gatto selvaggio n.3 giugno 2008

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Gatto Selvaggio 3 Dal lavoro e dal territorio Giugno 2008 Per contatti: c/o Confederazione Unitaria di Base Corso Marconi, 34 10125 Torino Tel/Fax 011.655897 [email protected]

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notizie dalla cub piemonte

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Giugno 2008

Per contatti:c/o Confederazione Unitaria di BaseCorso Marconi, 3410125 TorinoTel/Fax [email protected]

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Si affermerà che nessuno vuole cancellareil contratto nazionale, esattamente comecosì si diceva quando è cominciato il pro-cesso di smantellamento della scala mobile.Purtroppo la logica è la stessa di allora.Se ci sediamo al tavolo accettando un’im-postazione che dice che per guadagnare dipiù bisogna dare più produttività e questala si deve recuperare in azienda, è inevita-bile che si finisca per ridimensionare il giàtenue ruolo del contratto nazionale a favo-re non della contrattazione aziendale, madel salario individuale. Se poi si pensa chela contrattazione territoriale possa aumen-tare salari e poteri, coprendo i buchi vec-chi e nuovi del contratto nazionale, allorale esperienze del contratto dei lavoratoriagricoli e degli artigiani ci dicono che èvero esattamente il contrario e che la con-trattazione territoriale verrà istituita solose porterà alle gabbie salariali.Dal “Documento presentato da Giorgio Cremaschi eDino Greco al Direttivo della Cgil del 7 maggio 2008”

Quello che colpisce, leggendo le prese diposizione della sinistra CGIL, è la pienacondivisibilità di quanto affermano nelmerito delle scelte del sindacato di appar-tenenza e la pertinace mancanza di conse-quenzialità dal punto di vista delle sceltegenerali dei suoi esponenti.

Se, infatti, con le ultime prese diposizione, la CGIL ha, in un sol colpo,deciso di attenuare le tradizionali differen-ze rispetto alla CISL e, soprattutto, assun-to come propria la posizione di

Confindustria e del governo, non è ragio-nevole supporre che il gruppo dirigente diquesto sindacato sia impazzito. È, al con-trario evidente, che la CGIL ritiene inevi-tabile l’ennesimo scambio fra concessionialle controparti e garanzie per il proprioapparato, per un verso, e che fa propriol’orientamento generale del PartitoDemocratico sulla necessità di un’opposi-zione “ragionevole” per l’altro.

Lasciando per ora da parte le soffe-renze di questo settore della burocraziasindacale, è opportuno entrare nel meritodelle novità che dovremo affrontare nelprossimo periodo.

Come è noto, il 7 maggio 2008,CGIL-CISL-UIL hanno approvato unimportante documento “Linee di riformadella struttura della contrattazione”. Èbene ricordare, per evitare forzature inter-pretative, che si tratta della proposta diparte sindacale sul tema e che il prodottofinale del confronto con il padronato e ilgoverno potrebbe essere significativamen-te diverso, in peggio ça va sans dire.

La prima considerazione da fare èsin banale ma è bene farla, come la nuovamaggioranza parlamentare ha prodotto agran velocità un esecutivo, altrettantovelocemente la burocrazia sindacale hascelto l’unità al proprio interno nei rappor-ti con il governo e con il padronato.

Fatto salvo che vi potrebbero essererovesciamenti di prospettiva anche abba-stanza rapidi, questa scelta dimostra lavolontà della CGIL di evitare il ripetersidello scenario 2001 – 2006 con CISL eUIL dialoganti con il governo delle destree la CGIL a produrre animazione sociale.Che questa scelta sia in relazione con la

NOTE SU “LINEA DI RIFORMA DELLA STRUTTURA DELLA

CONTRATTAZIONE”

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sul welfare. In estrema sintesi, le impre-se che fanno profitti e che ne hannol’esigenza “concederanno” straordinaricon l’effetto di accrescere la differenzadi retribuzione reale fra i lavoratori.

- Sempre in quest’ottica, CGIL-CISL-UILpropongono il passaggio dall’attualetempistica contrattuale, quadriennio nor-mativo a biennio economico, al triennio.In pratica propongono di fare i contratti,per la parte economica, ogni tre annianziché ogni due. Naturalmente prevedo-no orribili sanzioni per chi non ottempe-ri a questi tempi ma, celie a parte, se oggiun contratto si chiude con un secco ritar-do, portando i tempi da due a tre anni, ilritardo non potrà che accrescersi e, inogni caso, per i lavoratori la dilatazionedei tempi di chiusura dei contratti èoggettivamente un danno.

- D’altro canto, i nostri eroi non mancandodi fantasia e rigore e, di conseguenza,propongono di ridurre seccamente ilnumero degli attuali contratti. In appa-renza una riforma ovvia, in realtà unsistema per omogeneizzare i contratti alribasso.

Sulle questioni che riguardano ilavoratori vi sarebbe non poco da dire.Vale però la pena di domandarsi perchéCGIL-CISL-UIL facciano questa propostae, soprattutto, cosa si attendano in cambio.

In estrema sintesi, pare evidente chesi propongono di garantirsi quel monopoliodella rappresentanza che hanno conquistatoin decenni di concertazione. La proposta,infatti, affida alla contrattazione, e quindi aloro stessi, la definizione della delicatamateria dei diritti e delle libertà sindacali,accresce i privilegi ed i finanziamenti aisindacati concertativi, scambia, come diconsuetudine, diritti dei lavoratori con dirit-ti e interessi delle organizzazioni che pre-tendono di rappresentarli.

Di conseguenza, la denuncia pun-tuale di questa proposta sarà, nel prossimoperiodo, assolutamente necessaria.

Cosimo Scarinzi

probabile solidità dell’attuale maggioranzaparlamentare pare sin troppo evidente.Insomma sembra che Epifani e C. abbianodeciso che, se non possono combatteregoverno e confindustria, è opportuno far-seli amici.

A questo giro CGIL-CISL-UIL par-lano, come si suol dire, con una voce solae lo fanno su questioni rilevanti.

Molto sinteticamente:- Si ipotizza un modello contrattuale

basato su di un contratto nazionaledebole e su di un aumento di rilevanzadella cosiddetta contrattazione di secon-do livello, quella aziendale che si imma-gina però articolabile mediante l’intro-duzione di diverse forme contrattualiquale quella territoriale. In astratto, unruolo maggiore della contrattazioneaziendale non è un male visto che èquella sulla quale i lavoratori hannomaggiore possibilità di incidere diretta-mente. Se consideriamo, però, il fattoche i contratti aziendali sono inesistentiper la grande maggioranza delle impresee per la maggioranza dei lavoratori e lostato attuale dei rapporti di forza fra leclassi, è evidente che la riforma dellaquale ragioniamo non farebbe che ratifi-care e rafforzare l’attuale tendenza acontratti nazionali miserevoli. L’ipote-tica contrattazione territoriale dellaquale parla il documento sembra allude-re singolarmente alle gabbie salarialiinvocate dai leghisti. È comunque chia-ro che i nostri eroi fanno proprie lerichieste di confindustria e propongonoal padronato quello che il padronatovoleva sentirsi proporre.

- La detassazione degli straordinari, poi,è, nei fatti, un regalo al padronato vistoche implica una riduzione secca delcosto degli straordinari ed un cedimentoalla logica dello scambio secco fra retri-buzioni e prolungamento nei fatti del-l’orario di lavoro. Questo senza calcola-re la ricaduta di questo taglio delle tasse

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Allo stabilimento della Lavazza di StradaSettimo la battaglia contro il progetto di rior-ganizzazione del lavoro denominata UPI hainiziato a dare i suoi frutti. All’inizio del-l’anno avevamo denunciato la natura negati-va del piano presentato dalla Direzione sullabase di accordi, per la verità un po’ vaghi,presi dalle RSU elette nelle fila di Cgil-Cisle Uil in sede di contratto integrativo azienda-le. Tale progetto prevedeva nei fatti la sop-pressione del reparto manutenzione e diquello qualità e il loro accorpamento all’in-terno della produzione di linea.

La conseguenza sarebbe stata quelladi cancellare un settore fondamentale per ilbuon funzionamento dello stabilimentocome quello della manutenzione, e di spal-mare tali incombenze sull’insieme deglioperai di linea. Giova ricordare come inLavazza il reparto manutenzione sia statocostruito all’insegna della qualità; chi locompone, a differenza da quello che succe-de in molte fabbriche, non è un operaioentrato nelle grazie dell’azienda, ma unmanutentore vero e proprio con qualifichee patentini. Cancellare questo ruolo avreb-be quindi voluto dire addossare un caricolavorativo in più sulle spalle di operai dilinea non formati a tale compito e umiliareprofessionalità presenti all’interno del-l’azienda.

Come collettivo aziendale FLAICAabbiamo immediatamente denunciato lalogica nemmeno tanto nascosta presente die-tro a questa operazione. Alla fine di Febbraioun primo sciopero dichiarato contro questoprogetto ci ha visti opporci con quattro ore difermo produttivo alla volontà dell’azienda.Purtroppo in quell’occasione in pochi cihanno seguito, dal momento che prevaleva

ancora la convinzione, all’interno delleRSU, sulla sostanziale bontà delle UPI.

Già in quell’occasione nel corso delleassemblee le ripetute denunce del caratterenegativo di questa riorganizzazione fatte dainostri rappresentanti e i numerosi volantinifatti circolare tra lavoratrici e lavoratori dellostabilimento iniziavano a creare i primidubbi nel corpo operaio della Lavazza. Diquesto orientamento le RSU dovevano tene-re conto e così le trattative tra rappresentan-ze sindacali e azienda sull’applicazione delleUPI segnavano il passo, e l’annunciato avviodella riorganizzazione veniva prima rinviatoe poi ridotto a un unico reparto.

L’esperienza vissuta nel corso delmese di Aprile e di Maggio da lavoratrici elavoratori di questo reparto è diventata deci-siva nel giudizio complessivo di lavoratrici elavoratori dello stabilimento nei confrontidel progetto UPI. Infatti, le assemblee tenutealla fine del mese su questo tema conferma-vano il nostro giudizio negativo sulla riorga-nizzazione; i manutentori in linea impossibi-litati a svolgere il loro lavoro, gli operatori dilinea costretti a cercare di capire cosa succe-desse alle loro macchine e sottoposti a unritmo diventato impossibile da seguire.

Le RSU, di fronte all’evidenza deifatti prendevano atto della negatività del pro-getto e del tentativo aziendale di utilizzare letrattative con loro per imporre un progettoinviso ai lavoratori. Così l’azienda per laprima volta si trovava di fronte un frontecompatto sindacale e lavorativo deciso a nonaccettare le imposizioni dell’azienda.

La direzione reagiva in modo nervo-so a questo deciso mutamento di scenario e,per bocca di un suo dirigente, arrivava a defi-nire “inutili e dannose” le assemblee di lavo-

LAVAZZA - LA LOTTA PAGATutti gli operai e le operaie scioperano contro l’abolizionedella manutenzione che peggiora le condizioni di lavoro.

E la direzione fa marcia indietro

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AUCHAN:VUOI LASCIARE CGIL - CISL - UIL?

VIETATO!

ratrici e lavoratori convocate per discuteresulle UPI.

Si è arrivati così in un clima nervo-so e teso allo sciopero proclamato dalleRSU aziendali (con la nostra adesione) pergiovedì 11 giugno, quando tutti e tre i turnisono usciti per due ore a metà giornatalavorativa occupando strada Settimo e ilpiazzale davanti all’azienda in modo com-patto.

Praticamente tutti gli operai e le ope-raie hanno partecipato ad un’agitazione cheè stata vissuta da tutti come una liberazione

di fronte all’arroganza dell’azienda. Perquanto ci riguarda non possiamo che registra-re come un segno positivo il riconoscimentofatto pubblicamente dai membri delle RSUdel ruolo avuto dalla nostro organizzazione edai nostri attivisti all’interno dello stabili-mento nel denunciare da subito la naturadelle UPI e l’arroganza della posizione azien-dale. Il giorno stesso l’azienda ha annunciatoil ritiro del progetto, completando così unavittoria contro l’arroganza aziendale che nonpossiamo non sentire come anche nostra.

Jaime

Fare sindacato è un’attività che è moltocambiata negli ultimi anni. Purtroppo ilmutamento non è avvenuto in bene ma inmale, anzi in peggio. Che noi lo si denuncinon è una novità visto che la nostra stessanascita come organizzazione sindacaleavviene proprio in polemica contro la deri-va che le dirigenze del sindacalismo di statoavevano imposto a quello che dovrebbeessere l’espressione più immediata e veradell’associazionismo di lavoratrici e lavora-tori per la difesa dei propri interessi.

Avvengono però a volte fatti che rie-scono a sconvolgere anche noi e a convin-cerci che il peggio che possiamo pensare diCgil-Cisl e Uil sia sempre meno terribiledella realtà. Questo avviene in particolarein settori come il commercio o i multiservi-zi dove lo scarso tasso di sindacalizzazionee la forte condizione di ricattabilità deilavoratori ha condotto sempre di più i sin-dacati concertativi a comportarsi come unvero e proprio racket, scarsamente interes-sato ai bisogni dei lavoratori e feroce, inve-ce, nel difendere il proprio ruolo e i propriprivilegi. Così il contratto multiservizi pre-vede i versamenti obbligatori di ogni lavo-

ratore e lavoratrice ai fantomatici enti bila-terali che altro non sono che idrovore desti-nate a drenare risorse dalle tasche dei lavo-ratori per consegnarle a sindacati ormaidisinteressati anche solo a fare iscritti. Nonsarà poi un caso che nel commercio gli stes-si sindacati propongano che tutte le altreorganizzazioni sindacali siano costrette araccogliere il 10% delle firme dei dipenden-ti di un’azienda per poter indire le elezionidei rappresentanti aziendali, mentre perquanto li riguarda preferiscono non sotto-porsi nemmeno alla verifica elettorale enominare propri rappresentanti sganciati daqualsiasi controllo da parte di quei lavorato-ri che dovrebbero rappresentare.

