GAZZETTINO DELLA accadendo BALENA BIANCALe cronache marziane Ray Bradbury Pensare che tutto sia...

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ANNO 6-4 Pagina 1 ANNO VI N.4 DICEMBRE 2017 Presidente Maurizio Cianfarini Vice-Presidente Raffaella Restuccia Direttivo Palma Aliberti Elena Buttinelli Simona D’Amico Alessia Gentile Recapiti: 06-85358905 [email protected] Redazione Vjola Abdiu Maurizio Cianfarini Sara Maugeri Raffaella Restuccia SOMMARIO Editoriale pg.1 Cianfarini Maurizio Benvenuti nella rete M.D. Compassione e benevolenza. Anna Pizzo pg.2 Gruppi Balint pg.5 Concorso Fotografico Nazionale “Carpe Diem” pg.5 L’ elemento della spiritualità nella pratica infermieristica e non solo Maurizio Cianfarini pg.7 Bugie, false verità, omissioni e silenzi Sara Romano pg. 11 Congresso Nazionale 2018 La Comunicazione e tutte le sue coniugazioni pg.15 Rubriche Non è vero ma ci credo pg. 16 Epifania, come manifestarsi Moby Dick A domanda risponde pg.17 a cura di Maurizio Cianfarini Eventi Formativi pg. 19 Master Professionalizzante Emozioni in Punta di Penna Corso per Operatore Letterario Open Day in Psiconcologia Gruppi Balint Chi, come, cosa “Siamo” IL GAZZETTINO DELLA BALENA BIANCA 5 per mille a Moby Dick C.F. 96131010587 Ogni giorno per scelta, al fianco di chi vive l’esperienza del cancro” Se ti fidi di Noi… Ti fidi di Moby Dick ONLUS AUGURI di BUONE FESTE e di Un SERENO ANNO NUOVO Siamo su youtube (moby dick onlus) http://www.youtube.com/watch?v=DC6XNSGM_-U https://www.youtube.com/watch?v=_3ThauXaVJ0 ...e su FACEBOOK chiedi la nostra amicizia EDITORIALE Qualunque cosa accade, accade. Qualunque cosa che, accadendone fa accadere un‟altra, ne fa accadere un‟altra. Qualunque cosa che, accadendo, induce se stessa a riaccadere, riaccade. Però non è detto che lo faccia in ordine cronologico. Le cronache marziane Ray Bradbury Pensare che tutto sia affidato al destino, anzi al predestinato, ci ha sempre fatto sorridere e nello stesso tempo angosciare; questa sensazione di non avere una via di uscita abbiamo sempre cercato di contrastarla con scelte personali, prese di posizione e atteggiamenti vissuti come “controcorrente”. Ecco che, il vivere gli eventi come semplici accadimenti di un destino ci porta a non assumerci le nostre responsabilità nelle scelte che facciamo e, di fronte alle cose ineluttabili che non dipendono da noi, a non prendere una posizione determinante nel nostro atteggiamento del “far fronte” alle avversità. Per tutti noi, dato che tutti cadiamo in questo atteggiamento, possiamo dire “Anno Nuovo Vita Nuova”, il 2018 deve essere pieno di buoni propositi e farci ripromettere, nella nostra limitatezza, di avere una presa di coscienza diversa di fronte a questa inclinazione legata alla comodità di lasciarsi andare, pensando che non scegliere non sia per di sé già una scelta. continua pg. 14

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ANNO 6-4 Pagina 1

ANNO VI N.4 DICEMBRE 2017

Presidente Maurizio Cianfarini Vice-Presidente Raffaella Restuccia Direttivo Palma Aliberti Elena Buttinelli Simona D’Amico Alessia Gentile

Recapiti: 06-85358905 [email protected]

Redazione

Vjola Abdiu Maurizio Cianfarini Sara Maugeri Raffaella Restuccia

SOMMARIO Editoriale pg.1 Cianfarini Maurizio Benvenuti nella rete M.D. Compassione e benevolenza. Anna Pizzo pg.2 Gruppi Balint pg.5 Concorso Fotografico Nazionale “Carpe Diem” pg.5 L’ elemento della spiritualità nella pratica infermieristica e non solo Maurizio Cianfarini pg.7 Bugie, false verità, omissioni e silenzi Sara Romano pg. 11 Congresso Nazionale 2018 La Comunicazione e tutte le sue coniugazioni pg.15

Rubriche Non è vero ma ci credo pg. 16 Epifania, come manifestarsi Moby Dick A domanda risponde pg.17 a cura di Maurizio Cianfarini Eventi Formativi pg. 19 Master Professionalizzante Emozioni in Punta di Penna Corso per Operatore Letterario Open Day in Psiconcologia Gruppi Balint Chi, come, cosa “Siamo”

IL GAZZETTINO DELLA

BALENA BIANCA

5 per mille a Moby Dick C.F. 96131010587

“Ogni giorno per scelta, al fianco di chi vive l’esperienza del cancro”

Se ti fidi di Noi… Ti fidi di Moby Dick ONLUS

AUGURI

di BUONE

FESTE e di

Un SERENO

ANNO NUOVO

Siamo su youtube (moby dick onlus) http://www.youtube.com/watch?v=DC6XNSGM_-U

https://www.youtube.com/watch?v=_3ThauXaVJ0

...e su FACEBOOK

chiedi la nostra amicizia

EDITORIALE

Qualunque cosa accade,

accade.

Qualunque cosa che,

accadendo…

… ne fa accadere un‟altra,

ne fa accadere un‟altra.

Qualunque cosa che,

accadendo, induce se stessa

a riaccadere, riaccade.

Però non è detto che lo

faccia in ordine cronologico.

Le cronache marziane

Ray Bradbury

Pensare che tutto sia affidato

al destino, anzi al

predestinato, ci ha sempre

fatto sorridere e nello stesso

tempo angosciare; questa

sensazione di non avere una

via di uscita abbiamo

sempre cercato di

contrastarla con scelte

personali, prese di posizione

e atteggiamenti vissuti come

“controcorrente”.

Ecco che, il vivere gli eventi

come semplici accadimenti

di un destino ci porta a non

assumerci le nostre

responsabilità nelle scelte

che facciamo e, di fronte

alle cose ineluttabili che non

dipendono da noi, a non

prendere una posizione

determinante nel nostro

atteggiamento del “far

fronte” alle avversità.

Per tutti noi, dato che tutti

cadiamo in questo

atteggiamento, possiamo

dire “Anno Nuovo

Vita Nuova”, il 2018

deve essere pieno di buoni

propositi e farci

ripromettere, nella nostra

limitatezza, di avere una

presa di coscienza diversa di

fronte a questa inclinazione

legata alla comodità di

lasciarsi andare, pensando

che non scegliere non sia per

di sé già una scelta. continua pg. 14

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AA bbuuoonn iinntteennddiittoorree ppoocchhee ppaarroollee

La vita può essere trainata dagli obiettivi

tanto quanto può essere spinta dagli

impulsi.

(Viktor Emil Frankl)

Non permetterò a nessuno di passeggiare

nella mia mente con i piedi sporchi.

(Mahatma Gandhi)

La mente è tutto.

Ciò che tu pensi, tu diventi.

(Buddha)

Rare sono le persone che usano la mente,

poche coloro che usano il cuore e uniche

coloro che usano entrambi.

(Rita Levi-Montalcini)

La realtà esiste nella mente umana e non

altrove.

(George Orwell)

Conosco una sola libertà ed è la libertà

della mente.

(Antoine de Saint-Exupery)

Ami la vita? Allora non sciupare il tempo,

perché è la sostanza di cui la vita è fatta.

(Benjamin Franklin)

Il coraggio più sicuro è quello che nasce da una reale

conoscenza del rischio da

affrontare, mentre quello che

proviene dall'incoscienza è

tanto pericoloso quanto la

vigliaccheria.

Herman Melville dal libro "Moby Dick

Compassione e Benevolenza

Fragilità e Supporto Concreto. –

Approcciare alla fragilità: lasciarsi

sostenere e sostenere.

“Coraggio collega! Dobbiamo combattere!” lo

congedò quello alla fine del colloquio. Quella

freddezza travestita di cordialità, gli arrivò

bruciante come uno schiaffo in pieno viso. (…)

Annaspava in un groviglio di emozione dolorosa

intrappolato in un grido infinito e, al mattino,

quando si guardava allo specchio impietoso del

bagno di casa, fissando le sue pupille in quelle di

un’immagine ostile, si diceva -non sono niente! -”

(2017, Un ponte sul Fiume Guai, Moby Dick a

cura di R. Restuccia, pag. 13). Percepirsi fragile: l‟auto percezione è un aspetto

importante di coloro che sono affetti da patologie

croniche gravi, un aspetto che non deve essere

sottovalutato da chi intraprende una relazione di

aiuto sia essa inserita nella rete amicale e/o

parentale sia essa

inerente ad un ambito

sanitario. La malattia

indebolisce l‟individuo

dal punto di vista fisico

che mentalmente e ne

mette a repentaglio la

struttura salda delle

modalità con si

percepisce il mondo

esterno e se stessi in

relazione ad esso.

Inoltre la componente sociale suggerisce e stimola

i singoli a proporsi all‟esterno come forti e

sorridenti, non lasciando spazio a situazioni di

disagio e fragilità. Proprio perché sentirsi fragili

sembra apparire come un lusso, ed in certe

situazioni non è possibile sfuggire a questo tipo di

sensazione, è importante che vi siano degli spazi

protetti in cui, laddove l‟individuo se la se la senta

e lo richieda, gli sia permesso di esprimersi in

serenità. È questo il caso della sopracitata

relazione di aiuto, che si basa sul rispetto

dell‟altro percepito, non solo, come individuo

dotato di risorse ma, soprattutto, alla pari con

l‟interlocutore che ricopre il ruolo di sostenitore.

Sembra così quasi che venga da sé l‟integrazione

di due concetti complessi quanto scontati: la

compassione e la benevolenza. Tali costrutti si

differenziano ulteriormente qualora siano auto

diretti, ovvero il soggetto affetto da una patologia

li rivolga a se stesso, o etero diretti, nel caso in cui

un operatore sanitario approcci ad un paziente in

una situazione di patologia oncologica. A questo

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proposito suddette nozioni sono la colonna

portante di una “nuova psicologia”, che promuove

il benessere personale attraverso il contatto con il

“qui ed ora”, una ridefinizione delle modalità di

percezione di sé, e di sé in un contesto specifico

attraverso le lenti di questi due grandi costrutti di

compassione e benevolenza. Questo nuovo modo

di approcciare ad alcuni ambiti si dipana

attraverso tecniche meditative, come la

mindfulness che si vede realizzare un soggetto

capace di guardare il proprio dolore senza tuttavia

guardare il mondo attraverso esso, tentando di non

essere “il dolore” ma una persona dolorante. La

mindfulness centra il concetto di benevolenza

verso se stessi. Si invita perciò il paziente ad

essere benevolenti nei propri confronti, accettare

la propria sofferenza e dare a se stessi la

possibilità di sentirsi in difficoltà senza essere

giudicanti, né verso sé né verso coloro che offrono

aiuto e sostegno. Questa tecnica meditativa, che

nulla centra con inviti religiosi si serve di risorse

spirituali che appartengono al mondo della laicità

dell‟uomo, la quale in alcuni si esprime anche

attraverso la religiosità (in fondo la meditazione, il

mantra, recitare il rosario appartengono all‟uomo

alla ricerca del proprio mondo interno), supporta

tali concezioni, attraverso il contatto consapevole,

guidando praticamente l‟individuo attraverso

l‟accettazione della propria emotività, della

propria situazione e della propria sofferenza fisica

e mentale. Utilizzata spesso in contesti oncologici

sottostà ad una necessità costante all‟interno di

tale ambiente: contrastare e gestire il senso di

impotenza causato dalla terminalità e dalla

patologia oncologica dei vari operatori che

gravitano attorno a questo tema. È importante

perciò soffermarsi su due concetti fondamentali:

in primis riflettere con onestà in merito al bisogno

che spinge un professionista a relazionarsi con

certi ambienti affinché si distingua il bisogno

personale dalla motivazione, evitando così di

danneggiare sia se stessi intraprendendo un

percorso per cui non si è pronti sia gli altri

proponendo un aiuto che non risulti scevro da

contaminazioni personali; secondo poi valutare

l‟effettiva funzionalità di tali tecniche in relazione

alla situazione che il professionista si trova a

fronteggiare. Se da una parte tali metodologie

possono, infatti, risultare utili come strumenti

aggiuntivi a cui poter attingere per trarre un

benessere auto centrato, dall‟altra in casi di

emergenza tali metodologie non devono essere

scambiate per panacee o terapie strutturate.

