Figlio dell'uomo manderà gli angeli e radunerà gli eletti dai quattro angoli della terra D.

« Radunare gli eletti M esprime la benevola azione protettrice del Cristo nei riguardi dei suoi fedeli, come già nel commosso lamento di Gesù su Gerusalemme, Mt. 23,37: dove indica metaforicamente l'azione benevola del Messia per convertirne gli abitanti

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Si tratta pertanto, principalmente, di un vaticinio di conforto e di vittoria per i suoi discepoli, per la Chiesa nascente, perseguitati dai Giudei; ad esso è coordinato l'annunzio preciso della fine di Gerusa- lemme e della nazione giudaica. Per questo, san Paolo lo presenta ai fedeli da lui convertiti a Tessalonica, ferocemente perseguitati dai Giudei locali: vedi il libro cit., pp. 161-364.

5 . I1 tempo. La Chiesa si afferma dunque sui ruderi della sinagoga. << Oh, io vi dico, non passerà questa generazione (ca. 40 anni)

senza che tutto si avveri. Passeranno il cielo e la terra, ma le mie parole non passeranno ». Seguono quindi le esortazioni alla vigilanza. (")

Terminati questi discorsi, Gesù precisò, ancora una volta, ai disce- poli: fra due giorni è Pasqua e il Figliuolo dell'uomo sarà consegnato per essere crocifisso.

Per il mercoledì della grande settimana, gli Evangelisti ci danno notizia del tradimento di Giuda. I1 Sinedrio, adunato in una sede inso- lita, l'atrio della casa del Pontefice, già deciso di uccidere Gesù, è lì per concertare il modo di farlo, presto sì, ma senza complicazioni. Pareva che vincesse il partito di lasciar passare il tempo della festa e aspettare che si diradasse la gran folla radunata in città. Ma ecco, è introdotto nell'assemblea *uno che tronca dubbi ed indugi: << Che mi date ed io ve lo consegno? ».

Per trenta danari, il prezzo legale di un servo (Ex. 21-32) l'affare è concluso; Giuda Iscariot, il discepolo traditore, conosce le abitudini del suo Maestro; lo consegnerà loro nella notte di Giovedì, senza che alcuno se ne accorga.

Dal Getsemani (erano circa le due di notte) Gesù fu condotto alla casa del Sommo Sacerdote, Caifa, nei pressi del Cenacolo (dopo una breve comparizione dal vecchio Sommo Sacerdote Anna). Presso Caifa

(23) Questa esegesi, formulata per la prima volta nel libretto Gesù e la fine d i Geru- salemme, Rovigo 1950, è stata accolta, approvata dal P. Pierre Benoit, in Revue Biblique 59 (1952) 119 ss.: « trovo tale esegesi ecceliente e l'approvo interamente, come l'ho fatto nelle note della mia traduzione di S. Matteo »: cf. La Bible de Jérusalem, S. Matthieu, Paris, pp. 135 ss.

Ancora, dal P. Ceslau Spicq, in Revue des Sciences Phil. et Théol., 36 (1951) 4; da Mons. A. Romeo, alla voce Parusia della Encicl. Catt. I t . ; da J . A. O'FLYHN, in Irish théol. Quarterly 18 (1951) 277-281; cf. A. Feuillet, in diversi art. citati, nel mio libro (del 1971), pp. 140 ss. nelle note.

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si erano intanto radunati i membri del Sinedrio; per il numero legale bastano 23 dei 70 membri che lo componevano. Essi, per dare parvenza di legalità alla già decisa condanna, sono in cerca, mediante inchiesta testimoniale e più ancora per eventuale confessione dello stesso Gesù, di accusarlo di bestemmia e di attentato contro la religione mosaica.

Ma i testimoni, chiamati a deporre, non riescono a fornire un passabile argomento di accusa. Allora intervenne Caifa. Nella sua qua- lità di Sommo Pontefice interpellò Gesù in nome dell'Altissimo: << Io ti scongiuro per il Dio vivente di dire a noi se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio ». E Gesù, con la massima chiarezza: << Tu lo hai detto. Anzi vi dichiaro che a partire da questo momento vedrete il Figliuolo del- l'uomo assiso alla destra dell'onnipotente e venire sulle nubi del cielo ».

Sono il Messia, il Figlio di Dio, come tu hai detto; a me spettano la dignità e le prerogative descritte nella profezia di Dan. 7,13 S. Né tarderà a dimostrare con i fatti la verità della sua affermazione. Ben presto manifesterà la sua potenza di Messia e Figlio di Dio, immedia- tamente dopo la sua morte, con la risurrezione, la fondazione della Chiesa, la distruzione dello stato giudaico, di Gerusalemma. (24)

A tale solenne dichiarazione, Caifa finge il più grande scandalo; con gesto teatrale si straccia le vesti ed esclama: << Ha bastemmiato! Che bisogno abbiamo di testimoni? Avete inteso anche voi la bestem- mia. Che ve ne pare? D.

Gli fecero eco i compagni: « Merita la morte N. I giudici (!) aggiungono gli oltraggi . . . La seduta del Sinedrio finisce con questi oltraggi, e Gesù viene affidato alla custodia della gente di Caifa, le guardie che continuano i maltrattamenti . . .

Restava, per i Capi, il compito delicato di ottenere da Pilato, il procuratore romano, l'approvazione e l'esecuzione della loro sentenza capitale. A tale scopo, si dettero convegno per il mattino. Sanno di affrontare una dura battaglia e nella riunione mattutina si sono messi d'accordo per le direttrici e le eventuali variazioni dell'attacco: era il 7 aprile dell'anno 30 della nostra èra.

Gli autorevoli membri del Sinedrio - sacerdoti, nobili, dottori -, il supremo censesso, cui Roma riconosceva un potere quasi illimitato, religioso e civile, sui Giudei di Palestina, in sul fare del giorno, muovono dal Palazzo di Caifa, personalmente, verso la Torre Antonia, dove da Cesarea, Pilato è venuto per la solennità della Pasqua.(*') Egli da quattro

(") Per l'esegesi di Mt. 26,63-64; Mc. 14,61 ss.; L. 22,68 ss., vedi il mio libro Gesù e la fine di Gerusalemme (1971), pp. 16 ss., 23 ss. Lagrange, Huby, Fillion ...

(") Per tutta questa sezione, << Gesù dinanzi a Pilato », vedi il mio libro, Pilato,

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anni (26-36 d.C.) amministrava la Giudea. Cavaliere della nobilissima Gens Pontia, il suo cognome (o soprannome) Pilatus (l'uomo del giavel- lotto) evocava qualche ardita bravura in battaglia, apparteneva al corpo privilegiato dei Caesariani equites e portava quel titolo di amico di Cesare ricordato dai Sinedriti nel loro ricatto. Educato e vissuto nel clima della romanità più schietta, cioè imperiale, con un alto senso della giustizia e della dignità, abituato al comando assoluto nella ferrea disci- plina della legione, quando fu destinato alla Giudea concepì il disegno di normalizzare la peculiare situazione colà esistente, unica nell'impero, con i privilegi: esenzione dal servizio militare, indipendenza religiosa, proibizione alle truppe romane di passaggio o dimoranti in Giudea di spiegare le loro insegne, e qualsiasi altra manifestazione idolatrica.

Pilato, appena giunto in Palestrina, volle iniziare il suo tentativo di assimilare la Giudea alle altre componenti dell'impero. Ordinò ai soldati di entrare a Gerusalemme (ma di notte, per evitare uno scontro) e spiegare quindi le insegne, con l'effigie dell'imperatore e altri emblemi idolatrici. Grande fu la collera dei Giudei, quando al mattino se ne accorsero; per essi il fatto costituiva soltanto un voluto oltraggio alla Legge, al loro sentimento religioso.

In numero considerevole si recarono a Cesarea e dopo cinque giorni e cinque notti passati nel cortile del Pretorio, ottennero da Pilato la rimozione delle insegne. I1 Programma tuttavia rimase. Ed ecco l'occasione degli scudi d'oro, in onore di Tiberio, senza simboli ido- latrici: li fece appendere pubblicamente nel palazzo di Erode, sua sede a Gerusalemme. E questa volta, il Procuratore fu irremovibile, anche nei confronti degli stessi principi erodiani. Ma dopo qualche mese, si vide costretto a toglierli per ordine dell'imperatore Tiberio, al quale i Giudei si erano rivolti.

Questa volta, oltre al risentimento, all'odio e alla derisione dei governati, Pilato vedeva sminuito, compromesso lo stesso suo prestigio, quella autorità che avrebbe voluto rafforzare; i tenaci ed accorti membri del Sinedrio non ebbero più timore di giostrare con il nobile romano, valoroso in guerra, ma poco accorto in politica e la loro astuzia dovette spesso prevalere.

Ecco perché, quella mattina del 30, muovono verso il Pretorio col proposito di ottenere da Pilato il semplice avallo alla loro sentenza di morte. Una condanna a morte che essi non avrebbero potuto giusti-

Istit. Pad. Arti Grafiche, Rovigo 1973, p. 215: bibliografia. pp. 201-214. Con l'esame critico delle fonti e I'esegesi accurata.

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ficare; un avallo che avrebbe fatto di Pilato un loro complice, avvilendo la sua dignità di amministratore e di giudice a semplice assassino di un innocente. (Mt. 27,l S. 11-26; Mc. 15,l-15; LE. 23,l-25; Giov. 18,28-19,16).

(< (I membri del Sinedrio) condussero Gesù dalla casa di Caifa al Pretorio. Essi però non entrarono nel Pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua >> (Giov. 18,28). Gesù dunque è condotto dentro la Fortezza Antonia, mentre i Giudei rimangono all'esterno. Pilato rispetta gli scrupoli o usanze dei Giudei ed esce dal Pretorio verso di loro: <( Mi avete portato quest'uomo, quali sono le accuse che avete contro di lui? ».

La risposta dei Capi esprime un'altezzosa pretesa: pretendono un puro avallo della loro sentenza di morte: Se non fosse un malfattore, degno di morte, non l'avremmo portato e consegnato a te ».

Pilato si attiene al diritto: Ne quis indicta causa condemnetur; e difende la sua dignità di giudice. <( Non volete addurre le accuse, ebbene riprendetevi l'imputato e giudicatelo secondo le vostre leggi ».

I Capi sono costretti a formulare l'accusa nuova: L'abbiamo colto a sobillare la nazione, a vietare il tributo a Cesare, a proclamarsi Cristo-Re >> (LE. 23,2). Accusa nettamente politica; azione giudiziaria affatto nuova e differente. I1 Sinedrio l'aveva condannato a morte come bestemmiatore; ora i Capi da giudici diventano accusatori. Sono essi che denunciano all'autorità romana un ribelle (era una falsità e ben lo sapevano), ma giudeo della loro razza! È di lega talmente falsa questo loro inusitato ruolo di sudditi zelanti verso Roma che, si com- prende, dovettero assumerlo soltanto costretti, pur di raggiungere lo scopo tenacemente perseguito: l'esecuzione di Gesù. Di lega talmente falsa che dovette giustamente suscitare più del sospetto, lo sdegno di Pilato. Basti ricordare i rapporti intercorsi in quei quattro anni (dal 26 al 30) tra lui e gli stessi Capi, il Sinedrio.

Ma questi univano al disprezzo nei confronti di Pilato, la sicu- rezza di averlo in pugno. Se infatti l'avevano spuntata per la questione degli scudi votivi, tanto più erano sicuri di imporre a Pilato l'esecu- zione di Gesù: Roma al loro ricorso si sarebbe mossa e come! per un ribelle che il procuratore vorrebbe lasciare impunito! Ecco perché Pilato alla fine cederà al sopruso; il ricorso a Tiberio, minacciato dai Capi, questa volta avrebbe avuto l'aggravante del motivo affatto politico, e l'aggravante della . . . ricaduta. Prima però di soccombere, Pilato farà di tutto per salvare la giustizia perchè sa che Gesù è innocente, e per salvare la propria dignità.

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Pilato, rientrato nel Pretorio, domanda: « Sei tu il re dei Giudei? E Gesù: « Il mio regno non è di questo mondo. Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei soldati avrebbero combattuto, per non farmi cadere in mano ai Giudei. No, il mio regno non è di quaggiù ». Egli aveva rifiutato di essere re e di combattere i Romani.

« Pilato ben sapeva che i Capi glielo avevano consegnato per invidia » (Mt. 27,18; Mc. 15,lO) e, con ogni probabilità, da governatore accorto, era informato circa la persona e la predicazione di Gesù, e non era, perciò, mai intervenuto durante i due anni e mezzo del di lui ministero, fino al trionfale ingresso a Gerusalemme . . ..

Anche per questo, se non, forse, proprio per questo, il Sinedrio esitò a formulare contro Gesù l'accusa di ribelle a Cesare: Pilato cono- sceva bene quel che avveniva nel territorio ffidatogli. Ecco perché egli non ebbe dubbi e prese subito le difese 2 i Gesù; ecco perché fece di tutto per opporsi alla richiesta dei Giudei.

Pilato comprende bene le parole di Gesù: « Dunque, tu sei re D. « Sì, Egli risponde. Per questo son venuto al mondo, per rendere testi- monianza alla verità; chiunque ama la verità, ascolta la mia voce »; intendendo quindi di regnare sulle anime. Pilato dovette interrompere il colloquio, ed uscire fuori da dove i clamori si facevano più forti (Lagrange): i Capi impazienti e temendo di non riuscire nel loro intento, sollecitano il clamore della folla, fatta affluire; temono che Pilato subi- sca l'influenza di Gesù.

Fatta la domanda: « Cos'è la verità? » Pilato *uscì attraverso il litostrotos (o atrio dalle grosse pietre per pavimento), verso la folla. « Per me non trovo in lui colpa alcuna ». Era come una sentenza di assoluzione. Ma i Sinedriti moltiplicano le accuse, insistono pesante- mente. E Pilato le tenta tutte, per salvare Gesù e difendere la propria dignità: il rimando ad Erode Antipa (Lc. 23,6-12), il rilascio di un prigioniero per la Pasqua . . . Iniziativa, questa, davvero geniale e riso- lutiva: strappare Gesù ai suoi accusatori facendolo liberare dal popolo. Pilato era sicuro del buon risultato in quanto poneva Gesù a raffronto con uno scellerato famoso, i cui delitti avevano suscitato il disgusto di tutta la gente onesta. Ed invece . . . Appena Pilato ha formulato la sua proposta, i Sommi Sacerdoti e gli Anziani si impegnarono ad indurre la folla a domandare la liberazione di Barabba e a reclamare la morte di Gesù.

E la folla, alla domanda del Procuratore su chi ricadesse la loro scelta, gridò unanime il nome di Barabba, esigendo per Gesù la croci- fissione. Incitata e magari cattivata dai Capi, la folla prese con slancio

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la loro parte: al di fuori del termine fatale: a sia crocifisso ella non sa dire altro.

Tutta la sua psicologia consisterà ormai a formulare sempre più fortemente la sua domanda, la sua esigenza, passando dal chiasso, al clamore, al tumulto.

Pilato ne fu sorpreso e dolorosamente colpito; ma non si arrese, non si diede per vinto. Quando i Capi insistono: i{ Secondo la nostra Legge, deve essere mandato a morte, perché si è fatto Figlio di Dio », egli, ancora più impressionato, rientra nel Pretorio e chiede a Gesù: <( Di dove sei? . . . » Ma non ne riceve risposta. u Non mi parli? Non sai che io ho il potere di metterti in libertà, come ho il potere di croci- figgerti? ».

Gesù rispose: u Non avresti alcun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto; perciò chi mi ha consegnato a te è colpevole di un peccato grauissimo ».

Nella sua risposta, esprime comprensione e compassione per Pilato, che in quanto magistrato è solo un mandatario; egli ha il potere da Tiberio. Tu dici di avere la possibilità di liberarmi o di uccidermi; ed invece sei in balia di questi violenti; con la minaccia del ricorso a Tiberio, ti costringono a fare quello che essi han deciso di ottenere e proprio abusando della tua posizione di rappresentante e dipendente di Tiberio. Pilato lo sapeva, purtroppo, molto bene. Non soltanto i Capi hanno condannato ingiustamente Gesù, non solo presentano una falsa accusa, ma con il ricatto del ricorso a Cesare costringono il giudice ad eseguire la loro ingiusta condanna. Sono ingiusti contro l'accusato e contro lo stesso Pilato! Usano violenza all'uno e all'altro! Perciò il loro peccato è gravissimo! (26)

i( Dopo queste parole, Pilato cercava di tutto per rilasciarlo . . ., allora i Capi: i< Se lo rilasci, non sei amico di Cesare! chiunque si fa re, si oppone a Cesare ».

I casi precedenti rendevano edotto Pilato ad evitare assolutamente il ricorso dei Giudei a Roma, che oltre tutto lo avrebbero costretto a condannare Gesù.

Compie un ultimo tentativo. Rivolto al popolo, sembra dire: Badate bene a quel che fate! i< Ecco il vostro re D. L'espressione ci riconduce all'inizio, quando Gesù spiegò a Pilato in che senso Egli era realmente

(m) Cf. Pilato, già cit., pp. 136-140. Nessun confronto o paragone tra il peccato di Pilato e quello dei Giudei. In realtà, il comparativo del testo greco equivale al superlativo, come più di una volta, nella Koine' o greco comune: 6. F.M. ABEL, Gram. du Grec bibl., Paris 1927, p. 152: § 37 K, che cita Act. 24,22; 25,lO; 2Tim. 2,18; 2Cor. 8,17.

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re, in senso spirituale, Pilato comprese bene; ed ora con gravità riaf- ferma quel titolo. Pochi giorni addietro, il popolo plaudente aveva accolto Gesù a Gerusalemme, con acclamazioni affini.

Gli risponde il clamore: << Via, via, crocifiggilo ». Pilato vuole che essi riflettano: << Devo crocifiggere il vostro re? D. I1 popolo nella sua volubilità, avrebbe potuto ripensarci. Ecco perché i Capi questa volta intervengono con la richiesta della condanna e la larvata minaccia contro il Procuratore: << Noi non abbiamo altro re che Cesare ».

Pilato si lavò le mani: Io sono innocente da questo sangue: a voi di pensarci. Non sono responsabile della morte di Gesù ». La risposta: <( Che il suo sangue cada su di noi sopra i nostri figli »

dei nostri figli. 2 toglie a Pilato ogni responsabilità: la respons ilità sia tutta nostra e

Ogni tentativo fatto, non dico di negare, ma di limitare la piena responsabilità collettiva dei Giudei, Capi e popolo, nella condanna a morte e quindi nella esecuzione di Gesù N. Signore, e prima ancora nel rifiuto di accettarne la predicazione, di riconoscere in lui l'inviato del Padre, nonostante tutti i miracoli compiuti, contrasta con tutta la documentazione dei nostri quattro Evangeli. (n)

E questo vale ancora più evidentemente, per tutto il popolo giudaico, che - come rilevava pertinentemente il P. Benoit nella sua critica al libro di Jule Isaac (Rev. B., 1949, p. 610 S.) - ratificò completamente, in pieno, la sentenza dei loro Capi, opponendo dappertutto, e nella massa dei suoi membri, in Palestina e nella Diaspora questa resistenza feroce alla Chiesa nascente e continuando nei discepoli di Gesù l'opera di persecuzione a morte.

Nelle parole di Gesù, nel racconto dei quattro Evangelisti, risulta ineccepibilmente la responsabilità collettiva, per quel principio di soli- darietà, ereditato da tutto il Vecchio Testamento, e fondamentale per il concetto della b6rit o alleanza, che lo pervade.

Le parole di Gesù in croce, riportate soltanto da S. Luca 23,34 a: << Padre, perdona loro, perché non sanno ciò che fanno D, non vanno più in là dei testi riportati finora.

Lo confermano i commenti all'Evangelo di san Luca. Nella collana Verbum Salutis, A. Valensin-G. Huby s.j. (trad. it.

(n) Per la loro data di composizione e per il valore storico dei Sinottici e del 4" Evangelo, cf. le opere recenti: de l'anglicano JOHN A. R. ROBINSON, Redating the Neul testament, London 1976; di CLAUDE TRESMONTANT e di JEAN CARMIGNAC, La naissance des Ev. Synoptiques, Paris 1984 (3" ed.). Vedi mio art. in Divinitas 30 (1986) 78-84; e in Palestra del Clero, febbraio 1986.

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ed. Studium, Roma 1956, p. 456 S.), Vangelo secondo S . Luca,(28) così commentava.

L'evangelista, nel suo Evangelo della Misericordia, riferisce queste parole << per far conoscere l'infinita misericordia del Salvatore del mondo. Gesù ci dà l'esempio di quell'amore dei nemici e di quel perdono delle offese, di cui aveva fatto un dovere per i figli del regno (Mt. 5,44). Si riferisce prima al popolo ebraico, poi a tutti quelli che, anche in maniera indiretta, sono causa della sua morte. (Knabenbauer, in h.1.).

u Domanda perdono per loro, in considerazione della loro igno- ranza. Perché verament+n ogni peccato c'è un fondo di tenebre. L'uomo che pecca non sa complptamente tutto ciò che f a . . . Gli Ebrei non comprendevano tutta l'enormità del loro delitto. Questa ignoranza, in quanto era frutto della resistenza alla grazia e dell'accecamento volon- tario, non li assolveva della loro colpa; Gesù tuttavia la presenta al Padre come circostanza attenuante, e così farà più tarti san Pietro (Act. 3,17) ».

I1 Lagrange (S. Lc., p. 588) per l'omissione delle parole di Gesù in vari codici, si pone la domanda: << si è pensato che l'indulgenza del Salvatore fosse eccessiva, perché i Giudei sapevano bene quel che face- vano? ». In realtà, si poteva pensare ad .una contraddizione con i testi evangelici che, come abbiamo visto, attestano la cosciente malafede dei Capi e la responsabilità del popolo: Mt. 27,25 . . .

I Capi, continua il Lagrande, erano veramente colpevoli ed avevano grande bisogno di perdono; le prove dell'accecamento volontario, di odio e di doppiezza non mancano in Luca; tuttavia essi non compren- devano l'enormità del loro crimine. Si compiva in Gesù, la predizione d'Isaia 53,12: << intercede per i malfattori ».

Juan Leal s.j., Ev. S . Lucas, (La S . Escritura), BAC 207, Madrid 1961, p. 764.

<< Gesù ha presenti i Capi del giudaismo, responsabili della sua morte. Essi sapevano come nessun altro, quello che facevano. E perché lo sapevano, peccarono ed avevano bisogno di perdono. In ogni peccato umano c'è sempre qualche ignoranza e Gesù si richiama a questa scusa. La preghiera di Gesù per i Giudei poteva risultare contraddittoria con Mt. 27,25 << il suo (di Gesù) sangue sia su di noi e sopra i nostri figli » e con i testi in cui si predice il suo ripudio definitivo.

<< Una preghiera in queste circostanze, che chiede perdono per i

(28) Nella nota 4 a p. 456, gli Autori danno una chiara informazione sul problema di critica testuale, sollevato dalle parole suddette, v. 34 a, che manca in molti codici, anche importanti.

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nemici è autenticamente cristiana: è in armonia con la dottrina del Signore nel discorso del Monte (Mt. 5,44), col suo esempio (Lc. 22,48.51 con il traditore Giuda!) D.

<< Santo Stefano ha pregato nello stesso spirito di carità, ma non con gli stessi termini (Act. 7,60). San Giacomo di Gerusalemme, prima del martirio, << in ginocchio pregava così: - Ti supplico, o Signore, Dio e Padre, perdona ad essi (Scribi e Farisei), perché non sanno quello che fanno D (Eusebio, Storia Eccl., 1. II., C. 23, S. 15). (Lagrande). Cf. ancora il P. Vaccari, p. 1917.