In particolare nella grande distribu-zione Cgil, Cisl e Uil hanno individuato unmetodo geniale per garantirsi che nessunlavoratore deluso dalla loro azione possapermettersi di decidere autonomamente semantenere o meno la propria fiducia nelsindacato di appartenenza. L’iscrizione alsindacato secondo questi geniali difensoridei diritti della classe lavoratrice, è unasorta di accensione di un debito cui puòporre fine solo l’ultimo giorno dell’anno. Il

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lavoratore o la lavoratrice che, poniamocaso, abbiano deciso tra febbraio e marzo diabbandonare il proprio sindacato, nonostan-te disdette via lettera, fax o raccomandatacon ricevuta di ritorno, si troverannocostretti a finanziare la Cgil, la Cisl o la Uilcontro la loro volontà chiaramente espressa.

Non si tratta di un caso scolastico oda manuale ma di qualcosa di effettivamentesuccesso a diciotto dipendenti dell’ipermer-cato Auchan di Corso Romania a Torino.Questi lavoratori e lavoratrici hanno decisonei primi mesi dell’anno di organizzarsi con

la CUB dopo aver maturato una profondadelusione nei confronti delle loro organizza-zioni di riferimento. Tutti e diciotto hannoinviato regolare disdetta e tutti e diciottohanno trovato mese dopo mese nella propriabusta la sorpresa di continuare a finanziarel’organizzazione della quale avevano strac-ciato la tessera. Il bello di questa vicenda èche le stesse organizzazioni non hanno dovu-to nemmeno tentare di contattare o convin-cere i propri ex iscritti a rinunciare alle lorointenzioni.

È stata la stessa azienda a rifiutare didisdire la tessera dei lavoratori e delle lavo-ratrici interessati e a richiedere agli stessi

pezze d’appoggio come raccomandate conricevute di ritorno o dichiarazioni sindacalidi accettazione delle disdette. Insommal’azienda si è comportata come il miglioredei difensori di Cgil-Cisl e Uil.

Noi nel frattempo non ci siamo ras-segnati e stiamo diffidando legalmente isindacati concertativi e proseguire in quellache si configura come una vera e propriarapina. Quanto successo, però, ci ha inse-gnato molto su quanto non deve fare un sin-dacato per evitare di trascinare un nomeglorioso nel fango. Cgil, Cisl e Uil hanno

dimostrato in questavicenda che il lororapporto conl’azienda è più fortee più saldo di quellocon i lavoratori e dicome ormai vedanoil loro ruolo comequello di una sem-plice appendice del-l’azienda finalizzataa controllare il com-portamento di lavo-ratori e lavoratrici incambio di privilegi epotere.

A noi dimostra-re che essere un sin-dacato vuole dire inprimo luogo saper

associare lavoratori e lavoratrici per difen-dere i propri interessi e i propri valori, nonquelli di qualcun altro!

Giacomo Catrame

Gatto Selvaggio è redatto da uncollettivo di militanti del sindacali-smo di base e si propone di colle-gare le lavoratrici e i lavoratori chevivono quotidianamente il conflittosociale e sindacale.

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all’anno ai quali in proporzione verrà scalatol’eventuale premio di risultato, l’incitamentoa una produzione sempre maggiore per rag-giungere il livello minimo al di sotto del qualenon scatta il premio di risultato, i permessiche non contemplano quelli per studio.

Particolarmente stizzoso il comporta-mento di Cgil e Cisl nei confronti dei lavora-tori che facevano notare come i sindacatiavessero indetto lo sciopero dello scorso 27dicembre con una precisa piattaforma (istitu-zione, buoni pasto, premio di risultato, pas-saggio automatico al quarto livello dopo il36esimo mese di contratto). Nonostante ciò,dimostrando scarso senso del ridicolo, si lan-ciavano in una sperticata quanto stucchevoledifesa dell’azienda rivendicando il fatto chel’ipotesi di accordo prevede un esborso perComdata di 12 milioni di euro (Comdata nel2007 ne ha fatturati 250!). Alla fine a forza diinsistere con concetti ultimativi del tipo senon passa cade il mondo (il lapsus aveva qual-cosa di freudiano probabilmente si riferiva alloro mondo lontano anni luce dalle problema-tiche e dai reali bisogni dei lavoratori!) l’ipo-tesi d’accordo non passava con buona pacedei sindacati.

Questi pensavano di venire a fare unapasseggiata magari cavandosela con qualchepacca e rassicurazione di stampo paternalisti-co ma non hanno fatto i conti con la determi-nazione dei lavoratori che autonomamentehanno dimostrato che nessuno meglio deilavoratori stessi è in grado di difendere i pro-pri interessi.

Ma la lotta non si ferma, già nei pros-simi giorni altre iniziative sono messe in can-tiere per chiedere a gran voce le dimissioni ditutte le Rsu, affinché si svolgano al più prestonuove elezioni dei rappresentanti dei lavora-tori e per rompere quel muro di cogestione delpotere tra azienda e sindacati confederali fir-matari dell’accordo, per la difesa e l’afferma-zione degli interessi dei lavoratori.

Rocco SacconeCollettivo Lavoratori Comdata

Martedì 3 giugno non è passato l’ipotesi diaccordo sulla trattazione di secondo livelloche Cgil e Cisl (la Uil non ha firmato) hannosottoposto ai lavoratori Comdata della sede diTorino. Eppure la giornata per i funzionariconfederali calati in azienda era cominciatasotto i migliori auspici: infatti la prima delletre assemblee approvava la piattaforma macon un risultato tutt’altro che unanime il 40%diceva no (si 66 no 46).

Nelle altre due restanti assemblee ilribaltone si avverava. Una schiacciante mag-gioranza si esprimeva per la bocciatura senzaappello dell’ipotesi di accordo: nell’ultimaassemblea i sì si fermavano a 17 mentre i noraggiungevano quota 52. Nei giorni successi-vi analoghe assemblee si sono svolte presso lesedi di Asti 1, Asti 2, Ivrea, Scarmagno, ma ilrisultato ha segnato un’altra sconfitta per chivoleva a tutti i costi imporre l’accordo ai lavo-ratori. Nonostante la schiacciante bocciatura,nelle ultime settimane i sindacati firmataridell’accordo, hanno diffuso nelle bachechedell’azienda una serie di comunicati che ribal-tano il risultato espresso dai lavoratori nelleassemblee, asserendo, mentendo sapendo dimentire, che la maggioranza dei lavoratori haapprovato il testo, nel frattempo sono comin-ciate le intimidazioni nei confronti di queilavoratori più combattivi che chiedono a granvoce il ritiro di questo accordo.

L’accordo mira a definire una serie dimaterie di contrattazione di secondo livellotra le quali il premio di risultato, l’inquadra-mento, l’orario di lavoro multi-periodale,refezione e sistema integrativo. Durante leassemblee nonostante i tentativi di indorare lapillola da parte di Cgil e Cisl i lavoratori nonabboccavano al concetto “questo era ilmiglior accordo che si potesse strappare” epiano piano hanno cominciato ad incalzare ifunzionari burocrati mettendo in evidenza ipunti critici dell’ipotesi di accordo. In partico-lare numerosi interventi hanno messo in rilie-vo: il discrimine che l’accordo attua nei con-fronti di chi si ammala per più di sette giorni

COMDATA: NONPASSA L’ACCORDO

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sulla base delle tabelle ministeriali, redat-te a partire dai CCNL firmati dai sindacatimaggiormente rappresentativi e quindi nonsulla base del CCNL Unci) e i DL 248/2007e 250/2007 che stabiliscono che, “in pre-senza di una pluralità di contratti collettividella medesima categoria, le società coope-rative che svolgono attività ricomprese nel-l’ambito di applicazione di quei contratti dicategoria applicano ai propri soci lavora-tori, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, dellalegge 3 aprile 2001, n. 142, i trattamentieconomici complessivi non inferiori aquelli dettati dai contratti collettivi stipu-lati dalle organizzazioni datoriali e sin-dacali comparativamente più rappresen-tative a livello nazionale nella categoria”e quindi, non il CCNL Unci).

In pratica, le cooperative che fannoriferimento all’Unci si sono trovate legal-mente costrette ad applicare contratti veri enon di comodo; questo non significa chel’abbiano fatto (raramente lo fanno, a menodi fargli causa), ma almeno la legge è, inquesto caso, dalla parte del lavoratore.

L’Unci non se n’è stata con le maniin mano: ha strillato molto (sostenendo cosemolto istruttive: in pratica i contratti dicomodo sarebbero indispensabili allasopravvivenza del settore e sarebbero i lavo-ratori stessi, in quanto soci attenti al benedella loro cooperativa, a volerli; inoltre,dover assumere i lavoratori già presenti sudi un servizio in caso di “passaggio diretto”sarebbe una grave ingiustizia... Questa èl’Unci), poi ha trovato l’idea geniale: perchénon entrare nel “salotto buono” della con-trattazione firmando un bell’accordo con irispettabili signori della Cisl? E i rispettabi-li signori della Cisl perché avranno scelto di

Il 4 giugno 2008 la Clacs-Cisl ha firmatoun accordo con l’Unci (Unione nazionalecooperative italiane). Questo accordo è“straordinario” per almeno due aspetti: lanatura di uno dei contraenti (l’Unci) e lamateria stessa dell’accordo. Iniziamo dalprimo aspetto.

L’Unci è una delle centrali coopera-tive (minoritaria rispetto a Confcoop,Legacoop, Agci) e non è firmataria diCCNL nazionali con Cgil, Cisl, Uil. Non loè nemmeno nel settore della cooperazionesociale o in quello delle cooperative di ser-vizi, dove l’Unci i suoi contratti li firma con“sindacati” come la Cisal e la Confsal. Cosacontraddistingue i contratti Unci?Semplice, sono contratti di comodo, servo-no a consentire alle cooperative Unci di sot-topagare il personale e farlo lavorare consalari miserabili. Per farsi un’idea, il CCNLUnci prevede per l’educatore senza titoloun salario di 810 euro mensili (laddove il“generoso” CCNL delle cooperative socialine prevede 1145).

Laddove, soprattutto nel settore deiservizi, trovate una finta cooperativa (inrealtà un’azienda mascherata, col suo bravopadrone-padre che non ha voluto nemmenoutilizzare CCNL poveri come quello dellecooperative sociali o il multiservizi) e unamassa di “soci” sfruttati a dovere, probabil-mente troverete il CCNL Unci.

Cosa può avere a che fare la rispetta-bile Cisl con gente del genere? Può, datoche l’Unci ha un problema.

Al governo Prodi si può attribuirepochissimo di buono, ma due cosette sì.Queste sono la legge 137/2007 (che stabili-sce che negli appalti per conto del settorepubblico i lavoratori devono essere pagati

LA CISL E L’UNCIContratto finto per cooperative finte

Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei

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ferie, contributi, etc..), farli lavorare atempo pieno (tanto l’orario, nelle collabo-razioni, “non conta”), fargli fare, ad esem-pio, gli educatori (come dipendentidovrebbero dargli il V o il VI livello) epagarli facendo riferimento a retribuzionicorrispondenti, di fatto, al III livello.... Iltutto, prendendosi solo la briga di allegareal contratto di collaborazione un “proget-to” che nessuno leggerà mai.

Un comodo sistema per aggirare leleggi sopra citate, ottenuto con l’aiuto e lapiena collaborazione della rispettabile Cisl,sindacato “maggiormente rappresentativo”(di chi?).

A margine, una notizia istruttiva.Recentemente, la cooperativa Codess servi-zi ha perso un servizio alla reggia diVenaria a vantaggio di un’altra cooperativa(il cui padrone-padre è un gerarca dei DS)la quale ha proposto ai lavoratori che eracostretta ad assumere... il CCNL Unci. Inquel caso, la mobilitazione dei lavoratori(organizzata e sostenuta dal sindacalismo dibase) ha ridotto il gerarca a più miti consi-gli (ovvero all’applicazione delle leggi edecreti sopra citati che dicono che l’Uncinon si può applicare ai dipendenti di coo-perativa, tanto meno negli appalti pubblici).

Esaurite le notizie, mi sia consentitauna nota polemica, una domanda diretta ai“compagni” della Cgil, sindacato maggior-mente rappresentativo anch’esso, che fa ilpossibile per non avere rapporti con il sin-dacato di base (a chi scrive è capitata piùvolte la ridicola scena del funzionario Cgilche si rifiuta di trattare con la controparte sealla trattativa partecipa anche il rappresen-tante del sindacato di base, anche quandoquesti, nell’azienda in questione, ha piùiscritti di lui e i lavoratori li rappresentadavvero)... Cari “compagni” della Cgil,stare nella stessa stanza con quelli della Cislnon vi fa mai un po’ schifo?

Sarà perché siete di stomaco forte...Aspetto fiducioso il giorno in cui un accor-do con l’Unci lo firmerete voi.