Laddove vi siano situazioni difficili, come lutti

irrisolti o non superati e patologie oncologiche

che recano con sé una importante difficoltà

psicologica è necessario strutturare e seguire una

terapia psicologica e non sostituire quest‟ultima

con metodi che possono risultare funzionali solo

al supporto. Questo nuovo metodo di amare se

stessi, si centra perciò su nuovi strumenti, che si

concentrano sulla consapevolezza di sé, la

presenza nei propri stati mentali ed emotivi e la

benevolenza nei confronti degli stessi. Questi

sono infatti i punti di partenza, una volta che si è

trattato in modo adeguato la sofferenza

psicologica della persona, per procedere ad

un‟autodistanziamento dell‟Io in primo piano che

si muove alla ricerca di un senso da poter apporre

alla guarigione. Si giunge così alla nascita del

“nonostante tutto” che suggella concludendo o

stimola iniziando un percorso di ripresa e di

miglioramento di se stessi in relazione alla realtà

quotidiana. Un altro aspetto parimenti importante:

la figura degli operatori di aiuto e della rete

amicale e parentale che offre sostegno. Prendersi

cura di una persona affetta da una patologia

cronica richiede alcuni aspetti e caratteristiche:

sensibilità alla sofferenza, partecipazione attiva ed

empatia, atteggiamento non giudicante.

L‟operatore compassionevole si caratterizza per la

compassione che definisce alcuni aspetti come

attenzione, comportamento, sensazione ed

emozione. La compassione quindi diventa uno

strumento utile con cui affrontare una relazione di

aiuto volta al sostegno durante eventi di patologie

croniche. A tale concezione della compassione si

può associare quello della “compassion fatigue”,

ovvero la sensazione di fatica, provata dagli

operatori che lavorano in contesti complessi come

quello oncologico, nel provare compassione e

dispiacere per altri che si trovano in una

situazione di estremo dolore o difficoltà. Inoltre

sarebbe interessante valutare quali sono i

comportamenti agiti, come risultante, per alleviare

questo terribile senso di fatica nel gestire la

compassione che si prova nei confronti di persone

con cui ci si relaziona tutti i giorni, in modo

continuo e quotidiano.

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Una compassione, la cui etimologia rimanda qui

al concetto del “soffrire con/per te” distanziandosi

dal concetto cristiano del “cum pietas”, il quale

prevede uno sbilanciamento di posizione tra colui

che offre compassione e colui che ne riceve.

A tale nuovo modo in cui ci si guarda e dal modo

in cui si percepisce e approccia all‟altro in

difficoltà si aggiunge ancora un tassello: il

supporto concreto.

“Ricorda sempre donna, un giorno un colpo ti ha

ferito al petto e ti ha buttato per terra, sulla

schiena a braccia aperte con gli occhi sbarrati a

guardare il soffitto, ma per la prima volta non ti

sei chiesta “perché”, per la prima volta ti sei

chiesta “come”; come potevi fare per rialzarti,

per proteggere la tua ferita, per far si che la tua

vita non sia colta impreparata(..) ricorda donna ,

hai difeso questa vita , bella o brutta che fosse era

la tua vita e l’hai difesa” (2017, ibidem, pag. 27).

Il supporto concreto si declina attraverso le figure

che si prestano a dare sostegno al paziente affetto

da una malattia oncologica. Queste figure

richiamano tre grandi macro categorie: la rete

amicale-parentale, la rete degli psicologi e quella

degli operatori sanitari. Tutte e tre queste

categorie presentano delle risorse psicologiche e

spirituale; gli operatori e i familiari operano

“sostegno psicologico” mentre invece gli

psicologi sono in grado di offrire una terapia

psicologica.

“Non vorrei farti soffrire amore mio. Ieri ho visto

il tuo viso rigarsi di lacrime, che scendevano

copiose (..) la mia malattia ti ha fatto invecchiare,

di colpo. (..) non vorrei essere il motivo della tua

sofferenza e non avrei voluto dirti ciò che ti ho

detto(..) non vuoi sentire le mie parole, mi

interrompi sempre, ma sono cose delle quali

dobbiamo parlare, negare la possibilità realistica

della morte non vuol dire che io voglia smettere di

lottare.” (2017, ibidem pag. 18). La prima

categoria riporta molte implicazioni emotive a

frapporsi tra l‟offerta di sostegno e la ricezione

dello stesso, nonché la sua accettazione, da parte

di chi è oggetto di tali attenzioni. Non sempre

risulta semplice “stare” inteso come presenza

consapevole durante episodi di malattia cronica.

Altrettanto complesso, come sopra riportato è

concepirsi come persona affetta da una patologia

cronica, bisognosa di cure e attenzioni particolari.

Il passo da percepirsi “affetto” da una patologia a

percepirsi “malato” è breve. Il supporto concreto

può quindi essere difficile da offrire e da ricevere

in un momento così particolare. Tuttavia non

bisogna farsi spaventare dalle difficoltà e dai

timori incontrati condividendoli apertamente tra i

diretti interessati. Il confronto, anche su temi

concreti, facilita lo scambio emotivo in una

situazione complessa per tutte le parti in causa,

aiuta a sconfiggere, affrontare e palesare i timori e

le convinzioni dell‟altro. Condividere le difficoltà

di sentirsi fragili e di percepire chi amiamo come

fragile mette entrambe le persone nella posizione

di ritrovare una comunione in situazioni che

prevedono posizioni assai differenti e distanti

(persona sana vs persona affetta da una patologia

invalidante). Inoltre tacere su argomenti inerenti

la malattia potrebbe aumentarne il timore che

questi stessi temi portano con sé.

“Definire cosa vuol dire aiutare un paziente

affetto da una patologia oncologica o un familiare

degli stessi è difficile. Sicuramente si offre la

possibilità di riadattarsi e riorganizzarsi rispetto

ad un evento. Aiutare ad esprimere ed accogliere

le emozioni. Aiutare la riorganizzazione del

sistema familiare, l’elaborazione e il

riadattamento ad un’altra realtà.”

La seconda categoria è quella degli operatori

psicologici che gravitano attorno alle patologie

oncologiche. La possibilità di utilizzare le parole

come strumento terapeutico si lega alle relazioni

simboliche dei termini. Sarà così possibile creare

delle nuove associazioni linguistiche e mentali di

conseguenza, che potranno supportare

l‟elaborazione del vissuto portato dal paziente.

Inoltre l‟operatore sarà garante di uno spazio

neutro ed accogliente in grado di offrire

protezione, contenimento e la possibilità di “dar

voce” al dolore interno senza aver timore che

questo venga individuato come debolezza e

fragilità sia dei pazienti sia dei familiari che si

trovano a vivere patologie gravi. Di sostegno a ciò

è centrarsi sul rispetto del paziente, che si esplicita

nella consapevolezza delle abilità e risorse

dell‟altro da parte del terapeuta, il quale si pone

come pari rispetto a colui che sta richiedendo

sostegno psicologico. Tutto ciò sarà funzionale

all‟evitamento dei comportamenti di sovraiuto

dettati dalla percezione di estrema fragilità

dell‟altro. Passiamo così dal sottotesto “non

voglio essere compatito” a “ho bisogno di potermi

sentire bisognoso di sostegno in un momento di

difficoltà”.

“Alla giovane dottoressa che gli infilava un ago

nella carne del braccio aveva detto astioso: -veda

di non massacrarmi le vene! - così tanto per

metterla a proprio agio e con poche parole

arroganti si era presentato a tutto il personale del

day hospital oncologico. (…) cosi una mattina,

quella stessa giovane dottoressa, vedendolo senza

il solito ghigno impresso sulla faccia, gli aveva

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chiesto: -Cosa sta pensando, dottore? -, -prati

verdi! - le aveva risposto quieto. –Allora la

terapia sta facendo effetto! -. Lei gli strizzo

l’occhio. Lui le sorrise. Da quel giorno si erano

chiamati per nome.”. (2017, ibidem pag. 12- 13)

L‟operatore sanitario è colui che offre le cure

mediche. È importante che questo si presti ad

essere chiaro e disponibile riguardo i dubbi, le

paure e le curiosità di pazienti e familiari. Il

medico e gli

infermieri spesso

vengono travolti

dalle prime

emozioni legate

alla

comunicazione

della diagnosi che si concretizzano in rabbia ed

incredulità. Potrebbe perciò risultare complesso

non farsi travolgere da queste emotività. Agli

operatori sanitari è consigliato prendersi cura

degli aspetti emozionali che li riguardano, non

sottovalutando le ovvie difficoltà in cui si incappa

relazionandosi quotidianamente con patologie

croniche e degenerative che talvolta conducono ad

episodi di burn - out evidenti. Proprio per questo è

importante prendersi cura di chi cura attraverso

risorse strutturali e d‟equipe come potrebbero

essere i gruppi Balint.

È perciò importante che anche questa parte di

equipe sia coinvolta nel supporto di se stessi che a

loro volta devono prestare cure in contesti difficili

e importanti da un punto di vista emotivo. Il

sostegno concreto si concretizza quindi in un

supporto a cascata che vede coinvolti tutti coloro

che gravitano attorno a questo tema. Inoltre per

offrire un sostegno efficace ci si dovrebbe

avvalere di una collaborazione tra tutti i ruoli che

sono coinvolti nella presa in carico di una

persona.

Anna Pizzo

Bibliografia

- Ass. ne Moby Dick, a cura di R. Restuccia,

(2017), Un Ponte Sul Fiume Guai,

“Color Game”, pg. 12-13.

“Mi chiamano così”, pg. 27.

“La nostra Itaca”, pg. 18.

Un ponte sul fiume guai 5 A cura di Raffaella Restuccia

(del 1°ed il 3° sono

rimaste poche copie in

sede il 2°ed il 4° sono

andati ESAURITI!!!)

(Training Emotional Area)®

Presenta

“Help Profession" il lavoro in equipe e la Mission Sanitaria. in oncologia, patologie organiche gravi e

cure palliative

XII edizione inizio 25 gennaio ‘18 Incontri, nell‟ottica dell‟approccio globale alla

persona portatrice di una patologia e di condivisione

con gli operatori ispirandosi al modello dei gruppi

Balint, si propongono di fornire ai partecipanti

strumenti teorici, tecnici e pratici. Il Corso è rivolto a

tutti coloro che sono impegnati in una relazione

d‟aiuto e desiderano una condivisione delle

esperienze professionali.

Gli incontri saranno quindicinali, il giovedì

pomeriggio, per un totale di 15 incontri

Agevolazioni per chi ha partecipato alle edizioni

precedenti ed ai Soci Sostenitori

35 Crediti ECM per tutte le professioni sanitarie

(infermieri, medici, fisioterapisti, logopedisti,

biologi, farmacisti, ecc.)

Gruppo Balint per Psicologi e Psicoterapeuti

"Psicologia Oncologica, delle malattie organiche

gravi e Palliazione"

10 marzo 2018

Incontri su casi clinici e dinamiche lavorative

ispirandosi al modello dei gruppi Balint, si

propongono di fornire ai partecipanti strumenti

teorici, tecnici e pratici. Il Per-Corso è aperto a chi ha

in suo attivo un corso di 1 e 2 livello in Psiconcologia

e chi ha maturato un‟esperienza pluriennale in ambito

sanitario impegnati in una relazione d‟aiuto e

desiderano una condivisione delle esperienze

professionali.

