Gellindo e il mistero degli orti secchi

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A tavola con Gellindo Ghiandedoro

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Gellindo non fece alcun com-mento nell’apprendere che il capitano Alabarda passava il suo tempo libero a cura-re le carote, a raccogliere i pomodorini maturi, a strap-par l’erba matta...

Bisogna sapere che il capitano Alabar-da, capo delle guardie di re Pirofilo, era certamente un tipo serio, coraggioso e senza paura. Secco e magro come il ma-nico di una scopa, portava in giro con fierezza – assieme alla sua divisa rossa – un bel paio di baffi a manubrio, una testa pelata e due occhi ben aperti per tener tutto sotto controllo.

Il giorno di questa storia, però, nulla di tutto ciò!

Il capitano se ne stava seduto su una panchina del parco con la testa lucida tra le mani, gli occhi pieni di lacrime e il petto scosso dai singhiozzi.

– Per mille fichi secchi – esclamò Gellindo Ghiandedoro avvicinandosi al poveretto. – Se il coraggioso capo delle nostre guardie sta piangendo e singhiozzando, dev’essere successo un guaio veramente grosso!

– Come no – rispose il soldato, – un vero disastro!

– Il castello è sotto assedio? – chiese allora Gellindo preoccupato.

– Oh, no!– Allora i nemici sono arrivati ai con-

fini del regno?– Nemmeno per sogno! Per fortuna

siamo in pace con tutti...– Allora re Pirofilo ti ha licenziato e

ha chiamato un nuovo capo delle guar-die?

– Ma cosa dici, Gellindo!– E allora cosa c’è di così grave da

farti piangere come un bambino che s’è sbucciato il ginocchio cadendo dalla bi-cicletta?

– Ecco – singhiozzò capitan Alabarda, – a dire il vero... io, nel tempo libero...

– Cosa fai, nel tempo libero? – lo inci-tò lo scoiattolino curioso.

– Io coltivo il mio orto poco fuori le mura!

Anche se per noi può sembrare un po’ strano che un soldato abituato a maneggiar armi, a impugnare spadoni e ad andare in guerra, come passatempo scelga di fare l’ortolano, Gellindo non fece alcun commento nell’apprendere che il capitano Alabarda passava il suo tempo libero a curare le carote, a rac-cogliere i pomodorini maturi, a strap-par l’erba matta e ad innaffiare la men-tuccia nel suo orticello.

– E si può sapere che cos’è successo al tuo orto? – domandò Gellindo impa-ziente.

– Era da qualche settimana che le foglie dei pomodori erano diventate gialle, che il rosmarino era secco e che l’insalata s’era come sgonfiata a terra marcendo da un giorno all’altro...

– Mancava forse un po’ di concime naturale nel terreno?

– L’ho pensato anch’io, ma una dose doppia di concime non ha risolto il pro-

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– Concimi strepitosi fatti da un mago stregone? – obiettò Gellindo con una smorfia. – Secondo me, caro Alabarda, questa volta ti sei messo in un bel pasticcio!

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blema. E allora...– Allora?– Allora sono andato da un mago...

dallo stregone Prendinàcchere che vive in un bosco qui vicino... Prendinàcchere trascorre notte e giorno a far bollire intrugli misteriosi, coi quali poi prepa-ra fatture, sortilegi, stregonerie, medi-camenti miracolosi e... e anche concimi strepitosi! Il mago s’è fatto pagare un bel po’ di monete d’oro e mi ha conse-gnato un sacchetto di polverina azzur-ra: il magico, il portentoso, l’incredibile concime “Cresci-orto”!

– Concimi strepitosi fatti da un mago stregone? – obiettò Gellindo con una smorfia. – Secondo me, caro Alabarda, questa volta ti sei messo in un bel pa-sticcio!