Matti Altonen

accompagnarsi a gente del genere? Forseper firmare un bell’accordo che metta fineallo schifoso andazzo dei CCNL di comodoe migliori la situazione di chi lavora nellecooperative Unci? Pare di no.

Infatti, veniamo al secondo punto.L’accordo riguarda l’inquadramento

normativo e la retribuzione dei soci di coo-perativa che non siano assunti come dipen-denti (quindi dei co.co.co., collaboratori aprogetto, lavoratori a partita Iva). Fino aora, per stabilire la retribuzione di questogenere di lavoratori si faceva riferimentoalle “retribuzioni medie del settore per pre-stazioni analoghe”. Come si vede, un riferi-mento piuttosto vago. D’altra parte, neldeterminare la retribuzione, non si può fareriferimento a una paga oraria e alle orelavorate, in quanto il collaboratore sarebbeun lavoratore autonomo, pagato in base allaprestazione complessiva e non sottoposto avincoli d’orario. Il compenso viene quindipattuito per l’intero progetto, senza consi-derare – formalmente – quante ore si impie-ghino a svolgerlo.

Questa la teoria. In realtà, tutti sap-piamo che la maggior parte delle collabora-zioni serve a mascherare da lavoro autono-mo (e risparmiare molto su paga, ferie,mutua, contributi, etc..) quello che è a tuttigli effetti lavoro dipendente, ma, per unattimo, facciamo finta di non saperlo.

Cosa fanno Cisl e Unci?Stabiliscono una tabella che indica i com-pensi annui per tutte le forme di “lavoronon dipendente” settore per settore (coope-razione sociale, cooperative di servizi, callcenter, edilizia, pulizie, etc..). Ad esempio,la tabella definisce un compenso lordoannuo di 13.690 euro per il settore dellecooperative sociali. Tale cifra corrispondecirca a quanto prende un lavoratore dipen-dente secondo il CCNL delle cooperativesociali per fare 165 ore al III livello.

Cosa succederà? Semplice: qual-siasi cooperativa-squalo (e non ne manca-no) potrà utilizzare dei collaboratori(beneficiando dei già citati risparmi su

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“La riunione si sciolse, ma rimanemmoancora a chiacchierare con gli inse-gnanti. Si lamentavano dello stipendiotroppo scarso, dei programmi pesanti,degli alunni che non avevano voglia difar niente. “Creda a me”, diceva il pro-fessor Benedetti, oggi c’è troppa genteche va a scuola. Il guaio è tutto lì.”“Una sorta di bracciantato intellettua-le”, disse solennemente un professorevenuto apposta da Roma (…) “Oggi l’insegnante in nulla, se non nelladiversa prestazione d’opera, differiscedal bracciante che il latifondista ingag-gia per le faccende stagionali. ” Era ogni anno la stessa storia, Uominidi quarant’anni, con moglie e figli gran-di, non erano ancora entrati in ruolo,anche perché il ministero bandiva i con-corsi a ogni morte di papa…”1

Così scriveva Luciano Bianciardi ne Illavoro culturale, libro in cui presenta,con tratto rapido e sapidamente agro,l’Italia del secondo dopoguerra. In queltesto compaiono anche gli insegnanti eil dialogo citato all’inizio, scritto cin-quanta anni fa, certo non suonerebbestonato nei locali di una qualsiasi scuo-la odierna.

Che gli insegnanti non siano mai statiben pagati, né in un passato recente né inuno più remoto sarà luogo comune ma èanche verità. Nell’Italia postunitaria gliinsegnanti elementari erano i menopagati tra tutti i dipendenti statali eall’inizio del ’900 Gaetano Salvemini

dichiarava la sua appartenenza al “prole-tariato accademico”, includendo l’inse-gnamento universitario nel novero deilavori mal retribuiti. Se la situazioneoggi è decisamente migliorata per gliaccademici, non così per tutti gli altriaddetti del settore istruzione, almeno nelnostro paese. La percezione di sé che ha chi lavora ascuola non prescinde dalla modestaretribuzione che tocca ai docenti e, ingenerale, al personale della scuola.Troppo spesso, però, tutto si ferma a unalamentazione fra colleghi, mentre sareb-be auspicabile usare gli strumenti dellariflessione per capire in che modo,all’interno del settore scolastico, sileghino retribuzione, momento normati-vo e specificità del lavoro svolto.

Servirebbe un’analisi articolata deglielementi concreti che hanno determina-to bassi stipendi per gli insegnanti inItalia. Ci limitiamo a indicare che ilmotivo principale che viene addotto pergiustificare i bassi stipendi, e cioè ilnumero troppo alto di addetti (circa unmilione) di per sé non è sufficiente. Lostesso rapporto studenti-docenti, che civede fuori dalla media OCSE, e chedeterminerebbe l’ “anomalia” italiana diun esercito di insegnanti sovradimen-sionato, è causato da una serie di circo-stanze2 che, in conclusione, fanno appa-rire inesatta l’equazione molti insegnan-ti – bassi stipendi.

Ritengo che, in linea generale, valgaancora ciò che affermava Theodor W.

GLI INSEGNANTI SONO MALPAGATITutti lo sanno, e il Ministro della Pubblica

Istruzione propone la meritocrazia

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Adorno negli anni Sessanta, nel suosaggio Tabù sulla professione dell’inse-gnante.

Egli attribuisce una parte della preven-zione sociale che si ha verso l’insegnan-te alla scarsa remunerazione dei docenti:“La rappresentazione di quella dell’in-segnante come di una professione dafame si conserva evidentemente con piùtenacia di quanto non le corrispondal’effettiva realtà.”3

Nel tentativo di chiarire quali siano ifattori che determinano repulsione esottovalutazione nei confronti degliinsegnanti Adorno dà alla retribuzioneun peso particolare e ne evidenzia dueaspetti: l’essere modesta e l’esseregarantita. Sottolinea come le libereprofessioni abbiano un maggior apprez-zamento sociale, e di conseguenza unamiglior remunerazione, proprio a causadell’incertezza del reddito e del rischiorelativo che com-porta il loro eser-cizio. Insomma,mentre il liberoprofessionista simette in direttaconcorrenza conaltri ed ha una t t e g g i a m e n t o“audace”, l’inse-gnante, invece, un po’ vigliaccamente,sceglie di affrontare un rischio minimo,collocandosi nell’alveo di un lavorosicuro e, anche per questo, poco retri-buito.

Lo status sociale indefinito dell’inse-gnante ritengo derivi anche da un’altraprofonda contraddizione che opera nel-l’immaginario collettivo.

Da un lato egli è un subordinato, unimpiegato che esegue e che, per di più,

non si deve confrontare con adulti macon minori, con i quali rischia di averesempre, e facilmente, ragione: è figurascialba, spesso priva di originalità evalore culturale, sottomessa a una gerar-chia, e ciò che gli si chiede è una meraripetizione di conoscenze consolidate egià un po’ ammuffite.

Dall’altro lato, però, l’insegnante deveessere un maestro, cui spetta il più altodei compiti, quello dell’educazione edella formazione di giovani esseri umani.È questo secondo tipo di insegnante cheGeorge Steiner presenta con parole effi-caci: “Anche a un livello modesto, comequello di un maestro di scuola, insegna-re, e insegnare bene, significa esserecomplici di possibilità trascendenti (…)Una società, come quella basata sul pro-fitto sfrenato, che non fa onore ai proprimaestri è difettosa.”4

Del dilemma se gli insegnanti siano deifannulloni incon-cludenti, dei “trom-boni” che hannogioco facile con iragazzini, dei grigipolverosi burocra-ti o piuttosto delleanime belle ingrado di risvegliarel’amore per il sape-

re nelle giovani menti, porta traccia, infiligrana, ogni documento ufficiale cheparli di loro e che prospetti la loro operasecondo un dover essere tanto alto quan-to dimentico della realtà effettuale edelle condizioni materiali in cui il lavo-ro degli insegnanti si esercita. Comeogni contraddizione complessa sottrattaall’analisi, anche questa tende a trovaresoluzione in un puro momento ideologi-co, che viene spacciato come la soluzio-

al basso reddito e alla scarsa considerazione

degli insegnanti concorrono stereotipi e pregiudizi diffusi

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ne del problema. Sto pensando alla meri-tocrazia che, da più parti, viene propostacome la soluzione dei problemi dellascuola italiana – tutto compreso, anche ilproblema dei bassi stipendi.Quali siano, dal punto di vista del reddi-to, le condizioni del lavoro docente ce lohanno detto gli stessi ministri dellaPubblica (ancora per quanto tempo?)Istruzione: dall’intervento di Tullio DeMauro che nel maggio del 2000, dopoaver definito “scandalosamente bassi”gli stipendi del corpo docente propone-va aumenti per tutti gli insegnanti e

premi aggiuntivi per i più bravi. all’ulti-mo poco convincente grido del ministroGelmini che proclama “Non possiamoignorare che lo stipendio medio di unprofessore di scuola secondaria superio-re, dopo 15 anni di insegnamento, è paria 27.500 euro lordi annui, tredicesimainclusa. In Germania ne guadagnerebbe20.000 in più, in Finlandia 16 .000 inpiù. La media OCSE è superiore a40.000 euro l’anno. Questa legislaturadeve vedere uno sforzo unanime nel farsì che gli stipendi degli insegnanti sianoadeguati alla media OCSE”. Dati inne-

gabili, ai quali il Ministro intende porrerimedio non con un incremento dellaspesa per l’istruzione pubblica (facile,logico, ci arriverebbe chiunque e non èche una/uno diventi ministro per niente!)ma con ulteriori tagli che, secondo unaterminologia bipartisan vengono ormaidefiniti “misure per migliorare l’effi-cienza e l’efficacia del sistema”.Autonomia e valutazione delle istituzio-ni scolastiche, incentivi per gli insegnan-ti “migliori” e presumibile tentativo diblocco di ogni automatismo di aumentostipendiale per tutti gli altri sono gli ulte-

riori ingredientidella ricettaGelmini. Perciòvisto che la“coperta è corta”(tanto per usarelo stile aulicoche Gelmini hausato nell’audi-zione inC o m m i s s i o n eCultura) si pro-spetta un futuroprossimo di bassistipendi per la

stragrande maggioranza degli insegnan-ti. Con quali prevedibili conseguenzeper la scuola pubblica non sto a dire.

D’altra parte l’impoverimento dellacategoria nell’ultimo quarto di secolo èda inquadrare nel generale impoveri-mento del lavoro dipendente in Italia. Idue documenti che meglio mettono inluce tale aspetto arrivano da fonti istitu-zionali e sono l’uno un working paperdella Banca dei RegolamentiInternazionali l’altro l’Indagine campio-naria sui redditi delle famiglie italianenel 2006 di Bankitalia. Secondo questo

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studio il reddito delle famiglie con capo-famiglia lavoratore dipendente risultaessersi incrementato tra il 2000 e il 2006dello 0.3% a fronte di un incremento del13,1% per il capofamiglia lavoratoreautonomo. Sostanzialmente sulla stessalinea di Bankitalia è lo studio dell’IRES-CGIL che arriva a concludere che, sem-pre nello stesso arco di tempo, gli impie-gati hanno perso mediamente 3.047 euroall’anno,gli operai 2.592 euro mentreimprenditori e liberi professionisti sicollocano a +11.984 euro.

Ancora piùchiaro e piùallarmante ilworking paperdella BRI che cidice che, dal1983 al 2006 ben8 punti di PIL sisono spostati dallavoro al capita-le. Tradotto incifre più com-prensibili, 8punti di PILequivalgono a120 miliardi dieuro. Se consideriamo soltanto i lavora-tori dipendenti questo significa che cia-scuno di loro, fatti i debiti conti, si ritro-va un reddito decurtato di circa 7.000euro rispetto ai primi anni Ottanta.L’enormità del dato sembra però darefinalmente una risposta meno lagnosa econfusa del solito alla geremiade delladifficoltà ad affrontare la quarta (o addi-rittura della terza) settimana.

Se tutto il lavoro dipendente si trova instato di sofferenza, bisogna comunqueaggiungere che, nel confronto interna-zionale, gli insegnanti italiani appaiono

sottopagati rispetto ai loro colleghiOCSE: e questo vale per tutti i gradi discuola e per tutti i momenti della carrie-ra. Inoltre tale svantaggio risulta ancorpiù grave se si mette a confronto la retri-buzione iniziale e quella finale: infatti ilnumero medio di anni di servizio perarrivare al massimo della retribuzione èdi 35 anni per l’Italia, di 24 anni per lamedia OCSE.5 Inoltre la spesa comples-siva dello Stato per l’istruzione costitui-sce il 7,2% del PIL contro la mediaOCSE dell’8,9%.

Ma né centro sinistra né centro destra,nonostante la presunta centralità dellascuola nei rispettivi programmi digoverno hanno prospettato un incre-mento di spesa per il settore istruzione;anzi, come detto sopra, gli ultimi annisono stati caratterizzati da una serie ditagli, sia in termini di risorse economi-che sia in termini di personale. Anchequi, se si vuole fare un’analogia con ilbusiness sector, si è assistito ad un realeaumento della produttività del singolo(due esempi: la saturazione a 18 ore el’aumento del numero di alunni per clas-

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se) cui ha corrisposto una diminuzionedi risorse economiche investite nel setto-re. Si è passati dai 331 miliardi di europer il funzionamento del 2001 ai 111 del2006, dai 259 milioni di euro stanziatiper l’autonomia del 2001 ai 192 del2006; le spese per i supplenti sono pas-sate da 889 milioni di euro nel 2004 a565 nel 2007.