San Pietro se ne fa eco, nel secondo discorso al popolo, dopo la guarigione dello storpio, alla porta del Tempio, detta la Bella: E ora, fratelli, so che avete agito per ignoranza, come i vostri Capi H. I1 Boudou commenta: e Pietro non vuole gettarli (gli Uomini d'Israele » accorsi numerosi intorno a Pietro e Giovanni, all'ingresso del Tempio, per la guarigione istantanea dello storpio) nella disperazione e trova per loro delle scuse . . . si direbbe l'eco delle parole . . . cadute dall'alto della Croce, raccolte da tutti i veri discepoli di Gesù, ripetute spesso . . . nelle stesse tragiche circostanze, in testimonianza della stessa eroica carità D. S. Pietro infatti, all'inizio del discorso aveva rilevato l'enorme peccato d'Israele nel ripudio e nella uccisione del Salvatore, la loro piena colpevolezza e responsabilità collettiva.

. . . i< I1 Dio dei nostri Padri, o Uomini d'Israele, ha glorificato il suo servo, Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato davanti a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo. Ma voi avete rinnegato il Santo e il Giusto e avete chiesto che fosse graziato un assassino, e avete fatto morire l'autore della vita. Dio l'ha risuscitato dai morti e noi ne siamo testimoni . . . La fede che viene da lui, la fede nel nome di lui, ha dato a questo infermo la piena salute in presenza di voi tutti. E ora, o fratelli, so che avete agito per ignoranza . . . Pentitevi, ecc. D.

Nel primo discorso che Pietro, nel giorno della Pentecoste, ai numerosi Giudei accorsi nell'atrio del Tempio, colpiti dal miracolo della glossolalia degli Apostoli (circa tremila aderirono all'Evangelo), è affer- mata senz'altro la colpevolezza e la responsabilità collettiva dei Giudei (Act. 2,23.36): << Gesù di Nazareth, da Dio approvato con opere potenti e prodigi e miracoli . . . quest'uomo . . . voi l'avete crocifisso e per mano degli empi l'avete fatto morire . . . Lo sappia dunque sicuramente tutta la casa d'Israele: Dio ha fatto Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso ».(")

(29) ADRIANO BOUDOU s.J., nella colonna u Verbum Salutis »: Atti degli Apostoli,

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Per Act. 13,27 ritengo esatta la traduzione del Baudou: (") « Gli abitanti di Gerusalemme e i loro capi hanno misconosciuto Gesù, e condannandolo adempirono le parole dei profeti che si leggono ogni sabato ». È san Paolo che così parla nella Sinagoga di Antiochia. Non si tratta di « ignoranza » (Gesù aveva detto loro chiaramente chi era: Giou. 5,18; Mt. 26,65; 27,44 e Giou. 19,7 « si è detto Figlio di Dio » perciò deve morire, dicono i Sinedriti a Pilato): ma di rifiuto di fede nella sua persona. I1 verbo greco aghnoé ha anche tale significato. Cod nella lettera ai Romani 10'3 gli esegeti traducono lo stesso verbo: « Misconoscendo infatti la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio ». Pur conoscendo, pur avendo appreso il contenuto dell'Evangelo: 10,16-2 1.

« Si potrà dire che Israele non ha capito di che si trattava nella predicazione dell'Evangelo? No, risponde san Paolo, ha capito bene che l'Evangelo si presentava come il compimento delle promesse mes- sianiche, ma per cattiva volontà ha rifiutato di accoglierlo, lo ha cono- sciuto per misconoscerlo. Mentre i Gentili, che non si preoccupavano molto di trovare Dio, lo hanno sconosciuto quando è stato manifestato loro; Israele, preparato da una Provvidenza speciale all'avvento del Messia, ha rifiutato di credere D . ( ~ ' )

Pertanto, anche nel discorso nella sinagoga di Antiochia, san Paolo esclude l'ignoranza, per rilevare agli ascoltatori: Israele ha realizzato le Scritture profetiche che presentavano il Salvatore, il Messia, paziente, crocifisso, sepolto; morto e risorto, ma ha rifiutato la salvezza che noi oggi vi annunziamo, sperando che non l'abbiate a rifiutare anche voi. San Paolo è soltanto l'eco degli Evangeli: il messo tra le profezie e la sua morte era stato affermato da Gesù (Lc. 18,31; Giou. 19,28; il Risorto ai discepoli di Emmaus, Lc. 24,25-27).

tr. it., ed. Studium, Roma 1957, pp. 38 ss., 67-70. Allo stesso modo, J . RENIÉ, Art. des Ap. (La St. Bible, Pirot-Clamer, X I , l ) , Paris 1949, p. 75.

(m) Boudou, ivi, pp. 287-293 ss. Cf. F. ZORELL, Lex graecum N.T., s.v., per I Cor. 14,38 « sperno D.

(31) È il commento e la traduzione del P. J. HUBY, Epistola ai Romani, (coll. Verbum salutis), ed. Studium, Roma 1961, pp. 310-312, 325, 327.

M. J. LAGRANGE; JUAN LEAL, Nuevo Tesr., I1 (BAC 21 1) Madrid 1962, pp. 270 ss ... ; La Sacra Bzbbia, Garzanti, 1964, p. 2027; A. Vaccari, pp. 2129 ss.. .

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CRISTIANESIMO E GIUDAISMO IN SAN PAOLO

In una delle sue pregiate Conferenze Bibli~he,(~') il Card. E. Ruffini, dopo aver offerto uno schizzo di S. Paolo dall'infanzia, dallo zelante fariseo, feroce persecutore della Chiesa, alla chiamata del Cristo Risorto, fulgido di gloria, a ca. 15 km. da Damasco, al s io ardente apostolato attraverso l'impero, fino alla Spagna remota, ed infine alla seconda prigionia a Roma con il martirio, l'eminente conferenziere presentava in sintesi precisa e documentata l'Evangelo di Paolo rilevandone quindi i parallelismi con l'Evangelo di Gesù.

« L'Evangelo di Paolo, che è il mistero di Dio, il mistero di Cristo, chiamato semplicemente "mistero", non è altro - come è stato detto sopra, p. 203-210 - che la predicazione della redenzione di tutti gli uomini, dei giudei e dei pagani, per Cristo e in Cristo. Questo mistero, nascosto dall'Eternità, l'Apostolo dice che ormai è rivelato e inoltre manifesto a tutte le genti (Rom. 16,25-27; cf. Col. 1,24-27; Ef. 3,l-13). Di esso rivendica a se medesimo una particolare comprensione ricevuta da Dio. Nessuno per altro pensi che gli altri Apostoli abbiano ignorato questa dottrina, la quale certamente appartiene, secondo gli Evangeli, alla predicazione dello stesso Cristo come si vedrà subito. È un'offesa che si reca a Paolo, quando lo si oppone a Cristo, quasi abbia dato un'altra impronta . . . all'insegnamento del Salvatore ». (p. 210).

Un saggio, dalla lettera agli Efesini (1,3-10): « Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale in Cristo.. In lui ci ha scelti, prima della crea- zione del mondo, per trovarci, al suo cospetto, santi e immacolati, nell'amore. Ci ha predestinati a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito del suo volere, a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto. In lui abbiamo la

(") ERNESTO Card. RUFFINI, Conferenze Bibliche, Libt. Editrice Ancora, Roma 1966, pp. 195-218: L'Evangelo di Paolo e I'Evangelo di Gesù Cristo.

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redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia. Dio l'ha abbondantemente riversata su di noi con ogni sapienza e intelligenza, poiché egli ci ha fatto conoscere il mistero del suo volere, il disegno di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra. Nella sua benevolenza lo aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi D.

(Cf. Col. 1,l-23). Nel volume, Gesù e la fine di Gerusalemme - L'Escatologia in san

Paolo, ho rilevato l'eco perfetta delle stesse parole di Gesù sulla incre- dulità dei Giudei e sul castigo, la preannunciata distruzione di Gerusa- lemme, nella prima e seconda lettera di san Paolo ai Tessalonicesi: pp. 161-364.(")

Come quadro introduttivo riporto (p. 164) la vivida narrazione di san Luca (Act. 17,l-9): Paolo, Sila e Timoteo « vennero a Tessalonica, dove i giudei avevano una sinagoga e Paolo, secondo la sua usanza,(%) entrò da loro e per tre sabati ragionò con essi, spiegando e dimostrando con le Scritture che era necessario che il Messia soffrisse e risuscitasse dai morti (le parole di Gesù risorto ai discepoli di Emmaus, Lc. 24,25- 27), e il Messia - egli aggiungeva - è quel Gesù che io vi annunzio S.

Pochi Giudei aderirono, insieme a « un gran numero di proseliti greci e non poche donne delle prime famiglie ». « I Giudei rimasti increduli ... misero sottosopra la città ... ». Trascinano Giasone che ospitava Paolo dai magistrati della città (non avendo potuto trovare san Paolo), con la stessa accusa dei Sinedriti contro Gesù: « Son tutti dei ribelli agli statuti di Cesare proclamando, come fanno, che c'è un altro re, Gesù D.

Paolo fu costretto ad allontanarsi, prima a Berea, poco distante; ma anche lì i Giudei di Tessalonica lo perseguitarono e i fedeli lo fecero partire per Atene.

Dalla la ai Tess. si hanno accenni a sofferenze sopportate a Tessa- lonica da Paolo e dai suoi collaboratori (2,2); ma gli stessi convertiti subirono persecuzioni e violenze (1,6). Persecuzioni che continuarono accanite, aumentarono dopo la partenza degli Apostoli. « Voi, o fratelli, siete divenuti gli emuli delle chiese di Dio, che sono in Giudea, nel Cristo Gesù; ché avete sofferto anche voi, da parte dei vostri compa- trioti, le stesse pene che essi da parte dei Giudei, i quali uccisero il

(33) Istituto Padano Arti Grafiche, Rovigo, 2" ed. 1971. (M) Cosf a Salamina (Act. 13,5), ad Antiochia di Psidia (19,14.42.44): r Era neces-

sario (secondo l'ordine dato da Gesù agli Apostoli: Act. 1,8) che a voi - Giudei - pe; i primi si annunziasse la parola di Dio; ma poiché la respingete ... noi ci rivolgiamo ai Gentili N; 14,l; 16, 12 ss ...

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Signore Gesù e i Profeti, e ferocemente han perseguitato noi; a Dio spiacenti e nemici del genere umano, impedendoci di predicare ai Gentili per salvarli; colmando così sempre più la misura dei loro peccati. Ma l'ira di Dio è ormai su di essi totale e definitiva ». (2,14-16).

Eco letterale delle parole di Gesù: Mt. 23,32.34.36.38 (vedi 1. cit., p. 212-214). E per dare animo ai persegutati, san Paolo, che aveva a voce comunicata la profezia di Gesù sulla distruzione di Gerusalemme, fine della persecuzione giudaica e sviluppo della Chiesa, ritorna su questo argomento nella la Tess. 5'1-11 (vedi citazione letterale da Mt. 24: 1. cit. p. 213 S.) e nella 2" C. 1'7; 2'1-11, sempre da Mt. 24; (pp. 214-217.217-320).(35)

L'odio fanatico dei Giudei rimasti « increduli D, nonostante la fervida testimonianza dell'Apostolo sulla Messianicità di Gesù, suffra- gata dall'esposizione dei vaticini dei profeti, lo seguirà dovunque (cf. l'apologia che S. Paolo fa contro i suoi denigratori, in 2 Cor. 11,22- 12,12), fino al tentativo di ucciderlo, già in atto, all'ingresso dello stesso tempio, nella Pentecoste del 58, quando l'intervento provvidenziale del tribuno Lisia, accorso dalla Torre Antonina, riuscì a strapparlo, appena in tempo, dalle loro mani.

L'Apostolo inoltre doveva vigilare e rintuzzare gli attacchi dei « falsi fratelli » (Gal. 2,4), che recatisi nelle chiese da lui fondate pretendevano imporre ai Gentili convertiti la circoncisione, le altre pratiche della Legge, come necessarie per la salvezza. Si trattava del gruppetto di fanatici farisei, che anche abbracciando il cristianesimo rimanevano tuttora schiavi della loro mentalità ristretta, così bene deli- neata e condannata da Gesù, negli Evangeli.

Infine, c'era nei suoi confronti la diffidenza se non proprio l'osti- lità degli Ebrei « che hanno creduto e sono rimasti zelanti della Legge N. Essi credevano che Paolo insegnasse « l'allontanamento da Mosè agli Ebrei dispersi tra i Gentili a. (Act. 21,17-26).

Qualche mese prima di iniziare dalla Macedonia il viaggio che lo avrebbe portato per la Pentecoste del 58 a Gerusalemme, Paolo cosi scriveva ai fedeli di Roma (Rom. 15'30 ss.): « Ora io vi prego, o fra- telli, per il Signor Nostro Gesù Cristo e per la carità dello Spirito Santo, a lottare meco .con le vostre preghiere a Dio per me, che io

(35) J.B. ORCHARD, in Biblica 19 (1938) 19-42: 1-2 Thess. e gli Evangeli sinottici. E . GTHENET, in Rech. de Science Relig. 42 (1954) 5-39. A pp. 210 ss. del mio libro cit., riporto l'adesione degli esegeti H. A. A. Kennedy, A. Plummer, F. Amiot, G . Rinaldi, K. Staab, nei loro commenti alle lettere ai Tessaionicesi, sulla dipendenza di esse dal- l'Evangelo di san Matteo, C. 24 in particolare.

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sfugga al pericolo degli increduli di Giudea, e che il mio servizio a Gerusalemme possa riuscire accetto ai santi, sicché io venga da voi, se piace a Dio, con il cuore riboccante di gioia e trovi riposo in mezzo a voi. I1 Dio della pace sia con voi tutti. Amen ».

Egli era dunque perfettamente conscio dei pericoli, degli ostacoli che lo attendevano a Gerusalemme: da una parte l'odio dei Giudei « increduli »: una spada di Damocle pendente sul suo capo; dall'altra, incomprensione, l'ostilità tra gli stessi « santi », Giudei convertiti, rima- sti attaccati fuori di misura alle vecchie, avite pratiche del giudaismo. (%)

L'incomprensione concerneva la dottrina sul rapporto tra l'antica e la nuova 4 alleanza », tra la Legge e l'Evangelo, tra la sinagoga e la Chiesa; è il nostro tema: Cristianesimo e Giudaismo.

Cosa ne pensava ed insegnava san Paolo?

Nei mesi invernali tra il 57 e il 58 d.C., san Paolo da Corinto rivolgeva alla comunità cristiana di Roma la lettera che ha negli scritti ispirati del Nuovo Testamento il primo posto dopo gli Evangeli.

Pur rimanendo, quanto alla forma, quanto al genere letterario - come i moderni preferiscono dire -, nel novero delle altre lettere, questa ai Romani si avvicina al trattato dogmatico vero e proprio. Nei primi undici capitoli, svolge infatti ed illustra sistematicamente l'essenza del cristianesimo, la natura e la portata della redenzione, in sé e nei confronti dell'antica rivelazione. Anzi, quest'ultimo punto è il vero oggetto formale della lettera, fissato in maniera lapidaria e definitiva: il cristianesimo, la redenzione operata dal Cristo, compie, completa, assorbe in sé ed eleva tutta l'antica economia.

(3) Per il conflitto con i giudaizzanti, farisei convertiti, 6. M. J. LAGRANGE, Epftre aux Galates, 3" ed., Paris 1926, pp. XXIX-LVII; CL. TRESMONTANT, S. Paul, éd. du Seuil, Paris 1956, pp. 98-125; A. BOUDOU, Atti degli Ap., cit., coll. « Verbum Salutis >p, ed. Studium, Roma 1957, pp. 326-351; G. HOLZNER, L'Apostolo Paolo, 5" ed., Morcelliana, Brescia 1961, pp. 153-173, 342-351.

Per la lettera ai Romani, in particolare i commenti: M. J. LAGRANGE, 4O migliaio, Paris 1931; G. HUBY, coll. « Verbum Salutis >p, ed. Studium, Roma 1961; A. VIARD, u La St. Bible », L. PIROT -A. CLAMER, XI, 2, Paris 1949, pp. 7-159; A. VACCARI, La Sacra Bibbia, A. Salani, Firenze 1961, pp. 2113-2137.

Per il Giudaismo negli Evangeli sono da rilevare i saggi contenuti nella Teologia del Nuovo Testamento, vol. I , La predicazione di Gesù, T ed., tr. it., ad opera di Joachii Jeremias, Paideia, Brescia 1976: La minaccia, pp. 168 ss.; La religiosith che separa da Dio, pp. 172-177; I1 santo resto, pp. 198-205; Gesù e la legge dell'A.T., pp. 235-242; L'afflusso dei popoli, pp. 279-281.

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Abbiamo, nella lettera ai Romani, la soluzione teorica piena, per argomenti e per chiarezza, del problema grave e sostanziale, che si affacciò spontaneo e fu proposto con passione anche violenta dai Giudei convertiti, fin dall'inizio medesimo della predicazione evangelica, della vita della Chiesa: se col Cristo aveva termine la legge mosaica.

Per ben valutare l'entità del problema e la geniale formulazione di Paolo nella nostra lettera è necessario seguirne l'origine, lo sviluppo, con le risposte e l'azione degli Apostoli, principalmente dello stesso san Paolo. I1 presente paragrafo vuole esaurire questo punto di ambien- tazione, esso pertanto è come l'introduzione alla lettera ai Romani, una premessa che la inquadra, ne facilita la comprensione, ne permette una valutazione quanto più adeguata possibile.

* * *

Nel discorso del monte, il divin Redentore aveva proposto con chiarezza il principio e aveva dato alcune esemplificazioni importanti, per la soluzione del problema: il rapporto tra l'antica e la nuova eco- nomia, tra la precedente rivelazione e quella definitiva ch'egli incomin- ciava a fissare, tra il tempio, la legge, la sinagoga e la Chiesa, il regno di Dio ch'egli stabiliva per sempre. I1 principio generale (Mt. 5, 17-20) viene illustrato praticamente con gli esempi che seguono (vv. 21-48); pertanto va ben compreso alla luce di questi.

L'antica alleanza, nella sua triplice fase o determinazione: con Abramo (Gen. 12, 15-17); tramite Mosè al Sinai (Es. 19, 20.24); con David (2 Sam. 7; Ps. 88), era soltanto preparatoria, con termine il Cristo.

Gesù le dà compimento nel suo complesso: dà compimento alla legge morale, inculcandone l'osservanza in tutta la sua purezza e inte- grità; alla legge cerimoniale, trasformandone le figure, i simboli in realtà, dà infine compimento ai profeti, attuandone gl'ideali e verifi- candone in sé le predizioni.

Ecco il principio: « Non sono venuto ad abrogare, ma a portare a compimento D (v. 17), cioè sono venuto a « portare alla perfezione » ( ' P E ~ E L ~ ) Mt. 5,17.

L'antica rivelazione non perde cosi né un iota, né un apice dei suoi elementi costitutivi. « Come uno scriba vigila con cura meticolosa a non tralasciare alcun elemento considerato da lui essenziale ad una buona lettura del Libro Sacro, cosi Iddio prende cura di tutti i germi depositati nella rivelazione. I1 Cristo vi apporta uno sviluppo essenziale e definitivo » (Lagrange).

In tal modo, tutte le prescrizioni, anche le più minute, della legge,

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perfezionate nell'Evangelo, avranno il loro compimento nella Chit cristiana, fino alla fine del mondo (cf. Lc. 16, 17; A. Vaccari).

Una volta posto il principio, Gesù ne trae, ne mette in risalto - a mo' di esemplificazione - alcune applicazioni. La legge interdi- ceva l'omicidio (Es. 20, 13; Deut. 5, 17: è il quinto precetto del decalogo). Gesù non abroga tale prescrizione, ma la supera perfezio- nandola; egli non vuole che si vada neppure in collera: non solo le parole offensive e ingiuriose, ma anche i moti interiori, contrari alla carità possono costituire grave offesa della virtù e degni della pena proporzionata (Mt. 5, 21 ss.).

Non si deve solo perdonare, ma si deve venire a una conciliazione, anche quando non si è dalla parte del torto. . .

La legge mosaica permetteva il divorzio (cf. Deut. 24, 1 ss.); Gesù riporta il matrimonio alla indissolubilità primitiva (cf. Mt. 19, 3-8). La legge proibisce lo spergiuro (Es. 20, 7) ma il vero discepolo del Cristo eviterà anche il giuramento e si limiterà ad affermare il vero. Era in vigore la legge del taglione (Es. 21, 23 ss.); Gesù la abroga e riprova lo spirito di vendetta e di rappresaglia, contrario alla carith evangelica.

I1 principio, posto da Gesù, doveva essere applicato, nella pratica a tutti gli altri aspetti e precetti, anche fondamentali, che costituivano l'essenza stessa della antica religione, rivelata nel Vecchio Testamento, e rimasta, fino al Cristo, norma di vita spirituale, disciplina dei rapporti tra Dio e gli uomini.

Mi limito a due precetti basilari del giudaismo: la circoncisione e la proibizione dei cibi impuri.

La circoncisione costituiva, per tutti i maschi, il rito di iniziazione, la porta d'ingresso per fare parte di Israele, cioè del popolo eletto; per partecipare agli obblighi e ai diritti dell'alleanza. Mediante la circon- cisione compiuta otto giorni dopo la nascita, il bimbo diveniva di diritto e di fatto discendente di Abramo e, quindi, erede delle divine promesse; diveniva di diritto e di fatto, membro del popolo eletto, con gli obblighi e i privilegi, fissati nell'alleanza del Sinai. L'Eterno l'aveva prescritta ad Abramo, per lui e per tutti i suoi discendenti, segno esterno e suggello del rapporto particolare stabilito, mediante la solenne alleanza tra lui stesso e il grande patriarca, padre di tutti i credenti.

Gesù, senza parlare della circoncisione, stabilisce che per entrare nel regno di Dio, nella Chiesa, è necessario aderire alla nuova dottrina, da lui predicata, e ricevere il battesimo: un rito che a differenza di quelli giudaici - circoncisione compresa - non è soltanto un rito

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esterno, ma vero e proprio sacramento, cioè un rito, che per virtù datagli dal Redentore, comunica effettivamente una nuova vita, la vita soprannaturale, partecipazione della vita stessa di Dio, un rito che lava effettivamente l'anima da ogni macchia di peccato; che riproduce realmente all'interno l'azione espressiva compiuta all'esterno.

I Giudei vantavano la circoncisione, era il loro segno distintivo, esprimeva la loro posizione di privilegio, quali detentori della vera religione, quali discendenti di Abramo ed eredi delle divine promesse. La circoncisione era stata comandata da Dio stesso. Essi, per aderire al Cristo, avevano ricevuto il battesimo: ma non era forse necessario per un gentile, per un incirconciso, ricevere prima la circoncisione e, soltanto dopo, il battesimo?

Ecco il grave problema che praticamente avrebbe paralizzato lo sviluppo della Chiesa, e avrebbe legato il cristianesimo alla Sinagoga. Ma oltre questa considerazione pratica, c'era un problema di fondo, di sostanza: sostenere una tale soluzione, era svalutare, sminuire la portata, il significato della Redenzione, non comprendere affatto il rapporto tra il Vecchio e il Nuovo Testamento.

Non si trattava, infatti, di una « giustapposizione », di un abbi- namento, ma, secondo il preciso e chiaro principio enunciato dal Cristo, di « perfezionamento », di completamento che eleva, e, per ciò stesso, assorbe e supplisce, prende il posto.

I1 frutto non si abbina al fiore, ma lo sostiruisce. È la soluzione sancita da Pietro nel « concilio » di Gerusalemme

(Act. 15). Allo stesso modo, il precetto di astenersi dai cibi impuri, aveva

principalmente lo scopo di stabilire una barriera, una netta separazione tra Israele e le genti idolatriche (cf. Leu. 11; Deut. 14, 3-21). Tale segregazione era fortemente sentita ed accentuata al tempo di Gesù; san Paolo la definisce un « muro di separazione » (Ef . 2, 14); esso doveva preservare i Giudei dal pericolo della idolatria, e dal contatto con le Genti, pericoloso per la purezza del monoteismo e dei loro costumi.

Era un grosso intralcio, naturalmente, per la vita stessa della Chiesa primitiva. Si trattava di una mentalità così radicata, che lo stesso san Pietro, per recarsi in casa del centurione Cornelio, il primo pagano da lui battezzato, fu preparato dalla triplice visione celeste, che gli ordinava di mangiare ogni sorta di animali (Act. 10, 28; 11, 3), significandogli così Iddio che !a croce aveva abolito ogni separazione e differenza tra Giudei e Gentili.