– Lo penso anch’io – rispose quell’al-tro in mezzo alle lacrime, – perché dopo dieci giorni di rigoglio stupendo, di ver-dura florida, verde e matura, di fagioli grossi come kiwi e di erba cipollina alta quasi un metro, stamattina ho trovato il mio orto bruciato dall’arsura, arido e secco! Pomodori e insalate, sedano e piantine di timo, la mia buona menta profumata e il rosmarino che cresce-vo da cinque anni, la salvia odorosa e il prezzemolo... è tutto da buttare al ma-cero o da farne un focherello pieno di fumo!

Gellindo spalancò gli occhi stupito. – Sai che ti dico, capitano Alabarda? Mi puoi accompagnare da questo mago, che voglio tanto conoscerlo?

– Se non vuoi altro – disse Alabarda

tirando su col naso. – Vieni con me, an-diamo nel bosco appena fuori le mura!

Nè Gellindo e nemmeno il capitano delle guardie potevano sapere che in quello stesso istante tutte le donne del regno di re Pirofilo stavano strillando arrabbiate davanti ai disastri dei loro orti rinsecchiti!

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– Ma guardate i miei peschi ridotti a legna da ardere!

– Mamma mia che disgrazia! Le rape e i rapanelli ridotti ad erba secca da portare in discarica!

– Aiuto, qualcuno corra a salvare i miei pomodori e i miei cavoli cappucci!

– E che devo dire io delle mie verze, che sono tutte da buttare?

E sempre in quel momento tutti i contadini stavano imprecando contro le nubi del cielo...

– Fino a ieri questo era un bel campo di grano, e oggi guardate qua: è diven-tato un deserto!

– E come faccio a mantenere la mia famiglia, se il miglio e l’orzo son ridotti a cenere?

– Mamma mia che disastro: quel che era un bellissimo vigneto, ora è una de-solazione di piante secche e riarse!

A nessuno di loro, però, venne in mente che forse quelle disgrazie dipen-devano dalla polverina azzurra compra-

ta da uno strano stregone che rispon-deva al nome di Prendinàcchere!

Il mago in questione abitava nel fon-do di una caverna piena zeppa di pen-tole e pentoloni, di focolari sempre ac-cesi e di vetrine colme d’erbe, di radici e frutta secca, di scaffali che crollavano sotto il peso di antichi libri, bottiglie, fiaschi e ampolle.

– E chi ti dice che sia stata la mia polvere “Cresci-orto” a bruciare i pomo-dori e la mentuccia di Alabarda? – ra-gliò Prendinàcchere rivolto a Gellindo Ghiandedoro.

– Se fino all’altro ieri l’orto del capita-no era rigoglioso e sano, si può sapere perché si è rinsecchito dopo aver spar-so la tua polverina misteriosa? Mi sai dire con che cosa prepari questo intru-glio diabolico?

Prendinàcchere non era solo uno stregone malvagio: era anche un tipo assai vanitoso, che di fronte all’occasio-ne di mettersi in bella mostra e di dimo-strare tutta la sua scienza, non si tirava mai indietro. E perciò...

– Il concime “Cresci-orto” lo ottengo mescolando sabbia del Mar Rosso con cristallo tritato, aggiungendo poi tela di

– E chi ti dice che sia stata la mia polvere “Cresci-orto” a bruciare i pomodori e la mentuccia di Alabarda? – ragliò Prendinàcchere rivol-to a Gellindo Ghiandedoro.

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ragno africano, foglie secche di tabac-co brasiliano, farina di gessetti bianchi usati il primo giorno di scuola, forfo-ra di scimpanzé indiano, polvere tolta da sotto ai tappeti di casa tua e, infine, zucchero amaro con semi di tamarindo secco macinati all’istante! Formidabile per rovinare qualsiasi orto qui attorno!

A quel punto Alabarda esplose con tutta la sua rabbia: – E si può sapere perché ce l’hai con me al punto da rovi-nare per sempre il mio unico passatem-po?

