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GESTIONE DELLA SOLUZIONE NUTRITIVA NELLE COLTIVAZIONI FLORICOLE FUORISUOLO: ASPETTI AGROAMBIENTALI * Stefania De Pascale, Albino Maggio e Giancarlo Barbieri Dipartimento di Ingegneria agraria e Agronomia del territorio Università degli Studi di Napoli Federico II Via Università, 100 – 80055 Portici (Napoli) Tel.: 0817753756/3912 Fax: 0817755129 E-mail: [email protected] Introduzione Le colture senza suolo, nate per consentire coltivazioni intensive anche in assenza di terreni idonei (sia per le loro caratteristiche originarie, sia per i fenomeni di stanchezza) rappresentano l’elemento chiave nella ricerca di una soluzione integrata ai problemi che la serricoltura in Italia, e più in generale nei Paesi del Bacino Mediterraneo, deve ancora risolvere: - difficoltà di programmazione delle produzioni nell’arco dell’anno; - richiesta di standard qualitativi costanti ed elevati; - riduzione dei costi di gestione, soprattutto in relazione ai fabbisogni di manodopera; - risparmio energetico; - rilevante impatto ambientale legato allo smaltimento di notevoli quantitativi di materiali reflui, solidi (plastica per la copertura, per contenitori, substrati ecc.) e liquidi (acque con nutritivi e residui di fitofarmaci). Tali problemi sono stati fino ad oggi affrontati secondo un approccio che tende a mantenere distinti i vari aspetti e le soluzioni individuate coinvolgono accorgimenti e tecniche differenti, scarsamente o per niente integrate tra loro (Soressi et al., 1992). L’adozione delle coltivazioni senza suolo, viceversa, consentirebbe strategie di intervento globali finalizzate all’individuazione di sistemi di produzione “chiusi” in cui apporti e perdite siano regolati in modo da massimizzare l’efficienza di utilizzazione degli input minimizzando gli output (Pardossi, 1993). Se si considera l’esigenza di crescente automazione e la necessità di ridurre l’inquinamento, l’adozione di queste tecniche appare quasi una naturale evoluzione delle colture protette. In particolare i recenti provvedimenti legislativi rivolti a penalizzare le attività produttive “inquinanti” rendono impellente il passaggio a coltivazioni più rispettose dell’ambiente (van Os, 1995). Trattandosi, tuttavia, di sistemi tecnologicamente avanzati per raggiungere gli obiettivi prefigurati essi richiedono investimenti elevati e la corretta gestione di tutti i fattori coinvolti nel processo produttivo. Il ricorso alle tecniche di coltivazione senza suolo deve, infatti, accompagnarsi a studio di strutture e di protezioni più efficienti e durature, riduzione dell'uso dei pesticidi, sviluppo di nuovi e più efficaci sistemi di controllo della nutrizione idrica e minerale, adozione di tecniche di climatizzazione, aumento del livello di automazione, ecc. Si tratta dunque di realizzare un processo di “industrializzazione” della serricoltura, finalizzato alla standardizzazione dei sistemi produttivi e delle produzioni (in senso quantitativo e qualitativo) ed alla riduzione dell'impatto ambientale (Martignon e Pardossi, 1993). Aspetti agroambientali Volendo schematizzare le possibili fonti di inquinamento o interventi determinanti un impatto ambientale di rilievo legati ad una moderna attività floro-vivaistica punti critici risultano: 1

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GESTIONE DELLA SOLUZIONE NUTRITIVA NELLE COLTIVAZIONI FLORICOLE FUORISUOLO: ASPETTI AGROAMBIENTALI*

Stefania De Pascale, Albino Maggio e Giancarlo Barbieri Dipartimento di Ingegneria agraria e Agronomia del territorio Università degli Studi di Napoli Federico II Via Università, 100 – 80055 Portici (Napoli) Tel.: 0817753756/3912 Fax: 0817755129 E-mail: [email protected] Introduzione

Le colture senza suolo, nate per consentire coltivazioni intensive anche in assenza di terreni idonei (sia per le loro caratteristiche originarie, sia per i fenomeni di stanchezza) rappresentano l’elemento chiave nella ricerca di una soluzione integrata ai problemi che la serricoltura in Italia, e più in generale nei Paesi del Bacino Mediterraneo, deve ancora risolvere: - difficoltà di programmazione delle produzioni nell’arco dell’anno; - richiesta di standard qualitativi costanti ed elevati; - riduzione dei costi di gestione, soprattutto in relazione ai fabbisogni di manodopera; - risparmio energetico; - rilevante impatto ambientale legato allo smaltimento di notevoli quantitativi di materiali reflui,

solidi (plastica per la copertura, per contenitori, substrati ecc.) e liquidi (acque con nutritivi e residui di fitofarmaci). Tali problemi sono stati fino ad oggi affrontati secondo un approccio che tende a mantenere

distinti i vari aspetti e le soluzioni individuate coinvolgono accorgimenti e tecniche differenti, scarsamente o per niente integrate tra loro (Soressi et al., 1992). L’adozione delle coltivazioni senza suolo, viceversa, consentirebbe strategie di intervento globali finalizzate all’individuazione di sistemi di produzione “chiusi” in cui apporti e perdite siano regolati in modo da massimizzare l’efficienza di utilizzazione degli input minimizzando gli output (Pardossi, 1993).

Se si considera l’esigenza di crescente automazione e la necessità di ridurre l’inquinamento, l’adozione di queste tecniche appare quasi una naturale evoluzione delle colture protette. In particolare i recenti provvedimenti legislativi rivolti a penalizzare le attività produttive “inquinanti” rendono impellente il passaggio a coltivazioni più rispettose dell’ambiente (van Os, 1995).

Trattandosi, tuttavia, di sistemi tecnologicamente avanzati per raggiungere gli obiettivi prefigurati essi richiedono investimenti elevati e la corretta gestione di tutti i fattori coinvolti nel processo produttivo. Il ricorso alle tecniche di coltivazione senza suolo deve, infatti, accompagnarsi a studio di strutture e di protezioni più efficienti e durature, riduzione dell'uso dei pesticidi, sviluppo di nuovi e più efficaci sistemi di controllo della nutrizione idrica e minerale, adozione di tecniche di climatizzazione, aumento del livello di automazione, ecc.

Si tratta dunque di realizzare un processo di “industrializzazione” della serricoltura, finalizzato alla standardizzazione dei sistemi produttivi e delle produzioni (in senso quantitativo e qualitativo) ed alla riduzione dell'impatto ambientale (Martignon e Pardossi, 1993).

Aspetti agroambientali Volendo schematizzare le possibili fonti di inquinamento o interventi determinanti un impatto

ambientale di rilievo legati ad una moderna attività floro-vivaistica punti critici risultano:

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- la gestione dell’acqua; - la gestione della nutrizione delle colture; - la gestione della difesa delle colture.

In particolare, il notevole inquinamento legato alla dispersione nell'ambiente di grossi quantitativi di fertilizzanti (fino ad alcune tonnellate per ettaro all'anno) rende necessaria una più accurata gestione della soluzione nutritiva (Soressi et al., 1993).