Quanto alla vexata quaestio del ricono-scimento del merito attraverso un conse-guente meccanismo premiale, sappiamobene cosa è successo in questi dieci annidi “scuola dell’autonomia”. Destinareuna parte del salario di tutti per costitui-re un fondo cui attinge una piccola partedella categoria per il proprio salarioaccessorio ha determinato, soprattuttonelle scuole superiori, un alto grado didannosa conflittualità interna, la trasfor-mazione delle scuole in “progettifici”(tale definizione, ancorché inelegante, èstata usata in senso negativo dallo stessoex-ministro Fioroni) la corsa all’acca-parramento delle risorse disponibili nontanto da parte dei colleghi più braviquanto di quelli più avidi. E’ pure evi-dente che la scuola dell’autonomia, con-dotta dal Dirigente-manager, non ha pro-dotto, stando agli studi internazionali eal rapporto PISA, se non uno scadimen-to del grado di istruzione offerto dallascuola italiana.

La scuola italiana è malata e i medici-ministri che se ne assumono la cura sem-brano aver confuso l’eutanasia con laguarigione: altrimenti non continuereb-bero a proporre come rimedi quelle chesono le cause del malanno. Il truffaldinoconcetto di “merito” presentato daGelmini rispecchia la povertà culturale,e vorrei dire umana, della nostra classepolitica – che ha dimenticato che, per

poter parlare di merito, si deve almenoipotizzare una linea di partenza chemetta tutti sullo stesso piano e chiariremolto bene quali siano i parametri valu-tativi del merito, faccenda complessa inun lavoro in cui l’idea di “produttività”non è certo di immediata applicazione.

In compenso, la nostra classe politicasa bene (lo sa, ma non lo dice) che per lasocietà che si sta prospettando non serveuna buona scuola per tutti. Una buonascuola, inevitabilmente, produce indivi-dui consapevoli e dotati di senso critico:ma questo serve davvero poco in uncontesto in cui sono destinati a crescerenon i diritti e le retribuzioni dei lavorato-ri ma il tempo di lavoro e le disugua-glianze sociali.

Giovanna Lo PrestiRSU CUB Scuola Itis Peano Torino

Note

1 Luciano Bianciardi Il lavoro culturale Feltrinelli,Milano 2007

2 Tra le cause che giustificano il rapporto “sfavorevole”tra docenti e studenti per il nostro paese sono da tenerin conto le seguenti: a) il numero di giorni di scuolasuperiore, ad esempio, a quello di Spagna e Francia b)il numero delle ore di tempo-scuola , più alto in Italiaper il Tempo Pieno e per l’elevato numero di discipli-ne nelle superiori c) i docenti di sostegno computatinel novero degli insegnanti e a carico dello Stato, men-tre non è così in altri paesi OCSE d) i più di venticin-quemila insegnanti di religione cattolica.

3 Theodor W. Adorno Parole chiave SugarCo, Milano1974

4 George Steiner La lezione dei maestri Garzanti,Milano 2004

5 Rapporto su Dati relativi al sistema scuola presentatonel 2006 da CGIL-CISL-UIL

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parte non è il primo caso ed un degli ultimiprovvedimenti del passato governo e del-l’ex ministro Damiano metteva l’accentoproprio su questo fenomeno.I lavoratori delle cooperative CodessCultura e Co.pat. coinvolti in questo appal-to hanno iniziato ad organizzarsi poco più

di 2 anni fa iscrivendosialla Flaica-Cub.Innanzitutto si è comin-ciato a sensibilizzare glialtri lavoratoridell’Università e i delega-ti RSU di tutte le siglesulla condizione di preca-

rietà, costituendo anche per un periodo unCoordinamento di lotta dei precari universi-tari, coinvolgendo nella mobilitazione itempi determinati strutturati, i cocco-pro, iborsisti, gli assegnasti e i cooperatori.I delegati RSU dell’Università sono statipresi spesso in contropiede sull’argomentoprecarietà, non conoscevano bene neanchele differenze tra le varie tipologie contrat-tuali, ne si erano mai interessate di saperequanti fossero i precari all’internodell’Università. È il triste agire di molti,troppi delegati: si occupano esclusivamentedei dipendenti pubblici diretti, ma nonsanno nulla degli altri lavoratori di serie Bdell’Università ed in definitiva di qualisiano le reali condizioni del lavoro. Da unabreve inchiesta è emerso che in media inogni ufficio gli assunti diretti ed indetermi-nati dell’Università erano un terzo del per-sonale realmente impiegato, in alcuni casi,come negli uffici che si occupano dei servi-zi ai diversamente abili e delle relazioni sin-dacali non vi era neanche un solo tempoindeterminato.In seguito alle mobilitazioni promosse,l’Università ha aderito ai previsti piani dellefinanziarie 2007 e 2008 di sanatorie di pre-

L’Università degli studi di Torino appaltada ormai 18 anni il servizio specifico direference (= informazioni bibliotecarie) adue cooperative. I 72 lavoratori coinvolti sitrovano in una situazione piuttosto singola-re, non tanto perché un servizio essenzialesia appaltato, visto che questa è ormai lanorma negli enti pubblicidi qualunque ordine e cate-goria, ma piuttosto perchési ritrovano frammentati esparsi in quasi 30 bibliote-che e quindi agli ordini dialtrettanti direttori e/oresponsabili pubblici.Pare essere proprio la realizzazione delnuovo concetto di dipendente pubblico,così come è professato dagli alti dirigentiministeriali in riviste specializzate comequella dell’ARAN: un nucleo ridotto didipendenti, dalle alte qualifiche e stipendi,assunti direttamente dagli enti che control-lano un esercito di sfigati coccopro, coope-rativisti, contrattisti etc. senza diritti, macon molti doveri.Nel caso dei dipendenti delle cooperative lasituazione assume contorni grotteschi datoche il datore di lavoro, e quindi chi decidecome, dove e quando lavorare, sulla carta èla cooperative, ma poi a tutti gli effetti chidà queste indicazioni e il singolo responsa-bile della biblioteca. In effetti sono loro adavere il vero controllo sulle persone e advalutarne il lavoro e le capacità, spessofanno loro stessi i colloqui al personale, chela cooperativa propone per un posto. Perciòsi crea il paradosso in cui se si ha bisognodi qualche giorno di ferie o anche solo di unpermesso, bisogna rivolgersi prima al capostruttura pubblico e poi al capo strutturadella cooperativa.Parliamo di vero e proprio lavoro in affittomascherato da appalto pubblico: d’altra

COOPERATORI DEI SERVIZI E UFFICI DELL’UNIVERSITÀ

Lavoratori con moltipadroni, ormai sono

la maggioranza ecominciano a lottare

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cari, avviando le procedure per assumerecirca 250 persone, che però in realtà eranotutti lavoratori diretti a tempo determinato.È stata sicuramente una vittoria di tutti, maqui emerge un altro problema sindacale:quello della rappresentanza. Le trattativesono state condotte esclusivamente dalleRSU universitarie, ma in realtà i lavoratorie le categorie interessate erano diverse enon rappresentate nelle RSU. Ovviamentenonostante le numerose richieste di incon-tro l’amministrazione dell’Università si èsempre rifiutata di incontrare ufficialmentele RSA delle cooperative.

Nonostante ciò l’Università, soprat-tutto in seguito allo sciopero dei precaridella Pubblica Amministrazione indetto daCUB/RdB il 4 aprile a cui ha aderito il 90%dei cooperatori chiudendo circa 20 bibliote-che, ha dovuto riconoscere l’anzianità di

servizio dei dipendenti delle cooperative infase di concorso pubblico e ritirare l’ipote-si di riduzione delle ore d’appalto cheavrebbe comportato la perdita di almeno 5posti di lavoro.

In definitiva se il nostro obiettivoresta l’assunzione diretta e sacrosanta daparte dell’ente, ci rendiamo conto cheanche il problema di rappresentanza restacentrale: non è più accettabile che sia previ-sta la sola rappresentanza dei tempi indeter-minati nelle strutture pubbliche, dato cheloro non sono più la maggioranza dei lavo-ratori nelle strutture pubbliche.Diventa ogni giorno più importante ilriconoscimento delle rappresentanze ditutti gli altri contratti che in definitivalavorano per conto ed all’interno delleUniversità

Andrea Guazzotto

La mancata possibilità di effettuare lavorostraordinario, gli orari disagevoli, la man-cata trasformazione in full time, concessasolo a pochi eletti, la mancata possibilitàdi passaggio al settore della sportelleria,opportunità riconosciuta per i “soliti noti”,chi più ne ha più ne metta, sono i mecca-nismi per mezzo dei quali, soprattutto neicentri meccanizzati di Poste Italiane, sirealizzano ineluttabilmente le discrimina-zioni a danno di dipendenti, “senza spon-sor e senza nome”, la cui unica sfortuna èquella di essere stati assunti con contrattoa tempo parziale.

Il part time, nato a favore dellavoratore, è degenerato in un perversostrumento del datore di lavoro per domi-nare il lavoratore stesso e risparmiare icosti economici del personale. Ciò chefa specie è che tutto ciò non accade perun contratto di lavoro nella vicina botte-

ga artigianale, ma niente po’ po’ di menoche presso Poste Italiane, una delle piùgrandi aziende statali. Ne sanno qualco-sa gli, ancora, innumerevoli, lavoratoriassunti a tempo parziale presso il CMPdi Torino di via Reiss Romoli.

Infatti si utilizza questa tipologiadi rapporto di lavoro per soddisfarebecere esigenze aziendali che con uncontratto di lavoro full time non si ritie-ne possibile realizzare. Nel senso chepoiché a Poste Italiane si è deciso dirisparmiare lo si deve fare a danno deipiù deboli e dei più indifesi che possonoessere facilmente collocabili per 3 ore dilavoro giornaliere nella fascia lavorativacon maggiori picchi di lavoro. Questisono i lavoratori “figli di un Dio mino-re” condannati a lavorare con maggioreintensità in poco tempo per un minorguadagno.

IL PART-TIME ALLE POSTEUN CONTRATTO DISCRIMINATORIO

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Ma non è tutto: un dipendente part-time non viene interpellato per espletarelavoro straordinario. Infatti, succede chese i conduttori di processi vanno allaricerca di personale per svolgere lavorostraordinario, passando nei vari reparti,stranamente e puntualmente chiedono atutti i dipendenti escludendo a priori tutticoloro che svolgono lavoro parziale. Insostanza ore di straordinario sono propo-ste a chi guadagna di più e non a chi gua-dagna di meno. Inoltre, gli stessi lavora-tori a tempo parziale, vengono talvoltacollocati in mansioni non fisse, semprediverse, quasi sempre come tappabuchi,che sviliscono ovviamente l’ac-quisizione della professionalità,che pur copiosa giurisprudenzalavoristica si preoccupa di garan-tire, riducendo il lavoratore ad unmero prestatore d’opera stru-mentale e non funzionale al rag-giungimento degli obiettiviaziendali. Per di più, questi lavo-ratori molte volte vengono adibi-ti in due reparti, soggetti alledisposizioni di più responsabi-li, a volte incompatibili. Cosìpuò succedere che un dipen-dente in servizio dalle 4.30 alle7.30 lavori al reparto LC peruna sola ora e per le altre suc-cessive due ore passi al repartoricevimento/invio.

Capita altresì che, se undipendente part-time chiede uncambiamento di tipologia da orizzontalea verticale, cioè dalle 0.00 alle 6.00potendo lavorare 18 ore in tre giorni, gliviene concesso, dopo reiterate richieste,anzi suppliche, un part-time verticaledalle 1.00 alle 7.00 cominciando la pro-pria attività un’ora dopo l’inizio del nor-male orario di lavoro. Questo comportal’impiego verso quei lavori rimastivacanti, visto che il personale iniziandol’attività un’ora prima ha avuto tutte lecollocazioni disponibili, e poi quando

tutti vanno via deve passare per una ulti-ma ora di lavoro a supporto di un altroreparto. Il massimo dell’atteggiamentodiscriminatorio verso questi poveri men-dici lavoratori è avvenuto negli ultimimesi dove nuovi accordi sindacali hannofinalmente previsto la possibilità deltempo pieno e la possibilità tramite col-loquio, che ne accerti l’idoneità, di pas-sare al settore della sportelleria.

Ebbene non si riesce a capire perquale motivo nessuno degli idonei part-time al Cmp di Torino sia passato allasportelleria e, intanto, si concede il tempopieno ad alcune aree professionali come i

dipendenti del recapito e della sportelleriae call-center tralasciando i centri mecca-nizzati, chissà perché questo!!!

Ormai, il dubbio che balena inognuno di noi, è che devono sistemarequalcuno della casta sindacale o dellacasta dirigenziale o comunque di qualsi-voglia casta, che per sua volontà abbiadeciso di volersi sistemare, o forse“imboscare”, nell’isola felice del centromeccanizzato, sotto la forma sedicentedi “inidoneo al servizio di recapito”.

Postino full time

Postino Part time

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In un giornale sindacale dellaCISL si legge: ”finalmente è stato rico-nosciuto il diritto dei dipendenti part-time”. Ma quale diritto?

Il diritto di alcuni, di pochi elettiperché molti portalettere ancora stannoaspettando. Alcuni colleghi portaletterein Puglia hanno persino avuto l’idea dicostituire comitati di lavoratori part-timedopo l’ennesima porta in faccia ricevutadall’Azienda, infatti si chiedono comemai a Bari e Lecce i portalettere hannoavuto la trasformazione in full-time delrapporto di lavoro e i dipendenti diTaranto e Brindisi ancora piangono ilparziale impiego? Come se a Bari eLecce il recapito fosse allo sfascio e aTaranto e Brindisi tutto andasse a gon-fie vele.