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Era l'ordine di Gesù: « Andate, predicate l'Evangelo a tutte le creature, battezzandole nel nome del Padre, del Figliolo e dello Spirito Santo ». Eppure la reazione della comunità cristiana di Gerusalemme, in massima parte costituita da Giudei convertiti, contro il battesimo di Cornelio e l'operato di Pietro, non fu meno viva e risentita. San Pietro dovette spiegare l'ordine e la visione ricevuti dal cielo, narrando l'intervento diretto di Dio; intervento visibile su Cornelio e la sua famiglia, che precedette il loro battesimo (Act. 11).

Ma i Giudei, pur battezzati, specialmente alcuni ex-sacerdoti ed ex-farisei, non riuscivano a superare le loro corte vedute, le loro pre- venzioni; non disarmavano; si piegarono alle parole di Pietro, ma ritennero quell'episodio come una eccezione. Continuarono, infatti, a difendere il loro punto di vista; le prescrizioni della legge devono essere osservate, anche dopo il battesimo. E così, arrivarono a spiare la condotta degli apostoli, sostenendo, con la tenacia che li distingueva, il loro punto di vista, non soltanto in Palestina, ma anche e direi spe- cialmente, nelle comunità cristiane che, rigogliose, incominciavano a formarsi nelle varie città della Siria.

Ci soccorre qui il libro degli Atti, questo prezioso resoconto - sia pure, incompleto - che l'evangelista Luca ci ha donato, sulla nascita e sullo sviluppo della Chiesa, dal giorno della Pentecoste fino al 63 d.C. Nei primi 12 capitoli, è la vita della Chiesa a Gerusalemme, nella Palestina e nelle città di Siria, dal capitolo 13, segue il racconto dei viaggi missionari di Paolo, per il Mediterraneo, fino alla sua prigionia romana. È il cammino del cristianesimo da Gerusalemme a Roma.

Tra le città della Siria, emerse subito Antiochia uno dei grandi centri dell'Impero: vi si formò una comunità fiorente, composta, in maggioranza, da Gentili; e là, per la prima volta, i seguaci della nuova dottrina, furono chiamati « cristiani ». L'instancabile Barnaba lavorò allo sviluppo e al consolidamento di quella cristianità e volle suo colla- boratore Paolo, il grande convertito, allora ritornato nella sua Tarso.

Da Antiochia, Barnaba e Paolo partirono per il loro primo viaggio missionario, che fruttò al cristianesimo Cipro e tutta la regione sud- orientale dell'Asia Minore (45-48). Al loro ritorno, trovarono in sub- buglio la fiorente comunità di Antiochia. Nella loro assenza, vi si erano recati alcuni di quei farisei convertiti, ai quali abbiamo accennato, per obbligare i Gentili che si erano battezzati o che intendevano ricevere il battesimo, a ricevere la circoncisione e ad osservare le altre prescrizioni della legge mosaica.

I due grandi missionari si opposero energicamente a tale pretesa

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ed offrirono il loro esempio, forti degli stessi miracoli operati da Gesù in favore dei Gentili da loro convertiti e battezzati. I capi della Chiesa, per quietare gli animi litigiosi e miopi dei giudaizzanti (come vennero denominati quegli ex-farisei convertiti al crstianesimo, i quali ritenevano ancora in vita e volevano imporre agli altri battezzati la circoncisione e le prescrizioni della legge mosaica), risolsero di mandare le parti a Gerusalemme, per rimettere la questione agli Apostoli.

Paolo e Barnaba vi furono inviati, quali rappresentanti ufficiali della Chiesa di Antiochia e, naturalmente, perorarono la libertà dei Gentili nei confronti della legge mosaica, col valore pieno e definitivo della redenzione.

Paolo, a ragione definito Apostolo delle genti, il quale aveva preso il primo posto durante la missione compiuta a Cipro e nell'Asia minore, primeggiò ancora nelle riunioni che si tennero a Gerusalemme, per la soluzione del primo grave problema, te,orico e pratico, presentatosi alla Chiesa appena ai suoi inizi.

Ci furono tre assemblee: la prima, pubblica, nella quale gli apostoli, presenti a Gerusalemme, accolsero gli invitati; nella seconda, ristretta, gli Apostoli sentirono le opposte tesi; quindi, nella terza, anch'essa pubblica e generale, fu letta la risoluzione solenne, di principio, e furono accettati alcuni suggerimenti pratici, proposti da Giacomo, allora vescovo di Gerusalemme (cugino di Gesù, detto il minore, per distin- guerlo da Giacomo, apostolo e fratello di Giovanni l'evangelista, che era stato ucciso da Erode Agrippa I nel 42).

È il primo concilio: e la soluzione - la prima definizione - è data dal principe degli Apostoli, san Pietro, il quale aveva già parlato, nella assemblea particolare, in favore della libertà dei Gentili dichiarando assolutamente arbitrarie, infondate, inattuabili le pretese dei giudaizzanti, adducendo il suo esempio (conversione e battesimo del centurione Cor- nelio) e particolarmente la volontà di Dio, chiaramente manifestatasi.

Non per nulla tutta l'assemblea tace, appena Pietro ha parlato; e il decreto, che viene inviato alle varie chiese locali, incomincia con la formula solenne: <( Visum est Spiritui Sancto et nobis n: abbiam deciso lo Spirito Santo e Noi, di non imporre nulla delle antiche pre- scrizioni ai Gentili che si convertono. Paolo, con Barnaba e Sila, rientra ad Antiochia, latore della soluzione apostolica. Sant'Agostino, in un caso analogo, si esprimeva con la formula divenuta celebre Roma locuta est, causa finita est »: Roma ha parlato, la causa è finita; Pietro - e con lui e per mezzo di lui, la Chiesa - ha parlato, la questione è finita.

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La comunità di Antiochia esultò. I1 cristianesimo eliminava, almeno nella formulazione solenne, il primo ostacolo sorto sul suo cammino: superava il primo pericolo che avrebbe svuotato, nella teoria e nella pratica, l'opera del Cristo.

Paolo aveva partecipato alla lotta, con tutta l'energia e la decisione che gli provenivano dalla netta coscienza della gravità del pericolo da scongiurare. Egli vedeva chiaro a quali conseguenze teoriche e pratiche avrebbe portato l'errore dei giudaizzanti, lo rileveremo più giù. I1 lettore non si privi del godimento che offrono allo spirito le pagine degli Atti (C. 15) che riferiscono l'episodio del « concilio di Gerusalemme ».

La decisione solenne di Pietro e degli Apostoli presenti a Geru- salemme, non quietò, non convinse i giudaizzanti. La storia si ripete; le passioni, la mentalità non tramontano con .un atto ufficiale, anche se accolto con deferenza, anche se razionalmente ineccepibile. La Chiesa conosce nella sua storia la stranezza dei pervicaci che dopo aver desi- derato, dopo aver reclamato il responso del Supremo Pastore, non trovando tale responso a loro favorevole, si appellano « dal papa male informato », al papa ben informato e, infine, dal papa al concilio . . .

Pietro aveva preso posizione netta e solenne; Giacomo, pur così fedele al Tempio, alla Legge, aveva convalidato, con passi della stessa Sacra Scrittura, la decisione di Pietro; ma Paolo . . .; con la sua elo- quenza, col suo calore, col racconto della sua missione tra i Gentili, aveva, secondo i giudaizzanti, la responsabilità (o, addirittura, la colpa) di quella decisione. E poi, Pietro e Giacomo vivevano ancora da buoni giudei; Pietro, almeno finché stava lì con loro a Gerusalemme; Paolo, invece, predicava ai Gentili, viveva apertamente senza cenno alcuno alla legge e quando parlava ai Giudei, si riferiva al Vecchio Testamento soltanto per dimostrare che Gesù era il vero Messia, preannunziato dai profeti.

Per Paolo, era chiaro che la legge più non contava; giudeo, rabbino, non aveva ritegno alcuno a vivere da gentile, tra i Gentili: accedere alla loro mensa, accettarne l'ospitalità. Per i giudaizzanti più accaniti, Paolo rivestirà quasi la figura del rinnegato; come senz'altro sarà il più odiato e il più odioso degli Apostoli nei confronti dei farisei e dei capi della nazione, che cercheranno accanitamente ogni mezzo per sop- primerlo.

La lotta, pertanto, dopo il concilio di Gerusalemme diventa più subdola, ma non meno tenace, non meno violenta, da parte dei giudaiz- zanti; nonostante il decreto di Gerusalemme, costoro s'infintrano nelle comunità cristiane fondate da Paolo e cercano, con ogni argomento,

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di indurre i convertiti ad abbracciare e a praticare le prescrizioni della legge mosaica.

Due casi sono rimasti celebri : quello verificatosi ancora ad Antio- chia e l'altro che ebbe per teatro la comunità cristana della Galazia (nord-est dell'Asia Minore; con capitale Ankara).

Ne siamo edotti dalla lettera che nel 54 Paolo scrisse ai Galati, da Efeso.

L'episodio di Antiochia (Gal. 2, 11-12) ha avuto nella celebre scuola di Tubingen, alcuni decenni or sono, una ripresa altrettanto clamorosa quanto futile e sbagliata; si volle parlare di opposizione tra Pietro e Paolo, e di una duplice corrente in contrasto, alla cui sintesi, avrebbero lavorato tardivamente gli Atti degli Apostoli. Una ricostru- zione fantastica, che è già troppo aver ricordato.

Poco dopo l'assemblea di Gerusalemme, Pietro pervenne ad Antio- chia, le famiglie si contendono l'onore di ospitarlo, di averlo a pranzo con loro; ed egli accoglie volentieri l'invito di quei Gentili convertiti, dando l'esempio di non tener più in conto le prescrizioni della legge mosaica.

Antiochia festeggia, onora il principe degli apostoli, la comunità gli dimostra la sua esultanza anche per la decisione che ha tutelato la sua libertà nei confronti della legge. E Paolo e Barnaba gioiscono per la presenza di Pietro, nella comunità da loro prediletta.

Ma ecco arrivare da Gerusalemme (quanto zelo!) alcuni « falsi fratelli » - come li chiama san Paolo -, i quali sono venuti a spiare la condotta di Pietro. Essi osano rivolgergli vivaci rimostranze, per questa violazione da parte sua delle prescrizioni mosaiche: non è forse il capo di tutti i battezzati, Giudei e Gentili? Perché, pur essendo giudeo, non dà alcun'importanza alla legge? Si mostrano addolorati e scanda- lizzati. Pietro non ritiene utile una spiegazione: talvolta bisogna aspet- tare che il tempo illumini, apra i nostri occhi; teme di offendere queste coscienze deboli e cieche, e pensa sia meglio, per il momento, evitare ogni occasione di turbamento per questi animi accesi ed offesi. Ritiene pertanto prudente declinare gl'inviti ed, in qualche modo, eclissarsi.

Cioè, richiesto da quei fervidi Gentili convertiti incominciò a decli- nare i loro inviti, facendo di tutto, tuttavia, per non riuscire indelicato: stimò prudente ritrarsi.

Ma giustamente, come osserva un grande esegeta moderno, ciò sarebbe stato possibile a qualunque altro, non a Pietro!

Non soltanto ogni sua parola, ma ogni suo gesto rivestiva, infatti, per i fedeli un significato, un'importanza affatto particolari. Lo esprime

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chiaramente lo stesso san Paolo, quando sottolinea che « gli altri Giudei, vedendo il modo di fare di Pietro, si misero a dissimulare come lui, tanto che perfino Barnaba si lasciò indurre alla loro dissimulazione ». Financo Barnaba, il fiero difensore dei diritti del cristianesimo e dei Gentili, si sente in dovere di adeguare la propria condotta a quella di Pietro; il quale, peraltro, nulla aveva detto in contrasto con quanto aveva decretato a Gerusalemme, anzi fin dall'inizio ad Antiochia aveva praticamente confermato il suo sentimento in tutto concorde con quello di Paolo e di Barnaba.

Se la prudenza di Pietro influiva così sui giudeo-cristiani, l'effetto che essa produsse sui Gentili-convertiti non fu meno sensibile e mani- festò i pratici inconvenienti della pretesa degli ex-farisei. La condotta di Pietro « obbliga i Gentili ad abbracciare le pratiche giudaiche »: è ancora san Paolo che così si esprime. La condotta prudenziale di Pietro esercitava una vera e propria costrizione morale: i Gentili, anziché vedersi separati dal principe degli apostoli, mortificati, preferiscono chinar la testa alle pretese giudaiche.

Perciò, san Paolo, con la franchezza che. gli viene dalla chiara visone del turbamento creato nella comunità dal semplice atto pruden- ziale di Pietro (e probabilmente molti dei Gentili convertiti erano andati a lamentarsi da lui) interviene pubblicamente e dopo aver fatto notare a Pietro come la sua « prudenza » mortificava i Gentili, rivolto a tutta la comunità, ribadisce il principio del definitivo superamento della legge ad opera della redenzione. Non valeva davvero la pena preoccuparsi di cpscienze faziose e farisaiche, rimaste troppo meschine dinanzi alla visuale aperta e grandiosa portata agli uomini dal Cristo Gesù, il rive- latore e supremo legislatore.

Pietro aveva pensato di non urtare alcune menti deboli, ma per- tinaci, nella speranza che il tempo le avrebbe meglio sanate: : una cura energica può talvolta riuscire fatale. Non aveva immaginato che il suo umile e delicato trarsi in disparte, avrebbe tanto addolorato e turbato i buoni convertiti dal paganesimo. Paolo corre ai ripari e ribadisce la dottrina sancita da Pietro a Gerusalemme.

Dall'episodio di Antiochia (Gal. 2, 11 ss.) si può facilmente rilevare come le incidenze pratiche potessero da alcuni essere considerate secon- darie, non tutti riuscivano ad assurgere all'aspetto teorico, fondamen- tale, del grave problema. Alla fine, qual pericolo poteva costituire per la Chiesa nascente l'osservanza delle prescrizioni della legge mosaica? Per lo meno tutti riconoscevano in esse un peso non lieve, e pertanto -in intralcio per tanti pagani ad abbracciare il cristianesimo. Ma c'era

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qualcosa di più raele, di più profondo: una svalutazione dell'opera di Cristo, un'incomprensione sul valore del Vecchio Testamento, e una concezione sbagliata dei rapporti tra la rivelazione precedente e la definitiva apportata dal Cristo.

Lettera ai Galati

Questi aspetti, con gli argomenti che li illustrano, sono in parte discussi nella lettera ai Galati. Erano costoro gli abitanti della Galazia propriamente detta o del nord (Asia Minore: Ankara); san Paolo, subito dopo la permanenza ad Antiochia, nel 50 (il concilio aveva avuto luogo nel 49), partito per un nuovo e più ampio viaggio missio- nario, vi perviene con Sila e Timoteo e deve fermarsi in mezzo a loro più del previsto, per un attacco delle febbri di palude, contratte durante il primo giro apostolico.

L'accoglienza di questi Celti alla predicazione del Vangelo fu dav- vero consolante: i Galati usarono a Paolo ogni sorta di affettuose attenzioni (Gal. 4, 14 ss.) e aderirono al cristianesimo con vero entu- siasmo (Gal. 5,7). Fondata la chiesa, lasciò ben avviata e gerarchicamente funzionante quella nuova comunità, per spingersi alla conquista della Grecia: Filippi, Tessalonica, Atene, Corinto.

Una triste sorpresa doveva putroppo serbargli la comunità della Galazia; all'inizio del terzo viaggio missionario (nel 53 circa) l'Apostolo, come abitualmente faceva per tutte le comunità da lui fondate, passa a visitare quella dei Galati e deve purtroppo constatare che, con grande leggerezza (caratteristica del tipo celtico), i convertiti si erano lasciati abbindolare dai fanatici giudeo-cristiani (i giudaizzanti) ad abbracciare le pratiche del giudaismo quasi necessarie alla salvezza.

Costoro, dunque, persistendo nella loro pervicace propaganda, si erano recati in Galazia dopo la predicazione di Paolo e, per riuscire nel loro intento avevano diffuso delle calunnie sul conto dell'Apostolo; quindi, avevano presentato argomenti che, secondo loro, dimostravano la necessità di praticare le prescrizioni della legge.

San Paolo s'informa, dona le sue direttive ai capi, e appena per- viene ad Efeso (53-54), dove si fermerà circa tre anni, scrive ai Galati confutando ad uno ad uno, energicamente, le accuse e gli errori dei giudaizzanti; è una veemente apologia dottrinale, concisa, alla quale si associa strettamente connessa, la difesa del proprio operato, della propria dignità di apostolo del Cristo Gesù. Sono sei capitoli tesi,

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senza interruzioni, a convincere i Galati del seguente punto importante e decisivo: non rinunziare (e sarebbe da balordi il farlo) alla fede nel Cristo, perché accettare il gioco della legge altro non sarebbe che rinunziare alla grazia e alla salvezza procurataci dal Cristo, mediante la redenzione.

Si vuole - incomincia san Paolo - che i Galati sostituiscano il Vangelo, con una caricatura falsata di esso. Anatema a chi osa predicare una simile contraffazione, contraria alla dottrina trasmessa dall'Apostolo.

Questo dimostra: 1) che l'evangelo da lui predicato è l'unico evangelo autentico; 2) che sarebbe insensato, illogico, aggiungervi la pratica della legge (1, 10 fino al C. 5, 12) è la parte principale, comu- nemente detta « teorica » della lettera; quindi, 3) che l'evangelo è la fonte della virtù (5, 13 - C. 6).

Paolo afferma solennemente la sua qualità di apostolo, conferi- tagli direttamente da Gesù. La sua predicazione diretta ai Gentili, tra- scurando completamente la legge, è del tutto conforme alla predica- zione degli altri apostoli, identico è il loro evangelo, lo prova eloquen- temente il concilio di Gerusalemme e l'episodio di Antiochia.

Gli argomenti addotti dai giudaizzanti, per sostenere le loro pre- tese, sono fallaci, erronei (3 - 5, 12). Era stato detto: il cristianesimo, nuova economia, doveva continuare l'antica, ma non l'abrogava. Esso realizzava le promesse fatte ad Abramo: per partecipare a tale realizza- zione bisognava prima divenire discendenza di Abramo mediante la circoncisione . . .

Prima della risposta diretta, Paolo veementemente richiama ai Galati la loro personale esperienza: essi, aderendo al cristianesimo e ricevuto il battesimo, avevano avuto in pieno la vita cristiana, i beni messianici, i doni dello Spirito Santo - ne erano indicazione precisa, i miracoli, le manifestazioni soprannaturali operatesi esternamente, visi- bilmente in mezzo a loro -, e tutto questo, quando essi non avevano neppure sentito parlare della legge! Evidentemente, dunque, tutto aveva operato in loro la fede cioè la piena adesione alla dottrina di Gesù, pre- dicata da Paolo e accettata, praticata dai Galati (3, 1-5).

In realtà, la stessa alleanza di Dio con Abramo prescindeva dalle opere prescritte poi al Sinai, la stessa circoncisione è segno conchsivo, posteriore alle promesse fatte ad Abramo, le quali sono fatte in premio della fede con cui Abramo risponde alla chiamata di Dio. L'essenziale è l'adesione alla parola di Gesù, predicata dagli apostoli. Le prescrizioni donate al Sinai, rispondevano alla nuova situazione creatasi: le dodici tribù formano una nazione. I1 patto del Sinai non abrogava infatti

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l'alleanza di Dio con Abramo, con le divine promesse, ma regolava, transitoriamente, i rapporti d'Israele, come nazione, verso il suo Dio. « La legge era pedagogo a Cristo ». Quindi, si comprendono, in quel tempo, le prescrzioni che isolavaon Israele dai Gentili, per preservarlo dal pericolo d'idolatria.

Oramai, venuto il Cristo, e convertiti gli stessi Gentili al suo Vangelo, ogni distinzione e separazione non soltanto è abolita, quanto è incompatibile col principio della carità e con la realtà della nostra incorporazione al Cristo. Basta essere innestati al Cristo, mediante il battesimo, per essere discendenti di Abramo ed eredi dei beni a lui promessi.

Dio escluse dalla salvezza la sinagoga e quanti si accaniscono, a favore della legge contro la Chiesa.

Era il commento esatto alle parole profetiche del Cristo: « Molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno alla mensa con Abra- mo e con Giacobbe, e i figli del regno (ai quali il regno era stato pro- messo, i discendenti diretti degli antichi patriarchi) ne saranno esclusi, saran gettati fuori nelle tenebre » (Mt. 8, 11 ss.).

L'efficacia della lettera ai Galati è tutta nel fatto che Paolo si attiene strettamente ai dati ambientali: risponde punto per punto alle calunnie contro di lui, e confuta gli argomenti addotti. In altri termini, si limita a quanto era necessario per ottenere il suo scopo: convincere i Galati dell'errore commesso, e rimetterli sul cammino iniziale di fervore, nella pratica integrale della vita cristiana, nella purezza della fede. I1 carattere stesso di vivace polemica se contribuiva a scuotere, a impressionare, invitava certo ad una esposizione dottrinale ampia e di largo respiro.

In Gal. 4, 22-31 contro l'argomento più forte addotto dai Giudaiz- zanti in favore della continuità della Legge, anche per i cristiani, san Paolo argomenta della S. Scrittura che, nei disegni di Dio, non una ma due erano le « alleanze »: la prima, temporanea, imperfetta (quella del Sinai), quella degli schiavi; la seconda, quella dei figli, i liberi; e che l'imperfetta deve cedere il posto alla definitiva, la più perfetta.

Trae tale argomento dall'episodio di Agar-Ismaele e Sara-Isacco. Tra Sara e la Chiesa c'è questa somiglianza: l'una e l'altra sono madri libere di figli liberi; il giudaismo è una religione di timore, una religione di schiavi, a somiglianza di Agar e dei suoi discendenti. Verificandosi analoghe situazioni storiche, data l'immutabilità della divina Sapienza, Dio agisce allo stesso modo.

Come allora Dio dispose l'allontanamento di Agar, escludendo

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Ismaele dalla eredità, allo stesso modo i Giudei ricalcitranti ed oppo- sitori sono esclusi dalle promesse fatte ai Padri, dalla salvezza, opera del Messia, bene esclusivo della nuova alleanza ». Cf. lettera agli Ebrei 8, 6-13 che riporta integralmente la profezia di Geremia (31, 31-34) sulla << nuova alleanza D e conclude: Dicendo "nuovo patto", ha reso antiquato il primo; ma ciò che è antiquato e si fa vecchio è prossimo a scomparire P; vedi P. A. Vaccari, p. 2207.

Non troviamo nella lettera ai Galati che dei cenni, geniali e precisi, sul rapporto tra l'antica e la nuova Alleanza, tra l'Evangelo e la legge: la esposizione dottrinale sull'argomento, con l'illustrazione dei vari aspetti teologici, l'abbiamo soltanto nella lettera ai Romani.

Lettera a Romani

In realtà, la soluzione del problema pratico sulla obbligatorietà o meno delle prescrizioni mosaiche, anche dopo la risurrezione del Cristo, dipende dalla retta comprensione del rapporto tra la rivelazione del Vecchio Testamento e l'opera realizzata da Gesù, e, in ultima analisi, dalla comprensione della natura della prima e in particolare della essenza e della portata della redenzione.

Che il Vecchio Testamento tendesse al Messia, che tutta l'antica rivelazione preannunziasse il Cristo quale realizzatore del disegno divino di salvezza in favore della umanità decaduta, era palese negli scritti profetici anteriori e posteriori all'esilio, nel libro di Giona (per la universalità della salvezza) e nel libro delle Cronache.

In tutto il giudaismo, l'attesa del Messia era andata aumentando dal I1 sec. a.C., sotto la persecuzione dei Seleucidi, e quindi, dal 63 a.C., con l'arrivo dei Romani e, infine, sotto il crudele e tirannico governo dello idomeo Erode.

Ma queste stesse sfortunate condizioni politiche avevano acceso nei Giudei un rancore, un odio profondo contro i Gentili, attraverso la letteratura apocrifa, influirono sulle loro concezioni in ordine alla persona del Messia e alla sua opera.