Percorso strutturato in 11 incontri di sabato dalle 10

alle 17,30, richiedi informazioni e calendario

Agevolazioni per chi ha partecipato alle edizioni

precedenti ed ai Soci Sostenitori

50 Crediti ECM per psicologi e

psicoterapeuti

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"Emozioni in punta di penna" Corso di scrittura espressiva

La scrittura fa da ponte tra interno ed esterno, tra

l’esperienza intima di chi

scrive e chi legge;

presuppone l’attivazione

di un processo

referenziale che connette

in una relazione di

traducibilità reciproca le

esperienze non verbali – tra queste le emozioni – con il

linguaggio: chi scrive traduce le esperienze interiori in

forma verbale, chi legge rapporta le parole al proprio

mondo emozionale.

Raffaella Restuccia da Un Ponte sul fiume Guai 2012

Scrivere è un atto terapeutico.

Leggere, ascoltare e “sentire” è una restituzione di

dignità alla persona con disagio.

Maurizio Cianfarini intervista ad Omero

Corso per Operatore Letterario 2018 in ambito

sanitario e di sofferenza psicosociale; Definizione e

strumenti della Medicina Narrativa e della Scrittura

Espressiva; Applicazioni pratiche nei diversi contesti

di cura; imparare narrando con elementi di autoanalisi

ed introspezione letteraria, mettersi dal punto di vista

dell‟altro ascoltando se stessi; dall‟ascolto empatico

alla comunicazione non verbale come elementi di

produzione letteraria; esercizi e lavori di gruppo;

produzione di materiale letterario;

Discussione e lavoro di gruppo.

ROMA 10 febbraio 2018

Percorso strutturato in 10 incontri di sabato

dalle 10 alle 17,30, richiedi informazioni e

programma

Sono previste agevolazioni

Advance booking:

del 10% per iscrizioni entro il 31 dicembre 2017,

Distanza chilometrica:

10% sull'importo totale (residenza oltre i 300 Km dalla

sede del corso)

Porta un amico: 5% sull'importo totale

le agevolazioni sono cumulabili

50 Crediti ECM per infermieri, medici, terapisti

occupazionali, psicologi e psicoterapeuti ecc. ecc.

E’ in corso la Campagna Associativa

per l’anno 2017, diventa anche tu

Moby Dicker

IV Ed. Premio Fotografico Nazionale “Carpe Diem – Cogli l’attimo”

Sono salito sulla cattedra per ricordare a me

stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da

angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da

quassù. Foto di M. Cianfarini

Non vi ho convinti?

Venite a vedere voi

stessi. Coraggio! È

proprio quando

credete di sapere

qualcosa che dovete

guardarla da un'altra

prospettiva”.

Questa suggestiva citazione tratta da “L’Attimo

fuggente” di Peter Weir (1989) descrive a pieno la

prossima iniziativa promossa a livello nazionale

da Moby Dick.

Anche quest‟anno, infatti, abbiamo scelto di

affiancare alle attività ordinarie un‟iniziativa

culturale che dia l‟opportunità ai partecipanti di

raccontare la propria esperienza attraverso un

canale diverso e creativo. Il 1° luglio si è aperta

ufficialmente la Quarta edizione del Premio

Fotografico Nazionale “Carpe Diem – Cogli

l’attimo” il cui titolo racchiude in un‟unica, breve

espressione oraziana ciò che vogliamo

comunicare: cogliere l‟attimo, non lasciarlo

sfuggire. Fermarlo e guardarlo proprio da

“quell’altra prospettiva” descritta dal Professor

Keating nel celebre film.

In quest‟ottica, la fotografia assume il significato

di apertura, di passaggio da mondo interno a

mondo esterno. Osservarla, dunque, sarà

un‟opportunità, quella di permettersi non solo di

ripensare ma anche di rivalutare il singolo

momento legato all‟incontro - diretto o indiretto -

con la malattia.

ULTIMI GIORNI Il concorso si concluderà il

10 gennaio 2018 e la premiazione in Primavera!!

Ulteriori informazioni e il Bando consultabile sul

sito su cui potrete vedere modalità di

partecipazione e i Premi messi a disposizione.

Prendete in mano le vostre macchine fotografiche,

Moby Dick vi aspetta!

Bando su www.moby-dick.info

Alessia Gentile

“Le foto non si fanno con la macchina…

si fanno con gli occhi, col cuore e con la testa..” Henri Cartier-Bresson

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ANNO 6-4 Pagina 7

L’elemento spirituale nella pratica

infermieristica e non solo.

Il seguente articolo vuole essere il primo di

una serie di contributi all’utilizzo della

spiritualità in ambito sanitario. La

spiritualità è qui vista quale forza unificante

che si manifesta nel sé, forza che si manifesta

ed è sperimentata nel contesto delle relazioni

di cura verso sé, gli altri, la natura. Una

spiritualità laica, appartenente a tutto il

genere umano, non avendo prove certe della

sua esistenza in altri ambiti, e che in alcuni si

manifesta attraverso la religiosità ma da non

confondere con essa. Una forza vitale che ci

permette, specie nelle nostre prestazioni

massime, di fare una scelta, prendere una

posizione, avere un atteggiamento

significativo, nonostante tutto. “La presenza

intenzionale dell’infermiere, dell’operatore

sanitario in generale (medico, psicologo,

fisioterapista ecc. ecc.), rende possibile

l’ascolto delle preoccupazioni spirituali dei

pazienti. Tali preoccupazioni si rivelano

anche attraverso il racconto della propria

vita. Nutrire lo spirito dell’infermiere è una

condizione essenziale perché possa avvenire

questo scambio tra paziente e infermiere.”

La spiritualità sta ricevendo sempre maggiore

attenzione da parte degli operatori sanitari,

ricerche recenti hanno tentato di esplorare e di

chiarire la relazione tra spiritualità e salute.

Per l‟infermiere, la sfida consiste

nell‟integrare queste nuove consapevolezze

nella pratica quotidiana.

Incorporare la spiritualità nella sua piena

laicità nella professione richiede una

sensibilità particolare ai diversi modi nelle

quali si esprime questa spiritualità. Talvolta

gli infermieri si possono trovare ad affrontate

tematiche che hanno a che vedere con le

dimensioni spirituali senza riconoscerle come

tali. Le ricerche svolte indicano che la

spiritualità è un aspetto integrante della vita,

della salute e del benessere (Anderson &

Hopkins, 1991; Barker, 1989; Burkhardt,

1989, 1991, 1993; Hewden, 1992). Qualcuno

ha addirittura suggerito che la spiritualità

costituisca la pietra miliare della cura

infermieristica globale (Nagai-Jacobson &

Burkhardt, 1989).

Le ricerche recenti sulla spiritualità nelle

donne hanno mostrato come la spiritualità sia

una forza unificatrice, che si manifesta nel sé,

e si riflette nell‟essere, nel sapere, e nell‟agire

di ognuno (Burkhardt, 1991, 1993). La

spiritualità viene espressa e sperimentata nel

contesto delle relazioni di cura con se stessi

(soliloquio e rispetto dei propri bisogni), con

gli altri, con la natura, con Dio e con la forza

vitale. Gli elementi chiave di questa visione

della spiritualità sono il sé e le relazioni. Il sé

riflette un percorso di vita che include la

propria identità, le conoscenze, le azioni, le

fonti di forza e di significato. Le relazioni

sono quei collegamenti che uniscono il sé agli

altri, alla natura, a Dio, alla forza vitale.

Prestare attenzione al sé e a questi legami è

essenziale per la cura totale della persona.

Nutrire lo spirito dell’infermiere

Nutrire e curare la propria spiritualità è

fondamentale per poter integrare la spiritualità

nella pratica professionale. In questo tipo di

cure, l‟attenzione verso il sé e verso i diversi

legami è di importanza vitale. Nel percorso

spirituale la persona può partire solo dal punto

in cui si trova; nessuno è escluso e chiunque

si può risvegliare (Fields, Taylor, Weyler &

Ingrasci, 1984). La guarigione comincia a

casa, e la cura del sé è il prerequisito

essenziale per qualunque guaritore (Brennan,

1987). Vi sono dei temi comuni alle diverse

religioni, culture e discipline, che riguardano

la cura dello spirito e dell‟anima. (V. E.

Frankl, Homo Patients 1998)

L‟associazione per le Unità di Cura

Continuativa “Moby Dick” nel suo percorso

formativo accreditato porta avanti con

successo la formazione centrata sia su aspetti

emozionali che spirituali che aiutano

l‟operatore a prendersi cura di se.

(www.moby-dick.info area ECM)

Moore (1992) suggerisce uno stile di vita che

si prenda cura dell‟anima; gli elementi che

quest‟autore indica come necessari per questa

cura -fermarsi, prendersi del tempo, riflettere,

prestare attenzione- sono comuni alle diverse

tradizioni sopracitate. Il fermarsi è una

modalità antitetica rispetto al nostro modo di

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vivere impegnato, ci offre il tempo di

fermarci, riflettere, e assimilare ciò che sta

succedendo attorno e dentro di noi.

Assaporare, apprezzare, stare fermi,

meravigliarsi, sono tutte cose che il fermarsi

ci permette di fare.

Prendersi del tempo per sé e con le persone,

prendersi del tempo per le relazioni e per le

cose (animate e inanimate) ci permette di

conoscerle e di essere conosciuti da esse. Così

facendo le nostre relazioni diventano più forti,

più profonde, più intime. I nostri spiriti si

nutrono, si allargano, si formano, anche se

queste relazioni sono segnate dallo sforzo.

Prendersi del tempo e prestare attenzione alle

relazioni nelle quali siamo coinvolti ci

permette di approfondire la nostra

comprensione e il nostro apprezzamento di

esse. (Cianfarini M. 2010 La malattia

oncologica nella famiglia, dinamismi

psicologici ed aree d‟intervento)

Riflettere e prestare attenzione sono due

aspetti del fermarsi e del prendere tempo.

Questo riflettere e prestare attenzione ci

permette di sapere quando fermarsi e quando

prendersi del tempo, sapere dunque quando è

occorre nutrire un po‟ lo spirito. Una

domanda importante da porsi è “Come vivo e

sperimento il sacro?” poiché i modi di nutrire

la spiritualità sono tanti quanti le persone che

cercano questo nutrimento.

Tenendo conto che il fattore tempo in ambito

sanitario richiama l‟urgenza (meccanismo di

difesa) e fa contattare le angosce di morte,

possiamo immaginare come per un

infermiere, un medico e operatore sanitario

sia necessario un percorso formativo che esula

dalle semplici nozioni didattiche ma un lavoro

su Se e sul proprio mondo emozionale

(Cianfarini M … e tutti giù per terra 2007)

Fields e colleghi (1984) affermano che lo

scopo dell‟attenzione è di produrre

consapevolezza e quindi raggiungere o

scoprire lo stato risvegliato della mente.

Questi autori affermano che prestare

attenzione è l‟essenza della vera spiritualità,

rilevando che le diverse pratiche spirituali

sono in realtà modalità per apprendere a

prestare attenzione. Segue una sintetica

descrizione di alcune di queste pratiche.

Il Centering è un passo importante nel

processo di mettersi in contatto con il proprio

spirito, questo processo infatti concentra

l‟attenzione e apre la consapevolezza dei

soggetti. I modi in cui realizzare questo

Centering sono descritti da diversi autori.

Vi è un gran numero di modi per realizzare il

Centering. Quasi tutte le tradizioni spirituali

orientali e occidentali ne propongono alcuni,

quali ad esempio contare i respiri,

concentrarsi sulla respirazione, ripetere un

movimento rituale, ripetere parole sacre,

ballare, creare una scena immaginaria e così

via. (Savary & Berne, 1988, 25)

Nella letteratura di carattere infermieristico il

Centering, o trovare un punto di riferimento

personale, è stato definito un momento

necessario per la preparazione al contatto

terapeutico (Borelli & Heidt, 1981;

Chiappone, 1989; Krieger, 1979). Questi

processi di Centering spesso implicano

l‟attenzione verso la respirazione, la

consapevolezza del collegamento con

l‟energia universale, e la scelta intenzionale di

svolgere la funzione di presenza guaritrice.