I sindacati confederali invece dirisolvere i conflitti tra lavoratori eAzienda a favore dei primi naturalmente,creano una lotta interna di dipendenti,una lotta tra poveri chiaramente, per cui èparadossale che qualche portalettereassunto part-time da qualche mese in pro-vincia di Bari abbia ora il tempo pieno eche invece i colleghi di Taranto e Brindisiassunti da 4 anni ancora aspettano.

Nei centri meccanizzati si assu-me part-time con un contratto a 24 ore,senza nemmeno chiedere ai part-timecon 18 ore settimanali e operativi dadiversi anni se desiderano una ora inpiù di lavoro. Cosa succede quindi?Risentimenti tra colleghi naturalmente :“del perché tu hai avuto …ed io ancoraaspetto”!!! Eppure si parla di pariopportunità!!! Ma quali opportunità?Quelle tra sindacalisti che firmanoaccordi a favore dell’azienda in cambiodi sistemazioni varie e se non hannonulla in cambio non si preoccupano divigilare se la società rispetta o menoquanto stabilito nell’intesa.

Ognuno deve fare la propriaparte in un processo produttivo, e se sipossono capire logiche aziendali detta-

te da un principio edonistico in cui loscopo precipuo è il massimo rendimen-to con la minima spesa, non si riesca acapire la logica sindacale che si vantadelle numerose assunzioni di questoultimo periodo, assunzioni pagate daglistessi ricorsisti che hanno firmatoattraverso una conciliazione conl’Azienda l’accordo 13 gennaio 2006 erestituito ingenti somme di danaro.Che vittoria è questa cari sindacaticoncertativi?

Le vittorie sindacali si concretiz-zano nelle stabilizzazioni professionali equindi in maggiori benefici per i lavora-tori e maggiori sacrifici economiciaziendali, invece in Poste Italiane si con-tinua ad assumere con contratto a termi-ne da gennaio a dicembre anche in queisettori dove è maggiore la presenza didipendenti a tempo parziale che dadiversi anni attendono un contratto atempo pieno.

Discriminazione ad libitum sinda-cale ed aziendale si potrebbe dire!!!!Eppure ci sono disposizioni normativeche stabiliscono un principio di discri-minazione (art.4 D.lgs 61/2000) “illavoratore a tempo parziale non puòessere trattato in modo meno favorevolerispetto a un lavoratore a tempo pienocomparabile per il solo motivo di lavora-re a tempo parziale.”

La legge esiste quindi ma chissàperché a qualcuno non conviene farlarispettare.

Maurizio LomazzoCobas PT CUB Torino

Supplemento a “Collegamenti Wobbly”

Dir. Resp. Giorgio SacchettiReg. Trib. Firenze

2563 del 14/3/1977Stampato in proprio

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IL SANGUE DEGLI IMMIGRATIPER IL BENESSERE DEGLI ITALIANI

L’Italia è il paese comunitario dove accado-no più morti sul lavoro. Questo triste tra-guardo l’abbiamo raggiunto superando ilmilione di morti sul lavoro, proprio que-st’anno. Nel 2007 sono morti più di 1300lavoratori. Uno ogni 7 ore. Il doppio rispet-to alla Francia e sei volte di più rispetto allaGran Bretagna. Per darvi un’idea: i soldatidella coalizione anglo-americana caduti inIraq tra il 2003 e il 2007 sono stati 3500. InItalia tra il 2003 e il 2007 sono morti 5200lavoratori! Un vero e proprio bollettino diguerra. Si dovrebberooperare maggiori con-trolli, dato che in Italiasolo il 3% dei cantieriviene ispezionato. Nel2007 tra i cantieri ispe-zionati nel Lazio 84 su100 erano irregolari. Neicantieri edili comunque,chi paga il prezzo piùalto sono gli stranieri chevengono da noi a lavora-re. Un lavoratore su seiche muore sul lavoro,oggi è un immigrato.

Muoiono in tantisul lavoro. E forse ci si èaccorti che si muoretroppo. 1326 lavoratorimorti in Italia nel 2007. Di questi, nei can-tieri, la percentuale di morti straniere haraggiunto quasi il 17%. Una percentualetroppo alta, che è destinata a crescere, inquanto il numero degli stranieri presenti inItalia è in aumento. Nel 2006 sono morti1341 lavoratori, tra loro molti erano stranie-ri. È l’esempio (uno dei tanti) di una palaz-zina in costruzione crollata il 20 Settembre2006 a Tor di Gaffe, vicino Licata in pro-vincia di Agrigento. I passanti ricordanoun’enorme nube bianca ed un enorme botto.

Nessuno si è fatto male, la palazzina eravuota, hanno raccontato ai primi soccorrito-ri. Purtroppo non era così. Sotto le maceriec’era un operaio rumeno, Mircea Spiridonsposato e padre di tre figli. In casi comequesto deve avvenire la denuncia del datoredi lavoro. Cosa che non è avvenuta.Durante i soccorsi, vigili del fuoco e pro-tezione civile hanno riscontrato, mediantesofisticate apparecchiature, la presenza diun battito cardiaco, sotto le macerie. Mircearimane incastrato sotto le macerie, risponde

al grido del suo nome,ma un pilone crollato gliimpedisce l’uso dellegambe.

Il datore di lavoro,messo sotto torchio ècostretto ad ammetterela presenza dell’opera-io, una presenza occa-sionale, una tragicafatalità, ci tiene a preci-sare che non era un ope-raio del cantiere. MirceaSpiridon lavorava innero presso quella dittafin dall’aprile del 2005.Iniziò con paghe da 25euro al giorno, poi 30 efino a 35 euro al giorno.

Aveva chiesto tante volte di essere messo inregola. A tale richiesta conseguiva semprela stessa risposta “aspetta, aspetta”. Dopodue giorni sotto le macerie decidono l’am-putazione delle gambe per Mircea, ed ilconseguente trasporto in ospedale mediantel’elisoccorso. Tutto inutile, Mircea muore atrentadue anni, lasciando una moglie e trebambini. Il titolare della ditta cosa rischiaper questa morte? Un’accusa di omicidiocolposo, ma secondo il nostro ordinamentogiuridico tutto si risolve con qualche mese

Ho una buona notizia per te!

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di carcere. Questa è la situazione in Italia.Muore un tuo operaio non in regola e sirischia poco e niente.

Ma se è vero che in tante aree italia-ne, i lavoratori, speciequelli dei cantieri edili,non sono in regola, è purvero che manca una dif-fusa cultura della sicu-rezza e che tale cultura ètotalmente assente neipaesi di provenienza dimolti lavoratori immi-grati. I supervisori deilavori edili spesso non cisono sui cantieri, perchési avvalgono di squadreesperte integrate daagenti immigrati, e lesquadre sanno già cosafare. Nella provincia diLicata su 385 cantieriispezionati dai carabinieri e dall’Ispettoratodel lavoro 160 sono risultati irregolari, cioèmancanti di norme elementari della sicurez-za. E si scopre con una certa meraviglia cheun casco protettivo è merce rara nei cantie-ri. Si riscontrano casi in cui, a seguito diispezioni i datori dimostrano, con docu-menti alla mano, che i dispositivi di prote-zione (caschi, guanti, giubbotti ad alta visi-bilità) sono stati effettivamente consegnatial personale, ma quest’ultimi non lo indos-sano. E questa cultura viene anche esporta-ta in strada dove i ragazzi sui motorini nonindossano il casco a Napoli e in gran partedel meridione. Comunque secondol’Ispettorato del lavoro su 60 lavoratori 22risultano in nero. Cioè il 35%. Le possibili-tà che nel mio cantiere vengano gli ispetto-ri del lavoro sono molto poche in Italia.Anche se, dati alla mano, l’ispezione restauna delle armi più vincenti contro il lavoronero e la prevenzione degli infortuni.

Allora perché di lavoro si continuaa morire? Perché c’è un fenomeno di nonpoco conto che si è sviluppato nelle azien-de private e di Stato, ed è la competitività.

Lavorare, produrre, velocizzare tutti i varipassaggi impegnando anche i tempi diinattività. Sono le aziende che competonotra di loro, specie le multinazionali su

scala mondiale, è unasorta di campionato delmondo, battere la con-correnza con ognimezzo e fa niente se ciscappa il morto, faparte dei costi! Operaimeccanici, stranierisottopagati, le qualifi-che scomposte in varieditte subappaltatrici,dove ogni operaio nonsa ciò che fa l’altro,perché appartenente adun’altra ditta. Spessoqueste ditte applicano inuovi “contratti globa-li” che sono totalmente

illegali. Cioè il corrispettivo figurato inbusta paga, le ferie, i permessi, il monteore lavorate e persino il corrispettivo eco-nomico sono fittizi. Figurano 40 ore allasettimana di lavoro per 800-900 euro main realtà si lavora dodici ore al giornoanche quattordici per 1800-2000 euro ver-sati parzialmente in nero e niente ferie,malattia e tutti i vari diritti che il lavorodipendente comporta. Questo tipo di ditteha vita breve, in genere durano uno o dueanni e se ci scappa il morto si sciolgono inpochissimo tempo per non invischiarsi inrisarcimenti di natura civile e penale. Lesedi sono spesso in Campania, Calabria eSicilia, dove i controlli circa la competen-za di tali ditte, sono pari allo zero(«L’Espresso», 21 Febbraio 2008).

Storie di comunicati dirigenzialidove ci si complimenta col personale per-ché la sede italiana di quella multinaziona-le è terza nel mondo come produttività rap-portata ai costi e dopo una settimana muorel’ennesimo operaio, che va ad inglobare le123.000 vittime, 123.494 feriti e 3.087invalidi sul lavoro da inizio 2008 (Febbraio

DA oggi hai anche tu ildiritto di pagare le tasse!

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2008). Ma la piaga dell’immigrato vittimadel lavoro si fa sempre più profonda.

Gli immigrati per sopravvivere,soprattutto all’inizio della loro permanenzain Italia, fanno qualsiasi lavoro spesso aprezzi ridicoli.

E quante sono le patologie che colpi-scono gli operai e che non rientrano nellestatistiche perché non si verificano subito,ma con gli anni? Se andate in giro nelleserre dove si coltiva di tutto, troverete chel’80% di lavoratori sono stranieri. Sonostranieri perché il contatto con i pesticidi èaltamente nocivo per la salute umana, maquesto agli stranieri non viene detto, gliviene solo dato un panino che consumanonella serra, e venti euro, se va bene, quandofinisce la giornata di lavoro.

Poi dopo due anni ti ritrovi con uncancro alla prostata e il dottore ti chiede “malei è a contatto con pesticidi?” bella doman-da, il problema è dimostrarlo. Ancora, storiedi immigrati caduti da trenta metri e rimastidue mesi in coma, che al loro risveglio si tro-vano davanti alla proposta che se non denun-ciano vengono messi in regola. Molti accet-tano, e tanti dopo un mese si ritrovano senzalavoro, altri denunciano ma molte volte ireati cadono in prescrizione e così anche lapossibilità, in casi di menomazione seria, diricevere una pensione. Niente sentenza,niente pensione. Le morti bianche sono dettetali perché non causate da una diretta volon-tà di nessuno, ma le morti bianche in Italia sitingono sempre più di nero.

Mario Secondo

Il sindacalismo di base in assemblea 17 maggio 2008 - Teatro Smeraldo, Milano

Note a margineIl 18 maggio un compagno della CUB di Milanoci scriveva:“Ieri, dalle 10.00 alle 14.30, presso il teatroSmeraldo di Milano si è tenuta l’assembleanazionale dei delegati/e, attivisti/e e simpatiz-zanti del sindacalismo di base indetta unitaria-mente da CUB, Confederazione Cobas e SdL-Intercategoriale.Vi hanno partecipato oltre 1500 persone conoltre 30 interventi.La piattaforma di apertura e le mozioni conclu-sive saranno sicuramente riportate nei siti inter-net delle varie organizzazioni......Sicuramente una gran bella assemblea a cui nonsi assisteva da diverso tempo!!!Tutti gli interventi dal palco sono state espres-sioni di delegati e delegate operativi nei rispet-tivi posti di lavoro e non vetrina di ceto sindaca-le “professionista” anche se di base…Il clima generale è stato di forte richiamoall’unità del sindacalismo di base che se ancoranon praticabile come percorso di unificazionema almeno di unitarietà nelle campagne di lottadel prossimo futuro.