Sorse così l'idea di un Messia restauratore della nazione giudaica, trionfatore dei Gentili oppressori e fondatore di un impero, le profezie di Daniele preannunziarono che il regno di Dio si sarebbe stabilito sulle rovine degli imperi precedenti, da quello babilonese a quello greco, e al dominio seleucida; dalla semplice successione cronologica si passò ad assimilarlo ad essi, anche quanto a natura e a costituzione, deducendo quindi le caratteristiche del re-messia.

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Si era formata pertanto la mentalità che, come risulta dai Vangeli, costitul l'ostacolo più forte e il preconcetto più radicato, contro l'inse- gnamento di Gesù.

Non era facile, in tali condizioni, riconoscere il disegno divino preannunziato e preparato in tutto il Vecchio Testamento, ammettere che Israele era stato eletto da Dio per cooperare a questo stesso disegno che doveva offrire, a titolo eguale, la salvezza a tutti gli uomini, senza distinzione. Non era facile, per un fariseo, anche convertito riconoscere che soltanto questo era il privilegio di Israele, non era facile per lui accettare la fine dei superbi sogni di rivincita e di predominio a lungo culla ti.

I l cristianesimo, con la croce come insegna e la carità come unica legge, era la fine ingloriosa del Vecchio Testamento, come negli ultimi due secoli era stato concepito o meglio deformato dai Giudei.

Tutto ciò spiega la tragedia della comunità cristiana dei Giudei di Palestina, dopo il 70: la distruzione del tempio, compimento della gloriosa profezia di Gesù, fu per loro un lutto e non vollero riconoscere in essa la punizione di Dio per la uccisione del Cristo e per la violenta persecuzione contro la Chiesa. La comunità pertanto si scisse: parte rinnegò il cristianesimo; il resto, pur non rientrando nelle file del giudai- smo, volle protestare contro il sentimento comune della Chiesa e si separò da questa: ne risultò un troncone, odiato dai Giudei, considerato - a ragione - scismatico, eretico dalla Chiesa, che vivacchiò fino al I1 sec., per scomparire quindi definitivamente.

Paolo aveva assommato in sé queste varie esperienze; rabbino, si portò con sé in patria il bagaglio culturale e religioso del giudaismo del suo tempo: quando rientrò a Gerusalemme, qualche mese dopo la risurrezione di Gesù e sentì parlare di una setta che proponeva quale Messia un crocifisso, sentì tutto il suo intimo fremere, ribellarsi; senti che era suo dovere, per tutelare la gloria stessa di Dio dalla derisione cui veniva esposta, di troncare sul nascere gli assertori di una simile pazzia. Era semplicemente ridicolo e ancor più blasfemo, identificare il Messia con un condannato alla morte, al supplizio degli schiavi, il Messia che doveva godere della protezione di Iahweh, della potenza stessa di Dio; che doveva schiacciare i suoi nemici e rendere la libertà e la gloria ad Israele. Non era neppure il caso di discutere.

L'apparizione di Damasco svelò a Paolo il mistero della croce e conseguentemente il carattere unicamente spirituale e soprannaturale del disegno divino di salvezza, preannunziato nel Vecchio Testamento e realizzato da Gesù. I1 mistero della croce: solo tramite la sofferenza

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di Gesù, l'amore di Dio redime l'umanità, " bisognava che il Cristo patisse e così entrasse nella sua gloria". Non bisognava infatti fermarsi alla croce; c'era anche la risurrezione. Bastò, per Paolo, la visione del Messia, già da lui disprezzato, schernito perché crocifisso, non solo vivente, ma fulgido di gloria, nelia maestà che gli compete qual Figlio di Dio, per comprendere l'errore in cui aveva brancicato e il crollo dell'impalcatura giudaica; mentre il Vecchio Testamento gli appariva nel SUO vero senso, nella sua vera essenza, e percepiva l'armonia tra le precedenti rivelazioni particolari e quella definitiva.

Tutto era stato preparato in passato per il Cristo; le varie ère si erano susseguite soltanto per questa èra definita iniziata dal Crocifisso- Risorto, la croce e la risurrezione hanno una portata incalcolabile, un valore infinito: il sacrificio della croce assomma e supera di gran lunga e infinitamente, il valore di tutti i sacrifici compiuti nel passato; Gesù ha riparato, una volta per sempre, e in modo definitivo, infinito; tutto il passato, tutta la legge, impallidiscono, svaniscono dinanzi al Cristo, al suo sacrificio, alla sua opera, come i colori dell'alba dinanzi alia fulgida luce del disco solare. E tutta la gloria di Israele, tutta la gran- dezza della legge, sta in questo di essere precursori del Cristo; è la formula, già rilevata nella lettera ai Galati: la legge <( pedagogo a Cristo ».

La loro funzione, naturalmente finisce con la venuta del Cristo; ma essa è tale da consacrare il Vecchio Testamento alla perfetta vene- razione dei fedeli.

<< Paolo, schiavo del Cristo Gesù, per vocazione (divina) apostolo, prescelto (messo a parte) per la predicazione dell'evangelo di Dio - (evangelo) che (Egli) aveva preannunziato nelle Sacre Scritture per mezzo dei suoi profeti e che ha per oggetto il suo Figliolo, nato quanto alla natura umana, dalla stirpe di David, stabilito (immesso) quanto alia natura divina, nella potenza che gli compete come Figlio di Dio, a partire dalla risurrezione da morte, Gesù Cristo Signor nostro; per il quale abbiamo ricevuto la grazia e la missione di sottomettere alla fede, nel suo nome, tutti i Gentili, tra i quali siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo - a quanti siete in Roma, diletti a Dio,, chiamati alla santità: a voi (sia o, auguro) grazia e pace da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo ».

È questo l'esordio della nostra lettera. In esso, con gli abituali, fervidi saluti, con la propria presentazione, troviamo espressa concisa-

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mente una cristologia perfetta, in una sintesi di quanto svolgerà nella lettera.

Gesù, vero Dio e vero uomo, redentore, morto e risorto, è l'oggetto dell'evangelo (la nuova dottrina), cioè del cristianesimo; evangelo che è la realizzazione (ecco il tema essenziale) di quanto Dio aveva prean- nunziato e preparato nel Vecchio Testamento, o, in altri termini, è la realizzazione del piano salvifico formulato da Dio, a beneficio di tutti gli uomini; basta per costoro, abbracciare tale dottrina; aderire all'evangelo, è questo l'atto di " fede " necessario, l'adesione completa, cioè di ciascuno ai precetti di Gesù, alla sua parola.

In questi primi versetti, riscontriamo il nome della capitale del- l'Impero; una delle poche volte che ricorre nel Nuovo Testamento, quasi sempre, altrove, in rapporto ad episodi della vita di Paolo. Questo rabbino, tra i più rabbiosi tradizionalisti prima della conver- sione; questo apostolo dalla grandiosa e geniale attività; fondatore delle Chiese di Filippi, Tessalonica, Corinto, Efeso, centri propulsori di cri- stianità per tutto l'Impero; era cittadino romano, e per anni cullò il disegno di visitare la grande metropoli, cuore e mente del mondo.

Alla comunità di Roma, per l'importanza che le attribuisce, 1'Apo- stolo espone la posizione della nuova religione nei confronti di quella israelita e dell'intera umanità. Composta nella maggior parte di Gentili convertiti, la cristianità romana era la più adatta, per l'ambiente cul- turale vario ed aperto nel centro dell'Impero, ad una precisazione teologica di tanta importanza.

Profondità e sublimità di dottrina, bellezza e solennità di stile s'intrecciano in questa lettera. L'esposizione, pur sempre didattica, posi- tiva, è resa vivacissima dalla forma letteraria, la diatribe cinico-stoica, nella quale l'autore interpella un oppositore ideale, quasi fosse lì pre- sente, in una specie di apparente dialogo; gli mette in bocca le obiezioni, alle quali seguono le vivaci risposte.

Subito dopo l'esordio, Paolo propone formalmente il tema della lettera: « Gesù realizza i disegni della misericordia divina sull'umanità S.

Nell'evangelo si manifesta la giustizia di Dio, con più esattezza, appare chiaramente nell'evangelo la fedeltà di Dio alle sue promesse. In realtà, si tratta qui dell'attributo divino, così spesso celebrato nel Vecchio Testamento e che esprime, prima di tutto, la volontà misericorde di Dio di compiere, di realizzare fedelmente le promesse di salvezza, fatte ad Abramo e rinnovate successivamente al Sinai e a David.

I n altri termini, l'evangelo, cioè la nuova alleanza, realizza l'antico patto, e quindi dimostra la fedeltà di Dio alle promesse in quello for-

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mulate, nonostante le reiterate violazioni da patte di Israele, il contraente umano.

Lo svolgimento del tema segue fino al cap. 11 e questa prima parte vien detta pertanto dogmatica; nei cap. 11-16 vengono tratte le conclusioni pratiche, sempre in ordine alle reali necessità dei destinatari.

Di Cristo incarnato, redentore, si è servito, per trarre il male dal bene, il Dio della rivelazione, che voleva manifestare al mondo la sua bontà. I1 Cristo crocifisso, unica salvezza del mondo peccatore, è infatti l'espressione più eloquente che si possa immaginare dell'amore di Dio per noi.

È stato notato con ragione che l'antitesi è l'anima della dialettica paolina: per far risaltare in tutta la sua forza questo tema positivo, san Paolo gli opporrà il tema negativo della miseria dell'uomo senza Gesù. Di ogni uomo: i Gentili e gli stessi Ebrei. Non si tratta qui di argo- menti metafisici, ma è lo sguardo sulla storia, sulla realtà umana.

1, 18-3, 20. Tutti gli uomini sono nel peccato; hanno bisogno della salvezza. In altri termini, il disegno salvifico di Dio, che non può venir meno o esser fallace, non può dirsi che si realizzi - scrive 1'Apo- stolo -, tra i Gentili, in quanto tali, e neppure nella cerchia, pur cosi beneficata, del popolo d'Israele.

I pagani sono lontani dalla via della salvezza, immersi nei più gravi peccati anche contro natura, perché abbandonati a se stessi da Dio; pena questa della loro idolatria insensata e colpevole, in quanto dal creato potevano e dovevano assurgere al Creatore, all'Essere Supre- mo. Essi, invece, si sono abbassati a deificare delle creature, e hanno soffocato la voce del creato e quella della propria coscienza (o la legge naturale scritta nei nostri cuori; 1, 18-32).

Gli stessi Giudei, che si ergono a inesorabili giudici dei Gentili, sono più colpevoli di loro, nonostante, anzi a motivo, dei molteplici privilegi ricevuti da Dio, anche essi sono tanto lontani dalla via della salvezza (C. 2). (Nessuno sfugge al giudizio di Dio; ognuno vi è trattato secondo la propria condotta; il Gentile a norma della legge della coscienza, il Giudeo a norma della legge positiva donata ad Israele da Dio.

Ecco perché il possesso della legge mosaica è un privilegio che, anziché evitare ai Giudei il giudizio, rende più grande la loro respon- sabilità e quindi la pena; più che averla, importa adempiere la legge. Ora i Giudei (situazione storica, svelata a noi dai Vangeli), che preten- dono di essere guida degli altri uomini, allontanano piuttosto gli altri dalla verità, con la loro rabbiosa insofferenza e ribellione alla luce.

La circoncisione non vale se non come segno della sottomissione

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completa alla volontà di Dio, ai suoi precetti. Pertanto il Gentile che osservi i dettami della legge naturale condanna il Giudeo violatore di tali precetti e divenuto così peggiore di un pagano.

Tale colpevolezza dei Giudei, nonostante i privilegi ricevuti, è confermata dalla stessa Sacra Scrittura (3, 1-20).

La salvezza è offerta a tutti gli uomini da Dio, mediante l'adesione integrale al Cristo (3, 21-31). In Gesù si rivela, in maniera definitiva, la giustizia di Dio, cioè questa sua attività principalmente misericordiosa; Gesù realizza il piano salvifico divino, compie le promesse contenute nell'alleanza con Abramo.

L'adesione piena a Gesù è l'unica condizione sufficiente e necessaria perché ogni uomo, a qualsiasi razza appartenga, si appropri dei benefici reali della redenzione, partecipi di questo dono, elargito così amorevol- mente da Dio. La salvezza è comunicata mediante tale adesione, secondo il mandato dello stesso Gesù. Quindi ogni pretesa giudaica di fare della salvezza un monopolio di razza, o di condizionarla all'osservanza delle prescrizioni legali, si condanna da sé, e attesta d'altra parte come i Giudei fossero perciò stesso lontanissimi dal disegno salvifico divino.

Eppure, fin dagl'inizi, tal disegno era stato annunziato da Dio (C. 4). L'alleanza con Abramo è dovuta ad una iniziativa, affatto gratuita e misericordiosa, di Dio, il quale ascrive a merito del suo eletto l'atto di piena adesione alla divina promessa; e la circoncisione viene soltanto posteriormente e come espressione esterna del patto sancito. Era evi- dente pertanto che la salvezza fosse completamente indipendente dalle opere legali, incominciando dalla stessa circoncisione; che la salvezza- giustificazione fosse un dono assolutamente gratuito di Dio; e destinato a tutti gli uomini: si parla di benedizione che, da Abramo, si estenderà a tutti i popoli della terra.

Ora la legge, donata al Sinai, era una adattazione parziale e tem- poranea, dell'antica alleanza, ad una nuova condizione storico-sociale: il sorgere della nazione israelitica. La legge, prescindendo dalla fede, moltiplica le trasgressioni, con la moltiplicazione dei precetti, appe- santisce il clima spirituale. Essa non poteva sostituire il regime &l- l'adesione interna (=fede) o il regime della grazia, come un adattamento secondario e temporaneo non sostituisce la norma perfetta ed eterna.

I1 Cristo realizza perfettamente l'alleanza di Dio con Abramo, cioè il piano salvifico cui tutta la storia e tutta la rivelazione era diretta, annullando pertanto l'adattamento temporaneo: quelle leggi, ad esempio, che circondavano Israele per impedirgli di contrarre, con i contatti con loro, l'idolatria delle altre genti.

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5, 1-11. L'umanità è ora, ad opera del Redentore, in pace con Dio: oggetto del suo beneplacito, come gli angeli han cantato alla nascita di Gesù (Lc. 2, 14), e non più oggetto della sua collera ( E f . 2,3); il godimento di questo dono fluisce per il cristiano dal possesso delle virtù teologali: la fede; la speranza che dà una sicura gioia, irrobustita sempre più dalla pazienza, da una fedeltà che supera ogni prova; la carità. L'amore che è in Do, è ora diffuso nel cuore del cristiano dallo Spirito Santo che abita in lui. Se Dio, infatti, ci ha amato mentre era- vamo dei peccatori, mandandoci il suo Figliolo, siamo certi che ci elargisce ogni bene e la gloria eterna, ora che siamo riconciliati con lui, dal nostro Mediatore, Gesù Cristo.

In realtà (5, 12-21), la redenzione ha ricondotto gli uomini allo stato di figli di Dio, liberandoli dalla schiavitù del peccato, abolendo il regno della morte. Peccato e morte, universali per la disobbedienza di Adamo; grazia e vita universali, cioè a tutti offerte e possibili, purché lo vogliamo, per l'obbedienza redentrice del Cristo. I primi fluivano dalla solidarietà naturale di tutti gli uomini col loro capostipite, la grazia e la vita sono effetto della volontaria solidarietà nostra col nuovo capostipite della rinnovata umanità. Solo che l'efficacia della redenzione è infinitamente superiore a quella del primo peccato. « Se, per il peccato di un solo, la morte regnò universale, molto più quelli che ricevono l'abbondanza della grazia e il dono della salvezza regneranno nella vita, per il solo Gesù Cristo ». « Dove abbondò il peccato sovrabbondò la grazia ».

6. La vita cristiana ha infatti inizio ed unico sostentamento nell'unione intima con Gesù (cf. Gv. 15, 1-11: « I o sono la vita e voi i tralci »). L'innesto al Cristo avviene nel battesimo: imitazione della morte e della risurrezione di Gesù, che è pertanto causa efficiente ed esemplare della nostra salvezza. Come il Cristo è morto ed è risorto, così ogni uomo, per ricevere la vita, deve morire e risorgere: morire al peccato, alla mentalità del passato, risorgere alla nuova vita sopran- naturale recataci da Gesù (fede, speranza, carità). L'immersione nel- l'acqua rappresenta misticamente questa morte, e l'uscita da essa, com- piuto il rito battesimale, rappresenta l'inizio di questa nuova vita, già conferita all'anima dal sacramento ricevuto. I1 cristiano deve quindi rendere perenne questa Pasqua, questo passaggio dalla morte alla vita come unica e perenne è la gloria del Risorto. Innestati a Cristo, for- marono con lui un sol corpo; devono pertanto esserne membra sante; il peccato non deve mai più regnare su di loro.

7. La redenzione oltre che dal peccato, ci ha liberati dal regime

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della legge. Questa, come tale, è un elenco di proibizioni e di condi- zionate condanne; qualcosa che dall'esterno esercita una costrizione e nient'altro. Qualsiasi proibizione, per quanto buona e santa, provoca nella volontà un sentimento di reazione, accompagnato dalla curiosità di avere l'esperienza del male. Ne è un esempio la disobbedienza del primo uomo; egli era innocente, perfetto, ricevuto da Dio l'ordine, miseramente cadde. I1 male, sinistra potenza personificata, piglia occa- sione del precetto divino, e uccide la vita, l'amicizia con Dio. Questa prava disposizione permane nell'uomo anche dopo il battesimo, la con- cupiscenza è connaturale al nostro essere mortale, e spesso si sente violenta la lotta tra essa e il santo dettame della ragione, tra l'istinto del male e i dettami della coscienza. Ma la vittoria ormai è offerta all'umanità, mediante Gesù redentore; egli ha inaugurato il regime della grazia, e tutto possiamo in lui.

8. Egli ci ha affrancati dal vecchio sistema della legge: e ci ha conferito questa forza intima, che quella non poteva dare.

Ma la redenzione non limita i suoi effetti alla nostra anima; essa opera anche la trasformazione dello stesso corpo, riportando davvero l'umanità decaduta alla gloria primitiva, a quello stato cui Dio l'aveva innalzata, appena creata, e da cui decadde col peccato. Restituzione integrale: davvero « nuova creazione N.

Questa glorificazione del nostro corpo avrà luogo aila fine, con la risurrezione universale, ma è sicurissima. I cristiani ne hanno la certezza, per la presenza dello Spirito Santo in ciascuno di loro, per la loro qualità di figli ed eredi di Dio, e di coeredi di Cristo, soffrendo con lui per esser glorificati con lui; per la unanime aspirazione delle creature: esse per voler di Dio furono sottomesse all'uomo che doveva rappresentarle presso Dio, raccogliendo e formulando le loro voci indi- stinte di lode all'Eterno. Dopo la ribellione dell'uomo, le creature ge- mono per questa situazione anormale: il loro rappresentante contrasta con la disposizione divina, e sospirano il momento in cui con la glori- ficazione di tutto l'uomo vedranno ristabilito adeguatamente l'ordine originario, la meravigliosa armonia dell'universo.

Certezza, principalmente, per il grande e immutabile disegno di Dio; egli vuole che Gesù risorto abbia una immensa schiera di fedeli, col corpo glorioso come il suo. E a tale scopo, da tutta l'eternità, è pronta per ciascun cristiano una catena di grazie, che va dalla chiamata (mediante il battesimo) alla giustificazione e alla glorificazione: spetta al battezzato di non interromperla con il peccato. E, infine, la carità immutabile di Dio, per noi manifestatasi nella morte redentrice del

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Cristo. Niente può da essa separarci, nulla e nessuno, basta che noi lo vogliamo.

9.-11. San Paolo ha esaurito il tema: la nuova economia e il compimento dell'antica alleanza. Ma c'è un fatto che sembra contrastare tale conclusione: i Giudei, l'Israele delle promesse, il contraente del patto, come gruppo, rimane fuori della salvezza. Come dunque la reden- zione realizza il disegno salvifico divino, se da essa rimane escluso proprio Israele al quale le promesse erano dirette? (9, 1-5).

I1 disegno divino (9, 16-29) non è stato modificato. In realtà, l'Israele destinato ad essere il beneficiario delle promesse, il « seme » non è tutta la discendenza carnale di Abramo-Giacobbe. La salvezza non poteva essere un privilegio di semplice fattore razziale: su questo punto ritorno spesso Gesù nel suo insegnamento (cf. Gv. 3,3; v. discorso del monte; le parabole del lago; ecc.), e lo stesso precursore (cf. Mt. 3,9). Ma è un dono gratuito, che diventa nostro se corrispondiamo. Basti ricordare come dei figli di Abramo, il solo Isacco è erede dei doni divini, per una libera scelta dell'Eterno. Unica causa è la benevo- lenza divina. Prova ancor più decisiva, l'esempio di Esaù e Giacobbe, addirittura gemelli; considerati non in quanto individui, ma come capi rappresentanti di due popoli: Edom e Israele, Ebbene, solo per libera scelta divina, Giacobbe-Israele diviene l'erede delle promesse.

Si tratta di « popoli », l'uno scelto per una missione, a preferenza dell'altro (anche Mal. 1,2 ss.) - e sempre per dimostrate che il fattore razziale non è determinante nell'azione di Dio, - senza nessun accenno al problema della salvezza eterna. È un deplorevole abuso mettere qui in questione tale problema e, peggio ancora, applicare le parole di san Paolo alla sorte eterna del singolo. La vocazione al cristianesimo dipende dunque dalla libera scelta divina, e già alle origini, il piano salvifico era universale per destinazione (san Paolo cita in tal senso le due profezie 0s. 2,23 ss.; 10, 22 ss., preannunzianti la conversione dei Gentili). Dio estendeva la sua misericordia, il suo dono munifico a tutte le genti, che ubbidendo alla parola del Cristo, divenivano « stirpe » del fedele Abramo, innestati all'ulivo secolare, mentre l'Israele secondo la carne, con la sua ribellione, si escludeva dal piano divino.

I Giudei si trovano dunque fuori per la propria colpa (9, 30-c.11). Essi hanno misconosciuto la natura del piano divino, la condotta di Dio, fondando la loro pretesa sul fattore razziale, sulle osservanze legali. Que- ste fluivano invece dal carattere temporaneo e preparatorio dal patto del Sinai; né potevano giustificare. Ora essi si illusero che bastasse esser Giu- dei di razza e osservare tali prescrizioni per aver pieno diritto alla salvezza.

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All'alternativa posta da Gesù tra la concezone spirituale del regno -

di Dio, con una giustizia intima, e la concezione temporale-razziale, con una giustizia secondo la legge, i Giudei tenacemente restarono con la seconda contro Gesù (10, 5-13). E si rifiutarono di credere all'Evan- gelo (10, 14-21).

Dio ha realizzato l'antica alleanza, nonostante le continue infedeltà di Israele, esse servirono solo a mettere in luce ancora più forte la sua infnita longanimità e misericordia! Adesso la resistenza, l'opposi- zione dei Giudei all'opera redentrice, favorisce la conversione dei Gentili! Rientra dunque anch'essa, pur conservando tutta la sua colpevole mal- vagità, nei disegni divini. Tale opposizione è però temporanea: anche Israele, come insieme etnico, si convertirà: entrerà nell'unico ovile, fuor del quale non c'è salvezza (C. 11). Così la storia del mondo, attra- versata da un capo all'altro dal peccato dell'uomo che si allontana dal suo Dio, sarà attraversata egualmente da un capo all'altro dall'azione della misericordia divina, che va a cercare, fino al fondo della loro sventura morale, individui e collettività per ricondurli a lui sul cam- mino della vita e della felicità.

Era questa l'essenza del cristianesimo nella esposizione ispirata dell'apostolo Paolo in perfetta rispondenza con le parole e l'opera di Gesù N. S. conservateci nei quattro Evangeli.