Con riferimento al primo punto, i sistemi di coltivazione possono essere considerati come composti da tre sotto-sistemi strettamente interconnessi: - il complesso contenitore/substrato; - le interazioni pianta-ambiente; - la rete di distribuzione idrica.

Non si può esaminare singolarmente uno di questi fattori, ma bisogna considerarli nella loro globalità. Il substrato non può, ad esempio, essere valutato separatamente dal contenitore la cui geometria (volume, inclinazione delle pareti, rapporto volume/altezza), capacità di lasciar defluire il percolato e di mantenere un buon isolamento dal terreno, inerzia termica, ecc. interagiscono e condizionano profondamente la sua funzione e funzionalità (Serra, 1992).

In relazione al mezzo di coltura impiegato le tecniche di coltivazione senza suolo possono essere distinte in: - coltivazioni in "mezzo solido" (substrato); - coltivazioni in "mezzo fluido".

Le prime sono quelle basate sull’uso di substrati naturali o artificiali (perlite, lana di roccia, ecc.) con impianti di microirrigazione o subirrigazione, mentre le seconde sono effettuate in canalette senza substrato con ricircolo della soluzione nutritiva (Nutrient Film Technique, Floating, Aero-(Idro)-ponica, ecc.).

Nel caso delle coltivazioni su substrato, determinante ai fini della gestione della nutrizione idrica e nutritiva è la scelta del substrato per le implicazioni tecniche, economiche e di ecocompatibilità che essa comporta.

La scelta del substrato deve essere effettuata sulla base della valutazione di una serie di caratteristiche: - la massa volumica apparente (ottimale tra 200 e 500 kg m-3); - la durata nel ciclo e nel tempo; - la possibilità di riciclaggio; - la reperibilità costante in loco; - il costo per unità di superficie coltivata (valutando il diverso volume necessario variabile a

seconda del sistema); - la costituzione che deve garantire un sufficiente ancoraggio da parte della pianta; - la struttura che deve essere caratterizzata da una più accentuata porosità rispetto al normale

terreno agricolo e una buona capacità di ritenzione idrica. La struttura deve, inoltre, mantenersi stabile nel tempo e resistere al compattamento ed alla riduzione di volume in fase di disidratazione che potrebbe causare la rottura delle radici. Un substrato ideale per le colture in contenitore dovrebbe avere un volume lacunare del 75% rappresentato per il 30-35% dalla fase gassosa, porosità libera, e per il restante 40-60% da quella liquida; con questi valori si garantisce un grado di restringimento non superiore al 30% del volume;

- la ritenzione idrica deve essere tale da assicurare livelli di umidità del substrato costanti e ottimali per le colture; se eccessiva può determinare problemi di asfissia radicale e di raffreddamento del mezzo di coltura;

- nel fuorisuolo si preferiscono substrati con una Capacità di Scambio Cationico (CSC) possibilmente nulla, in modo da poter gestire gli elementi nutritivi in modo ottimale con minore rischio di aumentare la salinità e la conducibilità elettrica del substrato. Tale proprietà è direttamente legata al "potere tampone", cioè la resistenza che il substrato stesso oppone a bruschi cambiamenti di pH. In generale, i materiali organici, al contrario di quelli minerali,

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presentano un'elevata CSC e un alto potere tampone. Di conseguenza, gli interventi irrigui e la concimazione devono essere commisurati alla composizione del substrato, oltre che alla diversa sensibilità o tolleranza alla salinità della specie coltivata; per la maggior parte delle specie coltivate va ricordato che la conducibilità elettrica dell'estratto saturo del substrato varia da 1.2 dS m-1 (floricole e fragola) a 8.0 dS m-1 (orticole);

- il pH del substrato in fuorisuolo con materiali inerti ha un’importanza relativa, perché risulta determinante l’influenza del pH della soluzione nutritiva;

- contenuto di elementi nutritivi equilibrato; si può ritenere soddisfacente un rapporto N:P:K di 1:1:1, per terricciati organici. La dotazione di nutrienti deve essere nota e, in molti casi, si preferisce un substrato povero o chimicamente inerte in modo da poter facilmente aggiungere alla soluzione nutritiva gli elementi fertilizzanti, in rapporto alle esigenze specifiche e allo stadio di sviluppo della pianta; in fuorisuolo i substrati inerti devono essere senza elementi nutritivi per non interferire con le soluzioni nutritive;

- potere isolante elevato, al fine di ridurre le escursioni termiche del substrato. Questa proprietà è direttamente correlata alla Capacità di Ritenzione Idrica (CRI). E’ noto, infatti, che l'aumento di temperatura e le escursioni termiche di un substrato sono tanto minori quanto maggiore è il suo contenuto d'acqua;

- sanità: il substrato deve essere privo di agenti patogeni (nematodi, funghi, insetti, ecc.), sostanze di origine naturale o residui dell'attività agricola o di altre attività (es. industriale) potenzialmente fitotossici. Alcuni materiali inerti come l'argilla espansa, lana di roccia, vermiculite, perlite, polistirolo presentano garanzie di sanità in virtù dei trattamenti subiti durante il ciclo di lavorazione industriale. Per molti substrati d'origine naturale (esempio cortecce, terricci di foglie, fibra di cocco, ecc.), la possibile presenza di patogeni e/o sostanze fitotossiche rappresenta un problema reale;

- volume minimo/pianta, in relazione alla specie e al clima e riferito ad un minimo di riserva idrica (minimo 2 litri/pianta di soluzione nutritiva). Si calcola semplicemente dividendo il volume minimo di substrato adatto alla specie per la capacità di ritenzione idrica del substrato;

- il substrato infine deve essere di costo contenuto, di facile reperibilità e standardizzabile dal punto di vista chimico-fisico, nel tempo e nello spazio.

Alcune delle principali caratteristiche fisiche e fisico-chimiche dei più comuni substrati impiegati in fuori suolo sono riportate nella Tabella 1. I valori indicati sono solo orientativi a causa della elevata variabilità dovuta sia alla granulometria del substrato che può influenzare le caratteristiche di porosità e di ritenzione idrica, sia della mancanza di metodi di analisi standard adatti a queste tipologie di substrato (Tesi et al., 1985). Tra i diversi substrati di coltivazione sono da preferire quelli facilmente reperibili in loco, a prezzi contenuti, maneggevoli e con ridotto impatto ambientale (in termini di facilità e possibilità di smaltimento).

Nelle colture su mezzo solido il mantenimento nel substrato di un valore del contenuto idrico che renda massima la produzione, limitando nello stesso tempo le perdite di percolazione, permette di ridurre la dispersione di acqua e di elementi nutritivi e l’impatto del sistema produttivo sull’ambiente. Caratteristiche fisiche del substrato come la porosità e la capacità di ritenzione influenzano l’inerzia idrica e la dinamica della soluzione nutritiva, determinano il calcolo della frequenza, la modalità e l'entità degli apporti di acqua dell’impianto ed i volumi di percolato. Tali volumi possono, infatti, essere notevolmente diversi tra i differenti substrati e miscugli utilizzati in fuorisuolo (Tab. 2): in sistemi di coltivazione a ciclo aperto di gerbera i migliori risultati produttivi sono stati ottenuti su pomice erogando volumi giornalieri di soluzione compresi tra 1.5 e 1.7 l m-2, operando su substrato a base di torba e pomice il volume ottimale è risultato di su 1.9 l m-2, mentre su argilla espansa il miglior risultato produttivo si ottiene con il regime di erogazione più elevato (2.4 l m-2) (Fig. 1). Queste differenze implicano volumi cumulati di soluzione nutritiva sostanzialmente diversi con uno spreco di soluzione nutritiva stimabile intorno a 2520 m3 ha-1 utilizzando argilla espansa invece di pomice e di 1800 m3 ha-1 per un miscuglio a base di torba e pomice (Malorgio et al., 1994).