– Oh – rispose il malvagio con un sorriso cattivo, – ma il concime “Cre-sci-orto” non l’ho mica venduto solo a te, sai?! L’hanno comprato praticamen-te tutti i contadini del regno per i loro campi e tutte le donne per i loro orti di casa! Eh! Eh! Eh! Mi piacerebbe essere libero da queste catene, adesso, per vo-lare in cielo e andare a vedere dall’alto i loro pianti, la loro disperazione, la loro rabbia! Ah! Ah! Ah!

Gellindo a quel punto si rivolse ad Alabarda nelle sue vesti di capitano delle guardie di re Pirofilo ed esclamò: – Secondo me è giunto il momento che la giustizia si interessi di Prendinàcche-re! Alabarda, arresta questo stregone e portalo immediatamente al cospetto del re e della corte per essere giudica-to!

C’erano proprio tutti, nel gran salone dei processi. C’erano re Pirofilo e regi-na Fornetta con le parrucche bianche da giudici in testa, c’era la principessa

Accompagnato dal capitano Alabarda e dallo scoiatto-lo Gellindo, venne avanti lo stregone tremendo, impri-gionato in una lunga e gros-sa catena....

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Cloe e c’erano anche tutti i ministri e i consiglieri imparruccati a dovere.

– Venga fatto entrare lo stregone Prendinàcchere! – esclamò il maggior-domo Pompeo battendo per terra tre volte lo scettro reale.

Accompagnato dal capitano Alabar-da e dallo scoiattolo Gellindo, venne avanti lo stregone tremendo, imprigio-nato in una lunga e grossa catena.

Re Pirofilo si alzò in piedi e guardò il mago: – Visto che tu hai già confessato la tua colpa, non ci sarebbe nemmeno bisogno di un processo. Ho però convo-cato questa corte per chiederti una sola cosa: si può sapere perché hai venduto ai miei poveri sudditi concimi pestilen-ziali che rovinano gli orti e bruciano i campi di grano?

Prendinàcchere strinse gli occhi fe-roci, guardò il re e la corte riunita e poi sbottò: – Perché io odio le persone feli-ci! Mi fanno rabbia le donne che amano i loro fagioli, l’insalata e le zucche! Non posso soffrire i contadini che vivono per le loro viti, per l’orzo, per il mais! È vero: io odio le persone felici!

A quel punto Gellindo saltò sulla spalla di re Pirofilo e gli bisbigliò qual-cosa all’orecchio.

– Bene – aggiunse sua maestà, – e allora ti condanniamo seduta stante ad annaffiare due volte al giorno per i prossimi cinque anni tutti gli orti e tutti i campi che hai distrutto! Se una volta soltanto salterai la tua pena, verrai cac-ciato al di là dei confini e non potrai più metter piede nel mio regno.

– E ricordati, Prendinàcchere – ag-giunse Gellindo Ghiandedoro, – che ai frutti della terra bisogna voler bene, perché sono un dono del cielo... e i doni del cielo vanno trattati con cura e con amore!

Qualche giorno dopo Gellindo si trovò a passare per quel tratto di muro ad-dossato al quale c’era l’orto del capitano Alabarda. Il soldato era inginocchiato in mezzo ai filari di fagioli e stava racco-gliendo felice i baccelli più belli e pronti per essere aperti.

– Buondì, Alabarda! Come va il tuo orto?

Il capitano si alzò sorridendo: – Se devo essere proprio sincero, da quando Prendinàcchere passa di qui al mattino e alla sera per annaffiare il mio piccolo regno verde, le cose vanno molto me-glio. Certo, qualche volta mi propone di aggiungere all’acqua alcune gocce ver-dastre del suo ultimo concime “Cresci-orto-ancor-più-forte”, ma non appena vede la mia spada davanti alla punta del suo naso, nasconde tutto e scappa con la coda tra le gambe!

Fu così che gli orti rinsecchiti del re-gno di re Pirofilo tornarono ben presto a splendere e i campi a dar frutti gene-rosi. Merito dello scoiattolino rispar-mioso Gellindo Ghiandedoro.

Fiaba di maUro nEriillustrazioni di FUlBEr

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