Legge aurea per l'intelligenza del testo - e in particolare per un testo che offra notevoli difficoltà, come Rom. 9-1 1 (") - è spie- garlo alla luce del contesto prossimo e remoto; nel nostro caso Gal.; Rom. 1-8; 2 Cor. 3,4-18; la storia dell'alleanza, specialmente nei libri profetici (Amos; Isaia; Geremia; Ezechiele: quando ne illustrano le caratterstiche, dalla libera elezione da parte di Dio, alla rottura del patto, col castigo e nello stesso tempo la sua durata indefinita; il com- pimento, nonostante l'infedeltà del contraente umano, del disegno divino di salvezza, ad opera della misericordia e della onnipotenza divina).(%)

(3') Per I'esegesi di Rom. 9-11, vedi ancora P.F. PRAT, La théologie de S. Paul, I , G . Beauchesne, Paris 1908, pp. 353-369. « Si tratta di tre capitoli di una oscurità prover- biale n. Ed ammonisce: Non c'è forse nella Scrittura una pagina in cui sarebbe peri- colosissimo perdere di vista il pensiero d'insieme, esagerando la portata dei dettagli, come in questi capitoli W (p. 353).

(%) Per il concetto di alleanza, cf. inoltre: BRUNO BALSCHEIT, L'Alliance de Grace, Neuchatel, Paris 1947; e principalmente A. NEHER, Amos. Contribution à l'étude du prophétisme, Paris 1950, pp. 34-48, 151.

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Già J. Behm - come abbiamo visto - alla voce diathéke nel Th. W. z. N.T., rilevava come l'esatto concetto di a alleanza » è una arma nelle mani di san Paolo per dimostrare la superiorità del Cristia- nesimo sul Giudaismo: un'unica volontà divina, nell'antica e nuova alleanza, guida la storia della salvezza e trova il suo compimento definitivo in Cristo, il quale è del pari télos nòmu (Rom. 10,4) e adem- pimento di ogni promessa (2 Cor. 1,20). Fratelli, il voto del mio cuore e la mia preghiera per loro (i Giudei increduli) è che si convertino e si salvino. Certo io rendo loro testimonianza che hanno zelo per Dio, ma è zelo non illuminato ». L'Apostolo forse riflette qui la sua espe- rienza personale, prima della conversone; zelo non illuminato, essendo essi fuori strada, ricusando di sottomettersi a Dio con la fede. Un velo copre i loro occhi per non intendere la Legge e i Profeti. Infatti, - continua l'Apostolo - misconoscendo la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria (basata sull'osservanza esterna delle opere della Legge), non si sottomisero alla giustizia di Dio, poiché il termine della Legge è Cristo, a giustificazione di chiunque crede ». Rom. 10, 1-4.

E incidentalmente nella 2" Cor. 1,20 san Paolo afferma che in Gesù Cristo si sono verificate tutte le profezie e promesse messianiche: a tutte quante le promesse di Dio ». È il tema sviluppato nei cc. 1-8 della nostra lettera ai Romani: Gesù, termine dell'alleanza con Abramo, nella specificazione e precisione dell'Alleanza con David, con l'aspetto temporaneo dell'alleanza del Sinai: la Legge padagogo a Cristo.

Dio in Gesù, l'atteso e promesso Messia, manifesta la sua fedeltà all'alleanza formulata con Israele, compiendo le sue promesse, rilevate spesso e così charamente nei vaticini dei vari profeti. Abbiamo trascritto per intero il prologo della lettera: Rom. 1, 1-6 e v. 17.

Purtroppo, Israele, i Giudei, a figli del regno D come li chiama Gesù, perché ad essi erano state fatte le promesse messianiche, e costi- tuivano il contraente umano dell'alleanza, si trovano esclusi dal convito, a a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe », dove invece si assidono i Gentili (Mt. 8, 11-12).

È il tema dell'incredulità dei Giudei, svolto nei cc. 9-11, come soluzone della obiezione alla tesi dimostrata nei capitoli precedenti Rom. 1-8: - come può dire l'Apostolo che Gesù il Cristo realizza l'alleanza con Israele, quando proprio Israele rimane fuori << nelle te- nebre », escluso dalla salvezza?

Un problema analogo si presentò in occasione della rottura del- l'alleanza, prima con la distruzione di Samaria, con la fine del regno sèttentrionale - le dodici tribù del nord -, e la deportazione dei super-

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stiti: nei profeti, Amos, Osea: quindi, e principalmente, con la distru- zione di Gerusalemme e la fine del regno di Giuda, con l'esilio dei superstiti: in Isaia, Geremia, Ezechiele, il teologo della bEtrit.

I profeti lo risolvono rilevando le varie caratteristiche dell'alleanza: libera elezione da parte di Dio; precetti morali e monoteismo, essenza del patto, infedeltà del contraente umano; sanzione, Ex. 20,4 S.; fedeltà, misericordia ed onnipotenza di Dio che nel castigo ii riserva un resto », col quale realizza il suo dsegno di salvezza, termine ultimo dell'alleanza, che diventa, col a nuovo patto D, eterna.

Per l'elezione e la libera scelta: Amos 3, 1 S. << Ascoltate, figli d'Israele . . . Voi siete i soli che scelsi con amore tra tutte le famiglie o stirpi della terra; perciò vi chiederò conto di tutte le vostre iniquità D. I1 profeta denuncia le trasgressioni d'Israele (2, 6-8), nonostante tutti i benefici di Dio, derivanti dall'elezione e dall'alleanza (2, 9-1 1); prean- nunzia il castigo (2, 13-16). E alla fine conchiude (9, 7-15): Israele, infedele all'alleanza, non può più contare alcun privilegio. Rientra nel novero delle altre nazioni, che, tutte dipendono egualmente da Iahweh, il quale ne dirige gli eventi. Tutti i popoli, come tutti gli uomini, sono eguali dinanzi a Dio, che di tutti dispone. (Rom. 2-3 requisitoria contro i Giudei).

Rinunciate alla vostra missione, ribellatevi ai legami dell'alleanza, siate come gli altri, come i Kusciti, come gli elementi determinati della natura, non cesserete mai di appartenermi! Tutto nfatti mi è sotto- messo e anche i Kusciti sono mie creature ». (A. Neher).

V. 7 << Non appartenete a me, come i Kusciti, o figli d'Israele? Oracolo di Iahweh. Non ho fatto salire Israele dall'Egitto, i Filistei da Kaftor e gli Aramei da Q&? * Per la vostra infedeltà, siete fuori della alleanza, avete perduto ogni diritto al mio affetto speciale; mi apparte- nete come mi appartengono i Kusciti e le altre genti.

Per questo (v. 8) il regno del nord, il regno peccatore sarà sterminato dalla faccia della terra. Ma a la casa di Giacobbe n, cioè la stirpe israelitica, non scomparirà. L'alleanza del Sinai legava a Iahweh le dodici tribù d'Israele, in un solo popoIo, in una sola nazione. Alla scissione in due tronconi, quello di Samaria fu avviato, per motivi politici, alla rottura dell'alleanza. Amos ne denunzia l'avvenuta violazione e profetizza la sanzione e distruzione di Samaria, fine del regno set- tentrionale.

Rimaneva il regno di Giuda. Amos ha già vaticinato per esso un eguale castigo: Per tre crimini di Giuda e per quattro non ammetto revoca. Perché han rigettato la legge di Iahweh . . . e si sono lasciati

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sviare dai loro numi, scatenerò dal fuoco contro Giuda che divorerà i palazzi di Gerusalemme B (2,4 S.). Adesso però (vv. 1 1-15) specifica che di esso un resto » sopravviverà; e da esso, parificato, Iahweh farà risorgere il nuovo Israele (scomparsa finalmente ogni scissione); la nuova teocrazia che realizzerà i termini dell'alleanza e che sarà assor- bita ed elevata dal regno del Messia. 11 disegno divino di salvezza avrà il suo compimento, nonostante l'infedeltà del contraente umano. Giuda pertanto non può sparire; è questa la forza della profezia di Natan, dell'alleanza di Iahweh con David (2 Sam. 7; 1s. 7.14 S.).(^^)

Le stesse idee in Osea, che sviluppa il tema centrale dell'alleanza, sotto l'immagine del matrimonio: tra la nazione e Iahweh (1-3); cf. Ex. 20.5: io sono un Dio geloso . . . E sotto l'allegoria dell'adultera, Ezechiele riprende e sviluppa questa immagine per trattare e risolvere, in modo sistematico, il problema della rottura dell'alleanza, con la fine del regno di Giuda, l'unico superstite erede delle promesse; la distruzione di Gerusalemme con la fine del culto, e la dispersione dei superstiti: in particolare nel C. 16 e ancora cc. 20. 23 . . .

In perfetta sintonia con l'insegnamento del contemporaneo Gere- mia, che profetizza e soffre in Gerusalemme assediata, Ezechiele è in Babilonia tra gli esuli del 597, chiamato da Dio per svolgere in mezzo a loro il suo ministero, per prepararli e convertirli, essendo scelti da Dio a costituire il nucleo del resto B, che ritornerà dall'esilio, per ricostituire la rinata teocrazia, preparazione immediata alla venuta del Messia, il futuro Redentore, termine e compimento dell'alleanza con Israele ed autore della << nuova alleanza D, del 4< patto perpetuo »: secondo i testi di Isaia, Geremia, Ezechiele.(*)

L'elezione d'Israele: libera scelta da parte di Dio: Ex. 16, 3-14; 20, 5-7. Infedeltà dell'eletto, sua condotta prava: 16, 15-34; 20, 8-29; 23 più colpevole di Samaria . . .; lambrusca solo atta al fuoco: 15 . . . Sovrana giustizia di Dio nel castigo, sanzione dell'alleanza: 16, 35- 52; 18 . . .

La fine della nazione portava seco la rottura del patto del Sinai, che sembrava infrangersi definitivamente, col fallimento di tutti i dise-

(39) J. TOUZARD, Le I v r e dlAmos, 2" ed., Paris 1909: ottimo commento. A. NEHER, Amos, Paris 1950. G. RINALDI, I Profeti minori, Amos, ed. Marietti, Torino 1953 da p. 130 in poi. Nel nostro volume, I Profeti, (I1 Libro Sacro, 2), Padova 1965: il mes- saggio profetico, pp. 26-30. Amos, pp. 35-62. E continuando, c'è la presentazione della dottrina di tutti gli altri profeti.

(40) F. SPADAFORA, Ezechiele, (La Sacra Bibbia, dir. S. Garofalo, vol. VI11 (2), ed. Marietti, Torino-Roma 1951, p. 357.

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gni divini. Ezechiele invece spiega agli esuli il vero carattere di tale rottura; essa è necessaria per la santità di Dio (celebrata, messa parti- colarmente in risalto da Isaia, in tutto il suo libro dall'appellativo carat- teristico di Iahweh 4< il Santo d'Israele ») tanto vilipesa, anche agli occhi delle genti. La rottura del patto, però, sarà solo temporanea: l'esilio opererà la purificazione del resto » (gli esuli del 597: Ez. 11, 13-20), che ritornerà per la Misericordia e I'Onnipotenza (C. 37) di Iahweh, e l'opera del suo profeta. Gli esuli, così purificati, ritorne- ranno e sarà attuata con fedeltà l'alleanza, per essere finalmente tra- sformata ed elevata dal Messia, in « patto perpetuo » (16, 53-63 e tutta la seconda parte di Ez.: cc. 34-48).

La salvezza di a un resto D è affermata ripetutamente da Isaia, che chiama un suo figlio sce-ar iasciub (7'3) un resto ritornerà », nella reiterata predizione della fine di Giuda-Gerusalemme ad opera dei Caldei, con l'esilio dei superstiti; cf. 10,21. Ma già la promessa della salvezza a un resto » è rivolta ad Elia da Iahweh: 1 Re 19'18 (e Rom. 11,l-4).

San Paolo in Rom. 9-11 tratta lo stesso problema: l'incredulità dei Giudei, i partner, per dir così, dell'alleanza, che rimangono esclusi dalla salvezza.

Posto il problema: come mai Israele, con i suoi privilegi, rimane fuori, l'Apostolo risponde: la realizzazione delle promesse divine si ha nei Giudei credenti in Cristo: essi sono « il resto », anche questa volta, che Dio liberamente si è scelto.

Dio è fedele pertanto alle sue promesse: le ha adempiute in Cristo Gesù. L'Israele incredulone è escluso, per la sua ostinazione ritenendosi giusto, per l'osservanza esterna dei precetti della Legge.

I1 Signore ha permesso questa ostinazione, per favorire l'ingresso in massa dei Gentili nel regno di Dio.

Come Isaia esalta la santità di Dio ed Ezechiele ne difende la sovrana Giustizia (cc. 16.18), così san Paolo incomincia con affermare e difendere con calore la fedeltà di Dio alle promesse dell'alleanza (C. 9, 6-13), e la sua Giustizia (9, 14-29).

Dio compie con Gesù l'alleanza con Abramo, perché discendenti di Abramo, eredi delle promesse, sono soltanto quelli che Dio libera- mente, gratuitamente ha eletto: è il caso del solo Isacco; di Giacobbe ... Così era « il resto D, che il Signore si è riservato: i Giudei, cioè, credenti in Gesù, che formano il nucleo della Chiesa nascente.

i( Ha forse Dio rigettato il suo popolo? » l'Israele dell'alleanza, erede delle promesse. Certamente, no. Anch'io sono israelita, della

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stirpe di Abramo, della tribtì di Beniamino. Dio non ha rigettato il suo popolo, che Egli come tale prescelse. O non sapete che cosa dice la Scrittura nella storia di Elia, come egli interviene presso Dio contro Israele?: O Signore hanno ucciso i tuoi profeti. . . Ma che gli risponde la parola divina? Mi sono riservato settemila uomini, che non bannb piegato il ginocchio a Baal ». Allo stesso modo anche nel tempo presente per elezione gratuita di Dio c'è un resto. E ciò è avvenuto per grazia, non per le opere (della Legge). Non tutto Israele ha conseguito quanto ricerca, ma lo ha conseguito la parte eletta; i rimanenti invece si sono induriti (e i Giudei sono responsabili in pieno della loro riprovazione: 9,30-10,21), secondo che sta scritto: u Dio ha dato loro uno spirito di stordimento, occhi per non vedere, orecchi per non sentire, fino al giorno d'oggi ». E Davide dice: u La loro mensa diventi per essi un laccio e una rete. . . >> (11,l-10).

I1 P. Huby commenta quest'ultima citazione dal Salmo 69 (68), 23-24: a Si potrebbe vedere nella mensa il simbolo dei beni religiosi: S. Scrittura, ecc., il cui possesso era per gli Ebrei fonte di gioia e che ora si risolve a loro condanna. I1 giudaismo, poiché non mette capo a Cristo, è per i Giudei un'insidia, una trappola, e come persone che, cadute in un trabocchetto, si ritroverebbero in un sotterraneo, essi camminano a tentoni e avanzano, colla schiena curva, nelle tenebre ».

Israele s'è urtato contro Gesù, come contro una pietra d'inciampo (9,32); è caduto. E la salvezza, conseguentemente è venuta ai Gentili, u per rendere gli Ebrei gelosi u ( 1 1 , l l ) .

I1 P. Huby continua (p. 337): <4 La caduta d'Israele, favorendo la conversione dei Gentili, poteva anche essere, indirettamente, per gli Ebrei occasione di salvezza. Vedono ora passare ad altri tutti i privilegi di cui si gloriayano come di un monopolio spirituale e religioso. I pa- gani convertiti al cristianesimo risalgono al Dio d'Abramo, di Isacco e di Giacobbe e si dicono il vero Israele; si servono della Scrittura come di un bene proprio, del quale hanno solo essi la piena compren- sione . . . Non c'è di che suscitare la gelosia degli Ebrei? Perché questa emulazione diventi salutare, è necessario che si cambi non in ira cieca, ma in riflessione lucida e che gli Ebrei si chiedano se il cristianesimo non sia il vero erede della religione d'Israele, se non si dentifichi con quel regno di Dio che h a n n ~ desiderato i santi del Vecchio Testamento. San Paolo conosce il suo popolo, sa quanto ardore e zelo conservi nel suo smarrimento (9,30 S.; 10,2 S.; 1 1,7); quali frutti non produrrebbe la sua conversione, non solo per sé, ma anche per i Gentili? (11,12) ».

È la profezia di Ezechiele, in particolare, C. 16,53-63. Vedi il mio

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commento: a Dopo l'empietà e il castigo delle tre sorelle (Sodoma, Sa- maria, Gerusalemme: 26,44-52), il profeta parla della restaurazione futura, opera del Messia. Annunzia l'universalità della salute. I1 patto eterno (v. 60) verrà sancito col nuovo Israele, 1'Israel Dei (Gal. 6,16) ed abbraccerà, senza distinzione, Giudei e non Giudei, tutta l'umanità. Anche i Gentili (qui rappresentati da Sodoma e Samaria) ritorneranno allo stato di prima (v. 55) cioè, ritorneranno a riconoscere e a venerare un solo Dio, come avevano fatto nei tempi più remoti (6. v. 45; Ger. 48,47) ».

v. 60 a l o mi ricorderò del patto stretto con te, al tempo della tua giovinezza (cf. 16,6-14) e ne farò con te uno perpetuo. Allora ri- penserai alla tua condotta e ne sentirai vergogna quando, accolte le tue sorelle te le darò come figlie, e non per il patto stretto con te ».

a La restaurazione messianica attua i piani della divina miseri- cordia di cui è dono (Leu. 26,42-46). L'infedeltà degli uomini non ha potere di farli mutare (come riafferma san Paolo, nella requisitoria contro i Giudei, Rom. 3,3). Per il patto perpetuo, cf. 0 s . 2,19-24 e specialmente Ger. 31,31 ss.; perpetuo, perché impresso nei cuori e non semplicemente esterno; non subirà perciò pause o interruzioni come l'antico. Esso (v. 61) abbraccerà tutte le genti (v. 53.55) che avranno per madre Gerusalemme. (Ps. 87,4 ss.; 1s. 2,3; 60,) ss.; 66'8 ss. . . .), la Chiesa: Gal. 4,26 S. La massa dei Giudei che ne faranno parte (a il resto >> che aderirà al Cristo), sentiranno l'onta della passata condotta.

I1 profeta, pur non negando a Gerusalemme una certa preminenza (V. 56), insiste specialmente sulla completa eguaglianza, che allora esi- sterà tra lei e le altre parti. Eguaglianza, che dati i privilegi di un tempo, le riuscirà umiliante e perciò sarà per lei un mezzo di espiazione per tutta l'empietà del passato. È la dottrina che svolge san Paolo nella lettera ai Romani 1,16-3,20; 9-11 (p. 137 ss.). Per la conver- sione dei Gentili, in perfetta eguaglianza con Israele; vedi Is. 19, 18-25 . . . « In quel tempo, Israele, terzo con Egitto ed Assiria, sarà una benedizione in mezzo alla terra p>: Gerusalemme sullo stesso piano delle Genti nella restaurazione messianica. È quello che ha vigorosa- mente dimostrato san Paolo nella sua requisitoria contro i Giudei: Rom. 3,9-22. (")

(41) Per il patto perpetuo, 6. inoltre Is. 59,3, ma in particolare, Is. 54,7-10: uv. 9. È adesso per me come al tempo di Noè. Come ho giurato che il diluvio noetico mai più allagherebbe la terra; così giuro di non più sdegnarmi teco ... v. 10. Si moveranno i monti, e i colli vacilleranno; ma la mia clemenza da te non si smoverà, e il mio patto di pace non vacillerà; dice il Signore che ti vuol bene N.

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I1 Signore ha permesso l'indurimento dei Giudei, ha chiamato al Cristianesimo i Gentili, usando loro la sua misericordia (Esodo 33,19), secondo la sua libera e gratuita scelta. Analogamente, per l'infedeltà dei Giudei, ricorda l'indurimento del Faraone (Esodo 9,16): « Io ti ho suscitato precisamente per mostrare in te la mia potenza, e perché il mio nome sia celebrato su tutta la terra ». Dunque Egli usa miseri- cordia a chi vuole, e indura chi vuole » (9,17 S.).

In Ezechiele (38,4), con arditezza è detto che il Signore sospinge all'attacco Gog, il capo dei feroci e potenti nemici che attaccheranno, in un lontano futuro la rinata teocrazia, ma saranno annientati dal Si- gnore. I1 Signore trascina Gog come il vincitore fa col suo prigioniero, menandolo dove vuole: vedi il mio commento, p. 279 ss. E ancora al v. 7 S. « tienti a mia disposizione . . . riceverai l'ordine ». In realtà, nulla sfugge alla volontà divina, nulla le si può opporre. « Non avviene alcunché, se l'onnipotente non voglia avvenga, o permettendo che avvenga, o operando egli stesso: al Quale, senz'altro, è tanto facile fare ciò che vuole, quanto non permettere ciò che non vuole »: S. Ago- stino, Enchiridion de fide, spe et caritate, cc. 95-96; 100-102. Perciò Ezechiele può parlare di « spinta, di ordine » da parte di Dio che non impedisce l'attacco, anzi sembra offrire alle potenze del male un'occa- sione propizia per compierlo. E nei vv. 10-13 è rilevata la piena respon- sabilità di Gog nella sua decisione, nel suo pravo disegno di conquista facile e di ricco bottino.

Ricordata dunque la prava volontà del potente aggressore, si ri- torna a parlare della volontà di Dio: « Ti addurrò contro il mio tewi- torio » (v. 16), che permette, non impedisce, il disegno di Gog, per i suoi alti scopi: « perché le genti mi conoscano, quando mostrerò in te la mia santità, al loro cospetto, o Gog ». Sant'Agostino, Enchir., 100: « Dio si serve in bene anche del male, perché Egli è sommo bene . . . I1 male non esisterebbe se non lo permettesse: né lo permette nolente, ma volente: né essendo buono permetterebbe il male, se, es- sendo onnipotente, non potesse dal male trarre il bene ». San Paolo adopera lo stesso linguaggio dei profeti; e inoltre, ha in sé l'esperienza del velo che copriva la sua mente di zelante fariseo e persecutore dei cristiani e dell'imprevisto ed improvviso intervento di Gesù, il Cristo,

« Solenne impegno - commenta il P. A. Vaccari -, promessa giurata, che Dio non avrebbe adempiuta, se non si vedesse nel Cristianesimo il legittimo erede e la rettilinea continuazione dell'antica religione d'Israele, come di proposito espone san Paolo (Rom. 9,6-1lJ2), un Israelita ai cento per cento (Phil. 3$-6).

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l'odiato Crocifisso, che gli appare Risorto, fulgido di gloria, e libera- mente lo elegge a suo apostolo.

Elezione che ha tutta la sua corrispondenza: « Dopo tutti, come a un aborto, (Gesù) apparve anche a me. Io sono il minimo degli Apo- stoli, neppur degno di essere chiamato apostolo, avendo perseguitato la Chiesa di Dio; ma per grazia di Dio sono ciò che sono, e la grazia sua a me conferita non è riuscita vana; che anzi più di tutti essi ho lavorato, non già io, ma la grazia di Dio con me D. ( 1 Cor. 15,8-10). Cf. 1 Cm. 9; e nelle altre lettere, la prodigiosa attività apostolica di questo ardente imitatore del Cristo: Gal. 6,14-17: << Quanto a me, che non mi accada mai di vantarmi d'altro che della croce del Signore nostro Gesù Cristo, mediante la quale il mondo è crocifisso per me, come io per il mondo. Infine nulla conta esser circonciso o incirconciso, ciò che conta è l'essere nuova creatura (vivere con la grazia la vita nuova in Cristo Gesù). E su tutti quelli, che seguiranno questa regola di condotta e sull'lsraele di Dio pace e misericordia. D'ora innanzi nes- suno mi dia più molestie, perché io porto nel mio corpo le impronte di Gesù ».