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Nella scelta dei substrati va inoltre considerata la possibilità di utilizzare miscugli con proprietà fisiche ed idrologiche modulabili (Fig. 2) e che garantiscono una migliore gestione della soluzione nutritiva, limitando la sua dispersione nell’ambiente circostante (Bibbiani, 1996).

Relativamente alle specie floricole numerose esperienze sono state condotte anche in Italia per la verifica della possibilità di utilizzazione dei substrati più diversi: argilla espansa, perlite, pomice, pietrisco, vinaccia, ecc. con riscontri produttivi interessanti, anche quando utilizzati per più cicli colturali successivi.

In prove effettuate su rosa (Tab. 3) sono stati messi a confronto corteccia di pino, perlite, vinacce e lana di roccia e non sono state evidenziate differenze significative nella produzione di fiori recisi (Carletti et al., 1992). Allo stesso modo (Tab. 4) non sono state osservate differenze significative in termini di numero di fiori per pianta in garofano miniatura coltivato su argilla espansa, lana di roccia, perlite o pomice (Malorgio et al., 1992). Anche il confronto tra perlite e lapillo romano non ha fatto registrare differenze significative su rosa coltivata in provincia di Napoli (De Pascale e Paradiso, 1999).

Tuttavia, in questi confronti sperimentali emerge la necessità della caratterizzazione delle proprietà idrauliche (Marfà et al., 1998), che nei diversi tipi di substrato variano in modo più marcato che nei suoli naturali (Milks et al., 1989).

A tale proposito, in una prova condotta su rosa sono state ottenute le curve di ritenzione di perlite espansa e lapillo romano (Fig. 3): tali substrati, che sono gestiti nella comune pratica irrigua allo stesso modo, hanno invece evidenziato capacità idriche alla saturazione profondamente diverse (il contenuto idrico del campione saturo si è rivelato prossimo al 50% in volume per la perlite e di solo il 16% nel lapillo) (De Pascale e Paradiso, 2000). Infatti, prove sperimentali effettuate diversificando i volumi erogati hanno evidenziato le differenze in termini di gestione dell’acqua tra substrati inerti e substrati organici a base di torba ed hanno consentito un confronto produttivo: migliori risultati in gerbera sono stati ottenuti su pomice, che ha fornito una produzione superiore a quella del miscuglio torba e pomice, e a quelle relative a perlite ed argilla espansa (Malorgio et al., 1994). Gestione dell’acqua

Nelle colture su substrato artificiale, la programmazione razionale del turno e del volume dell'intervento irriguo sono condizioni necessarie ai fini del massimo rendimento produttivo e dell'ecocompatibilità del sistema.

La pratica irrigua mira, come è noto, a mantenere nel volume di substrato interessato dall’apparato radicale, condizioni di umidità e di concentrazione salina favorevoli allo sviluppo delle piante. Le tecniche irrigue adottate per le colture di pieno campo non sono immediatamente trasferibili alle colture protette e, meno che mai, alle coltivazioni senza suolo. Occorre dunque sviluppare una specifica tecnica di gestione dell’irrigazione che consenta di ottimizzare le produzioni dal punto di vista quali-quantitativo in presenza di risorse idriche limitate e spesso di scarsa qualità (es. per elevata salinità).

Il conseguimento di tale obiettivo richiede: - la possibilità di valutare i fabbisogni idrici delle piante durante l’intero ciclo colturale; - una conoscenza approfondita delle caratteristiche idrologiche dei substrati (porosità, capacità di

ritenzione idrica, ecc.) - l’utilizzazione di metodi irrigui e la realizzazione di impianti che consentano ad intervalli

opportuni di erogare i volumi di adacquamento definiti in base ad una serie di valutazioni preliminari.

Molti sono i fattori che influenzano la gestione idrica (Baille, 1994): - Fattori legati alla pianta: genetici (es. sviluppo e distribuzione degli apparati radicali) e

fisiologici (potenziale idrico, resistenza radicale).

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- Fattori ambientali (strettamente collegati ai fattori tecnici e gestionali): contenuto e potenziale idrico del substrato, temperatura, concentrazione di ossigeno, presenza di microrganismi e patogeni, ecc.

- Fattori tecnici: scelta del substrato (granulometria, massa volumica apparente, porosità, capacità di ritenzione idrica), scelta del metodo irriguo (spaghetti, spruzzatori, gocciolatori, ecc.), qualità dell’acqua di irrigazione.

- Fattori gestionali: volumi di adacquamento e frequenza dell'intervento irriguo. Le tecniche di coltivazione fuorisuolo sono state messe a punto in ambienti con clima

tipicamente continentale e su colture condotte sotto apprestamenti dotati di sistemi sofisticati per il controllo delle condizioni ambientali. Il trasferimento di queste tecniche ha messo in luce alcuni problemi legati soprattutto alla particolare situazione climatica tipica di questo ambiente. Nei nostri ambienti il clima è molto variabile, con forti escursioni giornaliere e stagionali della temperatura e dell'umidità dell'aria e con frequenti condizioni di elevata radiazione solare, ridotta umidità relativa ed alta temperatura sia dell'aria che del substrato. Gli elevati investimenti rendono necessaria un'utilizzazione continua degli impianti e questo può determinare la necessità di un condizionamento termico (riscaldamento o raffreddamento) della soluzione nutritiva e del substrato nei mesi invernali ed estivi per evitare stress termici a livello radicale. In molte zone, inoltre, va diminuendo la disponibilità di acqua irrigua di buona qualità soprattutto a causa di un aumento della salinità. Questo problema interessa ovviamente anche le colture in piena terra, è d'altra parte indubbio che l'uso di acque saline può complicare moltissimo la gestione delle soluzioni nutritive nei sistemi senza suolo, ed obbliga a seguire particolari accorgimenti per evitare danni alle piante e perdite di produzione.

Per migliorare la gestione idrica occorre innanzitutto ottimizzare l’assorbimento di acqua da parte delle piante (Baille, 1994), questo obiettivo è parzialmente conseguibile attraverso: - la scelta di cultivar caratterizzate da apparato radicale efficiente e/o di piantine che presentino

apparato radicale ben sviluppato già nelle prime fasi di crescita (es. sottoponendo le piantine a stress idrico controllato in vivaio);

- il controllo dei parametri ambientali evitando condizioni che possano limitare l’assorbimento idrico da parte delle piante (es. elevate temperature del substrato: coprire il substrato con film plastici di colore bianco e adottare reti ombreggianti o di sistemi di raffrescamento);

- corretta gestione del rifornimento d’acqua per evitare un inadeguato contenuto idrico del substrato (poiché l’apparato radicale non può funzionare in un mezzo "asciutto" il substrato "asciutto" è substrato inutile);

- eliminare microrganismi e patogeni che possano limitare la funzionalità dell’apparato radicale riducendo l’assorbimento di acqua e di nutritivi.