Harris (1989) utilizza il Centering come modo

per ottenere uno stato di quiete con se stessi e

dentro se stessi, in preparazione del momento

di „danzare‟ i sette passi della spiritualità

femminile. Questi passi includono risveglio,

scoperta, creazione, soffermarsi, nutrire,

creare una tradizione, e trasformare. Il

processo suggerito da questa autrice implica

lo stare fermi e riposarsi nel proprio spirito

attraverso il lasciarsi andare del proprio

corpo. Questa autrice offre delle domande

significative da porsi ad ogni passo,

incoraggiando così la persona a prendersi del

tempo e a non affrettarsi, lasciando emergere

le domande dal proprio sé profondo. Nel

contesto di un‟altra tradizione, Brooke

Medicine Eagle (1991) offre delle domande

che possono guidare la persona nel processo

di collegarsi con il grande spirito presente in

ogni persona. Quest‟autrice fa notare

l‟importanza di creare uno spazio sacro per

questo tipo di lavoro e la significatività del

processo spirituale.

Savary e Berne (1988) descrivono la pratica

della presenza spirituale come Kything, che ha

l‟obiettivo di “creare un legame, unione,

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comunione, spirituale amorevole tra due o più

persone o esseri viventi”. Il processo di

Kything richiede che i pazienti siano

contenuti in uno stato di quiete, di Centering,

contenendo il paziente in una consapevolezza

amorevole, attraverso l‟unione spirito–spirito.

Questi autori suggeriscono che questo

momento di comunione deve essere solo un

momento durante il quale l‟operatore sceglie

di essere una funzione guaritrice per la vita

del paziente, guidato “non solo dalle

conoscenze ottenute attraverso lo studio

formale e attraverso anni di esperienza, ma

anche dai movimenti interiori e dalla saggezza

profonda del proprio spirito”.

Qualunque esperienza nella quale una persona

presta attenzione può essere un‟esperienza di

Centering perché permette di essere

pienamente presente e consapevole in un dato

momento. Tali esperienze possono assumere

forme diverse e una persona può trovare

diversi percorsi per raggiungere questo

Centering. La scelta importante è quella di

impegnarsi ad aumentare l‟attenzione e la

consapevolezza attraverso la pratica di

discipline spirituali quali la preghiera e la

meditazione e attraverso il riconoscimento

delle opportunità di aprire lo spirito nelle

attività quotidiane quali cucinare, giocare,

camminare.

Le esperienze profonde dello spirito passano

attraverso le relazioni in una comunità o nella

solitudine. Riconoscere lo spirito implica la

consapevolezza che ovunque uno si trovi, lì è

terreno sacro (Smith, 1992). Esperienze del sé

e della solitudine non sono separate o

scollegate dalle esperienze della comunità o di

relazione, sono tutte parte dell‟integrità di una

persona. Le esperienze del sé che possono

richiedere solitudine sono preghiera,

meditazione, esercizi corporei, movimento,

riposo, attesa, espressioni rituali o creative.

Meditazione. Le pratiche di meditazione

facilitano il legame, o il „divenire amici‟ di se

stessi. Tali pratiche di consapevolezza e di

sintonizzazione con la propria natura possono

concentrarsi su un singolo oggetto o simbolo,

o misurate ad espandere la consapevolezza

dell‟ambiente esterno (Borelli & Heidt, 1981).

Brennan suggerisce che la meditazione può

essere semplice come contare fino a dieci,

contando 1 ispirazione, 2 espirazione, 3

inspirazione, e così via. “La parte difficile sta

nel ricominciare da capo ogni volta che ci si

distrae” (Brennan, 1987, 198).

Preghiera. Molte tradizioni affermano che la

vita stessa è una preghiera: Può essere

descritta come parte profonda del sé che anela

ad un legame con la forza vitale dell‟universo

e con gli altri. Il Centering attraverso la

preghiera può integrare parole e silenzi,

movimenti e immobilità, solitudine e

comunità. Come e quando ti fermi a pregare e

meditare?

Movimenti corporei, sensazioni. Lo spirito si

può incontrare anche prestando attenzione al

vissuto corporeo e alle sensazioni fisiche. Gli

esercizi non solo contribuiscono alla propria

salute e benessere, ma possono fornire anche

un mezzo per il Centering attraverso il

movimento. Danza, yoga, T‟hai Chi, sono

vissute dal alcune persone come forme di

meditazione. Farsi un bagno caldo, ricevere

un massaggio, sentire una leggera brezza sul

corpo, sono tutti momenti nei quali lo spirito

può farsi sentire attraverso il corpo.

L‟attenzione al suono, alle vibrazioni, al

ritmo, può essere un altro mezzo per

contattare lo spirito. Concentrarsi con gli

occhi su un mandala, un oggetto sacro,

osservare un tramonto, un bambino che gioca,

se fatto con attenzione, può aprire lo spirito.

Per alcuni, certi odori quali quello

dell‟incenso o dei fiori, possono facilitare la

concentrazione sul vissuto interiore. Come ti

prendi cura del tuo sé fisico? Quali suoni,

immagini e odori facilitano il tuo Centering?

Come integri l‟attenzione al movimento nella

tua vita quotidiana?

Riposo, attesa, tempo libero. La vita

quotidiana e i tanti impegni rendono facile

scordarsi di “fermarsi, aspettare, e essere

aperti al potere rinnovatore della presenza

riposante” (Canham, 1993, 27). Sulla vostra

agenda scrivete „riposo‟? Proteggete con cura

quel tempo? Accettate le opportunità per

riposarvi, anche un periodo di malattia, o un

appuntamento annullato all‟ultimo minuto?

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Imparare a riposarsi veramente,

quotidianamente, è una sfida che richiede

un‟attenzione particolare. Imparare a donare

agli altri il riposo, un momento silenzioso,

uno spazio guaritore, senza avere attese o

richieste, è un apprendimento essenziale.

Smith (1992) ci ricorda che se non ci

fermiamo a vedere la nostra vulnerabilità

cresceranno progressivamente il senso di

alienazione e di stanchezza, e ci

allontaneremo sempre più dalla nostra voce.

Le nostre anime hanno bisogno di riposo e di

guarigione e a volte dobbiamo soffermarci

sulla bellezza interiore per lasciarla uscire

(Smith, 1992, 35).

Kidd (1990), trattando l‟importanza

dell‟attesa, parla dell‟arte spirituale di „stare

nel bozzolo‟ mentre si attraversano momenti

critici della propria vita. Quest‟autrice

descrive l‟attesa così:

“… passiva e passionale… un opera

vibrante, contemplativa… discendere

nel sé, in Dio, in labirinti più profondi

di preghiera… ascoltare le voci

diseredate dentro di sé, affrontando

ferite dell’anima … lottare con

l’immagine di chi siamo realmente in

Dio … e trovare il coraggio per vivere

quell’immagine… (Kidd, 1990, 14).

Prendersi il tempo per riposare e per viverre i

momenti di attesa è un aspetto integrante del

viaggio verso la guarigione. Vi state

coccolando in parti di voi? Potete rispettare i

tempi di attesa della vostra vita e in quella

degli altri?

Pieper (1993) descrive il tempo libero come

forma di silenzio e condizione dell‟anima, un

atteggiamento mentale e spirituale. Il tempo

libero, secondo Pieper, è una forma di silenzio

che permette alla persona di sentire, un

atteggiamento ricettivo della mente, un

atteggiamento riflessivo, che da sia

l‟occasione sia la capacità di mettersi in

contatto con la creazione. Pieper afferma

inoltre che il tempo libero sia legato alla

felicità, all‟affermazione di sé, alla fiducia, al

riconoscimento del mistero, alla celebrazione,

e all‟apertura verso il tutto. Voi trovate il

tempo per riposarvi, per mettervi in contatto

con la creazione, per ascoltare? Siete

consapevoli del silenzio dentro di voi?

Rituali. I rituali sono importanti componenti

di molte tradizioni e vengono discussi in molti

scritti. I rituali possono essere descritti quali

modalità “sacre, non di routine” di mettersi in

contatto con la forza vitale. I rituali implicano

un‟intenzione, un luogo, un momento, e delle

persone (Achterberg, Dossey, & Kolkmeier,

1994). Quali rituali sostengono il vostro

viaggio spirituale? Pianificate uno spazio per i

rituali nella vostra vita? Ci sono dei rituali ai

quali vi piacerebbe partecipare?

Le esperienze di contatto che sono

significative per la cura dello spirito

includono il contatto con le persone, con le

comunità e con l‟ambiente fisico. I contatti

ricchi all‟interno della vita di comunità

offrono una grande risorsa per nutrire lo

spirito. Per questo è importante pianificare del

tempo insieme a altre persone che in modi

diversi nutrono e affermano il nostro essere.

Nel posto di lavoro, nelle case, comunità, e

nel mondo più ampio, le persone che sono in

grado di esserci, di ascoltare racconti di

grandi sofferenze o gioie, che riescono a

condividere gli sforzi e i trionfi dei nostri

viaggi, formano profondamente la nostra vita.

Voi pianificate un momento e uno spazio per i

vostri compagni di spirito? Siete disponibili

ad ascoltare le storie dei membri della vostra

famiglia? Riconoscete le opportunità che vi

vengono date, di condividere la vostra storia?

Vi sono persone nel vostro luogo di lavoro

che possono condividere le vostre ferite e le

vostre gioie?

Il gioco può essere sperimentato in comunità

o da soli. Incoraggiare se stessi e gli altri a

giocare dona vitalità e nutre lo spirito. Al

gioco si associano il ridere, l‟abbandono,

l‟energia e la vitalità. Quand‟è stata l‟ultima

volta che avete detto ad un amico “andiamo a

giocare”? In questo senso, il gioco non è

competizione, ma riguarda la condivisione e il

divertimento. A due donne che stavano

giocando a ping pong è stato chiesto “chi ha

vinto?” ed esse risposero all‟unisono

“Abbiamo vinto tutte e due”. Loro avevano

giocato nel vero senso della parola. Giocate

anche voi, per il benessere del vostro spirito.

Utilizzare i doni della creatività (V. E. Frankl

Psicoterapia nella pratica medica 1974)

permette all‟anima di esprimersi. Ricamare,

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disegnare, scolpire, scrivere, fotografare, e

ascoltare o suonare musica; tutti questi sono

modi per prendersi cura della propria anima.

Anche godersi un film, una commedia, un

concerto, sono modalità per conoscere meglio

e quindi nutrire lo spirito. Qual è l‟arte che ti

comunica di più? Quand‟è stata l‟ultima volta

che hai nutrito questo aspetto di te? Il mondo

che ci circonda offre molte occasioni per

mettersi in contatto con il proprio spirito.

L‟interdipendenza di tutto il creato ci diventa

sempre più chiaro, come ci ricordano

costantemente la saggezza delle tradizioni

antiche e le recenti scoperte scientifiche. La

natura si offre a noi attraverso i sensi, il

profumo dei fiori, il sapore delle spezie, la

sensazione della terra nuda sotto i piedi, il

rumore delle onde che si infrangono sulla

spiaggia, la vista di stormi di uccelli che ci

sorvolano. Per molti l‟aria aperta costituisce

uno spazio sacro che chiama e nutre lo spirito.

Appoggiarsi ad un albero, osservare un

animaletto, piantare un seme, sono alcune

delle tante strade che conducono alla

spiritualità. Quali sono i doni della natura che

nutrono il tuo spirito? Vi organizzate in modo

da poter ricevere quei doni tutti i giorni?

(Lukas E., Prevenire la crisi 1991)

Margaret A. Burkhardt, Maurizio Cianfarini

Mary Gail Nagai-Jacobson

Bugie, false verità,

omissioni e silenzi.