Tutti i profeti, dopo aver preannunziato il grave castigo, anche, e specialmente, per il regno di Giuda, con la rottura dell'alleanza, assicurano da pane di Dio la conversione e il ritorno in patria del u resto » che Iahweh si è conservato: la rottura dell'alleanza, che non può perire, è soltanto temporanea. L'Onnipotenza di Dio opererà quan- to sembrava irrealizzabile (Ez. 37); la sua Misericordia, la sua clemenza si estende infatti a< fino alla millesima generazione di coloro che lo amano ». È il dogma giudaico dei meriti dei Padri. La sanzione del patto. Es. 20,5 S. è sempre presente; ancora in risalto in Es. 34,6 S.: u Iahweh, Iahweh, Dio pietoso e misericordioso, tardo all'ira e grande in benignità e fedeltà; che serba benignità alle migliaia . . . D. Come vedremo per Rom. 11,28-29. Cf. Deut. 7,8-9; Ex. 36,2538.

Ailo stesso modo, san Paolo, dopo aver dimostrato la fedeltà di Dio alle sue promesse, la sua giustizia nella riprovazione d'Israele, escluso dalla salvezza per la sua colpevole incredulità, e nella libera elezione del « resto e dei Gentili, conclude rilevando che la riprovazione d'Israele è soltanto u temporanea, parziale, provvidenziale » (A. Vac- cari, inizio C. 11); ammonimento per i Gentili convertiti perché cor- rispondano fedelmente alla elezione divina e non si insuperbiscano nei

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confronti dei Giudei, « rami stroncati dall'olivo, in cui essi sono stati innestanti u.

Ecco in sintesi le idee espresse in questo capitolo conclusivo.

1' C. 11,l-15. Solo u un resto » del popolo d'Israele, u eletto per grazia u, è nella Chiesa. La maggior parte, incredula, è tagliata fuori. (Ricorda le parole di Gesù: u i figli del regno, saranno cacciati fuori nelle tenebre >P Mt. 8,12. Accorrono invece i Gentili u ad assi- dersi alla mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe, nel regno dei cieli »: ivi, v. 11).

u Ora parlo a voi, Gentili d'origine: in quanto io sono apostolo dei Gentili, faccio onore al mio ministero, sperando di poter provocare la gelosia di quelli del mio sangue e di salvarne alcuni » (vv. 13-14), Cf. 1 Cor. 9,19 S. L'Apostolo conserva la speranza della salvezza, del suo popolo, con la conversione al Cristianesimo e lavora perché si attui. Cf. ancora i vv. 12'15 con l'accenno alla futura conversione di tutto Israele.

2' 11,16-24. I meriti dei Padri: u a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe », o, con la nuova immagine, « la radice santa dell'ottimo olivo W , i cui rami vitali sono i Giudei credenti in Gesù, l'atteso Mes- sia, autore del u patto perpetuo u, (u il resto, eletto per grazia D); 1'Israe- le incredulo sono u i rami stroncati N, buttati via. Al loro posto, è innestato tra i rami buoni l'olivo selvatico (i Gentili) che beneficiano con essi della stessa radice nutritiva. Ma non devono inorgoglirsi; de- vono perseverare nella fede. u Considera, dunque, la bontd e la seueritr) di Dio: severità uerso gl'increduli; bontà uerso di te, purché perseueri, altrimenti tu pure sarai reciso ». u Sono stati recisi, per la loro incre- dulità ». u Anche questi, però, se non persistono nella loro incredditd, saranno innestati, poiché Dio può innestarli di nuovo » (v. 22 S.).

I Giudei che permangono nella loro opposizione al Cristo, fuori della Chiesa, sono come rami recisi, tagliati via dalla loro santa radice, priui della linfa uitale.

Per la loro incredulith sono fuori dell'alleanza, hanno perduto per- tanto ogni privilegio, ma come le altre genti non sfuggono al dominio del Signore (cf. Amos 9,7.).

u Dio, nostro Salvatore, uude che tutti si salvino e giungano alla conoscenza della verità u. (1 Timoteo 2,3-4).

3" 11,2536. Ed ecco la consolante prospettiva. « Non uoglio,

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o fratelli, che ignoriate il seguente arcano (o mistero, cioè verità na- scosta in Dio, già rivelata da Gesù N. Signore: Mt. 23,39; LE. 13,35; 21,24): l'accecamento di una parte d'Israele perdura, finché non sia entrata (nella Chiesa) la massa dei Gentili e cosi (questo indica una certa causalità: la trasformazione del complesso dei Gentili provocherà l'emulazione d'Israele, cf. 11,11) tutto Israele si salverà, come sta scritto: Verrà da Sion il Liberatore e scaccerà I'empietà di Giacobbe . . . (Is. 59,20 S.; 27,9) m.

San Paolo riprende e cita le parole di Gesù: « Gerusalemme sarà calpestata dai Gentili, sinché siano compiuti i tempi delle genti » (LE. 21,24); « I tempi delle genti sono la vocazione a1l'Evangelo e l'am- missione al regno di Dio e saranno compiuti quando, come si esprime san Paolo « la massa dei Gentili non sia entrata (nella Chiesa) e così tutto Israele si salverà, « con l'abbracciare la fede di Cristo » (A. Vac- cari, p. 1912).

E ancora: « Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i Profeti e lapidi coloro che sono a te inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figliuoli . . . e voi non avete voluto! Ecco, si lascia a voi la vostra casa deserta. Poiché io vi dico: D'ora innanzi più non mi vedrete, finché diciate: - Benedetto chi viene n d qome del Signore! - » (Mt. 23, 37-39; LE. 13,34-35).

« Gesù si rivolge in una appassionata apostrofe a Gerusalemme; allude alla sua distruzione, che al suo sguardo profetico si presenta già come una dolorosa realtà. Ma predice anche, secondo la spiegazione più ricevuta, ,che prima della fine del mondo, il popolo giudaico si convertirà (cf. Rom. 11,25-33), riconoscendo in Lui il suo redentore! » (A. Vaccari, p. 1822). Così ancora Huby, Plummer, Lagrange, Prat, Durand, Marchal, Iacono . . . e già S. Agostino, De civitate Dei, XX, 29, PL 41,704.

Tutti si è concordi nel riportare il commento del Lagrange al v. 25 S., circa il tempo in cui si realizzerà questa predizione: « Noi non abbiamo alcun segno che la conversione generale sia prossima, ma da una parte la Chiesa Cattolica non ha mai cessato di estendersi tra i popoli, e d'altra parte i Giudei esistono sempre come una razza di- stinta ». (")

(e) VINCENZO IACONO, Le Ep. di S. Paolo: Rom. Cor. Gal. (La S . Bibbia), ed. Ma- rietti, Torino-Roma 1951, pp. 258 ss. Cf. P. JosÉ M. BOVER, s.j., Teologia de San Pablo, BAC, Madrid 1946, C. VI, La reprobaciòn de 10s judéos, pp. 234-251, 605-620. L.CL. FILLION, La Sainte Bible, Y ed., t . VIII, Paris 1928, pp. 84-85 uad. e comm. Rom. 11p8-30.

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Rom. 11,28-29. Questi due versetti dimostrano in una maniera di- versa la verità della predizione o asserzione del v. 25 S.: la conversione di tutto Israele. Ecco il senso di questo argomento: per tutto il tempo che i Giudei rimarranno increduli, non accetteranno l'Evangelo, Dio li tratterà come nemici, per punirli della loro incredulità; ma non è meno irrevocabile il suo disegno misericordioso, la sua scelta, sancita con l'alleanza, per cui essi un giorno si convertiranno, e saranno innestati di nuovo, sull'olivo », rientrando così nei privilegi, ora perduti (Fillion).

a Io sono un Dio geloso che punisce l'iniquità dei padri fino alla terza e quarta generazione; ma uso benignità fino alla millesima gene- razione di coloro che mi amano ». I meriti dei Padri.

a Perché i doni di Dio sono senza pentimento ». <( L'uomo modi- fica le sue scelte perché non ne prevede tutti gli inconvenienti. Non così Iddio, che ha scelto Israele, ben prevedendo le sue infedeltà ».

La sua Misericordia e la sua Onnipotenza prevalgono sulla infe- deltà del contraente umano. (Prat, op. cit. I , p. 367 S.).

<( I doni di Dio sono senza pentimento D. Ragion per cui Dio non fa scomparire la nazione incredula, che Egli aveva colmata di benefici. I suoi doni, la sua scelta hanno un carattere irrevocabile. Così, sebbene Israele, per un tempo considerevole e per sua propria colpa, si sia separato.da1 suo Dio ed abbia eccitato la collera celeste, il suo prov- videnziale destino non è cambiato, non cambia: Israele al tempo, sta- bilito da Dio, si convertirà. (Fillion).

v. 28 << È ben vero che a motivo dell'Evangelo (i Giudei) sono in odio a Dio (suoi nemici), per vostro bene; ma per quel che concerne l'elezione sono amati a motivo dei loro padri; (v. 29) perché Dio non si pente der suoi doni e della sua chiamata (o elezione).

Altro argomento, in aggiunta al precedente, sempre per confermare la predizione della conversione di tutto Israele al cristianesimo (v. 25), è nei vv. 30-32.

Infatti, siccome voi (Gentili) un tempo foste ribelli a Dio, ma ora avete conseguito misericordia, per il fatto della loro ribellione; così pure essi (i Giudei increduli) ora si sono ribellati per il fatto della misericordia a voi usata, affinché a loro volta anch'essi conseguiscano misericordia. Insomma Dio incluse tutti gli uomini nella ribellione per fare a tutti misericordia ».

<< Dio permise che tutti cadessero nella ribellione a Lui, per usare con tutti la sua misericordia; prima i Gentili, che erano lontani da Dio, per i quali l'incredulità dei Giudei è stata occasione di venire

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alla fede; poi i Giudei, che, per il fatto della conversione dei Gentili, ricusarono di credere, anch'essi conseguiranno misericordia ». (A. Vac- cari, p. 2131).

« Dio si serve dell'incredulità degli uni per salvare gli altri; poi, salva a loro volta quelli che ha resi increduli; tutto ciò per ben stabilire che la salvezza è da parte sua un atto di pura misericordia » (Fillion).

Bene scrive 1'Huby: « Gl'Israeliri increduli non sono esclusi dal- l'eredita messianica; la fede che può farceli entrare è per loro sempre possibile ». Come i pii israeliti superstiti nella punizione finale di Sa- maria, poterono poi far parte del « resto », che il Signore si scelse, preparando con Ezechiele, gli esuli del 597 deportati in Babilonia: vedi il libro di Tobia. Così attraverso i secoli, continua la conversione di tanti Giudei al cristianesimo.

« Poichd Cristo era il termine e il fine della Legge, la realizza- zione delle figure e delle promesse del Vecchio Testamento, la con- versione richiesta agli Ebrei contemporanei di Gesù e degli Apostoli per entrare nel Regno di Dio non era come per i pagani una rottura con un passato idolatrico, un brusco trapianto dalle tenebre alla luce, ma il passaggio dall'alba al pieno meriggio, una continuità ascendente.

« Per riprendere il paragone di san Paolo, l'albero della salvezza, l'olivo fertile, avrebbe dovuto normalmente ramificarsi fra loro; essi ne erano come i rami naturali, mentre i pagani potevano essere para- gonati ai polloni selvatici d'un olivo sterile. Gli Ebrei, a causa della loro cattiua volontà, si sono privati dei loro vantaggi; non sono più che rami tagliati e secchi, mentre i pagani convertiti come rami innestati su di una buona pianta, verdeggiano e fruttificano sull'albero di vita. Ma questi nuovi venuti, non devono gloriarsi a spese d'Israele; non devono dimenticare che a loro la salvezza è venuta dagli Ebrei, per un puro beneficio della misericordia divina » (p. 342).

In nota, il P. Huby rileva: la differenza di difficolth nell'adesione al cristianesimo, tra un ebreo e un pagano, esisteva per i contemporanei di Gesù e degli Apostoli, quando i giudei attendevano un Messia per- sonale, sia pure con attribuzioni erronee. « Oggi che il popolo ebraico non è più gens prophetica, che il giudaismo s'è rinchiuso in se stesso, mentre nei piani di Dio era essenzialmente preparazione alla venuta di Cristo, la conversione di un ebreo al cristianesimo suppone anch'essa una rottura con una religione deviata e falsa r.

Abbiamo visto come i rappresentanti del giudaismo moderno (Klausner, Neher . . .) identifichino il Messia col a popolo d'Israele », teso alla supremazia sulle genti.

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In sintesi, nei vv. 25-32, san Paolo svela ai Romani il « mistero D della futura conversione di tutto Israele, nel suo complesso (v. 25), riflesso, eco della parola di Gesù (Mt. 23,39; Lc. 13,35 e LE. 21,24); e a conferma adduce: a) la profezia di Isaia (59,20 S. e 27,9) v. 26 S.; b) i meriti dei padri: v. 28 S.; (@) C) l'esempio della conversione dei Gentili: v. 30 ss.

« La Chiesa è il podere o campo di Dio (cf. 1 Cor., 3,9). In quel campo cresce l'antico olivo, la cui santa radice sono stati i Patriarchi, e nel quale è avvenuta e avverrà la riconciliazione dei Giudei e delle Genti (cf. Rom. 11,13-26) ». - Conc. Vat. I1 - Lumen Gentium, n. 6.

È pertanto grave errore isolare, considerare soltanto la seconda parte del v. 28 e tentare di giustificarla col v. 29, per dedurne ed af- fermare che i Giudei increduli, il Giudaismo attuale continua a godere dei privilegi di un tempo, di avere ancora la missione di preparare il regno di Dio e che, parallelamente alla Chiesa - due binari paralleli, secondo Martin Buber - marcia verso l'atteso Messia!

È contro tutto « l'evangelo di Paolo D, espresso così chiaramente in questa lettera ai Romani, fin dall'inizio e negli stessi cc. 9-11 (con- testo prossimo), nelle altre lettere, sempre; in particolare: 1-2 Thess.; Gal.; 2 Cor. 3,4-17 per le Sacre Scritture del Vecchio Testamento (contesto remoto).

Quanto al tempo in cui avverrà la conversione d'Israele, nel suo complesso, al Cristianesimo, la sua entrata nella Chiesa, piace riportare quanto l'esegeta Lorenzo Turrado scrive nel suo commento, confer- mando sostanzialmente quanto affermava il grande Lagrange da noi già riportato.

« Un'ultima questione. Cosa afferma san Paolo circa il tempo in cui avrà luogo la conversione dei Giudei? La risposta non è facile. Due frasi sembrano alludere al quesito, ma sono vaghe per trarne con- clusioni concrete. Una frase è nel v. 15: « se la sua riprovazione è riconciliazione del mondo, cosa sarà la sua integrazione se non risur- rezione di tra i morti? », e l'altra, nel v. 25: « l'indurimento è avvenuto

(a) u I1 significato generale della profezia d'Isaia è che la conversione d'Israele sarà effetto della venuta del Messia. Ma siccome Cristo non lo ha convertito durante la sua vita terrena e il loro ingresso nel cristianesimo avrà luogo prima del suo secondo awento alla fine dei tempi, bisogna comprendere che la conversione d'Israele sarh opera di 'Gesù Cristo diffuso e comunicato" (Bossuet), cioè della Chiesa >p. Huby, p. 350.

(M) « L'abbondanza delle misericordie divine diffuse sui patriarchi (in particolare i meriti di Abramo, Isacco, Giacobbe e degli altri santi) ridonda sui loro discendenti (ricorda Es. 203, tanto che un giorno si convertiranno a Cristo a. (Huby, ivi).

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a una parte d'Israele, fino a quando entri la pienezza delle nazioni, e allora tutto Israele sarà salvo ».

Nella prima frase, molti autori interpretano questa « risurrezione di tra i morti D come un'allusione alla risurrezione dei nostri corpi, corona dell'opera redentrice del Cristo, che avverrà alla fine dei tempi. In questo caso, stabilisce san Paolo un rapporto tra la conversione del popolo giudaico ("reintegrazione") e la fine del mondo, di cui quella sarebbe il preludio? Alcuni lo credono. Quel che senza dubbio san Paolo afferma direttamente è che, dopo la conversione dei Giudei, che avverrà dopo quella dei Gentili, i piani salvifici di Dio in ordine alla salvezza degli uomini sono compiuti, e niente manca alla consumazione dell'opera redentrice del Cristo, ma senza precisare se tra questa con- versione dei giudei e la consumazione finale debba passare poco o molto tempo.

« D'altronde, sarebbe anche possibile interpretare in senso me- taforico l'espressione " risurrezione di tra i mortiJJ, alludendo a uno straordinario risorgere della vita della Chiesa come conseguenza della conversione del popolo giudaico, così straordinario che potrebbe essere paragonato a una risurrezione di tra i morti ». (6. 6,13; Er. 37,l-14; Lc. 15,24). (")

Ritengo esatto e decisivo l'allusione ad Ezechiele nel celebre C. 37: la visione « famosa, celebrata nelia lettura di tutte le Chiese di Cri- sto . . . » (S. Girolamo); l'onnipotenza di Dio opera questo evento straor- dinario: la conversione del popolo giudaico e il mirabile risveglio nella sua Chiesa. (9

(45) L. TVRRAW, Epistola 4 10s Romanos, p. 345 (Profesores de Salamanca, Biblia Comentada, VI), BAC 243, Madrid 1965, p. 790.

(46) F. SPADAFORA, Ezechiele (La Sucra Bibbia, VIII, 2 ) ed. Marietti, Torino-Roma 1951, pp. 270 ss.

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MONS. PIER CARLO LANDUCCI

I1 28 maggio u.s., insieme al sorgere del nuovo giorno, nella quiete della sua stanzetta solitaria, Mons. Landucci, maestro e guida di vescovi, sacerdoti, seminaristi, è passato alla dimora eterna. Aveva 86 anni. Era pronto; lo era sempre stato, da solerte operaio nella vigna del Signore. A Pentecoste, consapevole della sua grave astenia, aveva chie- sto e con tanta devozione ricevuto il sacramento della Estrema Unzione.

Nel testamento ha scritto: « Ringrazio il Signore per il dono inef- fabile del Sacerdozio; chiedo perdono per le mie tante incorrispon- denze; mi rifugio nella infinita misericordia del Divin Cuore e nella tenerezza materna di Maria, nostra Fiducia. Accetto ed offro il dono e la sofferenza della morte in ispirito di riparazione per me e di propi- ziazione per il Papa, la Chiesa, le anime, le persone care n.

Ha sempre vissuto in tale spirito di umile amore, sostanziato di sacrificio, operando per il bene del clero e delle anime. Chi vuole defi- nire la sua spiritualità, leva della sua ininterrotta operosità, legga la voce Giovanni Evangelista da lui scritta per la Biblioteca Sabctorum (vol. VI, Roma 1965, coll. 757-785). Vi si rispecchia l'ardore della sua anima sacerdotale, l'amore per Gesù, la Madonna e per il "Disce- polo prediletto"; risalta l'accurata preparazione e competenza in teo- logia ed esegesi. Nelle caratteristiche della « personalità e spiritualità B di san Giovanni, egli adombra, proporzionalmente, le note della sua spiritualità. « Gli aspetti complementari più caratteristici della perso- nalità e spiritualità di san Giovanni - egli scrive - sono costituiti dalla sua vibrazione di carità da un lato . . . e dal suo geloso ardore di luce e di fede dall'altro . . . Sono sue le definizioni: Dio è luce B (1 Io 1 3 ) e « Dio è carità » (ivi 4,16) : - in suprema e combattiva antitesi con l'errore e il peccato (odio). - « Sia in sede dottrinale che in pratica, egli non concepisce una carità senza verità e senza una verità che preceda . . . Particolare sintonia con il Cuore di Gesù . . . e con quello della divina Madre . . . W .

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Dunque, carità in sintonia col Cuore di Gesù e l'immacolato Cuore di Maria, zelo per la verità, caratterizzano la spiritualità dell'Apostolo a prediletto W . Quanti hanno conosciuto l'operosità di Mons. Landucci saran d'accordo nel ritrovare in essa le due suddette componenti: carità soprannaturale, zelo per la verità, la fede.

I1 Signore lo aveva eletto per la missione sacerdotale che egli svolse, corrispondendo alla grazia fedelmente.

Nato il lo dicembre 1900 da famiglia tradizionalmente cristiana a Santa Vittoria, provincia di Ascoli Piceno, completò i suoi studi universitari a Pisa e alla Sapienza di Roma, laureandosi brillantemente in Ingegneria. Compì il servizio militare, come sottotenente del Genio. La preparazione scientifica gli servirà mirabilmente per il suo aposto- lato di scrittore a favore del Clero, contro l'evoluzionismo.

Rispose alla chiamata del Signore, compiendo eccellentemente la sua preparazione filosofica e teologica, nel Seminario del Laterano; ordinato sacerdote il 26 maggio 1929, anno della Conciliazione e del Concordato.

Apostolato dottrinale. Contro l'evoluzionismo utilizzò la sua com- petenza specifica in paleoantropologia, geologia, genetica ... L'evoluzio- nismo, col suo fantasioso cultore, il gesuita P. Teiihard de Chardin, e il divulgatore in Italia, l'altro gesuita P. Marcozzi, prof. alla Gre- goriana, è l'errore originale », dominante anche tra teologi cattolici, affatto ignari in campo scientifico: un'esemplificazione è data al ri- guardo da Patrik O'Connel, Origine e preistoria dell'uomo, ed. Alzani, Pinerolo (tr. it.), 1963 : Facoltà Teol., Università di Lovanio; Univ. Gregoriana; la trad. it. degli scritti del P. Teilhard, con la conseguente negazione del peccato originale . . .; Facoltà Teologica di Milano, ad es., mons. Carlo Colombo (il cosiddetto "teologo" di Paolo VI), Tra- sformismo antropologico e teologia, in La Scuola Cattolica, gen.-feb. 1949, pp. 17-43 . . . Con i riflessi in esegesi: Gen. 3,14 S.; Rom. 5,12, vedi l'art. del P. St. Lyonnet del Pont. 1st. Biblico, in Rech. de Science Religieuse 44 (1956) 63-84 che spiega il v. 12 dei peccati personali, con Pelagio, Erasmo e i razionalisti, contro il senso autentico definito dal Concilio di Trento: trattarsi appunto del peccato originale: tutti han peccato in Adamo perciò muoiono, cf. la confutazione del Lyonnet, da noi fatta in Divinitas (1960) 289-298.

Mons. Landucci contro tale grave errore scrisse libri e articoli. Ricordo: nel suo capolavoro Il Dio in cui crediamo, 5" Ed. Pro Sancti- tate, Roma 1968, p. 316; nelle pp. 76-99: l'Ordine e I'Ordinatore nell'ipotesi evoluzionista; ottima trattazione (Nella 1" ed., questo libro, col titolo Esiste Dio?, fu edito dalla Pro Civitate Christiana, Assisi).

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Ancora nel ricco volume Miti e Realtà, ed. La Roccia, Roma 1968, con la confutazione diretta delle tesi del P. Teilhard. E nel riuscito libretto La verità sulla evoluzione e sull'origine dell'uomo, ed. La Roccia, Roma, 3" ed., 1984, p. 104.

Tra i numerosi articoli in materia: I1 contagio teologico del dar- winismo, nella rivista del Card. Siri, Renovatio 21 (1986), 1" fasc., pp. 97-114: critica, confutazione del libro del giovane progressista mons. Carlo Molari, Darwinismo e teologia cattolica, Borla, Roma 1984. Su << Palestra del Clero D: Darwinismo controllo di un mito, 1985, pp. 208 e seguenti; Liberarsi dall'oscurantismo del sapere scientifico che limita la ricerca all'ambito della propria competenza, ivi, 1985, pp. 1093-1151; Ancora, su << Palestra del Clero » 62 (1983) 954 e seguenti: Il presunto dogma dell'evoluzionismo; così, per limitarci a questi ultimi anni. Altri articoli sulla rivista Studi Cattolici. ( l )

Sul tema della vocazione sacerdotale, mons. Landucci scrisse: Ver- so l'altare, ed. Domani, Roma 1951 ; La Sacra Vocazione, ed. Paoline, Roma 1960; Formazione seminaristica moderna, ed. Borla, 1962.

Teologia ed esegesi nello studio completo, Maria SS. nel Vangelo, ed. Paoline, Roma 1954, un bel grosso volume, devoto omaggio aila Madonna della Fiducia; in esso, scientificamente e con grande erudi- zione, sono illustrati i brani riguardanti Maria SS. negli Evangeli, Mt., Lr., Giov. e nell'Apocalisse . . . Ancora: Nel vortice, ed. Coletti, Roma 1946; I1 mistero dell'anima umana, ed. Pro Civitate Christiana, As- sisi 1959.