Metodo irriguo

Il primo e più efficace metodo di contenere il consumo di acqua sta nella scelta del sistema di irrigazione: in linea generale, con l’eccezione di situazioni particolari (es. bancali di propagazione), il sistema che garantisce i minori consumi è quello della irrigazione localizzata, con risparmi nei confronti del sovrachioma sino al 75% (Cresswell, 1995). L’irrigazione a microportate di erogazione (a goccia e simili) richiede investimenti più elevati rispetto a sistemi alternativi ma i vantaggi legati a queste tecniche (produzioni quanti-qualitativamente migliori, ridotti consumi di acqua e nutritivi) compensano largamente i maggiori costi sostenuti. Parallelamente alla progressiva diffusione delle tecniche di coltivazione senza suolo si sta, infatti, assistendo alla generalizzata adozione di questi metodi da parte dei coltivatori. Tecniche più sofisticate, quali l’NFT, richiedono ulteriori investimenti.

In tutti i casi, la scelta del metodo irriguo deve essere attentamente analizzata in funzione di diversi criteri: - disponibilità di acqua;

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- qualità dell’acqua; - regolamenti ambientali; - tecnica di coltivazione; - aspetti agronomici - valutazioni economiche; - esperienza e capacità imprenditoriale del coltivatore; ecc.

E’ comunque possibile limitare i consumi anche attraverso un adeguamento tecnologico degli impianti e l’ottimizzazione della pratica irrigua. Margini di azione possono essere ad esempio: - ridurre i volumi d’acqua intensificando la frequenza dei turni (“pulse watering”) - verificare spesso i sistemi di controllo dell’irrigazione, riprogrammando gli orologi a seconda

delle condizioni climatiche - assemblare substrati che abbiano sempre una certa capacità di ritenzione idrica.

Occorre tuttavia sottolineare che, presupposto indispensabile ai fini di un razionale dimensionamento degli impianti di irrigazione e di una efficace utilizzazione delle risorse impiegate (acqua ed elementi nutritivi) nei sistemi di coltivazione senza suolo, è la conoscenza delle reali esigenze idriche della coltura.

Con riferimento al contenimento dei consumi idrici in colture fuorisuolo, è bene ricordare l’effetto della pacciamatura sulla riduzione delle perdite per evaporazione e, quindi, la possibilità di migliorare l’efficienza agronomica dell’intervento irriguo nonché di contenere aumenti di concentrazione salina conseguenti all’evaporazione stessa (Farina et al., 1998). Programmazione dell’irrigazione

Problema cruciale nella gestione della fertirrigazione è la messa a punto di metodi attendibili per la determinazione del momento dell’intervento irriguo e del volume di adacquamento. Infatti, qualunque sia la tecnica irrigua utilizzata la corretta gestione dell’irrigazione può essere realizzata solo se sono disponibili sufficienti informazioni sullo stato idrico del sistema substrato/suolo-pianta-atmosfera e se queste informazioni vengono elaborate correttamente.

Tradizionalmente i metodi di programmazione dell’irrigazione possono essere così classificati (Hsiao, 1990): - metodi basati su misure di parametri legati allo stato idrico del substrato (contenuto e potenziale

idrico); - metodi basati sulla stima del fabbisogno idrico delle piante ottenuta dall’elaborazione di dati

microclimatici; - misurazioni dirette sulla pianta (potenziale idrico fogliare, temperatura della canopy, variazioni

di diametro dello stelo). Una volta ottenute le informazioni da suolo, clima o pianta (Tab. 5) vi sono tre fasi successive: - raccolta ed analisi dei dati e delle osservazioni per ottenere una informazione elaborata

(evapotraspirazione potenziale, indici di stress, ecc.); - decisione (es. quando e quanto irrigare); - esecuzione. Le sorgenti di informazione possono essere classificate in due classi principali: - osservazioni sulla coltura e sull’ambiente, raccolte e trasformate in forma qualitativa (indice di

stress o di vigore) o quantitativa (coefficiente colturale, indice di area fogliare); - dati da sensori localizzati nell’ambiente, nel substrato o sulla pianta (Baille, 1994).

L’automazione dell’irrigazione richiede preferibilmente il secondo tipo di informazioni, ma deve generalmente essere completata e verificata dall’osservazione della coltura.

Un esempio della combinazione dei due tipi di informazione è la ben nota formula per la stima dei fabbisogni idrici delle colture in serra: E = Kc Ep = Kc a G

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dove Ep è l’evapotraspirazione potenziale, considerata proporzionale alla radiazione solare esterna G, a è una costante empirica che tiene conto della trasmissività della serra e della porzione della radiazione usata per il processo evaporativo e Kc è il coefficiente colturale (de Villele, 1972).

In questo modello le informazioni relative alla coltura sono sintetizzate dal coefficiente Kc, le informazioni sul clima dal valore a G (i valori di G sono ottenuti da un Servizio Agrometeorologico o misurati con un piranometro). Quando il consumo idrico cumulato, così calcolato, raggiunge un prefissato valore il sistema computerizzato provvede al reintegro dei consumi con adeguati apporti di acqua.

La validità di questa strategia di irrigazione dipende dalla bontà della stima di E. L’approssimazione con cui viene stimata E può non essere sufficiente se è richiesta una stima di breve periodo (ora o frazioni di ora) come nel caso delle colture senza suolo che nei nostri climi richiedono adacquamenti molto frequenti, o in presenza di improvvise variazioni dei parametri climatici. I dati ottenuti da Baille et al. (1994) su rosa confermano che la stima della evapotraspirazione basata esclusivamente sulla misura della radiazione solare sebbene valida su scala giornaliera non consente una stima accurata dei fabbisogni idrici su scala inferiore (ora o frazione di ora). Altri fattori devono essere presi in considerazione nei modelli quali il deficit di pressione di vapore dell'aria (VPD) (Jolliet e Bailey, 1992) o la temperatura del substrato (Okuya e Okuya, 1988).

Inoltre, il metodo della radiazione globale in serra secondo alcuni autori è un buon metodo in condizioni climatiche tra 200 e 600 cal cm-2 giorno-1, mentre sovrastima o sottostima la traspirazione al di là di questo intervallo. E’ quindi necessario costruire modelli più complessi che contengano altri parametri legati alla pianta (indice di aria fogliare), al microclima (VPD) o al substrato (inerzia) (Brun et al., 1995). Sono stati proposti modelli di previsione più elaborati molti dei quali basati sulla formula di Penman-Monteith (P-M). Questi modelli considerano non solo la componente radiativa del bilancio, che può essere considerata proporzionale alla radiazione solare globale esterna, ma anche una componente “imposta” che dipende prevalentemente dal deficit di saturazione dell'aria (Jolliet e Bailey, 1992; Bailey et al., 1993). Il controllo attivo dell’umidità relativa in serra (impianti Misting o Fog) rappresenta, quindi, un efficace strumento per ridurre la traspirazione (Cohen et al., 1987; Baille et al., 1994).