Le bugie fanno parte

della nostra vita:

distinguere le bugie dalla

verità è difficilissimo,

fare a meno delle bugie è

impossibile, anche perché spesso sono necessarie,

sono una difesa (la maggior parte delle volte per

tutelare il proprio narcisismo), spesso una terapia.

Partendo da queste considerazioni, Gianna

Schelotto ha studiato il meccanismo della bugia e

nel suo libro “Perché diciamo bugie” lo racconta

attraverso una decina di storie che "mettono in

scena" i diversi tipi di bugie. La prima storia che

ci viene narrata è quella di Alice che assiste al

suicidio della giovane zia Lucilla. Un suicidio

che, però, verrà fatto passare per un banale

incidente, creando in lei, ancora bambina, non

poca confusione, a causa dell‟incongruenza tra ciò

che le veniva detto e ciò che invece aveva visto.

Per anni, Alice cercherà la verità scontrandosi con

il silenzio in cui tutti i membri della famiglia si

erano chiusi, impedendole di elaborare il lutto. Cioè di mettere in atto quel processo che la

Kübler-Ross nel 1970 descrive come un alternarsi

di cinque fasi. Terremo comunque conto che la

morte è solo la massima esperienza di perdita e

che spesso la persona si avvicina a tale perdita con

lo stesso atteggiamento con cui ha affrontato le

perdite precedenti, a volte non considerandole

così gravi e quindi aderendo ad una sua modalità

appresa di affrontare un lutto.

Le cinque fasi, non necessariamente sequenziali e

non presenti sempre, ma in questo caso ci

troviamo di fronte ad un lutto non elaborato, sono:

-Negazione: In questa prima fase, che in genere

segue immediatamente la scomparsa o

l'abbandono del proprio caro o, nella maggior

parte dei casi compare già con la negazione della

gravità della malattia non permettendo un lutto

anticipatorio, la persona non è in grado di

elaborarne la perdita. Parla di chi se n'è andato

quasi come se fosse ancora con lei e può cercarne

la presenza aspettandosi di vederlo comparire,

come se si fosse allontanato solo

momentaneamente. In un certo senso, è come se la

realtà fosse così intollerabile da dover essere

rifiutata. È comune osservare shock e stordimento.

In questo primo stadio, quindi, è negata la perdita,

e può esserlo a diversi gradi di intensità.

L'esclamazione che accomuna chi si trova in fase

di negazione è: "Non può essere successo"; tutto

questo per un semplice motivo, ha bisogno di

tempo per accettarla, ovviamente più tempo passa

per ogni fase e più va a discapito della prognosi.

-Rabbia: Questa fase insorge, normalmente,

quando la persona che vive il lutto non ha più

modo di evitare di guardare in faccia la realtà

della perdita ed è arrabbiata perché tutti i suoi

sforzi di ricongiunzione non hanno prodotto

risultati, inizia a rendersi conto che questa cosa è

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accaduta proprio a lei e alla persona che ama e

viene subita come un‟ingiustizia, spesso a causa di

“sospesi”, cosa che non può più fare con

“l‟affetto” perduto; rabbia vissuta come una

sensazione di non aver, spesso per un senso di

colpa, non dedicato il giusto tempo o che si

pensava di avere ancora “tutto il tempo del

mondo”. La rabbia può essere espressa contro sé e

contro gli altri, contro la persona scomparsa

(colpevole di essersene andata) o contro un'entità

superiore, per esempio Dio o il destino. In questa

fase la rabbia, al contrario di quanto si potrebbe

pensare, è una reazione funzionale, in quanto cela

il dolore, la paura e la profonda tristezza che in

questo momento non sarebbe possibile affrontare.

-Patteggiamento: Chi è in stadio di

patteggiamento inizia a contattare in maniera

diversa la perdita, come in un dialogo con l‟altro,

e sarebbe disposto a “lasciar andare”

definitivamente a patto che possa ottenere

qualcosa in cambio: “se allora farò… allora potrò

ancora una volta, almeno”. È tipico che la persona

faccia promesse a se stessa e a chi se n'è andato.

Spesso ci si ripromette di essere migliori, di non

perdere più tempo, di non trascurare le persone

che si amano, oppure facciamo e concludiamo

processi già attivati (riparazioni) con la persona

morta.

-Depressione: E‟ il momento di potersi vivere a

fondo tutto il dolore e lo sconforto. Questa è la

fase precedente alla risoluzione del lutto. Le

persone in fase di depressione non negano più la

perdita. Sono solo tristi per la scomparsa della

persona amata, per la loro solitudine, per

l'ineluttabilità della perdita. Questo stadio, che

potrebbe sembrare il peggiore, è in realtà la via

d'uscita dal lutto. A questo proposito, viene in

mente il detto: "Il momento più buio è quello che

precede l'alba". In questo caso, è proprio così. Se

la persona compie i passi giusti, dopo un periodo

di tristezza, di sconforto e di apatia, potrà

terminare il percorso di elaborazione della perdita,

accettandola.

-Accettazione: In questo stadio la persona

comincia poco alla volta a riorganizzare la propria

vita, a riprenderla in mano. Lo fa considerando il

dolore della perdita per quello che è, senza cercare

di negarlo o di evitarlo, ma senza perdere mai

troppo di vista il fatto che è viva e che può ancora

gioire di tante cose. Ciò non significa cancellare i

ricordi della persona scomparsa e della vita fatta

insieme. Questo sarebbe un ulteriore meccanismo

di negazione e rimozione, che tenderebbe a

generare un lutto complicato. Al contrario, chi

accetta davvero la perdita conserva i ricordi della

persona amata, ritaglia per essi uno "spazio nel

proprio cuore", tenendo però gli altri spazi liberi

per tutto ciò che da lì in poi verrà.

Un lutto ben elaborato è un lutto in cui vengono

percorse tutte le precedenti fasi, un percorso che,

però, Alice non ha potuto fare.

Leggendo il libro della Schelotto, possono venire

in mente le numerose storie di nonni scomparsi,

nel proprio senso della parola, attraverso il

silenzio dei genitori o le verità abbozzate e dei

conseguenti lutti non elaborati. Spesso il nostro

silenzio, le nostre omissioni sono legate alla

tenera età dei figli ed al timore di ferirli

inutilmente. Sottovalutiamo i bambini, i nostri

ragazzi e forse mettiamo al sicuro la nostra

incapacità di dialogare intorno alla morte.

Invece si ricorderanno tutto di quella

“scomparsa”, della malattia, costruendosi una

“loro” verità a volte anche più angosciosa della

realtà. Sappiamo che nell‟ignoto, non noto,

abbiamo l‟abitudine di collocarci non solo le

nostre paure ma quelle che percepiamo in maniera

angosciante dal contesto in cui vengono generate.

Ricordo che anni fa, un‟amica mi raccontò di

quando da piccola, uno zio le disse:

“Nonno sta male, dovete andare dalla zia”

In realtà era morto. Ma a volte è difficile chiamare

le cose con il loro nome.

Il punto è che la persona prima di morire si

ammala, se riuscissimo a iniziare a dare questa

informazione non ci troveremmo a dover, non

dover, dire una notizia enorme.

Due giorni dopo la mia amica e i suo fratelli

tornarono a casa. Lei mi disse di ricordare gli

occhi tristi di suo padre, i sorrisi forzati e un

silenzio pieno e soffocante. Ricorda di essere

andata dalla madre:

“Nonno è morto, vero?”

“Si, però non piangere, fai finta di nulla…i tuoi

fratelli ancora non lo sanno”

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ANNO 6-4 Pagina 13

E lei ha finto. Ha finto così tanto bene da essersi

probabilmente convinta che suo nonno fosse

ancora vivo in ospedale. Fino a quando, molto

tempo dopo, mentre era alle prese con delle

faccende che di solito faceva insieme a lui, ha

realizzato che non sarebbe più tornato, che quelle

cose non le avrebbero mai più fatte insieme. Mai

più perché quella brutta malattia, di cui lei non ne

sapeva nulla, aveva avuto la meglio su di lui. E

finalmente ha pianto.

Ma ancora oggi, lei mi dice, di essere incapace di

metabolizzare la morte di una persona a lei cara

fin da subito. In un primo momento si comporta

come se non fosse successo nulla, poi dopo mesi

si ritrova a piangere disperatamente, come se

quella persona fosse deceduta in quel momento.

Pensavano che lei non capisse, pensavano di

proteggerla con il silenzio ma così facendo non le

hanno dato la possibilità di elaborare il lutto, di

esprimere il suo dolore o le domande che le

frullavano in testa.

La convinzione che i bambini possano essere

troppo piccoli per poter comprendere cosa

succede intorno a loro o che non siano in grado di

percepire che qualcosa non va, anche se è una

credenza comune, non è esatta. Basti pensare che

uno studio americano, pubblicato sulla rivista

dell‟associazione Psychological Science, ha

dimostrato che i neonati tra i 6 e i 12 mesi sono in

grado di percepire e reagire a una discussione tra i

genitori anche mentre dormono. I dati di questo

studio indicano, infatti, che il cervello dei neonati,

reagisce prontamente alle voci che ascolta durante

il sonno, in termini di maggiore o minore stress

correlato alla tipologia di emozione comunicata

dal suono. Se un neonato è perfettamente in grado

di cogliere gli stimoli esterni, pensate quante

informazioni può captare un bambino, anche se

molto piccolo, e quanto questo possa turbarlo, se

non correttamente aiutato a dare un senso a ciò

che percepisce. I messaggi non verbali,

comportamentali e gestuali incidono molto nella

formazione del bambino che, quotidianamente,

“legge” e “registra” le azioni dei genitori e,

soprattutto nei casi di incongruenza tra parole e

fatti, di fronte ai silenzi o ai vuoti del non detto,

tenta di darsi delle risposte da solo (spesso poi, nel

non detto, ci possiamo inserire delle fantasie ancor

peggiori della verità). Se non sono stati informati,

se non gli è stata data una spiegazione per loro

comprensibile, o se addirittura gli è stato detto

qualcosa a cui non riescono a credere o che cozza

con quello che loro stanno percependo, useranno

quelle poche informazioni a disposizione per dare

un senso a quello che stanno vivendo e per

spiegarsi perché le persone che stanno loro

intorno sono così strane, addolorate, tristi,

sconvolte. In pratica i bambini hanno bisogno di

sapere, di conoscere perché voi siete tristi, perché

gli altri sono tristi, perché anche loro sono tristi.

Bisogna ricordare che “non si può non

comunicare”, quindi, per quanto ci si possa

sforzare di far finta di niente, loro percepiranno il

dolore e tutti gli altri sentimenti legati ad una

perdita. E‟ necessario, quindi, stringere un “patto

di comunicazione” con il bambino, cioè affermare

che starete vicino a lui per aiutarlo ad affrontare

quello che sta succedendo, che è libero di

comunicare come si sente, che può fare qualsiasi

domanda e che voi farete quanto vi è possibile per

rispondere. Quanto detto vale sia per quanto

riguarda la morte, sia per quanto riguarda una

malattia come il cancro. Quando un familiare si

ammala di cancro, infatti, cambia la vita di tutti i

membri della famiglia. Il tumulto di sentimenti, le

preoccupazioni e l‟intensità della terapia spesso

lasciano ai genitori troppo poco tempo e forze da

dedicare ai figli. I genitori desiderano

naturalmente proteggere i loro figli e spesso non

osano parlare con loro della malattia. Questo è del

tutto comprensibile. Tuttavia, i bambini e gli

adolescenti si accorgono, anche senza ricevere

informazioni dirette, che c‟è qualcosa che non va

ed elaborano di nascosto le proprie spiegazioni,

spesso spaventose, della «strana atmosfera». I

bambini sono capaci di gestire la verità molto

meglio di quanto solitamente ritengano i genitori,

perciò, per il buon rapporto tra genitori e figli, è

fondamentale che in famiglia si trasmettano

informazioni su cambiamenti rilevanti come la

comparsa di una malattia. Mentire oppure

omettere, anche se può sembrare la cosa più giusta

da fare, non è un bene. La bugia non è mai a fin di

bene, non è protettiva (se non per chi la dice), anzi

sconvolge la capacità di giudizio del bambino -

che ogni bambino ha sicuramente, in una misura o

in un'altra - del senso di ciò che è bene e di ciò

che è male e dire le bugie non rientra nel primo

caso. E poi, si lederebbe il diritto del bambino di

poter soffrire alla sua maniera per la verità e

potersene fare una 'sua' ragione, magari differente

da quella degli adulti, ma comunque 'sua'

assolutamente da rispettare e da non negare.