Dalle caratteristiche su rilevate della sua personalità si spiega particolarmente il suo intervento sui due temi importanti per la vita medesima della Chiesa : catechismo ed ecumenismo.

L'eretico a Catechismo olandese », preparato dai ribelli di Nime- ga, approvato e difeso da quell'esiguo episcopato, influenzò la serie

( l ) Sull'evoluzionismo, il conseguente poligesismo, nella scienza, nell'esegesi e nella teologia, apparve una serie di nostri articoli, anche polemici, su e Palestra del Clero B

negli anni 1948-49, art. pubblicati poi nel libro Temi di Esegesi, Rovigo, 1st. Pad. Arti Graf., 1953, p. 596. In esso c'era anche la presentazione del libro del Card. ERNESTO RUFFINI, Teoria dell'evoluzionismo secondo la scienza e la fede, Roma 1948, p. 242. Non conoscevo dora mons. Landucci. Mi rivolsi a Mons. Giuseppe Reverberi, esperto in genetica, prof. ordinario presso l'università statale di Palermo. Anch'egli, contro la vacua infatuazione dell'evoluzionismo, purtroppo di moda. Aiuni suoi articoli: La riproduzione delle molecole nel problema dell'origine della vita, in Medicus (organo della Unione Ital. Medico-Biologica u San Luca », Roma) 2 (1946) 196-206; La Biologia e la ricerca di Dio, ivi, 4 (1948) 20-36; L'uomo fossile alla luce della scienza e della reli- gione, ivi, 1 (1945) 70-81; Le origini dell'uomo secondo le ultime ricerche, in Ecdesia 7. (1948) 183-188 ...

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dei pseudo-catechismi, sorti qua e là e varati dalla varie Commissioni - Episcopali. Così incominciarono a venir fuori, a poco a poco, anche i volumetti fatti preparare per l'Italia. A nessuno sfugge l'importanza di tali guide per la formazione dei teneri virgulti nella dottrina della C h i e ~ a , ~ e r ildogma e la morale. Come è evidente che la prima e fon- damentale loro dote essenziale debba essere la esattezza teologica e la completezza di tale insegnamento. Ciascuno di questi libretti veniva pubblicato - era espressamente detto - ad experimentum; si atten- devano cioè eventuali osservazioni e rilievi.

Per i sacerdoti ed i « catechisti » in genere, Mons. Landucci, volta per volta, esaminò attentamente tali pubblicazioni e sempre con la consueta delicatezza, ne rilevò i difetti, anche teologicamente gravi, per la imprecisione dei termini adoperati, per le omissioni, ecc., in singoli articoli per « Palestra del Clero ».

Le precisazioni, i rilievi, le critiche, del tutto ineccepibili, non lasciano dubbi: i testi pubblicati come « catechismi D per ciascuna età, dai bambini agli adulti, sono davvero inadatti allo scopo, anzi risultano dannosi. ( l )

Altro tema di polemica in questo turbinoso post-Concilio, è l'ecu- menismo; in particolare, il rapporto della Chiesa con il giudaismo, pro- posto al n. 4 della Dichiarazione conciliare. Mons. Landucci ne scrisse per offrire al Clero una retta linea di giudizio, rispettosa della verità storica ed esegeticamente valida, nel rispetto della storicità, della ispi- razione ed inerranza dei testi sacri e, particolarmente, dei santi quattro Evangeli.

Cosi, sulla già citata rivista, Renovatio, fasc. luglio-sett . 1982, pp. 349-362 pubblicò lo studio, dal titolo espressivo: La vera carità verso il popolo ebreo; articolo che per la esattezza e lo spirito che lo anima ritengo esemplare e definitivo.

E allorché don Giovanni Caprile espose su u Palestra del Clero >p

l'insostenibile tesi, proposta da alcuni studiosi giudei, come il dotto Martino Buber, che, cioè, cristiani ed ebrei marciano paralleli sullo stesso binario, aspettando gli uni il secondo avvento, e gli altri la prima venuta del Messia, nell'art. La Sinagoga e la Chiesa, in Pal. del Clero 64 (15 gen. 1985) 99-1 10, Mons. Landucci con la consueta amabilità verso lo scrittore, precisò ancora una volta la esatta natura

(2) La reazione arrogante di un insipiente confermò piuttosto il giudizio negativo, ben presto generale, da parte del Clero e di tante Religiose, che sono ritornati al noto vero Catechismo.

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delia Chiesa, rilevando punto per punto l'insostenibilità dei motivi addotti dal Caprile per la sua tesi, l'errata interpretazione abusiva di alcuni passi del Nuovo Testamento. L'articolo apparve su Renouatio, apr.-giugno 1985, pp. 219-227: Mons. Pier Carlo Landucci, Ebrei e Cristiani.

« I1 giusto se ne va - concludo con F. Dostoyevskij - ma la luce rimane dopo di lui B.

Permane per noi il compito di rilevarne il fulgore, proseguendo nella sua scia.

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LA VERA CARITA

VERSO IL POPOLO EBREO (')

In un importante Simposio in memoria del centenario della na- scita del Cardinale Agostino Bea, tenuto a Roma nel dicembre u.s., furono riferiti alcuni stralci di uno studio dell'illustre biblista, sugli ebrei. Si trattava di un articolo che il cardinale aveva preparato per la Civiltà Cattolica, ma che allora non fu pubblicato, presumibilmente perché i tempi non erano ancora maturi. I1 testo è stato ora pubblicato integralmente nel n. 3161, 6 marzo u.s. della rivista. Si è infatti matu- rato frattanto un clima di distensione riguardo agli ebrei, precisato nella Dichiarazione conciliare Nostra aetate, 5 4 .

Ma è rimasto entro i limiti di tale precisazione il Card. Bea, tutto proteso alla « benevola scusa » dei condannatori di Gesù, a distinguere la loro responsabilità « oggettiva » dalla w soggettiva », a collegare sol- tanto alla prima le « calamità » conseguenti profetizzate da Gesù, a suscitare la « doverosa carità » e gratitudine » verso quel « popolo eletto N, a giustificare tutto ciò per « amore di Gesù e di Maria », e tutto questo senza distinguere il prima e dopo la tragedia del Calvario?

Per un sereno esame critico di tali posizioni non mi aggancerò ora strettamente alle parole di detto articolo, dato che in esso sono come riassunte e in qualche modo radicate tutte le posizioni filoebrai- che, più spinte, che stanno sempre più diffondendosi nel mondo cat- tolico. Passo cioè senz'altro alla loro generale considerazione.

Qualunque siano le accuse che si fanno, fra i motivi di benevo- lenza verso gli ebrei, si adduce sempre il dovere della carità, da esten- dersi evangelicamente anche ai nemici.

Ora a me preme soprattutto rilevare che queste metodiche scuse

( l ) In u Renovatio », 1982, n. 3, pp. 349-363

112

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a loro riguardo sono invece contro la illuminata e vera carith, perché contribuiscono a nascondere ad essi la drammatica e tragica situazione obiettiua in cui sono venuti a trovarsi dopo la condanna di Gesù. La vera carità verso gli ebrei è di illuminarli lealmente su tale situazione, sollecitando in tal modo anche per essi - e come individui e come popolo - il u ravvedimento » e la redenzione ad essi promessa u per primi » (At. 3,26), essendo i u doni di Dio e la vocazione di Lui iwe- uocabili » (Rm. 11,29). Tale u irrevocabilità » infatti, come spiega S. Paolo, non si riferisce a coloro che proseguono a rifiutare Gesù, i quali, u per la loro incredulità sono stati recisi (dall'olivo salvifico) » (11,20), ma a coloro che, u se non persistono nella incredulità (vi) sa- ranno innestati /.../ di nuovo » (23), quando cioè avrh termine u l'ac- cecamento di una parte d'Israele /.../ e tutto Israele si salverà » (25,26). Tornerò più avanti su questo punto fondamentale. Ma intanto è chiaro che tale u irrevocabilità » del u dono di Dio » riguarda pro- prio il piano obiettivo (sempre concesso che ognuno, soggettivamente in buona fede, può salvarsi, parte la maggiore o minore difficoltà) e la uera carità deve mirare a togliere quell'u accecamento » e non ad ali- mentarlo, facendo dimenticare i fatti obiettivi e moltiplicando le scuse.

Dunque proselitismo? Certo. Non vi può essere dubbio, per chi ha veramente la carità verso gli ebrei e quindi vuole il loro vero bene. Nel quadro anzi della missione apostolica, pur essendo essa rivolta a tutti (Mt. 28, 19: Mc. 16, 15) essi debbono avere una posizione pri- vilegiata, un u primato n, come ho già accennato, per condurli a rico- noscere il Redentore. Così si regolò Gesù inviando gli Apostoli u prima alle pecore sperdute della casa d'Israele » (Mt. 10,6), obiettando ad- dirittura, alla Cananea, di << non essere stato mandato che per esse » (15,24), così da essere stato definito da S. Paolo come u posto al ser- vizio dei circoncisi /,../ compiendo le promesse fatte ai padri >P (h. 15,8). E, di fatto, dopo la Pentecoste, la prima predicazione degli Apostoli e le prime abbastanza vaste adesioni si ebbero tra gli ebrei e S. Paolo, nei suoi viaggi, iniziò sempre la predicazione nelle sinagoghe e nelle assemblee ebraiche (At. 9,20: 13,5: 13,14: 14 , l : 16,13: 17, 1-2: 17, 10: 17, 17: 18,4: 19,8).

I1 dialogo quindi animato da vera carità verso gli ebrei, non solo non esclude, ma deve mirare soprattutto dia loro conversione. È uma- namente comprensibile che, prima di questa conversione, tale prospet- tiva sia ad essi sgradita. Ma non potranno, in definitiva, non rawisarvi la lealtà e la amorevole intenzione dell'interlocutore cattolico (il quale agisca, s'intende, con illuminata discrezione). La traduzione, oggi non

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rara, del clima ecumenico come dialogo senza proselitismo t una errata interpretazione dell'ecumenismo, in antitesi con l'insegnamento evan- gelico. (Devo quindi supporre che, quando l'anno scorso, in una inter- vista, il nuovo arcivescovo di Parigi, escluse, in relazione agli ebrei, il proselitismo, si sia riferito soltanto ad una sua modalità artificiosa, non ispirata dal vangelo, indiscreta).

La soggettiva scusante della ignoranza viene, in genere, addotta per scagionare gli ebrei che vollero la morte di Gesù. Se ne addita la conferma nelle parole stesse di Gesù, dalla croce: « Padre, perdona loro perché non sanno quel che fanno » (Lc. 23,34). Anche S. Pietro, parlando al popolo, nel portico di Salomone, dopo la clamorosa guari- gione dello storpio, disse: « Io so che voi operaste per ignoranza, come anche i vostri capi » (At . 3, 17).

Ma sono rilievi ingannatori. Prima di tutto, Gesù non escluse la colpa, tanto è vero che chiese al Padre di « perdonare W . Né la escluse S. Pietro, tanto è vero che aggiunse: « Ravvedetevi dunque e conver- titevi perché si cancellino i vostri peccati >P (19). Inoltre le attenuanti, se vi sono, non eliminano la responsabilità grave. In fondo qualsiasi grande peccatore non sa pienamente « quello che fa », in quanto va incontro alla propria infelicità che non vorrebbe avere. Nel caso partico- lare del Sinedrio, l'ignoranza riguardava bensì la verità di Gesù come promesso Messia e tanto più come Dio. Essi non intesero certo di uc- cidere un Dio. Ma la responsabilità sta proprio in quella ignoranza la quale non era invincibile, come è provato dal fatto degli Apostoli e di tanti altri giudei che seguirono Gesù.

Vi fu cioè la grave responsabilità di non aver vinto, con l'aiuto della grazia, quella ignoranza. Su questo punto dobbiamo, d'altra parte, stare alla rivelazione, che svela i motivi viziosi di tale oscuramento. Gesù ha parlato chiaro. Le profetizzate punizioni sono esplicitamente legate alla colpa (Castighi « esemplari per l'umanità P, come dice il card. Bea, nel tentativo di non legarli alla colpa? « Esemplari » certa- mente; ma non lo sarebbero più, se fossero staccati dalla colpa): « Se non vi accolgono /.../ vi dico che Sodoma in quel giorno avrà sorte più tollerabile /.../ Guai a te Corozain! guai a te Betsaida, perché se in Tiro e Sidone fossero stati fatti i miracoli che sono stati fatti in voi, già da tempo /.../ avrebbero fatto penitenza /.../ E tu, Cafarnao, I.../ fino all'inferno sarai abbassata » (Lc. 10, 10-15); u Gerusalernme,

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Gerusalemme che uccidi i profeti e lapidi coloro che a te sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figlioli /.../ e voi non avete voluto! Ecco la vostra casa sarà abbandonata » (Lc. 13,34-35); « pian- se su di essa (Gerusalemme) dicendo: Ah! se avessi /.../ anche tu riconosciuto il messaggio di pace! Ma ormai è rimasto nascosto ai tuoi occhi /...I ti assedieranno, ti stringeranno da tutte le parti /.../ poiché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata n (Lc. 19,41-44). E, più direttamente, ecco le motivazioni peccaminose di quell'accecamento, rivelate da Gesù: « Sono le Scritture che rendono a me testimonianza /.../ Come potete credere voi, che andate in cerca di gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dal solo Dio? /.../ Se voi credeste a Mosè, credereste anche a me, perché egli di me ha scritto » (Gv. 5, 39.44.46); « se voi non credete che io sono, morirete nei vostri peccati /.../ Per qual ragione non comprendete il mio linguaggio? /...I Voi avete per padre il diavolo /.../ egli è mentitore e il padre della menzogna /.../ Voi non ascoltate le parole di Dio perché non siete da Dio » (Gu. 8'43.44.47). « Se non fossi venuto e non avessi loro parlato, non avrebbero colpa; ma ora non hanno scusa per il loro peccato ... Se non avessi fatto tra loro le opere che nessun altro ha fatto, non avrebbero colpa; ma ora, benché abbiano veduto, pure odiano me e il Padre mio n (Gv. 15,22.24). Confronto con la colpa di Pilato: « Chi mi ha consegnato nelle tue mani è più colpevole » (Gv. 19, 11). Gli ebrei rigettati: « Voi non credete perché non siete delle mie pecore » (Gv. 10, 26). Una sintesi generale, ovvia- mente riferibile, in particolare, ai condannatori di Gesù, è così espressa da S. Giovanni: « La luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano cattive. (Gu. 3, 19).

Analoga e illuminante, circa le responsabilità soggettive degli ebrei e, in particolare, del Sinedrio, è l'azione contro S. Stefano e la reazione di questi, illuminato dallo Spirito Santo, ampiamente descritta dagli Atti. Morì gridando a gran voce: u Signore non imputare a loro questo peccato » (7,40). V'è il perfetto eco delle prime parole del Signore dalla Croce. È la richiesta caritatevole del perdono per il peccato che era però effettviamente commesso. S. Stefano non nomina nemmeno le attenuanti della ignoranza che potevano, in qualche modo, esservi. Non manca anzi di svelare il colpevole atteggiamento interiore dei suoi carnefici: « O duri di cervice e incirconcisi di cuore e di orecchi: voi sempre contrastate con lo Spirito Santo. Come i padri vostri, così voi. Quale dei profeti i padri vostri non perseguitarono? Uccisero anche

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i preannunciatori della venuta del Giusto, del quale voi foste ora i tra- ditori e gli omicidi B (7,51-52).

Si insiste, sempre a riguardo della responsabilità soggettiva, che essa è nota solo a Dio: nessuno avrebbe quindi il diritto di giudicarla. Questo è vero in generale e in senso assoluto. Ma nel caso della re- sponsabilità giudaica per la condanna di Gesù, la responsabilità sog- gettiva risulta dalle parole di Gesù e dai testi scritturali sopra ricor- dati. Ma, anche a prescindere da essi, si devono usare, a riguardo di quegli eventi storici, i criteri di valutazione normali nelle indagini sto- riche, nelle quali i fatti vengono valutati nelle loro manifestazioni esterne e i personaggi giudicati in relazione ad esse. È sottinteso che la misura intima della responsabilità è vista e giudicata solo da Dio e proprio per questo essa trascende il piano storico. Ma il giudizio umano è invece legittimamente formulato sul piano storico. Precludersi quindi di giu- dicare gli ebrei che condannarono Gesù, per il fatto che Dio solo conosce appieno la intima responsabilità di ognuno è antistorico. La responsa- bilità va legittimamente affermata in base al comportamento storica- mente provato, oltre che, come ho già detto, in base alle parole di Gesù e alle affermazioni scritturali.

Nessun dubbio vi può essere quindi proprio sul fatto e la respon- sabilità del deicidio. Pur ammesse le attenuanti per la ignoranza (non però scusabile, come ho detto sopra), il deicidio risulta, sul piano obiet- tivo, come realtà owia, per il fatto che il condannato è Gesù uomo-Dio. I1 fatto, come tale, prescinde totalmente dal grado di responsabilità soggettiva degli uccisori. Anche supposto quindi il massimo delle at- tenuanti, nella linea della ignoranza della vera persona di Gesù, il dei- cidio sarebbe, sul piano delle responsabilità, colposo (cioè non propria- mente colpevole), ma ancora reale. L'esigenza, il dovere di un ricono- scimento riparatore del clamoroso misfatto obiettivamente compiuto, urgerebbe ugualmente per gli ebrei. La massima carità verso essi è ancora di richiamarli a questo supremo dovere. Ma, come ho già detto, l'ignoranza fu tutt'altro che incolpevole (della colleganza con i non direttamente responsabili, dirò tra poco).

È chiaro che, in merito al doveroso atteggiamento del proselitismo

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e della carità cristiana, cattolica, verso gli ebrei, si deve tener presente la certezza assoluta di fede cristiana della divinità di Cristo. Non si tratta del giudizio su un qualunque grande personaggio ma su colui che viene da centinaia e centinaia di milioni di cristiani adorato come Dio. Il riconoscimento o la negazione di tale personaggio e della sua missione assurgono quindi al massimo livello di drammaticità e ren- dono inammissibile il disinteresse sul problema da una parte e dal- l'altra.

Bisogna anche riflettere alla drammatica alternativa: o Gesù è veramente l'uomo-Dio, affermato dai cristiani o egli è un sacrilego ingannatore. È una alternativa che vale di fronte a qualsiasi posizione non cristiana, ma tanto più di fronte a quella ebraica (vedremo perché u tanto più e) . Ogni valutazione quindi - e ogni intesa reciproca - che induca a far dimenticare o a minimizzare tale alternativa costituisce un grave inganno e una offesa alle responsabilità fondamentali della verità e della fede.

La vera carità verso gli ebrei deve mirare quindi a farli riflettere su tale alternativa e sulla obiettiva tesi del deicidio, per sollecitare il ripensamento e la conversione a cui deve mirare il salutare proselitismo. Questo potrà bensì dispiacere frattanto agli ebrei: ma non offenderli se vedranno il disinteresse e l'amore che anima quelle sollecitazioni (a differenza di un antisemitismo anticristianamente animato dall'odio). Tutto considerato (e senza escludere la prudenza tattica) la leale fran- chezza sul proselitismo è la più desiderabile.

Su questo punto, d'altra parte, non si può dimenticare o rinnegare l'esempio apostolico, certamente ispirato (cfr. At. 4, 8, 3 1) dallo Spirito Santo. Eccetto quella attenuante (non scusante) della at ignoranza » (non incolpevole) addotta una volta sola da S. Pietro (At . 3, 17), questi ha sempre apostrofato tutti quegli ebrei come responsabili del grande misfatto, delineando implicitamente il decidio. Nel Cenacolo, alla Pen- tecoste: « O Giudei e voi tutti, abitanti di Gerusalemme /.../ Gesù di Nazareth, da Dio approvato con grandi opere e prodigi e portenti /.../ catturato per mano di iniqui, voi l'avete crocifisso e ucciso e Dio lo risuscitò /.../ Riconosca dunque fermamente tuttcr la casa d'Israele /.../ Signore e Messia questo Gesù che voi crocifiggeste /.../ con- vertitevi da questa generazione perversa (At . 2 , 14-40). Nel tempio, nel portico di Salomone, al popolo accorso dopo la guarigione dello storpio: u Dio ha glorificato il figlio suo Gesù che voi deste in mano di Pilato /.../ e chiedeste che vi fosse graziato un assassino. Voi ucci- deste l'autore della vita » (At . 3, 13-15). Arrestato con Giovanni, da-

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vanti al Sinedrio: « Sia noto a tutti voi e a tutto il popolo di Israele che nel nome di Gesù Cristo Nazareno, che voi crocifiggeste, e che Dio risuscitò dalla morte /.../ quest'uomo sta davanti a voi risanato. Egli è la pietra rigettata da voi edificatori, che è diventata la pietra angolare (cf. Ps. 118, 22); e in nessun altro è salvezza » (At 4, 10, 11). Liberati e tornati Pietro e Giovanni presso i discepoli, nella comune preghiera inalzata a Dio: « Sì, veramente si unirono in questa città contro il santo Figlio tuo Gesù, da te consacrato, Erode e Ponzio Pilato con le genti e con le plebi d'Israele » (At . 4, 27): e fu una preghiera sigillata da una nuova clamorosa effusione dello <4 Spirito Santo ~ . ( ~ l ) Di nuovo, davanti al Sinedrio, il sommo sacerdote, dimostrando di avere ben capito la predicazione degli Apostoli, contesta loro: « Volete far ricadere su di noi il sangue di quest'uomo P; e Pietro con gli Apostoli ribadisce: « I1 Dio dei padri nostri risuscitò Gesù, che voi uccideste appendendolo in croce » (At . 5, 28.30). Ancora Pietro a Cornelio Centurione: Noi siamo testimoni di tutte le cose che (Gesù) fece nella terra dei Giudei e in Gerusalemme; ed essi lo uccisero, configgendolo in croce » (At . 10, 39). Similmente S. Stefano davanti al Sinedrio: << Voi foste ora del Giusto i traditori e gli omicidi » (At . 7, 52). Così S. Paolo: a< Gli abitanti di Gerusalemme e i loro capi /.../ ne chiesero a Pilato la morte » (At . 13, 28).

Come si vede, è una martellante e costante denuncia della respon- sabilità obiettiva - e congiuntamente - subiettiua - giudaica, for- mulata sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, che sarebbe un inganno e contro la vera carità, far dimenticare. È quanto, del resto, afferma- rono gli stessi giudei, gridando a Pilato la celebre espressione che indica il riconoscimento della piena responsabilità e l'accettazione di tutte le conseguenze: a E tutto il popolo rispose: "Ricada il suo sangue su di noi e sopra i nostri figli" P (Mt. 27, 25; cfr. At. 18, 6): affermazione che, troppo tardi, cercarono poi di rinnegare davanti agli Apostoli (At. 5, 28).

Da notare anche che il richiamo all'ignoranza quale atte- nuante (benche non scusante) vi è solo nel discorso di Pietro al popolo comune, dopo la guarigione dello zoppo, a un uditorio cioè nel quale era più facile ammetterla in qualche misura e in circostanze che indu- cevano particolarmente a espressioni accattivanti di benevolenza.

E gli .&i giudei, di allora e di oggi? È ovvia la differenza di re- sponsabilità diretta. Basta pensare che, di contro agli uccisori di Gesù,

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molti giudei si convertirono, sicché le prime comunità di fedeli erano costituite da essi.