A parte qualche richiamo alla situazione postelettorale soprattutto in riferimento alla scon-fitta storica della “sinistra radicale” ma cheveniva accolta sempre con insofferenza dall’as-semblea, segno questo di una volontà di radi-calismo vero nei luoghi di lavoro e non nelleaule parlamentari…mi è parso di non vederequell’aria di sconfitta e di ritirata che un po’ sirespira anche nel nostro movimento… ( ma iosono sempre un po’ troppo ottimista…).Certo, un disorientamento c’è, a qualcunosono venuti meno “padrini” storici, ma ieri,in assemblea era evidente anche gli spazi e lepossibilità che si aprono a chi, da sempre,lotta per l’emancipazione e liberazione delmondo del lavoro e non solo!!!Molto significativo, in tal senso, un lungointervento di un compagno della Costad’Avorio che meglio di chiunque altro ha raf-figurato i tempi odierni, i pericoli, le derivema anche le possibilità di lotta e d’inversionedi direzione…Tale intervento è stato acclamato dall’assem-blea da un interminabile (e per me che sono

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blea ha dimostrato casomai più forte del previ-sto, era chiaro da tempo. Per fare un solo esem-pio, un riuscito convegno organizzato dalla CUBdi Varese il 7 marzo del 2008 terminava con uncomunicato del quale riportiamo alcuni signifi-cativi stralci:

“Giornata storica per il sindacalismo dibase quella di venerdì 7 marzo 2008, al di ladelle più rosee aspettative, si sono presentatiall’appuntamento di Varese 100 rappresentati dapiù parti, Roma, Milano, Savona, Bergamo ecc..appartenenti alle diverse sigle sindacali CUB,SLAI COBAS, AL COBAS, SDLIntercategoriale, fino a gremire la sala cinema,con molti partecipanti costretti a seguire il dibat-tito in piedi.....I lavoratori nei diversi luoghi di lavoro voglionoun sindacato alternativo ai sindacati di regimeCGIL-CISL-UIL, un sindacato vero che sappiafare il mestiere ormai da tempo abbandonato daquesti sindacati, gli interventi hanno posto conforza l’esigenza di superare le divisioni tra i sin-dacati di base e costruire una alternativa forte ecredibile a CGILCISL-UIL.

I massimi esponenti nazionali di SDL-Intercategoriale, SLAI-COBAS, AL-COBAS edi coordinatori nazionali della CUB sono conve-nuti che è necessaria, da subito, una forte unitàdi azione sui terreni fondamentali di iniziativasindacale, come il crollo dei salari e la precarie-tà, per costruire un percorso che possa portareanche a processi unitari più avanzati.Dal convegno è stata, inoltre, avanzata la propo-sta di arrivare ad una assemblea nazionale deidelegati del sindacalismo di base per impostareunitariamente una lotta sui temi più importanti eurgenti dalla questione dei bassi salari al preca-riato alla sicurezza e salute nei luoghi di lavoro.

L’obiettivo del convegno era quello diriaprire, nel sindacalismo di base, il dibattitosulla esigenza di unità ed è stato realizzato. Ledifferenze tra i vari sindacati di base ci sono mai contenuti di fondo dell’azione sindacale sonocomuni, il dibattito lo ha dimostrato, per questoil percorso unitario è un fatto realistico e puòessere perseguito con successo, costruendo quel-lo che è storicamente necessario per la classelavoratrice: un unico e forte sindacato di base.”

Il convegno di Varese, guardato in realtàcon una certa qual freddezza da componenticonsistenti dei gruppi dirigenti dei vari sindacatidi base, non casuale, fra l’altro, l’assenza della

un po’ romantico…) e commovente applausocon tutti i presenti in piedi!!!...Era mia intenzione solo comunicare il clima e leemozioni suscitate dall’assemblea…I tempi sono cupi, gli scenari forse ancora peg-gio ma io rimango “ottimista”…Vi sono, per fortuna, ancora un sacco di brava“ggente”…di compagne e compagni che sifanno, malgrado tutto e tutti, un culo così…Abbiamo bisogno degli sforzi e delle intelligen-ze di ognuno e ognuna di noi!!!C’è bisogno di unità…nel sindacalismo di base,nel movimento antirazzista e antifascista!!!”Nella sua mancanza di pretese “analitiche” sitratta, a nostro avviso di un testo che coglie per-fettamente il dato più importante per chi poneal centro l’azione di classe: esiste un universodi delegati, militanti, lavoratori che sente l’ur-genza dell’azione, dell’organizzazione, del-l’unità del sindacalismo di base e questo uni-verso si è fisicamente manifestato nell’assem-blea del 17 maggio. Un altro compagno della CUB ci scrive:“Per il/i sindacato/i di base si tratta di iniziareal più presto ad agire in modo tale da rappresen-tare una alternativa Valida e Credibile per tutticoloro, e non sono pochi, che iniziano a abban-donare la Triplice o hanno già dato forfait datempo (il caso Pirelli insegna, purtroppo).Occorre agire velocemente quindi, prima chedall’alto venga fatta calare la classica cortina difumo, per tentare di recuperare quella massa dilavoratori che sono oramai disorientati e sonoalla ricerca di un ambito dove approdare.”La seconda lettera fa riferimento ad un eventoindubbiamente grave, il passaggio di un gruppodi delegati rsu della Pirelli dalla CGILall’UGL1, un fatto forse sopravvalutato, in real-tà l’UGL vanta una consistenza che non ha, maindicativo di un clima sociale. Va anche dettoche, a quanto ci risulta i delegati rsu della CGILdella Pirelli Bicocca passati all’UGL non sonoespressione, come erroneamente si è detto, diuno stabilimento operaio ma, casomai, impiega-tizio e, soprattutto, che non hanno affatto rottocon la CGIL da posizioni radicali2 visto chel’oggetto del contendere era decisamente piùlimitato e consisteva nell’insoddisfazione perl’efficienza tecnica della struttura dalla CGIL.

Tornando all’assemblea dello Smeraldo,che vi fosse una forte esigenza unitaria dentro ilsindacalismo di base, un’esigenza che l’assem-

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Confederazione Cobas, ha dato un segnale forteche è stato ripreso, per fare un solo esempio inoccasione della XIII Assemblea degli iscrittidell’Associazione Lavoratori Pinerolesi CUBdel 29 marzo, appunto, a Pinerolo nella relazio-ne introduttiva all’assemblea stessa.

Quindi, dentro il sindacalismo di base e,in particolare, dentro la CUB, la tensione unita-ria è, da tempo, forte.

Dobbiamo, però, domandarci cosa hadeterminato l’accelerazione dell’assembleadello Smeraldo.

In estrema sintesi, possiamo individuaretre fattori:1) una maggioranza di governo che, con il pieno

sostegno della confindustria (meglio sarebbedire con il pieno sostegno alla confindustria),per un verso, e la sostanziale acquiescenzadel principale partito di opposizione preparatrasformazioni radicali, ovviamente in peg-gio, della legislazione del lavoro, della condi-zione materiale dei lavoratori, della legisla-zione sull’immigrazione ecc.;

2) la scelta dei gruppi dirigenti di CGIL-CISL-UIL di adattarsi rapidamente alla situazioneconcedendo tutto il concedibile in cambio delmantenimento del proprio ruolo di interlocu-tori istituzionali, assieme all’UGL, e di gesto-ri di massicce risorse economiche con la con-seguente fine di ogni effettiva differenza fraCGIL e CISL;

3) la crisi, questa si radicale, della sinistra parla-mentare espulsa, appunto, dal parlamento eridotta ai minimi termini dopo che, per nonperdere memoria di quanto è avvenuto, anco-ra il 20 ottobre 2007 aveva riempito le piazzedi Roma nella speranza di “fare pressione”sul governo.

Un quadro che pone il sindacalismo di base, nelsuo assieme di fronte a nuove difficoltà ma,anche, a nuove responsabilità. Infatti è crescentel’attenzione per quest’area sociale da parte dimilitanti di sinistra che cercano spazi e possibi-lità di azione non marginale.Se aggiungiamo a questo dato il fatto che la sini-stra CGIL è in crescente sofferenza e che, senzaimmaginare improbabili fuoriuscite dalla casamadre di settori del suo gruppo dirigente, l’at-teggiamento che alcuni suoi esponenti assumonoè è più dialogante rispetto al passato, è chiaroche vi sono spazi d’azione e di organizzazionenuovi ed interessanti.

Naturalmente non è il caso di immaginareun’immediata unificazione organizzativa ma sipuò dire che è stato definito un percorso unitarioche, soprattutto se verrà praticato nelle aziende,sul territorio e nelle categorie, apre prospettivepositive.Si tratta di lavorare in questa direzione coglien-dola come occasione anche per favorire quelprocesso di autoattivazione del corpo militantedel sindacalismo di base necessario a superareincrostazioni, rigidità, settarismi, derive buro-cratiche che, è bene ammetterlo, non mancano.Si tratta anche di andare oltre le tre organizzazio-ni che hanno promosso l’assemblea coinvolgen-do gli altri sindacati di base, collettivi di lavora-tori, di disoccupati, di immigrati, settori dellastessa sinistra dei sindacati concertativi.Riportiamo di seguito la mozione finale che, contutti i limiti di un documento del genere, disegnail percorso da seguire nei prossimi mesi.

Cosimo Scarinzi

Note1 “Alla Pirelli Bicocca, dove all’inizio d’aprile si è votato

per il rinnovo delle Rsu, sono transitati direttamentedalla Cgil all’Ugl. E’ il sindacato che grazie alla faccet-ta bipartisan della segretaria Renata Polverini si è scrol-lato di dosso l’inprinting missino, ma sempre da lìviene. Alla Pirelli Bicocca ha conquistato il 43% e 9delegati su 21. Un terremoto, in una fabbrica che era unmonocolore Cgil.”

2 Manuela Cartosio “Il Manifesto” 24 aprile 2008

3 “L’aspetto più deludente ha tuttavia riguardato l’attivitàprincipale di un delegato sindacale, cioè la contrattazio-ne aziendale o di secondo livello, dove le Rsu dovrebbe-ro essere protagoniste e avere ampia autonomia decisio-nale, mentre spesso ci è capitato di essere scavalcati dascelte prese dalle strutture che ben poco sanno del vis-suto quotidiano all’interno di un’azienda. Ci siamo sen-titi delegittimati dalla stessa organizzazione che ci dove-va supportare; questo è il vero motivo del nostro abban-dono della Cgil, non l’avere sottoscritto il protocollo sulWelfare, come riportato sui giornali, in quel caso vole-vamo solo esprimere un punto di vista diverso da quel-lo della maggioranza Cgil, ma ci è stato fatto capire chenon era possibile.”

4 da una lettera dei delegati Ugl ex Cgil, Pirelli BicoccaMilano pubblicata su “Il Manifesto” del 30 aprile 2008

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Cub - Confederazione Cobas - SdL intercategorialeMOZIONE CONCLUSIVA

L’assemblea Nazionale del sindacalismo di base promossa unitariamente da CUBConfederazione Cobas e SdL intercategoriale, tenuta a Milano il 17.05.08, cui hanno parte-cipato oltre 2000 delegati provenienti da tutta Italia e da tutte le categorie pubbliche e pri-vate ha discusso ed arricchito i contenuti e le analisi proposte dal documento unitario cheha aperto i lavori e rafforzato la piattaforma di lotta.Gli oltre 30 intervenuti, hanno sottolineato la violenta lotta di classe scatenata contro i lavo-ratori e i ceti popolari dai padroni e dal potere finanziario ed economico, che porta con seuna condizione di bassi salari, di precarietà diffusa, di peggioramento dei diritti sociali disfruttamento degli immigrati, delle donne e di devastazione del territorio, che é funzionalealle politiche liberiste e mercatiste fatte proprie, nel nostro paese sia dal centro destra chedal centro sinistra, e che con una perfetta identità di vedute del governo Prodi e di quelloBerlusconi stanno producendo inaccettabili provvedimenti razzisti e politiche securitarie.In questo quadro si colloca anche, l’attacco portato da Cgil Cisl Uil per ridurre drastica-mente gli spazi di democrazia nei luoghi di lavoro e gli strumenti generali di difesa delle con-dizioni di vita dei lavoratori sancendo, con la proposta avanzata, lo svuotamento delContratto Nazionale realizzato in questi anni.L’assemblea ritiene necessario proseguire nel percorso unitario intrapreso e, raccogliendola forte richiesta di unità emersa in tutti gli interventi, di realizzare strumenti permanenti diconfronto, azione e lotta unitari sia a livello generale che territoriale e categoriale.L’assemblea approva la piattaforma proposta nel documento introduttivo i cui punti princi-pali sono: Forti aumenti generalizzati per salari e pensioni di almeno 3.000 euro annui; introduzionedi un meccanismo automatico di adeguamento salariale legato agli aumenti dei prezzi –Eliminazione dell’Iva dai generi di prima necessità – Difesa della pensione pubblica – Noallo scippo del TFR – eliminazione della clausola del silenzio assenso e possibilità per i sot-toscrittori di uscire dal fondo pensione.Abolizione delle leggi Treu e 30.Lotta al razzismo che, oltre a negare diritti uguali e la dignità delle persone, scarica suimigranti la responsabilità dei principali problemi sociali.Continuità del reddito – Lotta alla precarietà lavorativa e sociale, con forme di reddito lega-te al diritto alla casa, allo studio, alla formazione e alla mobilità.Rilancio del ruolo del contratto nazionale come strumento di redistribuzione del reddito. Noalla detassazione degli straordinari proposta da governo.Sicurezza nei luoghi di lavoro e sanzioni penali per chi provoca infortuni gravi o mortali.Restituire ai lavoratori il diritto di decidere: no alla pretesa padronale di scegliere le orga-nizzazioni con cui trattare e pari diritti per tutte le organizzazioni dei lavoratori.Difesa e potenziamento dei servizi pubblici, dei beni comuni, del diritto a prestazioni sanita-rie degne di questo nome, del diritto alla casa e all’istruzione.No all’attacco al diritto di sciopero – difesa e riconquista di spazi di lotta che vadano oltrele attuali limitazioni.A sostegno di questa piattaforma, che il sindacato di base ha posto al centro del conflitto edelle mobilitazioni e che oggi rilanciamo con forza, l’Assemblea promuove una forte cam-pagna di mobilitazione che impegni tutti i territori e le categorie, da realizzare con sciope-ri, manifestazioni, iniziative di lotta, indicando sin d’ora anche una prima giornata naziona-le da tenersi entro giugno.L’Assemblea ritiene altresì, sin d’ora, di indicare per l’autunno la necessità di realizzare unoSciopero Generale Nazionale dell’intera giornata a sostegno di questa piattaforma di lottae per sconfiggere le politiche economiche e sociali imposte dal liberismo e dalla globalizza-zione e realizzate dai governi.