Quindi, quando ci troviamo nella situazione di

dover comunicare ai bambini la malattia di un

familiare, esiste una sola regola fondamentale:

dire la verità (stabilendo il grado di verità da

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ANNO 6-4 Pagina 14

comunicare e non trovarsi a decide tra la verità e

la bugia). Ma come? In realtà non esiste un

modello fisso da seguire perché ogni famiglia è

unica e ogni situazione diversa ma è importante

fornire informazioni precise ed adatte all‟età del

bambino, attraverso un linguaggio che sia

comprensibile per lui. Nell‟informare i bambini è

importante chiamare le cose con il loro nome e

usare frasi brevi e semplici: non è necessario dare

il “nome” scientifico alla malattia ma è importante

che emerga lo stato di malattia, cura, guarigione o

peggioramento (loro hanno già incontrato “lo stare

male”, la febbre, la spossatezza, il dolore) e che

significa che alcune cellule del corpo sono malate.

Non siate reticenti o ridondanti, fate in modo che

il vostro contributo dia l'informazione necessaria,

né più né meno. Cercate di essere pertinenti

all'argomento della conversazione ed evitate di

essere ambigui, adottate parole che vi permettano

di non risultare oscuro. Evitate di parlare di

sviluppi lontani e non ancora prevedibili, ma

rassicurandoli che li si terranno informati su gli

sviluppi importanti, tenendo a mente che non

bisogna dire tutto ciò che si sa, ma che tutto ciò

che si dice deve essere vero e che non bisogna mai

fare promesse che non siano sicure. Altrettanto

importante è dare sostegno, rassicurandoli che non

hanno nessuna colpa della malattia e

incoraggiandoli a porre domande. Questa è la

parte predominante della comunicazione,

“esserci”, essere disponibili a rispondere alle loro

domande; dal momento che le faranno, pur

difficili che possano essere, vuol dire che sono in

grado di accogliere la risposta. In fondo sono

come noi, se non vogliamo sapere una cosa non la

chiediamo.

Un errore che spesso i genitori o comunque gli

adulti in generale tendono a commettere in queste

situazioni è sopprimere il proprio dolore, invece

permettersi di essere furiosi o tristi è utile per far

capire ai bambini che è normale che anche loro si

sentano abbattuti o arrabbiati. Lasciate che i vostri

figli vi possano vedere piangere e soffrire, così si

sentiranno autorizzati a farlo anche loro.

Lasciategli esprimere dolore, rabbia, angoscia,

anche attraverso il gioco e il disegno.

Come dicevamo prima, i bambini riescono a

percepire, anche se non chiaramente, ciò che

accade intorno a loro. La mia amica, per esempio,

mi diceva che del periodo in cui il nonno era

malato, ricordava chiaramente il suo umore

irritabile in quelle giornate “buie” che spesso

accadono, quando si combatte contro un tumore e

ricordava la distrazione e l‟umore altalenante di

suo padre, che non capendo adibiva ad un suo

comportamento errato. Per questo è importante

spiegare che a causa della malattia, si possono

avere reazioni connotate da maggiore irritazione o

irruenza del solito.

Nonostante questi piccoli accorgimenti,

comunicare da soli ad un bambino la malattia di

una persona cara può essere difficile, in questi

casi il ricorso a un‟assistenza professionale può

dare sollievo a tutte le persone coinvolte.

Oppure potete decidere di dire bugie se volete, ma

ricordate che Babbo Natale vi vede, e se non

sarete bravi, non ci saranno regali sotto l‟albero

per voi.

Sara Romano Bibliografia consigliata

L. Malagotti, Nonno!?!... quale nonno!!?? Alcune

considerazioni su come comunicare ed aiutare i

bambini ad affrontare la morte di una persona a loro

cara. In “La forma che emerge dal confronto” n 19,

2006, 123-136

Kubler-Ross E. On death and dying. Chicago, 1965.

Tr. It., La morte e il morire. Cittadella, Assisi, 1976

https://shop.legacancro.ch/files/kls/webshop/PDFs/itali

ano/malati-di-cancro-come-dirlo-ai-figli-per-genitori-

con-consigli-per-i-docenti-033039102111.pdf

http://www.ansa.it/saluteebenessere/notizie/rubriche/sti

lidivita/2013/03/27/Liti-mamma-papa-fanno-male-

cervello-bebe-_8468225.html

Continua dalla prima pagina

Lo sappiamo, a volte fare delle scelte implica

impegno, determinazione e fatica e a volte una

correlata sofferenza. Il punto è che lo scegliere di

lasciarsi andare al “destino” avverso ci fa vivere

comunque una situazione di sofferenza ma in

questo caso inutile, non correlata ad una crescita

personale.

Spesso ci appelliamo al voler fare la cosa giusta,

dove il giusto è eguale al non soffrire, quando

quello che ci dobbiamo chiedere è se questo che

sto provando ha senso. La scelta che faccio ha un

significato per me o per le persone che amo? Il

dolore può avere un significato o essere privo di

senso, ecco non rimaniamo nell‟insensatezza del

dolore,nel far parte di un destino che è vero

accade comunque ma “non è detto che lo faccia in

modo cronologico.”

M.C.

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ANNO 6-4 Pagina 15

23 febbraio 2018

XVIII CONVEGNO

NAZIONALE

Jakov Deljana

“L’INTERVENTO PSICOLOGICO

IN ONCOLOGIA” Roma

La comunicazione in oncologia, in ambito

sanitario e tutte le sue declinazioni

Il 23 febbraio 2018 si terrà a Roma il 18º

Convegno Nazionale sull‟intervento

psicologico in oncologia, organizzato

dall‟Associazione Moby Dick.

Il tema di questo incontro sarà centrato sulla

“Comunicazione” come elemento

fondamentale del prendersi cura della

persona, della famiglia colpita da una malattia

oncologica.

È questo un argomento che per la sua

complessità e ricchezza cercherà di essere

trattato in maniera adeguata durante la

giornata ma vorrà senz‟altro essere un punto

d‟incontro e riflessione tra i vari operatori del

settore con l‟unione d‟intenti di dare il via a

percorsi costruttivi e continuativi di

collaborazione e di rete, in questo caso “che

la tua mano sinistra sappia cosa fa quella

destra”.

Il Convegno vorrà privilegiare concretamente

l’interattività tra relatori e pubblico, rendendo

gli argomenti più ricchi perché osservati da

più angolazioni: frutto sia di esperienze

realmente vissute e sia per la molteplicità

delle discipline presenti.

Se avete il desiderio di essere presenti come

relatori inviate titolo ed abstract a:

[email protected] entro il 30 dicembre

Leggi le modalità di partecipazione ed invia il

tuo abstract. www.moby-dick.info

Io comunico

presente Dalla semplice

informazione alla

Relazione

Io comunicavo

imperfetto L’operatore al

cospetto della

perdita; quando la

relazione cessa;

cessa?

Io comunicherò

futuro semplice Informarsi o

formarsi?

Training Emotional

Area

Io comunicai

passato remoto L’operatore a

contatto con le

proprie perdite; il

controtransfert

Noi comunichiamo

presente Il lavoro d’equipe,

difficoltà ed

innovazione

Avrò comunicato

futuro anteriore L’operatore ed i suoi

sensi di colpa

Che tu comunicassi

cong. imperfetto Deresponsabilizzarsi

ed il rischio

burn-out

Noi comunicheremmo

Cond. presente Un giorno, chissà,

vedremo, se ho

tempo

L‟evento sarà accreditato per l‟Educazione

Continua in Medicina 8 E.C.M.

Ingresso libero previa prenotazione

obbligatoria tranne piccolo contributo per chi

richiede gli E.C.M, ancora più piccolo per i

Soci Sostenitori e Volontari di Moby Dick

Le nostre PUBBLICAZIONI

La malattia oncologica nella famiglia Dinamismi psicologici ed aree d’intervento

Maurizio Cianfarini

Carocci ed. (nelle migliori librerie ed in Sede)

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ANNO 6-4 Pagina 16

Le nostre RUBRICHE

Non è vero… ma ci credo

Epifania come manifestarsi: riscoprirsi

nuovi. - La capacità di “credere” ancora.

“La befana vien di notte,

con le scarpe tutte rotte,

col cappello alla romana,

viva, viva la befana!!”

Sembrava ieri quando noi tutti eravamo pronti a

fare le nostre cacce al tesoro e scartare i dolci

della calza appesa ai pensili della cucina o del

salotto. La befana, ha tanti nomi (Befanì, Veggia

Bacucca, Vecchia Vegeta, Pifanie, Strieta,

Marantega, Barbasa, Buffaneigghie) ma qualsiasi

nome le si dia, nell‟immaginario collettivo, è

simboleggiata sempre dalla signora misteriosa che

all‟interno delle calza lascia carbone oppure doni.

Durante la notte tra il 5 e il 6 gennaio si dice che

gli animali parlino tra loro il linguaggio degli

uomini, che i prati si riempano di fiori e che l‟olio

ed il vino prendano il posto dell‟acqua nei

ruscelli. Questa vecchia signora dall‟aria scocciata

ed arcigna riserva il suo

caratteraccio solo agli

adulti e dietro al suo

aspetto trasandato e da

nonnina non è celata

una strega come,

erroneamente, talvolta è rappresentata ma una

dolce vecchina che riempirebbe i bimbi di baci,

doni e dolci. La befana che lavora

instancabilemnte tutta la notte, intrufolandosi nei

camini fuligginosi e angusti, dopo aver fatto lo

slalom tra i giocattoli di camerette in disordine e

calzini vecchi e puzzolenti raccoglie i desideri dei

bimbi nella scatola raccoglisogni. Questa usanza

si colloca in tempi remoti e svariate tradizioni

culturali come ad esempio la Strenia, lo spitrito

delle feste dell‟antica Roma, la personificazione

della salute pubblica, quella da cui è cominciato

l‟ambaradam dei „portaregali‟: San Nicola, Santa

Lucia, i Morti, i Magi, San Simone, San Martino,

Santa Caterina, Sant‟Antonio Abate, Babbo

Natale e perfino il Bambinio Gesù. È così che la

caccia al tesoro del sei gennaio è il momento più

esilarante dell‟anno quando finalmente arriva il

momento di cercare il tesoro nascosto e scoprire

quale sia il dono che tanto abbiamo faticato a

trovare. Ad ogni indovinello risolto si conquista

un pezzettino di stupore il quale mette in moto la

motivazione a sfidarsi e ad andare oltre il

prossimo rompicapo. Non importa il tempo, lo

sforzo mentale o l‟attesa poiché di lì a poco si

scoverà ciò che stiamo faticosamente

conquistando. Ma quale dono si “manifesterà”

sotto i nostri occhi, nascosto nell‟angolo di casa

più impensato? Non sarà importante, ciò che

importa è la “manifestazione” in sé, ovvero la

tangibile possibilità di essere sfidati e sorpresi

dalle nostre capacità di intuito, dalla astuzia degli

adulti di renderci complessa la ricerca, dalla

ricompensa emotiva di aver guadagnato quei

regali che terremo nel tempo. Così anche

nell‟immaginario dei bambini il termine Epifania

ed il contesto a cui esso s‟associa si lega

all‟etimologia della parola stessa ovvero:

manifestazione. Il vocabolo Epifania deriva infatti

dal greco “epi” e “fainetai” che vuol dire

“manifestarsi”, “apparire dall‟alto”. Così

nell‟antichità questo concetto era associato alla

apparizione di un Dio, ed uno soltanto, all‟interno

del tempio, in un giorno dedicato. Questa

apparizione era il dono, del Dio, che si faceva

avanti dopo tempi di preghiere e presagi nefasti,

delle volte. Proprio come il dono per i bambini,

dopo un anno di pensieri ed aspettative sul regalo

di natale e della befana, sui dolci che si sarebbero

potuti mangiare in via del tutto eccezionale. Così

il tema centrale è la “scoperta” e la sorpresa che

ovviamente ne deriva. A questo particolare

approccio al termine epifania si accosta anche lo

scrittore James Joyce che fa del concetto di

“epiphany” una delle colonne portanti della sua

letteratura. Epifania quindi come “rivelazione”, di

ogni sorta, positiva e negativa. La rivelazione che

scopre i personaggi nudi di fronte ad una nuova

realtà, ad una notizia o ad una malattia

sconvolgente e alla consapevolezza che ne deriva.