Altri autori utilizzano direttamente la P-M e considerano la resistenza stomatica della coltura una funzione delle variabili microclimatiche (Stanghellini e Van Meuers, 1989; 1992; Baille, 1992). Questi modelli sono più accurati del precedente e possono essere utilizzati su scala temporale più breve (cosa necessaria per le colture senza suolo), tuttavia, necessitano di misure del deficit di saturazione dell'aria (igrometro, psicrometro), della conoscenza della funzione di risposta specifica per la coltura e della stima dell’indice di area fogliare (Baille, 1994).

Inoltre, i Kc devono quindi essere calcolati in modo accurato nel corso del ciclo colturale e dipendono dallo stadio fenologico della pianta, dalla tecnica colturale e dal ciclo di coltivazione (Leoni e Pisanu, 1993; Maloupa et al., 1993). La regolazione dell'apporto della soluzione in funzione della radiazione globale può quindi fornire risultati soddisfacenti solo con la scelta del reale coefficiente colturale e non con un unico e predeterminato valore (Farina e Cervelli, 1995). Infatti, la richiesta idrica della pianta durante le sue fasi fenologiche comporta cambiamenti bruschi, inoltre, con la cimatura, la sbocciolatura, la raccolta dei fiori, si hanno richieste variabili e spesso difficilmente quantificabili. Con l'asporto di uno stelo fiorale ad esempio, la pianta viene privata di 200-600 cm2 di superficie fogliare traspirante (Baille et al., 1991). Sulla base dei consumi idrici realizzati dalla coltura e della radiazione solare registrata, nel corso di una sperimentazione in provincia di Napoli sono stati calcolati i coefficienti colturali (Kc) per la rosa coltivata su lapillo e perlite: in entrambi i substrati le flessioni delle curve relative ai Kc si sono verificate in corrispondenza dei tagli di raccolta ed in conseguenza dell'intervento di potatura (De Pascale e Paradiso, 2000).

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Strategie di irrigazione per le colture fuorisuolo Le tecniche di coltivazione fuorisuolo sono classificate in base alla destinazione finale

dell’acqua percolata dal substrato e recuperata dopo la fertirrigazione in: - ciclo aperto; - ciclo chiuso.

Attualmente gli impianti più diffusi utilizzano sistemi di gestione della soluzione definiti aperti, caratterizzati da un continuo apporto di soluzione nutritiva alla pianta, sempre fresca ed erogata in eccesso rispetto al fabbisogno giornaliero. Di questa solo il 60% è assorbita dalla pianta, mentre la rimanente è lasciata percolare dal substrato di coltura in modo da ottenere un’adeguata lisciviazione; il percolato è disperso nell’ambiente o, nel migliore dei casi, usato per concimazioni a colture in pien’aria (van Os et al., 1991).

La peculiarità di tali sistemi di coltivazione, dove il modesto volume di substrato impiegato e la tecnica di irrigazione utilizzata (in genere microirrigazione localizzata) possono facilmente determinare condizioni sfavorevoli (per eccesso o per difetto) per un normale sviluppo della pianta, rende necessaria una attenta gestione dell’irrigazione (programmazione della frequenza e del volume dell’intervento irriguo) non solo ai fini del massimo rendimento produttivo della coltura ma, anche in considerazione dell’impatto ambientale determinato dai reflui nutritivi, soprattutto nei sistemi di coltivazione a ciclo aperto.

Attualmente la gestione dell’irrigazione nelle colture su substrato artificiale a ciclo aperto, per limitare i rischi si basa sull’impiego di volumi idrici superiori alle reali esigenze della coltura in modo da avere un drenaggio del 20-35%. Negli USA la frazione percolata da questo tipo di impianti risulta del 40-50%, con punte anche dell’80%. Nelle colture su perlite o pomice, a ciclo aperto, si programma un 15-20% di percolato dai sacchi di coltivazione, ma in estate si deve salire al 30% per evitare accumuli anomali di sali. La frequenza giornaliera delle fertirrigazioni va da 2-3 in inverno, fino a 9-10 in estate. Questo regime idrico se da una parte assicura una costante umidità del substrato di coltivazione e consente un effetto dilavante che previene eccessi di salinità, dall’altro determina uno spreco di elementi nutritivi (valutabili intorno alle 4-5 tonnellate per ettaro ogni anno) con ripercussioni negative sia per quanto riguarda il costo di produzione sia per il notevole impatto ambientale che tale tipo di gestione comporta (Benoit et al., 1990; van Noordwijk, 1990).

La gestione della soluzione nutritiva in impianti a ciclo aperto è spesso effettuata sulla base di valutazioni empiriche e tenendo conto esclusivamente della conducibilità elettrica della soluzione drenata, parametro che da solo non fornisce informazioni sufficienti sull’efficienza della nutrizione minerale e sui rapporti di assorbimento (Farina et al., 1998). In aggiunta, sarebbe necessario monitorare almeno l'andamento degli ioni NO3

- (Bailey et al., 1988). Se viene utilizzata la lana di roccia i consumi e gli eccessi si possono limitare apportando quelle quantità di sali in grado di assicurare una EC del percolato di soli 2.2-2.3 dS m-1: in questo caso è indispensabile che l’acqua di partenza abbia una EC non superiore a 1 dS m-1 (Brun e Tramier, 1993; Brun et al., 1995). A questo proposito, Brun e Settembrino (1995) hanno trovato per rosa cv Sonia su lana di roccia in ciclo aperto una migliore risposta produttiva per salinità basse della soluzione nutritiva (1.2-1.5 dS m-1) e del drenato (1.5-2 dS m-1), effetti negativi quali chiusura parziale degli stomi e riduzione della fotosintesi netta sarebbero correlati a improvvisi aumenti di salinità a livello radicale. In Francia, per le colture con perlite, la EC consigliata nella soluzione in entrata varia da 1.8 a 2.5 dS m-1 mentre quella del percolato non deve superare i 3 dS m-1 (Brun e Settembrino, 1993). In Olanda, con questo substrato ed utilizzando acqua piovana, si suggerisce di usare una EC nella soluzione nutritiva di partenza pari a 1.5 dS m-1 (De Kreij, 1989).

I risultati ottenuti relativamente alla percolazione nell’ambito di prove sperimentali denotano che gli apporti idrici e di fertilizzanti somministrati alle colture, sono scarsamente o per nulla commisurati alle reali esigenze (Tab. 6): De Pascale et al. (2000), nel corso di una prova su Cymbidium coltivato in contenitore a ciclo aperto su substrato inerte (48% oasis-48% poliuretano-4% polistirolo), nella determinazione della concentrazione di elementi nutritivi delle acque reflue hanno ottenuto valori di oltre 10 volte superiori ai valori considerati “obiettivo” per le coltivazioni a

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ciclo aperto (N 2.2 mg l-1 e P 0.15 mg l-1) (Vonk Noordegraaf, 1996). I volumi di soluzione drenata, per un apporto annuo di 3444 l m-2, sono risultati molto elevati (2120 l m-2), come pure le quantità di fertilizzanti rilasciate dal sistema nell’ambiente (250 kg N ha-1).