MILANO 17 5 2008

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Alle lavoratrici e ai lavoratori dipendenti di Cooperative “sociali”, associazioni “no profit”, ecc.

del settore socio-educativo-assistenziale

Cooperative sociali:

INSIEME PER COSTRUIRE UN SINDACATO NAZIONALE DI CATEGORIA

A partire dagli anni ’90, e con un’accelerazione vorticosa in questi primi anni

del XXI secolo, la ristrutturazione dei servizi alla persona così come concepi-

ti dallo “Stato Sociale” di novecentesca memoria, ha comportato radicali trasfor-

mazioni degli stessi.

Il carattere prevalentemente pubblico del servizio è andato sempre più pri-

vatizzandosi trasformando così la figura dell’ “utente” in “cliente”. A ciò è

seguita la nascita di una miriade di cooperative cosiddette “sociali”, associa-

zioni cosiddette “onlus – no profit” che vedono, al proprio interno, lavorare

moltissime persone alle quali non è più possibile accedere alle medesime attivi-

tà all’interno delle A.S.L., Servizi Sociali dei Comuni, ecc.

Alle lavoratrici e ai lavoratori impiegati in queste realtà viene fatta

subire una particolare contraddizione: le particolari attenzioni di cura che ven-

gono richieste e rivolte ai loro “clienti” sistematicamente vengono invece disat-

tese verso di loro da parte delle rispettive dirigenze. L’uso del precariato dato

da assunzioni a contratto a tempo determinato, a contratto a progetto, a ritenu-

ta d’acconto, ecc. è diventato ormai regola di rapporto di lavoro.

Ad esso si aggiunge, a peggioramento non solo delle condizioni materiali

date da retribuzioni al di sotto dei 1000€ mensili, una mentalità e coscienza

diffusa data da retaggi culturali, particolarmente presenti nel settore, di deri-

vazione cattolica ed ecclesiastica ma anche nel volontarismo laico e di ispira-

zione di “sinistra”.

È l’ideologismo “buonista”, “familistico”, di “una mano lava l’altra”, del

“vulemosse bbene” che spesso viene richiesto dai vertici aziendali (cooperativi-

stici o associazionistici che si vogliano definire…) verso le lavoratrici e lavo-

ratori soprattutto in caso di “presunte” crisi economiche interne dovute sempre

da cause contingenti ed esterne (ritardo dei pagamenti degli Enti Locali, ASL,

aumento del costo della vita…ecc.) mentre poi, quando sono le lavoratrici e i

lavoratori a richiedere diritti, forme contrattuali e retribuzioni adeguate

soprattutto alle proprie competenze e professionalità espresse, allora si reite-

ra modelli aziendali gerarchici con netta separazione tra chi comanda e chi deve

ubbidire…

Purtroppo però si sconta, a riguardo, una mancanza o una adeguata “coscien-

za di classe” da parte della classe lavoratrice genericamente definita del

“sociale”. Come accennato sopra, molto dipende dalle singole culture ed esperien-

ze di provenienza (volontarismo cattolico o laico); alcuni si sono trovati a svol-

gere la stessa mansione o ruolo lavorativo esattamente come precedentemente

impiegati nel ruolo di volontari e soprattutto non è ancora ben definita, oltre

che nell’immaginario sociale e collettivo, il profilo professionale di queste

nuove figure lavorative.

Quindi sentirsi appartenere a un qualcosa che trascenda la propria dimen-

sione individuale e quotidiana (la classe), ad essere soggetto agente anche dei

propri diritti “sindacali” nel proprio posto di lavoro, se per altre categorie

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lavorative è più facile dovuto ad una “tradizione” – sempre più fievole – in tal

senso, nel settore socio-educativo-assistenziale è un percorso in gran parte da

costruire.

Ecco perché, almeno per quanto ci riguarda lavorando nell’area metropoli-

tana di Milano e dintorni, tutte le professionalità operanti nel “sociale” devo-

no iniziare ad incontrarsi, a comunicare tra loro, a condividere non solo situa-

zioni che ben sappiamo precarie e difficili, ma soprattutto, se vi sono, espe-

rienze di lotte, di rivendicazioni, di percorsi di autorganizzazione e sindaca-

lizzazione.

Spesso assistiamo a reali situazioni di abusi, di tracotanza e incompeten-

za dirigenziale ad opera dei “vertici” delle realtà lavorative presso le quali

siamo impiegati e a fronte di ciò scontiamo la mancanza di un reale strumento di

“difesa” e “promozione” dei nostri diritti: UN SINDACATO!

Un sindacato radicato nel posto di lavoro, che sia realmente alternativo –

per modalità operative al suo interno e nelle conduzione delle rivendicazioni

portate avanti dalla classe lavoratrice “sociale” – al collateravismo concerta-

tivo di CGIL-CISL-UIL.

Un sindacato che non si chiuda nel suo “settorialismo” ma che sappia rac-

cordarsi alla migliore tradizione confederale del movimento operaio e del lavo-

ro in generale.

Un sindacato che sia di stimolo per i suoi militanti, ma non solo, per un

rilancio qualificato dell’idea di “lavoro sociale” che rompa con l’attuale vul-

gata e concezione denotata in senso “paternalistico”, bieco assistenzialismo

verso persone che, se oggettivamente in condizioni di bisogno a aiuto, siano da

considerarsi anche cittadini portatori di diritti.

Un sindacato quindi che sappia rilanciare il tema dell’unità tra “utenti” e “ope-

ratori” contro la privatizzazione dei servizi pubblici e sociali operati da tutti

i governi succedutesi negli ultimi quindici anni.

Un’impresa politica, sociale e soprattutto sindacale quindi non certo faci-

le visto anche la frammentarietà di chi questo invito si rivolge.

Siamo ad un punto ZERO di partenza?

Io penso di no!

Vi sono già diverse realtà che nel percorso dell’autorganizzazione hanno

iniziato a tessere reti di collegamento (“operai sociali”, “formiche rosse”) e

alcuni, nel proprio posto di lavoro, si sono impegnati nella costruzione di strut-

ture sindacali.

Penso però che se questi “embrioni” non colgano la necessità di crescere e

svilupparsi nelle realtà che storicamente hanno acquisito forza e credibilità

verso il mondo del lavoro salariato, tali esperienze potrebbero risultare, se non

fallaci, sicuramente poco incisive nell’attuale scenario dei rapporti e contrad-

dizioni tra capitale e lavoro.

Ecco perché, nel mio posto di lavoro, e nella città di Milano, ho deciso

di impegnarmi nella costruzione di un sindacato degli “operatori sociali” all’in-

terno della Confederazione Unitaria di Base – C.U.B. (Sanità privato).

Penso che attualmente la C.U.B. rappresenti al meglio - ma si può sempre

migliorare... - la realtà del sindacalismo di base, di classe, non concertativo

e alternativo alla confederalità di CGIL-CISL-UIL. Il mio auspicio è quindi che

altre energie, storie, percorsi e culture confluiscano in questa realtà organiz-

zativa sindacale con tempi e modalità tutte da decidere e costruire e se così non

fosse, nel rispetto delle proprie identità e autonomie, si possano almeno crea-

re rivendicazioni il più possibile in senso unitario.

Paolo Masala - Milano C.U.B. (Sanità - privato)

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Stefano Livadiotti,

L’ALTRA CASTAPrivilegi, carriere, misfatti e fatturati damultinazionale. L’inchiesta sul sindacato

Bompiani, Milano 2008

È del poeta il fin la meraviglia,parlo dell’eccellente e non del goffo,chi non sa far stupir, vada alla striglia!

Giambattista Marino

Ma anche qui non credo che si potrebbe evita-re di fomentare in questo modo la lotta degliintellettuali borghesi contro la classe operaia.Lo stesso vale direttamente per il “lavoro sin-dacale rivoluzionario”. Chi volesse combatterei closed shop od altri caratteri fascisti dei sin-dacati americani oppure anche soltanto i piùpotenti e corrotti orrori della burocrazia controgli operai stessi ecc. si troverebbe a lavorareinevitabilmente per la borghesia ed il capitalecontro la classe operaia.

Lettera di Karl Korsch a Paul Partos del 26-29 luglio 1939

Com’è noto, da qualche tempo hanno uno stra-ordinario successo libri, saggi, articoli volti adenunciare la cosiddetta casta intesa come unacostellazione di gruppi sociali privilegiati1.Per comprensibili ragioni, la casta additata perantonomasia al pubblico disprezzo è quellapolitica.

D’altro canto, la denuncia dei privilegie della corruzione della casta stessa e, preso,l’abbrivio, delle sottocaste è divenuta una red-ditizia professione2 al punto che non sarebbeeccessivo parlare di castologia e di una vera epropria casta dei vituperatori della casta.

È mio convincimento profondo che ildir male della classe politica non abbia, in sé,

alcuna valenza sovversiva. Il “piove governoladro!” non è poi una novità e molti dei mora-listi da bar che si dedicano a quest’attività sononella loro vita personale non migliori dei tantodisprezzati politici dai quali li divide solo unacondizione che meno favorisca l’appropriazio-ne di pubblico denaro e, quando si danno allapolitica, diversi di questi moralizzatori si dimo-strano assolutamente corrompibili come e piùdi quanto lo sono gli oggetti delle loro polemi-che.Quando, però, libri come quelli di Stella eRizzo vendono più di un milione di copie,quando Beppe Grillo riempie le piazze, èopportuno domandarsi, per un verso, se siamodi fronte a fenomeni che vanno oltre la chiac-chiera da bar e, per l’altro, di che qualità è que-sta corrente di pensiero e a cosa è funzionale.

Alla prima domanda azzarderei unarisposta assolutamente provvisoria. Vi è, inampi settori dell’opinione pubblica, un discretointeresse per il funzionamento della sfera poli-tica. Se così non fosse non si spiegherebbe ilsuccesso di trasmissioni televisive dedicate,appunto, alla dialettica politica ed ancor menoquello di libri come quelli di Stella, Travaglio,Livadiotti.

In altri termini, la tanto disprezzatasfera della politica è oggetto di interesse e lo è,in misura decisamente più che proporzionale daparte della classe media semicolta, quella che,per intendersi, si leva al mattino e guardaOmnibus su TV 7 e Il Caffè sulla Terza rete. A cosa miri la polemica contro la/le casta/e è unpo’ più difficile da comprendersi ma non siamodi fronte ad un mistero irrisolvibile.

Nel caso del libro di Stefano Livadiotti,è evidente la volontà di stupire e scandalizzareil lettore raccogliendo una massa, per la verità,un po’ disordinata di notizie, casi, opinioni sulmisterioso universo dei sindacalisti.

E, per la verità, molte delle informazio-ni raccolte hanno un fondamento di realtà.

dQuando si criticano i privilegi

della burocrazia sindacaleper colpire i lavoratori

UNA RECENSIONE

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Pagine e pagine sono dedicate alle forme difinanziamento dei sindacati, alla pletora di fun-zionari, distaccati, delegati e al loro ruolo difreno rispetto ai processi di innovazione dellapubblica amministrazione, alla loro attitudine“conservatrice”.È interessante, però, notare che Livadiotti siconcentra sull’universo del pubblico impiego e,in altre parole, sul settore dove tradizionalmen-te i dirigenti sindacali sonoanche dirigenti dell’ammini-strazione, dove le carriere siintrecciano, dove sistema deipartiti ed apparato sindacalesi sovrappongono.

Suo interesse è, diconseguenza, denunciare iprivilegi della casta sindaca-le, per un verso, e quelli deipubblici dipendenti, per l’al-tro, intesi essi stessi comemacrocasta.

Viste le recenti ester-nazioni del ministro RenatoBrunetta è probabile che, abreve, assisteremo a nuovitentativi di mettere in praticala grande moralizzazione delpubblico impiego che da decenni viene invoca-ta da destra e da sinistra.

Come poi finiranno è un altro discorsose si considera che uno dei supporter più decisidi Brunetta è il surreale Raffaele Bonanni,segretario generale della CISL ed espressionefisica, direi carnale, di quel mondo di travet cheBrunetta minaccia di annientare.

Un fatto è, però, certo: un’azione voltaa colpire i “privilegi” reali o presunti deidipendenti pubblici non potrà che suscitareforme di resistenza da parte di coloro che nesaranno colpiti e soprattutto da parte dei moltilavoratori pubblici che sentono quest’attaccocome profondamente ingiusto visto che è ragio-nevole supporre che i furbastri sono proprioquelli più capaci di correre in soccorso al vinci-tore e, nella fattispecie, alla destra aziendalista.Insomma, mi pare assolutamente evidente cheil buon Livadiotti esprime l’umana ostilità delcittadino medio contro il funzionario pubblicoe lo fa in maniera sovente divertente.

Diversi dirigenti sindacali, siano di CGIL-CISL-UIL o dei sindacati corporativi loro soda-li e concorrenti, vengono descritti con gusto nelloro ruolo di eroi del sindacalismo delle mezzemaniche.