È così che questa nuova apparizione dà vita a due

comportamenti assai discordanti fra loro: la

paralisi e-o la fuga. Una nuova scoperta che

comporta sgomento. Un nuovo angolo di

prospettiva su se stessi e sul nostro mondo

interiore che si scopre vasto e fragile o fallato e

forte. Riflettendoci ancora un po‟ ci si chiede: Il

“dono” piacerà? Sarà accecante avere una luce

puntati su un angolo di se stessi inesplorato, sul

desiderio di qualcosa che poi si rende concreto?

Sarà così dolce e piacevole avere tra le mani nella

sua forma concreta di regalo l‟oggetto tanto

desiderato durante l‟anno? Sarà poi così piacevole

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ANNO 6-4 Pagina 17

mangiare tutta la cioccolata che si desidera o si

scoprirà che la pancia duole dopo le abbuffate? La

rivelazione sta proprio qui. Nel disvelare e

raggiungere, attraverso le proprie fatiche, in

quell‟unico momento dell‟anno, ciò che abbiamo

a lungo immaginato e personalizzato nella nostra

mente durante un lungo periodo. Ecco che ci

compare davanti il volto del bambino

insoddisfatto o scontento del regalo che non è

piaciuto inspiegabilmente. “Eppure era ciò che

aveva sempre chiesto e desiderato!!”.

L‟aspettativa diventa così la trappola in cui si

inciampa quando ci si dipinge un dato contesto in

un certo modo. L‟aspettativa che si nutre dei

margini che gli abbiamo dipinto e rimpicciolisce

l‟immagine a suo piacimento per farla quadrare

entro se stessa. L‟aspettativa genera pretesa e dal

momento che viene disillusa genera rabbia, ed

ecco che il dono, la rivelazione, invece che

produrre gioia genera dolore. La sfida è tutta qui:

porci nell‟essere richiedenti con un atteggiamento

diverso dalla pretesa.

Non sempre si è pronti ad accogliere le

“rivelazioni”, non sempre si è soddisfatti di ciò

che si scopre o ciò che si manifesta è un dono

mandato dal cielo o apparso dall‟alto. Lasciamo ai

bimbi lo stupore di meravigliarsi e anche la

capacità di scoprirsi in grado di accettare anche il

mal di pancia dopo aver svuotato la calza.

Lasciamo agli adulti il tempo di rivelarsi forti

durante esperienze difficili, il divertimento e la

sorpresa che ne deriva nel sistemare sottili

indovinelli per la casa durante il sei gennaio.

Lasciamo che l‟epifania sia una scoperta su nuove

e inaspettate risorse personali. Lasciamo che la

strega passi a mezzanotte con le scarpe rotte. Non

è vero ma ci credo …. e preparo la tavola con latte

e biscotti per lei.

Non è vera ma ci credo

M.D.

Leonardo da Vinci-

L’Adorazione dei Re Magi. 1481

LEGGI I NOSTRI NUMERI

ARRETRATI SUL SITO, PAGINA PUBBLICAZIONI ALLA

VOCE “IL GAZZETTINO”

I want you

Fai il volontariato a Moby Dick

A domanda risponde

a cura di Maurizio Cianfarini Presidente dell‟Associazione Moby Dick, Esperto in psiconcologia, Logotherapy ed Analisi Esistenziale, Analisi individuali, di gruppo e

di Organizzazioni Direttore del Corso biennale in Psicologia

Oncologica. Collabora con numerosi enti per la formazione e la supervisione degli operatori sanitari e dei volontari nelle città di

Roma, Milano, Campobasso, Padova, Cosenza, Potenza, Larino,

Catania, Trapani e Firenze

Buonasera Dottore,

sono una mamma di due bimbi, uno di 16 anni e

l'altro di 6. Il secondogenito è affetto da leucemia.

Lo abbiamo scoperto tre mesi fa. Parlando con il

dottore è ovviamente uscita fuori la necessità di

affrontare svariate terapie che modificheranno la

quotidianità del nostro piccolo e la nostra. Siamo

preoccupati in merito alle modalità con cui

affrontare l'argomento insieme a lui e al più grande.

Io e mio marito temiamo che i nostri figli vengano

sconvolti da questa notizia terrificante. Inoltre non

vogliamo confondere i nostri sentimenti di paura

con i loro, mischiando così i legittimi proprietari

dell'emozioni che si scateneranno una volta appresa

e "resa ufficiale", perché comunicata alla famiglia,

la notizia.

Grazie per il suo parere.

A. R.

Gentile signora, per la Vostra famiglia è

sicuramente un momento molto difficile e dall‟età

dei suoi figli vedo che il più grande frequenta già

le superiori e quindi è “un ometto”; ecco questo è

uno degli errori che si possono fare, considerarli

già grandi, non è così.

Dobbiamo però tenere in considerazione che

spesso i nostri timori ci portano a sottovalutare le

capacità di stare nelle difficoltà dei nostri ragazzi.

La strategia migliore è mettersi a disposizione ed

essere vicini a loro in modo che possano poter

porre delle domande riguardanti la situazione,

inizialmente farei questa operazione in maniera

separata magari facendomi anche supportare dal

papà, ricordiamoci sempre che il ragazzo ed il

bambino porranno sempre domande in merito a

quello che riescono a sostenere, quello che non

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ANNO 6-4 Pagina 18

vogliono sapere o non riescono a gestire non lo

chiederanno, specie se ci vedono intimoriti.

Quello che ci frena a volte e di sentirci non

adeguati e spaventati noi stessi, quindi dire

sempre la verità, il grado di verità che il ragazzo

può sostenere e non scegliere mai se dire la verità

o una bugia, l‟effetto che potremmo provocare è

un‟informazione parziale e falsa è che poi il

ragazzo, quello più grande, può andare a verificare

o colmare attraverso i media trovando di tutto e di

più.

L‟altro pericolo che il ragazzo può sentirsi

svalutato e non all‟altezza della situazione e

questo non lo aiuta, tanto più che l‟informazione

che lui avrà sarà diversa da quella che arriverà al

bambino dato che lui saprà e sentirà di essere

malato, specie quando dovrà affrontare la cura ma

nell‟essere malato, almeno all‟inizio non necessità

di specificare in termini tecnici la malattia.

I nostri figli sono più liberi e spontanei riguardo

alla malattia di quanto lo possiamo essere noi

condizionati da stereotipi sociali e culturali; avere

un dialogo diretto con loro, con i dovuti distinguo,

li metterà, e ci metterà, anche al riparo da

interventi non sempre lineari con i vari

componenti della famiglia o con gli insegnanti e

amichetti dei nostri figli.

Non è necessario conservare sempre un

atteggiamento di “forza” laddove in alcuni

momenti ci sembra più adeguato un momento di

sconforto o tristezza, ma facilitare un movimento

emozionale con i figli e nella coppia sicuramente

eviterà che ognuno se lo possa permettere solo al

chiuso della sua stanza. I ragazzi e la famiglia

hanno risorse per affrontare anche momenti

difficili, l‟importante non scambiare il dolore con

la debolezza; ricordiamoci anche che un segnale

di forza della famiglia è anche chiedere aiuto,

reciprocamente o anche attraverso dei

professionisti che possano condividere con voi

questi momenti e dare il supporto necessario per

affrontare l‟evento.

Un cordiale saluto

Scrivi alla Balena Bianca anche per altri quesiti

medici e/o psicologici, cercheremo di risponderti

al più presto direttamente e a pubblicare alcuni

quesiti in maniera anonima

Buonasera Dottor Cianfarini

Sono un’infermiera di 40 anni, da 11 lavoro nel

reparto di ematologia e come può immaginare sono

tutti i giorni a contatto con la morte. All’inizio era

veramente difficile, poi con il tempo è come se mi

fossi spenta. La settimana scorsa ho accompagnato

mia madre al funerale di un’amica di famiglia e mi

sentivo anestetizzata, come se ormai la morte mi

scivolasse addosso. Le scrivo perché ho il timore di

non riuscire più a sentire nulla, vorrei sapere se la

mia è una reazione normale o il segnale di qualcosa

che non va.

Grazie. S. R.

Gentile collega, parlare di normalità nel nostro

lavoro è una cosa azzardata, si rischia di vivere

alcuni episodi in estrema solitudine e sofferenza;

forse la sua situazione può trovare una

spiegazione già nelle frasi che usa in questa lettera

che mi ha indirizzato: “sono tutti i giorni a

contatto con la morte” dimenticando che il nostro

lavoro giornaliero è rivolto a persone, ai vivi.

Avendo questo atteggiamento si cade in quella

che troppo spesso le persone che aiutiamo

traducono con “spersonalizzazione”, cioè, aver a

che fare con la malattia, con la sofferenza e

null‟altro, dimenticandoci che dietro a quel dolore

c‟è una persona.

Avere l‟idea di aiutare “il paziente” non facciamo

altro che incontrare l‟altro solo nel dolore; infatti

paziente viene da “pathos”, soffrente e non come

alcuni credono che sono pazienti quindi disposti

ad aspettare tutto il tempo che “noi” crediamo sia

giusto prima di aiutarli.

Questo, come porta lei a testimonianza, non

induce altro che un‟anestetizzazione dei nostri

sentimenti, i nostri ideali e valori. Avere a che

fare solo con il dolore e rapportarci unicamente ad

esso non fa altro che impoverire il nostro “essere”

in relazione. Il rapporto con una persona è

arricchente e non pericoloso, uno scambio

reciproco che continuerà ad alimentare il nostro

entusiasmo e il nostro desidero di aiutare che si

trova in una situazione di sofferenza; ecco, non il

dolore, la malattia, davanti alla persona ma una

persona portatrice di una sofferenza.

Un‟altra cosa, se vogliamo parlare di contatto con

la morte ed il morire, forse chi si trova ad

affrontare questo in quel momento è la persona

che aiutiamo, forse dovremmo essere un pochino

più realistici ed umili sul nostro ruolo.

Comunque, la situazione in cui si trova ora le

permette sicuramente di rivisitare il suo modo di

“stare” nella relazione e farsi anche aiutare

individualmente o in una situazione di gruppo, a

tal proposito esistono diverse situazioni strutturate

sul modello del gruppo Balint che la potrebbero

aiutare, si guardi intorno oppure scriva alla nostra

associazione, la Balena Bianca le potrà tornare

utile. Buone cose e buon lavoro

Dr. Maurizio Cianfarini

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ANNO 6-4 Pagina 19

Il Sostegno Psicologico in Oncologia:

quando e perché chiedere aiuto

Percepire un bisogno significa permettersi

d’incontrarlo; questa semplice regola (una regola

semplice ma che implica l’incontro con la sofferenza)

vale per tutte le persone coinvolte in una patologia

oncologica: paziente, familiari, amici e personale

curante. Un aiuto concreto si rivela

questo opuscolo scritto dal dr.