Nel caso di rosa coltivata su due substrati inerti (De Pascale et al., 1999) a fronte di un volume complessivo erogato di 1950 mm (= l m-2), sono stati registrati volumi totali di soluzione in esubero di 850 mm (= l m-2). Analogamente con un apporto totale di 2990 kg ha-1 di N le perdite per percolazione hanno raggiunto un valore finale di 1985 kg ha-1, pari al 66% degli apporti (Fig. 5).

Le quantità calcolate evidenziano che condizione necessaria per l'ecocompatibilità e la convenienza economica degli impianti idroponici è il contenimento dei reflui chimici, conseguibile solo con una razionale gestione irrigua. Controllo della frazione di percolato

Con i moderni sistemi di coltivazione nelle colture senza suolo c’è la possibilità di misurare il volume di soluzione percolata; questa informazione può essere utilizzata per programmare gli interventi irrigui, spesso in combinazione con un modello di previsione della traspirazione della coltura che consenta di limitare la dispersione di acqua e nutritivi nell’ambiente (De Graaf, 1998).

Per realizzare un effettivo miglioramento dell’impiego dei mezzi produttivi nelle colture di serra, è necessaria quindi la conoscenza del fabbisogno idrico della coltura e le relazioni esistenti tra traspirazione, parametri climatici (temperatura, radiazione, umidità relativa, ecc.) e parametri bio-fisiologici (indice di area fogliare, tasso di accrescimento, età della pianta, ecc.) (Willits et al., 1992).

La stima della traspirazione della pianta attraverso la misura di parametri climatici permette un miglioramento della tecnica di irrigazione nelle colture su substrato artificiale come già dimostrato in esperienze europee su specie floricole (Bailey et al., 1993; Baille et al., 1994). Anche in Italia risultati ottenuti da Malorgio et al. (1995) indicano la possibilità di gestire l’irrigazione della gerbera coltivata su pomice, utilizzando modelli in grado di stimare il consumo idrico della pianta (sia per quanto riguarda il fabbisogno orario che quello giornaliero) in funzione dell’ambiente climatico di coltivazione (radiazione globale e deficit di pressione di vapore dell’aria) (Figg. 6 e 7).

Esperienze di fuori-suolo hanno dimostrato la possibilità di apportare alla coltura acqua ed elementi nutritivi in dosi prossime ai fabbisogni della pianta, contenendo le perdite per drenaggio senza ripercussioni sulle rese produttive. Proprio in questi sistemi di coltivazione, tuttavia, la difficoltà di mantenere corretti livelli di umidità e di nutrienti in un volume ridotto di substrato, l'assenza di volano idrico e nutrizionale, tipica di materiali chimicamente inerti e con limitata capacità di ritenuta idrica, e le conoscenze limitate sulla biologia delle specie nelle particolari condizioni di coltivazione alle nostre latitudini, costringe all'impiego di volumi di soluzione nutritiva in eccesso rispetto alle reali esigenze della coltura. Infatti, imponendo una percentuale di percolazione del 10% su garofano mediterraneo standard (Tab. 7) sono state ottenuti valori compresi tra il 18% ed il 20% (Farina et al., 1996). Questo risultato rappresenta comunque un miglioramento rispetto al 25-30% ritenuto ottimale per la nutrizione in sistemi aperti (Brun e Settembrino, 1993) e considerando che il rapporto tra erogato e percolato si aggirerebbe tra il 20 ed il 40% nella realtà aziendale (Farina et al., 1996). Ricircolo della soluzione nutritiva

In questo caso la programmazione dell’irrigazione è semplificata (apporto continuo di soluzione nutritiva). L’assorbimento idrico può essere considerato massimo (se la temperatura delle radici è mantenuta entro limiti ottimali) e la priorità deve essere data al controllo dei parametri ambientali che regolano i processi evaporativi e traspirativi. La stima dell’intensità di assorbimento dell’acqua è molto difficile, tuttavia sono disponibili alcuni dati ad es. sulla resistenza radicale al flusso idrico (Bruggink et al., 1988; Batta, 1988). Per reintegrare la soluzione ci si può avvalere di

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sensori iono-specifici e modelli biologici disponibili in commercio (Brun et al., 1995; Malorgio e Magnani, 1998).

I sistemi a ciclo chiuso occupano attualmente solo una piccola percentuale del fuorisuolo e prevedono il riciclaggio e il riutilizzo della soluzione dopo la correzione dei valori di EC e pH, con una eventuale disinfezione e filtrazione. Al risparmio di soluzione nutritiva ed al basso impatto ambientale di tale sistema si oppongono i maggiori costi dell'impianto che dovrà prevedere inoltre la presenza di impianti di disinfezione, filtri, altre pompe di mandata e condutture per il ricircolo. La bassa inerzia idrica e la limitata C.S.C. dei substrati rendono necessario il continuo monitoraggio della soluzione; ciò si può effettuare in modo efficiente con sofisticati sistemi di rilevamento, collegati a sistemi per la correzione.

Un’attenta gestione della soluzione nutritiva è il fattore chiave nella conduzione di impianti a ciclo chiuso. Negli ultimi anni sono stati sviluppati sistemi elettronici che hanno consentito di automatizzare il controllo della soluzione circolante. Si possono individuare due diverse tecnologie impiantistiche: - sistemi che effettuano il controllo basandosi esclusivamente sulla rilevazione dei valori di pH e

di conducibilità elettrica; - sistemi dotati di sensori iono-specifici (Ben-Yaakov et al., 1982; Bailey et al., 1988).

Gli impianti del primo tipo, che stimano il consumo degli elementi nutritivi basandosi sulla misura di EC, hanno avuto una larga diffusione commerciale. Per la loro costruzione vengono impiegati comuni sensori di pH e conducibilità, pompe dosatrici e serbatoi per la miscelazione e la conservazione delle soluzioni concentrate. Questi sistemi non sono privi di errori. Il valore di EC è infatti proporzionale alla concentrazione di tutti gli ioni (elementi nutritivi e ioni non essenziali), i quali, d’altra parte, hanno un effetto diverso in funzione della carica elettrica e della mobilità. Dopo un breve periodo di tempo dalla preparazione della soluzione il valore di EC diventa assai poco correlato alla concentrazione nutritiva, soprattutto se si utilizzano acque con un elevato contenuto salino; infatti l’assorbimento selettivo della pianta, provoca un accumulo di ioni scarsamente utilizzati (sodio, cloruro, solfato, ecc.) che compensa, in termini di EC, la diminuzione del contenuto dei nutrienti. Altri elementi che possono essere accumulati a livelli tossici nelle piante, sono i cosiddetti “elementi traccia” generalmente contenuti nelle acque di irrigazione a concentrazioni molto basse. Molti di questi elementi sono metalli pesanti (la cui densità è superiore a 5 g cm

-3) ed alcuni risultano essenziali per le piante ma diventano tossici quando le loro

concentrazioni superano delle soglie variabili da elemento ad elemento. Inoltre, nel caso di prodotti edibili, occorre considerare i rischi di accumulo negli organi vegetali con pericolo di diffusione attraverso la catena alimentare.