Ma Livadiotti ha chiaro quale sia il modo perfare male alla burocrazia sindacale: colpirla nelportafoglio e lo dice apertamente quando scri-

ve:“All’inizio degli anni ottanta,quando la lady di ferro MargaretThatcher decise di regolare iconti con lo strapotere delleTrade Unions, puntò dritto alloro sistema di finanziamento.”Il fatto è che il secondo governoBerlusconi, 2001 – 2006, non hanemmeno provato a colpire lacasta sindacale, al contrario si èappoggiato a CISL e UIL e cioèai settori più corrotti del sindaca-to confederale, per non parlaredei sindacati autonomi corporati-vi, per isolare la CGIL. Una poli-tica, se vogliamo, di destra macerto non una politica liberista.Nulla induce chi scrive a ritenere

che il terzo governo Berlusconi punterà ad unoscontro frontale con l’apparato sindacale ed,anzi, vi sono ragioni per ritenere che cercheràuna mediazione e troverà interlocutori disponi-bili come dimostra la recente scelta di CGIL-CISL-UIL di “proporre” a confindustria egoverno una “riforma della contrattazione” checoncede tutto il concedibile per quanto riguar-da retribuzioni e diritti in cambio della salva-guardia del potere e delle risorse dei sindacaticoncertativi.

Per dirla tutta, si denuncia la burocraziasindacale per colpire i lavoratori. Chi verràsicuramente colpito, infatti, dall’asse confindu-stria – governo – apparato sindacale è il lavorodipendente e le prime avvisaglie si vedono.

Da che parte stia Livadiotti, giornalistade “L’Espresso” e, con ogni evidenza, sinistrodi destra lo rende evidente una frase a pagina214 del suo libro:”Negli Stati Uniti, all’inizio degli anni ottanta,i controllori di volo abbandonarono tutti insie-

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me gli schermi radar. Erano tanti: 12 mila. E sisentivano forti. Ronald Reagan, all’epocainquilino della Casa Bianca, li licenziò in bloc-co e poi si ritirò in vacanza nel suo ranch. Intelevisione mandò il ministro dei trasportiDrew Lewis, che tagliò corto: ‘Lo sciopero èrisolto perché gli scioperanti sono stati licen-ziati ’. Indimenticabile.”Appunto, indimenticabile ed indicativo. Ladenuncia, fondata, della natura corrotta e con-servatrice della burocrazia sindacale, quella,sovente demagogica, ma con qualche fonda-mento delle sacche di parassitismo nel pubbli-co impiego, portano ad un obiettivo vero e radi-cale: la distruzione dei diritti e dello stessomovimento dei lavoratori, una vera e propriarivoluzione conservatrice che individua in ungenerico cittadino il soggetto da scagliare con-tro i “privilegiati”, soprattutto se sottoprivile-giati o, banalmente, collocati nel posto sbaglia-to al momento sbagliato.E, per di più, quest’attacco avviene con argo-mentazioni in parte condivisibili e, se voglia-mo, “di sinistra” e proprio per questo motivomerita la massima attenzione critica.Si tratta, allora, dal punto di vista di classe, dilegare la critica alla casta a quella della funzio-ne sociale della casta stessa e cioè a quella digarantire al padronato pubblico e privato la sot-tomissione del lavoro dipendente,

Eleonora Borgese

Note1 Carattere specifico di questo tipo di denunce è il

dimenticare, diciamo così, la contraddizione capitalelavoro, per un verso, ed il carattere unitario deldominio, per l’altro. Si denunciano privilegi di sin-goli gruppi ma mai la natura stessa della società cheproduce questi privilegi e, soprattutto, il privilegiodi classe appare come naturale con l’effetto di criti-care il costo eccessivo dei meccanismi di integrazio-ne sociale senza domandarsi mai il perché vi sianecessità di investire risorse per garantire l’integra-zione sociale.

2 Si possono leggere, a questo proposito, i notissimi:Stella Gian Antonio, Rizzo Sergio - La casta. Così ipolitici italiani sono diventati intoccabili – Rizzoli2007Stella Gian Antonio, Rizzo Sergio - La deriva.Perché l’Italia rischia il naufragio – Rizzoli 2008

IMPORTANTE SENTENZAA TUTELA DELLE LIBERTÀSINDACALI CONTRO FIAT

POWERTRAIN

Con decreto 10.6.08 il Giudice del Lavoro di Torinoha condannato per comportamento antisindacale (art.28 Statuto dei lavoratori) Fiat Powertrain Tecnologiess.p.a.: l’azienda aveva preteso di censire i lavoratoriin sciopero contro i sabati lavorativi e sanzionatodisciplinarmente chi si era astenuto dal lavoro, eserci-tando il proprio diritto di sciopero, senza fare alcunadichiarazione di adesione o meno allo sciopero.

Palese ed inaccettabile il tentativo di delegit-timare lo sciopero e l’organizzazione che l’avevaindetto, SdL – Sindacato dei Lavoratori Intercate-goriale, pretendendo dichiarazioni e giustificazionidell’assenza in giorno di sciopero. Il tema dei sabatilavorativi, dello straordinario e della dilatazione oltremisura dell’orario di lavoro è tema caldo ed è com-prensibile come il padronato faccia di tutto perschiacciare ogni minima opposizione e voce criticaall’interno delle fabbriche: i lavoratori devono lavora-re di più per rimpinguare le loro magre retribuzioni;devono mettere tutta la loro vita, il loro tempo di vita,a disposizione del padrone, punto e basta. Controquesta logica, chi decide di scioperare deve farlo inpiena libertà. Senza intimidazioni né pressioni.Questo ha stabilito il Giudice del lavoro.

La vicenda è stata anche l’occasione per sot-tolineare come l’organizzazione sindacale sia liberadi organizzarsi come meglio crede, senza per forzastrutturarsi secondo il classico strumento della demo-crazia rappresentanza. Forme organizzative di demo-crazia diretta, dice il provvedimento, hanno paridignità e sono estrinsecazione di quella libertà sinda-cale di organizzazione e di azione che costituisce unodegli elementi cardine del nostro sistema giuridico.L’affermazione di principio è importante, specie con itempi che corrono. Il processo di burocratizzazionedella vita e di ogni azione in campo sindacale e delmondo del lavoro viaggia spedito, stante il ferocebisogno di CGIL-CISL-UIL di trovare legittimazionenelle strutture di potere concesse e cogestite con statoe padroni, a fronte del crescente disagio e della cupae sorda rabbia che sale dai lavoratori.

Il riconoscimento della dignità di formeorganizzative sindacali basate sulla democrazia diret-ta non è isolato nella giurisprudenza del lavoro, atten-ta ad impedire che l’attività sindacale sia costrettaentro le gabbie formali della democrazia rappresenta-tiva simil parlamentare, dove le organizzazioni sinda-cali scimmiottano i partiti e bilanciano e pesano tra diloro in base ai voti/tessere. Cosicché la minoranzasarebbe sempre in scacco ed in torto.

L’attività sindacale, invece, è libera: liberanel suo farsi ed organizzarsi. I lavoratori, come singo-li, sono portori di diritti che esercitano anche colletti-vamente e nessuno può imporre loro le forme di orga-nizzazione e di azione.

W.B.

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Gentili Ministre Mara Carfagna, GiorgiaMeloni, Mariastella Gelmini e StefaniaPrestigiacomo,

Ci rivolgiamo a voi perché siete donne eforse potrete comprendere il dramma che ésuccesso a Torino.

D o m e n i c apomeriggio è statauccisa una donnadi 32 anni, unamamma di duebambini. È l’enne-sima assurda vitti-ma della violenzadi genere, dellaguerra che quoti-dianamente si con-suma all’internodelle mura dome-stiche di tante trop-pe “famiglie”.Conoscevo ElisaBeatrice Rattazzi,ho vissuto vicino alei ed al suo assas-sino per anni e inostri figli sonocresciuti assieme.

Elisa è unadonna che ha subi-to per anni violenze e soprusi, e con lei isuoi figli, senza riuscire a ribellarsi al suodestino, senza che nessuno abbia saputo ovoluto aiutarla. Per anni ha denunciato leviolenze commesse dal marito su di lei e suifigli, per anni ai litigi domestici seguival’arrivo delle forze dell’ordine e le ambu-lanze, per anni le richieste disperate d’aiutorivolte alle istituzioni a tutti i livelli (forzedell’ordine, servizi sociali, scuola), sonorimaste grida inascoltate strozzate nella

gola.Al coraggio delle denunce, si risponde conqualche pacca sulle spalle.

L’incompetenza delle nostre forzedell’ordine in materia di violenze familiariè cronica: la maggior parte delle volte qual-che schiaffo alla moglie non viene neanche

cons ide ra t av i o l e n z a .L’Italia ha unp a r l a m e n t oche, si sa legi-fera su tutto,ma non esistenessuna leggespecifica, ad i f f e r e n z adegli altripaesi europeie civili, sullaviolenza digenere.

Quandosono chiamatead interveniredurante le litifamiliari leforze dell’or-dine mostranoquesta incapa-cità senza ver-gogna e sono

solo un ulteriore e secco schiaffo moraleper la donna: invece di essere protetta etutelata dalla violenza, le viene indicata lavia della conciliazione, del “volemmosebene” e la minimizzazione dei “battibecchiche succedono nelle migliori famiglie”.

Cosa deve fare una donna per esserecreduta? A cosa servono le denunce, i refer-ti dell’ospedale? Ma soprattutto a cosaserve proporre di inasprire le pene per chicommette reati di violenza sulle donne, se

I MOLTI COLPEVOLI DELLA MORTE

DI ELISA BEATRICE

C’è una donna

picchiata dal marito!E si lamenta?

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poi una moglie che denuncia più volte suomarito per questo motivo non viene maicreduta?

Elisa aveva paura, aveva paura diquello che sarebbe diventato il suo assassi-no, di quello che per tanti anni è stato suomarito. In questa sottocultura da italiettafascista i mariti sembrano intoccabili,devono fare i“mariti” e sequalche volta siarrabbiano avran-no pure le lororagioni. Non cisono orecchie peril dolore cheavviene tra lemura di casa, masolo per le maca-bre notizie di san-gue. Credetecianche se il delittod’onore è statocancellato dalcodice penale,non lo è dallatesta degli italia-ni!

Il boome-rang mediatico,cavalcando ildolore dei fami-gliari, sembra cheabbia già voglia di trovare giustificazioni alpiù aberrante dei delitti. Aveva lasciato ilmarito, si era portata via i figli, aveva addi-rittura un altro uomo… e avanti con lacavalleria rusticana.

Elisa è stata uccisa in mezzo alla stra-da, alla luce del giorno sotto gli occhi di tutti,da una mano assassina che la tormentava daanni. Una esecuzione in piena regola che sivorrebbe quasi far strisciare via silenziosa,senza porsi troppe fastidiose e giuste doman-de. Un delitto bastardo, ma talmente comuneda non fare quasi notizia.

Non ci sono extracomunitari ubria-chi, rom alla guida di fuoristrada rubati,

spacciatori negri dal coltello e dalla pistolafacile in questa storia. È solo la storia di unanormale famiglia tutta italiana e, come dob-biamo rassegnarci a sapere, quello che contain Italia è sempre e solo la famiglia.

Questa ignoranza, questo fascismodi facciata permettono che follie comequesta accadano; una stampa e un’opinio-

ne pubblica pocosensibile permet-tono che episodicome questo ven-gano letti e archi-viati attraverso lagriglia mafiosadel codice d’ono-re. Quando capi-remo che la sicu-rezza va costruitaper prima nellefamiglie? Quantevolte le statisti-che e i fatti dicronaca ci do-vranno ricordareche la maggiorparte delle vio-lenze sui minorie sulle donneavvengono tra lemura domesti-che?

Fino a quandodovremo attendere per vedere una leggespecifica, una sezione di un tribunale, deimagistrati e degli uffici di polizia con com-petenze specifiche sulla violenza di genere?Queste cose esistono già nel restodell’Europa!

L’indifferenza pensa a fare il resto,in fondo vedere una donna nei panni vittimaè normale perché nella nostra sudicia cultu-ra la donna non si può difendere.

Chi lo spiegherà ai suo figli di 7 e 4anni?

Chiara Curinga ([email protected])Andrea Guazzotto 3398563940

Sai quanti matrimoni si

trascinano nell’indifferenza?

NOTE SU “LINEE DI RIFORMA DELLASTRUTTURA DELLA CONTRATTAZIONE”

LAVAZZA: LA LOTTAPAGA

COMDATA: NON PASSA L’ACCORDO

GLI INSEGNANTI SONO MALPAGATI

PART-TIME ALLE POSTEUN CONTRATTO DISCRIMINATORIO

MORTI SUL LAVORO - IL SANGUE DEGLIIMMIGRATI PER IL BENESSERE DEGLI ITALIANI

TEATRO SMERALDO DI MILANO:SINDACALISMO DI BASE IN ASSEMBLEA

COOPERATORI NELLE BIBLIOTECHEUNIVERSITARIE: UN PERCORSO POSSIBILE

COOPERATIVE SOCIALI: PER COSTRUIRE UN SINDACATO NAZIONALE DI CATEGORIA

RECENSIONE A STEFANO LIVADIOTTI,“L'ALTRA CASTA - PRIVILEGI, CARRIERE,MISFATTI E FATTURATI DA MULTINAZIONALE.L'INCHIESTA SUL SINDACATO”

IMPORTANTE SENTENZA A TUTELA DELLELIBERTÀ SINDACALI CONTRO FIATPOWERTRAIN

I MOLTI COLEPVOLI DELLA MORTE DI ELISABEATRICE