I1 problema va posto però per i non convertiti. Colpisce il fatto che nelle martellanti denunce dei crocifissori di

Gesù, gli Apostoli accumunarono sempre i capi e il popolo. È evidente che, quanto alla possibile buona fede e alla possibile ignoranza piena- mente scusante, esse possono essere assai più facilmente ammesse per il popolo che non era direttamente a conoscenza dei fatti e che giudicava in base alla autorità dei capi. Per il popolo quindi - di allora e di oggi - può valere largamente la distinzione tra piano soggettiuo e obiettivo. Ma, a prescindere dal grado di responsabilità soggettiva della ignoranza, la verità di Cristo e la tragedia del deicidio restano integre sul piano obiettivo e reclamano la riparazione su quello stesso piano. La carità verso gli ebrei reclama quindi di condurli a tale riparazione, al riconoscimento cioè del clamoroso errore compiuto, così da giungere alla auspicata conversione. Se si riflette alla suddetta fatale e suprema alternativa: o veramente uomo-Dio o sommo, sacrilego ingannatore; che non c'è via di mezzo; e che i giudei agirono attivamente secondo la seconda valutazione, si comprende come non sia ammissibil; la non- curanza o neutralità di giudizio ed urga per i Giudei la conversione riparatrice. La vera carità verso di essi non può quindi non tendere, in tal senso, al più fervido e sereno proselitismo.

L'ebreo attuale quindi, pur non avendo avuto alcuna parte attiva nel processo e nella condanna storica di Gesù, rifiutandosi di ricono- scerlo come Dio, non può non essere moralmente solidale con quella condanna e far proprio, in qualche modo, quel giudizio del Sinedrio come formulato verso un sacrilego e sommo ingannatore. Questo se vuol seguire una elementare coerenza.

Ma, a parte la coerenza logica - che alcuni potrebbero anche trascurare - v'è una ragione psicologica che dovette inclinare e gli antichi e gli attuali ebrei a solidarizzare senz'altro con l'atteggiamento di quel Sinedrio. È un popolo infatti caratterizzato da straordinaria unità per il mutuo compenetrarsi dei legami di sangue, di storia, di politica, di religione. Chi perde uno di questi legami (per essere caduto, per esempio, nella miscredenza e aver perduto quindi il convinto legame della religione) resta legato mediante gli altri, con il primario fonda- mento nel sangue e nella circoncisione (avvalorati da forte unità fami- liare e grande ostilità a matrimoni con non ebrei). Questa solidarietà non ha confronto con altri popoli perché permane nonostante la fram- mentazione di questo popolo nelle varie nazioni, assumendone le rispet-

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tive nazionalità (anche dopo la creazione d'Israele, dove sono confluiti soltanto 3,5 milioni di individui dei circa 15 milioni oggi esistenti). È una unità etnica che ha sfidato i millenni e che difficilmente si può spiegare senza un disegno della Provvidenza, perché si attui la profezia, gia ricordata, secondo cui, finalmente, dopo l'a accecamento di una parte d'Israele /.../ tutto Israele si salverà /.../ perché i doni di Dio e la vocazione di Lui sono irrevocabili » (Rm. 1 1, 25-29). Perché sia palese tale ritorno di Israele come tale, esso deve così mantenersi unito.

È una solidarietà quindi che fatalmente lega a quella antica con- danna di Gesù. Un semplice attuale silenzio, a tale riguardo, non rompe tale solidarietà. Occorre una pubblica sconfessione di essa. Sono state anche prese particolari iniziative in tale senso, ma con scarsa risonanza. Taluni hanno anche cercato di evadere da quella tremenda alternativa - o Dio o sacrilego ingannatore - ma facendo violenza alla storia e alla logica. Quella solidarietà fondamentale resta. I1 mondo cristiano giustamente attende una riparazione.

È contro la carità naskondere questo dovere al mondo ebraico.

Inutile dire quanto sia contro la carità l'antisemitismo di infausta memoria, con le violenze e le stragi, che arrivarono, in epoche moderne, ai u pogrom » (devastazioni, saccheggi) russi e alle stragi di A. Hitler. La verità richiede però di fare le necessarie distinzioni. La parola « antisemitismo », creata in ambiente tedesco circa un secolo fa, si rife- risce propriamente all'antiebraismo etnico-filosofico-sociale-razzista, non religioso, come era invece nel mondo antico e medievale, quando ostilità e tolleranza insieme si risolvevano, in definitiva, nelle segregazioni dei e ghetti », proseguiti anche in epoche moderne e infine aboliti.

È inoltre contro la carità della verità di considerare solo il ripro- vevole a antisemitismo » e non il reciproco e attivo anticristianesimo ebraico. Contro di questo può essere doverosa la difesa: purché la si intenda cristianamente senza alcun odio dell'avversario, anzi amanddo e bramandone la conversione, in soprannaturale spirito di proselitismo.

Questo u anticristianesimo » è storicamente innegabile, come pro- seguimento della ostilità del Calvario. Basta vedere negli Atti la siste- matica e furiosa ostilità dei giudei alla predicazione degli Apostoli e contro S. Paolo, in tutti i suoi viaggi, cioè anche nella diaspora. Ciò secondo la predizione di Gesù: u Vi cacceranno dalle sinagoghe; anzi viene l'ora che chiunque vi uccide penserà di rendere culto a Dio.

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E tutto ciò faranno perché non hanno conosciuto né il Padre né me » (Gu, 16, 2-3; cfr. 9, 22). Ed ecco Pietro e gli Apostoli ripetutamente catturati, minacciati, flagellati; ecco il martirio di Stefano e la u grande persecuzione contro la Chiesa che era in Gerusalemme » (At. 8, 1) e il martirio di Giacomo (12, 2-3). Ecco Paolo perseguitato a morte: Darnasco: « I giudei si accordarono di ucciderlo » (9, 23); Gerusalem- me: u gli Ellenisti tramavano di ucciderlo >p (9, 29); Antiochia di Pisi- dia: « I giudei, vedendo la folla si riempirono di malanimo e presero a contraddire con oltraggiose parole », u istigarono le donne pie e rag- guardevoli e i più influenti della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba e li cacciarono dai loro confini » (13, 45.50); Iconio: molti giudei credettero, « ma i giudei rimasti increduli eccitarono e irritarono gli animi dei Gentili contro i fratelli », « ci fu, da parte dei pagani e dei giudei con i loro capi, un tentativo di maltrattarli e lapidarli (gli Apostoli) » (14, 2.5); Listra: a< Sopraggiunsero da Antio- chia di Pisidia e da Iconio dei giudei i quali, tirata dalla loro parte la folla, lapidarono Paolo e lo trascinarono fuori della città, credendolo già morto » (14, 19); Tessalonica: « I giudei, pieni d'astio, presero con sé alcuni ribaldi di piazza e, fatta folla, misero a tumulto la città, /...)/ gridando: Costoro, dopo aver posto sossopra il mondo, sono venuti anche qua /.../ ribelli contro i decreti di Cesare, proclamando che c'è un altro re, Gesù » (17, 5-7); Berea: « I giudei di Tessalonica vennero anche là a scuotere e agitare le turbe » (17, 13); Corinto: a< I giudei gli si opponevano e lo ingiuriavano /.../ insorsero unanimi contro Paolo e lo trassero al tribunale, dicendo: Costui persuade la gente a rendere a Dio un culto contrario alla legge » (18, 12-13); ancora in Grecia: « i giudei gli tesero insidie, mentre era in procinto di salpare per la Siria » (20, 3); Mileto: Paolo ricorda « le lacrime e le prove che gli soprav- vennero per le insidie dei giudei » (20, 19); Gerusalemme: a I giudei dell'Asia, veduto Paolo nel tempio, sobillarono tutta la folla /.../ e impadronitisi di Paolo / . . ./ tentavano di ucciderlo / . . ./ Togli dal mondo costui: non è degno di vivere /.../ I giudei ordirono una con- giura e si votarono con anatema a non mangiare e non bere finché non avessero ucciso Paolo » (21, 27.30.31; 22, 22; 23, 12; 26, 21).

Questo anticristianesimo combattivo non può non essere perma- nentemente radicato, sia pure in varia misura, nella mentalità e prassi ebraica, perché fondato su quella drammatica alternativa: o il vero, atteso Messia, uomo-Dio o il più sacrilego mentitore. Esclusa la prima ipotesi non resta logicamente che la seconda che non può non esten- dersi, in qualche modo, al cristianesimo e suscitare verso di esso una

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fondamentale opposizione, capace anche di traboccare in tenace odio e disprezzo, come e più che per i generici non ebrei ( a goyim »), secondo la mentalità (male interpretata) dell'Antico Testamento. Va tenuta inoltre presente la concezione ebraica del Salvatore promesso come trionfatore terreno, che deformò l'interpretazione delle profezie e ostacolò la com- prensione di Gesù. I1 perdurare attuale di tale concezione può deter- minare indubbiamente una qualche tendenza ebraica al dominio terreno universale, facilitato dalla contemporanea presenza nelle varie nazioni, dalla emergenza scientifica di varie personalità e soprattutto dalla grande potenza economica internazionale, oltre che dalla massiccia presenza negli Stati Uniti di ebrei, particolarmente ricchi e potenti. Naturalmente questa tendenza al dominio non affiora ugualmente alla coscienza dei singoli, o non affiora affatto, data anche la moderna variabilissima partecipa- zione all'unità ebraica, sovente estranea alla vera adesione religiosa (tanto che alcuni, per esempio, identificano oggi tutta la realtà del Messia con il costituito e consolidato Stato d'Israele). Per rendere però il fenomeno importante e preoccupante basta che riguardi settori parti- colari e gruppi particolari ebraici, particolarmente potenti. E comunque si tratta di una tendenza sempre latente.

Tale tendenza induce purtroppo a stabilizzare la psicologia ebraica, in antitesi all'orientamento di conversione. È quindi mancanza di carità verso il mondo ebraico di nasconderla e non denunciarla. I1 mondo cattolico, d'altra parte, ha il dovere prudenziale di tenere presente que- sto pericolo potenziale o attuale contro l'« ovile » di Cristo.

Ed è ingiusto e unilaterale, ad ogni modo, di condannare soltanto l'antisemitisrno, dimenticando l'anticristianesimo, che l'ha preceduto e l'accompagna.

I1 primato della vocazione salvifica ebraica è, alla luce della Scrit- tura, evidente. Ma è fonte di tanti equivoci, quando si prescinda dal fatto discriminante del rifiuto e della condanna di Gesù. Già toccammo il fatto di tale « primato » in relazione al « proselitismo ». Va ora un po' approfondito.

Dovendo il profetizzato Messia e Salvatore nascere dal seno del popolo ebraico, questo popolo si presentava come prediletto da Dio e ovviamente doveva essere il primo oggetto della rivelazione salvifica di Gesù. « Andate prima alle pecore sperdute della casa d'Israele » (Mt. 10, 6)' disse infatti Gesù agli Apostoli. E ribadì con forza tale

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primato e precedenza dei Giudei rispondendo iperbolicamente alla Ca- nanea: << Io sono stato mandato soltanto alle pecore perdute della casa d'Israele (Mt. 15, 24). Così S. Pietro, alla folla radunata dopo la gua- rigione dello zoppo: << Gesù, a voi è stato destinato per Messia /...l A voi per primi Iddio lo ha inviato a recarvi benedizione, convertendosi ciascuno di voi dalle sue iniquità (At. 3, 20.26). Così S. Paolo ad Antiochia di Pisidia: << O fratelli, figli della stirpe di Abramo e chiunque tra voi teme il Signore ( e proseliti D o quasi): il verbo della salvezza fu inviato per noi /.../ A voi per primi era necessario che fosse detta la parola di Dio D (At. 13, 26.46).. E nella lettera ai romani: Agli Israeliti appartiene l'adozione in figlioli, e la gloria e le alleanze e la legislazione e il culto e le promesse; a cui appartengono i patriarchi e da cui è nato Cristo quanto alla carne (Rm. 9, 4-5).

Ma quale conseguenza trarne? Non certo l'assoluzione o le maggiori attenuanti per il misfatto del Calvario, ma immense aggravanti, per lo meno obiettive, per il rifiuto e la condanna del Redentore, profetizzato e nato dal proprio seno: a Spunterà il germoglio di Jesse (dalla stirpe di Davide, ultimogenito di Jesse) » (Rm. 15, 12; Is. 11, 1). Così per esem- pio il traditore Giuda fu immensamente privilegiato essendo stato anno- verato tra i << dodici D; ma proprio per questo fu tanto più colpevole come traditore: << Colui il quale mangia il mio pane ha levato il calcagno contro di me B (Gv. 13, 18); Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell'uomo? » (LE. 22, 48) (SI. 41, 10; 55, 13-15).

I1 primato salvifico diviene, col rifiuto, primato di condanna.

La vocazione permanente che giustamente si attribuisce ai Giudei acquista allora il suo chiaro significato. Interpretarla come identica mis- sione e identica benevolenza divina verso di essi, così prima come dopo il Calvario, è assurdo e offensivo gravemente della divina paternità e giustizia.

Non esistono infatti due economie della salvezza, ma solo quella nel Figlio unigenito inviato a tale fine dal Padre (a cui si collega, in modo riduttivo e implicito chi lo ignori in buona fede): << Io sono la via la verità e la vita: nessuno può andare al Padre se non per mezzo mio (Gv. 14, 6); << La pietra (riferimento a SI. 118, 22 S.) che i co- struttori hanno rigettata è riuscita in capo all'angolo ... Chi cadrà su questa pietra si sfracellerà e colui sul quale essa cadrà lo stritolerà » (Mt. 21, 42.44). S. Pietro al popolo: a Ogni anima che non avrà ascol-

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tato quel profeta sarà sterminata di mezzo al popolo » (At. 3, 23); al Sinedrio: ac Egli è la pietra rigettata da voi edificatoti, che è diventata la pietra angolare: e in nessun altro è la salvezza, perché non vi è sotto il cielo altro nome dato agli uomini per il quale possano essere salvi » (h. 4, 11-12; cfr. 1 Pt. 2, 6-8). Lo ribadisce S. Paolo in Rm. 9, 31-33.

Sono verità essenziali della rivelazione che per nessuna ragione possono essere dimenticate o fatte dimenticare.

Non viene con ciò minimamente negato quanto S. Paolo dice de- gli Ebrei, circa la « irrevocabilità dei doni di Dio e della vocazione di Lui » (Rm. 11, 29) cui ho già ripetutamente accennato: purché la si intenda rettamente e non come un loro permanere attuale nello stesso rapporto con Dio che avevano prima della condanna di Gesù. Non è leale che a favore degli Ebrei si ripetano spesso queste parole di S. Pao- lo, nella lettera ai Romani, falsificandone il senso, il quale invece è chiaramente e ampiamente spiegato in tale lettera. Vi si parla infatti di a< giusta punizione » (9), di « rami stroncati /.../ dalla santa radice » (16-17)) a recisi per la loro incredulità » (20)) di « perdurante acceca- mento di una parte d'Israele (coloro che non hanno riconosciuto Cri- sto) >P (25); ma che (ecco la « irrevocabilità » e lo scopo del proselitismo), saranno « se non persistono nella incredulità /.../ innestati di nuovo » (23), ossia saranno dopo il u ripudio / .../ riammessi 1.. ./ riacqui- stando vita da morte » (15).

Può servire, a chiarimento della bene intesa « irrevocabilità » la vocuzione universale - anch'essa irrevocabile - alla salvezza, che ri- guarda tutti ed è testificata in 1 Tm. 2,4.6: u Dio, nostro Salvatore vuole che tutti si salvino »: « Gesù per tutti ha dato se stesso come riscatto N. Chi, peccando, perde la grazia non è più in stato attuale di salvezza; ma rimane nella economia della salvezza fino a che vive, venendo stimo- lato alla conversione dalla divina misericordia: « Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi » (Lc. 5, 32). Dio non prosegue ad amare il grande peccatore in quanto tale, non prosegue a volerne la salvezza lasciando che esso resti tale, ma in quanto lo vede candidato alla conversione e lo stimola ad essa fino al termine della vita. Ma se la conversione sarà definitivamente rifiutata allora la a irre- vocabilità n della vocazione salvifica si trasformerà nella « irrevocabi- lità » della condanna: u Via da me, operatori di iniquità W , u maledetti » (Mt. 7, 23; 25, 41).

Il già ricordato esempio di Giuda è emblematico. La misericordiosa volontà salvifica emerse per lui nel continuo richiamo di Gesù. Fu un richiamo fortissimo: « tra voi alcuni non credono ... uno di voi è un

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diavolo » (Gv. 6, 64.70); e incalzante: Gu. 13, 10.18.21.26.27. Giunse fino a chiamarlo u amico » (Mt. 26, 50) nel momento del tradimento e di farsi da lui baciare (h. 22, 48). Cessò quando l'antico prediletto Apostolo, resistendo ai continui richiami e alla divina grazia, conchiuse il tradimento, anziché col pentimento, con la morte disperata.

Anche con gli ebrei, continui divini richiami, cadute, richiami, fino all'indurimento e al rifiuto deicida. Rispetto al caso di Giuda e di ogni singolo dannato v'è tuttavia per i Giudei questa fondamentale differenza. Per i singoli il ciclo di prova e di esercizio della divina volontà salvifica si chiude con la morte. Per gli ebrei, sostanzialmente compatti nella loro unità, intesi non come individui, ma come popolo, il periodo di prova continua e vi è il preannuncio profetico che verrà il momento in cui, finito l'a accecamento n, u tutto Israele si salverà .à»

( h . 11, 26): : e ciò perché a essi sono amati per ragione dei padri loro » (11, 28).

Niente di più dannoso per gli Ebrei che nasconder loro o far dimenticare queste fondamentali verità rivelate, lasciandoli nella illu- sione di essere attualmente prediletti da Dio come prima del Calvario.

La vera carità verso di essi è di sollecitare con la preghiera e I'illu- minato u proselitismo >P quel profetizzato ritorno salvifico.

Dipendenxa ebraica del cristianesimo, così da aversi una unica linea ebraico-cristiana, e da risultare il u douere della carità e della gratitudine per tutto quanto abbiamo ricevuto da quel popolo m (Card. Bea), a cominciare da Gesù e Maria che erano ebrei: sono le conclusioni in voga dei difensori degli Ebrei e degli antiproselitisti. Non sono affermazioni del tutto errate. Ma sono tremendamente unilaterali ed equivoche, tali da falsare completamente le prospettive, le relazioni cristiano-ebraiche e la vera carità verso gli ebrei.

Tutto l'equivoco nasce dalla dimenticanza della frattura determi- natasi nella storia ebraica con la tragedia del Golgota, quando furono u stroncati i rami m che erano uniti alla u santa radice » (h. 11, 16-17): il che avvenne direttamente per opera di quei soli condannatori di Gesù, ma staccò per solidarietà dalla linea profetica e redentiva tutto il popolo che tuttora non riconosce Gesù.

Certo: u unica linea ebraico-cristiana m. Ma con I'ebraismo antece- dente a quel crollo, dalla cui linea profetica si è staccato, per u acceca- mento » (Ram. 11, 25), l'attuale ebraismo. Proprio in quella linea esso

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è stato sostituito, come popolo eletto, dal cristianesimo. È quindi un banale equivoco di parlare di quanto dobbiamo a quel popolo, senza distinguere il prima e dopo la tragica frattura. È un banale equivoco sfruttare quanto dobbiamo a quell'antico popolo profetico per alimen- tare la simpatia per questo popolo attuale. Non possiamo certo essere grati all'ebraismo attuale per il rifiuto di Cristo.

E se riflettiamo che tutta la precedente storia di quel popolo e tutta la Scrittura del1'A.T. erano preparatorie e profeticamente indica- trici del Redentore si comprende tutta la gravità e la sciagura di quel rifiuto. E si comprende anche la piena sostituzione del « popolo eletto u, divenendo tale il « popolo cristiano » che ha compiuto quel supremo riconoscimento e seguito il Messia promesso. In particolare, che Gesù e Maria siano ebrei, non è, per gli ebrei stessi, obiettivamente e sogget- tivamente, che un'enorme aggravante di quel rifiuto; come è, d'altra parte, la conferma del trasferimento del popolo eletto nel mondo cri- stiano, precisamente in quanto innestato nell'ebreo uomo-Dio Gesù.

Questo trasferimento fu evidenziato, storicamente e liturgicamente nell'ultima cena, appositamente compiuta nella Pasqua giudaica. I1 tran- sito avvenne quando, compiuta la cena giudaica, si passò alla cena e alla immolazione eucaristica. Alla figura, l'agnello animale, si sostituì la realtà salvifica dell'Agnello divino.

Sono verità supreme su cui è assurdo sorvolare. È crudeltà verso gli Ebrei nasconderle. Salvi i modi opportuni, è suprema carità ricordarle.

PIER CARLO LANDUCCI

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INDICE GENERALE

7 Testo conciliare

8- 12 Commenti: card. Bea, Sua Ecc.za Carli

15 Trattazioni: card. Journet 17- 36 Autori giudaici: R. Fabris, C. Caprile, Iules Isaac

Note bibliografiche

ESEGESI DEI TESTI

27- 29 A. Sintesi per il N.T. di Ph. Menoud

30- 38 L'Alleanza: tutto il V. T. tende a Cristo, ha il suo compi- mento in Cristo ...

39- 50 Evangeli : falsa concezione messianica dei giudei.. . 51- 67 Loro opposizione al Cristo e responsabilità per la Sua morte ...

IL CRISTIANESIMO E GIUDAISMO IN SAN PAOLO

68- 79 S. Paolo testimone dell'Evangelo ... 80- 82 Lettera ai Galati ... 83-106 Lettera ai Romani ...

107- 1 1 1 Mons. Pier Carlo Landucci.. . 112-126 Suo articolo: La vera carità verso il popolo ebraico ...

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Finito di stampate

per conto deiie Edizioni Krinon - Caltanissetta daila L.I.S. s.r.1. - Palermo

Marzo 1987

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EDIZIONI KRINON Via Libertà, 186 - Tel. (0934) 51973

93 100 CALTANISSETTA

don Ernesto Zucchini

SINTESI DELL'IDEOLOGIA DELLA SETTA DEI TESTIMONI DI GEOVA

pp. 70, L. 4.000

« I1 volumetto [...l offre una trac- cia di conferenza, breve ma vigoro- sa, sulla problematica dottrinale del geovismo, traccia che [...I può co- stituire uno schema per l'organiz- zazione di incontri e di seminari, che la diffusione sempre maggiore dei testimoni di Geova in Italia rende ormai non solo opportuna ma in- dispensabile [. . .] ».

Giovanni Torti

NOVA ET VETERA

Ricognizioni fra tradizione e modernità

pp. 77, L. 6.000

« ... NOVA ET VETERA merita un'am- pia diffusione fra i cattolici perché fornisce utili categorie a chiunque intenda onestamente cercare il vero, il bene, il bello ... ».

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Qual è la dottrina cattolica di fronte al problema ebraico? Cos'è il giudaismo? Gli ebrei sono deicidi? I l primato salvifico del popolo ebraico, dopo i l rif iuto e la crocefissione di N. S. Gesù Cristo, diviene primato di condanna? La posizione di predilezione degli ebrei è uguale prima e dopo i l calvario? Ci sono verità supreme su questo problema sulle quali è assurdo sorvolare. E' crudeltà nasconderle! Un insigne biblista affronta con coraggio in questo libro i l tema, senza complessi e t imori di essere controcorrente ma avendo come obiet- t ivo la verità. Un'opera di grande valore dottrinale e fondata su un'enorme docu---,. mentazione affronta i l cuore del problema.

Mons. Francesco SPADAFORA, laureato in scienze bibliche, è do- cente universitario. Giornalista e scrittore di grande valore, ha curato per l'Enciclopedia Cattolica circa cento voci riguardanti il Vecchio e i l Nuovo Testamento ed è stato redattore della N Bibliotheca Sanctorum m. Fra i l grande numero di opere da lui pubblicate ricordiamo: Ezechiele (3 edizioni]. Temi di esegesi. I Pentecostali e i Testimoni di Geova (5 edizioni]. Dizionario Biblico (3 edizioni]. Attualità bibliche. L'Euca- restia nella S. Scrittura. Le parole del Signore. Pilato. La Chiesa di Cristo e la formazione degli Apostoli. Suor Elena Aiello "a monaca santa". S. Paolo alla conquista dell'lmpero, ecc ... Ha collaborato al quotidiano .Il Tempo. e all '~<Osservatore Romano.; ha scritto sulle riviste W Palestra del Clero e cc Renovatio m.

L. 15.000 (IVA compresa)