Al contrario i sistemi dotati di sensori iono-specifici, pur consentendo un significativo miglioramento del controllo nutrizionale, hanno avuto una diffusione limitata ai centri di ricerca a causa dei rilevanti costi e dei notevoli problemi tecnici legati all’uso dei sensori iono-specifici. La misura della EC continua ad essere una scelta obbligata a causa della indisponibilità di sensori iono-specifici adatti all’impiego in serra, dei costi e della difficoltà e lunghezza delle analisi di laboratorio, della imprecisione dei metodi basati su semplici test colorimetrici (Baille, 1994; Malorgio e Magnani, 1998)).

Tuttavia, esperienze incoraggianti condotte su rosa hanno dimostrato la possibilità di effettuare in un sistema a bassa tecnologia ricircoli prolungati della soluzione nutritiva fino a 18 mesi (Farina et al., 1997; 1998). Nell’ambito di queste prove ad un consumo di acqua di 0.28 l/pianta per giorno è corrisposta una produzione di drenato esausto pari a 0.019 l/pianta per giorno. Il drenato esausto (EC = 4 dS m-1) è stato analizzato e successivamente rigenerato 9 volte in 18 mesi (Tab. 8). Occorre tuttavia considerare che la durata del ricircolo è determinata anche e soprattutto dalla qualità dell’acqua, poiché eventuali sali non utilizzabili dalla pianta anche se non tossici, tenderanno col tempo ad accumularsi e a rendere sempre più difficile una rigenerazione con elementi nutritivi ai valori di set up e con valori di salinità tollerabili. La presenza nell’acqua di irrigazione di “elementi traccia” (Fig. 8) può determinare nel tempo problemi di accumulo con

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risvolti negativi sulla qualità dei prodotti (Gislerod, 1978). L’utilizzazione dei fertilizzanti nel caso del ricircolo prolungato ha raggiunto il 90% risultando molto maggiore del 50-70% stimato per un sistema aperto con drenaggio del 30%. Utilizzo di nuovi sensori

Sensori specifici quali i trasduttori di spostamento lineare per il monitoraggio dell’ampiezza della variazione del diametro dello stelo della pianta, parametro correlabile a stress idrico (indicatore di quando le riserve della pianta contribuiscono a soddisfare le perdite), sono in fase di sperimentazione su colture arboree (fruttiferi) o arbustive (rosa), tuttavia la tecnica relativa all’utilizzazione di tali sensori non appare ancora sufficientemente sviluppata da poter costituire un riferimento per una immediata applicazione (McBurnay e Costigan, 1984).

Anche altre tecniche quali la termometria all’infrarosso (temperatura della canopy, il cui aumento è correlato a chiusura stomatica e stress idrico) necessitano di approfondimenti a riguardo dell’ffidabilità in fase applicativa. Dalla differenza tra la temperatura dell’aria e la temperatura della canopy è possibile calcolare un indice di stress (Jackson, 1988) e utilizzarlo come criterio per la regolazione del microclima dell’ambiente serra.

Difficoltà comuni per l’adozione di queste metodi e tecnologie sono: l’applicabilità a specie erbacee quali quelle floricole in serra; la rappresentatività di dati rilevati su poche piante nei confronti dell’intera coltura; la complessità nell’uso e nell’interpretazione dei dati; il costo relativamente elevato. Conclusioni

Per una corretta gestione dell’acqua è necessario: controllare i parametri climatici dell’ambiente di coltivazione che regolano i processi

evaporativi e traspirativi e che nelle serre mediterranee possono raggiungere livelli elevati (radiazione e deficit di saturazione elevati). Questo significa migliorare sia le strutture serricole (cubature elevate) sia l’efficienza delle tecnologie applicate per la climatizzazione (ventilazione, umidificazione).

massimizzare l’assorbimento idrico radicale (favorire lo sviluppo dell’apparato radicale fin dai primi stadi di crescita delle piante, mantenere il substrato vicino all’optimum in termini di contenuto idrico, di temperatura, di sanità, ecc.).

Sviluppare modelli di previsione dei consumi idrici più accurati e utilizzabili su scala oraria. Effettuare misure del volume di percolato per un aggiustamento in tempo reale degli apporti

idrici e per ridurre i volumi di acqua e di nutritivi dispersi nell’ambiente. E’ ormai provato che una corretta gestione dell’irrigazione può essere raggiunta con poche

comuni misure di parametri ambientali (radiazione solare, umidità relativa e temperatura dell’aria) associate al controllo del drenaggio. Questo tipo di programmazione dell’irrigazione sembra offrire il miglior compromesso tra efficienza e costi di investimento.

Alcuni nuovi sensori possono fornire informazioni più o meno dirette sullo stato idrico della pianta. Potenzialmente questi sensori potrebbero essere utilizzati nelle serre mediterranee, dove temperature elevate e stress idrico si presentano frequentemente. Tuttavia, l’uso di questi strumenti da parte del coltivatore è ancora limitato dalla necessità di conoscenze teoriche e competenze tecniche elevate.

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Tabella 1- Caratteristiche fisiche e fisico-chimiche di alcuni dei più comuni substrati impiegati in fuori suolo (modificata da Tesi et al., 1985).

Substrati

Massa volumica apparente

Porosità totale

Porosità libera

Capacità ritenuta idrica

pH EC

(kg m-3) (% vol.) (% vol.) (% peso) (% vol.) (dS m-1)

Torba bruna 150 90 7.9 504.0 75.7 4.9 0.50

Torba bionda 90 95 17.5 845.0 76.5 3.6 0.10

Perlite (2 – 5 mm)

96 88 48.3 151.0 14.5 7.4 0.05

Polistirolo (4 –5 mm)

6 55 52.0 57.8 3.2 6.1 0.01

Pomice (2 – 10 mm)

666 74 33.3 277.8 23.9 6.8 0.12

Argilla espansa (5 – 8 mm)

316 85 40.2 19.8 6.9 7.2 0.02

Scorza di pino (3 – 5 mm)

175 89 47.2 34.6 6.1 5.5 0.11

Sabbia fluviale (0.02 – 2 mm)

1614 44 2.0 20.0 35.2 6.4 0.10

Vermiculite 110 80.5 27.5 492.0 53.0 8.3 -

Lana di roccia 80 96.0 - - - - -

15

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Tabella 2 - Caratteristiche idrologiche di un substrato ideale, di una torba e di un miscuglio torba e pomice (1:1 in volume) (da Bibbiani, 1996)

Substrato Porosità totale Volume d’aria (per t = -1 kPa)

Acqua facilmente disponibile

Capacità tampone per

l’acqua (per t = -10 kPa)

Substrato Ideale 85% 20 - 30 % 20 - 30 % 4 – 10 % Torba 92% 25 % 33 % 6,5 % Torba + Pomice 86% 28% 21% 5% Tabella 3 - Effetti del substrato di coltivazione sulla produzione di rosa “Carambole” coltivata in sacchi (da Carletti et al., 1992)

Substrato Numero di fiori per m2 (dicembre – giugno)

Corteccia di pino 43,98 Perlite 41,16 Lana di roccia 42,41 Vinacce 41,02 Tabella 4 - Effetti del substrato di coltivazione sulla produzione di garofano mini-mini coltivato in sacchi (da Malorgio et al., 1992)

Substrato Numero di fiori per pianta in un anno Argilla espansa 77,3 Lana di roccia 89,5 Perlite 93,2 Pomice 96,0

16

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Tabella 5 – Classificazione dei metodi di programmazione dell’irrigazione in funzione dell’origine delle informazioni ottenute e relativi strumenti. Misure Tipologia Criteri Strumenti Misure sulla pianta

Diretto Valutazione della coltura Potenziali idrici, trasduttori di spostamento lineare, termometria ad infrarossi, ecc.