Maurizio Cianfarini e dalla dr.ssa

Raffaella Restuccia e distribuito

gratuitamente dall’Associazione

Moby Dick a tutti i reparti e servizi

ospedalieri e non che ne facciano richiesta. Una

richiesta di un numero di copie per il Vostro reparto,

day-hospital, servizio, può essere accompagnato da

parte dell’Associazione, se lo desiderate, da un breve

incontro con il personale sanitario per aiutarli ad

individuare le caratteristiche per poter individuare le

persone che possono aver maggior bisogno di una

terapia di sostegno psicologico ed effettuare un invio.

Per averci tra di voi contattaci ai nostri recapiti

Gratuitamente disponibile in Sede e scaricabile dal sito

(Training

Emotional

Area)®

Il Piano Oncologico

Nazionale 2010-2012, oltre a riconoscere un

ruolo centrale al volontariato, sottolinea

espressamente l'importanza del supporto

psicologico. Tale piano oncologico nazionale assume, per

decisione della Conferenza Stato-Regioni, il più

pregnante titolo di "documento tecnico di indirizzo per

ridurre il carico di malattia del cancro" per il triennio

2011-2013, che verrà accolto dalle Regioni, che

prevede, nell‟ambito degli interventi da attuare nel

Piano Oncologico Nazionale, anche una serie di input

per offrire adeguato supporto psicologico ai pazienti.

Art. 3.2.5 Sviluppo della psico-oncologia La patologia neoplastica può avere profonde

ripercussioni sulla sfera psicologica, affettiva,

familiare, sociale e sessuale sia del paziente che dei

suoi familiari. Viene riportato dalla letteratura psico-

oncologica che il 25-30% delle persone colpite da

cancro presenta un quadro di sofferenza psicologica,

caratterizzata in particolare dalla presenza di ansia,

depressione e da difficoltà di adattamento, che

influenza negativamente la qualità di vita, l‟aderenza ai

trattamenti medici e la percezione degli effetti

collaterali, la relazione medico paziente, i tempi di

degenza, di recupero e di riabilitazione. Tale sofferenza

può cronicizzare se non identificata e quindi trattata.

L’Associazione Moby Dick è stata confermata provider

standard con il numero identificativo 2012. Il

riconoscimento da parte della Commissione Nazionale per

la formazione continua, che un soggetto è attivo e

qualificato nel campo della Formazione Continua in

Sanità e pertanto è abilitato a realizzare attività formative

idonee per l’ECM individuando ed attribuendo

direttamente i crediti agli enti formativi e rilasciando

relativi attestati

Master Professionalizzante

PSICOLOGIA ONCOLOGICA, DELLE

PATOLOGIE ORGANICHE GRAVI e

PALLIAZIONE Direttore prof Maurizio Cianfarini

“Eccellente”, “un’esperienza formativa importante”

“ho trovato quello che cercavo, una formazione che

non è solo didattica”. Questi sono solo alcuni dei feed-

back ricevuti quest'anno alla chiusura del corso di

Psicologia Oncologica; un per-corso che si avvale di

numerosi docenti che mettono al primo posto nel loro

lavoro “la relazione” con la persona portatrice di una

patologia grave ed i bisogni formativi dei discenti.

Inizio 24-25 febbraio 2018

Frequentare un Corso è una scelta importante, è un

investimento non solo economico ma anche di tempo e

risorse fisiche e mentali, ma scegliere bene ripaga di

tutti gli sforzi.

In qualsiasi ambito lavoriamo è sempre possibile

incontrare una persona malata. Se non abbiamo

nessuna preparazione questo incontro ci può mandare

in crisi dal punto di vista sia personale che

professionale.

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ANNO 6-4 Pagina 20

Una formazione in questo ambito è una risorsa

imprescindibile e che ci può aiutare ad affrontare sia

nella professione che nella nostra vita personale una

perdita, un lutto relazionale ed affettivo.

La formazione è una jungla in cui è difficile muoversi,

ma se usiamo una bussola essa indicherà sempre il

nord. Il nord in questo caso è scegliere innanzitutto un

corso organizzato non da chi si improvvisa ma da un

ente che da decenni lavora nell‟ambito; poi un gruppo

docente che sia formato da psicologi, psicoterapeuti e

medici.

OBIETTIVI e CONTENUTI

Conoscere e gestire gli aspetti psico-emotivi che

accompagnano l‟iter clinico delle malattie organiche

gravi.

Aiutare il paziente a recuperare il senso di sé e

della propria malattia nel contesto della sua storia.

Aiutare i familiari a contenere le angosce e a

gestire la sofferenza del paziente.

Offrire agli operatori un punto di riferimento per la

conoscenza e la gestione degli aspetti “emozionali".

Elementi clinici relativi alle maggiori malattie

organiche gravi

Gruppi di discussione a tema (comunicazione della

diagnosi e della prognosi, relazioni con la famiglia del

malato, burn out degli operatori).

Presentazione e discussione di casi clinici.

Accreditato per 50 ECM visita il sito per avere

informazioni sui docenti www.moby-dick.info.

Il Corso, a numero chiuso, è aperto a psicologi,

psicoterapeuti, medico chirurghi (palliativista,

chirurgia generale, anestesia e rianimazione)

infermieri, fisioterapisti.

Durante il secondo anno il Corso sarà strutturato come

Supervisione Clinica dando la possibilità ai discenti di

portare propri casi clinici, esaminare casi clinici

dell‟associazione e avere la possibilità di effettuare

osservazione e conduzione di primi colloqui su

discrezione dei docenti.

Sono previste agevolazioni del 15% per iscrizioni

entro il 31 dicembre, del 25% per laureandi e

neolaureati (max 4 posti), del 20% per i Soci

PRENOTATI

INVIANDO IL TUO

CURRICULUM

...e lasciati accompagnare

sulla rotta

Le Borse di Studio

L'Associazione mette a disposizione due borse di

studio come Premio per la migliori tesi in Psicologia

Oncologica, inedita. I lavori presentati verranno

sottoposti all'insindacabile giudizio del direttivo. Le

tesi dovranno pervenire in duplice copia: " una copia

cartacea (non si accettano manoscritti) una copia su

dischetto o CD in formato word Per partecipare alla

selezione inviare curriculum e tesi tramite

raccomandata con ricevuta di ritorno, o recapitato di

persona, in busta chiusa indirizzata a: Associazione

Moby Dick / Selezione Corso 2017, Via dei Caudini, 4

– 00185 Roma. (Scadenza 30 dicembre 2017)

Le agevolazioni non sono cumulabili.

OPEN DAY in

Psicologia oncologica, delle patologie

organiche gravi e palliazione Roma

18 gennaio h 15-18

INGRESSO LIBERO

"Emozioni in punta di penna" La scrittura in ambito psico-socio-

sanitario

Corso per Operatore Letterario 2018 in ambito

sanitario e di disagio sociale; Definizione e strumenti

della Medicina Narrativa e della scrittura espressiva;

Applicazioni pratiche nei diversi contesti di cura;

imparare narrando con elementi di autoanalisi ed

introspezione letteraria, mettersi dal punto di vista

dell‟altro ascoltando se stessi; dall‟ascolto empatico

alla comunicazione non verbale come elementi di

produzione letteraria; esercizi e lavori di gruppo;

produzione di materiale letterario;

Discussione e lavoro di gruppo.

ROMA 10 febbraio 2018

Percorso strutturato in 10 incontri di sabato

dalle 10 alle 17,30, richiedi informazioni e

programma

Page 21: GAZZETTINO DELLA accadendo BALENA BIANCALe cronache marziane Ray Bradbury Pensare che tutto sia affidato al destino, anzi al predestinato, ci ha sempre fatto sorridere e nello stesso

ANNO 6-4 Pagina 21

50 Crediti ECM per infermieri, medici, terapisti

occupazionali, psicologi e psicoterapeuti.

Sono previste agevolazioni

Advance booking:

del 10% per iscrizioni entro il 31 dicembre

Distanza chilometrica:

10% sull'importo totale (residenza oltre i 300 Km dalla

sede del corso)

Porta un amico: 5% sull'importo totale

Le agevolazioni sono cumulabili

“Help Profession" il lavoro in equipe e la Mission Sanitaria

25 gennaio 2018 Roma

3/C. group Conflitto/Comunicazione/Confronto

Incontri, nell‟ottica dell‟approccio globale al

paziente e di condivisione con gli operatori

ispirandosi al modello dei gruppi Balint, si

propongono di fornire ai partecipanti strumenti

teorici, tecnici e pratici. Il Corso è rivolto a tutti

coloro che sono impegnati in una relazione d‟aiuto e

desiderano una condivisione delle esperienze

professionali.

Gli incontri saranno quindicinali, il giovedì

pomeriggio, per un totale di 15 incontri

35 Crediti ECM per tutte le professioni sanitarie

(infermieri, medici, fisioterapisti, logopedisti,

biologi, farmacisti, ecc.)

Come aiutarci Comunicando la propria disponibilità a prestare tempo

(anche minimo) all‟associazione

Versando periodicamente (a piacere) una quota come

sostenitore utilizzando UNICREDIT codice IBAN

IT74Z0200805335000400263864 oppure sul c/c

postale n. 37246543 intestati a Moby Dick, Via dei

Caudini 4, 00185 Roma; CAUSALE: contributo

liberale

Proponendo iniziative per raccolta fondi o

manifestazioni

Contatti: e-mail: [email protected]

Tel/Fax 06-85358905

Le richieste di sostegno psicologico alla

Nostra Associazione in questi ultimi anni sono in

continuo aumento, questo grazie sia ad un passa

parola, da parte di pazienti che hanno avuto

giovamento dal percorso terapeutico effettuato, e sia

grazie ad una maggiore visibilità che l'Associazione

sta avendo nel territorio comunale e provinciale.

Ogni anno partecipano ai nostri incontri di

formazione molti operatori sanitari provenienti da

tutte le Regioni d‟Italia (infermieri, medici e

psicologi); questa opportunità ci permette di far

comprendere agli operatori che le difficoltà ed il

disagio che il malato incontra non è solo fisico.

Attraverso la formazione riusciamo a far conoscere i

Servizi che Moby Dick offre in maniera totalmente

gratuita. Qualche volta, nel primo colloquio,

sentiamo la persona dire: "l'avessi saputo prima...",

esprimendo non solo il suo ma probabilmente il

rammarico di molte persone che ancora non sanno

della possibilità di avere un sostegno psicologico in

momenti così difficili del loro percorso di vita.

Gli obiettivi dell’associazione

Moby Dick cerca di rispondere al bisogno dei

pazienti oncologici (e organici gravi) di condividere

emozioni, sentimenti e vissuti legati all‟esperienza di

malattia e ai suoi effetti sulla quotidianità, effetti che

danno la sensazione di non riuscire più a capirsi, a

relazionarsi come prima con gli altri e con la vita, in

breve di non riconoscersi più. Malati e familiari

sperimentano affetti nuovi e complessi, talvolta difficili

da comprendere e gestire. Il nostro obiettivo è di non

lasciarli da soli a confrontarsi con queste

problematiche, nella consapevolezza che la vita di ogni

persona è la vita che potrebbe essere di tutti.

Quali sono le modalità: I colloqui per i pazienti

sono completamente gratuiti, sia che si tratti di brevi

consulenze sia per lunghi percorsi di

accompagnamento. Il paziente (malato o familiare) è

seguito nel momento in cui ne fa richiesta. Questo può

avvenire nel momento in cui riceve la diagnosi, dopo

un‟operazione chirurgica, nel periodo delle cure,

quando fa i controlli periodici, quando deve riprendere

la normale quotidianità, quando la malattia si aggrava,

quando avviene il passaggio ad una terapia domiciliare

o nel caso di un familiare quando non sa come

comportarsi, quando necessita di un contenimento delle

intense emozioni.

Chi effettua il sostegno: Il personale che

effettua i colloqui è specializzato, trattandosi di

psicologi e/o psicoterapeuti iscritti all‟albo e che, prima

di cominciare a seguire pazienti in associazione

ricevono una formazione specifica.