Misure sul substrato

Indiretto Curve di ritenzione idrica Metodo gravimetrico, Sonda a neutroni, Attenuazione con raggi γ, Metodo a microonde, Time Domain Reflectometry (TDR), Tensiometri, Dissipazione termica, Apparecchio di Bouyoucos, Psicrometri a termocoppia, ecc.

Bilancio idrologico

Indiretto Analisi del bilancio idrico del sistema substrato-pianta

Irr = Evap + Trasp + Dren ± ΔV

Determinazione della curva di risposta produttiva a volumi stagionali crescenti

Indiretto Criterio scientifico-sperimentale

Resa = f [Volume stagionale]

Misure parametri ambientali

Indiretto Criteri basati su correlazioni empiriche tra evapotraspirazione e uno o più fattori climatici

Metodi micrometeorologici, metodi empirici di stima dell'evapotraspirazione

Tabella 6 - Bilancio idrico di colture floricole coltivate in impianti idroponici in diversi ambienti (dati rielaborati da AA. VV.).

Apporti acqua[mm anno-1]

Consumi acqua[mm anno-1]

Perdite acqua [mm anno-1]

Perdite [kg N ha-1]

Rosa Italia (ciclo aperto) 1950 1085 850 1950 Rosa Francia (ciclo aperto)

1020 780 240 600

Rosa Italia (ciclo chiuso discontinuo)

1079 1016 73 105

Rosa Italia (ciclo chiuso) 1080 1040 40 125 Cymbidium (ciclo aperto) 3444 2120 1324 250 Crisantemo (ciclo aperto) 915 700 215 350 Crisantemo (ciclo chiuso) 775 700 75 125

17

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Tabella 7 - Bilancio idrico per una coltura di garofano mediterraneo standard coltivato su torba e sabbia in funzione di differenti percentuali di drenaggio imposte (modificata da Farina et al., 1996).

Apporti (l m-2)

Percolazione imposta

% Soluzione nutritiva

Acqua di lavaggio

Totale

Percolato (l m-2)

Percolazione reale

%

10% 1300 131 1431 251 17,5 10% 1094 39 1131 221 19,5 3% 984 33 1017 170 16,7 Tabella 8 - Bilancio dei nutritivi per una coltura di Rosa in coltivazione fuori suolo a ricircolo (da Farina et al., 1998).

g m-2 in un anno N P K Apportato 156.0 29.2 183.1 Rimasto nel sistema 3.4 0.2 3.6

Consumato 152.6 29.0 179.5 % utilizzazione 97.8 99.0 98.0

18

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Figura 1 - Effetto del substrato di coltivazione sulla produzione cumulata di Gerbera in funzione del volume giornaliero di soluzione nutritiva erogata (modificato da Malorgio et al., 1994).

0

20

40

60

80

100

120

140

160

180

1 1.5 1.7 1.9 2.4

Soluzione nutritiva (l/m2 d-1)

Numero di steli/m2

Pomice Argilla espansa

Perlite Torba + Pomice

19

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Figura 2 - Caratteristiche idrologiche di miscugli di torba e pomice in funzione della percentuale di pomice (modificato da Bibbiani, 1996).

0

5

10

15

20

25

30

35

40

0 25 50 75 100

Percentuale di pomice

% in

Vol

ume

Acqua facilmente disponibileCapacità tampone per l'acquaVolume d'aria (per t = - 10 cm)

20

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Figura 3 - Curve di ritenzione idrica per due substrati inorganici: lapillo romano (diametro 6-8 mm) e perlite (diametro 4-6 mm).

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.1110100100010000

Perlite

Lapillo

cm

cm3 cm-3

21

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Figura 4 - Coefficienti colturali (Kc) ottenuti per rosa in coltivazione fuori suolo a ciclo aperto su perlite e lapillo (R= raccolta; P= potatura).

0.0

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

1.2

1.4

I II III I II III I II III I II III I II III I II III I II III I II III I II III I II III I II III I II III I II

Perlite Lapillo

A 97 M G L A S O N D G 98 F M A

R R R

R

R

P

22

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Figura 5 - Consumo idrico e percolazione (sopra) e consumo di azoto e perdita per percolazione (sotto) nella coltivazione fuori suolo a ciclo aperto di rosa da fiore reciso su perlite e lapillo.

0

1

2

3

4

5

6

7

8

9A

pr '9

7 I

Apr

'97

III

Mag

'97

II

Giu

'97

I

Giu

'97

III

Lug

'97

II

Ago

'97

I

Ago

'97

III

Sett

'97

II

Ott

'97

I

Ott

'97

III

Nov

'97

II

Dic

'97

I

Dic

'97

III

Gen

'98

II

Feb

'98

I

Feb

'98

III

Mar

'98

II

Apr

'98

I

Apr

'98

III

mm

d-1

Apporti

Perlite percolazione

Perlite consumi

Lapillo percolazione

Lapillo consumi

0

5

10

15

Apr

'97

I

Apr

'97

III

Mag

'97

II

Giu

'97

I

Giu

'97

III

Lug

'97

II

Ago

'97

I

Ago

'97

III

Sett

'97

II

Ott

'97

I

Ott

'97

III

Nov

'97

II

Dic

'97

I

Dic

'97

III

Gen

'98

II

Feb

'98

I

Feb

'98

III

Mar

'98

II

Apr

'98

I

Apr

'98

III

kg h

a-1 d

-1

Apporti N

Perlite perdite N

Perlite N utilizzato Lapillo perdite N

Lapillo N utilizzato

23

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Figura 6 - Andamento orario della radiazione globale (RG) e della traspirazione (ETE) in Gerbera coltivata su pomice in due giornate estive con condizioni climatiche diverse (modificato da Malorgio et al., 1995).

0

5

10

15

20

25

30

1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23Ore

g/pianta h -1

0

5

10

15

20

25

30Cal/cm2 h-1

RG ETE

0

5

10

15

20

25

30

1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23

Ore

g/pianta h -1

0

5

10

15

20

25

30Cal/cm2 h-1

RG ETE

24

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Figura 7 - Consumo idrico cumulato (ETE) e radiazione globale cumulata (RG) in Gerbera coltivata su pomice in due giornate estive con condizioni climatiche diverse (modificato da Malorgio et al., 1995).

0

50

100

150

200

250

1 4 7 10 13 16 19 22Ore

ETE

(g/p

iant

a) R

G (C

al/c

m2 )

RG ETE RG ETE

Giornata nuvolosa

Giornata limpida

25

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Figura 8 - Relazione tra pH e concentrazione di Zinco nella soluzione nutritiva in tre giorni di ricircolo (modificato da Gislerod, 1978)

0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

8 24 40 56 72

Ore dall'inizio del ricircolo

Zn ppm

4.5

5

5.5

6

6.5

7pH

Concentrazione di Zn pH

26